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contro il sionismo e il nazifascismo

per l’autonomia nazional culturale dei popoli


per la rivoluzione socialista internazionale

il Bund ebraico
in Russia e Polonia

dal 1905 alla


Seconda Guerra Mondiale
Immagine in copertina:
Manifestazione dei gruppi giovanili del Bund,
Varsavia 1932

2
Di Shvue – Il Giuramento
(inno del Bund)

Yiddish Traslitterazione dall’Yiddish


‫ברידער און שװעסטער ֿפון אַ רבעט און נױט‬, Brider un shvester fun arbet un noyt
‫אַ לע װאָ ס זײַ נען צעזײט און צעשּפרייט‬ Ale vos zaynen tsezeyt un tseshpreyt,
‫ די ֿפאָ ן איז גרייט‬,‫ צוזאַ מען‬,‫צוזאַ מען‬ Tsuzamen, tsuzamen, di fon iz greyt,
‫ ֿפון בלוט איז זי רויט‬,‫זי ֿפלאַ טערט ֿפון צאָ רן‬ Zi flatert fun tsorn, fun blut iz zi royt!
‫ אויף לעבן און טויט‬,‫ אַ שֿבועה‬,‫אַ שֿבועה‬ A shvue, a shvue, af lebn un toyt.

‫הימל און ערד װעלן אונדז אויסהערן‬ Himl un erd veln undz oyshern
‫עדות װעט זײַ ן די ליכטיקע שטערן‬ Eydet vet zayn di likhtike shtern
‫אַ שֿבועה ֿפון בלוט און אַ שֿבועה ֿפון טרערן‬ A shvue fun blut un a shvue fun trern,
‫ מיר שװערן‬,‫ מיר שװערן‬,‫מיר שװערן‬ Mir shvern, mir shvern, mir shvern!

‫מיר שװערן אַ טרײַ הײט אָ ן גרענעצן צום בונד‬ Mir shvern a trayhayt on grenetsn tsum bund.
‫נאָ ר ער קען באַ ֿפרײַ ען די שקלאַ ֿפן אַ צינד‬ Nor er ken bafrayen di shklafn atsind.
‫ איז הויך און ברייט‬,‫ די רויטע‬,‫זיין ֿפאָ ן‬ Di fon, di royte, iz hoykh un breyt.
‫ ֿפון בלוט איז זי רויט‬,‫זי ֿפלאַ טערט ֿפון צאָ רן‬ Zi flatert fun tsorn, fun blut iz zi royt!
‫ אויף לעבן און טויט‬,‫ אַ שֿבועה‬,‫אַ שֿבועה‬ A shvue, a shvue, af lebn un toyt.

Fratelli e sorelle in lotta e in catene


Dispersi ovunque in terre lontane
Insieme, insieme! Ecco la bandiera
Sventola con rabbia, il sangue la colora

A questo giuramento impegnamo la vita

Il cielo e la terra udiranno il nostro nome


Le stelle saranno il nostro testimone
Il nostro sangue, e le lacrime impegnamo
Giuriamo, giuriamo, giuriamo

Al Bund giuriamo eterna fedeltà


Soltanto il Bund ci darà la libertà
Ecco la bandiera, è alta e distante
Sventola con rabbia, rossa di sangue

A questo giuramento impegnamo la vita

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indice

nota introduttiva e cronologia………………………………….………………………..p.6

attivisti del Bund…………………………………………………………………………..p.10

principali partiti e sigle di riferimento………………………………………………...p.12

fonti in inglese e italiano……………………………………………………………...…p.12

1. GLI ANNI DELLA REAZIONE ZARISTA (1906 – 13)………………………………p.14


Declino e riorganizzazione dopo il 1905 / La riunificazione del POSDR / La questione nazionale
tra il 1906 e il 1913 / 1912: nuova scissione nel POSDR

2. IL BUND E LA PRIMA GUERRA MONDIALE………………………………………p.18


Lo scoppio della guerra e il tradimento della Seconda Internazionale / L’opposizione del Bund
alla guerra / Militarizzazione della Zona e deportazioni degli ebrei / L’occupazione tedesca della
Polonia / L’antisemitismo dei nazionalisti polacchi / Attività del Bund polacco sotto l’occupazione

3. LA RIVOLUZIONE DEL MARZO 1917……………………………………………….p.25


Il mondo ebraico e la Rivoluzione di marzo / Risveglio dei partiti ebraici / Il Bund e la
Rivoluzione di marzo / Gli Unitari, il Bund e l’ascesa bolscevica

4. I BOLSCEVICHI PRENDONO IL POTERE………………………………………….p.35


L’insurrezione bolscevica e le reazioni nel Bund / “Correggere o rovesciare” i bolscevichi?
Tentativi di governo di coalizione / Lo scioglimento dell’Assemblea Costituente

5. LA CREAZIONE DEL COMMISSARIATO EBRAICO E DELLE EVSEKTSIIA…p.42


Gli ebrei bolscevichi prima del 1917 / Gli ebrei e il governo bolscevico / Nascita dell’Evkom e
delle Evsektsiia / Alla ricerca di uomini e strutture / I rapporti con i comitati di partito

6. IL BUND E LA GUERRA CIVILE IN RUSSIA (1918 – 1920)……………………...p.51


Il Bund e il potere bolscevico nel 1918 / Ucraina: guerra civile e pogrom / La scissione nel Bund
ucraino / Bundisti e bolscevichi in Bielorussia / La Conferenza di Gomel e la scissione del Bund
in Bielorussia

7. IL BUND IN POLONIA TRA INDIPENDENZA E RIVOLUZIONE (1918 – 1920)..p.63


La Conferenza di Lublino e il dibattito sull’Ottobre / La nascita della Polonia indipendente / Il
Bund e il Partito Comunista di Polonia / I soviet polacchi / Democrazia proletaria o dittatura
proletaria / Nascita del Comintern e Congresso di Cracovia / Il Bund e la guerra russo – polacca

8. LA RESA DEI CONTI DEL 1921………………………………………………………p.73


La fine del Bund in Russia / Pochi bundisti passano alle Evsektsiia / Il Bund polacco e il
Comintern / Valutazione finale

9. IL BUND NELLA NUOVA POLONIA (1921 – 26)…………………………………..p.83


Repressione del governo nazionalista / L’unificazione dei sindacati / Le elezioni del 1922 / Il
Bund di Vilna si riunisce al Bund polacco / Il Terzo Congresso

10. L’ERA PILSUDSKI (1926 – 35)……………………………………………………...p.89


Il colpo di mano del 1926 / Elezioni del 1928: successo dell’alleanza Bund – PPS / 1930: nuovo
distacco dal PPS / Lo scontro con il KPP / Il contrasto con i sionisti / Ingresso del Bund
nell’Internazionale Socialista / La democrazia interna al Bund

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11. IL BUND SCONFIGGE IL NAZISMO POLACCO (1935 – 39)………………….p.102
La vittoria di Hitler in Germania / Il Bund polacco e le purghe staliniane / La Polonia dei
colonnelli: provvedimenti contro gli ebrei / Resistenza popolare allo squadrismo / Unità
socialista: lo sciopero dei contadini e nelle università / La collaborazione dei sionisti con gli
antisemiti polacchi / Vittorie elettorali del Bund

12. IL BUND NELLA POLONIA DELL’OLOCAUSTO……………………………….p.114


L’invasione nazista e la resa di Varsavia / Il Bund in clandestinità / La creazione degli Judenrat
e dei ghetti / La fine di Erlich e Alter per mano dell’URSS / Il Bund e il Governo polacco in Esilio
/ Sterminio, Resistenza e distruzione del ghetto di Varsavia / Le responsabilità degli Alleati e dei
sionisti nello sterminio degli ebrei

13. EPILOGO……………………………………………………………………………...p.125
L’ultima fase della guerra / Destino degli ebrei polacchi sopravvissuti / Lo scioglimento del Bund
polacco

Zona di Insediamento degli ebrei nell’Impero zarista, 1900 circa

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nota introduttiva
Dopo Il Bund ebraico in Russia dalle origini al 1905, è disponibile una ricerca sulle vicende del
principale partito del movimento operaio ebraico in Russia e Polonia dal 1905 alla Seconda Guerra
Mondiale, quindi attraverso la crisi rivoluzionaria del 1917 – 1921 e poi nell’epoca della lotta al
nazifascismo.
Nella prima metà del Novecento gli ebrei socialisti del Bund pagarono un prezzo carissimo di fronte al
nazismo e anche al totalitarismo instauratosi nell’URSS, ma il patrimonio di lotte teoriche e pratiche che
hanno lasciato merita di essere conosciuto e studiato, anche per orientarsi nel tempo presente.
Questo patrimonio può essere riassunto in quattro filoni principali: opposizione al sionismo;
opposizione al nazifascismo; autonomia nazional culturale del popoli; rivoluzione socialista
internazionale.

cronologia essenziale
1906
Controrivoluzione zarista in Russia. Il Bund ritorna in clandestinità e si riunifica al Partito Operaio Social
Democratico Russo di Lenin e Martov. Nel marzo si tiene la Settima Conferenza del Bund. Nell’agosto a
Lvov si tiene il Settimo Congresso del Bund.

1910
Ottava Conferenza del Bund.

1912
Nuova scissione nel POSDR, a livello centrale i bolscevichi e i menscevichi si separano definitivamente. Il
Bund è vicino politicamente e organizzativamente alle posizioni mensceviche. Si tiene la Nona Conferenza
del Bund.

1914
Agosto. Scoppia la Prima guerra mondiale. I principali partiti dell’Internazionale Socialista tradiscono la linea
dell’opposizione alla guerra.
Novembre. Nella prospettiva di un’occupazione tedesca della Polonia e quindi di una divisione della Zona di
Residenza degli ebrei nell’Impero zarista, i bundisti polacchi decidono di costituire un Comitato Centrale
separato.

1915
L’esercito zarista si ritira dalla Polonia, che viene occupata dai tedeschi, e organizza la deportazione di
600.000 ebrei dalla zona del fronte verso l’interno della Russia, per timore di disfattismo e opposizione alla
guerra.

1917
Marzo. Stremata da due anni e mezzo di guerra, la popolazione russa insorge a Pietrogrado e in altre città, e
in pochi giorni rovescia il regime zarista, vecchio di tre secoli. Si forma un dualismo di potere tra un governo
provvisorio a direzione borghese e i soviet degli operai, dei soldati e dei contadini. Il Bund russo prende
parte ai soviet.
Aprile - Maggio. Nella prospettiva di un’estensione della Rivoluzione, il Bund nella propria Decima
Conferenza decide la costituzione di un nuovo Comitato Centrale unitario.
Novembre. I bolscevichi prendono il potere a Pietrogrado. Il Bund si divide sui pro e contro dell’insurrezione,
ma in generale è contrario al monopolio del potere bolscevico e appoggia i tentativi di creazione di un
governo di coalizione socialista.
Dicembre. Ottavo Congresso del Bund unitario a Pietrogrado e Prima Conferenza del Bund polacco a
Lublino.
16 dicembre. Nasce il Partito Comunista di Polonia (KPP).

1918
Gennaio. Il partito bolscevico decide di creare un Commissariato agli Affari Ebraici (Evkom) e di attirare in
quell’ambito i militanti del Bund.

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Lo scioglimento dell’Assemblea Costituente, la capitolazione di Brest-Litovsk e la politica bolscevica verso i
contadini sono tra i fattori dello scoppio della guerra civile in Russia. Il Bund si divide sull’appoggio al regime,
in generale è contrario al bolscevismo ma l’antisemitismo delle fazioni reazionarie spinge in molti casi gli
ebrei a sostenere l’Armata Rossa.
Agosto. I bolscevichi decidono di istituire delle Sezioni Ebraiche del partito comunista (Evsektsiia), per
svuotare e liquidare progressivamente il Bund.
9 novembre. Il Kaiser tedesco abdica. Per due mesi pare che la Germania possa ripetere la Rivoluzione
russa, ma il 15 gennaio 1919 i capi rivoluzionari Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht vengono assassinati dal
governo provvisorio socialdemocratico.
12 novembre. La Polonia dichiara l’indipendenza, con il Maresciallo Pilsudski come Presidente provvisorio.
Dicembre. Seconda Conferenza del Bund polacco.

1919
Gennaio. A Mosca nasce la Terza Internazionale (Internazionale Comunista o Comintern), centro di
attrazione dei partiti socialisti nel mondo e per promuovere una rivoluzione internazionale di stampo
bolscevico.
In Polonia la divisione tra parlamentaristi e non fa sì che il Bund non partecipi alle prime elezioni libere per il
Parlamento (Dieta).
Febbraio. Il Bund ucraino si divide sulla questione dell’ingresso nel Comintern.
Marzo. Undicesima Conferenza del Bund a Minsk, per poco evitata la scissione.
Aprile. Terza Conferenza del Bund polacco.

1920
Aprile. La Dodicesima Conferenza del Bund a Gomel dopo un drammatico dibattito si divide sulla questione
del sostegno al governo sovietico.
A Cracovia si tiene il Primo Congresso del Bund polacco unificato, nato dalla fusione del Bund polacco
con il Partito Social Democratico Ebraico di Galizia, regione dell’Impero austro-ungarico acquisita dalla
Polonia dopo la guerra.
Inizia la guerra tra Polonia e Russia, coi nazionalisti polacchi che cercano di espandersi a spese del
nascente stato sovietico. Il Bund polacco paga duramente la propria opposizione alla guerra.
Luglio. Il Secondo Congresso del Comintern approva i 21 punti come condizione per l’adesione alla Terza
Internazionale. L’accettazione dei 21 punti significherebbe di fatto la sparizione del Bund come partito del
proletariato ebraico.

1921
Marzo. La Tredicesima Conferenza del Bund a Minsk accetta i 21 punti, segnando il dissolvimento
dell’organizzazione in Russia, che confluisce nel Partito Comunista (solo il 10% circa dei bundisti però farà
questo passaggio). Nel contempo il massacro di Kronstadt, la liquidazione dei partiti socialisti e l’abolizione
del frazionismo segnano l’instaurazione di una vera e propria dittatura bolscevica. Alcuni bundisti dissidenti
formano un “Bund socialdemocratico” che avrà breve vita.
La pace di Riga segna la fine della guerra russo – polacca. Parte della Lituania (tra cui la città di Vilna) e
della Bielorussia diventano territorio polacco.
Dicembre. Il Secondo Congresso del Bund polacco a Danzica decide di non accettare i 21 punti, pur
aderendo politicamente alle posizioni del Comintern. Il Bund polacco rimane integro come organizzazione,
riuscendo persino a evitare la scissione su questo tema.

1922
Elezioni della Dieta polacca. I partiti di sinistra si presentano divisi ed escono sconfitti. A livello sindacale le
organizzazioni ebraiche e polacche si uniscono in un’unica federazione per far fronte alla repressione
governativa.

1923
Il Bund di Vilna, città culla e roccaforte dell’organizzazione sin dal 1897, si unisce al Bund polacco.

1924
Dicembre. Terzo Congresso del Bund polacco a Varsavia. Viene approvata una mozione per un tentativo
di riunificazione tra il Comintern e l’Internazionale Socialista.

1926
Maggio. Colpo di stato del Maresciallo Pilsudski, sostenuto dal proletariato polacco e dal Bund. Di lì a poco
però il governo mostrerà un volto antipopolare.

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1928
Elezioni politiche, le ultime libere in Polonia. L’alleanza Bund – PPS – Wyzwolenie ottiene un buon risultato.
Il KPP inaugura la linea della lotta al “socialfascismo” e fa una guerra aperta al Bund, favorendo di fatto i
partiti di destra. Altrettanto accade in Germania: SPD e KPD con l’ascesa dei nazisti.

1930
Quarto Congresso del Bund polacco a Varsavia. Si discute animatamente l’eventuale ingresso
nell’Internazionale Socialista, sollecitato anche dal PPS.
Novembre. Nuove elezioni politiche. Questa volta il Bund e il PPS non corrono alleati e arretrano rispetto al
1928.

1931
Il Quinto Congresso del Bund polacco nel 1930 a Lodz delibera l’ingresso del Bund nell’Internazionale
Socialista, come parte di una minoranza di partiti rivoluzionari.

1933
Marzo. Vittoria di Hitler in Germania.

1934
Dicembre. L’uccisione del membro del Politburo Kirov genera come risposta l’ondata di terrore che culminerà
con le purghe staliniane del 1937 - 39. In Polonia il Bund si distanzia completamente dalla deriva autoritaria
sovietica.

1935
Il Maresciallo Pilsudski muore, non prima di avere introdotto modifiche alla Costituzione nel senso della
diminuzione dei poteri del Parlamento. I suoi successori, colonnelli dell’esercito, indicono elezioni con una
legge elettorale truffa. I partiti socialisti tra cui il Bund boicottano le elezioni di luglio.

1936
17 marzo. In seguito a un pogrom a Prytzyk il Bund proclama uno sciopero generale contro l’antisemitismo,
e ottiene una risposta di massa da parte dei lavoratori ebrei e anche polacchi.
Il Bund decide si presenta alle elezioni delle comunità ebraiche, prendendo un numero molto consistente di
voti.

1937
Agosto. Sciopero generale dei contadini polacchi, sostenuto dal Bund e dai socialisti.

1938
Novembre. Nuove elezioni politiche, boicottate dalla sinistra a causa della legge elettorale truffa.
Dicembre. Il Bund e i socialisti polacchi si presentano entrambi alle elezioni municipali e in molte città
ottengono la maggioranza, tra cui Varsavia, Lodz, Lvov, Piotrkow, Cracovia, Bialystok, Grodno, Vilna.

1939
23 agosto. Patto di non aggressione tra Germania e URSS, con tacita spartizione della Polonia.
1 settembre. La Germania invade la Polonia. Il governo polacco decide di abbandonare Varsavia, ma i
socialisti convincono l’amministrazione locale a chiamare alla resistenza la popolazione.
27 settembre. Resa di Varsavia dopo tre settimane di assedio.
4 ottobre. I tedeschi ordinano l’istituzione dello Judenrat, il Consiglio ebraico, per amministrare la
popolazione ebraica di Varsavia. Il delegato bundista Shmuel Zygielboym riesce a far sì che lo Judenrat
respinga il primo ordine di creazione del ghetto. Ricercato dalla Gestapo, ripara in Belgio.
Henryk Erlich e Viktor Alter, dirigenti bundisti riparati a est durante l’assedio di Varsavia, vengono arrestati
dall’NKVD sovietica e trasferiti a Mosca.

1940
Novembre. Viene completata la costruzione del ghetto di Varsavia e inizia il trasferimento della popolazione,
che arriverà a superare le 400.000 unità.

1941
Giugno. I tedeschi danno inizio all’Operazione Barbarossa, sottraendo all’URSS tutta la Polonia e invadendo
il territorio sovietico.

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Luglio. Erlich e Alter vengono condannati a morte, poco dopo amnistiati e chiamati a collaborare per la
creazione di un fronte antifascista ebraico internazionale. Manifestano subito divergenze sulle modalità di
organizzazione del fronte, e dopo poco tempo spariscono.

1942
Gennaio. Giungono a Varsavia le prime notizie sugli stermini di massa di ebrei nel campo di Chelmno,
aperto nel dicembre 1941. Le organizzazioni ebraiche discutono la necessità di una resistenza armata ma
non giungono alla decisione di costituire un’organismo comune.
18 aprile. Nella notte e nei giorni successivi i tedeschi rastrellano casa per casa e uccidono decine di attivisti
e propagandisti politici.
Il Parlamento polacco in Esilio delibera di inserire un delegato del Bund nei propri ranghi, in considerazione
della parte svolta nella resistenza clandestina. Il Bund sceglie Shmuel Zygielboym.
22 luglio. Gli abitanti del ghetto di Varsavia sono circa 380.000. Inizia la Grosse Aktion: i tedeschi impongono
allo Judenrat di pubblicare l’ordine di deportazione a est per tutti gli ebrei che non lavorano nelle fabbriche
tedesche o non sono impiegati nel Consiglio ebraico. Lo Judenrat obbedisce. ll suo presidente Adam
Czerniakow si suicida. Fino alla fine di settembre verranno deportate circa 300.000 persone.
20 ottobre. In una riunione congiunta delle organizzazioni ebraiche viene decisa la resistenza armata, e
istituito uno stato maggiore della Żydowska Organizacja Bojowa (ŻOB, Organizzazione Ebraica di
Combattimento). Comandante Mordechai Anielewicz, di Hashomer Hatzair, movimento giovanile sionista
laburista. Marek Edelman delegato del Bund.

1943
18 gennaio. I tedeschi accerchiano e bloccano il ghetto per iniziare la liquidazione finale, ma incontrano la
resistenza armata della ZOB. Gli ebrei nel ghetto sono circa 60.000.
23 febbraio. Il ministero degli Esteri sovietico informa il Governo polacco in Esilio che Erlich e Alter sono stati
giustiziati dall’URSS oltre un anno prima.
19 aprile. Il nuovo comandante SS Jurgen Stroop ordina l’assalto decisivo tedesco al ghetto con carri armati,
artiglieria e 2.000 SS. La resistenza durerà per tre settimane e sarà sopraffatta solo attraverso l’incendio
quasi totale del ghetto da parte dei tedeschi.
8 maggio. Il quartier generale della ZOB è assediato dai tedeschi, che invadono il bunker sotterraneo con
esplosivi e gas. Quasi tutti i combattenti della ZOB presenti muoiono o si tolgono la vita. Tra essi Mordechai
Anielewicz. Alcuni riescono a fuggire.
11 maggio. A Londra Shmuel Zygelboym si suicida per protesta contro l’indifferenza alleata verso quanto
accaduto a Varsavia.

1944
Giugno. L’URSS dà il via alla Operazione Bagration, per liberare la Polonia e l’Europa orientale
dall’occupazione tedesca.
22 luglio. Nelle aree polacche già liberate viene proclamata la costituzione di un Comitato polacco di
Liberazione Nazionale filo-sovietico (il cosiddetto Governo di Lublino).
1 agosto. L’Esercito Nazionale fedele al Governo in Esilio a Londra lancia l’insurrezione della città di
Varsavia, che viene schiacciata due mesi dopo per gli insufficienti aiuti degli Alleati.

1945
Primavera. La fine della guerra lascia una Polonia devastata dalle perdite umane e materiali (-20% della
popolazione totale rispetto al 1939). Faticosamente, i pochi ebrei sopravvissuti cercano di ricostruire le loro
comunità, ma devono far fronte al riaffiorare dell’antisemitismo polacco e alle manovre dei sionisti per
promuovere il trasferimento degli sfollati in Palestina.

1946
1 giugno. A Camp Feldafing, in Germania, si riunisce una conferenza di 150 bundisti, che discute la
riorganizzazione dell’attività, sia tra i sopravvissuti dei campi che tra coloro che stanno rientrando nelle città.
2 luglio. Pogrom a Kielce: 42 ebrei perdono la vita, e nei tre mesi successivi 100.000 lasceranno la Polonia,
per emigrare verso altre parti del mondo.

1947
Elezioni legislative in una Polonia di fatto controllata dall’URSS. Il blocco costruito intorno al Partito Operaio
Polacco prende l’80% dei consensi.

1948
I partiti socialisti polacchi, tra cui il PPS, confluiscono nel Partito Operaio Polacco Unificato (PZPR).

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1949
16 gennaio. I bundisti polacchi riuniti in congresso a Wroclaw decidono di sciogliere l’organizzazione e di
confluire nel PZPR.

attivisti del Bund


Raphael Abramovich (1880 – 1963). Membro del Soviet di Pietrogrado nel 1905, candidato del POSDR alla
Seconda Duma nel 1906. Esiliato nel 1910, fuggì dall’esilio e riparò in Europa. Ritornò in Russia nel 1917
come esponente del Bund e dei menscevichi internazionalisti. Nel 1920 con la dittatura bolscevica si trasferì
a Berlino, collaborando all’organo menscevico Sotsialisticheskii Vestnik fondato da Martov. Dal 1940 si
trasferì negli USA.

Victor Alter (1890 – 1941). Nato a Varsavia, laureatosi in ingegneria in Belgio, arrestato dalla polizia zarista
ed esiliato in Siberia. Dal 1917 nel Comitato Centrale del Bund e dal 1918 tra i massimi dirigenti del Bund
polacco, soprattutto nel campo sindacale. Incarcerato dai sovietici nel 1939, assassinato in una galera
staliniana nel 1941.

Abraham Blum (1905 – 1943). Nato a Vilna, laureato in ingegneria si trasferì a Varsavia. Fu attivista
comunista e in seguito militante del Bund. Nel 1939 diresse la resistenza all’assedio tedesco di Varsavia e
poi il movimento clandestino nella città e nel ghetto. Leader spirituale della rivolta del 1943, catturato e
ucciso dai nazisti pochi giorni dopo la fuga dal ghetto.

Joseph Chmurner (1884 – 1935). Vero nome Joseph Lestschinskij, fratello del celebre sociologo Jacob
Lestschinskij. Sionista territorialista, nel 1917 membro dei Faraignite e dagli anni ’20 del Bund. Guidò la
fazione pro-Comintern dopo Minc.

Marek Edelman (1919 – 2009). Sin da giovanissimo militante nei gruppi giovanili del Bund, fu uno dei
comandanti della rivolta del ghetto di Varsavia. Partecipò all’insurrezione della città nel 1944. Dal 1946 si
trasferì a Lodz e divenne un noto cardiologo.

Henryk Erlich (1882 – 1941). Nel 1917 membro dell’Esecutivo del Soviet di Pietrogrado, poi del Consiglio
comunale di Varsavia. Principale dirigente del Bund polacco negli anni ’20 e ’30, dal 1931 membro
dell’Esecutivo dell’Internazionale Socialista. Incarcerato dai sovietici nel 1939, assassinato in una galera
staliniana nel 1941.

Leon Feiner (1885 – 1945). Nato a Cracovia. Avvocato, attivista nel Bund tra le due guerre. Nel 1939 fu
arrestato dai sovietici e tenuto in prigione per lungo tempo. Liberato nel 1941, rientrò a Varsavia per
partecipare al movimento clandestino. Vivendo nella “parte ariana” della città tenne i contatti tra il ghetto e la
resistenza polacca. Morì di cancro a Lublino nel 1945.

Esther Frumkin (1880 – 1943). Nata a Minsk, si unì al Bund nel 1901. Dopo il 1905 divenne una delle
principali esponenti dell’organizzazione, fautrice dello sviluppo delle scuole in lingua yiddish. Nel 1917 entrò
nel Comitato Centrale, nel 1921 con la liquidazione del Bund russo passò nelle Evsektsiia. Coinvolta nelle
purghe staliniane del 1936 – 38. fu condannata a otto anni di lavori forzati e morì nel 1943 nel gulag di
Karaganda.

Bernard Goldstein (1889 – 1959). Attivista sindacale e dirigente del Bund polacco. Responsabile delle
squadre di autodifesa tra le due guerre, diresse la lotta armata nel ghetto di Varsavia nel 1942-43 e
partecipò all’insurrezione della città nel 1944.

Benjamin Kheifetz. Bundista ucraino, aderì al bolscevismo fin dal 1917.

Mark Liber (1880 – 1937). Vero nome Mikhel Goldman. Nel Comitato Centrale dall’ottobre 1905, membro
del Soviet di Pietrogrado, rappresentante del Bund nel POSDR dall’agosto 1906. Arrestato ed esiliato due
volte, rientrò in Russia nel 1917 divenendo membro del Soviet di Pietrogrado e sostenitore del Governo
Provvisorio. Attivo nella fazione menscevica clandestina negli anni 1922 – 23, in seguito arrestato e
giustiziato dalle autorità sovietiche.

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David Lipetz (1886 – 1937). Bundista dal 1902, nel 1913 si trasferì a New York per raccogliere fondi per
l’organizzazione. Nel 1917 rientrò in Russia per partecipare alla rivoluzione. Dal 1919 nel partito bolscevico e
poi membro dell’Esecutivo del Comintern. Fucilato durante le purghe staliniane.

A. Litvak (1874 – 1932). Vero nome Chaim Helfand. Attivista e pubblicista del Bund fin dai primi anni.
Arrestato nel 1907, si trasferì in Europa e poi negli USA. Rientrò in Russia nel 1917 e riprese l’attività
editoriale per il Bund, in particolare nella parte meridionale del paese. Dal 1925 si trasferì definitivamente
negli USA.

Vladimir Medem (1879 – 1923). Uno dei principali esponenti della “seconda generazione” del Bund, guidò
ideologicamente l’organizzazione a partire dall’inizio del Novecento. Fautore della linea dell’unità tra le
fazioni del POSDR. Scrisse molto sulla questione nazionale ebraica. Durante la guerra diresse il Bund nella
Polonia occupata dai tedeschi. Nel 1921 in aperta opposizione al bolscevismo si trasferì negli USA, ove morì
poco tempo dopo.

Bainish Mikhalevich (1876 – 1928). Vero nome Joseph Izbitzky. Arrestato ed esiliato nel 1905, riuscì a
fuggire e a rientrare in Russia. Delegato al Congresso del POSDR a Londra nel 1907. Attivo a Vilna fino al
1917 e poi nel Bund polacco.

Pinkus Minc (1895 – 1962). Dirigente del Bund polacco nei primi anni ’20, guidò la fazione pro-Comintern.
Espulso dal Bund, vi rientrò alla fine degli anni ’30, e collaborò poi con la Quarta Internazionale.

Maurycy Orzech (1897 – 1943). Dal 1907 nel Bund. Giornalista, attivista sindacale, proprietario di un’attività
tessile con la quale finanziava i giornali del partito. Redattore dei giornali clandestini nel ghetto di Varsavia e
dirigente della Resistenza. Ucciso dai nazisti nell’agosto 1943.

Noah Portnoy (1872 – 1941). Vero nome Yekutiel Portnoy. Responsabile organizzativo del Bund in Russia
negli anni dal 1900 al 1905. Arrestato nel 1905 e poi rilasciato, continuò a svolgere ruoli direttivi. Dal 1914
operò per il Bund nella Polonia occupata dai tedeschi, e in seguito divenne presidente del Comitato Centrale
del Bund polacco. Nel 1941 via URSS e Giappone riparò negli USA, ove morì poco dopo.

Moshe Rafes (1883 – 1942). Si unì al Bund di Vilna nel 1902, e fu delegato al Congresso del POSDR del
1907 a Londra. Defensista durante la Grande Guerra, nel 1917 partecipò alla Rivoluzione a Pietrogrado e
poi in Ucraina. Passò bruscamente dall’opposizione al bolscevismo all’appoggio al partito di Lenin,
lavorando nell’Armata Rossa e anche nei servizi segreti sovietici. Arrestato nel 1938 e condannato a 10 anni
di lavori forzati, morì nei gulag della Repubblica di Komi, regione autonoma nella Russia settentrionale.

Emanuel Sherer (1901 – 1977). Nato a Cracovia, dirigente dei gruppi giovanili del Bund, dal 1930 a
Varsavia, dal 1935 nel Comitato Centrale del Bund. Nel 1939 riparò a Vilna e poi a New York. Nel 1942
sostituì Zygielboym nel Parlamento polacco in Esilio.

Victor Shulman (1876 – 1951). Vero nome Israel Shadovsky. Lavorò per il Comitato Centrale. Arrestato ed
esiliato più volte, riparò all’estero dal 1909. Nel 1914 ritornò a Varsavia, e dopo la guerra fu dirigente del
Bund in Polonia. Riparò negli USA nel 1941.

Rakhmiel Veinshtain (1877 – 1938). Nato a Vilna, membro del Bund fin dai primi anni. Presidente del
Comitato Centrale del Bund nel 1917 e dirigente del Bund bielorusso, dopo la liquidazione del 1921 passò
nelle Evsektsiia e divenne alto dirigente del Partito Comunista Bielorusso. Arrestato durante le purghe del
1938, si suicidò in prigione.

David Zaslavsky (1879 – 1965). Redattore e oratore del Bund. Partecipò alla Rivoluzione del 1905. Nel
1917 fu eletto al Soviet di Pietrogrado. Nel 1925 aderì al Partito Comunista Russo.

Shmuel Zygielboym (1895 – 1943). Nato nel villaggio polacco di Borowitza, nel 1917 delegato di Chelmno
alla Conferenza del Bund polacco a Lublino, dal 1924 nel Comitato Centrale. Nel 1939 si oppose al
creazione del ghetto di Varsavia da parte della Gestapo, e dovette lasciare la Polonia. Diventò delegato del
Bund presso il Parlamento polacco in Esilio. Si uccise l’11 maggio 1943 per protesta contro l’indifferenza
degli Alleati verso le vittime dello sterminio.

11
principali partiti e sigle di riferimento
PARTITI SOCIALISTI

Partito Operaio Social Democratico pan-Russo (POSDR). Formato nel 1898 dal Bund insieme ad altri
raggruppamenti. Nel 1903 il Bund viene estromesso e il POSDR si divide nelle correnti bolscevica e
menscevica. Nel 1907 il Bund vi rientra e si avvicina alla corrente menscevica. Dal 1917 la corrente
bolscevica prende il potere in Russia e diventa il Partito Comunista Russo (PCR).

Partito Socialista Polacco (PPS, Polska Partija Socialistyczna). Fondato nel 1892, di orientamento
socialista nazionale. Dal 1906 si divide in PPS Frazione Rivoluzionaria, per l’indipendenza della Polonia, e in
Sinistra (Lewica), di orientamento più internazionalista.

Partito Social Democratico Polacco. Abbreviato PSD (Polska Socjal Democracja). Nel dicembre 1917 si
fonde con la Lewica per formare il Partito Comunista Polacco (Komunistyczna Partia Polski, KPP). Il KPP
viene sciolto dall’URSS nel 1938 con l’accusa di trotzkismo.

Partito Operaio Socialista Unitario Ebraico (UJSWP), abbreviato Unitari (Faraignite) formatosi nel
maggio 1917 dalla fusione dei Sionisti Socialisti e del Partito Operaio Socialista Ebraico (SERP). Nel 1921 si
scioglie nel PCR.

Partito Socialista Rivoluzionario (PSR). Nato nel 1901 dalla fusione di vari gruppi rivoluzionari, il più
grosso partito socialista russo dell’epoca zarista, di orientamento prevalentemente populista e contadino.

Wyzwolenie (Liberazione). Partito contadino polacco di sinistra, fondato nel 1915, in alcuni momenti alleato
del Bund e del PPS. Dal 1931 si fonde con altri partiti contadini e forma il Partito Popolare (Stronnictwo
Ludowe, SL).

PARTITI POLACCHI NON SOCIALISTI

Democrazia Nazionale (Narodowa Demokracja o ND, comunemente detti Endek). Movimento nazionalista
polacco di centro – destra, spesso incline all’antisemitismo.

Partito Nazional Radicale (Nara). Scissione degli Endek, dichiaratamente filofascista e antisemita.

Sanacja (Risanamento). Movimento politico non partitico in appoggio al Maresciallo Pilsudski.

Campo di Unità Nazionale (Obóz Zjednoczenia Narodowego, Ozon). Blocco non partito in appoggio al
regime dei colonnelli, formato nel 1937 da alcuni esponenti del Sanacja.

fonti in inglese e italiano


(per le fonti in russo, yiddish etc. si rimanda alle note a piè di pagina)

FONTI PRINCIPALI

Zvi Gitelman, Jewish Nationality and Soviet Politics. The Jewish Sections of the CPSU, 1917-1930, 1972

Bernhard Johnpoll, The General Jewish Workers Bund of Poland, 1917 – 43, 1967

ALTRE FONTI / TESTI CITATI

AA.VV., Inter-University Project on the History of the Menshevik Movement, 1960 – 62

AA.VV., Studies on Polish Jewry, 1919 – 1939, 1974

12
Salo Baron, The Russian Jews under Tsars and Soviets, 1964

Shabatei Beit-Zvi, Post-Ugandan Zionism During the Holocaust, 1977

Raymond Buell, Poland: Key to Europe, 1939

John Shelton Curtiss, The Russian Church and the Soviet State (1917 – 50), 1953

Marek Edelman, Il Ghetto Combatte, 1945

Henryk Erlich, The Struggle for Revolutionary Socialism, 1934

Jonathan Frankel, Gli ebrei russi tra socialismo e nazionalismo (1862 – 1917), 1981

Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979

Israel Getzler, Julij Martov: biografia politica di un socialdemocratico russo, 1967

Bernard Goldstein, The Stars Bear Witness, 1949

Yosef Grodzinsky, All’ombra dell’Olocausto, 1998

Elias Heifetz, The Slaughter of the Jews in the Ukraine in 1919, 1921

Vladimir Jabotinsky, Evacuation – Humanitarian Zionism, 1937

Jan Karski, Story of a Secret State, 1944

Lenin, Commenti critici sulla questione nazionale, 1913

Warren Lerner, Karl Radek: the Last Internationalist, 1970

Rosa Luxemburg, La Rivoluzione russa, 1918

Julij Martov, Il bolscevismo mondiale, 1919

Eliyahu Matzozky, The Response of American Jewry and Its Representative Organizations to Mass Killing of
Jews in Europe, 1979

Pinkus Minc, The History of a False Illusion, 1954

John Reshetar jr., The Ukrainan Revolution, 1952

Simon Segal, The New Poland and the Jews, 1938

Leonard Shapiro, The Role of the Jews in the Russian Revolutionary Movement, 1961

Stalin, Il marxismo e la questione nazionale, 1913

Lev Trockij, La mia vita, 1930

Avraham Yarmolinsky, The Jews and Other Minority Nationalities Under the Soviets, 1928

13
1.
GLI ANNI DELLA REAZIONE ZARISTA
(1906 – 13)

Declino e riorganizzazione dopo il 1905. La Rivoluzione russa del 1905, della quale il
Bund fu uno dei protagonisti, raggiunse il proprio apice nell’ottobre di quell’anno, con la
pubblicazione del Manifesto col quale lo Zar concedeva alcune libertà costituzionali e un
Parlamento (Duma) apparentemente autonomo. La successiva fase dei soviet (ottobre – dicembre
1905) fu una fase di relativo declino, segnata dalla diminuzione degli scioperi e delle
manifestazioni e dal crescente rafforzamento della controrivoluzione. L’ultimo fuoco del 1905 fu la
rivolta di massa di Mosca del dicembre, repressa duramente dall’esercito.
Il 1906 si aprì con migliaia di arresti e deportazioni, mentre per i partiti socialisti si trattava di
decidere se utilizzare il neonato strumento parlamentare o cavalcare ancora l’onda delle proteste
di piazza.
Nell’aprile 1906, in occasione delle prime elezioni della Duma, il Bund, i bolscevichi e il
Partito Socialista Rivoluzionario optarono per il boicottaggio, mentre i menscevichi decisero di
partecipare al voto con propri candidati, ottenendo 17 seggi. Anche per questo al Quarto
Congresso del Partito Operaio Social Democratico Russo (POSDR), tenutosi poco dopo, Lenin e i
bolscevichi si schierarono per la riammissione del Bund nel partito, a quattro anni dalla scissione
del 1903. La Prima Duma fu poi sciolta dallo Zar il 21 luglio 1906 perché collocata troppo a sinistra,
e dall’elezione successiva anche il POSDR riunificato e gli altri partiti rivoluzionari, di fronte al
riflusso e alla pesante controrivoluzione, decisero di adottare la tattica parlamentare, per quanto
poco fruttifera.
Negli anni successivi, come gli altri partiti socialisti, il Bund declinò. Le tipografie dovettero
essere abbandonate, l’attività editoriale diminuì fortemente, e la maggior parte del tempo e del
lavoro organizzativo furono spesi nella raccolta fondi per gli scioperi, che continuavano in tutta la
Zona di Insediamento degli ebrei nell’Impero zarista. L’attività sindacale spinse il Bund a limitare la
propria attività politica per dedicarsi alle necessità economiche. Tra il 1909 e il 1910 il Bund guidò
agitazioni in dieci città, ma questi scioperi ebbero esiti negativi. I magri risultati fecero sì che nel
1910 vi fossero sindacati legali solamente in quattro città (Bialystok, Lodz, Vilna e Riga), e limitati
ai tipografi e ad altre professioni qualificate. In pochissime manifatture e fabbriche sorsero
sindacati illegali. All’epoca il numero totale degli iscritti ai sindacati del Bund fu valutato
dall’organizzazione stessa intorno ai 1.500.
L’Ottava Conferenza del Bund, nel 1910, espresse il grado del declino. I delegati
rappresentarono solamente 9 organizzazioni per complessivi 609 iscritti. In questo periodo la
maggiore presenza del Bund risultò concentrata in Polonia, mentre solo due città in Bielorussia,
una in Lituania e una in Lettonia furono rappresentate alla conferenza.

La riunificazione del POSDR. Alla luce dell’affinità emersa tra il Bund e i bolscevichi sulla
questione del boicottaggio della Duma, al Quarto Congresso del POSDR, riunitosi a Stoccolma
nella primavera 1906, la fazione di Lenin diede il contributo decisivo per il voto a favore della
riammissione del Bund nel partito1. Subito si trattò di dirimere le altre questioni che avevano
determinato la scissione del 1903. Perciò il Congresso approvò una risoluzione che diceva che “la
questione del programma nazionale rimane aperta, dal momento che non è stata rivista”,
consentendo di fatto al Bund di affermare il proprio principio dell’autonomia nazional culturale.
Vladimir Medem, invitato al Congresso, affermò che la posizione del Bund sulla questione
nazionale non era cambiata, e che “Noi entriamo nel partito per lottare…Il Bund non era, non è e
non sarà il traduttore in yiddish della socialdemocrazia russa. Il Bund è l’espressione organizzata e

1
I voti a favore furono 58, e di questi 41 di bolscevichi (tra cui Lenin e Stalin); 40 furono i contrari. Jonathan Frankel,
Gli ebrei russi tra socialismo e nazionalismo (1862 – 1917), 1981

14
consapevole delle istanze complessive della vita ebraica…Il programma nazionale del Bund non
può essere modificato da una direttiva dall’alto”2. D’altro canto il Bund, in nome di una
riunificazione sentita come urgente sotto i colpi della reazione zarista, rinunciò al diritto di essere
l’unico rappresentante del proletariato ebraico in Russia, altro punto che nel 1903 era stato
dirimente.
Al successivo Settimo Congresso del Bund, tenutosi nell’agosto del 1906 a Lvov, una
risoluzione che ratificava il rientro nel POSDR fu approvata a larga maggioranza (47 contro 20). Vi
fu comunque una consistente opposizione interna da parte di una fazione “dura”, mentre quella
“moderata” era per la riunificazione. Ad esempio il “duro” A. Litvak in difesa dell’indipendenza del
Bund ebbe a scrivere:

Solo un’organizzazione che affonda le proprie radici nelle…masse ebraiche, che vive la loro
vita, prova i loro stessi sentimenti…solo una simile organizzazione può aderire alla psicologia
delle masse ebraiche…può offrire una giusta risposta a tutte le domande che la vita stessa
degli ebrei suscita…Possiamo dire che (il POSDR) si sia conquistato il proletariato ebraico? No
e poi no!...Ha impedito al Bund di crescere? Di nuovo no! 3
In questi ultimi tre anni il partito russo non ha imparato niente…come prima, non riconosce al
Bund il diritto di esistere…Esso spera che sarà più facile eliminare il Bund, una volta
riammessolo nel partito.4

Anche se nel frangente specifico del 1906 furono i bolscevichi a volere la riammissione del
Bund, quest’ultimo nel corso degli anni si avvicinò alla fazione menscevica, e alcuni bundisti di
spicco, come Liber e Abramovich, divennero anche dirigenti menscevichi. Questo rapporto di
collaborazione si mantenne fino alla Rivoluzione del 1917.
All’epoca della riconciliazione il Bund contava circa 25.000 membri, e 55 delegati lo
rappresentarono al Quinto Congresso del POSDR, nel 1907.

La questione nazionale tra il 1906 e il 1913. In questo periodo di declino organizzativo,


l’attività teorica rimase per lo più preponderante, e una delle questioni maggiormente in
discussione fu come al solito quella nazionale. Su questo tema si riscontrò la perdurante disputa
tra i bundisti e l’ala nazionalista del Partito Socialista Polacco (PPS). I bundisti erano dubbiosi che
una Polonia indipendente avrebbe significato un miglioramento per le condizioni degli ebrei in
Polonia; gli eventi futuri avrebbero confermato la legittimità di tali dubbi. “La borghesia polacca…se
giunge al potere, intende opprimere le minoranze nazionali”5 affermò la dirigenza del Bund. La
risposta al problema nazionale per i bundisti non era in una Polonia libera, o in uno stato ebraico;
era nel riconoscimento dell’autonomia nazionale per le minoranze entro la Russia.
“Ci opponiamo fortemente per principio a tutte le Utopie territoriali” affermò l’Ottava
Conferenza. La risposta al problema ebraico era, dissero i bundisti, nel riconoscimento dell’yiddish
come lingua ufficiale in Russia, e nella garanzia di pieni diritti e autonomia culturale per tutte le
minoranze. “La sola garanzia per ogni cittadino di ricevere un’educazione è che la sua lingua
madre venga accettata ufficialmente, e che venga concessa l’autonomia nazional culturale”6. Ma
anche prima della concessione dell’autonomia culturale, il Bund voleva che a ciascuna minoranza
fosse garantita la possibilità di scuole nella rispettiva madrelingua, e ciò in particolare agli ebrei.
Inoltre, l’yiddish doveva essere riconosciuto a prescindere della collocazione geografica; ovunque
vi fossero ebrei, l’yiddish doveva essere una lingua ufficiale e legale.
Anche all’interno del POSDR il dibattito sulla questione nazionale riprese vigorosamente.
Medem per il Bund, Martov e Lenin tra i russi erano tra coloro che l’avevano maggiormente
animato sino ad allora, e negli anni dopo il 1905 nuovi protagonisti si aggiunsero. Uno di questi fu
Esther Frumkin, un’appassionata idealista e scrittrice di valore. Esther (così era nota nel Bund) si
fece conoscere nel 1906, e iniziò la sua complessa e tormentata odissea personale e ideologica
come oratrice, concentrandosi sui temi dell’educazione e della lingua yiddish.

2
Nashe Slovo, luglio 1906
3
Folkstseitung, 4 maggio 1906
4
Folkstseitung, 7 maggio 1906
5
Barikht fun der VIII Konferents fun Bund, 1910
6
ibidem

15
Stalin aveva ridicolizzato la richiesta del Bund di autonomia “per una nazione il cui futuro è
precluso e la cui esistenza deve ancora essere dimostrata”7. Esther non discusse l’esistenza o il
futuro della nazione, bensì si concentrò sulla coscienza nazionale. Il compito immediato del
movimento operaio ebraico era di rendere le masse consapevoli dei loro bisogni nazionali,
cosicchè potessero rivendicare i loro diritti nazionali. Secondo Esther ciò era molto legato alla lotta
di classe, poiché si contrapponeva alla concezione borghese dell’autonomia nazional culturale
come “un mezzo per separare gli ebrei nell’ottica di preservare una sorta di ‘giudaismo’ metafisico,
mentre per noi è un mezzo per soddisfare i bisogni delle masse”8. Nell’intellighenzia, e anche in
una parte delle masse ebraiche, la coscienza nazionale era molto debole, e “troppo spesso serve
come un vestito da mettere nei giorni di festa”. “Il compito del proletariato è di…mostrare al popolo
la via per combattere per il diritto alla lingua ebraica e alla scuola ebraica”. Il Bund doveva
sviluppare una cultura proletaria ebraica per le masse, che a loro volta l’avrebbero trasmessa
all’intellighenzia semi-assimilata. La lingua yiddish doveva essere usata nelle apposite scuole
ebraiche poiché era il legame con la storia ebraica passata, e ancorava le giovani generazioni a
quella storia. I bambini ebrei dovevano ricevere un’intensa educazione nazional-proletaria. Scrisse
Esther:

Quando parliamo di educazione in uno spirito proletario, non intendiamo che i giovani
debbano recitare parti del Programma di Erfurt al posto della Shemà9 o un capitolo del
Manifesto comunista al posto del Modeh Anì10…ma quando diciamo “educazione proletaria”
intendiamo che il marxismo non è soltanto un programma politico ma una concezione del
mondo…e in tale forma non è mai troppo prematura per un bambino proletario. Poiché ciò che
un bambino percepisce, in seguito lo comprenderà. 11

Ai bambini si doveva raccontare in yiddish delle sofferenze delle loro madri lavoratrici. Le
festività ebraiche dovevano essere trasformate in celebrazioni nazional-proletarie. Ostentando un
innegabile orgoglio nazionale, Esther affermò che “i bambini proletari di quella nazione che da
generazioni ha tramandato le profezie divine di Isaia - le spade verranno forgiate in vomeri12, e il
leone farà pace con l’agnello13 – i bambini proletari di quella nazione possono comprendere il
nostro ideale”14. Asili, biblioteche, corsi di lingua e letteratura, spettacoli, escursioni – tutto ciò
doveva essere incentivato per accrescere la coscienza nazionale dei figli del proletariato.
Organismi locali dediti all’autonomia nazional culturale dovevano essere istituiti secondo le
linee proposte dalla delegazione slava al Congresso di Brunn dei socialdemocratici austriaci, nel
1899. Una persona la cui lingua fosse riconosciuta a livello locale aveva il diritto di usare quella
lingua in ogni istituzione governativa e giudiziaria, e di vedersi rispondere in quella stessa lingua.
Esther non concordava con il neutralismo di Medem, e affermò che i dirigenti del
proletariato ebraico non dovevano rimanere passivamente in disparte, a osservare le forze
misteriose della storia mentre queste plasmavano le vicissitudini umane; essi dovevano giocare un
ruolo attivo nel promuovere la coscienza nazionale del proletariato e dell’intellighenzia.
Anche l’elezione degli amministratori cittadini dovevano svolgersi sulla base di una
rappresentanza proporzionale delle nazionalità. Se una particolare città aveva una popolazione
totale di 100.000 abitanti (40.000 ebrei, 30.000 polacchi, 20.000 bielorussi, e 10.000 russi), e
occorrevano dieci giudici, questi dovevano essere 4 ebrei, 3 polacchi, 2 bielorussi e un russo. Ciò
avrebbe evitato il sorgere di conflitti nazionali, perchè avrebbe definito a priori la rappresentanza
nazionale e la campagna elettorale non si sarebbe svolta all’insegna di slogan come “eleggi un
ebreo” o “eleggi un polacco”.

7
Stalin, Il marxismo e la questione nazionale, 1913
8
Esther Frumkin, Gleikhbarekhtigung fun shprakhn, 1911
9
Preghiera della liturgia ebraica.
10
“Io Ti ringrazio”, prime parole della preghiera del mattino.
11
Esther Frumkin, Vegn Natsionaler Ertsihung, 1909
12
“Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo,
non si eserciteranno più nell'arte della guerra”. (Libro di Isaia: 2,4)
13
“Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il piccolo leone
pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà”. (Libro di Isaia: 11, 6)
14
ibidem

16
Una delle ultime dispute dirette tra Lenin e il Bund sulla questione nazionale ebbe luogo nel
1913. Peisakh Liebman pubblicò un articolo su Tseit in cui affermò ancora una volta che il termine
“autodeterminazione” era troppo vago per avere un significato pregnante. “Quando la classe
operaia ebraica...ha iniziato a elaborare i contenuti concreti da inserire nel programma, i capi
teorici della socialdemocrazia russa si sono messi a gridare: nazionalismo!...Ogni tentativo di dare
un contenuto chiaro e concreto alla questione è stato accusato di essere un’eresia piccolo
borghese contraria ai dettami del marxismo”15. Liebman affermò che la cultura internazionale non
era una cultura “a-nazionale”, e che il lavoratore poteva essere partecipe della cultura
internazionale solo attraverso la propria cultura nazionale. Lenin ammise che ciò era vero ma
affermò che ogni nazione aveva una cultura borghese, e quest’ultima era quella dominante.
“Dunque la ‘cultura nazionale’ generalmente è la cultura dei possidenti, del clero, e della
borghesia”16. Ciononostante, Lenin aveva in parte modificato la propria posizione sulla questione
nazionale. Nel novembre 1913 egli si espresse specificamente a favore di un “ampio autogoverno
e autonomia per quelle regioni che dovrebbero essere delimitate tra le altre cose anche da criteri
nazionali. Tutte queste rivendicazioni sono legittime per ogni sincero democratico e a maggior
ragione per ogni socialista”17. Ciò non voleva dire l’accettazione dell’autonomia nazional culturale,
nè che gli ebrei avessero da guadagnare dalla nuova definizione di Lenin, dal momento che essi
non costituivano una popolazione compatta, che formasse una maggioranza in una qualsivoglia
regione. Inoltre, Lenin non fece concessioni sull’organizzazione del partito, mentre il Bund continuò
a insistere sulla propria autonomia e sul bisogno di ricostruire il POSDR su base federativa.

1912: nuova scissione nel POSDR. Nel 1912 si consumò un nuovo strappo all’interno del
POSDR. Nel gennaio Lenin convocò una Conferenza a Praga, nella quale la frazione bolscevica si
costituì in maniera definitiva come partito indipendente, con un proprio comitato centrale. In
risposta il Bund, una parte dei menscevichi, il gruppo di Trockij e altre organizzazioni
socialdemocratiche si riunirono a Vienna in agosto, e pur non arrivando a una strutturazione
formale in partito stabilirono delle linee guida comuni e un Comitato Organizzatore del POSDR
(menscevico) che agisse da comitato centrale. La Conferenza di Vienna assecondò la linea del
Bund approvando una risoluzione che diceva che “l’autonomia nazional culturale non è in
contrasto con la garanzia di autodeterminazione nazionale contenuta nel programma del partito”.
Sempre nel 1912 si svolse la Nona Conferenza del Bund, che approvò questo percorso e la
collaborazione coi menscevichi.
Nel novembre 1913 tre bolscevichi e un menscevico promossero la formazione del gruppo
dei mezarjontsy (conciliatori), con lo scopo di mantenere un ponte tra le fazioni bolscevica e
menscevica.

15
Tseit, settembre 1913
16
Lenin, Commenti critici sulla questione nazionale, 1913
17
ibidem

17
2.
IL BUND E LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Lo scoppio della guerra e il tradimento della Seconda Internazionale. Nell’ottobre del


1912, allorquando il Montenegro dichiarò guerra alla Turchia, il pericolo di un conflitto bellico su
scala mondiale si fece via via più imminente. Il Bureau della Seconda Internazionale convocò
d’urgenza un congresso straordinario a Basilea per il 24 e 25 novembre 1912. All’unanimità, i
delegati al congresso approvarono un manifesto, noto come Manifesto di Basilea, con il quale si
ribadiva la linea della “guerra alla guerra” e si denunciava il carattere interimperialistico del
conflitto. La risoluzione riaffermava la posizione di principio – già adottata nei precedenti congressi
– della lotta operaia contro la guerra. In particolare, riprendendo gli esempi della Comune di Parigi
dopo la guerra franco-prussiana e della rivoluzione russa del 1905 durante la guerra russo-
giapponese, proclamava ai governi, e lo faceva con un tono ultimativo, che il proletariato avrebbe
adottato tutti i mezzi a sua disposizione per evitare il conflitto, ma che nel caso la guerra fosse
comunque scoppiata il movimento operaio avrebbe utilizzato la crisi economica conseguente per
sollevare le masse e accelerare la caduta della dominazione capitalistica.
I tempi erano maturi per il precipitare degli eventi: in ogni imperialismo europeo il
militarismo era sempre più accentuato, e l’atmosfera era gravida di tensioni. La scintilla deflagrò il
28 giugno 1914, con l’attentato di Sarajevo in cui trovò la morte l’arciduca Francesco Ferdinando,
erede al trono dell’Impero austriaco. Nel luglio successivo l’impero austroungarico diede alla
Serbia un ultimatum concepito in modo tale da dover essere respinto, tanto era umiliante.
L’ultimatum venne rifiutato.
Il 29 luglio, quando le truppe austriache entrarono a Belgrado, i partiti della Seconda
Internazionale, rifacendosi al Manifesto di Basilea, organizzarono in Germania, in Austria, in Italia,
in Francia, in Belgio, enormi manifestazioni contro la guerra. Il Bureau, convocato d’urgenza lo
stesso giorno, licenziò la seguente risoluzione: “Fa obbligo ai proletari di tutte le nazioni interessate
non solo di proseguire, ma di intensificare le dimostrazioni contro la guerra, per la pace e il
regolamento arbitrale del conflitto austro-serbo. I proletari tedeschi e francesi faranno una
pressione più energica che mai sul loro governo, affinché la Germania eserciti sull’Austria
un’azione moderatrice e la Francia ottenga dalla Russia che non s’impegni nel conflitto […] Il
congresso, convocato d’urgenza a Parigi, sarà la vigorosa espressione di questa volontà pacifica
del proletariato mondiale”.
Il partito tedesco a sua volta pubblicò un manifesto con cui esigeva dal proprio governo che
non entrasse in guerra. Ma il successivo primo agosto la Germania, per nulla spaventata dalla
“intimazione” della socialdemocrazia, dichiarò guerra alla Russia. In Francia vennero organizzate
grandi manifestazioni operaie. Ma il governo francese, incurante delle dimostrazioni, diede un
sostanziale via libera allo zar per la mobilitazione delle sue truppe.
In quelle ore la socialdemocrazia tedesca giocò un ruolo pari al peso politico che aveva
nella Seconda Internazionale: avrebbe dovuto essere il partito trainante nella direzione della
rivoluzione, lo fu invece nella direzione opposta, quella della chiamata alle armi in difesa degli
interessi della propria borghesia. Il primo agosto il partito tedesco assicurò per bocca di uno dei
suoi dirigenti – Hermann Müller, inviato in Francia per concordare con la direzione e il gruppo
parlamentare del partito francese un’azione comune dei due partiti socialisti – che mai sarebbero
stati votati in parlamento i crediti di guerra. E invece, solo tre giorni dopo, il gruppo parlamentare
ne votò all’unanimità la concessione. Anche Karl Liebknecht, nella seduta parlamentare del 4
agosto, si adeguò per disciplina di partito e perché convinto di potersi battere all’interno del partito
per sconfiggere le posizioni maggioritarie; nella successiva sessione del 2 dicembre, invece, egli e
Otto Ruhle votarono contro la concessione di ulteriori crediti al governo.

L’opposizione del Bund alla guerra. Con l’incedere degli eventi, ai bundisti apparve
chiaro che la Zona di Insediamento degli ebrei sarebbe stata campo di battaglia tra la Russia e gli

18
Imperi centrali. La Zona si trovava sulla frontiera occidentale dell’Impero zarista, sulla direttrice di
un possibile attacco austro – tedesco. Non vi era dubbio che la popolazione ebraica della sua
porzione più a ovest (quella polacca) sarebbe stata separata dalla porzione ucraina, bielorussa e
forse lituana.
Il Comitato Centrale del Bund deliberò quindi di costituire un comitato separato per dirigere
l’attività in Polonia. Il Comitato delle Organizzazioni del Bund in Polonia si costituì nel novembre
del 1914 a Varsavia e inizialmente fu composto da quattro bundisti: Noah Portnoy, Victor Shulman,
Lazar Epstein e Z. Muskat. Il principale ideologo del Bund dell’epoca, Medem, era in carcere a
Varsavia; fu liberato alla metà del 1915, dopo la ritirata dei russi dalla città, e cooptato nel neonato
Comitato polacco. Nel 1915 fu cooptato anche David Meyer, dirigente dei sindacati bundisti a
Varsavia.
All’epoca vi erano cinque distinte organizzazioni socialiste in Polonia. Tre di queste erano
polacche: il PPS Frazione Rivoluzionaria, il PPS Lewica (Sinistra)18 e i socialdemocratici (SDKPiL,
per semplicità PSD). Le altre due erano ebraiche: il Bund e i sionisti socialisti di Poale Zion.
Il PPS, la più grande di queste organizzazioni, era in realtà più nazionalista che socialista. Il
suo dirigente storico, Josef Pilsudski, aveva formato un distaccamento polacco per combattere a
fianco dell’esercito austriaco contro la Russia, da lui considerata il peggior nemico della Polonia.
La Lewica era contraria all’indipendenza ma non prese una posizione chiara; ideologicamente era
vicina ai menscevichi russi di Martov e Dan. Il PSD si oppose all’indipendenza in quanto, affermò,
l’economia polacca non poteva essere separata da quella russa, e si espresse a favore
dell’autonomia entro uno stato russo federale e democratico.
Sin dal 1898 il Bund e il PPS erano entrati in una lunga contesa. Il Bund considerava il PPS
come un gruppo sciovinista, più interessato al nazionalismo polacco che al socialismo. I dirigenti
del Bund avevano sempre sostenuto che il PPS fosse socialista soltanto di nome, e che stesse
“conducendo i lavoratori nella trappola della politica nazionalista borghese”.
Date le circostanze, i bundisti cercarono di allearsi con i socialisti polacchi contrari alla
guerra, la Lewica e il PSD, coi quali formarono una Rada (Consiglio) a Varsavia. Le attività di
questa Rada socialista furono incentrate sull’opposizione alla guerra, e non andarono mai nella
direzione di fusioni o alleanze permanenti.
I tre partiti erano appunto uniti nell’opposizione alla guerra. Contrariamente al PPS essi
respinsero la tesi secondo la quale la Polonia, alleandosi con l’Austria, potesse approfittare della
guerra per ottenere la propria indipendenza. La guerra, affermarono, era un prodotto del
capitalismo e doveva essere avversata per una questione di principi socialisti. Ancor prima
dell’inizio delle ostilità la Rada fece invano appello per uno sciopero generale contro la
mobilitazione. “Abbasso la guerra! Abbasso lo zarismo!” - proclamò la Rada – “Viva la futura
repubblica democratica! Viva la Rivoluzione!”19.
Subito dopo la dichiarazione di guerra dello Zar agli Imperi centrali, l’alleanza diffuse un
appello alla rivoluzione socialista:

Il proletariato dichiara guerra al proprio governo e ai propri oppressori! Si avvicina l’ora della
rivoluzione proletaria! Si ode già la marcia rivoluzionaria della classe operaia, che va all’assalto
della fortezza dell’ordine capitalistico.
Il proletariato deve rimanere una forza indipendente rispetto al capitalismo e al governo. 20

Sebbene il Bund abbracciasse l’appello alla rivoluzione contro la guerra e il regime, non fu
disposto a sostenere le tesi leniniste della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile.
La sua posizione fu più affine a quella dei menscevichi internazionalisti, che assunsero una linea
pseudo-pacifista, chiedendo la fine della guerra e delle inevitabili uccisioni e sofferenze che
l’accompagnavano. I bundisti attribuirono la responsabilità della guerra al modo di produzione
capitalistico; ai disegni imperialisti dei governi borghesi; alle politiche coloniali perseguite su

18
Il PPS si divise nel 1906 in una “Frazione Rivoluzionaria”, maggioritaria, favorevole alla linea dell’indipendenza
della Polonia dall’Impero zarista, e una fazione contraria (come il Bund) alla linea dell’indipendenza, che prese il nome
di Lewica. Per semplicità d’ora in poi la denominazione PPS verrà attribuita soltanto alla frazione maggioritaria.
19
Oyfruf Vegn Der Mobilizatsie, appello congiunto di Lewica, Bund e PSD, luglio 1914
20
Nider mit del Milkhome! Zol Lebn der Sotsialism, agosto 1914

19
entrambi i lati. La risposta, secondo il Bund, doveva essere una “pace ‘operaia’ senza annessioni e
senza riparazioni”.

Militarizzazione della Zona e deportazioni degli ebrei. Sin dai primi giorni della guerra, i
generali dell’esercito russo iniziarono a diffondere un sentimento di ostilità nei confronti della
popolazione ebraica, accusata di complicità più o meno diretta con il nemico tedesco, nonostante
gli ebrei coscritti nelle armate zariste fossero comunque centinaia di migliaia. Facendo leva sui
poteri straordinari legati al tempo di guerra, l’esercito iniziò a deportare gli ebrei da città e villaggi, a
prenderli come ostaggi per assicurarsi la lealtà dei parenti o a limitarne i movimenti nelle aree più
vicine al fronte. Nel gennaio 1915 la Stavka, il quartier generale russo, emise un proclama che
formalizzava le accuse verso gli ebrei, senza fare distinzione tra i residenti nella Zona e i residenti
in Galizia, la porzione di Impero austro-ungarico conquistata nelle prime settimane di guerra
dall’esercito zarista con una vittoriosa e sanguinosa offensiva, che andava a compensare la
sconfitta di Tannenberg ad opera della Germania.
Come diretta conseguenza del proclama di gennaio, il comando russo fece alcuni tentativi
di deportare in massa la popolazione ebraica delle zone vicine al fronte, in particolare del
governatorato di Plock (una delle 10 province polacche) e della Galizia. Questi tentativi nel
complesso fallirono a causa della mancata coordinazione tra le autorità militari e civili, e a volte
anche per l’opposizione di queste ultime. Anzi, le operazioni non fecero che ostacolare e
disorganizzare le armate zariste nei cruciali mesi del 1915, creando i presupposti per l’avanzata
tedesca. La più consistente deportazione di massa fu attuata nel maggio 1915, con circa 200.000
ebrei espulsi dal governatorato di Kovno e dal Kurland, la regione a nord di esso.
Complessivamente, tra marzo e settembre furono circa 600.000 gli ebrei deportati verso est. A ciò
vanno aggiunti tutti coloro che decisero di fuggire volontariamente per evitare i combattimenti. Le
comunità ebraiche della Zona, dove il Bund era maggiormente radicato, furono sottoposte a
sofferenze e vessazioni di ogni tipo, mentre i confini della stessa oggettivamente si allentavano.
In giugno e luglio le armate zariste iniziarono la “Grande Ritirata” dalla Galizia e dalla
Polonia, lasciandosi andare a pogrom e ruberie nelle aree che abbandonavano, per fare altrettanto
in quelle più a est nelle quali si attestavano, in Bielorussia e Lituania. In agosto Varsavia fu
abbandonata a se stessa. La Rada socialista della città contribuì a formare una milizia popolare
che svolse compiti di polizia, ma si trattò di un’esperienza di breve durata, a causa delle divisioni e
soprattutto dell’arrivo dei tedeschi.

L’occupazione tedesca della Polonia. I tedeschi, che in patria da tempo avevano a che
fare con un forte partito socialdemocratico e un movimento sindacale, consentirono ai socialisti
polacchi una relativa libertà. L’antisemitismo non era una linea politica dello stato tedesco, e le
restrizioni zariste nei confronti degli ebrei vennero piuttosto allentate. I gruppi socialisti ed ebraici
formarono circoli culturali e politici. Il Bund approfittò della maggiore libertà di azione per dare una
spinta al proprio lavoro organizzativo, che portò alla formazione di più di 20 sindacati legali filo-
bundisti, alloggi e scuole per i bambini, cucine, sale da tè, cooperative di consumo e fornerie. La
cosa più importante dal punto di vista del Bund fu il permesso da parte dei tedeschi di riprendere le
pubblicazioni di Lebnsfragn, l’organo ufficiale del partito, che era stato vietato dal regime zarista
dopo la comparsa di un numero nel 1912.
L’editore di Lebnsfragn, Vladimir Medem, mostrò la propria gratitudine pubblicando un
editoriale che contraddiceva la posizione ufficiale del Bund; egli giustificò il sostegno della
socialdemocrazia tedesca alla guerra, e difese la scelta del gruppo parlamentare di votare i crediti
di guerra. Il partito tedesco doveva sostenere la guerra, scrisse Medem; dopotutto, era un partito
da 4 milioni di voti. Prendere un’altra posizione avrebbe significato, per un partito di quelle
dimensioni, supporto al nemico – che in tal caso significava supporto allo Zar. “Solo un piccolo
partito può essere neutrale…”. La mancata presa di posizione di un grande partito, scrisse,
avrebbe avuto serie conseguenze, “e queste spesso sono tragiche”21. Vi fu una crescente
vicinanza con il partito tedesco, che le forze occupanti a quanto pare incoraggiavano; dirigenti
dell’SPD si recarono in visita in Polonia, presso il Bund, e furono bene accolti.22

21
Lebnsfragn, 4 febbraio 1916
22
Lebnsfragn, 13 luglio 1916

20
Questo editoriale fu la sola occasione nella quale la posizione contro la guerra del Bund fu
messa in discussione. Durante l’occupazione, nessun altro articolo di tale natura apparve su
Lebnsfragn o altre pubblicazioni del Bund.
Tutti i partiti socialisti in Polonia – eccetto il PPS – trassero vantaggio dall’allentamento
della repressione per fare propaganda pacifista e contro la iniqua distribuzione degli
approvvigionamenti dall’estero. Le elezioni municipali vennero usate come occasione per la
propaganda del socialismo e della pace; i socialisti eletti nel consiglio cittadino elaborarono una
piattaforma per promuovere le proprie posizioni.
Vi era ben poco altro da fare. L’economia polacca era in uno stato di collasso totale; la
produzione manifatturiera era ferma; l’inflazione saliva a dismisura. La causa principale della
catastrofe economica fu la politica tedesca di spoliazione delle industrie polacche, o
distruggendole o trasferendole nel Reich. La Germania voleva che la Polonia diventasse agricola,
per supplire alle necessità di vettovagliamento dell’’Impero, e che fornisse manodopera per le
industrie tedesche. A tale scopo, 600.000 uomini e donne furono deportati in Germania a lavorare.
La disoccupazione di massa mise a portata di mano dei tedeschi forza lavoro a basso
costo. Coloro che non furono deportati in Germania furono costretti al lavoro forzato in aree
lontane, in particolare presso il Baltico ove “erano trattati come prigionieri” e svolgevano duri
compiti in condizioni estreme. Molti furono trasferiti in Lettonia o altri paesi lontani, per contribuire
alla costruzione di ferrovie per l’esercito tedesco. Le guardie picchiavano gli uomini con fruste e
bastoni; le baracche erano fredde e infestate da insetti; il cibo era scarso e di cattiva qualità. In
capo a sei mesi, quasi 10.000 forzati morirono di fame e stenti, ma nessun appello o protesta
furono sufficienti. Il lavoro forzato continuò fino alla fine della guerra.23
Tutta la Polonia soffriva, e la popolazione ebraica non faceva eccezione. Le donazioni, in
primo luogo dagli USA, fornirono il cibo necessario alla sopravvivenza della popolazione ebreo –
polacca. Gran parte di queste donazioni venivano distribuite da organizzazioni non socialiste, e il
resto dal Bund. Durante i primi tre mesi del 1917, per esempio, il Bund distribuì beni alimentari per
un valore di oltre 90.000 rubli. In questo ambito il Bund si rivelò più che un’organizzazione politica;
esso fu di fatto un organo della comunità ebraica, svolgendo un compito cui altrimenti nessuno
sarebbe riuscito ad adempiere.24
La questione dell’indipendenza polacca divenne cruciale alla fine del 1916, quando gli
Imperi centrali proposero la formazione di uno stato polacco fantoccio. Il Bund si oppose alla
formazione di una Polonia finta, la cui funzione primaria sarebbe stata assecondare gli obiettivi
militari di una potenza occupante.

Il proletariato ebraico consapevole si è opposto e battuto con forza contro le cosiddette


politiche nazionaliste di certi settori della borghesia polacca…ed ebraica, vedendo in esse un
tentativo di indebolire gli interessi di classe della masse popolari, e di usare i lavoratori per gli
interessi della classe borghese.
…Noi rifiutiamo qualunque tentativo di sancire il destino di una nazione senza l’approvazione o
contro la volontà del popolo.25

Tuttavia il Bund espresse quantomeno simpatia per una vera indipendenza polacca. Al
plenum del Soviet di Pietrogrado, nel giugno 1917, il rappresentante bundista Henrych Erlich, che
in seguito sarebbe divenuto dirigente del Bund polacco, propose una risoluzione a favore
dell’indipendenza polacca. Il Bund insistette però affinchè il destino della Polonia fosse deciso in
“elezioni libere, aperte e rappresentative”, e non da una potenza occupante26.
Il Bund sosteneva l’indipendenza polacca solo a condizione che prima di tutto fosse data
garanzia di protezione dei diritti delle minoranze nazionali. All’epoca vi erano almeno quattro
grandi minoranze etniche entro i confini della Polonia occupata: gli ucraini, gli ebrei, i bielorussi e i
tedeschi. Il 40% degli abitanti della Galizia erano ucraini. Il Bund ribadì che le minoranze, qualora

23
Memorandum del Bund alla Conferenza Socialista Internazionale del 1917 a Stoccolma
24
L’attività del Bund in questo ambito è descritta in dettaglio in un documento intitolato Barikht fun der Virtshafts
Komitet fun Idishe Arbeiter in Varshe, pubblicato nel 1917 e conservato nell’Archivio del Bund.
25
Tsvai Konferentzn, 1918
26
ibidem

21
fossero state incorporate in un qualunque nuovo stato polacco, avrebbero avuto diritto
all’uguaglianza e all’autonomia culturale.
Le divergenze tra il Bund e il PPS su questo tema impedirono ai due partiti di accordarsi,
anche su altre questioni minori. L’indipendenza polacca era alla base del programma del PPS, e
quest’ultimo non volle porre alcuna condizione per quanto riguardava le minoranze.27

L’antisemitismo dei nazionalisti polacchi. L’antisemitismo in Polonia aveva una base


economica, risultante dalla struttura sociale del paese. Sin dal Medioevo in Polonia gli ebrei
svolsero la funzione di classe mercantile, poiché la borghesia polacca non voleva avere a che fare
coi commerci, e poiché i contadini erano costretti a lavorare la terra per conto dei nobili. “Pur
disprezzandoli, sia il re che i nobili sostenevano gli ebrei, poiché costituivano un’importante fonte di
reddito e svolgevano le necessarie attività commerciali nel paese, soppiantando la borghesia. Gli
ebrei fungevano da intermediari tra i nobili e la borghesia…”28.
I tedeschi erano l’unico altro gruppo etnico nella classe mercantile in Polonia, e vedevano
gli ebrei come concorrenti. Casi locali di antisemitismo spesso furono dovuti a loro.
L’interesse polacco nel commercio si sviluppò alla metà del XIX secolo, e con esso
nacquero le prime forme di antisemitismo. Nel 1870 Jan Jelenski pubblicò un opuscolo, Gli ebrei, i
tedeschi e noi, che invocava la “nazionalizzazione del commercio e dell’industria”, nell’ottica di
“abolire il monopolio commerciale ebraico creatosi nei secoli”29.
Il primo movimento politico ostile agli ebrei prese forma nel 1897, con la costituzione del
Partito Nazionale Democratico (Endek, dalle iniziali ND). La sua ideologia originaria, sebbene
antisemita, dava il benvenuto come fratelli a quegli ebrei che si considerassero polacchi. Gli Endek
non rappresentarono un fattore significativo per l’antisemitismo polacco fino al 1912, quando la
maggior parte degli ebrei di Varsavia sostenne un candidato socialista alle elezioni alla Duma di
Pietrogrado, contribuendo alla sconfitta del candidato nazional democratico. Gli Endek reagirono
lanciando un boicottaggio dei negozi ebrei, e terrorizzarono i polacchi che non aderirono al
boicottaggio. Il boicottaggio fallì, ma fu la prima azione concreta anti-ebraica intrapresa da un
movimento politico30.
Roman Dmowski, leader degli Endek, riteneva che il destino dei polacchi dipendesse dalla
stretta collaborazione con lo Zar. Egli sostenne i russi durante la guerra, mentre il PPS di Pilsudski
si schierò con l’Austria. Durante la guerra Dmowski accusò gli ebrei di essere dalla parte dei
tedeschi, come di fatto essi erano, a causa del carattere antisemita del regime zarista.
David Lloyd George commentò: “In Russia, la sconfitta fu dovuta a un regime incompetente
e corrotto, ma la colpa venne attribuita ad altri fattori. Gli ebrei erano sempre a portata di mano
quando dei gentili incompetenti e corrotti facevano scelte disastrose per il paese”31. Accuse di
spionaggio e sabotaggio contro il regime zarista furono ricorrenti durante i primi anni di guerra.
Molti ebrei temevano che tali accuse avrebbero portato all’istigazione di pogrom da parte dei
funzionari zaristi per sviare le responsabilità della catastrofe militare, o da parte degli Endek per
sfruttare politicamente la situazione.
Il Bund agì per contrastare i pogrom. Il suo Comitato Centrale polacco, da poco formatosi,
diffuse un volantino che replicava alle accuse e ammoniva sulle possibili conseguenze.
L’occupazione tedesca non pose fine al pericolo antisemita. Gli Endek passarono dall’alleanza con
lo Zar a quella con il Kaiser, e accusarono gli ebrei di essere anti-tedeschi. I contrasti nel 1918 tra
Germania e Austria sulla politica polacca diedero agli Endek l’opportunità di incolpare
pubblicamente gli ebrei della situazione:

La futura nazione polacca ha molti nemici, l’Austria non vuole un forte vicino polacco che
possa rivendicare la Galizia. Dunque il comando austriaco ha speso del denaro per comprare
individui influenti e creare difficoltà nell’attuale processo di formazione dell’esercito polacco.

27
Lebnsfragn, 5 maggio 1916
28
Raymond Buell, Poland: Key to Europe, 1939
29
ibidem
30
ibidem
31
David Lloyd George, War Memoirs, 1933 - 36

22
In Germania un forte partito voleva fare della Polonia una semplice provincia del Reich. Solo i
governanti tedeschi guardano avanti, e vogliono un alleato polacco veramente forte. Dobbiamo
aiutarli in questo lavoro.
I peggiori nemici della nazione polacca sono gli ebrei che vivono in Polonia. Gli ebrei sono
nemici di tutte le nazioni in cui non possono truffare la gente, fare prestiti a interessi usurai, o
vendere alcool di contrabbando. Vogliono provocare qui ciò che hanno provocato in Russia:
l’anarchia e la rivoluzione. Potrebbero distruggere i ponti, come fu fatto nel 1905, e così
vendere a caro prezzo pane e patate…Il goy può morire di fame mentre l’ebreo si arricchisce.
E’ per arricchirsi che l’ebreo vuole una rivoluzione...32

Il proclama accusava Pilsudski di essere un agente degli ebrei: due dirigenti del PPS non
erano forse ebrei? Il vero scopo degli ebrei, secondo l’accusa, era di creare una dittatura del
proletariato promuovendo dimostrazioni studentesche e scioperi operai. Questi scioperi avrebbero
portato alla chiusura di tutte le attività gestite dai polacchi – ma “guarda caso gli affari ebraici non
saranno toccati”. Uno sciopero degli operai del gas avrebbe fatto salire il prezzo dei venditori ebrei
di carbone e legna. Così gli ebrei, affermavano gli Endek, si arricchivano sulla pelle dei polacchi.
Durante gli anni della guerra gli atti concreti contro gli ebrei furono pochi. Gli occupanti
tedeschi non istigarono mai pogrom contro gli ebrei. La crisi economica si abbattè sui polacchi
come sugli ebrei. Le restrizioni politiche vennero imposte indistintamente su tutte le nazionalità. Gli
attacchi alle condizioni di vita degli ebrei vennero soprattutto dai polacchi piuttosto che dai
tedeschi, e furono meno violenti degli anni precedenti.
La dirigenza del Bund a Varsavia si trovò davanti a un dilemma quando la maggioranza
Endek al Consiglio della città propose una legge per le festività domenicali obbligatorie. Ciò
avrebbe significato un grosso problema per la popolazione ebraica della città, che normalmente
faceva festa il sabato. Il Bund si era sempre opposto alla comunità ortodossa, e lo aveva fatto in
maniera decisa nel momento in cui gli ortodossi insistevano sul sabato come giorno di riposo per
volontà divina. Per non togliere l’appoggio alla comunità ebraica in una questione per lei
importante, e allo stesso tempo per non venire meno ai propri principi socialisti, il Bund fece una
proposta alternativa: ogni bottega della città avrebbe potuto chiudere un giorno alla settimana, e il
giorno lo avrebbero deciso i lavoratori. In tal modo il Bund potè difendere la comunità ebraica,
ribadire la propria posizione per la riduzione della settimana lavorativa ed evitare di sostenere la
comunità ortodossa.

Attività del Bund polacco sotto l’occupazione. Il Bund non limitò la propria attività alla
politica, al tradeunionismo e alla filantropia; durante gli anni della guerra esso si assunse anche
responsabilità sul piano culturale, il che in realtà era strettamente legato alla propria linea politica.
L’obiettivo era promuovere la diffusione dell’yiddish come seconda lingua di una Polonia
indipendente. A tale fine il Bund creò scuole per i bambini e circoli culturali per i lavoratori. Le
scuole insegnavano ai bambini la loro “madrelingua” e cercavano di usare i “più moderni metodi
pedagogici”. Fondi per queste scuole furono inviati da parte degli American Jewish Socialists.33
Il Bund non aveva scelta se non organizzare scuole per l’insegnamento dell’yiddish, dal
momento che l’alternativa era dare sostegno alle scuole religiose (khevrat) che imponevano
un’educazione tradizionale ebreo – polacca. Un’insegnante socialista criticò aspramente le
khevrat:

Chi non conosce le aule sporche, cupe e affollate in cui si svolgono le lezioni?
Gli insegnanti nelle khevrat sono persone senza istruzione, persone che non sono riuscite a
intraprendere nessun altro lavoro, persone che sono diventate insegnanti solo per evitare la
fatica.
La maggior parte di costoro sono uomini molto anziani. Un terzo di loro non ha completato gli
studi. Prima costoro erano lavoratori, commercianti, sacrestani…tutto tranne che insegnanti.
E hanno un assistente robusto per educare questi bambini di tenerissima età – spesso tre o
quattro anni: lo staffile.34

32
Dziennik Poranny, 19 gennaio 1919
33
Lebnsfragn, 3 marzo 1916
34
Lebnsfragn, 12 marzo 1916

23
La separazione della Polonia dalla Russia, e il governo semi-democratico formatosi sotto
l’occupazione tedesca, non lasciarono al Bund altra scelta che cercare di coalizzarsi con un partito
socialista polacco per avere un peso nelle decisioni. Nel 1916 quindi il Bund si appellò a tutti i
partiti socialisti affinchè si formasse un blocco elettorale per le prime elezioni libere del Consiglio
cittadino di Varsavia. Solo la Lewica aderì; il PPS era troppo orientato verso l’indipendenza
polacca, e il PSD era nel mezzo di una divisione interna35.
Il blocco elettorale socialista – formato dal Bund e dalla Lewica – usò le elezioni per
promuovere gli obiettivi politici e nazionali dei due partiti, piuttosto che offrire un programma che
andasse incontro ai bisogni immediati della municipalità. Il blocco fu considerato dal Bund come
primo passo nella direzione dell’unità socialista in Polonia; era visto come l’inizio di un movimento
socialista di massa.
Il blocco socialista chiese la democratizzazione del governo cittadino, rivendicando che
l’amministrazione della città fosse attribuita a un consiglio eletto. I socialisti usarono la campagna
per combattere il crescente nazionalismo e antisemitismo; e fecero propria la richiesta del Bund
che l’yiddish fosse riconosciuto come seconda lingua nelle transazioni ufficiali36.
I tentativi di altri partiti ebraici di coinvolgere il Bund in un blocco pan-ebraico furono
respinti. Dal momento che il Bund era un partito socialista, e con coscienza di classe, non poteva
allearsi con i suoi “nemici di classe”, ebrei o meno. Il blocco ebraico si formò senza il Bund,
comprendendo i sionisti generali, gli ortodossi e i partiti cosiddetti borghesi. Lebnsfragn affermò
che il blocco si era formato per rappresentare tutti e invece non rappresentava nessuno; e che
volendo rappresentare tutti era costretto a fare a meno di un programma37.
L’altro partito socialista ebraico, Poale Zion, tacitamente sostenne entrambi i blocchi.
Ufficialmente dichiarò il proprio appoggio al blocco socialista, ma il solo membro di Poale Zion
eletto al Consiglio cittadino fu un candidato del blocco ebraico.
Il voto si basò su un complicato sistema di curie (distretti) elettorali, che favoriva le classi
sociali più abbienti e danneggiava i socialisti. Nella sesta curia, una zona operaia, il blocco
socialista ottenne il 10% dei voti ed elesse l’unico proprio rappresentante al Consiglio cittadino (su
90). Il blocco nazionalista antisemita ottenne la maggioranza.
Anche in altre città polacche il Bund formò alleanze elettorali con la Lewica. Alcune di esse
ebbero un limitato successo: a Lodz fu eletto il leader locale del Bund, Israel Lichtenstein. In
generale tuttavia i socialisti andarono incontro alla sconfitta.

35
Sin dal 1911 il PSD si era diviso tra una fazione favorevole alla concezione leninista del partito, guidata dal comitato
di Varsavia, e una fazione contraria, guidata dal comitato-in-esilio a Berlino che includeva Rosa Luxemburg e Leo
Jogiches.
36
Lebnsfragn, 16 giugno 1916
37
Lebnsfragn, 23 giugno 1916

24
3.
LA RIVOLUZIONE DEL MARZO 1917

Il mondo ebraico e la Rivoluzione di marzo. La rivoluzione del marzo 1917 fu accolta con
entusiasmo dalla stragrande maggioranza della popolazione ebraica nell’Impero russo. Questa
aveva ben pochi motivi per rimpiangere un regime che l’aveva confinata all’interno della Zona, le
aveva proibito diverse professioni e l’attività nell’agricoltura e industria pesante e, durante la
guerra, aveva accresciuto la repressione degli ebrei espellendone migliaia dalle loro case, in
particolare nelle aree di confine di Polonia e Lituania, con il pretesto che si trattava di soggetti
sovversivi. Gli arresti, i processi arbitrari, la soppressione della stampa e delle istituzioni ebraiche
erano all’ordine del giorno. Il collasso del regime suscitò un’ondata di aspettative nelle comunità
ebraiche in territorio russo. “E’ impossibile” disse un osservatore appena rientrato dagli Stati Uniti
“descrivere la gioia e l’atmosfera di festa nel mondo ebraico immediatamente dopo la caduta dello
zarismo…Gli ebrei iniziarono a raccogliere grosse somme per costruire un ‘Tempio della Libertà
Ebraica’ a Pietrogrado. Quando il Governo Provvisorio decise di chiedere un ‘prestito per la
libertà’, gli ebrei contribuirono generosamente; gli ebrei di Mosca versarono 22 milioni di rubli. E
quando gli imperialisti ricominciarono…la guerra, gli ebrei diedero totale appoggio al Governo
Provvisorio, anche se soffrivano più di tutti le conseguenze della guerra. Non vi furono divergenze
nel mondo ebraico. Gli interessi di classe sparirono. Il solo desiderio della borghesia ebraica e dei
lavoratori ebrei era di sostenere il Governo Provvisorio”38.
Il 2 aprile 1917 il Governo Provvisorio eliminò tutte le restrizioni nei confronti dei gruppi
etnici e religiosi, ma scelse di non prendere altri provvedimenti a proposito delle nazionalità,
demandando il compito alla futura Assemblea Costituente. Ciò permise alle nazionalità di
formulare i propri programmi politici, e le energie della comunità ebraica furono presto dirette alla
pianificazione del futuro ebraico in Russia. Il risorgere delle istituzioni culturali e politiche ebraiche
creò degli ostacoli materiali e psicologici alla penetrazione delle idee e delle organizzazioni
bolsceviche. Per questa ragione è importante esaminare l’attività culturale e politica degli ebrei
russi durante il 1917.
La vita comunitaria ebraica riemerse dall’ombra nella quale era stata confinata in tempo di
guerra, e le kehillah39 furono riorganizzate. Scuole primarie e secondarie, dopolavori, pubblicazioni
in ebraico e yiddish, un quotidiano, e anche circoli teatrali e musicali – tutto ciò sbocciò
rapidamente nella primavera della Rivoluzione russa40.
Mentre la cultura ferveva, la situazione economica degli ebrei faticò a migliorare rispetto
alla condizione di pesante arretratezza dei giorni pre-rivoluzionari. L’intera economia russa era in
crisi, e la sua fragile periferia, pullulante di artigiani e piccoli imprenditori ebrei, era sull’orlo del
collasso. “La situazione dei giovani è molto dura. La disoccupazione è in generale molto alta, ma lo
è particolarmente tra i giovani”41. Questa situazione avrebbe generato profondi sviluppi politici nella
comunità ebraica, in particolare nella classe operaia ebraica.
Su circa 5.600.000 ebrei residenti nell’Impero russo nel 1914, circa un quarto (1.400.000)
erano membri di famiglie operaie. Ma la classe più numerosa era la piccola borghesia impoverita –
per lo più negozianti, artigiani, e piccoli gruppi di contadini – che nel complesso costituivano circa
la metà della popolazione. In genere, costoro seguivano i partiti ebraici socialisti non sionisti. Vi
erano anche partiti proletari sionisti, come Poale Zion, ma il movimento sionista attirava soprattutto
l’intellighenzia e alcuni elementi della classe media. L’intellighenzia proletaria e socialista nel 1917
era concentrata in tre partiti: il Bund, il Partito Operaio Ebraico Socialista (SERP) e i Sionisti
Socialisti (SS). Gli ultimi due si fusero insieme nel maggio del 1917.

38
Shlomo Agurskij, Di Role fun di Yidisher Arbeter in der Rusisher Revolutsie, 1920
39
“Kehillah”, in ebraico “congregazione”, gli organismi di gestione delle comunità ebraiche dell’Est Europa.
40
Nel 1916 in Russia usciva un solo giornale ebraico, nel 1917 erano 48.
41
Der Veker, 10 novembre 1917

25
Risveglio dei partiti ebraici. L’attività politica degli ebrei russi nel corso del 1917 conobbe
un’enorme intensità. Vi erano sei gruppi politici principali. Il partito sionista affermò di avere, intorno
all’ottobre 1917, 300.000 “aderenti”, dislocati in 1.200 località. Ma poichè i sionisti erano interessati
in primo luogo alla creazione di una patria in Palestina, in Russia erano poco o per niente attivi.
Essi erano “membri” del movimento sionista perché avevano acquistato lo “shekel” che
simboleggiava il sostegno all’idea di uno stato ebraico in Palestina. Per molti l’acquisto dello shekel
era l’unica forma di attività politica.
Il più forte partito impegnato intensamente nella vita politica russa era il Bund, con un
numero di iscritti pari a 33.700 nel dicembre 1917. Esso contava 200 gruppi nella Russia
sudoccidentale e 102 organizzazioni nel Nordovest. Durante gli anni della guerra il Bund in
generale aveva seguito la linea menscevica, sebbene al suo interno, come all’interno dei
mescevichi, si fosse creata una divisione tra gli “internazionalisti” che si opponevano alla guerra, e
i “defensisti”, che ritenevano che la partecipazione russa alla guerra fosse giustificata. Mentre i
sionisti attiravano molti ebrei religiosi e membri nazionalisti dell’intellighenzia, che promuovevano
l’uso dell’ebraico come lingua nazionale, il Bund era contrario al “compromesso clericale” con la
borghesia, e insisteva sul riconoscimento dell’yiddish quale lingua nazionale.
Il Partito Operaio Socialista Unitario Ebraico (UJSWP) stava a metà tra i sionisti e il Bund.
Esso si era formato nel maggio 1917 dalla fusione dei Sionisti Socialisti e del Partito Operaio
Socialista Ebraico (SERP). I Sionisti Socialisti si erano formati nel 1905 come partito
fondamentalmente marxista il cui “sionismo” consisteva nella creazione di un territorio ebraico
autonomo, sebbene non necessariamente in Palestina. I militanti del SERP, detti anche sejmisti,
avevano promosso l’autonomia nazional culturale con un parlamento, o sejm, per ogni nazionalità
dello stato. L’UJSWP cancellò il programma territorialista dei Sionisti Socialisti, affermando che “la
questione rimane aperta e sarà dibattuta liberamente nella letteratura di partito”42. L’UJSWP era
particolarmente forte in Ucraina, soprattutto tra gli intellettuali secolarizzati che difendevano
strenuamente l’yiddish. Formalmente legato al Partito Socialista Rivoluzionario (PSR) grazie
all’eredità dei legami di quest’ultimo con il SERP, a livello sindacale l’UJSWP era alleato coi
menscevichi. Per le elezioni dell’Assemblea Costituente esso si alleò con il PSR.
Il partito Poale Zion, insieme marxista e sionista, adottò il marxismo determinista di Ber
Borokhov, che affermava che gli ebrei fossero inesorabilmente destinati alla Palestina, dove
avrebbero potuto sviluppare una normale vita economica. Dentro Poale Zion, come dentro il Bund,
sulla questione della guerra vi erano internazionalisti e defensisti. Alcuni membri di Poale Zion si
orientarono verso il bolscevismo dopo le “giornate di luglio” del 1917, ma la componente sionista
della loro ideologia impedì che fornissero ai bolscevichi pieno supporto. In Ucraina Poale Zion
appoggiò la Rada centrale. Poale Zion aveva una composizione sociale pienamente proletaria.
Il Partito Popolare (Folkspartai) non era l’organizzazione di massa che il nome lasciava
intendere. Si limitava a una piccola cerchia di intellettuali, diretta dallo storico Simon Dubnow. Le
teorie autonomiste di Dubnow erano la base dell’ideologia di partito. Il partito attirava coloro che
apprezzavano l’idea di autonomia nazional culturale ma che, per una ragione o per l’altra, non si
riconoscevano nel Bund o nel UJSWP. Come disse uno dei suoi membri, il Partito Popolare era “il
partito dei senza partito”43.
Tutti questi partiti erano di impostazione secolare. Poiché la grande maggioranza degli
ebrei russi erano almeno formalmente religiosi, fu naturale che, nonostante la tradizionale
riluttanza dei leader religiosi a impegnarsi direttamente nell’attività politica, dal fermento del 1917
nascessero diversi partiti religiosi. Nell’aprile 1917 si tenne a Mosca il congresso di fondazione di
Masores v’ Kherus (Tradizione e Libertà). Il congresso rivendicò l’autonomia nazionale con
garanzie per il sabato come giorno di riposo, e il sostegno del governo alle kehillah. Tre mesi dopo
rappresentanti di 50 gruppi politico - religiosi locali come Shomrai Israel (Guardiani di Israele) e
Kneses Israel (Assemblea di Israele) si incontrarono e adottarono una piattaforma che chiedeva la
giornata lavorativa di otto ore, il diritto di sciopero, la libertà di opinione, la distribuzione delle terre
in accordo col programma del PSR, e la promozione dell’educazione religiosa – non certo un
programma “reazionario borghese”. Infine, nell’estate 1918, 120 delegati di due partiti religiosi,
Akhdus Yisroel (Unione d’Israele) e Adas Yisroel (Comunità di Israele) formarono un fronte

42
Der Yidisher Proletarier, 16 (29) giugno 1917
43
Daniel Charney, A Yortsendlik Aza, 1943

26
religioso unito in Ucraina, col nome di Akhdus. In Bielorussia era attiva la fazione ortodossa
Agudas Yisroel, che aveva anche la maggioranza nella duma cittadina di Minsk.
Oltre a questi partiti vi era anche il piccolissimo Gruppo Popolare (Folksgrupe). Questo
gruppo, nato nel 1906, seguiva la linea generale del partito cadetto ed era diretto dai noti giuristi
Maxim Vinaver, Henryk Sliozberg e Oskar Gruenzberg. Vinaver e Sliozberg erano molto attivi
come shtadlonim (“paladini” della causa ebraica), e fondarono diverse organizzazioni ebraiche per
lo studio e per i diritti civili. Gruenzberg aveva raggiunto la notorietà internazionale per avere difeso
Mendel Beilis nel celebre processo del 1911. Il Folksgrupe chiedeva pieni diritti civili per gli ebrei e
un’organizzazione religiosa indipendente. Le scuole ebraiche dovevano insegnare sia ebraico che
yiddish, e dovevano mantenere un carattere religioso. A differenza di Bund, UJSWP, Folkspartai e
Akhdus, il Folksgrupe non chiedeva alcun tipo di autonomia nazionale.
La rivoluzione aveva condotto questi partiti ad un livello inedito di attività, ma fu la breve
lettera inviata dal Ministro degli Esteri inglese Arthur Balfour a Lord Rothschild il 2 novembre 1917,
contenente la frase “il governo di Sua Maestà vede con favore la creazione in Palestina di una
casa nazionale per il popolo ebraico”, che impresse un determinato corso agli eventi. A quanto
pare l’impatto della Dichiarazione Balfour sugli ebrei russi fu notevole:

E’ impossibile descrivere la gioia che pervase le masse ebraiche in tutto il paese…Il 6


novembre vi fu una manifestazione ebraica mai vista a Kiev, che fece una grande impressione
sulla popolazione…Sin dal primo mattino migliaia di ebrei, vestiti a festa e con simboli sionisti,
sfilarono fino all’università in Vladimir Prospekt. Tutti i balconi delle case ebraiche erano
decorati in blu e bianco. Tre fanfare militari marciarono alla testa della parata, e le bandiere
sioniste sventolavano…Il console britannico…ricevette un bouquet di fiori e ringraziò con voce
rotta dall’emozione…Il professor Hrushevsky, presidente della Rada, ci salutò. Anche molti
bundisti e antisionisti viscerali furono coinvolti nel tripudio ebraico generale.44

Il Bund e altri gruppi antisionisti provarono a sminuire il valore della Dichiarazione e


schernirono gli “ingenui” sionisti che contavano di ricevere una patria ebraica dagli imperialisti
inglesi. L’Inghilterra aveva fatto la dichiarazione, affermarono, affinchè gli ebrei russi spingessero il
governo a proseguire la guerra.45 Ma molti ebrei erano convinti della sincerità della Dichiarazione
Balfour. Un funzionario britannico in Siberia trovò difficile fathom l’atteggiamento degli ebrei:

Molti di coloro che ho incontrato mi hanno parlato con patetica speranza del giorno in cui in
Palestina sarebbe nato uno stato ebraico. Non che tutti loro volessero andare laggiù – molti di
loro pensavano che la loro vera patria fosse la Russia – ma contavano sul fatto che il futuro
ambasciatore o console dello stato ebraico avrebbe assicurato loro un migliore trattamento da
parte del governo russo. Io ero solito far notare come fosse impensabile che un rappresentante
di tale stato sarebbe stato ascoltato anche solo per un momento da un qualsivoglia governo
russo, ma loro rimanevano inflessibili! “Voi siete inglese” – dicevano - “e se vi oltraggiano,
andate dal vostro console a chiedere supporto. Se noi siamo oltraggiati, a chi ci rivolgiamo?” A
parte coloro che ripongono queste speranze, vi sono molti, specialmente giovani, che non
vedono l’ora di emigrare in Palestina, e un numero ancor maggiore di persone che vogliono
lasciare la Russia, non importa verso quale meta46.

Questi atteggiamenti trovarono espressione nelle elezioni delle kehillah, del congresso
ebraico e dell’Assemblea Costituente.
Quasi tutti i partiti appoggiarono l’autonomia nazional culturale extraterritoriale per gli ebrei.
Le kehillah ora venivano viste come centri non solo di cultura religiosa ma anche di autonomia
nazionale, e le elezioni delle kehillah furono molto contese. Tutti i partiti ebraici nel marzo 1917
decisero di convergere in un Congresso Ebraico panrusso democraticamente eletto. Il Bund,

44
Leonard Shapiro, Bakalakhat HaRusit: Pirkai Zikhronot, 1952. L’autore era studente di medicina all’Università di
Kiev e apparteneva a Tseirai Zion, un partito sionista socialista.
45
Folkszeitung, 22 novembre 1917. All’epoca l’ambasciatore britannico chiese espressamente ai membri dell’Esecutivo
dell’Organizzazione Sionista Mondiale di usare la loro influenza presso i leader ebrei bolscevichi, convincendoli a non
ritirarsi dalla guerra. A quanto pare gli inglesi erano convinti che l’ebreo Trockij non sarebbe stato insensibile alle
sirene nazionaliste.
46
Il resoconto, anonimo, è conservato presso l’YIVO Institute.

27
temendo il sorgere di sentimenti sionisti tra la popolazione ebraica, dichiarò che non si sarebbe
ritenuto vincolato dalle risoluzioni del Congresso, ma le avrebbe considerate alla stregua di
raccomandazioni. I sionisti chiesero invece che le risoluzioni fossero vincolanti. Alla fine si trovò
una soluzione di compromesso: fu deciso che la questione dei diritti degli ebrei al di fuori della
Russia fosse inclusa nell’agenda, come chiesto dai sionisti, e che la questione dello stato ebraico
in Palestina fosse esclusa, come chiesto dai bundisti. A questo punto i bundisti accettarono di far
parte del Congresso. L’appello di convocazione fu pieno di entusiasmo:

Cittadini ebrei! Il popolo ebraico in Russia si trova di fronte ad accadimenti che non hanno
eguali in 2.000 anni di storia ebraica. Non solo l’ebreo ha acquisito l’uguaglianza dei diritti come
individuo, come cittadino…ma la nazione ebraica intravede la possibilità di ottenere i propri
diritti nazionali. Mai e da nessuna parte gli ebrei hanno vissuto un momento così importante
come l’attuale – importante sia per il presente che per il futuro.47

Le elezioni per il Congresso si tennero nell’autunno 1917, ma a causa degli sviluppi politici
in Russia esso non si riunì mai.
I risultati delle elezioni per le kehillah videro in genere il successo dei sionisti, seguiti dai
bundisti e poi dagli altri partiti. In particolare il risultato complessivo di 193 kehillah in nove province
ucraine vide i sionisti al 36%, il Bund al 14,4%, Akhdus al 10%, il UJSWP all’8,2%, Poale Zion al
6,3%, il Folkspartai al 3%, il Folksgrupe al 1% e vari gruppi locali al 20%. I partiti ebrei socialisti
insieme spesso si avvicinavano ai sionisti. Guardando agli esempi di singole città, nella kehillah di
Odessa risultarono eletti 35 sionisti, 26 bundisti, 11 ortodossi, 11 di Poale Zion, 9 del Folkspartai e
19 “altri”. Nella kehillah di Voronez vi furono 14 sionisti, 14 ortodossi, 4 bundisti, 3 dell’USJWP e 3
di Poale Zion. A Saratov vi furono 17 sionisti, 9 ortodossi, 6 bundisti, 6 di Poale Zion, 1 dell’USJWP
e 6 “democratici” (probabilmente legati al Folkspartai).
E’ importante sottolineare che nelle aree della Russia centrale i lavoratori ebrei erano
soltanto il 9% della popolazione ebraica complessiva, ma mediamente il 34% degli eletti
appartenevano a partiti socialisti (il 21% al Bund). Ciò è segno che i settori sociali organizzati dai
socialisti erano più attivi e consapevoli, e che i socialisti come il Bund avevano l’appoggio anche di
strati dell’intellighenzia secolarizzata.

Il Bund e la Rivoluzione di marzo. Il Bund naturalmente salutò con entusiasmo la


Rivoluzione di marzo (o “di febbraio” secondo il calendario giuliano), come fecero gli altri partiti
socialisti. Il suo punto di vista era di tipo marxista tradizionale: “La nostra rivoluzione di forma
proletaria non è proletaria nel contenuto. E’ una rivoluzione politica, e non una rivoluzione
sociale”48. Alcuni bundisti esortarono i lavoratori a combattere per la rivoluzione nei ranghi dei
partiti socialisti russi, e non a impiegare energie per la realizzazione del programma nazionale a
spese degli obiettivi rivoluzionari generali. David Zaslavsky, all’epoca pubblicista del Bund, dichiarò
che

Il proletariato ebraico sarà una forza nella vita ebraica soltanto nella misura in cui è una forza
nei ranghi della democrazia rivoluzionaria…Il proletariato ebraico deve ricordare che tutti gli
obiettivi, dei singoli gruppi e della nazione ebraica, devono essere subordinati agli interessi
superiori della rivoluzione.49

Altri bundisti tuttavia chiesero al popolo ebraico di far sentire le specifiche istanze nazionali,
e battersi per esse:

Nella nuova Russia, l’oppressione nazionale verrà naturalmente rimossa…Ma significa ciò che
gli ebrei non debbano chiedere più nulla?...Il governo ora è nelle mani dei Cadetti e degli
Ottobristi. Entrambi i partiti sostengono la “Grande Russia”…Entrambi recentemente hanno
provato a dimostrare che in Russia non vi sono culture nazionali, ma una singola cultura
“grande-russa”, onnicomprensiva. E’ possibile che sotto la pressione rivoluzionaria il loro punto
di vista sia cambiato. Ma è anche possibile che in seguito, quando le acque si saranno calmate,

47
In Salo Baron, The Russian Jews under Tsars and Soviets, 1964
48
Di Arbeter Shtime, marzo 1917
49
Di Arbeter Shtime, 12 (25) maggio 1917

28
essi inizieranno a implementare il principio “grande-russo”, senza riconoscere le scuole
ebraiche come componente del sistema educativo. Ciò sarebbe una forma di oppressione
nazionale, e i partiti ebraici sin da ora si devono attrezzare contro questa eventualità. 50

Esortando i partiti alla prudenza, il Bund ribadiva la propria concezione marxista della
natura della rivoluzione russa:

E’ chiaro sin dall’inizio che l’unità della rivoluzione vada preservata: la borghesia deve
rinunciare al completo potere, e il proletariato deve rinunciare alla conquista del potere.
Ciascuna delle classi antagoniste si mantiene entro certi limiti finchè la rivoluzione non si sarà
consolidata51.

Come Georgij Plechanov e la leadership menscevica, il Bund riteneva che una rivoluzione
socialista – proletaria dovesse essere preceduta da un regime capitalistico – borghese. Il Bund era
convinto che il proprio programma nazionale alla fine sarebbe stato accettato dal nuovo governo, e
credeva che il Congresso dei Soviet avrebbe approvato l’autonomia nazional culturale: “Si, noi
bundisti possiamo essere soddisfatti dell’evoluzione della democrazia russa negli ultimi anni. Prima
eravamo gli unici a sostenere questa posizione – ora tutti sono con noi”52. L’autonomia nazional
culturale fu approvata dal Partito Socialista Rivoluzionario in maggio, dai Cadetti in luglio, e dai
menscevichi in agosto. Ma il Governo Provvisorio tuttavia non la decretò.
Membri del Bund ebbero ruoli attivi nei soviet, spesso facendo parte degli organi esecutivi.
Nel soviet di Berdichev, per esempio, entrarono 71 bundisti e il presidente fu il militante del Bund
David Lipets. Al di fuori della Zona, in città come Irkutsk e Taskent complessivamente 53 bundisti
fecero parte dei soviet. Mark Liber e Raphael Abramovich furono importanti figure del Congresso
panrusso dei Soviet del giugno – luglio 1917, e la proposta di Liber per un sistema amministrativo
di fatto basato sull’autonomia nazional culturale fu approvata, nonostante l’opposizione bolscevica.
Al Congresso parteciparono circa 70 bundisti, e 5 di loro furono eletti nell’Esecutivo. Delegati del
Bund ebbero ruoli importanti nei sindacati e nei congressi degli artigiani e degli insegnanti, così
come nelle dume cittadine. Complessivamente 247 bundisti vennero eletti nelle dume di 51 città, di
cui 175 in 25 città della ormai ex Zona di Insediamento. In tutta la Russia, i delegati bundisti alle
dume erano più di 500. A Dvinsk, Odessa, Gomel e Bobruisk i bundisti ottennero la vice-
presidenza della Duma, mentre a Minsk Rakhmiel Veinshtain fu eletto presidente. Anche dopo la
rivoluzione bolscevica, alcuni ebrei comunisti lamentarono che “allo stato attuale, i commissariati
più importanti, che hanno a che fare con le grandi masse popolari…sono nelle mani dei bundisti. Si
ha l’impressione che al potere ci sia il Bund e non il Partito (Comunista)”53.
Tra i vari partiti socialisti in Russia, il Bund era noto per la propria organizzazione e
disciplina. Nei suoi 20 anni di attività vi erano stati notevoli differenze di opinione dentro il partito,
specialmente sulla questione nazionale e della guerra, ma a differenza di quasi tutti gli altri partiti
socialisti il Bund non si era mai diviso, di certo un risultato significativo se confrontato con la storia
del POSDR di Martov e Lenin. La coesione del Bund fu almeno in parte dovuta a una caratteristica
particolare, ovvero il proprio essere una sorta di comunità ebraica secolarizzata, tenuta insieme dal
legami di classe e nazionali. I lavoratori ebrei, sempre più estraniati dalla comunità ebraica
tradizionale o dominata dall’elite borghese, trovarono una nuova comunità nel Bund, sviluppando
una sorta di fede politica secolare. Mantenendo stretti legami tra i vertici e la base, e tra la
componente intellettuale e quella proletaria, e adattando il proprio programma e la propria linea
alle fasi politiche in mutamento, il Bund riuscì a evitare le scissioni che spesso intervengono nei
movimenti ideologici.
Anche nel 1917 il Bund sembrava assai fiducioso rispetto alla propria stabilità
organizzativa: “Riconsiderando la nostra situazione, possiamo dirci orgogliosi, e non temiamo una
divisione nel nostro partito. I nostri ranghi sono ben serrati e possiamo far fronte ai frequenti dissidi
interni, come ciascuno può constatare”54. Qualche mese dopo però incominciarono a manifestarsi

50
Di Arbeter Shtime, 16 (29) luglio 1917
51
Di Arbeter Shtime, maggio 1917
52
Di Arbeter Shtime, 29 giugno (12 luglio) 1917
53
Tsum XV Yortog fun der Oktiabr Revolutsie – historisher Zamblukh, 1932
54
Di Arbeter Shtime, 6 maggio 1917

29
maggiori preoccupazioni. In agosto Viktor Alter scrisse: “Diciamolo apertamente: la linea ufficiale
del Bund produce forte malcontento in una parte del partito. E questo malcontento continua a
crescere…La questione principale è l’atteggiamento verso la guerra”55. La popolazione non era più
disposta a sostenere una posizione defensista, mentre all’epoca nel Bund prevaleva una posizione
di “defensismo rivoluzionario”.
Sebbene il Bund avesse sostenuto le posizioni contro la guerra delle conferenze di
Zimmerwald (1915) e Kienthal (1916), dall’aprile 1917 molti dirigenti bundisti si erano spostati sulle
posizioni defensiste rivoluzionarie promosse dai menscevichi Dan, Cereteli, Cheidze e Skobelev,
alcuni dei quali avevano in precedenza aderito a un gruppo denominato “zimmerwaldiani siberiani”.
I defensisti rivoluzionari sostenevano che la guerra dovesse essere proseguita, non per le ragioni
“social-patriottiche” avanzate da certi defensisti “estremi” come Potresov e Plechanov, ma per
preservare la rivoluzione dalla distruzione ad opera dell’imperialismo tedesco. Dentro il Bund tale
posizione fu sostenuta da Henryk Erlich e Mark Liber, che erano anche nella leadership
menscevica, e tra gli altri da Ester Frumkin. Nella primavera 1917 Raphael Abramovich era il solo
membro del Comitato Centrale del Bund su posizioni internazionaliste, ma la sua posizione fu
appoggiata anche da militanti di livello come Vladimir Kosovsky, Benjamin Kheifetz e Viktor Alter. I
defensisti rivoluzionari menscevichi, in particolare Dan e Cereteli, erano favorevoli alla
partecipazione dei socialisti al Governo Provvisorio; i defensisti bundisti Liber ed Erlich si
espressero contro, mentre Moshe Rafes fu a favore. La Conferenza del Bund, nell’aprile 1917,
votò contro la partecipazione al governo, sebbene la maggioranza dei menscevichi all’epoca si
fosse espressa a favore. Su quella questione si sfiorò la scissione dai menscevichi, ma alla fine
prevalse il timore delle conseguenze negative, come scrisse Abramovich su Di Arbeter Shtime:
“Abbiamo sempre cercato di porci all’ala sinistra dei menscevichi…di essere la coscienza
rivoluzionaria del menscevismo. Sappiamo che, in caso di distacco, dovremmo unirci ai
bolscevichi. Siamo pronti a farlo? No, perché un grande abisso ci divide! Una divisione nel partito
menscevico vorrebbe dire un indebolimento della classe operaia, perché dovremmo costituire un
terzo partito”56.
Le tensioni interne al Bund, cui i suoi dirigenti alludevano con cautela, erano più che
naturali nel contesto del 1917. A parte gli effetti devastanti della guerra e della persecuzione
zarista, vi erano anche le necessità immediate della rivoluzione. Gli ebrei non smaniavano di
occupare le terre, a differenza dei contadini russi, tuttavia certamente desideravano pane e pace.
In tale situazione i bundisti di base, specialmente gli operai, erano costretti a porre i bisogni
immediati davanti alle posizioni di principio espresse dalla dirigenza. Inoltre la popolazione ebraica
della Zona era stata sradicata a causa della guerra. Nel dicembre 1917, di 97 organizzazioni aventi
diritto a inviare delegati all’Ottavo Congresso del Bund, 40 erano al di fuori della Zona.
Dei 25 governatorati della ex Zona, 13 erano sotto occupazione tedesca, così come parte
di altri 2. 58 città e centri minori in cui prima della guerra gli ebrei non avevano il permesso di
vivere ora avevano organizzazioni del Bund. Le nuove organizzazioni avevano avuto poco tempo
per sviluppare un radicamento locale e conquistarsi la fiducia della popolazione. Mentre alcuni
membri di queste organizzazioni provenivano dall’apparato del Bund nella Zona, molti erano nuovi
arrivati. Ciò fu dovuto al fatto che durante gli anni della reazione dopo il 1905 molti dei gruppi
bundisti minori erano scomparsi. Quando nel 1917 vi fu una ripresa dell’attività del Bund, una gran
parte di aderenti erano del tutto nuovi, e non aveva quel grado di lealtà quasi “fanatica” verso
l’organizzazione mostrata dalla vecchia guardia. L’attivista del Bund Sara Fuks scrisse:

Le organizzazioni che abbiamo per lo più sono nate con la rivoluzione…Quali sono le masse e
quali i capi di queste organizzazioni? I lavoratori stessi. L’intellighenzia ora segue i partiti
borghesi o è completamente passiva…Dovunque i compagni della vecchia guardia abbassano i
toni. Per lo più le forze sono nuove. Spesso individui di preparazione limitata, con scarsa
esperienza politica, ciononostante essi trovano sempre la linea giusta, la risposta giusta a tutte
le questioni, e sono in grado di elaborare una vera tattica proletaria. 57

55
Di Arbeter Shtime, 3 (16) agosto 1917
56
Di Arbeter Shtime, 20 agosto (2 settembre) 1917
57
Der Veker, 1 agosto 1917

30
In Ucraina, per esempio, nel febbraio 1917 vi erano soltanto 10 gruppi bundisti. Dopo la
Rivoluzione di febbraio questo dato salì enormemente, e nell’autunno del 1917 questi gruppi erano
175, con una sorta di “comitato centrale” a Kiev. Molti lavoratori nel 1917 non erano mai stati in
contatto con il Bund. Per esempio, per le esigenze dell’esercito erano state allestite grandi
fabbriche di uniformi, ove la maggioranza degli operai erano ebrei impoveriti, reclutati nei villaggi
devastati dalla guerra. La guerra li aveva privati della casa, ed essi cercavano rifugio nei centri più
popolosi.
Anche il Bund polacco fu pieno sostenitore della Rivoluzione russa del marzo 1917. Solo
l’occupazione tedesca gli impedì di prendere parte in maniera diretta agli avvenimenti. Le notizie
sulla caduta dello Zar furono accolte con gioia. “Non è un sogno!” scrisse Lebnsfragn “Salutiamo
con entusiasmo i nostri compagni e amici appena liberati, e auguriamo loro nuova forza ed energia
nella lotta per la nostra grande causa”58. L’entusiasmo espresso dal Bund fu il medesimo di tutta la
popolazione ebraica di Russia. Un membro di spicco della comunità disse: “Per la prima volta in
2.000 anni potremo celebrare la nostra Pasqua, la nostra festa della liberazione, non come schiavi
ma come liberi cittadini”59.
Le speranze del Bund erano elevate. In Russia venne ripresa la pubblicazione di Di Arbeter
Shtime dopo un intervallo di 12 anni, questa volta come giornale legale, a differenza del passato.
Furono organizzate celebrazioni in villaggi e città della zona ebraica di Russia. Per i bundisti
queste celebrazioni ebbero un doppio significato: la rivoluzione in atto e il ventesimo anniversario
dalla fondazione del loro partito.
La rivoluzione democratica significava la fine dell’oppressione, come il Bund russo scrisse
ai propri sodali americani: “I lavoratori russi oggi si presentano alle democrazie del mondo come
membri alla pari. I lavoratori del mondo devono unirsi dietro al nuovo governo, per proteggere le
libertà appena acquisite”60.
In Russia si erano creati due centri di potere: il Governo Provvisorio e i consigli (soviet)
degli operai e dei soldati. I soviet nacquero spontaneamente dalla rivoluzione. La loro direzione fu
subito nelle mani dei partiti radicali: le due fazioni socialdemocratiche, i socialisti rivoluzionari e i
trudoviki. Kerenskij, che guidava il più moderato dei partiti radicali – i trudoviki – fu il leader
riconosciuto dei soviet, e la figura più popolare, nei primi giorni della rivoluzione. Il governo invece
fu più conservatore dei soviet, in particolare durante i primi mesi quando la carica di Primo ministro
fu del principe Lvov, che rappresentava i Cadetti.
Il Bund fu l’unico partito ebraico a entrare nei soviet. Uno dei leader del Soviet di
Pietrogrado fu Henryk Erlich, dirigente bundista nato in Polonia. Egli in giugno fu scelto come
emissario del Soviet alla conferenza socialista internazionale di Stoccolma.
Nel movimento socialdemocratico russo si andarono delineando tre gruppi principali: un’ala
destra guidata dal veterano marxista Plechanov, che appoggiava il governo liberale e la
prosecuzione della guerra; un centro guidato da Cheidze e Skobelev – quest’ultimo membro del
governo – che era per il sostegno al governo nella misura in cui esso continuava “nel proprio
percorso rivoluzionario”, e nella lotta per la pace; un’ala sinistra guidata da Lenin che voleva il
rovesciamento del governo liberal – democratico e la fine immediata della guerra.
La posizione del Bund si può definire di centro – sinistra. Esso era vicino ai menscevichi
per la condivisione di questi ultimi della linea dell’autonomia nazionale, e contrario alla posizione di
Lenin, il quale dichiarava espressamente di voler dividere il movimento socialista mondiale e
criticava la conferenza di Stoccolma. D’altra parte, Medem definì la linea della destra menscevica,
che prevedeva la partecipazione al Governo Provvisorio, un tradimento della classe operaia. Le
coalizioni tendevano a indebolire il potere dei lavoratori, disse, poiché la forza di questi ultimi stava
proprio nella capacità di difendere autonomamente i propri interessi e di distinguere i nemici dagli
amici. Nelle attuali condizioni “le mani dei ministri sono legate. Quando sostieni qualcuno devi
essere leale con lui. Devi difenderlo dai nemici, devi ignorare i suoi errori. Questo è il caso dei
ministri in un governo. Essi devono essere leali al proprio governo, difenderlo dai nemici e
ignorarne gli errori. I ministri socialisti devono difendere i loro colleghi borghesi; questa è la minima

58
Lebnsfragn, 23 marzo 1917
59
The Times, 11 aprile 1917
60
Cablogramma del Comitato Centrale del Bund russo al Di Amerikaner Khaverim, 23 maggio 1917 (Archivio del
Bund)

31
condizione richiesta per la responsabilità collettiva”61. Tra i menscevichi una minoranza, guidata da
Martov, concordò con le posizioni di Medem.
In luglio, quando a Pietrogrado centinaia di migliaia di persone scesero in piazza contro il
governo e per la pace, e il partito di Lenin agitò lo slogan “Tutto il potere ai soviet”, i dirigenti del
Bund in Polonia furono contrari. “Contro chi si battono costoro?” chiese Lebnsfragn “Di fatto contro
i soviet degli operai e dei soldati che si oppongono ai bolscevichi e non vogliono tutto il potere nelle
proprie mani”. I soviet, secondo Lebnsfragn, temevano le conseguenze di una presa del potere. I
bolscevichi dopotutto erano soltanto una minoranza all’interno dei soviet. I bolscevichi avrebbero
gradito che tutto il potere finisse nelle mani di soviet nei quali altri partiti avessero la maggioranza?
No, scrisse Medem, essi avrebbero cambiato lo slogan “Abbasso il governo!” in “Abbasso i soviet!”
fino a quando Lenin non fosse diventato dittatore di Russia62.
In seguito ai disordini di luglio il governo adottò misure repressive di emergenza. I dirigenti
del Bund polacco criticarono il tentativo di sopprimere i bolscevichi, un tentativo che giudicavano
pericoloso da entrambi i lati. “Come in tutte le dittature, la repressione di Kerenskij è la prima della
serie. Oggi Kerenskij arresta Lenin; domani Cereteli arresterà Kerenskij, e il giorno dopo…”63.
Medem ammonì che la lotta tra socialisti era una catastrofe, e dichiarò senza mezzi termini
che doveva terminare. Propose un’unione di tutte le fazioni socialiste contro i partiti liberal –
borghesi. “La storia della socialdemocrazia russa ha sviluppato una tradizione molto negativa,
molto dannosa: la tradizione delle divisioni e degli scontri. La base di queste divisioni
generalmente non è rilevante. Questa tradizione in tempi normali è dannosa, in momenti critici
come questi è disastrosa”64.
I dirigenti del Bund temevano per la rivoluzione da due punti di vista: esternamente a causa
della continuazione della guerra, e internamente a causa dell’atteggiamento dei bolscevichi. “Il
pericolo per la rivoluzione non cesserà finchè le armi non taceranno, sia sul fronte di guerra che
nelle strade di Pietrogrado”65. Se non fossero cessati i disordini, vi era pericolo che la popolazione
perdesse la fiducia nella democrazia. E i bundisti temevano che la maggioranza dei russi potesse
chiedere il ritorno della monarchia, se necessario, per ripristinare l’ordine.
I bundisti consideravano la pace l’obiettivo principale della rivoluzione: “La borghesia delle
potenze alleate vuole che la Russia continui la guerra…vogliono che si combatta fino all’ultima
goccia di sangue. La pace deve arrivare!...La pace deve essere ottenuta, contro tutti coloro che
vogliono la guerra. La grande offensiva di primavera è cominciata…l’offensiva per la pace”66.
Qualche mese dopo, i bundisti andavano ripetendo il medesimo appello: “Il popolo deve
chiedere la pace”. Ma ora si sentirono in dovere di spiegare perché la repubblica democratica
russa, col supporto dei socialisti, non era riuscita a fermare la guerra. Nessun singolo popolo
poteva liberare il mondo intero; un popolo poteva soltanto compiere il primo passo; il resto del
mondo doveva seguire. “L’appello dei lavoratori russi non ha ancora avuto la necessaria eco –
l’eco deve arrivare, e con l’eco arriverà la pace e un mondo nuovo”67.
Mark Liber, neoeletto presidente del Bund di Polonia, Lituania e Russia, fece un appello al
governo per avere un resoconto sui negoziati di pace. Finchè la pace non fosse arrivata, tuttavia,
esortò i propri seguaci a sostenere il proprio paese e il nuovo governo – finchè restava leale agli
ideali della rivoluzione. Questo appello rappresentò una svolta nella posizione del Bund,
dall’opposizione alla guerra mantenuta fin dal 1914 al sostegno riluttante del 1917.
Fino alla fine di settembre i bundisti mantennero un atteggiamento ottimista. Anche il
tentativo di controrivoluzione di Kornilov non mutò la loro valutazione degli eventi. I soviet degli
operai e dei soldati avrebbero saputo cosa fare per fermare la controrivoluzione, disse un editoriale
di Lebnsfragn.
Per tutto il periodo il Bund mantenne la denominazione di Unione Generale dei Lavoratori
Ebrei di Lituania, Polonia e Russia, e la maggior parte dei dirigenti si considerarono divisi solo
temporaneamente. Il nuovo Comitato Centrale unitario, nominato nel maggio 1917, fu composto da

61
Lebnsfragn, 25 maggio 1917
62
Lebnsfragn, 27 luglio 1917
63
Lebnsfragn, 10 agosto 1917
64
Lebnsfragn , 20 aprile 1917
65
Lebnsfragn, 27 luglio 1917
66
Lebnsfragn, 6 aprile 1917
67
Lebnsfragn 3 agosto 1917

32
Liber, Erlich, Medem e Jeremiah Weinstein. Ma in concreto, come abbiamo visto, il Bund polacco e
anche le altre branche regionali dell’organizzazione spesso operavano in autonomia, seguendo le
tendenze degli eventi in corso.

Gli Unitari, il Bund e l’ascesa bolscevica. Oltre al Bund, l’altro principale partito ebraico
socialista era il Partito Unitario Socialista Operaio Ebraico (UJSWP). Il partito era nato nel maggio
– giugno 1917 dalla fusione tra i Sionisti Socialisti e il SERP, e i suoi membri erano noti
comunemente come Farainigte (Unitari). Questo partito, guidato da intellettuali, elaborò un
interessante programma nazionale. La miglior forma di governo per la Russia, secondo gli Unitari,
sarebbe stata una repubblica federativa simile agli Stati Uniti d’America. Ciò avrebbe permesso di
risolvere in parte la questione nazionale. “Se in Ucraina ci fosse una sola nazione, l’autonomia
regionale risolverebbe la questione nazionale”. Ma poiché ciò ovviamente non era il caso
dell’Ucraina né delle altre regioni, occorreva istituire una rappresentanza proporzionale delle
nazionalità in ciascuna dieta regionale. E poiché ciò aveva prodotto una tirannia della nazione
maggioritaria, com’era avvenuto nell’Ucraina polacca, era necessaria un’autonomia “nazional
personale”. Si doveva creare un organo centrale per dirimere le questioni di ebrei o polacchi,
lettoni o tatari, ovunque essi si trovassero a risiedere. L’autonomia personale si sarebbe basata
“non sul fatto oggettivo che io vivo in Ucraina, ma sulla volontà soggettiva per la quale io mi
considero membro di questa nazione. Noi non intendiamo dire che l’autonomia personale esclude
l’autonomia territoriale. Esse si completano l’un l’altra”. Un parlamento centrale si sarebbe
occupato di questioni di interesse generale – rapporti con l’estero, questioni militari, poste e
telegrafi e simili. L’educazione e i servizi sociali sarebbero stati affidati alle diete regionali. Le diete
regionali sarebbero state il terzo livello del governo, e si sarebbero occupate di sanità, industria,
commercio, agricoltura e simili sul piano regionale68.
L’assemblea nazionale ebraica, o dieta, eletta sulla base di un suffragio universale equo,
segreto, proporzionale e diretto, sarebbe stata l’autorità più elevata nella vita ebraica. I cittadini vi
si sarebbero subordinati volontariamente, dichiarando la propria appartenenza alla nazione
ebraica. Localmente, laddove vi fossero almeno 300 ebrei sarebbe stata formata una kehillah. La
kehillah poteva decidere, ad esempio, quante scuole fossero necessarie in una data località, quindi
allestirle e determinare il programma di insegnamento entro le linee guida stabilite dalla dieta
ebraica. Le istituzioni ebraiche avrebbero ricevuto dei fondi proporzionali alla popolazione che
servivano, dagli organi governativi centrali, provinciali e locali ai quali gli ebrei pagavano le tasse.
La religione sarebbe stata separata dagli organi nazionali, e sarebbe stata materia delle
associazioni religiose. Dentro gli organismi nazionali avrebbe trovato espressione la lotta di classe,
con ogni fazione a cercare di far approvare il proprio programma o la propria idea di servizio
sociale.
Questo elaborato schema era forse più ambizioso dell’idea bundista di autonomia nazional
culturale, e certamente era più specifico. Naturalmente né il Bund né gli Unitari ebbero la
possibilità di testare la fattibilità dei loro programmi nazionali. Con la presa del potere bolscevico, i
progetti di autonomia nazionale furono accantonati.
L’antagonismo di lunga data tra il Bund e i bolscevichi si inasprì nella primavera del 1917,
quando il Bund replicò stizzito agli appelli bolscevichi secondo i quali i tempi per la rivoluzione
socialista erano maturi. Definendo il leninismo un “brutto fastidio”, V. Kantorovich domandò:

Se il proletariato fa appello alla dittatura, chi lo seguirà ora? Nessuno! Chi andrà contro di lui?
Tutti! Un leader senza seguaci non ha potere…Forse la repubblica borghese americana (laggiù
non c’è ancora il socialismo) invierà denaro per sostenere Lenin e compagnia? Naturalmente
no!...I leninisti sono i nemici della rivoluzione. Ciò deve essere fermamente stabilito una volta
per tutte.69

Mark Liber e Lenin si scontrarono al Congresso panrusso dei Soviet sulla questione dei
tempi della rivoluzione socialista, e il Bund accusò Lenin di “anarco-sindacalismo”. Liber affermò
che il proletariato doveva rimanere la classe guida ma doveva stare attento a non allontanarsi

68
Jacob Lestchinsky, Unzere Natsionale Foderungen. Pubblicato dal Comitato Centrale del UJSWP, non datato ma
presumibilmente 1917
69
Di Arbeter Shtime, 25 maggio (7 giugno) 1917

33
troppo in avanti: doveva essere disposto a fermarsi, onde evitare l’isolamento. Lenin si espresse
all’opposto: avanti verso la conquista del potere, senza curarsi delle conseguenze. Liber chiese a
Lenin come avrebbe mantenuto il potere e controllato le forze anarchiche nel paese. Di Arbeter
Shtime scrisse sarcasticamente “La risposta di Lenin passerà alla storia: ‘dovremo arrestare 50 o
100 capitalisti’. Lenin vuole combattere il sistema capitalistico mettendo i capitalisti in prigione”70.
Diversi bundisti di base ripresero questo sarcasmo, accusando i bolscevichi di essere degli
irresponsabili, dei sognatori impenitenti. Il giorno precedente alla presa del potere a Pietrogrado, B.
Marshak schernì Piatakov e i bolscevichi ucraini sulla loro fiducia nella capacità dei bolscevichi di
Pietrogrado di diventare i governanti della Russia.

Essi non vedono che il cavallo da guerra bolscevico, che sembra così grande e forte, è solo
cartapesta ed è assolutamente incapace di muoversi in mezzo alla battaglia…Non sanno che
l’intero potere bolscevico risiede nell’intimidazione della folla di volta in volta: “Attenti, ci
riuniamo il giorno 20…State pronti, la convocazione è per il giorno 25…gridano, allertano, e
nient’altro. E subito gli ingenui bolscevichi di Kiev corrono all’artiglieria che non può sparare e ai
cavalli che non possono galoppare…Se il Grande Bolscevico Trockij avesse braccia
abbastanza lunghe da arrivare da Pietrogrado a Kiev, di certo prenderebbe per un orecchio il
piccolo bolscevico Piatakov: “Non fare lo stupido, chiedi a chi è più vecchio di te”. 71

I bundisti bielorussi non furono così presuntuosi come i loro compagni ucraini. Il loro
organo, Der Veker, ammonì che i bolscevichi si stavano preparando a creare un nuovo governo,
con la forza se necessario:

Il grave malcontento delle masse, la rabbia, la stanchezza – tutto è utile per la propaganda
bolscevica…Il risultato si vedrà presto: una riedizione delle giornate di luglio…I nostri compagni
ovunque devono essere pronti a fare un’energica resistenza contro i piani
bolscevichi…Lavorare per l’Assemblea Costituente: tutti coloro che hanno ancora un senso di
responsabilità per il destino della rivoluzione devono concordare su questo.72

70
Di Arbeter Shtime, luglio 1917
71
Folkstseitung, 24 ottobre (6 novembre) 1917
72
Der Veker, 18 ottobre 1917

34
4.
I BOLSCEVICHI PRENDONO IL POTERE

L’insurrezione bolscevica e le reazioni nel Bund. I dirigenti bundisti valutarono in


maniere differenti la rivolta bolscevica dell’Ottobre 1917. La grande maggioranza sembrò credere
che si trattasse semplicemente di un colpo di stato militare “compiuto da un pugno di avventurieri,
sostenuti da un esiguo contingente di soldati e operai armati…Crediamo che il colpo di mano
bolscevico sia sbagliato”73. Il colpo di mano venne considerato un grave crimine contro la libertà e
la rivoluzione poiché avveniva a tre settimane dall’elezione dell’Assemblea Costituente. I
bolscevichi avevano aperto la via alla controrivoluzione e dovevano essere rovesciati, a condizione
che “gli avventurieri bolscevichi siano liquidati dalle stesse forze della democrazia”74. Una
coalizione socialista avrebbe convocato l’Assemblea Costituente, avrebbe assegnato la terra ai
soviet dei contadini, e avrebbe proceduto ai negoziati di pace.
Zaslavsky ricordò che Engels aveva avvertito che una conquista prematura del potere
poteva solo portare al disastro, definì il colpo di mano bolscevico “la rivolta di una guarnigione
senza alcun supporto di massa” e disse che “la rivoluzione socialista di Lenin e Trockij è destinata
a fallire”. L’azione non era altro che una grottesca parodia della Comune di Parigi. Abramovich usò
parole meno dure: “Ogni classe oppressa, specialmente la classe operaia, tende sempre al
‘massimalismo’…soprattutto nelle fasi rivoluzionarie”. Le masse erano sensibili alla demagogia
bolscevica perché non potevano comprendere dottrine socialiste più sofisticate. L’opposizione
militare al bolscevismo avrebbe soltanto portato la masse nelle braccia di quest’ultimo, poiché in
quel momento il popolo vedeva le cose in bianco e nero75. Henryk Erlich provò a individuare la
base sociale del bolscevismo: “Oggi il bolscevismo non ha neanche una traccia di socialismo; oggi
rappresenta la più bassa forma di anarchismo…i rifiuti della società, la feccia del proletariato e dei
contadini”76. Dal momento che il livello culturale dei lavoratori russi era inferiore rispetto alla loro
controparte occidentale, affermò Erlich, era comprensibile che i primi stadi di sviluppo del
proletariato russo assumessero la forma del bolscevismo. Dal momento che i lavoratori ebrei
appartenevano per lo più a un segmento del proletariato più istruito, tra loro il bolscevismo aveva
un seguito limitato. Ma, avvertì Erlich, molti proletari ebrei a Kiev avevano votato per i bolscevichi
alle elezioni dell’Assemblea Costituente. Erlich ipotizzò che “sarebbe sorprendente se un
movimento come il bolscevismo si diffondesse tra gli ebrei”, ma affermò che la cosa sarebbe stata
temporanea, poiché i lavoratori ebrei non avrebbero mai sostenuto un partito “che accetta senza
problemi la presenza dei Centoneri nelle vicinanze”77.
Alcuni bundisti, così come alcuni menscevichi, espressero il timore che un’opposizione
militare al bolscevismo avrebbe permesso alle forze della reazione di dividere il campo
rivoluzionario e di muovere verso la restaurazione del potere. Moshe Rafes, leader bundista in
Ucraina, avvertì che “tutte le forze reazionarie” avrebbero potuto unirsi al Governo Provvisorio per
sopprimere i bolscevichi e quindi restaurare i propri privilegi. “Non dobbiamo dimenticare che una
parte della classe operaia, fuorviata dai bolscevichi, sta combattendo nelle strade di Pietrogrado;
soffocare questa rivolta significa disgregare molti soviet operai, e molti sindacati nei quali i
bolscevichi sono forti e ben considerati”78. I bolscevichi avevano compiuto un crimine contro la
rivoluzione, ma il Bund non poteva sostenere il Governo Provvisorio destituito, perché avrebbe
significato gettare la rivoluzione nelle braccia della borghesia. La sola via per uscire dall’impasse
sarebbe stata un nuovo governo.
Un altro bundista ucraino affermò che il bolscevismo era

73
Di Arbeter Shtime, 13 (26) novembre 1917
74
ibidem
75
ibidem
76
Folkstseitung, 8 dicembre 1917
77
ibidem
78
Folkstseitung, 28 ottobre (10 novembre) 1917

35
Un movimento di massa, ma un movimento di massa non può certo essere creato
artificialmente dai capricci di pochi individui come Lenin, Trockij etc. Che questo sia un
movimento di massa è provato dal fatto che la maggioranza del proletariato e della guarnigione
di Pietrogrado lo sostengono…Dobbiamo ricordare che in questo movimento ci sono le voci di
milioni di operai e soldati, la voce della fame, delle ristrettezze, della povertà…e se questo è un
movimento di massa, un legittimo e umano grido di dolore, noi socialisti non possiamo rimanere
indifferenti. Non possiamo reagire con i vecchi metodi – reprimerlo, silenziarlo – pensando che
così esso finisca.79

Simili posizioni furono espresse nel Bund bielorusso. Pur vedendo nel colpo di mano
bolscevico “il più grave pericolo per la rivoluzione”, il Bund bielorusso riconobbe che esso aveva
una base di massa, risultato non della “furia degli agitatori” ma della fame, dei bisogni primari, della
stanchezza80. Una conferenza di organizzazioni bundiste in Bielorussia sottolineò che le
sofferenze accumulate dalla classe operaia e dall’esercito avevano indirizzato questi ultimi “sulla
via dell’anarchia”.
Per quanto differentemente valutassero l’azione bolscevica, tutti i bundisti rimasero
fermamente contrari al monopolio bolscevico del potere. Per quanto si sa, soltanto un dirigente
bundista appoggiò senza mezzi termini la presa del potere bolscevico. Costui fu Benjamin
Kheifetz, un bundista di Odessa che aveva definito l’insurrezione bolscevica “un’avventura” ma era
entrato nel comitato militare rivoluzionario locale. Il Bund immediatamente gli chiese di chiarire la
sua posizione, ed egli lo fece dicendo che i bolscevichi erano degli avventurieri ma che la natura di
massa della loro impresa rendeva possibile trasformarla in una lotta “per obiettivi democratici
generali”, il che avrebbe evitato una guerra civile81.
Pare che due comitati del Bund – quello di Odessa e quello di Ekaterinoslav – entrarono nel
comitato militare rivoluzionario bolscevico di ciascuna delle due città – pur continuando a
proclamare la propria opposizione ideologica al bolscevismo82.
Per quanto riguarda Vladimir Medem, egli nel 1917 era in Polonia, e non riuscì a
raggiungere Pietrogrado. Non potè dunque assistere in prima persona alla presa del potere da
parte dei bolscevichi nel novembre 1917, ma in seguito analizzò le cause profonde
dell’insurrezione, soffermandosi sull’incapacità da parte dei menscevichi di agire adeguatamente.
Secondo Medem, i menscevichi avevano malgiudicato la situazione concreta. Essi non credevano
che il capitalismo in Russia si fosse sviluppato a sufficienza per una rivoluzione socialista; e che i
lavoratori non potessero assumersi la responsabilità dello sviluppo del capitalismo in Russia.
Medem riconobbe che la logica era dalla loro parte. Ma la logica, scrisse, a volta si scontrava con i
fatti storici reali. La lotta di classe era un fatto, generato da fatti economici e politici concreti: fame,
inflazione, disoccupazione e collasso militare. “La lotta di classe potè di più dell’abilità oratoria di
Kerenskij e Cereteli”83.
Il risultato, disse Medem, fu la rivoluzione di novembre, la presa del potere bolscevico. “I
lavoratori proclamarono: Ciò che dobbiamo fare è allungare le mani e diventare i governanti del
mondo intero – noi, i proletari…Allora, perché non lo facciamo?’ La coscienza di classe giunse a
questa conclusione spontaneamente, e su questa base ebbe luogo la rivoluzione bolscevica”84.
I menscevichi si trovarono di fronte un colossale, cieco e spontaneo movimento di massa.
“Nelle strade vi era una massa che non faceva per nulla complessi ragionamenti politici; una
massa che poteva essere orientata soltanto con slogan semplici: ‘Abbasso i padroni!’ ‘Abbasso i

79
ibidem
80
Der Veker, 10 (23) novembre 1917
81
Folkstseitung, 10 (23) novembre 1917. Kheifetz sostenne i bolscevichi anche quando nel gennaio 1918 sciolsero
l’Assemblea Costituente. Abramovich nel suo libro lo descrive come “una persona di temperamento forte, e con le
abilità oratorie dell’agitatore. Scuro come un tataro, con occhi neri fiammeggianti e capelli lunghi e lisci che spesso gli
ricadevano sulla fronte, parlava rapidamente e rabbiosamente. Non aveva idee proprie. Ma le masse erano ammaliate
dal fuoco rivoluzionario e dal temperamento che lo animavano…Nel 1923 fu a Berlino…Insieme a Karl Radek preparò
la ‘Rivoluzione d’Ottobre’ tedesca”.
82
Moshe Rafes, Dva goda revolutsii na Ukraine, 1920
83
Vladimir Medem, Der Goirl fun Der Russishe Revolutsie, 1918
84
ibidem

36
dominatori!’ ‘Diventiamo noi stessi padroni della nostra terra!’ I lavoratori abbandonarono i
menscevichi e andarono sotto la bandiera di Lenin”85.
Secondo Medem, il fatto che le masse non fossero politicamente preparate alla rivoluzione
sociale avrebbe condannato quest’ultima al fallimento. La ragione era semplice: la maggioranza
dei 240.000 aderenti al bolscevismo erano “socialisti di marzo”, unitisi al movimento dopo la caduta
dello Zar. Non erano diventati bolscevichi perché condividessero le tesi di Lenin; si erano uniti al
movimento perché volevano stare dalla parte del vincitore, e ritenevano che i bolscevichi
avrebbero vinto. Essi divennero così una minoranza determinata, “piena di energia e di iniziativa”,
che riuscì a “condurre le masse in una fase di lotte e tensioni molto forti”. Ma questa minoranza
non poteva ricavare dalle masse il supporto necessario per la costruzione di una società socialista.
Medem respinse l’idea che il socialismo potesse essere creato da una minoranza: “Il
socialismo è il governo – reale, non fittizio – della maggioranza che deve in ultima analisi prendersi
sulle spalle il proprio destino. Un socialismo basato sul governo della minoranza è assurdo”. I
bolscevichi ammettevano di essere una minoranza; dunque il socialismo dei bolscevichi “è un
socialismo della minoranza”. E, disse Medem, il socialismo di una minoranza era “un termine
contraddittorio in sè”86.
E un fallimento ancor maggiore dei bolscevichi, dal punto di vista di Medem, era l’uso della
forza per restare al potere. I bolscevichi “mantengono il potere soltanto perchè il loro terrore ha
distrutto e reso inoffensivi i loro oppositori. Inoltre, è impossibile trovare qualcuno disposto a
subentrare al caos bolscevico. Essi mantengono il potere a causa dell’apatia del paese”.
L’uso della forza per mantenere il potere era una condizione che Medem paragonò a
“un’epoca di profonda reazione”. L’uso della forza avrebbe condotto alla controrivoluzione e al
ritorno al passato. “Ora la reazione è decorata con la bandiera rossa bolscevica. Ma si avvicina il
momento in cui la reazione sarà non marxista; il terreno è stato preparato”87.
Medem affermò che il terrore era sostenuto dalle baionette dell’Armata Rossa, composta
da mercenari che si battevano solo nella misura in cui erano pagati: questo era puro militarismo.
Bainish Mikhalevich aggiunse che invece di distruggere il militarismo, acerrimo nemico del
socialismo, la Russia “socialista” stava “spendendo tutte le proprie energie per costruire un
esercito permanente”88. Una dittatura della minoranza richiedeva una forza militare adeguata.
Mikhalevich accusò i bolscevichi di reclutare a tale scopo un esercito di lavoratori disoccupati.
Per i bundisti, Marx, Engels e Bebel avevano compiuto delle “previsioni errate”. Ma i
dirigenti del Bund negarono ogni collegamento tra le tesi marxiste e la Russia di Lenin. Il
comunismo sovietico dei bolscevichi, disse Erlich, “ha la stessa relazione con il socialismo di Marx
che le ideologie della piccola borghesia contadina, pervasa dall’idea della proprietà privata, hanno
con le idee del proletariato rivoluzionario”89.
Se il bolscevismo non era una forma di socialismo marxista, che cos’era? “Blanquismo”
replicò un leader del Bund. Egli affermò che i bolscevichi credevano che il potere politico, “la
dittatura ferrea attraverso il potere coercitivo” fosse il principale fattore di cambiamento della
società. Egli accusò i bolscevichi di considerare il potere politico superiore ai fattori economici o
alla lotta di classe; chi aveva il potere politico poteva anche imporre i cambiamenti economici e
dirigere l’economia secondo i propri desideri. Ciò era molto vicino alle teorie di Blanqui, e
contraddiceva la tesi marxista che i fattori economici fossero determinanti rispetto alla politica90.
A livello di base, in alcuni comitati del Bund la presa del potere da parte dei bolscevichi
determinò subito la divisione in fazioni favorevoli e contrarie. Si trattò comunque di episodi isolati e
limitati. Alla fine del novembre 1917 il Comitato di Bobruisk, un gruppo di 50 militanti, si
autonominò “Bolscevichi del Bund”91. Nel Comitato di Ekaterinburg, nato soltanto dopo la caduta
dello Zar, si formò un gruppo di simpatizzanti dei bolscevichi, ma non si arrivò alla creazione di una
fazione vera e propria. A quanto pare nessun gruppo filo-bolscevico cercò di lasciare
completamente il Bund. Quando si creò una fazione pro-bolscevica nel Bund di Perm, questa

85
ibidem
86
ibidem
87
ibidem
88
Bainish Michalevich, Di Sotsiale Revolutsie un der Marxism, 1918
89
Henryk Erlich, Tsi iz der Sovetn Regirung an Arbeter Regirung?, 1918
90
Bainish Michalevich, Di Sotsiale Revolutsie un der Marxism, 1918
91
Sovetskaja Pravda (periodico di Minsk), 12 dicembre 1917

37
dichiarò che “Noi lavoratori ebrei di Perm siamo uniti sotto la bandiera del Bund…siamo sicuri che
il Bund ci condurrà fino al nostro obiettivo finale – al socialismo”92. Dopo alcuni mesi, quando i
bolscevichi avevano sciolto a forza l’Assemblea Costituente e rotto l’alleanza con gli SR di sinistra
a causa della crisi di Brest-Litovsk, un periodico del Bund scrisse che “l’influenza del bolscevismo
sullle masse operaie ebraiche sta scomparendo”93.

“Correggere o rovesciare” i bolscevichi? Tentativi di governo di coalizione. Dal


momento che la rivoluzione bolscevica rappresentava un grave danno per la classe operaia, gli
altri partiti socialisti e tra essi il Bund si trovarono ad affrontare il dilemma di come combattere il
nuovo potere evitando di aprire la strada alla controrivoluzione borghese. Quest’ultima, disse
Erlich, avrebbe richiesto l’aiuto dell’imperialismo; gridando di voler eliminare il pericolo bolscevico,
avrebbe soffocato in “un bagno di sangue” le conquiste della rivoluzione. Perciò egli fece appello ai
lavoratori a unirsi per difendere la Russia dalla controrivoluzione. Egli voleva che il “regime
reazionario bolscevico” fosse liquidato dalle forze socialdemocratiche di Russia. I movimenti operai
non bolscevichi, tuttavia, erano divisi e in lotta tra di loro. Queste divisioni, lamentò Erlich, erano
l’ostacolo che impediva il rovesciamento del bolscevismo e l’ascesa di un governo socialista
democratico in Russia.94
Vi fu un certo disaccordo sui passi pratici da compiere per ostacolare i bolscevichi, o
quantomeno per “controllarli”. I medesimi disaccordi sorsero tra i menscevichi. Zaslavsky e Ester
Frumkin, convinti defensisti, espressero l’idea che il Bund non dovesse fare concessioni ai
bolscevichi e non dovesse partecipare ai soviet nei quali i bolscevichi erano forti. Ester attaccò i
bolscevichi in quanto gruppo minoritario, che creava una dittatura. “L’unità raggiunta sopprimendo
la maggioranza non è affatto unità…Non possiamo limitarci a protestare. Possiamo e dobbiamo
fare resistenza non aiutandoli e non facendo nulla per loro”95. Abramovich fu meno drastico: “Il
nostro scopo non dovrebbe essere ‘sopprimere’ il bolscevismo, ma unire tutte le forze della classe
operaia e della rivoluzione”. Se i bolscevichi non avessero fatto concessioni, “saranno costretti a
farle dalle ingenue, oneste, inconsapevoli ma genuinamente rivoluzionarie masse degli operai e
dei soldati”. Abramovich era per una coazione socialista comprendente i bolscevichi. Ciò li avrebbe
effettivamente neutralizzati e allo stesso tempo avrebbe chiaramente distinto gli avversari
democratici del bolscevismo dal campo contro-rivoluzionario, che aveva già levato il grido
“Abbasso i bolscevichi”.
La posizione di Abramovich traeva origine dal dibattito interno al menscevismo. Già in luglio
Martov si era espresso per un governo democratico basato largamente sui partiti rappresentati nei
soviet. Egli propose una coalizione che andasse dai bolscevichi ai trudoviki, come misura
preventiva per evitare che i bolscevichi “andassero da soli”. I menscevichi approvarono tale linea al
proprio Congresso straordinario del dicembre 1917. Solo l’ala destra del partito, comprendente
Potresov e il bundista Liber, continuò ad opporsi in tutto e per tutto a Lenin.
Fu così che il defensista Henryk Erlich si unì all’internazionalista Raphael Abramovich, e
Fiodor Dan a Martov, nel promuovere negoziati con i bolscevichi per la creazione di un governo
socialista di coalizione.
Martov e Abramovich misero insieme membri di vari partiti socialisti che avevano espresso
l’interesse per una coalizione socialista post-golpe. Questo progetto ebbe l’entusiastico sostegno
dell’Esecutivo panrusso dei Sindacati dei Ferrovieri, noto come Vitkzhel. Nonostante il fatto che in
alcuni colloqui privati Abramovich potè constatare che Kamenev, Zinovev, Rjazanov, Lunacharskij
e Tomskij erano favorevoli al piano, i bolscevichi respinsero la proposta, soprattutto per il parere
fortemente contrario di Lenin.
Dal momento che né i menscevichi né il Bund intendevano opporsi militarmente ai
bolscevichi, la sola cosa da fare fu andare avanti nel piano proposto da Abramovich e appoggiato
dal Vikzhel. Il Bund ucraino chiese che le dume cittadine creassero appositi comitati rivoluzionari
formati da coalizioni di “tutte le forze democratiche” che avrebbero agito come controllori dei
soldati. Tutte le energie dovevano essere dirette verso la conquista di una maggioranza

92
Shlomo Agurskij, Di yidishe komisariatn un di yidishe komunistishe sektsies, 1928
93
Evreiskii Rabochii, 12 luglio 1918
94
Henryk Erlich, Tsi iz der Sovetn Regirung an Arbeter Regirung?, 1918
95
Der Veker, 5 (18) novembre 1917

38
democratica non bolscevica nell’Assemblea Costituente. Der Veker appoggiò questa linea e ribadì
che ai bolscevichi fosse consentito di partecipare a un nuovo governo di coalizione 96. Moshe Rafes
si spinse a chiedere che il nuovo governo di coalizione avesse soltanto una minoranza di
socialdemocratici – bolscevichi e menscevichi insieme. Tutti i giornali bundisti uscirono con lo
slogan: “L’Assemblea Costituente è la sola speranza”. Il Bund ucraino elaborò un programma in
quattro punti: a) coalizione di governo estesa dai bolscevichi ai trudoviki b) iniziative pubbliche per
denunciare la minaccia bolscevica alla rivoluzione c) salvaguardia dell’Assemblea Costituente e
creazione di un governo stabile sulla base di essa d) rafforzamento delle istituzioni governative
locali. Questo programma fu fatto proprio anche dal Bund bielorusso e da organizzazioni locali
degli Unitari.
Probabilmente l’opposizione bundista ai bolscevichi fu rappresentativa dei sentimenti della
maggioranza degli ebrei russi, i quali temevano la linea politica economica e politica promossa dal
partito di Lenin. I bolscevichi constatarono l’opposizione e le resistenze del mondo ebraico: “Volete
sapere cosa accade nei quartieri ebraici? Meglio non chiederlo…Ci sono state due rivoluzioni, una
in febbraio e una in ottobre…il socialismo, i decreti, la dittatura del proletariato e simili sono
all’ordine del giorno. Beh, gli ebrei non se ne curano. Lasciamo che costoro si facciano a pezzi l’un
l’altro, dicono. A noi non interessa…”97. Molti ebrei percepirono diversamente le due rivoluzioni:
“Chi può scordare quale grande entusiasmo, quale profondo stupore, quale gioia estatica e
immenso piacere…furono suscitati nei nostri cuori dalla prima rivoluzione russa? L’anima stessa
intonava la Marsigliese…L’essenza della seconda rivoluzione, quella bolscevica, non fu la stessa
rispetto alla prima; l’essenza della rivoluzione d’Ottobre fu la dittatura…la dittatura di una
minoranza sulla maggioranza”98.
Consapevoli di tali sentimenti, i bolscevichi iniziarono a cercare il sostegno delle masse
ebraiche e a limare l’egemonia che tra esse avevano partiti come il Bund, i menscevichi, i cadetti.
Essi introdussero un nuovo attore sul palco della politica ebraica. Fino ad allora avevano giocato
un ruolo secondario, ma finirono per impadronirsi della scena.

Lo scioglimento dell’Assemblea Costituente. Dopo la presa del potere del 7 novembre


1917, il secondo colpo di mano bolscevico fu lo scioglimento dell’Assemblea Costituente del 18
gennaio 1918. Le elezioni per l’Assemblea, rinviate a lungo durante il governo Kerenskij, si erano
tenute finalmente il 25 novembre 1917, con il seguente esito: 410 seggi al Partito Socialista
Rivoluzionario, di cui 40 alla neonata fazione di sinistra, filo bolscevica (PLSR); 175 ai bolscevichi;
86 ai partiti nazionali tra cui il Bund; 18 ai cadetti; 16 ai menscevichi. Lenin si espresse per lo
scioglimento dell’Assemblea già nel dicembre del 1917, in una serie di tesi pubblicate sulla Pravda.
Egli giustificò la propria posizione sostenendo che ormai il potere vero e proprio apparteneva al
governo sovietico, e inoltre che le liste dei candidati all’Assemblea erano state formate alcuni mesi
prima, ancora sotto Kerenskij, e dunque gli eletti non rispecchiavano i mutati equilibri tra i partiti e il
mutato orientamento delle masse.
All’apertura della prima seduta dell’Assemblea, la sera del 18 gennaio 1918, il bolscevico
Sverdlov prese temporaneamente il posto della presidenza all’SR Cernov e chiese di approvare la
Dichiarazione dei Diritti del Popolo Oppresso e Sfruttato, che rimetteva il potere nelle mani
dell’Esecutivo dei soviet. Ne seguì un lungo dibattito. A mezzanotte la Dichiarazione venne
respinta con 237 voti contro 138. Nelle prime ore del mattino i bolscevichi si ritirarono e un’ora più
tardi il marinaio Zeleznjakov annunciò a Cernov che la seduta andava sospesa “perché la guardia
è stanca”. Fuori dal palazzo le guardie rosse spararono sulla folla che manifestava pacificamente
in favore dell’Assemblea, suscitando l’indignazione di Maksim Gorkij, il quale paragonò l’episodio
alla Domenica di Sangue del 1905.
Nel settembre 1918, dal carcere in Germania, Rosa Luxemburg scrisse un saggio sulla
Rivoluzione russa, nel quale pur elogiando la presa del potere bolscevica e attaccando
l’“opportunismo” dei menscevichi, prese posizione contro lo scioglimento dell’Assemblea
Costituente, la repressione degli altri partiti e il carattere burocratico e gerarchico del sistema dei
soviet che vi si era sostituito.

96
ibidem
97
Di Varheit, 1 maggio 1918.
98
Kavkazer Volkhenblat, 14 aprile 1919

39
Certo, ogni istituzione democratica ha i suoi limiti e le sue mancanze, ciò che del resto
condivide con la totalità delle istituzioni umane. Ma il rimedio che Trockij e Lenin hanno trovato,
l’accantonamento in generale della democrazia, è ancora peggiore del male a cui dovrebbe
ovviare. Soffoca cioè la sorgente vitale stessa, a partire dalla quale soltanto possono venir
corrette tutte le insufficienze congenite alle istituzioni sociali: una vita politica attiva, libera ed
energica delle più larghe masse.
…col soffocamento della vita politica in tutto il paese anche la vita dei soviet non potrà
sfuggire a una paralisi sempre più estesa. Senza elezioni generali, libertà di stampa e di
riunione illimitata, libera lotta ideologica in ogni pubblica istituzione, la vita si spegne, diventa
apparente e in essa l’unico elemento attivo rimane la burocrazia. La vita pubblica si addormenta
poco per volta…una elìte di operai viene convocata di quando in quando per battere le mani ai
discorsi dei capi, votare unanimemente risoluzioni prefabbricate…una ditttatura, certo: non la
dittatura del proletariato, tuttavia, ma la dittatura di un pugno di politici, vale a dire la dittatura
nel senso borghese, nel senso del dominio giacobino…99

Scavando nell’analisi marxista, il menscevico Martov nel 1919 in una serie di articoli compì
un’acuta critica allo scioglimento forzato del “parlamento borghese” da parte della minoranza
bolscevica, e riprendendo Marx e l’ultimo Engels contrappose all’idea di distruzione delle istituzioni
borghesi l’idea della conquista e democratizzazione di esse. Analizzando i giudizi di Marx ed
Engels sulla Comune di Parigi, Martov sottolinea come per loro la conquista della maggioranza
parlamentare e l’eliminazione delle parti coercitive dello stato fosse la forma stessa della dittatura
del proletariato. Solo in seguito la progressiva e quasi spontanea estinzione dello stato, che
avviene nel corso delle generazioni, porta al comunismo.

Il proletariato amputa i lati peggiori dello stato democratico (ad esempio la polizia, l’esercito
permanente, la burocrazia indipendente, l’eccessiva centralizzazione etc. etc.) ma non elimina
lo stato democratico stesso, anzi lo crea al posto della “macchina militare e burocratica già
pronta” che si trova a dover spezzare.
“Se vi è qualcosa di certo, è proprio il fatto che il nostro partito e la classe operaia possono
giungere al potere soltanto sotto la forma della repubblica democratica. Anzi, questa è la
forma specifica per la dittatura del proletariato, come ha già dimostrato la grande Rivoluzione
francese”.
Così scriveva Engels nella “Critica al progetto del Programma di Erfurt nel 1891”. Engels parla
non di una repubblica “sovietica” (questa forma sociale non si conosceva ancora), non di una
repubblica-Comune contrapposta allo stato, non di una “repubblica delle trade-unions” come
l’avevano ideata Smith e Morrison o i sindacalisti francesi: parla chiaro e tondo di una
repubblica democratica, cioè di uno stato democratizzato da cima a fondo che viene ereditato
dal proletariato “come un male”.
Chiaro e tondo al punto che Lenin, citando queste parole, ritiene necessario oscurarne subito
il significato. Lenin dice100:
“Engels ripete qui, mettendola particolarmente in rilievo, l’idea fondamentale che attraversa
come un filo ininterrotto tutte le opere di Marx: la repubblica democratica è la via più breve
che conduce alla dittatura del proletariato”
…Engels parla non di “via che conduce alla dittatura”, come commenta Lenin, ma della forma
politica specifica per la realizzazione della dittatura. La dittatura, secondo Engels, si realizza in
una repubblica democratica. Lenin considera la repubblica democratica soltanto un mezzo per
acuire al massimo la lotta di classe e porre in tal modo il proletariato davanti al compito della
dittatura.101

…le minoranze estremiste del proletariato socialista cercano in pratica di scavalcare la difficoltà
dell’attuazione di un’autentica dittatura di classe in un momento in cui questa classe, persa la
sua unità interna nella crisi della guerra, non è in grado di condurre una lotta immediata per
scopi rivoluzionari. In fin dei conti, l’illusione anarchica di distruzione dello stato cela la tendenza
a concentrare tutta la forza coercitiva dello stato nelle mani di una minoranza proletaria…L’idea
di una rottura radicale con tutte le forme precedenti, borghesi, di rivoluzione – sottoforma di un

99
Rosa Luxemburg, La Rivoluzione russa, 1918
100
In Stato e Rivoluzione, 1917
101
Julij Martov, Il bolscevismo mondiale, 1919 (par. 10)

40
“sistema dei soviet” – cela quindi l’applicazione forzata e costrittiva, dovuta alle circostanze
esteriori e alla condizione interiore del proletariato, di quei metodi di lotta per il potere che erano
stati caratteristici delle rivoluzioni borghesi, le quali venivano sempre compiute mediante il
passaggio del potere da una “minoranza cosciente basata su una maggioranza inconscia” a
un’altra.102

102
Julij Martov, Il bolscevismo mondiale, 1919 (par. 11)

41
5.
LA CREAZIONE DEL COMMISSARIATO EBRAICO
E DELLE EVSEKTSIIA
Gli ebrei bolscevichi prima del 1917. I bolscevichi praticamente avevano condotto
pochissima propaganda o agitazione tra le masse ebraiche prima del 1917. Di conseguenza, vi
erano pochissimi ebrei bolscevichi, e quasi nessun ebreo bolscevico aveva familiarità con l’yiddish
e con la vita ebraica. Dal censimento di partito del 1922 risultò che solo 958 membri ebrei del
Partito Comunista si erano uniti ad esso prima del 1917. Nel 1922 meno del 5% dei membri ebrei
del Partito erano stati bolscevichi prima del 1917.
Dentro il Partito Operaio Social Democratico Russo, gli ebrei si erano concentrati nel Bund
e nella fazione menscevica. Per esempio quasi 100 delegati ebrei, un terzo del totale,
parteciparono al Congresso del POSDR nel 1907. Un quinto dei delegati menscevichi erano ebrei.
“Ciò non può essere stato un caso. Ma se si considera che il Bund e i menscevichi condividevano
lo stesso punto di vista su molti aspetti della politica del partito, possiamo concludere che in
entrambi in casi vi fu un’interpretazione del marxismo particolarmente rispondente alla tradizione e
al temperamento ebraici”103.
Nel 1917 comunque vi erano alcuni bolscevichi di livello con origini ebraiche. Dei 21
membri del Comitato Centrale dell’agosto 1917, 6 erano di origini ebraiche: Kamenev, Sokolnikov,
Sverdlov, Trockij, Urickij e Zinovev. Questi bolscevichi erano ebrei soltanto per il retroterra
familiare. Trockij, ad esempio, dichiarò esplicitamente la propria mancanza di interesse per la vita
ebraica e ribadì che la propria famiglia aveva legami molto tenui con il giudaismo. Si è creduto che
egli avesse studiato il Vecchio Testamento in ebraico, ma “il livello di apprendimento…rimase
piuttosto vago…E’ strano che la scuola primaria mi lasciò ben poco…Non avevo amici intimi tra i
compagni di scuola, e non parlavo yiddish”. Il padre di Trockij era un agricoltore, un impiego
insolito per un ebreo. Egli “sin da giovane non aveva mai creduto in dio, e negli anni successivi
espresse il proprio ateismo davanti alla moglie e ai figli. Mamma preferiva evitare l’argomento”104.
Lev Trockij non sentì mai particolare affinità culturale con gli ebrei, né si sentì mai perseguitato in
quanto ebreo.

Nella mia formazione, la nazionalità non occupò mai un posto autonomo, poiché nella vita
quotidiana contava ben poco…L’oppressione nazionale probabilmente fu una delle cause
fondamentali della mia insoddisfazione per l’ordine vigente, ma andò perduta nel mezzo di tutte
le altre componenti dell’ingiustizia sociale. Non svolse mai un ruolo primario – e neppure
riconosciuto – nella mia lista di rivendicazioni. 105

A quanto pare Trockij respinse qualunque traccia di identità ebraica. Si dice che una volta
abbia affermato: “non sono un ebreo ma un internazionalista”.
L’atteggiamento di Trockij verso l’ebraismo e gli ebrei fu abbastanza simile a quello di altri
dirigenti bolscevichi di origine ebraica, e di altre figure rilevanti del movimento marxista mondiale.
Uno degli amici della giovinezza di Radek riporta che Radek “non era per nulla interessato” al
popolo ebraico e ai problemi ebraici, e che la sua famiglia fece in modo che egli imparasse il
tedesco e non l’yiddish106. Secondo J.P. Nettl, i nonni di Rosa Luxemburg si erano già assimilati
alla cultura polacca e “ogni segno di autocoscienza ebraica la indisponeva immediatamente”107.
Nel 1917 Rosa scrisse a un amico: “Perché mi parli dei guai specifici degli ebrei? A me dispiace in
egual modo dell’oppressione degli indiani Putumayo, dei neri dell’Africa…Non riesco a trovare nel

103
Leonard Shapiro, The Role of the Jews in the Russian Revolutionary Movement, 1961
104
Lev Trockij, La mia vita, 1930
105
ibidem
106
Warren Lerner, Karl Radek: the Last Internationalist, 1970
107
J.P. Nettl, Rosa Luxemburg, 1969

42
mio cuore un angolo speciale per il ghetto. Mi sento a casa in ogni parte del mondo, ovunque vi
siano nuvole, uccelli, e lacrime umane”108.
I dirigenti bolscevichi di origine ebraica sembrano avere avuto le caratteristiche del
cosiddetto “uomo marginalizzato”. Come descritto per la prima volta dai sociologi Robert Park e
Everett Stonequist, l’uomo marginalizzato è “un individuo che il destino ha condannato a vivere in
due società e in due ambiti culturali non solo differenti, ma anche antagonistici”, un uomo “posto in
una condizione psicologica di incertezza, al confine tra due (o più) mondi sociali”. Alcune
conseguenze dello status di marginalità sono lo sviluppo da parte di tale individuo di “relativismo
rispetto al proprio ambito culturale…orizzonte più ampio, intelligenza più acuta, opinioni più
distaccate e razionali”109. Ma, come Simpson e Yinger sottolineano, la marginalità è associata
anche a “un’ambivalenza, una costante tensione comportamentale, che accresce l’autocoscienza
e l’attenzione verso di sé. Ciò può produrre una forma di odio verso se stessi…e un complesso di
inferiorità, o può esprimersi in egocentrismo, chiusura, e/o aggressività…”110. Dal momento che
molti bolscevichi ebrei erano nati al di fuori della Zona, o se erano nati nella Zona tendevano più o
meno consapevolmente a misconoscere il proprio ambiente sociale, ne deriva che essi non furono
mai integrati nella società ebraica. Dall’altra parte, a causa delle restrizioni imposte agli ebrei dal
sistema zarista essi non poterono mai sentirsi pienamente integrati nella società russa, e
vedevano la cultura russa come “superiore” rispetto a quella ebraica. Indubbiamente il movimento
socialdemocratico, con la sua sottovalutazione della etnicità, attirò questi “ebrei non ebrei”, e fornì
loro una soluzione teorica e pratica alla propria dolorosa condizione psicologica. Ciò non significa
tuttavia che gli ebrei bolscevichi non si preoccupassero minimamente della questione etnica: si
può dire che la considerassero più un fardello che altro. Semen Dimanshtein, l’unico bolscevico di
un certo livello che aveva familiarità con gli usi e i costumi ebraici, nel 1928 affermò che “durante i
15 anni di esistenza del partito soltanto il programma del partito panrusso, tradotto orribilmente in
yiddish, oltre a pochi proclami in yiddish, furono pubblicati…Questo è tutto ciò che il partito fece
per il mondo ebraico”111. Dimanshtein ricorda che negli anni della reazione, sebbene avesse a
volte discusso coi rappresentanti dei partiti ebraici, “non ottenni alcun risultato positivo nella
società ebraica”112. Gli storici sovietici in seguito affermarono che dopo il Congresso del POSDR
del 1903 alcuni lavoratori ebrei lasciarono il Bund e si unirono ai bolscevichi, senza però fornire
dati in proposito. Dimanshtein ammette che

gruppi di lavoratori piuttosto numerosi lasciarono il Bund, ma non entrarono nel nostro partito.
Si misero in proprio, ed entrarono in contatto con nuovi strati di proletari…Questi compagni
erano contrari al nazionalismo e opportunismo del Bund, ma non arrivarono a nulla; terrorizzati
dalla “assimilazione”, credevano che l’Iskra non avrebbe utilizzato l’yiddish, che nei circoli
dell’Iskra ai lavoratori ebrei sarebbe stato insegnato il russo e che tutto il lavoro sarebbe stato
svolto in quella lingua. Quando dissi loro che tale metodo non sarebbe mai stato usato nel
lavoro di massa del partito, mi guardarono con sospetto…Il fatto di fare uno scarso lavoro in
yiddish ebbe conseguenze negative per noi. Tutte le difficoltà nascevano dal fatto che i nostri
attivisti dell’Iskra, anche chi tra loro era ebreo, non conoscevano l’yiddish…e in questo
momento cruciale non disponevamo di pubblicazioni in yiddish. 113

Dimanshtein lamentò anche il fatto che gli attivisti del Bund impedissero la diffusione di
opuscoli bolscevichi tra i lavoratori ebrei.

Gli ebrei e il governo bolscevico. Nonostante la chiara evidenza che il bolscevismo non
fosse per nulla un “movimento ebraico”, sia i suoi oppositori che i suoi sostenitori lo videro come
tale. Membri del vecchio regime definirono il nuovo governo sovietico un “governo ebraico” e
affermarono di credere che la Russia fosse “caduta nelle mani degli ebrei”. Il console inglese a
Kiev si convinse che i bolscevichi potessero essere influenzati dai sionisti, considerandoli

108
ibidem
109
Everett Stonequist, The Marginal Man, 1937
110
George Eaton Simpson e Milton Younger, Racial and Cultural Minorities, 1965
111
Introduzione a Shlomo Agursky, Di yidishe komisariatn un di yidishe kommunistische sektsies, 1928
112
Introduzione a Shlomo Agursky, Der idisher arbeter in der komunistisher bavegung, 1925
113
Semen Dimanshtein, Di natsionale frage afn tsvaitn tsuzamenfor fun der partai, 1934

43
appartenenti alla medesima nazione. Secondo un resoconto alcuni ebrei convertiti di Mosca si
riconvertirono all’ebraismo, credendo che i bolscevichi fossero dalla parte degli ebrei, e “ci furono
casi in cui cristiani, sinceri cristiani, dopo la Rivoluzione decisero di convertirsi all’ebraismo”114.
L’idea che il regime bolscevico fosse di tipo “ebraico” si diffuse probabilmente a causa del
numero relativamente elevato di ebrei che nel 1917 improvvisamente entrarono in ruoli
amministrativi, dai quali erano stati esclusi durante lo zarismo. La presenza di ebrei ai vertici dello
stato divenne tale che quando fu proposta un’alleanza ebraica per le elezioni dell’Assemblea
Costituente, Maxim Vinaver ebbe a dire: “Perché noi ebrei abbiamo bisogno di un’alleanza
specifica? Qualunque partito vinca, noi saremo sempre i vincitori”115. Isaac Steinberg,
Commissario alla Giustizia nella coalizione di bolscevichi e SR di sinistra (di breve durata) del
1917 – 18, era un ebreo ortodosso e sembrò trovarsi perfettamente a proprio agio con gli atei
socialisti: “Tutti sapevano che quando le sessioni della Duma si svolgevano al sabato, un gentile
gli avrebbe portato la borsa. Si raccontava di un suo appassionato discorso ai contadini alla vigilia
dello Yom Kippur, e delle penitenze e del rigoroso digiuno osservato nella Casa dello Studente
durante lo Yom Kippur”116.
Gli ebrei furono i benvenuti da parte dei bolscevichi soprattutto perché gran parte della
vecchia burocrazia e intellighenzia non era disposta a lavorare per loro. Lenin era ben conscio di
ciò. Egli disse a Dimanshtein che il trasferimento della “intellighenzia media” ebraica nelle grandi
città in tempo di guerra aveva “grande significato per la rivoluzione”. Questa intellighenzia aveva
neutralizzato il boicottaggio del regime bolscevico da parte dell’intellighenzia russa. Per usare le
parole di Lenin, essa aveva “sabotato i sabotatori”. Allo stesso tempo, Lenin suggerì che ciò non
dovesse essere enfatizzato nella stampa perché “in un paese contadino potrebbero sorgere odiosi
sentimenti di rivalsa basati sull’antisemitismo”117.
L’ascesa ai posti di governo di librai, geometri, artisti e insegnanti ebrei non significò che il
comunismo avesse improvvisamente convinto le menti e i cuori di tutti gli ebrei istruiti. A riprova di
ciò, nel 1922 risultò che nel corso del 1917 soltanto 1.175 ebrei avevano aderito al partito. Non c’è
dubbio che la sete di potere patita per secoli ora potesse venire placata. Il professor Minor, un
neurologo il cui padre fu il primo rabbino capo di Mosca, spiegò che “mentre nella vecchia Russia
a causa del mio ebraismo avrei dovuto attendere anche 20 anni prima di avere una promozione,
oggi sono non soltanto professore ma anche decano della scuola di medicina. Io non sono un
radicale ma devo riconoscere i debiti degli ebrei verso il nuovo governo”118.
L’ampia visibilità degli ebrei nel regime bolscevico fu resa ancor più tale dall’elevato
numero di ebrei membri della Ceka. Le ragioni di ciò non sono del tutto chiare: si può supporre che
essendo stati oppressi dal regime zarista, i bolscevichi considerassero gli ebrei affidabili nella lotta
contro i Bianchi. Dal punto di vista ebraico non c’è dubbio che la possibilità di un potere diretto
attirò molti giovani ebrei desiderosi di vendicare i crimini contro il loro popolo perpetrati dalle forze
anti-sovietiche reazionarie. “Chiunque avesse avuto la sfortuna di finire nelle mani della Ceka,
aveva buone possibilità di essere interrogato, e magari fucilato, da un funzionario ebreo”119. Dal
momento che la Ceka era l’organo del governo bolscevico più temuto e odiato, i sentimenti anti-
ebraici crebbero proporzionalmente al terrore poliziesco.
Molti ebrei furono ambivalenti nei confronti dei bolscevichi: “Gli ebrei in Russia da un lato
erano orgogliosi del fatto che Trockij fosse alla testa dell’eroica lotta contro i pogromisti ma,
dall’altro lato, temevano che in caso di caduta dei bolscevichi…avrebbero pagato caro le gesta di
Trockij – Bronstein”120. Gli ebrei avevano molto da perdere dalla proibizione bolscevica del libero
commercio e “le masse di negozianti e artigiani potevano guardare soltanto con paura
all’esperimento comunista”121. Molti ebrei appoggiarono i bolscevichi solo per timore o odio verso i

114
Daniel Charney, A yortsendlik aza, 1943
115
M. Zipin, Di bolshevikes, di kadetn un di idn, 1918
116
In A Cherikover, In der tkufe fun revolutsie, 1924
117
Introduzione di Dimanshtein a Lenin, O evreiskom voprose v Rossii, 1924
118
In Boris Bogen, Born a Jew, 1930
119
Leonard Shapiro, The Role of the Jews in the Russian Revolutionary Movement, 1961. Anche altre minoranze
nazionali, come quella lettone, furono ampiamente rappresentate nella Ceka.
120
Daniel Charney, A yortsendlik aza, 1943
121
Avraham Yarmolinsky, The Jews and Other Minority Nationalities Under the Soviets, 1928

44
Bianchi, e questo atteggiamento crebbe col crescere delle atrocità commesse da questi ultimi o dai
nazionalisti ucraini.

Nascita dell’Evkom e delle Evsektsiia. Mentre condannava il nazionalismo ebraico, Lenin


aveva sottolineato che “la percentuale di ebrei nei movimenti democratici e proletari ovunque è più
alta della percentuale di ebrei rispetto alla popolazione complessiva”. Mentre aveva rifiutato di
riconoscere una nazione ebraica, Lenin non poteva negare il fatto che gli ebrei russi parlassero
una lingua specifica. Inoltre, Lenin riconobbe che le restrizioni imposte dallo zarismo avevano
prodotto effetti che non potevano essere cancellati dai bolscevichi per decreto. Evidentemente vi
era la necessità di una sorta di ente governativo specifico per le questioni ebraiche, che nel
contempo portasse agli ebrei il messaggio bolscevico in una lingua per loro comprensibile.
Nell’autunno del 1917, scrive Dimanshtein,

dopo aver discusso con alcuni bolscevichi ebrei, fu deciso di nominarmi Commissario per gli
Affari Nazionali Ebraici. All’epoca la questione delle sezioni di Partito non esisteva. Quindi ebbi
con Lenin una lunga conversazione sulla linea generale del lavoro da svolgere e suggerii che ci
dotassimo di strutture di partito per agire tra i lavoratori ebrei, soprattutto perché avremmo
dovuto lottare contro i partiti socialisti ebraici, e sarebbe stato molto difficile fare ciò senza dare
al lavoro ebraico del partito una determinata forma organizzativa. Per caso entrò Sverdlov, e
Lenin gli chiese la sua opinione sul mio suggerimento. Sverdlov si oppose fermamente a una
qualunque forma organizzativa per il lavoro ebraico del partito. In quel modo, disse, avremmo
creato un Bund interno, con tutti i suoi difetti, e alla fine saremmo diventati una federazione di
partiti…La sola cosa necessaria per il lavoro ebraico è un quotidiano, nulla più…Lenin disse di
non trovare alcuna idea bundista in quanto avevo detto…Lenin disse che non si poteva andare
contro i bisogni nazionali, ma che avremmo dovuto stare attenti a non cadere nel bundismo. Le
sezioni non furono menzionate.122

Lenin suggerì di convocare una conferenza degli intellettuali ebrei di tutti i partiti, allo scopo
di spiegare la natura del governo sovietico e di informare sulle possibilità di sviluppo della cultura
tra le masse ebraiche. La conferenza si svolse, ma i bolscevichi non riuscirono a convincere i
presenti a cooperare con il partito.
Dimanshtein ebbe il permesso da parte di Sverdlov, “il factotum del partito”, di pubblicare
un giornale in yiddish, Shturem Glok (Campanello d’Allarme). Ma gli eventi incalzavano, e
Dimanshtein fu inviato al fronte come agitatore. All’inizio del dicembre 1917 due nuovi arrivati
dall’America iniziarono a pianificare la produzione di materiale in yiddish che fosse “favorevole ai
soviet”. Boris Reinstein, cittadino americano di origine russa, era alle dipendenze della Sezione
Propaganda Rivoluzionaria Internazionale del Commissariato Affari Esteri. La sezione
comprendeva uomini del calibro di John Reed, Karl Radek e Bela Kun. Tra le figure di secondo
piano vi era Shlomo Agurskij, un sarto. Agurskij nei primi anni del secolo aveva fatto parte del
Bund, ma fu costretto a lasciare la Russia dopo la Rivoluzione del 1905. Tornò, dagli Stati Uniti,
nel maggio 1917. Reinstein propose ad Agurskij di organizzare un dipartimento ebraico all’interno
della Sezione Propaganda Internazionale, con lo scopo di pubblicare periodici e opuscoli in
yiddish. Questi non sarebbero stati strettamente bolscevichi nella linea ma “periodici a sostegno
dello stato sovietico”. Agurskij accettò di buon grado ma a quanto pare non fu in grado di produrre
quel materiale da solo, e non riuscì a trovare un solo editore ebreo disposto a lavorare per il nuovo
regime. Alla fine, due esuli rientrati dall’Inghilterra furono incaricati di produrre un giornale yiddish
filo-sovietico: A. Shapiro, anarchico di Londra, e A. Kantor, ex segretario del Board dei Sindacati
Ebraici a Londra. Il giornale stava per essere dato alle stampe quando Reinstein li informò che un
Commissariato Ebraico era stato appena formato, e che dovevano andare a lavorare lì123.
All’epoca, nell’ambito del Commissariato alle Nazionalità, presieduto da Stalin, erano stati
formati commissariati per i musulmani, i polacchi, i lettoni e i bielorussi. A quanto pare un
commissariato ebraico non era stato ancora formato “perché semplicemente non c’era nessuno
per farlo”124. Comunque col ritorno di Dimanshtein dal fronte e i tre emigrati della Sezione

122
Semen Dimanshtein, Lenin un di idishe komunistishe arbet, 1924
123
Shlomo Agurskij, Der idisher arbeter in der komunistisher bavegung , 1925
124
Semen Dimanshtein, Beim likht fun komunizm, 1919

45
Propaganda Internazionale (Agurskij, Shapiro e Kantor), nel gennaio 1918 il lavoro del
Commissariato per gli Affari Nazionali Ebraici, o Evkom, potè incominciare. Dimanshtein fu
appunto nominato Commissario e come vice fu scelto un SR di sinistra, Ilya Dobkovskij.
Passarono diversi mesi tra la decisione del gennaio 1918 di creare (oltre a un
commissariato ebraico) “forme organizzative” ebraiche negli apparati del Partito Comunista e la
nascita vera e propria, all’interno di quest’ultimo, di Sezioni Ebraiche (Evreiskie Sektsii, o Evsektsii,
comunemente chiamate “Evsektsiia”). Sulla questione vi furono alcune controversie. Dimanshtein
voleva formare non semplici sezioni ma un’organizzazione “in qualche modo simile” ai partiti operai
ebraici indipendenti, “e in seguito, in corso d’opera, col tempo, gli attivisti ebrei si sarebbero
convinti di dover stringere maggiori legami col partito e porre fine al proprio isolamento”. Sverdlov,
che in quanto segretario del Comitato Centrale aveva titolo su tali argomenti, si oppose
fermamente: “Egli voleva soltanto un giornale ebraico di partito, e nulla più. Ricordo come alcuni
rispettabili compagni mi accusarono di voler creare un nuovo Bund dentro il partito…”125.
Dimanshtein si appellò a Lenin “in presenza del compagno Sverdlov e di diversi altri, Lenin
approvò il mio punto di vista, e così si determinò la possibilità di un lavoro ebraico a lungo
termine”126. Dunque, mentre l’ebreo Sverdlov si opponeva a “forme separate di lavoro ebraico”, fu
Lenin, storico avversario del “separatismo” bundista, che alla fine approvò la creazione di sezioni
ebraiche all’interno del partito bolscevico – un partito sulla cui indivisibilità lui stesso aveva sempre
insistito.
Il Commissariato Ebraico, organizzato a livello centrale e locale, era considerato un organo
amministrativo:

Il Commissariato Ebraico considera proprio compito la ricostruzione della vita nazionale


ebraica su basi proletarie e socialiste. Le masse ebraiche hanno il pieno diritto di controllare
tutte le istituzioni ebraiche esistenti, di dare un indirizzo socialista alle nostre scuole del popolo,
di dare agli ebrei la possibilità di partecipare al lavoro agricolo nelle terre socializzate, di
occuparsi dei senzatetto, di badare affinchè il necessario venga fornito dal governo, di
combattere l’antisemitismo, i pogrom eccetera. 127

Il Commissariato Ebraico nel 1918 progettò la creazione di sezioni ebraiche dentro i soviet
locali. Le sezioni ebraiche locali sarebbero state subordinate a sezioni ebraiche regionali che
avrebbero tenuto i propri congressi. “Al Congresso panrusso dei soviet ebraici sarebbe stata
definita la linea generale per tutte le questioni riguardanti la vita sociale ebraica. In quella sede
verranno anche scelti il Commissario Ebraico e il Commissariato”128. Ma la proposta di sezioni
ebraiche nei soviet fu abbandonata. Questo schema, apparentemente molto simile al programma
nazionale degli Unitari, probabilmente fu accantonato nell’estate del 1918, quando l’attenzione si
concentrò sulla creazione di sezioni ebraiche nel partito. Le sezioni di partito causarono meno
controversie rispetto all’ipotesi di sezioni nei soviet, in quanto queste ultime ricalcavano da vicino il
piano di autonomia nazional culturale promosso dal Bund e dagli Unitari, e difficilmente i
bolscevichi vi avrebbero avuto la maggioranza. A quanto pare i dirigenti del Commissariato
Ebraico decisero di abbandonare l’idea dei soviet ebraici dopo il tentativo di insurrezione degli SR
di sinistra (4 luglio 1918), e proprio allora “subito iniziò la formazione di sezioni ebraiche del Partito
Comunista”129.

Alla ricerca di uomini e strutture. Nel frattempo il Commissariato Ebraico cercava con
difficoltà di reperire personale ideologicamente affidabile, con sufficiente conoscenza dell’yiddish e
della comunità ebraica russa:

Tra i pochi ebrei comunisti riuniti nel Commissariato Ebraico, non ve n’era uno in grado di
scrivere un opuscolo in yiddish degno di pubblicazione. Di conseguenza, occorreva tradurre
materiale russo. Ma ogni traduzione comportava delle difficoltà. Ognuno aveva una tale mole di

125
Semen Dimanshtein, 10 yor komprese in yiddish, 1928
126
ibidem
127
Di Varheit, 2 giugno 1918
128
ibidem
129
Shlomo Agurskij, Der idisher arbeter in der komunistisher bavegung , 1925

46
lavoro da non sapere da che parte cominciare. Dovemmo cercare dei traduttori ebrei disposti a
darci una mano dietro compenso. Ma per nessuna somma si potè trovare un ebreo disposto a
tradurre la letteratura bolscevica.130

Quando giunse a Mosca un giovane di nome Kaplan, che affermò di aver pubblicato un
settimanale in yiddish in America, fu contattato dall’Evkom e messo a tradurre in yiddish il discorso
di Lenin al Terzo Congresso dei Soviet. Stato e Rivoluzione fu tradotto da un membro del
Folkspartai, Kalmanovich, che insistette affinchè il proprio nome non comparisse. Ciò senza
dubbio fu dovuto non alla modestia, ma al timore di essere identificato come bolscevico.
Come da tradizione dei gruppi rivoluzionari, la prima attività dell’Evkom fu la pubblicazione
di un giornale. Il primo numero di Di Varheit (La Verità) comparve l’8 marzo 1918, e da allora il
periodico uscì in maniera irregolare. Dei tre membri del primo comitato editoriale, Dimanshtein,
Torcinskij e Bukhbinder, gli ultimi due non conoscevano l’yiddish, perciò Di Varheit fu praticamente
opera del solo Dimanshtein. Il giornale era l’organo ufficiale dell’Evkom, e come tale rappresentava
i bolscevichi e gli SR di sinistra, tuttavia a quanto pare “non pubblicammo alcun articolo importante
che esprimesse la posizione degli SR di sinistra”131. Così ad esempio il giornale difese il Trattato di
Brest-Litovsk, mentre gli SR di sinistra lo avevano attaccato.
In agosto il nome del giornale fu cambiato da Di Varheit a Der Emes: il significato della
parola è il medesimo, ma la prima è di uso tedesco, mentre la seconda è mutuata dall’ebraico
“haEmeth”132. Il cambiamento fu reso necessario per poter contrabbandare il giornale nei territori
occupati dalla Germania o dai nazionalisti polacchi e ucraini, perchè il Trattato di Brest-Litovsk
vietava la diffusione di giornali rappresentativi delle autorità di governo in quei territori, mentre
ammetteva la diffusione dei giornali di partito. Der Emes fu così presentato come organo del
Partito Comunista.
Le competenze dei componenti dell’Evkom furono sempre un problema. L’unico che aveva
un’appartenza di lunga data al bolscevismo e buona conoscenza della vita ebraica rimaneva
Semen Dimanshtein. Nato nel 1888 a Sebez, cittadina nel governatorato di Vitebsk, Dimanshtein
era figlio di un povero stagnino. Vivendo sotto lo stesso tetto del rabbino locale, il giovane
Dimanshtein crebbe in un’atmosfera religiosa ortodossa. All’età di dodici anni iniziò a frequentare
la yeshiva. Di lì a poco mostrò la propria indole rivoluzionaria, quando gli fu chiesto di lasciare la
celebre Yeshiva Telshe per avere partecipato a uno sciopero. Successivamente Dimanshtein
studiò alla Yeshiva di Slobodka, ove divenne un seguace del movimento musar. In seguito fu
attratto dal chassidismo, e lasciò Slobodka per la roccaforte della corrente chassidica, la Yeshiva
Lubavicher. Ordinato rabbino a Vilna, intorno al 1903 volle iniziare anche gli studi ginnasiali in
quella città, anche se in quel periodo era così povero da non avere neanche un posto dove
dormire. A Vilna entrò in contatto con i circoli socialisti illegali, che lo incaricarono di tradurre in
yiddish e in ebraico il programma del POSDR. Nel 1906 fu arrestato, riuscì a fuggire a Riga e qui
fu arrestato di nuovo nel marzo 1908, a una conferenza bolscevica. Fu condannato a cinque anni
di esilio in Siberia e ne trascorse una parte, prima di fuggire all’estero. Intorno al 1913 era a Parigi,
attivo in un’organizzazione bolscevica. Lavorò in fabbrica e fondò un circolo operaio ebraico a
Montmartre. Nel maggio 1917 rientrò in Russia, e divenne presidente del comitato bolscevico del
fronte settentrionale. Nel gennaio 1918 il “rabbino e socialista” Dimanshtein divenne Commissario
del Popolo agli Affari Nazionali Ebraici.
Gli altri membri del Evkom non erano affatto del livello di Dimanshtein, né in cultura ebraica
nè in militanza bolscevica. Ilya Dobkovskij, vice-commissario, era un SR di sinistra, designato da
quel partito come suo rappresentante nell’Evkom. Dobkovskij si qualificò come uno scrittore, e
nella breve permanenza nell’Evkom scrisse un libretto su Moses Hess, tacciandolo di socialismo
utopistico ma riconoscendo in lui un nazionalismo umanitario degno del “più profondo rispetto”133.
Quando fu scoperto che Dobkovskij in passato aveva lavorato per la polizia zarista, fu
immediatamente rimosso dall’incarico.

130
ibidem
131
Semen Dimanshtein, 10 yor komprese in yiddish, 1928
132
Il pioniere ebreo socialista Aaron Lieberman nel 1876 aveva pubblicato a Vilna tre numeri di un giornale intitolato
HaEmeth. Fu la prima pubblicazione socialista ebraica in assoluto.
133
Ilya Dobkovskij, Moses Hess – als sotsialist, 1918

47
A parte Dimanshtein, l’unica altra figura che svolse un ruolo significativo nel futuro
dell’Evkom e delle Evsektsiia fu Shlomo Agurskij. Nato nel 1884, egli era figlio di un lavoratore
della grande manifattura tabacchi Shereshevskij di Grodno. All’età di tredici anni divenne
manovale, quindi sarto. Entrò nel Bund ma non fu mai dirigente di quell’organizzazione. Nel 1905
fuggì in Inghilterra, e a Leeds entrò in un gruppo anarchico. Un anno dopo emigrò a Omaha, nel
Nebraska. Nel 1913 si trasferì a Chicago ove lavorò come sarto e collaborò con la stampa locale in
lingua yiddish, avvicinandosi agli IWW. Nel maggio 1917 lasciò gli Stati Uniti e dopo un viaggio
estenuante attraverso il Giappone e la Siberia riuscì a rientrare a Pietrogrado, dove alla fine del
1917 lo ritroviamo nell’Evkom. La sua carriera nell’Evkom fu controversa: più di un resoconto lo
cita come un uomo di mediocri capacità, e tuttavia assai orgoglioso del ruolo acquisito nei ranghi
del Partito Comunista.
Col passare dei mesi, alcuni esponenti dell’intellighenzia ebraica iniziarono a offrire i propri
servigi all’Evkom, se non altro perché il commissariato prometteva una pur misera paga nelle
feroci ristrettezze della guerra civile. L’Evkom nei primi tempi assunse il ruolo di tutela degli ebrei
indipendentemente dalla loro classe sociale o appartenenza politica: “Dimanshtein all’epoca era
ancora ‘buono con gli ebrei’…non si osava di applicare la Rivoluzione d’Ottobre nel mondo
ebraico” e alcuni ritenevano che Lenin gli avesse ordinato di “andarci piano con gli ebrei”134 poiché
erano stati perseguitati sotto gli zar.
L’Evkom era ospitato in casa dell’alta borghesia ebraica. L’editore del giornale in ebraico
Haam (La Nazione), era il mercante Persitz, la cui consorte era una dirigente del movimento
sionista. L’Evkom aveva sede nella villa di costei, dove vi erano anche gli uffici di due giornali e di
un’associazione del movimento sionista. In occasione della Pasqua ebraica ai dipendenti
dell’Evkom fu fatto divieto di portare nei propri uffici un qualsiasi cibo non kosher. “L’armonia
domestica nell’edificio era straordinariamente buona; mentre i sionisti al piano di sopra studiavano
ogni parola della Dichiarazione Balfour, gli ebrei comunisti di sotto erano chini sull’ABC del
comunismo di Bucharin”135.
Inizialmente l’Evkom provò ad arrecare supporto ai bolscevichi rivolgendosi direttamente
all’esterno. Ma le sue prime due assemblee pubbliche furono un totale fallimento in quanto vi
parteciparono soltanto dei bundisti, che zittirono gli oratori e li accusarono di non avere alcuna
preparazione tattica e organizzativa. Dobkovskij presenziò al secondo incontro. “Egli non parlò dei
compiti del Commissariato Ebraico perché né lui né il resto di noi sapevano in realtà quali
dovessero essere questi compiti”136.
In seguito l’Evkom cercò di organizzarsi in settori, creando dipartimenti per la cultura, la
stampa, l’educazione, le province, i profughi di guerra, il contrasto all’antisemitismo, e il lavoro
economico. Molto spazio fu rivolto alla sistemazione dei profughi e dei senzatetto, indirizzandoli
anche alle kehillah locali per ricevere vitto e alloggio. L’Evkom era anche un punto di riferimento
per le lettere dall’estero degli ebrei che avevano perduto la casa durante la guerra, e che
cercavano di ricongiungersi coi propri familiari.
A Mosca un gruppo di attivisti della sinistra di Poale Zion, che peroravano la cooperazione
coi bolscevichi, avevano costituito una sorta di commissariato ebraico locale. Quando l’Evkom nel
marzo 1918 fu spostato da Pietrogrado a Mosca, il commissariato di Poale Zion fu chiuso ma
l’Evkom chiese a uno di loro, Zvi Friedland, di dirigere il dipartimento per il contrasto
all’antisemitismo. Sotto la direzione di Friedland e con la collaborazione di Maksim Gorkij, il
dipartimento pubblicò alcuni articoli di condanna dell’antisemitismo, stigmatizzando gli episodi
avvenuti anche in seno all’Armata Rossa e alla Ceka.
L’Evkom incoraggiò anche la formazione di cooperative agricole di ebrei, per far fronte alla
fame e alla disoccupazione. Nell’estate del 1918 esso allestì una comune presso Mosca, formata
quasi esclusivamente da anarchici ebrei emigrati dall’Inghilterra. Il progetto non andò a buon fine.
Il dipartimento per le province fu creato nell’ottica di promuovere degli evkomy locali, e fu
affidato a Julius Shimiliovich. Nel 1918 vennero creati 13 uffici locali, ma solo 2 di questi erano in
aree densamente popolate da ebrei. Gli emissari dell’Evkom si raccomandarono che tutti coloro
“che accettano la piattaforma del governo sovietico” fosse consentito di collaborare agli evkomy e

134
Daniel Charney, A yortsendlik aza, 1943
135
ibidem
136
ibidem

48
di far parte dei circoli operai ebraici. Ciò includeva comunisti, SR di sinistra, bundisti di sinistra,
militanti di Poale Zion e lavoratori non organizzati. A Perm si formò un commissariato locale
composto da “due bundisti di sinistra, due membri di Poale Zion, un SR di sinistra e nessun
bolscevico”137.
Poale Zion fu il partito ebraico che collaborò maggiormente all’Evkom, pur essendosi
opposto alla presa bolscevica del potere con la motivazione dell’arretratezza economica della
Russia e dunque dell’impossibilità della rivoluzione socialista. La cooperazione tuttavia fu di breve
durata. Quando Zvi Friedland intervenne al congresso nazionale delle kehillah, tenutosi nel maggio
1918, gli fu chiesto perché Poale Zion lavorava con l’Evkom, e pare che egli rispose: “per far sì che
le kehillah continuino ad esistere”. A quel punto egli e gli altri del suo partito furono espulsi
dall’Evkom. All’indomani del tentativo di insurrezione degli SR di sinistra, anche gli evkomy locali
allontanarono tutti i militanti di Poale Zion.
Nel 1918 vi fu anche un significativo episodio, avvenuto a Vitebsk. In quella città il
Commissariato del Popolo all’Alimentazione aveva assunto la direzione delle istituzioni sociali
ebraiche, e iniziò a introdurre cibo non kosher alla locale casa di riposo. Il commissario locale,
ebreo ed ex sionista, non volle ascoltare le richieste degli ospiti, e alcuni di loro morirono d’inedia.
L’Evkom protestò invano fino al luglio 1919, quando Kalinin venne a Vitebsk e gli diede ragione. Il
commissario locale all’alimentazione fu processato e condannato per “uso di metodi medievali e
distruzione della fiducia delle masse nel principio comunista dell’assistenza sociale”138.
A partire dall’agosto 1918 gli SR di sinistra vennero rimossi dagli evkomy e iniziò la
costituzione delle sezioni ebraiche del Partito Comunista, le quali in alcuni casi nacquero dagli
evkomy stessi. Agurskij fondò la sezione ebraica di Vitebsk nel settembre 1918; a dicembre
nacque quella di Mogilev. Dimanshtein era a capo sia dell’Evkom che dell’Ufficio Centrale delle
Sezioni Ebraiche, e quando incaricò Daniel Charney della redazione del giornale Komunistische
Velt non fu chiaro se quest’ultimo era dipendente dell’Evkom o delle Evsektsiia. “Entrambe le
casse erano nelle sue mani (di Dimanshtein), ed egli mi pagava una volta da una, una volta
dall’altra”139.
Per legare l’attività dell’Evkom e quella delle Evsektsiia, il capo del dipartimento alle
province dell’Evkom, Shimiliovich, divenne vice di Dimanshtein e membro dell’Ufficio Centrale delle
Sezioni Ebraiche. Egli non era un burocrate, e girava di città in città per conto dei bolscevichi. A
Vilna fu eletto segretario del soviet locale ancora durante l’occupazione tedesca, e quando la
Germania si ritirò, nel novembre del 1918, iniziò i preparativi per accogliere l’Armata Rossa.
Furono tuttavia le legioni polacche a occupare la città, e il 28enne Shimiliovich si suicidò il 2
gennaio 1919 per evitare di essere catturato140.

I rapporti con i comitati di partito. Nell’agosto 1918 Dimanshtein propose al Comitato


Centrale bolscevico di convocare una conferenza degli evkomy e delle neonate evsektsiia per
meglio coordinare l’attività. Sverdlov fu contrario, sostenendo che “la fisionomia di partito delle
Evsektsiia non è abbastanza definita”141 e che questa forma di sezione nazionale entro il partito
non sarebbe durata a lungo. Ma Dimanshtein tenne duro, e alla fine il 20 ottobre 1918 la
Conferenza dei Commissariati e delle Sezioni Ebraiche si riunì a Mosca. Vi parteciparono 64
delegati – 33 dei quali non bolscevichi. I 31 bolscevichi erano quasi tutti funzionari dei
commissariati locali, mentre 28 dei 33 non bolscevichi erano insegnanti nelle scuole yiddish.
Shimiliovich e Dimanshtein intervennero sulle questioni politiche generali, Agurskij sulla questione
nazionale e i bundisti di sinistra Torchinskij e Orshanskij su temi di carattere culturale. Shimiliovich
fu “l’anima della conferenza, e Dimanshtein ne fu il cervello”142. I delegati non bolscevichi crearono
un po’ di sconcerto chiedendo che la supervisione sulle attività educative fosse trasferita
dall’Evkom alle kehillah. Quando un membro della presidenza prese la parola in russo, essi
chiesero che tutti gli interventi fossero fatti in yiddish. Gli insegnanti protestarono anche contro la

137
Di Varheit, 21 giugno 1918
138
Shlomo Agurskij, Di Oktiabr Revolutsie in Veisrusland, 1927
139
Daniel Charney, A yortsendlik aza, 1943
140
Nel 1905 Shimilovich era membro di un gruppo giovanile del Bund a Riga, la sua città natale. Nell’ottobre 1917,
sempre a Riga, fece parte del Comitato militare rivoluzionario bolscevico.
141
Semen Dimanshtein, 10 yor komprese in yiddish, 1928
142
Y. Katznelson, Di ershte konferents fun di idsekties, 1920

49
decisione di privarli del diritto di voto per tutto ciò che non riguardava le materie educative.
Dimanshtein fu eletto Commissario agli Affari Ebraici, e insieme a lui un “collegio del
Commissariato” formato da Shimiliovich, Agurskij, Rappaport e Mandelsberg. Nel suo intervento,
Dimanshtein spiegò che le Sezioni Ebraiche comuniste avevano due compiti essenziali: condurre
l’agitazione tra i lavoratori ebrei e “applicare la dittatura del proletariato nel mondo ebraico”, ovvero
diventare la forza politica egemone in seno all’ebraismo russo. Le sezioni sarebbero state formate
da nuovi membri del Partito – gli ebrei bolscevichi di lunga data sarebbero rimasti ad altri incarichi
– e per tale ragione sarebbe stata posta particolare attenzione affinchè nessuna “tendenza
nazionalista piccolo borghese” si infiltrasse nelle sezioni. “Noi non siamo un partito speciale, siamo
una parte del Partito Comunista, formata da lavoratori ebrei. Essendo internazionalisti, non ci
poniamo alcun compito nazionale, bensì soltanto compiti proletari di classe”143.
Ma molti delegati intendevano le sezioni ebraiche come qualcosa di più, e nei loro interventi
parlarono di “partito comunista ebraico”. Le sezioni locali di fatto sino ad allora si erano comportate
come organizzazioni politiche indipendenti, tenendo le proprie riunioni, reclutando nuovi membri
direttamente nelle sezioni, stampando proprie pubblicazioni spesso senza coordinarsi con il
comitato locale (partkom) del Partito Comunista, e neanche con Dimanshtein e i suoi. Spesso i
comitati locali di partito rifiutarono di riconoscere la legittimità delle sezioni ebraiche locali,
affermando che queste ultime rappresentavano una deviazione nazionalista. In particolare questo
diniego venne da parte dei membri ebrei dei comitati. “La maggior parte dei lavoratori ebrei che
entrarono nel partito usavano il russo come lingua; alcuni conoscevano l’yiddish, ma non
apprezzavano il lavoro politico quando era svolto in lingua yiddish”144. Il Partito Comunista a
quanto pare ebbe difficoltà anche con le Sezioni Lettoni, che ripetutamente tendevano a introdurre
le questioni nazionali nella propria attività ed entravano in conflitto con i partkomy.
Un tentativo di risolvere il problema dei rapporti tra Sezioni Ebraiche e Partito fu fatto due
mesi dopo la conferenza, nel dicembre 1918, quando l’Ufficio Centrale delle Evsektsiia decise che
i membri di queste ultime dovessero partecipare a tutte le riunioni di partito, pur mantenendo il
diritto di convocare riunioni specifiche delle sezioni ebraiche. Le sezioni inoltre potevano
continuare a reclutare direttamente i propri membri, ma con l’approvazione dei partkomy, e i
membri delle evsektsiia sarebbero diventati anche membri dei partkomy. Inoltre vi sarebbero state
conferenze periodiche delle “sezioni di governatorato”, e due volte all’anno un congresso generale
di partito delle sezioni nazionali. In questo modo il Partito tentava di porre un controllo sia
orizzontale che verticale sulle sezioni ebraiche locali. Questi accorgimenti tuttavia non posero fine
ai conflitti.

Mentre le sezioni ebraiche andavano faticosamente definendo la propria fisionomia, i partiti


socialisti ebraici e in primo luogo il Bund erano posti di fronte alla lotta per la sopravvivenza, a
causa della guerra civile e dell’offensiva del potere sovietico nei loro confronti. La sconfitta di
questi ultimi alla fine avrebbe permesso uno sviluppo delle Sezioni Ebraiche, che da un certo
punto in avanti poterono godere di una sorta di monopolio politico tra la popolazione ebraica della
Russia sovietica, e giovarsi di alcune “forze fresche” provenienti dai partiti socialisti ebraici in
dissoluzione.

143
ibidem
144
M. Kiper, Tsen yor oktiabr, 1927

50
6.
IL BUND E LA GUERRA CIVILE
IN RUSSIA (1918 – 20)
Il Bund e il potere bolscevico nel 1918. Dopo lo scioglimento dell’Assemblea Costituente,
all’interno del partito menscevico e del Bund emerse un’ala destra, rappresentata da Mark Liber,
che chiedeva la partecipazione a una “lotta nazionale” contro i bolscevichi. Ad essa si contrappose
una “sinistra”, rappresentata da Abramovich, che credeva che la rivoluzione mondiale fosse alle
porte, e che nonostante tutto il ponte con i bolscevichi andasse mantenuto. Nella primavera del
1918 il Comitato Centrale del Bund decise, in linea con la posizione di Abramovich e in dissenso
con quella di Liber, che i bundisti potevano accettare cariche nei soviet a condizione che
mantenessero l’indipendenza politica. Successivamente due conferenze regionali del Bund
tenutesi a Mosca e Minsk dichiararono la propria opposizione alla “dittatura bolscevica” e chiesero
elezioni locali libere, libertà di parola e stampa, il potere ai soviet, la fine del terrore, e la
proclamazione di una costituzione democratica. Le conferenze tuttavia riconobbero che se il
regime bolscevico fosse stato sconfitto dagli Alleati “la reazione internazionale” ne avrebbe tratto
vantaggio145. La conferenza di Minsk affermò specificamente che “il governo sovietico panrusso
degli operai e dei contadini è il solo organismo capace di legare la lotta per il socialismo del
proletariato panrusso a quella del proletariato mondiale”146. Yankel Levin, un giovane falegname
che era uno dei migliori organizzatori del Bund, affermò che dal momento che la borghesia aveva
adottato il termine “democrazia” per i propri slogan, come copertura per la dittatura borghese, il
Bund dovesse controbattere difendendo l’idea di dittatura del proletariato. Il Bund sarebbe stato
ancor ben distinguibile dai bolscevichi grazie alla propria enfasi sul potere dei soviet operai e sulla
sincera democrazia operaia147.
L’ambivalenza del Bund aumentò con lo scoppio di quella che sembrava essere una
rivoluzione proletaria nel novembre 1918. La Germania era sempre stata il paese cruciale per i
socialisti europei, poiché era considerata la più avanzata tecnologicamente e aveva il più grande
partito socialista d’Europa. Una rivoluzione in Germania sarebbe stata l’annuncio della rivoluzione
mondiale. Quando nel novembre 1918 i marinai di Kiel si rivoltarono e insurrezioni ebbero luogo a
Monaco e Berlino, sembrò che la rivoluzione fosse in corso, e che la sue estensione all’intera
Europa fosse solo questione di tempo. Gli intellettuali bundisti furono impressionati, e furono spinti
a rivedere la propria convinzione che la rivoluzione borghese non fosse ancora completa e che
una rivoluzione proletaria in Russia fosse un freak prematuro della storia. Raphael Abramovich
scrive che “la Rivoluzione tedesca…creò nuove tendenze nei ranghi dei bundisti. Il ‘miracolo’ della
rivoluzione tedesca stimolò forti tendenze comuniste tra le masse ebraiche”148. Le stesse tendenze
si riscontrarono tra i menscevichi. Anche Martov definì i moti rivoluzionari dell’autunno 1918 in
Germania e Austria come “l’inizio della rivoluzione socialista in Occidente”, la quale poteva
“correggere” la rivoluzione bolscevica149. Alla fine del 1918 Martov rimproverò quei menscevichi
che si distaccavano dai bolscevichi, e quegli “ondivaghi” che pensavano di formare nuovi gruppi.
Una conferenza menscevica nel dicembre 1918 decise di sostenere la rivoluzione tedesca “in
quanto apripista di una rivoluzione socialista mondiale”. Durante questa conferenza Fiodor Dan
chiese ai menscevichi di abbandonare la richiesta di assemblea costituente, e raccomandò una
crescente partecipazione ai soviet che sarebbero stati liberamente eletti. Questa “lotta sulla base
della legalità sovietica” sarebbe stata la pietra angolare della politica menscevica negli anni
immediatamente successivi150.

145
Folkstseitung, 19 febbraio 1919
146
Der Emes, 31 dicembre 1918
147
Der Veker, 22 dicembre 1918
148
Raphael Abramovich, In tsvai revolutsies, 1944
149
Israel Getzler, Julij Martov: biografia politica di un socialdemocratico russo, 1967
150
Inter-University Project on the History of the Menshevik Movement, 1960 - 62

51
Ucraina: guerra civile e pogrom. La Rada centrale ucraina, formatasi all’indomani della
caduta dello Zar, nella quale i partiti socialisti ebraici erano rappresentati, aveva garantito agli ebrei
ampia autonomia nazionale, politica e culturale151. La Rada nominò tre vice-segretari per gli affari
russi, ebraici e polacchi. Il 20 novembre 1917 i rappresentanti ebraici approvarono il Terzo
Universale, che proclamava la Repubblica Popolare Ucraina, ma lo fecero con poca convinzione,
temendo che ciò avrebbe indebolito il fronte rivoluzionario panrusso. Il 9 gennaio 1918 la Rada
garantì l’autonomia nazionale a tutte le nazionalità all’interno della Repubblica Popolare, e nel
contempo promosse i tre vice-segretari al rango di ministri. Ma quando il 22 gennaio fu varato il
Quarto Universale, che dichiarava la completa indipendenza dalla Russia, il Bund e i menscevichi
votarono contro, mentre Poale Zion, gli Unitari e i partiti ebraici di destra si astennero.
La popolazione ebraica in Ucraina non fu entusiasta dell’indipendenza del paese, temendo
che un governo ucraino indipendente sarebbe stato infiltrato da elementi antisemiti, e che la
comunità ebraica del vecchio Impero russo sarebbe stata spaccata. Il Bund ucraino, che allora
contava 5 – 6.000 aderenti, portò avanti la linea di una Russia federata. Questa linea, quando si
combinò con la crescente ostilità verso i bolscevichi accusati di voler sottomettere il paese alla
Russia, pose il Bund in una posizione difficile, osteggiato dall’una e dell’altra parte. Anche su
questa questione all’interno del Bund si formarono due linee, una contraria e una favorevole ai
bolscevichi. Ciò spinse molti politici ucraini a tacciare i socialisti ebrei di essere agenti della
russificazione, e a fomentare pogrom antisemiti.
Già nel dicembre 1917 il vice-segretario agli affari ebraici, Moshe Zilberfarb, chiese ai
membri della Rada di prendere misure concrete contro i pogrom, e i rappresentanti del Bund
provarono a far passare una risoluzione che condannava i pogrom. Ma la Rada non accolse la
richiesta, temendo di perdere il supporto delle masse ucraine e il controllo sugli organi locali.
Anche alcuni elementi della Rada stessa manifestarono tendenze antisemite: nel gennaio 1918 fu
proposto che tutti coloro che si erano stabiliti a Kiev negli ultimi due anni – di fatto ebrei rifugiati di
guerra – fossero espulsi.
I bolscevichi cannoneggiarono Kiev per nove giorni, entrando nella città il 9 febbraio 1918.
Di lì a poco però negoziarono coi tedeschi la resa di Brest-Litovsk, e lasciarono Kiev ritirandosi a
est, a Kharkiv. La Germania occupò il paese, insediando un governo fantoccio capeggiato dal
generale zarista Pavlo Skoropadskij. L’antisemitismo crebbe notevolmente. “Il contadino dovette
cedere la propria produzione, in cambio di prezzi fissi molto bassi, mentre i prodotti di manifattura
erano praticamente introvabili. Nei villaggi si diffuse la convinzione che gli ebrei avessero
abbondanza di manufatti, che tuttavia tenevano per sé. La presenza del nemico straniero non
riuscì a unire i radicali ucraini e i socialisti ebrei”152. In questo contesto all’interno delle
organizzazioni del Bund si fecero sempre più pressanti le tendenze pro-bolsceviche. Ma i dirigenti
del Bund rifiutarono di credere che i tempi per la rivoluzione socialista fossero maturi.
Con la Rivoluzione a Berlino (9 novembre 1918), il ritiro della Germania dall’Ucraina e la
caduta di Skoropadskij, l’ufficio provvisorio del Comitato Centrale del Bund ucraino adottò una
nuova piattaforma. Essa dichiarava che la rivoluzione tedesca “pone all’ordine del giorno per il
proletariato mondiale la questione della immediata liquidazione delle fondamenta dell’ordine
sociale vigente, e l’immediato passaggio all’edificazione del socialismo…La lotta che si è aperta
pone l’intero proletariato mondiale di fronte al compito della conquista del potere”153. Ma il Bund
non era disposto ad appoggiare la presa del potere da parte bolscevica, dal momento che la
rivoluzione sarebbe stata “vittoriosa solo quando le sue forze fossero state unite su scala
internazionale”154. La nuova piattaforma attaccò le tendenze anarco – blanquiste in Russia. Dal
punto di vista militare fece appello a un’alleanza con i bolscevichi contro i Bianchi, ma
politicamente si oppose “risolutamente a tutti i tentativi di fusione con quei comunisti che soltanto
ieri erano nel Bund”. La nuova piattaforma condannò la soppressione dei partiti socialisti, “la
dittatura del Partito Comunista sui soviet”, il Terrore rosso, la rovina economica dovuta

151
“Questa fu la prima volta, nella storia degli ebrei di tutti gli stati europei, che un’autonomia nazionale e culturale così
avanzata, basata su un principio legale, era stata ottenuta”. Abram Heller, Die Lagne der Juden in Russland von der
Maerzrevolution 1917 bis zur Gegenwart, 1935
152
Avram Yarmolinsky, The Jews and Other Minor Nationalities under the Soviets, 1928
153
Neie Tseit, 12 e 14 gennaio 1919
154
ibidem

52
all’“anarchismo” dei comitati di fabbrica, e alla “ignoranza cosmopolita delle peculiarità dello
sviluppo economico, culturale e nazionale di paesi e aree differenti”. La piattaforma chiedeva
l’autonomia nazional culturale in Ucraina, la convocazione di un’assemblea nazionale ebraica
provvisoria e un congresso dei lavoratori ebrei155.
L’Ucraina ora era divisa in due: i bolscevichi a Kharkiv e un Direttorio nazionalista,
presieduto da Simon Petljura, a Kiev. A partire dal marzo del 1919, i soldati del Direttorio
perpetrarono i più violenti pogrom antisemiti in Europa orientale dal 1648. Questa ondata di
pogrom spinse la popolazione ebraica a volgersi verso i bolscevichi, e in particolare verso l’Armata
Rossa: “la comparsa di un distaccamento sovietico significava relativa sicurezza per la
popolazione ebraica…Una volta tutta la popolazione di una cittadina, circa 4.000 persone in tutto,
si accodarono a un reggimento bolscevico in ritirata”156. A sua volta l’antisemitismo si accentuò, a
causa della politica delle requisizioni delle derrate alimentari: “Molti contadini il cui grano veniva
requisito da giovani commissari di origine ebraica giunsero alla conclusione che il movimento fosse
un fenomeno ebraico. Questa tragica idea apparentemente fu corroborata dal fatto che molti dei
proletari e artigiani ebrei più poveri…sostenevano i bolscevichi, nella speranza di ottenere misure
economiche eque”157.
Le armate bianche di Denikin e Wrangel furono sostenute da molti preti russi. Costoro
ritenevano un dovere combattere la guerra santa contro gli ebrei infedeli che avevano usurpato il
potere nella Santa Madre Russia. Un messaggio scritto dall’Arciprete Vostorgov, da leggere
obbligatoriamente ai parrocchiani, conteneva questa concisa formula per la salvezza del paese:
“Benedite voi stessi, picchiate gli ebrei, cacciate i commissari del popolo”158.
Sebbene vi sia un notevole dibattito storiografico sulla questione se lo stesso Simon
Petljura fosse antisemita oppure no, rimane il fatto che egli non fu in grado di controllare le proprie
truppe. La reputazione avuta in quell’epoca dall’esercito nazionalista ucraino si può evincere dalla
risposta data dal personaggio di un racconto russo alla domanda su chi avesse occupato il
villaggio quel giorno: “Aspettiamo un po’ e vediamo: se si mettono a saccheggiare i negozi ebrei,
sappiamo che sono uomini di Petljura”159. Rafes riporta che un membro del Direttorio disse a un
altro: “Aspetta. Non abbiamo ancora usato il nostro asso nella manica. Contro l’antisemitismo,
nessun bolscevismo riuscirà a durare”160.
E’ stato calcolato che dei 1.236 pogrom in Ucraina nel 1918 – 19, 493 furono commessi da
uomini dell’esercito nazionalista ucraino. L’estensione delle uccisioni e delle distruzioni è difficile
da determinare, ma si può affermare quasi con certezza che negli anni 1917 – 21 ebbero luogo più
di 2.000 pogrom, e 500.000 ebrei persero la casa in conseguenza della distruzione o
dell’abbandono del 28% delle abitazioni. Le vittime ebraiche dirette dei pogrom furono più di
30.000, e aggiungendo il numero di coloro che perirono per le ferite o per le malattie conseguenti il
numero sale a 150.000, il 10% della popolazione ebraica totale.
Gli effetti dei pogrom si fecero sentire per molti anni. La vita economica ebraica non riprese
vigore fino agli anni ’30, e per tutti gli anni ’20 una profonda crisi continuò ad affliggere la comunità
ebraica ucraina. Migliaia di bambini orfani negli anni ’20 vagavano nelle strade, mendicando o
rubando. “Bambini senza casa. Si vedono in tutte le città e cittadine, nei villaggi, nelle stazioni
ferroviarie, affamati, ammalati, svestiti, senza scarpe…Vagano dapprima con un espressione
attonita, persa, poi con la mano tesa per l’elemosina, e infine in un accampamento di piccoli
criminali…A Kiev tali bambini sono circa 5.000, a Kharkiv 3.000”161. Anche chi aveva una casa non
era in condizioni migliori. Un funzionario dell’American Relief Administration visitò una cittadina in
Ucraina nel 1922, che aveva una popolazione di circa 15.000 persone “un terzo indigenti, tra loro
2.500 bambini; 25 o 30 morti al giorno, quasi la metà bambini…Entrammo in un’altra casa in cui vi
erano due orfani. Il più grande, un ragazzo sui 14 anni, aveva un fascio d’erbe ordinatamente
posato sul tavolo con un pizzico di sale accanto, e si accingeva a cucinarlo, come unico cibo…Le

155
ibidem
156
Elias Heifetz, The Slaughter of the Jews in the Ukraine in 1919, 1921
157
John Reshetar jr., The Ukrainan Revolution, 1952
158
John Shelton Curtiss, The Russian Church and the Soviet State (1917 – 50), 1953
159
Nikolai Ostrovskij, The Making of a Hero, ed. 1937
160
Moshe Rafes, Dva goda revolutsii na Ukraine, 1920
161
Der Emes, 2 febbraio 1922

53
famiglie erano conosciute a seconda di ciò di cui si cibavano: quella del gatto, del cane, del
cavallo”162.
I pogrom furono il principale fattore di diminuzione della popolazione ebraica ucraina nel
primo quarto del ventesimo secolo. La popolazione complessiva del paese tra il 1897 e il 1926
aumentò del 35,7%, mentre quella ebraica diminuì del 4,7%, e la percentuale di popolazione
ebraica sul totale passò dall’8% al 5,6%.
Sebbene le forze di Petljura furono le principali responsabili dei pogrom, numerosi attacchi
furono perpetrati anche dall’esercito polacco, dai cosacchi degli ataman Hryhoryv e Bulak-
Balakhovich, e anche dell’Armata Rossa, seppure quest’ultima in misura molto minore. All’Armata
Rossa gli storici attribuiscono 725 vittime ebree in 106 pogrom, compiuti quasi esclusivamente dal
Primo Cavalleria di Semen Budenny, e in particolare dal reggimento Bohun. Molti soldati di
Budenny prima avevano combattuto nelle armate di Denikin. Il comando dell’Armata Rossa
condannò vigorosamente questi pogrom e inviò un reggimento composto soltanto da membri del
Partito Comunista per disarmare il reggimento Bohun. Nell’ottobre 1920 Kamenev, Kalinin e
Preobrazenskij assistettero a una parata militare in Ucraina e Kalinin fece un discorso di condanna
delle azioni anti-ebraiche da parte dell’Armata Rossa, chiedendo che i suoi soldati conducessero
una guerra di classe e non una guerra nazionale. Nello stesso mese tre reggimenti dell’Armata
Rossa furono sciolti per “atti criminali” e pogrom.
Molti giovani ebrei si arruolarono volontari nell’Armata Rossa per vendicare i crimini
commessi contro il proprio popolo. Quando i bolscevichi scacciarono da una cittadina ucraina le
forze di Petljura, i feriti lasciati da quest’ultima furono passati per le armi:

Un soldato ebreo di Berdichev era in preda a una furia omicida. Voleva ripulire nell’erba la
baionetta dal sangue e ad ogni testa tagliata gridava: “Questo è il conto per la mia sorella
uccisa, questo per l’uccisione di mia madre”. La folla di ebrei…tratteneva il respiro e taceva.163

Fu allestita una sezione speciale dell’Armata Rossa per reclutare i giovani ebrei. L’Armata
Rossa accoglieva volentieri le reclute ebree ma riconosceva che “molti entrano nell’Armata Rossa
in parte a causa dell’odio per i pogromisti bianchi”, e chiese che ci fosse una forte propaganda tra i
volontari ebrei. In una lettera scritta in quel periodo Trockij riconobbe che gli ebrei erano altamente
urbanizzati e che “in questa popolazione urbana elementi dell’intellighenzia piccolo-borghese
ebraica, così come del proletariato ebraico (come di quello russo), furono spinti sulla strada della
rivoluzione dalle insopportabili condizioni di vita create dal regime zarista. Tra gli arrivè comunisti ci
sono molti per i quali il comunismo non deriva da una base di classe, ma da una base nazionale.
E’ chiaro che costoro non sono i migliori comunisti e che il governo sovietico non si basa su di
loro”164. Questa analisi è giusta: anche gli ebrei che avversavano il bolscevismo sul piano
ideologico o politico, tuttavia sostennero l’Armata Rossa.

Alla stazione Klinovka fui sorpreso di vedere una compagnia dell’Armata Rossa composta
interamente di ebrei e comprendente anche alcuni…studenti delle yeshiva di Proskurov che si
erano uniti all’Armata Rossa dopo le incursioni di Petljura, per vendicarsi…e io - oppositore
sionista del comunismo, che vedevo quest’ultimo come un pericolo fatale per il giudaismo - io
mi sentii orgoglioso al vedere quegli ebrei… 165

Quando i bolscevichi presero Kiev nel febbraio 1918, i dirigenti socialisti ebrei
condannarono “un esercito occupante che ha cancellato ogni democrazia…con la loro artiglieria
socialista i bolscevichi si sono comportati come Shulgin166: hanno distrutto tutte le conquiste
nazionali della rivoluzione in Ucraina”167. Il Bund di Kiev votò con 762 favorevoli e 11 contrari (più 7
astenuti) sul non riconoscimento del governo bolscevico168. Ma quando i bolscevichi rientrarono in

162
Lettera di William Grove, YIVO Archives
163
Leonard Shapiro, Bakalakhat HaRusit: Pirkai Zikhronot, 1952
164
Citata da Der Veker, 21 giugno 1923
165
Leonard Shapiro, Bakalakhat HaRusit: Pirkai Zikhronot, 1952
166
Vasily Shulgin, ultraconservatore ucraino, sostenitore delle armate bianche.
167
Folkstseitung, 14 febbraio 1918
168
Moshe Rafes, Dva goda revolutsii na Ukraine, 1920

54
Ucraina nel 1919 pochi potevano ancora nutrire illusioni sull’atteggiamento dei nazionalisti ucraini
verso gli ebrei. Per il proletario ebreo i pogrom avevano oscurato le differenze teoriche tra il Bund
e i bolscevichi. La cosa più importante era la protezione offerta dall’Armata Rossa contro le forze di
Petljura e Denikin. L’intellighenzia bundista tuttavia non perse mai di vista le importanti differenze
ideologiche che aveva coi bolscevichi, che infine furono alla base di una drammatica scissione.

La scissione nel Bund ucraino. Nel fuoco della guerra civile in corso nella regione, il
Bund ucraino rimase isolato dal resto del partito a livello panrusso. “Nessuno teneva conto
dell’esistenza di un comitato centrale del Bund, che era necessario coordinare una linea con
un’altra: da un lato c’era la distanza fisica, e dall’altro la complicata lotta politica locale…”169.
Nell’autunno 1918 cominciarono a delinearsi tre fazioni all’interno del Bund ucraino: una di
sinistra guidata da Kheifetz, una di centro guidata da Rafes e una di destra il cui portavoce era
Litvak. “Nel dicembre tutte le fazioni (anche quella più a sinistra) credevano ancora in un patto con
il Direttorio. Nell’ottica di arrivare a tale patto, Kheifetz chiese al Direttorio di stipulare un’alleanza
militare con la Repubblica sovietica, e ai bolscevichi un ampliamento della base del potere
sovietico”170. Ma a partire dal gennaio 1919 il Bund vide scemare il controllo sulle proprie
organizzazioni locali, e la definizione di una linea unitaria apparve sempre più difficoltosa.

L’entità delle differenze all’interno del Bund ha portato ad alcuni tristi sviluppi nella nostra vita
di partito. In alcune città interi gruppi si staccano e passano col Partito Comunista, in tal modo
perdendo completamente la propria indipendenza politica e dimenticando i compiti nazionali cui
la classe operaia ebraica tuttora deve adempiere…In altre città le organizzazioni di partito quasi
si disintegrano, e perdono la loro influenza politica a causa delle prese di posizione di comitati
locali completamente estranei ai compiti rivoluzionari del tempo presente.171

Quando l’Armata Rossa attaccò le forze del Direttorio, l’ufficio provvisorio del Comitato
Centrale del Bund ucraino votò per 3 a 2 il supporto al “potere sovietico”, e fu stipulata un’alleanza
militare coi bolscevichi. La minoranza immediatamente lasciò l’ufficio provvisorio. Analogamente,
una minoranza pro-bolscevica all’interno della delegazione bundista a un imminente congresso
operaio rifiutò di attenersi alle decisioni della delegazione172. La nuova piattaforma varata dal
Comitato Centrale recò l’impronta dell’ala sinistra, seppur esprimendo serie riserve verso il terrore
dei bolscevichi, e le loro politiche economiche e nazionali. Divenne sempre più chiaro che il Bund
non poteva agire con efficacia permanendo tale divisione tra le sue fazioni interne.
La Terza Conferenza Panucraina del Bund fu fissata per il 25 febbraio 1919, ma il 18 di
quel mese l’ufficio provvisorio, ormai in mano alla sinistra, annunciò che a prescindere dall’esito
dell’imminente conferenza occorresse formare un “Bund comunista”. La dichiarazione dell’ufficio
riflette sia le preoccupazioni che la determinazione della sinistra del Bund:

La rivoluzione sociale è arrivata e noi dobbiamo riorientare noi stessi, liberarci di tutte le idee
che sono maturate come risposte…a domande di un’altra epoca….Questo è un compito
enorme, reso più difficile dal fatto che deve essere svolto nel bel mezzo della lotta….In ogni
membro del partito c’è uno scontro tra due ideologie…la vecchia ideologia si sta ritirando poco
alla volta…il partito prova a sopravvivere alla crisi come entità politica unitaria e deve quindi
fare piccoli passi allo scopo di trattenere gli elementi più deboli, e non lasciarli ai nostri
avversari. Gli elementi più impazienti e più attivi rifiutano di svolgere tale compito di partito; essi
fanno passi più lunghi e semplicemente si avvicinano al Partito Comunista. In tal modo non
risolvono affatto la crisi…Non è stato facile per noi fare quei passi173…nella dichiarazione,
massimo spazio è stato dato a ciò che ci differenzia dal Partito Comunista Russo. Due mesi di
cooperazione hanno grandemente accelerato il processo. L’intesa cresce… 174

169
ibidem
170
ibidem
171
Folkstseitung, 19 febbraio 1919
172
Der Veker, 25 febbraio 1919
173
Si riferisce alla stipula dell’alleanza militare coi bolscevichi fatta dall’ufficio provvisorio nel gennaio.
174
Folkstseitung, 19 febbraio 1919

55
Il 20 febbraio l’organizzazione di Kiev si incontrò per discutere le richieste dell’ufficio
provvisorio. Rafes, uno dei bundisti ucraini più noti e guida della fazione di centro, presiedette
l’assemblea. L’esistenza di tre correnti fu riconosciuta formalmente, essendosi queste incontrate
separatamente e avendo definito le rispettive posizioni.

La differenza tra il “centro” e la “sinistra” per come si manifestò alla conferenza fu, per così
dire, di natura puramente storica…Al veterano internazionalista Kheifetz pareva che la propria
posizione fosse semplicemente la continuazione della linea internazionalista, formulata ben
prima della rivoluzione, a Zimmerwald e a Kienthal…Inoltre, il discorso di Kheifetz fu poco
rivolto ai problemi del passato e concentrato soprattutto sui compiti attuali della rivoluzione. La
posizione dei rappresentanti del “centro” fu diversa; il loro compito fu di riassumere lo sviluppo
del partito del Bund, sradicare dalla coscienza del partito quelle profonde divisioni che si erano
ormai fatte strada nella mente dei dirigenti e che li avevano convinti della possibilità di un
regresso e di una sconfitta della rivoluzione. I “centristi”, che espressero meglio l’orientamento
della maggioranza del partito, nei loro discorsi sottolinearono ciò che differenziava la posizione
del Bund da quella dei comunisti175.

La posizione di Rafes si rivelò la più condivisa tra le tre. Egli spiegò che il Bund di Kiev
aveva deciso di interagire con il Partito Comunista “organicamente”, ovvero come un blocco unico,
nell’ottica di isolare gli oppositori del comunismo e di lasciarli senza un’organizzazione. Questa era
la posizione della sinistra. Ma “E’ ormai chiaro che l’altra fazione (quella non comunista) non è
piccola, ma è un gruppo numeroso”. Perciò “dobbiamo rescindere il legame che soffoca entrambi i
gruppi e fare la rivoluzione dentro il Bund (di Kiev), e non attendere la Conferenza”. Rafes spiegò
che sia la fazione pro-comunista che quella anti-comunista avrebbero eletto dei delegati alla
Conferenza Panucraina, e in quella sede avrebbero forzato una divisione analoga a quella
esistente nel Bund di Kiev. Questa divisione avrebbe creato un polo di attrazione per i lavoratori
ebrei pro-comunisti. “Così non vi sarà spazio per una Sezione Ebraica nel Partito Comunista”. Nel
tentativo di fugare i timori per la politica nazionale dei comunisti, Rafes assicurò l’organizzazione di
Kiev che “il Bund comunista, in quanto partito indipendente del proletariato ebraico, tutelerà le
proprie rivendicazioni nazionali”176. A questo punto delineò un piano per garantire l’autonomia
nazionale ebraica. In Ucraina sarebbe stato creato un organo di governo “rivoluzionario socialista”,
che Rafes non precisò, collegato con gli organi del governo centrale. Inoltre sarebbe stato formato
un consiglio nazionale ebraico provvisorio con rappresentanti prevalentemente operai, e sarebbe
stato convocato un congresso operaio ebraico.
Litvak, parlando a nome della minoranza di orientamento menscevico, criticò la tesi di
Rafes che occorresse fare una rivoluzione dentro il Bund. Litvak affermò: “Tu non stai dividendo il
Bund, tu lo stai abbandonando”. Egli schernì la proposta di Rafes di aggirare le “sezioni ebraiche”
e di “salvare il programma nazionale” formando un partito comunista ebraico separato. “Se rinunci
alla democrazia, dovrai rinunciare anche all’autonomia nazionale, poiché il programma nazionale
del Bund è un programma democratico”. Alla fine vennero presentate due risoluzioni, una da Rafes
e una da Litvak. Quella di Litvak affermava che “L’organizzazione di Kiev del Bund mantiene la
propria precedente posizione di socialdemocrazia internazionale insieme alle altre componenti del
Bund di Lituania, Polonia e Russia”. La risoluzione di Rafes affermava che “l’organizzazione di
Kiev del Bund dichiara di essere l’organizzazione di Kiev del Bund dei lavoratori ebrei comunisti”.
La risoluzione di Rafes fu approvata con 135 voti a 79, e 27 astensioni. In seguito al voto si
formarono due organizzazioni, che si riunirono in sale separate. Coloro che avevano votato per il
nuovo Bund comunista intonarono l’Internazionale, mentre gli altri cantarono l’inno tradizionale del
Bund, Il giuramento.
Quasi contemporaneamente una divisione analoga ebbe luogo nel Bund di Ekaterinoslav, e
anche colà fu formato un Bund comunista, o “Kombund”. Come Rafes aveva previsto, la
Conferenza Panucraina perse quasi ogni importanza, e i delegati convenuti furono così pochi che
questa fu trasformata in un consiglio. Rafes e Litvak svolsero il medesimo ruolo dell’incontro di

175
Moshe Rafes, Dva goda revolutsii na Ukraine, 1920
176
ibidem

56
Kiev, e ancora una volta le posizioni si rivelarono inconciliabili 177. La divisione alla Terza
Conferenza diede il via alla divisione delle organizzazioni locali del Bund in gruppi del Kombund e
gruppi del vecchio Bund. A Ekaterinoslav la votazione fu per 130 a 108 a favore del Kombund; a
Poltava la trasformazione in Kombund fu votata all’unanimità. A Kharkiv la divisione fu circa al 50
per cento.
E’ importante sottolineare che la divisione nel Bund ucraino non avvenne sulla questione
nazionale ma sulla questione più generale della natura e del futuro della rivoluzione. Inoltre i
bundisti di sinistra furono molto attenti a ribadire la propria indipendenza organizzativa dal Partito
Comunista e il diritto a formulare una propria linea nazionale. La divisione fu un’esperienza
dolorosa per tutto il Bund, e anche la fazione di sinistra non ne fu entusiasta. Fu vista come l’unica
soluzione a un dilemma che affliggeva costantemente il Bund ucraino. “A chi possiamo rivolgerci?”
– si chiese un bundista - “all’Europa civilizzata, che firma trattati con il Direttorio antisemita?” I
bolscevichi, “i corrieri armati del socialismo, ora sono l’unica forza che può opporsi ai pogrom…Per
noi non c’è altra strada…Questa la migliore e forse unica possibilità di contrastare i terribili pogrom
di ebrei”178. I bundisti furono spinti ad accettare i bolscevichi da considerazioni relative al destino
degli ebrei, e come i menscevichi conclusero che “dalla fine del 1918 la guerra civile era diventata
una lotta tra Rossi e Bianchi. In ciò la neutralità e un ruolo di ‘terza forza’ era impensabile. I
menscevichi e i bolscevichi la pensavano allo stesso modo sull’intervento straniero”179.
L’accettazione, pur con notevoli riserve, della piattaforma comunista non garantì al
Kombund l’accettazione da parte dei comunisti ucraini. Al Terzo Congresso del Partito Comunista
Ucraino fu deciso con un voto di 101 a 96 che il Kombund e i Socialisti Rivoluzionari Ucraini di
sinistra (borot’bisty) non potessero entrare come gruppi nel Partito Comunista Ucraino. Si delineò
una notevole ostilità tra le organizzazioni locali del Partito Comunista e il Kombund, e quest’ultimo
condusse per lo più una vita politica indipendente180.

Bundisti e bolscevichi in Bielorussia. La sequenza di eventi che condusse alla


formazione di un Kombund in Ucraina è paragonabile a ciò che accadde in Bielorussia, ovvero
nella regione culla e roccaforte del movimento operaio ebraico.
Alla fine del 1918 l’Evkom e l’Ufficio centrale delle Evsektsiia chiesero ai bundisti di sinistra
di Perm, Ekaterinburg e di altri centri degli Urali di rientrare alle loro città di origine in Bielorussia
(molte delle quali erano state conquistate dall’Armata Rossa nel dicembre 1918), per condurvi
un’agitazione pro-bolscevica nei ranghi del Bund bielorusso. I bundisti risposero favorevolmente a
questo appello, e iniziarono a organizzare piccoli gruppi di “bundisti comunisti”, che sulle questioni
politiche generali erano pro-bolscevichi ma insistevano per mantenere l’autonomia nazional
culturale nel proprio programma. Inizialmente il Partito Comunista Bielorusso espresse la
disponibilità a collaborare con il Bund, e in particolare con i “bundisti comunisti”. Anche dopo
l’Ottobre, il Partito era molto debole nelle città, dove il Bund era forte, e pertanto calcolò che una
temporanea tolleranza e anche una limitata cooperazione col Bund sarebbero state necessarie per
il mantenimento del potere bolscevico in Bielorussia. A quanto pare furono le sezioni ebraiche del
Partito Comunista a rappresentare la maggiore opposizione ai bundisti, e a rivendicare la totale
autorità sugli affari ebraici della Bielorussia. Le Evsektsiia bielorusse, basate a Minsk e dirette da
Zalman Khaikin e Bela Mandelsberg, misero un bundista comunista a dirigere il loro giornale, Der
Shtern, sperando in tal modo di indurre i bundisti a rinunciare all’idea di autonomia nazional
culturale e a entrare nel Partito Comunista. Ma i dirigenti bundisti non accettarono, e anzi chiesero
che il Partito Comunista permettesse loro di creare un’organizzazione comunista ebraica separata,
basata sulla piattaforma del Bund. Il 15 gennaio 1919 questa richiesta fu discussa dal Comitato
Centrale del Partito Comunista Bielorusso. Alcuni membri si mostrarono favorevoli all’accettazione
ma, come si può immaginare, Khaikin si oppose vigorosamente e disse che dovevano
accontentarsi di una sezione ebraica nel Partito Comunista. Dopo lunga discussione fu deciso con
un voto di 6 a 2 di creare un “Partito Comunista Ebraico”, omettendo esplicitamente la

177
Sorvegliato dalla Ceka, Litvak si trasferì a Minsk dove adottò il proprio vero nome, Chaim Helfand. In seguito si
rifugiò a Vilna e poi a Varsavia.
178
Folkstseitung, 15 febbraio 1919
179
Israel Getzler, Julij Martov: biografia politica di un socialdemocratico russo, 1967
180
Di lì a poco Kheifetz passò dal Kombund al Partito Comunista Ucraino.

57
denominazione “Bund”. I “sezionisti” (così vennero chiamati) di Khaikin e i bundisti negoziarono la
struttura e la formazione di un comitato centrale provvisorio di tale partito, comprendente i
sezionisti Mandelsberg e Kaplan e i bundisti Abram, Krol e Sverdlov. Alla fine di gennaio fu
annunciata la formazione del nuovo “Partito Comunista Ebraico” (JCP), una vittoria per i bundisti
comunisti, segno della debolezza del Partito Comunista Bielorusso e delle sue sezioni ebraiche.
Ma il Partito Comunista Ebraico sembra essere stato un’organizzazione soltanto sulla carta.
Esso dichiarò che la “dittatura del proletariato nel mondo ebraico” era il proprio slogan, con
riguardo all’autonomia nazional culturale, ma fece poco per metterla in pratica. Il Partito convocò il
proprio Primo Congresso, che fu anche l’ultimo, il 28 febbraio 1919. L’appello di convocazione del
congresso dipingeva una storia del proletariato ebraico segnata da null’altro che malesseri e
afflizioni:

Nella “Zona”, laddove i lavoratori ebrei languivano nelle cantine e nelle soffitte, là la borghesia
ebraica succhiava l’ultima goccia di sangue dei lavoratori ebrei, là il lavoratore ebreo doveva
pagare ogni sorta di tasse e non aveva voce nella gestione delle scuole ove i suoi figli
studiavano…L’intellighenzia borghese lo invitava ad assimilarsi e russificarsi, e l’intellighenzia
delle yeshiva lo invitava all’ebraismo, alla “scienza del giudaismo”, al vecchio, decaduto “lavoro
culturale” permeato di clericalismo.181

Il Partito Comunista Ebraico dichiarava che “i partiti operai ebraici ‘socialisti’, dal Bund a
Poale Zion, si opposero attivamente al proletariato rivoluzionario”182 e si presentava come una
sorta di Mosè, pronto a guidare i propri figli proletari fuori dalla barbarie nella quale la borghesia,
l’intellighenzia e un movimento operaio traditore li avevano gettati. Il programma del partito
sosteneva l’entrata nel Partito Comunista Bielorusso (BCP) come sezione autonoma organizzata,
e che i propri membri fossero automaticamente membri del BCP. Sulle questioni generali il JCP
avrebbe accettato tutte le posizioni del BCP, ma sulle questioni ebraiche sarebbe rimasto
completamente indipendente, con la propria stampa, proprie assemblee e un proprio congresso, e
cellule di partito. Chiunque fra i lavoratori ebrei condividesse gli scopi e i compiti del JCP poteva
diventarne membro, senza necessità di approvazione da parte del BCP.
Il Congresso del Partito Comunista Ebraico fu dominato dai contrasti tra i sezionisti, che lo
consideravano solo un mezzo temporaneo, e i bundisti che difendevano la linea dell’autonomia
nazional culturale. Dimanshtein fu inviato a Minsk per evitare la possibile rottura, e salvò l’unità del
partito, ma per fare ciò fu necessario astenersi dall’approvare una qualunque risoluzione concreta.
Fu deciso di cambiare il nome del partito in Alleanza Comunista di Bielorussia e Lituania
(Komunistisher Farband fun Veisrusland un Lite, o Komfarband), e fu eletto un nuovo Comitato
Centrale, composto da quattro bundisti (Abram, Sverdlov, Gorelik e Krol) e quattro sezionisti
(Dimanshtein, Mandelsberg, Khaikin e Altshuler), oltre a due membri candidati, i sezionisti Kaplan
e Agurskij.
Mentre il Partito Comunista Ebraico e il suo successore, il Komfarband, erano paralizzati
dallo scontro interno, altrettanto accadde al Bund bielorusso.

Ovunque si sente la stessa triste litania: la vita di partito è vicina alla morte…La nostra
organizzazione di Minsk attraversa una crisi. Non è rimasta una scintilla di energia…tutti
scuotono la testa…è tutto…La biblioteca! A malapena esiste. Perché? Non c’è nessuno con
zelo sufficiente per mantenerla in ordine. Der Veker! E’ in difficoltà…La fame cresce e con le
sue mani sanguinolente afferra le masse…Sognavamo una vita gioiosa, libera e felice. Ma in
realtà…183

Il Bund si consolava considerando che “dappertutto vi sono bundisti, non da ieri ma da molti
anni. I comunisti non hanno presenza nelle città dei lavoratori ebrei. Non hanno una vecchia
guardia e coloro che sono diventati comunisti sono soltanto ospiti nelle strade ebraiche”184. Il Bund
bielorusso era ben consapevole di avere tradizione più longeva e base sociale più solida rispetto al

181
Shlomo Agurskij, Der idisher arbeter in der komunistisher bavegung , 1925
182
ibidem
183
Der Veker, 5 febbraio 1919
184
Der Veker, 4 marzo 1919.

58
Bund ucraino. In Bielorussia gli artigiani e gli operai delle manifatture erano sempre stati in
proporzione più numerosi rispetto all’Ucraina, e costituivano una grossa percentuale della forza
lavoro. Tuttavia, la situazione era egualmente critica. Sebbene gli ebrei bielorussi non avessero
sperimentato l’incubo dei pogrom al pari degli ebrei ucraini, essi avevano sofferto molto durante la
Grande Guerra, sotto l’occupazione tedesca e ora durante il successivo conflitto tra i russi e
l’esercito polacco. Le armate bianche erano penetrate fino in Bielorussia, la fame e gli stenti erano
estesi quanto in Ucraina.
In questo drammatico contesto, nella seconda metà del marzo 1919 a Minsk ebbe luogo
l’Undicesima Conferenza del Bund, che di fatto fu una conferenza del solo Bund bielorusso con
l’aggiunta di alcuni delegati provenienti anche da altre regioni. L’elezione dei delegati della città di
Minsk alla Conferenza riflette le differenze di posizioni interne al Bund all’epoca: la sinistra prese
85 voti, il centro 79 e la destra 29. Alla Conferenza parteciparono quindi 2 delegati della sinistra, 2
del centro e 1 della destra.
A causa della sospensione del trasporto ferroviario dei passeggeri, soltanto 39 delegati e
30 osservatori poterono partecipare alla conferenza. I convenuti erano mediamente di giovane età,
la grande maggioranza sotto i 40 anni, e circa la metà erano lavoratori. Dopo un acceso dibattito fu
deciso con un margine di due voti che a Moshe Rafes, da poco giunto dall’Ucraina, fosse
assegnato lo status di osservatore. Rakhmiel Veinshtain espresse la speranza che mentre “con
dispiacere abbiamo appreso che la nostra organizzazione in Ucraina non ha superato la prova e si
è divisa…lasceremo la conferenza con la nostra unità rafforzata e avremo posto fine al processo di
frazionamento”185. Rafes si associò alla speranza di Veinshtain, spiegando che il Bund ucraino si
era diviso a causa della natura estremamente radicale delle posizioni interne al Bund, ma che in
Bielorussia le fazioni avrebbero potuto riconciliarsi. In ogni caso la conferenza elesse un presidium
che teneva conto delle diverse correnti: Veinshtain, Esther Frumkin e Svetitskij, i primi due veterani
del Bund, rappresentavano il centro; il 29enne falegname Yankel Levin e il 40enne economista
Nakhimson rappresentavano l’ala sinistra; e la vecchia guardia bundista Izenshtat rappresentava
la destra socialdemocratica.
I programmi e le posizioni delle fazioni furono delineate nel corso della conferenza. La
destra condannò i bolscevichi come “blanquisti utopisti”, si oppose alla nazionalizzazione
indiscriminata dell’industria e invocò la democratizzazione del regime e della sua burocrazia. La
destra non si dissociò completamente dal sistema dei soviet, poiché alcuni suoi membri avevano
dei ruoli al loro interno. Ma non volle assumersi la responsabilità per la situazione vigente, ed
espresse la linea della “critica dall’interno”.
A nome dell’ala sinistra, Yankel Levin affermò che si doveva scegliere tra dittatura del
proletariato e dittatura della borghesia. Egli accusò il centro di opportunismo per il fatto che
sosteneva la politica economica comunista e contemporaneamente aderiva “alle vecchie tradizioni
e alle forme dell’era pre-rivoluzionaria”. “Non dovete avere paura della parola comunismo” – disse
Levin rivolto ai centristi – “la parola ‘bolscevico’ sembra brutta, ma una volta era così anche per la
parola ‘bundista’”186.
Veinshtain cercò di precisare la posizione del centro, affermando che una dittatura del
proletariato era possibile soltanto in Europa occidentale, dove il proletariato aveva la maggioranza
della popolazione. “Non vediamo che nel nostro lavoro sovietico il potere è labile, che non c’è
ordine poiché il governo è debole? Abbiamo bisogno di una base sociale più ampia e stabile…il
governo si deve costruire sull’attività spontanea delle masse, sulla loro volontà organizzata”. Su un
piano più concreto, il centro si pronunciò per la cessazione del Terrore rosso e (parole di Esther
Frumkin) della “dittatura sul proletariato”187. Allo stesso tempo la Frumkin affermò che “Non
possiamo lasciare il potere alla borghesia. In questo senso noi siamo contro la
democrazia…Siamo dalla parte dei comunisti…L’Armata Rossa è la nostra armata. I suoi errori, i
nostri errori. Non si può tornare indietro”188. Esther cercò di tracciare una linea sottile tra la propria
posizione e quella di Yankel Levin: “La dittatura è genuina soltanto quando si basa su tutti i
lavoratori e i popoli oppressi, quando è il governo della maggioranza della popolazione”. Il compito

185
Unzer Shtime, 21 marzo 1919
186
ibidem
187
ibidem
188
Folkstseitung, 2 aprile 1919

59
immediato era implementare i nobili principi della costituzione sovietica. In tal modo si sarebbe
giunti alla “dittatura attraverso la democrazia. La democrazia ci è cara in quanto mezzo per
raggiungere la dittatura”189.
Alla conferenza furono presentate tre distinte risoluzioni. La risoluzione della sinistra, con
alcuni emendamenti che tenevano conto delle posizioni del centro, passò con 31 voti a 17. Essa
faceva appello al sostegno alla rivoluzione socialista in tutti i paesi e al governo sovietico in
Russia. Nel contempo essa condannava “la politica bolscevica di nazionalizzazioni indiscriminate e
incessanti”, che naturalmente urtavano la popolazione ebraica, dal momento che la maggior parte
degli ebrei basavano la propria sopravvivenza su piccole attività artigianali, commerciali o di
vendita ambulante. La risoluzione della sinistra dichiarò anche che la dittatura del proletariato
doveva esprimersi attraverso i soviet. Ma all’interno dei soviet si doveva giungere a regole
democratiche. “Il partito bolscevico ha costruito la propria dittatura sulle masse operaie. I soviet
stanno diventando un ornamento per abbellire il regime…La costituzione sovietica deve essere
immediatamente resa effettiva: la libertà di parola, di stampa, di assemblea eccetera vanno
ripristinate”190. La risoluzione della sinistra chiedeva anche più autonomia per il governo locale e
esortava i bundisti ad assumere incarichi di governo senza accettare la responsabilità per le scelte
del governo stesso, e riservandosi il diritto di critica. Dal momento che 33 bundisti sui 62 presenti
avevano ruoli di responsabilità nelle istituzioni sovietiche, questa ambigua risoluzione venne
accettata di buon grado.
La minoranza si dichiarò d’accordo con il “programma concreto” della risoluzione e si disse
disposta a “lavorare su tale base”191. Inoltre, la Frumkin aveva chiesto che il Bund mantenesse i
contatti sia con la Seconda che con la Terza Internazionale, dunque enfatizzando l’atteggiamento
equilibrato della maggioranza. La risoluzione sulla questione nazionale incaricò il Comitato
Centrale del Bund di “elaborare piani concreti di attività su quel terreno”192. In questo modo il Bund
bielorusso ruscì a evitare la scissione.
Il nuovo Comitato Centrale scelto dalla Conferenza fu composto da 5 veterani e 5 nuovi
ingressi. I veterani del comitato furono Esther Frumkin, Izenshtat, Vainshtain, Litvak e Abramovich.
I nuovi furono Svetitskij, Nakhimson (militante del Bund da 20 anni), Henie Gorelik (militante da 15
anni, di cui 6 trascorsi in Siberia), Alter Rumanov (un calzolaio 29enne di Minsk) e Yankel Levin,
che si era unito al Bund all’età di tredici anni.
I bundisti bielorussi di sinistra manifestarono ostilità all’Evkom e alle Evsektsiia. Il bundista
di sinistra Nakhimson criticò quegli ebrei comunisti “appena sfornati”193 che avevano attaccato la
Conferenza di Minsk poiché la scissione che auspicavano non si era verificata. Il Bund definì gli
ebrei comunisti “commedianti nazional bolscevichi” e assimilazionisti. Nel contempo attaccò
l’Evkom perché si occupava degli ebrei senzatetto e in difficoltà economica. Questi, disse il Bund,
erano problemi generali, non riguardanti le istituzioni ebraiche il cui campo di intervento era
soltanto culturale. Un tale spettro di attività da parte di organi nazionali poteva condurre
all’isolamento, e al rafforzamento delle tendenze nazionaliste. Paradossalmente dunque l’Evkom e
le Evsektsiia portavano avanti una linea assimilazionista e nazionalista insieme: “Il loro cuore
soffre – essi sanno qual è il problema – ma cosa puoi fare quando devi combattere il Bund? Due
anime, che spingono in opposte direzioni, vivono dentro di loro. E il risultato è tristezza e
depressione”194. Anche il bundista di sinistra Levin prendeva in giro il Partito Comunista e le sue
sezioni ebraiche: “In molte città di fatto è il Bund che svolge il lavoro dei commissariati, i quali sono
così concentrati nella propria attività che non hanno tempo di venire alle nostre riunioni”195.
Tutto il Bund bielorusso in generale sostenne lo sforzo bellico dell’Armata Rossa. Subito
dopo l’Undicesima Conferenza il Bund e anche i menscevichi annunciarono la mobilitazione di tutti
i membri di partito con 25 anni o più di età, per far fronte alla minaccia delle legioni polacche, che
nell’aprile 1919 avevano occupato Vilna. Il Primo Battaglione delle Guardie Rosse di Minsk era
formato al 70% da militanti di Poale Zion, al 20% da bundisti e al 10% da bolscevichi. Dopo sei

189
Der Veker, 17 febbraio 1919.
190
Der Veker, 23 marzo 1919
191
ibidem
192
Der Veker, 6 aprile 1919
193
Der Veker, 8 aprile 1919
194
Der Veker, 13 febbraio 1919
195
Der Veker, 4 marzo 1919

60
settimane di addestramento esso fu inviato al fronte dove, dopo una vittoria iniziale a Olekhnovich,
fu decimato.
Quando le legioni polacche occuparono Minsk nella primavera del 1919, identificarono gli
ebrei con il bolscevismo e li fecero oggetto di violenze. A Pinsk per esempio 33 ebrei furono
prelevati da un’assemblea della comunità e fucilati, per soddisfare il capriccio di un ufficiale
polacco. Questi episodi accentuarono il sostegno ebraico all’Armata Rossa, ma non portarono a un
accordo tra il Partito Comunista e i partiti ebraici. Aumentando progressivamente il proprio potere, i
bolscevichi iniziarono un’aperta politica di repressione nei confronti del Bund. Partendo dai villaggi
e dai centri meno popolosi, i bolscevichi gradualmente acquisirono il controllo politico di città come
Vitebsk, Gomel e Minsk, disgregando gli oppositori con vari mezzi coercitivi. A Baranovize, per
esempio, gli ebrei bolscevichi organizzarono un’assemblea operaia e, non essendo presente alcun
bundista, il presidente annunciò che se non vi erano obiezioni tutti i partiti e le organizzazioni erano
sciolte. Un membro di Poale Zion protestò vigorosamente, e il provvedimento fu rinviato. A Gomel
il giornale bundista Golos Rabochego fu chiuso perché accusato di essere a favore del
“compromesso sociale”, e il compromesso sociale era “un’arma del capitale”196.

La Conferenza di Gomel e la scissione del Bund in Bielorussia. La fragile unità del


Bund non resistette alle forze disgregatrici rappresentate dall’occupazione polacca e dalla
coercizione comunista. I colpi finali furono inferti alla Dodicesima Conferenza del Bund, tenutasi a
Gomel nell’aprile 1920. Ivi 29 organizzazioni locali furono rappresentate da 61 delegati. Esther
Frumkin diede l’orientamento alla conferenza dichiarando che “il sistema sovietico sta
guadagnando sempre più terreno tra i ranghi del proletariato…Il Bund ha una grande
responsabilità – portare i suoi principi alle masse dei lavoratori ebrei e alle crescenti masse di
piccola borghesia che devono essere inserite nel lavoro produttivo…il potere sovietico sta
percorrendo l’unica strada che possa salvare la rivoluzione”197. La Frumkin non disse una parola
sul terrore bolscevico e sulla repressione della democrazia, le due principali ragioni per le quali lei
stessa l’anno precedente si era opposta all’accettazione tout court del comunismo. Alludendo alla
necessità di inserire le masse ebraiche nel lavoro produttivo, implicitamente ripudiava la propria
precedente accusa di “nazionalismo” verso la politica economica dell’Evkom e delle Evsektsiia.
Forse in imbarazzo per questo voltafaccia, la Frumkin cercò di dimostrare che “già all’Undicesima
Conferenza il Bund si pose, in linea di principio, dalla parte del comunismo”198. Chiese che il Bund
cancellasse la propria linea ufficiale di opposizione al governo sovietico, e che si assumesse le
responsabilità della politica sovietica. Ma su un punto rimase tale e quale al passato: la
convinzione che il Bund dovesse mantenere una propria esistenza autonoma. Il Bund era la “forma
specifica” del proletariato in lotta con i “residui dell’ideologia borghese”199 tra gli ebrei, in contrasto
all’inefficacia delle sezioni ebraiche.
Anche sull’autonomia nazional culturale la Frumkin fece marcia indietro, mentre rimase
ferma sulla questione dell’autonomia organizzativa. Dal momento che la distruzione del dominio
della borghesia “crea per la prima volta nella storia la possibilità della cooperazione fraterna tra le
nazioni in tutti i campi e a tutti i livelli, incluso quello culturale”, la richiesta di autonomia nazional
culturale, “portata avanti sotto il dominio capitalistico, a questo punto perde di significato”.
Tuttavia,

Il Bund mantiene la propria precedente linea per cui il lavoro culturale debba essere the
province delle masse operaie nazionali…e debba essere creato un sistema nel quale organi
nazionali locali, provinciali e centrali, eletti dalle grandi passe di ciascuna nazionalità, assolvano
ai compiti del lavoro culturale e decidano su tutte le questioni interne di una nazionalità. 200

Come ciò differisse dall’autonomia nazional culturale, la Frumkin non lo chiarì.


Al discorso della Frumkin e alla risoluzione da lei proposta replicò Abramovich, che
espresse la posizione della fazione menscevica. Quindi Veinshtain cercò di collocarsi al centro,

196
Der Veker, 7 febbraio 1919
197
XII Konferentsiia Bunda, resoconto del Comitato di Gomel, 1920
198
ibidem
199
ibidem
200
ibidem

61
pensando forse di evitare una scissione, e introdusse degli emendamenti alla risoluzione della
sinistra. Gli emendamenti sottolineavano l’importanza della spontaneità delle masse operaie e
l’inutilità del terrore contro i partiti socialisti, ma furono entrambi respinti all’unanimità dai delegati
della sinistra, e a tal punto la scissione si fece inevitabile.
La risoluzione della sinistra, votata dalla maggioranza dei delegati, chiese “riconoscimento
dei principi organizzativi del Bund, riconoscimento del Bund come organizzazione autonoma del
proletariato ebraico, che autonomamente persegue i compiti della rivoluzione socialista tra gli
ebrei”201. Il Bund doveva entrare nel Partito Comunista Russo con gli stessi criteri coi quali era
entrato nel Partito Operaio Social Democratico Russo nel 1898. Insieme alla richiesta che le
sezioni ebraiche fossero assorbite in una “Unione Generale dei Lavoratori Ebrei”, ciò significava da
parte del Bund la richiesta di carta bianca nella politica ebraica, e una sorta di monopolio politico
“nel mondo ebraico”. “Le sezioni comuniste ebraiche, istituite con l’obiettivo specifico di combattere
il Bund – questi organismi artificiali che si sono rivelati un fallimento, dando ai lavoratori ebrei
un’impressione di organizzazione indipendente – non possono affatto introdurre la dittatura del
proletariato tra i lavoratori ebrei…La sola forza comunista intorno alla quale il proletariato ebraico
si può unire è e sarà l’Unione Generale dei Lavoratori Ebrei, il Bund”202.
Quando la risoluzione della sinistra fu approvata dalla maggioranza dei delegati, la
minoranza lasciò il partito, e convocò una propria conferenza. La maggioranza si autodefinì
“Kombund”, e la minoranza “Bund socialdemocratico”203. Quattordici mesi dopo la scissione nel
Bund ucraino anche il Bund bielorusso, nucleo storico dell’organizzazione dei lavoratori ebrei, si
divideva a sua volta.
Le reazioni a livello locale furono simili a quelle registrate in Ucraina. Il comitato di Gomel
votò per 127 a 44 (13 astenuti) a favore della risoluzione del Kombund. In capo a pochi giorni, 13
tra i contrari e gli astenuti passarono alla maggioranza. Nelle città in cui, come a Orsha, la
risoluzione del Kombund fu respinta, i fautori di quest’ultima si riunirono separatamente e
formarono un comitato provvisorio, raccogliendo le nuove iscrizioni. In alcuni comitati locali chi non
accettò la risoluzione della Dodicesima Conferenza fu espulso dal comitato.
E’ difficile delineare la natura e l’estensione dell’attività del Kombund in Bielorussia. Da un
lato vi furono molte lamentele per la mancanza di militanti e pubblicazioni (il giornale del Kombund,
Der Veker, uscì solo irregolarmente); dall’altro lato i kombundisti parlavano di aumento di interesse
tra gli iscritti, e che il Bund socialdemocratico era completamente inattivo. In realtà, pare che la
maggior parte dei bundisti semplicemente si ritirarono dalla politica attiva. Ciò si evince
dall’ampiezza delle organizzazioni locali del Kombund. In Ucraina, per esempio, il Kombund di
Kiev pare avere avuto solo 60 membri nel 1920, e il Kombund di Kharkiv soltanto 24204. Nel
maggio del 1919 il Bund di Kiev aveva dichiarato di contare 300 membri, di cui 107 lavoratori205.

201
ibidem
202
ibidem
203
Nel suo discorso conclusivo a nome dei socialdemocratici, Abramovich avvertì i membri del neonato Kombund che
esso avrebbe avuto vita breve, come in Ucraina: “Il vostro destino come organizzazione del proletariato ebraico è
segnato. Il percorso del gruppo di Rafes, gradualmente da Bund a Farband, da Farband a Sezioni, da Sezioni a
commissione tecnica, ci mostra chiaramente cosa vi aspetta nel prossimo futuro”.
204
Der Veker, 15 luglio 1920
205
Folkstseitung, 3 maggio 1919

62
7.
IL BUND IN POLONIA
TRA INDIPENDENZA E RIVOLUZIONE (1918 – 20)
La Conferenza di Lublino e il dibattito sull’Ottobre. Come abbiamo visto, sin dall’inizio
della Grande Guerra e dell’occupazione tedesca i legami tra le organizzazioni del Bund in Polonia
e quelle più a oriente si erano indeboliti, e dal novembre 1914 operava nel paese un comitato
centrale autonomo. Alla fine del 1917 questo comitato decise di convocare una conferenza per
costituire un partito indipendente, il che avvenne nel dicembre a Lublino.
La città fu scelta in quanto si trovava nella parte di Polonia occupata dagli austriaci, i quali
mantenevano un atteggiamento più tollerante rispetto ai tedeschi. L’opposizione del Bund alla
formazione di una Polonia semi-indipendente sotto la tutela degli Imperi centrali aveva portato
all’arresto di numerosi dirigenti bundisti, che usavano i consigli cittadini nei quali erano eletti come
tribuna per denunciare il progetto di protettorato avanzato dalla Germania. Inoltre, nella Polonia
occupata dai tedeschi la fame e le malattie avevano falcidiato una gran parte della popolazione. Le
condizioni della zona austriaca erano migliori. Un delegato descrisse Lublino come “una città viva,
non sofferente, con negozi aperti e riforniti di cibo e altri prodotti; non una città di persone vestite di
stracci, non una città di funerali, ma una città viva con un flusso di persone vivaci. Una vita
differente rispetto a quella a Varsavia…e in altre città della zona tedesca”206. Gli spostamenti tra la
zona di occupazione tedesca e quella austriaca erano difficoltosi a causa della lotta al
contrabbando. I bundisti raggiunsero Lublino separatamente e aggirando in svariati modi il
controllo delle autorità, e per precauzione si incontrarono clandestinamente e di notte.
Quando la Conferenza di Lublino si aprì, non era trascorso un mese dalla presa del potere
dei bolscevichi in Russia. Da una parte circolavano le voci dei morti a Pietrogrado e Mosca e dello
scioglimento forzato del Governo Provvisorio, dall’altra quelle della fine della guerra,
dell’instaurazione del socialismo, della proclamazione dell’uguaglianza dei popoli. Molti ebrei in
Polonia, stremati dalla guerra e dall’occupazione, erano felici della presa del potere bolscevico, e
tra i delegati bundisti circolava l’augurio che qualcosa di simile accadesse anche a Varsavia207.
Ma Victor Shulman, delineando un’ala destra del partito, prese la parola per opporsi alla
presa del potere dei bolscevichi. Egli accusò Lenin e i suoi di “avventurismo”, di avere distrutto la
neonata democrazia per stabilire una propria dittatura mantenendo il potere “con il terrore sulla
popolazione”. Shulman disse ai delegati: “Questo non è il nostro metodo! Non è il metodo del
Bund, il metodo dei socialdemocratici”208.
Chaim Vasser espresse una posizione di sinistra, diametralmente opposta. La rivoluzione
bolscevica, disse, era un momento chiave nella storia mondiale, un punto di svolta verso il
socialismo. Ma non tutti gli esponenti dell’ala sinistra concordarono con lui su questa definizione.
L’ala sinistra si opponeva innanzitutto ai gruppi riformisti che nel socialismo mondiale avevano
appoggiato la guerra, in particolare ai traditori della socialdemocrazia tedesca, che avevano votato
per i crediti di guerra e avevano invocato la “pace di classe” durante lo sforzo bellico. La sinistra
bundista si sentiva vicina ai socialisti democratici guidati da Karl Kautsky, e al Partito Socialista
Indipendente di Germania.
Sulla guerra fu assunta una risoluzione molto chiara:

La Rivoluzione russa e il ruolo del proletariato in essa hanno inferto un duro colpo alle classi
dominanti delle nazioni in guerra, le quali vedono nella rivoluzione una minaccia diretta alle
fondamenta del sistema capitalistico vigente...La classe operaia consapevole non permetterà
che la grande falla che attraverso la guerra si è aperta nel sistema capitalistico mondiale non
produca un risultato per l’ideale socialista. 209

206
I. Fishman, Barikht fun der Lubliner Konferents, Archivio del Bund
207
ibidem
208
ibidem
209
Tsvai Konferentzn, 1918

63
La rivoluzione auspicata dai bundisti, tuttavia, non era di tipo bolscevico. La conferenza
chiese la massima democrazia e respinse tutte le forme di dittatura. I bundisti si espressero per
un’assemblea costituente democraticamente eletta per decidere la forma di governo della Polonia
e le sue relazioni con gli stati vicini.
Sulla questione delle minoranze nazionali, il Bund rimase fermo sulla linea dei pieni diritti
per tutte con autonomia nazionale per ciascuna.

La nascita della Polonia indipendente. Il 10 novembre 1918 il socialista polacco Józef


Piłsudski, appena liberato dalle autorità tedesche a Magdeburgo, tornò a Varsavia. Il giorno
seguente, tenendo in considerazione la sua popolarità e il sostegno che proveniva da molti partiti
politici, il Consiglio di Reggenza (governo fantoccio filotedesco) lo nominò Comandante in Capo
delle Forze Armate Polacche. Il 14 novembre il Consiglio si sciolse e trasferì tutte le autorità a
Piłsudski come Capo di Stato. La posizione del Bund fu di appoggio alla fine dell’occupazione e al
processo di acquisizione dell’indipendenza, ma con l’insistenza sulla necessità di autonomia
culturale per gli oltre 3 milioni di ebrei che abitavano il nuovo paese. Per la formazione del nuovo
governo, Pilsudski invitò a consulto tutti i partiti politici: gli altri partiti ebraici accettarono, ma il
Bund rifiutò a meno che alle minoranze nazionali non fosse garantita l’autonomia nazional
culturale.
Nei confini del nuovo stato si trovarono a vivere circa 2,5 milioni dei 5 milioni di ebrei che
avevano vissuto nel vecchio Impero zarista, più altre centinaia di migliaia di ebrei della Galizia,
regione prima facente parte dell’Impero austro-ungarico. Nei primi giorni dell’indipendenza la
popolazione ebraica fu entusiasta, ma le speranze andarono presto deluse quando gli elementi
reazionari della società polacca ricominciarono a farsi strada. Presto gli slogan “Andate in
Palestina!” riecheggiarono, e i pogrom dell’era zarista tornarono a essere all’ordine del giorno.
A differenza delle posizioni relativamente tolleranti del governo, i soldati del neonato
esercito polacco erano quasi tutti giovani cresciuti nell’atmosfera antisemita della Russia zarista;
gli ufficiali erano per lo più nazionalisti polacchi, contrari all’uguaglianza delle numerose minoranze
nazionali che abitavano il nuovo stato. I primi resoconti di attacchi antisemiti raggiunsero gli Stati
Uniti nel dicembre 1918, i quali nominarono una commissione capeggiata da Henry Morgenthau
senior. Il rapporto della Commissione Morghenthau fu criticato anche dalle organizzazioni ebraiche
più conservatrici, in quanto minimizzava l’estensione e la gravità dei pogrom, attribuendoli agli
eccessi dei soldati e negando alcuna premeditazione210. Il governo polacco fu complice del
militarismo dell’esercito e cominciò ad allontanare gli ebrei dagli incarichi pubblici che questi ultimi
avevano iniziato ad acquisire, per assegnarli ai polacchi.

Il Bund e il Partito Comunista di Polonia. La presa del potere da parte dei bolscevichi in
Russia e la proclamazione dell’indipendenza della Polonia costrinsero al riorientamento tutti i partiti
socialisti polacchi. La socialdemocrazia polacca (PSD) era vicina ai bolscevichi già prima della
rivoluzione, e gli eventi dell’ottobre 1917 entusiasmarono anche la maggior parte dei membri della
Lewica.
Le relazioni tra il Bund e il PSD non erano mai state cordiali. In questo frangente nacquero
delle discussioni sulla natura della rivoluzione bolscevica. Il bundista Bainish Mikhalevich criticò
l’insistenza del PSD sul fatto che la rivoluzione fosse imminente anche in Polonia, sottolineando
che i lavoratori polacchi parevano in genere sotto l’influenza dello sciovinismo e dei partiti
reazionari. “La socialdemocrazia” – disse – “trasporta meccanicamente le condizioni russe in
Polonia e nel resto d’Europa, e continua a gridare: ‘La rivoluzione sta bussando alla porta!’. E’ una
posizione comica…essi osservano le tattiche bolsceviche, applaudendo e acclamando ogni cosa,
senza un minimo studio critico, senza il minimo tentativo di definire una posizione teorica
propria”211.
Le relazioni tra il Bund e la Lewica in genere erano state amichevoli. Durante l’occupazione
tedesca i due partiti avevano formato un blocco per le elezioni del consiglio cittadino, e la Lewica
era abbastanza favorevole all’autonomia nazional culturale propugnata dal Bund. La rivoluzione

210
New York Times, 19 gennaio 1920
211
Bainish Michalevich, Di Sotsiale Revolutsie un der Marxizm, 1918

64
bolscevica mutò questa situazione. I militanti della Lewica espressero sostegno senza se e senza
ma ai bolscevichi, e i dirigenti iniziarono le trattative per la formazione insieme al PSD di un partito
comunista che riproducesse l’esperienza russa. Ma il PSD per portare avanti l’operazione pretese
che la Lewica rescindesse i propri legami con il Bund, cosa che quest’ultima fece definendo il Bund
un partito nazionalista.
Così, il Partito Comunista di Polonia (KPP), nato il 16 dicembre 1918 dalla fusione di PSD e
Lewica, iniziò la propria storia come avversario del Bund. Nell’arco di alcuni anni non mancarono
gli scontri e a volte anche le uccisioni, mentre i bundisti venivano accusati di essere sionisti col mal
di mare (un vecchio scherno di Plechanov), nonostante la loro ferma opposizione allo stato ebraico
in Palestina.
La risposta alla questione ebraica, affermò il KPP, era la stessa per tutte le minoranze
nazionali: la rivoluzione socialista. Rosa Luxemburg, che approvò il programma adottato al
congresso di fondazione del partito, insistette molto su questo punto. Il programma sul tema della
questione nazionale si esprimeva in questi termini:

In quest’epoca di rivoluzione sociale internazionale, mentre è in corso la distruzione delle


fondamenta dell’ordine sociale capitalistico, il proletariato rifiuta le parole d’ordine
dell’autonomia e dell’indipendenza politica, o la richiesta di autodeterminazione sviluppatasi
nella prima fase di formazione dell’ordine capitalistico. Lottando per la dittatura del proletariato e
lavorando per opporre ai propri nemici le armate organizzate della rivoluzione, il proletariato
combatterà ogni tentativo di formare un’armata polacca borghese e controrivoluzionaria, e si
opporrà ad ogni guerra per i confini nazionali…Per la rivoluzione sociale internazionale non
esistono confini nazionali. Il suo territorio è determinato dagli interessi della classe operaia
internazionale, che rifiuta qualunque oppressione nazionale e rifiuta ogni pretesto di conflitto
nazionale, sia relativo ai confini che alle minoranza nazionali entro questi confini. 212

Nonostante la propria opposizione a tutto ciò che non fosse la rivoluzione socialista come
risposta alla questione delle minoranze, il KPP vide in queste ultime un potenziale terreno di
propaganda. Esso formò una sezione separata – come aveva fatto il Partito russo – per la
propaganda e l’agitazione tra i lavoratori ebrei. La sezione pubblicò opuscoli e periodici in yiddish,
e inviò militanti nelle zone ebraiche per fare propaganda in yiddish tra i lavoratori. Tuttavia essa fu
sempre controllata dal Comitato Centrale del KPP, e la sua direzione fu sempre nelle mani di un
gruppo di uomini saldamente controllati dal partito. Il KPP seguì sempre alla lettera la linea di
Lenin e Rosa Luxemburg, per i quali gli ebrei non erano un’entità nazionale separata, ma
semplicemente un popolo che usava un linguaggio proprio, e non imparava la lingua del paese di
appartenenza. Il KPP ribadiva che l’assimilazione degli ebrei ai lavoratori polacchi – in un partito,
un unico corpo sindacale, un’unica organizzazione culturale – fosse il solo mezzo per prevenire
l’antisemitismo.
Le speranze del KPP in una presa del potere bolscevica in Polonia divennero quasi realtà
nella primavera del 1920, quando una disastrosa offensiva militare polacca si trasformò in
un’avanzata dell’Armata Rossa fin quasi alle porte di Varsavia. Sin dal 1919 il KPP era stato chiaro
su questa eventualità: “Se la rivoluzione polacca avesse bisogno del proletariato russo, questo
aiuto non sarebbe considerato un’invasione, o l’espressione di una tendenza
imperialista…semplicemente vorrebbe dire che si sta compiendo la solidarietà rivoluzionaria
internazionale”213. La guerra russo – polacca tuttavia terminò nel 1921 con un negoziato, e in
Polonia il nazionalismo e lo sciovinismo rimasero radicati.
La politica del “tutto o niente” del KPP generò frequenti scontri con il Bund polacco nei 20
anni successivi, ma non riuscì mai a provocare una scissione in quest’ultimo.

I soviet polacchi. Per un breve periodo, subito dopo la fine della guerra, vi fu la possibilità
che il neonato governo polacco fosse sopravanzato dai soviet dei lavoratori, che si erano formati
quasi spontaneamente in varie parti del paese. Ma i soviet polacchi non ebbero mai un potere
reale, e furono piuttosto degli ambiti di discussione politica. Alcuni soviet furono a maggioranza
comunista, altri più vicini al PPS, altri ancora egemonizzati dai nazionalisti antisemiti. Il Bund prese

212
Sztandar Socjalizmu, 19 dicembre 1918
213
Pinkus Minc, The History of a False Illusion, 1954

65
parte attiva nella formazione dei soviet. Erlich fu vice-presidente del Soviet di Varsavia, e di fatto
svolse le funzioni di presidente durante la breve esistenza di quest’ultimo. Il Bund cercò di
trasformare i soviet in organismi rivoluzionari, ma i lavoratori polacchi erano stanchi e non
interessati alla rivoluzione sociale. Influenzati soprattutto dal PPS, i lavoratori volevano in primo
luogo uno stato polacco.
Nel 1919 il Bund diramò un appello ai soviet polacchi:

L’impellente bisogno del momento è una lotta fino alla morte per la più rapida e diretta
realizzazione del socialismo. La via che conduce a tale scopo è la rivoluzione proletaria, che
metterà tutto il potere nelle mani del proletariato…
Il ruolo dei soviet deve essere l’organizzazione del potere della classe operaia; la
protezione…degli interessi economici della classe operaia nella lotta contro lo sfruttamento, la
difesa delle masse operaie contro gli assalti dei controrivoluzionari.
Uno dei modi per affrontare questa guerra deve essere una forza armata posta sotto il diretto
controllo dei soviet.214

I soviet ignorarono l’appello del Bund, e presto si trovarono a fronteggiare la questione della
guerra russo – polacca. Il Bund propose al Soviet di Varsavia l’adozione della seguente
risoluzione:

Il Soviet dei Delegati Operai di Varsavia condanna tutte le guerre che sono condotte dai
governi borghesi, e dunque anche la guerra condotta dall’attuale regime polacco – a maggior
ragione questa guerra perché nelle intenzioni dei capitalisti essa deve diventare una guerra
imperialista mirante alla rapina e oppressione di altre nazioni.
Il Soviet dei Delegati Operai di Varsavia afferma che a prescindere dall’atteggiamento dei vari
settori del proletariato polacco nei confronti dei bolscevichi, esso si opporrà vigorosamente ad
ogni tentativo di distruggere l’Unione Sovietica.
Il Soviet dei Delegati Operai di Varsavia chiede, a nome del proletariato di Varsavia, la fine
delle politiche di guerra senza costrutto, che vengano intrapresi immediati negoziati di pace, e
che il sangue della classe operaia polacca smetta di scorrere per gli interessi del capitalismo
internazionale.215

Il PPS fu contrario: voleva il sostegno alla guerra. I partiti si divisero e i soviet cessarono
virtualmente di esistere.

Democrazia proletaria o dittatura proletaria. Alla fine del 1918, all’indomani della nascita
del Partito Comunista di Polonia, il Bund polacco convocò la propria Seconda Conferenza per far
fronte alla situazione di tensione al proprio interno, con una sinistra pro-bolscevica e una destra
socialdemocratica sempre più contrapposte. L’ala destra del Bund si considerava in tutto e per
tutto una componente rivoluzionaria del movimento socialista. Essa si opponeva al riformismo
della Socialdemocrazia Tedesca e al nazionalismo del PPS, tuttavia non era disposta ad
appoggiare la distruzione della democrazia nel nome del socialismo. La risoluzione proposta dalla
destra e approvata alla conferenza del 1918 fu molto chiara. La fine della guerra, affermò la
risoluzione, significava l’inizio di una battaglia sociale ed economica che aveva “come proprio
obbligo l’edificazione del socialismo”. Per ottenere il socialismo sarebbe stata necessaria la
solidarietà “del proletariato internazionale”216, e ciò rendeva necessaria la formazione di una nuova
e forte Internazionale socialista. Il Bund non escludeva i comunisti da questa ipotetica nuova
internazionale, ma ovviamente tale organismo avrebbe dovuto basarsi sui vari movimenti socialisti
diffusi nel mondo.
La Polonia, affermò la risoluzione del Bund, era in una condizione particolare. “In un paese
che da oltre cent’anni si ritrova sotto un pesante giogo, che è stato appena liberato da
un’occupazione militare, e nel quale in gran parte sono assenti i più elementari pre-requisiti per
un’organizzazione operaia legale e di massa”217, lo scopo dei socialisti doveva essere la creazione

214
In A. Ratman (pseudonimo di Gershon Ziebert), Der Bund in Polyn, 1920
215
In Leon Ohler, Di Linke Rikhtung in Bund in Polyn, 1958
216
Glos Bund, 6 marzo 1919
217
ibidem

66
e il rafforzamento di tali pre-requisiti. Tra questi il principale era costituito dalle istituzioni
democratiche “che verranno formate sotto la pressione della classe operaia”. La classe operaia
avrebbe dovuto “occupare la più ampia porzione del potere politico e sociale” all’interno di questi
organi democratici dello stato, nell’ottica di condurre alla vittoria la lotta per il socialismo218.
Un acceso dibattito precedette l’approvazione della risoluzione. I rappresentanti della
sinistra contestarono l’uso dei mezzi parlamentari per il raggiungimento del potere; essi volevano
che i soviet prendessero il potere con la forza e costituissero una dittatura proletaria sul modello di
quella russa.
La risoluzione passò con un margine minimo: 32 voti a 31. La minoranza accettò per
disciplina l’esito del voto, ma i suoi rappresentanti chiesero la convocazione di una nuova
conferenza, il che chiaramente indeboliva le decisioni appena prese. Inoltre, la minoranza si rifiutò
di partecipare all’elezione dei membri del nuovo Comitato Centrale, anche in questo caso minando
l’autorevolezza di tale organismo in una fase in cui si avvicinavano le elezioni per la Dieta (Sejm), il
parlamento polacco. Sulla questione del parlamentarismo si formarono quindi due fazioni
contrapposte, più una terza che cercava di fare da ponte.
In capo ad alcuni mesi sembrò che il partito avesse perso il controllo sulle proprie strutture.
Nell’ottobre 1919 la conferenza dei bundisti membri dei consigli cittadini respinse la risoluzione del
1918. L’assise dei consiglieri dichiarò che “la sola via d’uscita dalla multiforme crisi che affligge la
nostra nazione…va reperita nel nostro programma massimo – il socialismo – che prevede la presa
del potere da parte della classe operaia”. Il compito principale dei consiglieri bundisti era dunque
“sviluppare una coscienza rivoluzionaria da parte delle masse”. Ciò significava promuovere il
programma massimo e propagandare “il nostro programma per il periodo di transizione, che dovrà
essere elaborato dalla classe operaia il giorno dopo la presa del potere”219.
Il dibattito interno ostacolava il lavoro organizzativo del Bund, tanto che Noah Portnoy,
presidente del Comitato Centrale, affermò che vi erano seri dubbi sulla possibilità che il partito
sopravvivesse. “Tutti noi – di destra e di sinistra – dobbiamo convenire che le attuali condizioni nel
partito non possono continuare ad esistere. Le differenze di opinione nel partito possono esistere;
possono esserci molte opinioni ma non molte azioni. Un esercito non può esistere senza
disciplina…”220.
L’appello di Portnoy cadde nel vuoto. Le organizzazioni di Varsavia, Lublino e Chelmno,
roccaforti della sinistra, si rifiutarono di partecipare alle elezioni della Dieta polacca nel gennaio
1919, di fatto spingendo il Bund a rinunciare alla prima tornata elettorale libera nella storia della
Polonia. Nel prosieguo dello stesso anno, infatti, quelle stesse tre organizzazioni parteciparono alle
consultazioni municipali, con l’elezione di ben 130 consiglieri.
Il rifiuto del comitato del Bund di Varsavia di obbedire alla risoluzione del 1918 (partecipare
alle elezioni della Dieta) fu la prima aperta insubordinazione di un organismo locale nei confronti
del centro in tutta la storia del Bund. Il Bund virtualmente aveva cessato di esistere come
organizzazione. Regnava una quasi-anarchia. Singoli militanti entravano nelle organizzazioni locali
senza alcun controllo da parte del centro, e molti di costoro trasgredirono anche le indicazioni
locali, rifiutandosi di sostenere i candidati del Bund nei consigli cittadini.
Per porre fine al caos, nella primavera del 1919 il Comitato Centrale convocò una Terza
Conferenza straordinaria, ma in quella sede le fazioni risultarono ancora oltremodo divise. L’ala
sinistra non volle ammettere di avere sbagliato respingendo l’ordine di partecipare alle elezioni
della Dieta. Un delegato di Radom affermò che la scelta in realtà aveva salvato il partito, poiché i
lavoratori volevano che le elezioni fossero boicottate. Inoltre, continuò il delegato, l’iniziativa di
Varsavia non aveva violato le indicazioni del 1918; la Dieta non era un’organizzazione democratica
“creata sotto la pressione del proletariato”, e dunque non rientrava nei casi contemplati dalla
risoluzione. Per giunta, concluse, l’organizzazione di Varsavia aveva sbagliato a partecipare alle
elezioni municipali. Un altro delegato aggiunse che la questione era la scelta tra la rivoluzione e il
riformismo. Forse che i socialisti tedeschi di sinistra non si erano rifiutati di obbedire ai dettami dei
dirigenti SPD, e forse che Kautsky non li aveva sostenuti? Anzi, il Comitato Centrale del Bund era

218
ibidem
219
Risoluzione della Conferenza dei Consiglieri cittadini del Bund, ottobre 1919
220
Lebnsfragn, 29 aprile 1919

67
a sua volta colpevole di indisciplina, in quanto si era rifiutato di far stampare le critiche dell’ala
sinistra sulla questione elettorale221.
La posizione di fondo della sinistra fu riassunta da un altro dei suoi delegati:

Siamo entrati in un periodo rivoluzionario non a causa del malcontento delle masse, o perché
noi desideriamo fare la rivoluzione, ma a causa dei mutamenti arrecati dalla guerra al sistema
capitalistico. La guerra…accelera la caduta del sistema capitalistico. Su questo siamo tutti
d’accordo.
La questione che ci divide non è se fare o non fare la rivoluzione. E’ sul come la rivoluzione
vada fatta: democrazia o dittatura del proletariato. A questo punto, la dittatura del proletariato è
la sola strada possibile. La democrazia rappresenta la volontà della classe capitalistica, e dà a
quest’ultima la possibilità di sfruttare le masse.
Noi non siamo vincolati alla democrazia. Se la democrazia non va incontro ai bisogni del
socialismo, il Bund la può ripudiare. La democrazia ora dà alla borghesia…i mezzi materiali per
controllare la macchina governativa. A causa del proprio dominio economico, la borghesia
riesce a controllare le elezioni e a ottenere le maggioranze. La borghesia trasforma la
democrazia in uno strumento per i propri interessi. Il proletariato deve dunque trovare altre vie.
Noi crediamo nella dittatura del proletariato. Tuttavia non ci illudiamo: la dittatura sarà la
dittatura di un partito, un partito della classe operaia cosciente, della quale rappresenta gli
interessi. Nessuna rivoluzione – neanche una rivoluzione borghese – ha mai avuto successo
senza un periodo di dittatura. Se nel potere sovietico – in Russia – si è formata una dittatura di
un piccolo partito, la colpa è dei partiti che hanno boicottato il soviet: il Bund, i menscevichi e i
socialisti rivoluzionari. Se noi e il PPS non facciamo come i menscevichi in Russia, noi
possiamo evitare che si crei una situazione analoga a quella russa. 222

I centristi, il cui scopo primario era di evitare la scissione del Bund in due parti, espressero
appoggio sia alla dittatura del proletariato che alla democrazia. Essi dichiararono la propria
contrarietà alle forme democratiche in una fase di rivoluzione sociale; ma, dissero, “finchè la
rivoluzione sociale è in corso noi non possiamo rinunciare agli organismi democratici attraverso i
quali possiamo fare propaganda tra le masse”. Non usare le istituzioni democratiche sarebbe stato
un grosso errore. Se tuttavia queste istituzioni si fossero dimostrate non in grado di approvare i
cambiamenti sociali auspicati dal Bund, i centristi avrebbero optato per altri metodi più drastici.
Non era necessario, dissero i centristi, che le rivoluzioni fossero fatte da una maggioranza:
storicamente le rivoluzioni erano sempre state fatte da minoranze. Quindi, ”Non possiamo rifiutare
il sostegno a una rivoluzione perché è il prodotto di una minoranza, né possiamo rinviare il nostro
sostegno fino a che una maggioranza non sia pronta ad appoggiarla”. La classe operaia tuttavia
non era forte abbastanza da compiere la rivoluzione: era necessario unirsi ai contadini, all’interno
di organi democratici che si opponessero alla reazione.
I centristi respinsero la posizione bolscevica per la quale i peggiori nemici della rivoluzione
erano i socialisti non comunisti. “Il peggior nemico è la borghesia”, dissero, dunque il movimento
operaio doveva ricercare l’unità. La politica bolscevica conduceva alla guerra civile all’interno dei
ranghi del movimento operaio rivoluzionario. Per raggiungere l’unità, secondo i centristi si doveva
evitare qualunque scissione.223
L’ottimismo della sinistra e del centro sull’imminenza della rivoluzione non fu condiviso dai
bundisti di destra. Costoro dubitavano che i lavoratori, che avevano mostrato riluttanza a votare
anche per i socialisti moderati, fossero pronti a fare una rivoluzione sociale e ad accettare la
dittatura del proletariato.
Perché ad esempio, chiese Medem a nome della destra, i soviet polacchi erano così
deboli? Poiché le condizioni per il loro sviluppo in Polonia non erano presenti. Che i soviet russi
fossero divenuti la base per l’insurrezione anti-democratica bolscevica, era un fatto secondario; il
fatto era che i soviet in Russia erano scaturiti da una rivoluzione democratica e popolare. In
Polonia questa rivoluzione non aveva avuto luogo, specialmente alla luce della recente ascesa
degli Endek. “Non si può passare dal governo degli Endek al governo sovietico”224, disse.

221
ibidem
222
ibidem
223
ibidem
224
ibidem

68
I bundisti di destra credevano nella necessaria concomitanza tra democrazia e socialismo.
La questione posta davanti a tutti, dissero, era se la minoranza borghese o la maggioranza
proletaria dovessero governare. “Perché temiamo la democrazia? Perché i lavoratori dovrebbero
votare per i propri nemici? Se è così, i lavoratori non sono degni del socialismo, e la rivoluzione
sociale è in ogni caso impossibile. Rifiutare la democrazia e le elezioni è assegnare il potere a una
minoranza di cospiratori. Ciò sarebbe disonesto; ciò dovrebbe essere respinto fermamente dal
Bund”225.
“Perché non utilizzare le istituzioni democratiche?” affermò un altro delegato della destra,
riferendosi al loro impiego come tribuna propagandistica. Un discorso alla Dieta sarebbe stato
“ascoltato di più che uno in un soviet, con i soviet così poco partecipati”226. Il discorso di Karl
Liebknecht al Reichstag non aveva forse avuto un effetto maggiore dei suoi comizi rivolti a un
piccolo uditorio?
La destra si disse poco convinta che una presa non democratica del potere potesse
condurre a un vero socialismo. Il risultato finale sarebbe stato più simile a una dittatura di partito.
Un suo portavoce disse:

Il sistema sovietico è fondato sulla presa del potere da parte di un’autocrazia – una
minoranza. Essa crea un potere autonominato. La costituzione sovietica conferisce unicamente
al Partito Comunista il potere di decidere che debba avere i diritti politici. Agli oppositori tali diritti
sono negati. Il potere invece che dal popolo deriva dal partito. Gli organi di governo non sono
eletti dal popolo, ma dal Partito Comunista. Lo statuto del partito non è controllato dal basso,
bensì è applicato dall’alto. Alla fine il partito diventa egemone e “la grande commedia elettorale”
non è più necessaria. Il potere appartiene al Partito Comunista e non ai soviet; il sistema dei
soviet è semplicemente il travestimento di un’oligarchia partitica. E’ giunto il momento di porre
un freno a questo ridicolo mascheramento.227

“La ruota della storia gira lentamente…” concluse la destra. Le elezioni del gennaio 1919
avevano portato a capo del governo il musicista Paderewski, espressione dei nazionalisti, un
passo indietro rispetto al precedente Primo ministro, il socialista Moraczewski (che era stato in
carica provvisoriamente dal novembre 1918 al gennaio 1919).
La risoluzione adottata al termine del lungo dibattito, forte di 52 voti a favore e 15 contrari
(con 6 astensioni della destra), espresse sostegno al potere sovietico e alla dittatura del
proletariato con alcune riserve:

La rivoluzione sociale, che già travolge le nazioni sconfitte, presto avrà ragione anche delle
nazioni vittoriose. La rivoluzione sociale può vincere soltanto se è internazionale nei propri
obiettivi. In Polonia la reazione capitalistica sta conducendo a uno scontro rivoluzionario tra i
lavoratori e i capitalisti. La rivoluzione sociale può raggiungere il socialismo – il proprio obiettivo
finale – solo quando i lavoratori stessi si impadroniscono dell’intero potere statale allo scopo di
utilizzarlo per la trasformazione economica della società. In questo periodo di rivoluzione
sociale, le istituzioni democratiche hanno mostrato la propria incapacità di far fronte ai compiti
rivoluzionari richiesti alla classe operaia. Dunque il governo del proletariato deve assumere la
forma dei soviet dei lavoratori delle città e dei villaggi. Il potere sovietico è transitorio, ma
necessario per l’edificazione di una società socialista. Le istituzioni parlamentari devono essere
usate solamente per la diffusione della propaganda rivoluzionaria. 228

La sinistra e il centro si ritrovarono in una posizione di forza. Gli anziani dirigenti della
destra erano nettamente in minoranza; tuttavia il nuovo Comitato Centrale fu suddiviso equamente
tra sinistra, centro e destra, con due membri per ciascuna fazione.

Nascita del Comintern e Congresso di Cracovia. Nel 1919 un importante evento,


destinato a intensificare la lotta nel Bund polacco, fu la nascita della Terza Internazionale, o
Internazionale Comunista (Comintern). Formato nel gennaio 1919, il Comintern ebbe il ruolo di

225
ibidem
226
ibidem
227
ibidem
228
ibidem

69
magnete per attrarre i nuovi partiti comunisti o i partiti socialisti che non si facevano più illusioni
sull’Internazionale Socialista. Il dibattito interno sull’affiliazione alla Terza Internazionale agitò il
Bund per i successivi dieci anni.
Le dispute iniziarono subito dopo la Terza Conferenza della primavera 1919. La sinistra del
Bund polacco si espresse quasi immediatamente per l’adesione al Comintern. I centristi invece
volevano che i partiti socialisti di sinistra (compreso il Bund) e i comunisti formassero insieme una
nuova Internazionale socialista. La destra invece fu sempre convinta, anche nei mesi della “luna di
miele” che seguirono l’Ottobre 1917, che la presa del potere bolscevico fosse una catastrofe per il
socialismo mondiale. Essi pertanto si dichiararono a favore della collaborazione coi partiti
socialdemocratici per la ricostruzione della Seconda Internazionale.
La destra si organizzò in un gruppo strutturato intorno a Bernard Goldstein, dirigente
sindacale, e ai veterani Medem e Mikhalevich, in vista Congresso del 1920. Consapevoli della
propria scarsa forza, tuttavia, prima ancora del congresso essi abbandonarono la linea della
ricostruzione della Seconda Internazionale per limitarsi a sostenere la non adesione al Comintern.
Il Primo Congresso del Bund polacco unificato, nell’aprile 1920, fu convocato appunto allo
scopo di procedere alla fusione del Bund polacco con il Partito Socialista Ebraico di Galizia,
regione prima facente parte dell’Impero austriaco e ora passata alla Polonia. Tuttavia la questione
della fusione fu risolta in fretta, mentre la questione dell’affiliazione al Comintern fu discussa a
lungo. Come sede del Congresso simbolicamente fu scelta la città galiziana di Cracovia. I delegati
furono complessivamente 86 (60 del Bund e 26 dei socialisti galiziani). L’unificazione delle due
organizzazioni avvenne il primo giorno del congresso: i rispettivi comitati centrali l’avevano
discussa ampiamente nei mesi precedenti.
Il congresso deliberò a questo punto di non affrontare le tematiche riguardanti lo stato
polacco, che sarebbero state analizzate in seguito dal nuovo Comitato Centrale, e di concentrarsi
sulla questione internazionale. Prima di cominciare tuttavia venne stabilito di non prendere
decisioni definitive, pena l’unità del partito, bensì di andare a fondo della questione in modo che
l’assise fosse rappresentativa dei punti di vista di tutti i membri del Bund polacco.229
La sinistra affermò che un’Internazionale rivoluzionaria necessitava di un programma
rivoluzionario. Dal momento che la piattaforma del Comintern era tale, di conseguenza il partito
della classe operaia ebraica rivoluzionaria doveva affiliarsi all’Internazionale Comunista.
I centristi respinsero questa argomentazione. Certo, la piattaforma doveva essere
rivoluzionaria; ma più importante della piattaforma erano le attività di un’Internazionale. E le attività
del Comintern non portavano alla rivoluzione socialista. Il Comintern, affermarono i centristi,
istigava alla guerra civile “non contro il nemico di classe ma all’interno dei partiti della classe
operaia”230. Essi volevano che il Comintern includesse nei propri ranghi le masse operaie e
facesse guerra al sistema capitalistico invece che al movimento socialista.
Erlich, ora portavoce dei centristi, accusò il Comintern in quanto nemico della rivoluzione:
“L’Internazionale Comunista non è un’internazionale della classe operaia; sono i bolscevichi
russi!”231. Il Comintern rappresentava la tendenza blanquista che si era sviluppata nel movimento
socialista mondiale. Questa tendenza era un prodotto della crescita della classe operaia in tempo
di guerra; i nuovi proletari, la maggior parte dei quali prima erano contadini e delle classi medio-
basse, non avevano un retroterra o una formazione socialista, e potevano facilmente essere
convinti dalle teorie anarchiche o blanquiste.
“Noi siamo socialdemocratici e non blanquisti” dichiarò Erlich. “Dunque dobbiamo
respingere la teoria della ‘minoranza agente’. Le organizzazioni della classe operaia (internazionali
così come nazionali) devono essere qualcosa di più che semplici gruppi di cospiratori, che stati
maggiori rivoluzionari; devono essere composte, in tutte le loro sezioni, dalla classe operaia
stessa”232.
Il congresso dibattè la questione per due giorni interi, a volte in maniera accesa e
inconciliabile. Alla fine, fu decisa l’affiliazione al Comintern. Ma il voto rivelò che non tutti i bundisti
si erano convinti a compiere quel passo: la proposta della sinistra passò per 41 voti a 30, con 15

229
Di Arbeter Shtime, 16 aprile 1920
230
Di Arbeter Shtime, 8 aprile 1920
231
ibidem
232
ibidem

70
astenuti. Le conclusioni del congresso furono ottimistiche, sottolineando che il Bund in Polonia era
riuscito a mantenersi unito mentre altre organizzazioni ebraiche si erano divise in campi ostili. La
lotta interna comunque non soddisfece molti militanti della sinistra, che si dimisero per entrare nel
Partito Comunista Polacco.
Vladimir Medem, leader storico del Bund e portavoce dell’ala destra, rifiutò qualunque
compromesso. Non volle unirsi agli esponenti dell’ala destra che appoggiavano i centristi. Quando
la linea della sinistra ebbe il sopravvento, Medem annunciò che avrebbe rinunciato a qualunque
incarico nel Bund, e si sarebbe trasferito in America. Il suo risentimento fu tale che non volle che si
svolgesse un’assemblea di commiato in suo onore. Medem disse a un gruppo di suoi sostenitori
che dubitava che il Bund sarebbe a lungo rimasto su posizioni pro-bolsceviche, ma finchè le cose
non cambiavano non voleva avervi nulla a che fare. Dopo la sua partenza per l’America, ove morì
nel 1923, la destra bundista rimase senza un leader e il Bund perse uno dei suoi esponenti di
maggiore rilievo.
I comunisti polacchi non furono entusiasti della svolta a sinistra del Bund a Cracovia. Una
settimana dopo il Congresso del Bund, il KPP tenne la propria prima conferenza, e definì l’esito del
voto bundista una mezza vittoria sulla “dirigenza anti-rivoluzionaria del partito”. Secondo i
comunisti il “settore rivoluzionario” del Bund non avrebbe avuto piena vittoria se non avesse
espulso i propri dirigenti, abbandonato la linea dell’autonomia nazional culturale, e cessato di
insistere su di un’organizzazione separata degli ebrei socialisti. I comunisti promisero di continuare
la lotta nei confronti del Bund fino a quando non vi fossero stati questi cambiamenti233.

Il Bund e la guerra russo – polacca. Nel 1920 scoppiò la guerra tra la Russia sovietica e
la Polonia. I leader nazionalisti polacchi contavano di approfittare della guerra civile in Russia per
accaparrarsi nuovi territori. Il piano di Pilsudski era di occupare Ucraina, Bielorussia e Lituania e
formare una repubblica federale composta di quattro nazionalità, sotto la tutela polacca. Gli appelli
sovietici per la pace furono inascoltati, e nel maggio 1920 l’esercito polacco occupò Kiev. Ma in
capo a due mesi i polacchi furono costretti alla ritirata. In agosto l’Armata Rossa giunse alle porte
di Varsavia.
Per avere il supporto della classe operaia polacca, lo stato maggiore polacco costrinse la
Dieta a formare un nuovo governo presieduto da Ignacij Daszinskij del PPS e da Wincenty Witos
del Partito dei Contadini. Un governo degli operai e dei contadini doveva servire a convincere le
classi inferiori a difendere la capitale. Questo “governo degli operai e dei contadini” ordinò la
coscrizione degli ebrei e di altre minoranze, destinandole a lavorare in condizioni durissime, avallò
la continuazione delle persecuzioni degli ebrei e represse con violenza i gruppi alla sinistra del
PPS, in particolare il Bund, Poale Zion e gli Unitari.
I bundisti, nonostante l’orientamento pro-Comintern votato a Cracovia, in generale si
opposero sia al regime polacco che all’invasione sovietica. Erano per una Polonia socialista ma
indipendente, e si posizionarono per la fine delle ostilità e negoziati di pace. Alla fine del 1920 il
Bund partecipò, con altri partiti di sinistra, a uno sciopero generale contro la militarizzazione delle
ferrovie e per la pace con la Russia. L’obiettivo dello sciopero era il rovesciamento del governo
Daszinskij – Witos e quindi l’ottenimento della pace. I bundisti nei consigli cittadini denunciarono la
guerra, chiedendo una pace immediata. L’8 luglio del 1920 Erlich fece un appassionato discorso al
consiglio cittadino di Varsavia: “Per cosa stiamo combattendo?” chiese “Per un territorio che non ci
appartiene”. Affermò che la guerra era fatta per fare della Polonia una potenza imperialistica, e per
distruggere ogni speranza di socialismo in Russia234. Quando ebbe finito di parlare davanti
all’affollata riunione, qualcuno iniziò a gridare “Linciatelo!”, e i cinque consiglieri bundisti dovettero
allontanarsi. Nel frattempo il governo polacco fece circolare un documento che diceva che il Bund
aveva ricevuto 10 milioni di rubli dai sovietici come ricompensa per l’aiuto ricevuto. La stampa
polacca accusò il Bund di essere alleato con il nemico, e chiese che fosse messo fuorilegge.
Quando le truppe bolsceviche circondarono Varsavia l’isteria anti-bundista si fece ancor
maggiore: i circoli culturali, sindacati, cooperative, scuole e gruppi giovanili di orientamento
bundista furono oggetto di attacchi. Tra gli arrestati in questo periodo vi furono Yudel Fink (editore

233
Il testo della risoluzione è in S. Zachariasz, Di Kommunistiche Bavegung Tsvishn der Idisher Arbeiter Bafelkerung in
Polyn, 1954
234
Robotnik Zydowski, luglio – agosto 1920

71
dell’Arbeter Shtime, che fu chiuso) e i consiglieri cittadini bundisti di Varsavia, Piotrkow, Lodz, Lvov
e altre città minori. A Lublino e Chelmno le sedi sindacali e le mense furono distrutte. Il Comitato
Centrale dei Sindacati Ebraici di Varsavia riportò che la maggior parte dei propri attivisti (quasi tutti
bundisti) erano stati arrestati, e i propri 30.000 membri non avevano un gruppo dirigente. Di fatto il
Bund fu messo fuorilegge, e dovette riprendere la produzione clandestina di volantini e opuscoli.
La repressione del 1920 fu un duro colpo per il Bund, e la linea opposta sulla guerra segnò
una profonda spaccatura tra il PPS e i bundisti. Questi ultimi, almeno temporaneamente, virarono
con decisione a sinistra, guardando ai bolscevichi.

72
8.
LA RESA DEI CONTI DEL 1921

La fine del Bund in Russia. Nel 1920 in Russia il percorso verso la liquidazione dei partiti
ebraici, e del Bund in particolare, era già ampiamente avviato. Tuttavia il Partito Comunista Russo
era ben consapevole della resistenza che avrebbe incontrato se avesse cercato di forzare i tempi
per lo scioglimento del Bund, in particolare del suo nucleo storico in Bielorussia. Il Bund si era
appellato alla neonata Internazionale Comunista per la definizione del proprio status organizzativo,
anche se il Comintern già nel febbraio 1920 si era rifiutato di ammettere nei propri ranghi i
borot’bisty (gli SR di sinistra). Nel novembre 1920 l’Esecutivo del Comintern chiese al Comitato
Centrale del Bund e a quello del Partito Comunista Russo di formare una commissione, presieduta
da un funzionario del Comintern, per elaborare i criteri in base ai quali il Bund potesse unirsi al
Partito Comunista. Krestinskij, Preobrazenskij e Chemeriskij rappresentarono i comunisti, mentre
Esther Frumkin, Veinshtain e Moshe Litvakov rappresentarono il Bund comunista e gli Unitari, ora
riuniti in un Komfarband bielorusso. Presidente della commissione fu nominato il funzionario
bulgaro dell’Internazionale Shablin. La situazione politica russa nel frattempo volgeva a favore del
potere comunista, ma la base del Komfarband premeva affinchè fosse mantenuta l’autonomia
organizzativa del socialismo ebraico. 400 lavoratori di Minsk avevano inviato un telegramma (e
non era il solo) che invitava i propri rappresentanti nella commissione a “difendere energicamente i
principi organizzativi del Bund”235, quali erano stati ribaditi alla Dodicesima Conferenza a Gomel.
La proposta presentata dai rappresentanti del Bund dichiarava che “Il Bund entra nel PCR
come organizzazione comunista del proletariato ebraico, senza limiti geografici per quanto
riguarda la propria attività”. Ciò era né più né meno la richiesta del Bund rigettata da Lenin nel
1903. I bundisti comunisti chiesero anche l’autonomia nell’agitazione, nella propaganda e
nell’organizzazione, nel senso che l’organizzazione comunista ebraica avrebbe avuto proprie
organizzazioni locali, organi centrali, congressi, rappresentanti nel comitato centrale del PCR, e
delegati ai congressi internazionali. Il Bund fece riferimento anche al programma nazionale
adottato alla Dodicesima Conferenza e chiese di avere relazioni dirette con “organizzazioni simili
all’estero e sotto occupazione”. Il Bund avrebbe assorbito le sezioni ebraiche e la nuova
organizzazione si sarebbe chiamata “Unione Generale dei Lavoratori Ebrei”236.
Chiaramente tutto ciò era inaccettabile per il PCR. Le proposte del Bund furono il beau
geste di un partito orgoglioso della propria storia, e determinato a difendere l’onore rivoluzionario.
Ma esse vennero in una fase in cui il PCR stava combattendo anche le proprie opposizioni interne,
l’Opposizione Operaia di Aleksandra Kollontaj e il Centralismo Democratico di Nikolaj Osinskij, e
anche all’interno del Comitato Centrale bolscevico non mancavano le divisioni sulla questione della
disciplina di partito e del centralismo. Un’ondata di scioperi a Pietrogrado nel febbraio 1921 e la
ribellione di Kronstadt del mese successivo spinsero i bolscevichi a schiacciare i gruppi interni al
partito riluttanti a sottoporsi alla più ferrea disciplina. Ciononostante, la commissione che discuteva
la posizione del Bund nel PCR svolse diverse riunioni, in cui entrambe le parti difesero le rispettive
posizioni. Il Bund vinse una schermaglia quando ottenne che un rappresentante del proprio centro
fosse assegnato all’Ufficio Centrale delle Sezioni Ebraiche in qualità di osservatore. In una lettera
a Krestinskij, Rafes scrisse che anche alcuni membri delle Evsektsiia erano “psicologicamente e
politicamente comunisti a metà”237, poiché non erano in grado di subordinare gli interessi del lavoro
ebraico a quelli del partito, e suggerì che l’atteggiamento negativo del PCR verso i comunisti ebrei
avrebbe rafforzato le tendenze separatiste tra i lavoratori ebrei. Rafes aggiunse che alcuni membri
delle Evsektsiia gli parevano pronti a entrare nel Bund, e chiese che alla luce di questi fenomeni il
processo di fusione non fosse troppo accelerato.

235
A. Kirzhnitz, Der Bund un di komunistishe partai in Rusland, 1921
236
Shlomo Agursky, Di yidishe komisariatn un di yidishe kommunistische sektsies, 1928
237
ibidem

73
Naturalmente Krestinskij non si lasciò convincere. Non era il PCR bensì il Komfarband che
doveva rallentare. La commissione era ferma sulla contrapposizione tra i tre bolscevichi e i tre
bundisti, ma il parere del presidente Shablin la faceva pendere verso i primi. La disputa proseguì, e
nel febbraio 1921 Veinshtain apparve pronto ad accettare l’ingresso del Komfarband nel PCR
senza condizioni. Ma Esther Frumkin era contraria alla capitolazione, e Veinshtain decise a sua
volta di continuare la lotta. Alla fine il Comitato Centrale del Bund con un voto di 6 a 5 decise di
accettare la decisione della fusione incondizionata, ma solo se vi fosse stata anche l’approvazione
dell’Esecutivo del Comintern. In tal modo i bundisti speravano di salvarsi dall’estinzione, ma
l’Esecutivo approvò senza problemi la raccomandazione della commissione sulla fusione
incondizionata.
“La decisione della commissione…ovviamente non fu apprezzata neanche dai comunisti
più convinti del Bund. Era chiaro a tutti che la liquidazione del Bund fosse un duro colpo per il
movimento operaio ebraico”238. Molte organizzazioni locali del Bund vacillarono, e Der Veker
biasimò quell’atto che “ha spezzato il filo conduttore del movimento operaio ebraico”239.
L’organizzazione di Mogilev rigettò in toto la decisione, definendola un “crimine violento” e
chiedendo che la questione venisse rimessa al Terzo Congresso dell’Internazionale Comunista.
Ma fu l’organizzazione di Minsk che espresse il sentimento prevalente. Essa si dichiarò contraria
alla decisione dell’Esecutivo del Comintern, ma aggiunse che “In questo periodo di transizione le
forze comuniste non possono essere disperse”, e auspicò che “nei ranghi del PCR porteremo
avanti una lotta legale per i nostri principi organizzativi, e sicuramente arriveremo alla vittoria”240.
Esther Frumkin, alcuni giorni prima della Conferenza Straordinaria che doveva riunirsi per decidere
se accettare o no la fusione, scrisse su Der Veker:

Che sia chiaro e lampante, in questo momento finale, che qualunque cosa accada al nome del
Bund, alla forma del Bund, qualunque decisione prenda la conferenza, il bundismo vivrà finchè
vive il proletariato ebraico, e il bundismo vivrà e sarà trionfante!

L’ultimo atto del dramma andò in scena a Minsk il 5 marzo 1921. Tutti i partiti politici,
eccetto quello bolscevico, erano stati liquidati o resi totalmente inoffensivi. In capo a tre giorni, il
Decimo Congresso del Partito Comunista si sarebbe riunito per vietare il frazionismo al proprio
interno. In tale clima 73 delegati del Komfarband, in rappresentanza di circa 3000 militanti, si
riunirono per eliminare i resti del Bund, un’operazione che i bolscevichi avrebbero svolto essi stessi
qualora i bundisti si fossero rifiutati. Nessuno dubitava dell’esito della conferenza, e l’unica
incertezza era se la minoranza avrebbe accettato la decisione di liquidare il partito.
Alcuni delegati attaccarono aspramente i rappresentanti bundisti alla commissione Shablin,
accusandoli di tradimento. Esther Frumkin li difese e con un toccante intervento si assunse la
dolorosa responsabilità:

Ci potete costringere, ci potere distruggere, ma non ci potete cancellare. Noi restiamo ciò che
eravamo. Compagni, potete davvero immaginare che il Bund raggiunga un punto in cui i suoi
stessi dirigenti lo possano tradire?...Dimostriamo che la forma del Bund ha così plasmato il
movimento operaio ebraico che quest’ultimo sopravviverà senza il Bund, e guiderà la nazione
proletaria ebraica. Da questo punto di vista dobbiamo guardare ai vertici, che vi guideranno
ancora nella lotta. I vertici sono addolorati più di tutti, proprio perché sono i vertici… 241

La Frumkin affermò di essere stata contraria all’ingresso del Bund nel PCR, ma che aveva
considerato la propria contrarietà un fatto personale e dunque aveva taciuto. Ma “comincio a
rendermi conto che ciò che ritenevo un fatto personale in realtà è condiviso da numerosi bundisti.
Non lasciamo dunque che ciò diventi argomento di discussione; che rimanga una testimonianza
umana, utile ad alcuni compagni a risolvere i propri conflitti interiori”. La scelta per il Bund si era
ridotta a entrare nel PCR o rimanere una piccola setta. Esther aveva scelto la prima, anche se
voleva dire

238
A. Kirzhnitz, Der Bund un di komunistishe partai in Rusland, 1921
239
In Shlomo Agurskij, Di yidishe komisariatn un di yidishe kommunitische sektsies, 1928
240
ibidem
241
ibidem

74
Assumersi tutte le responsabilità di un comunista, pur non avendone i diritti…E perché fui
pronta a imporre a noi stessi…questo indubbio sacrificio? Nell’ottica di salvare l’idea del Bund,
nell’ottica di preservare il Bund come apparato fino al momento inevitabile (tuttora ne sono
convinta) in cui il PCR riconoscerà i nostri principi organizzativi, nell’ottica di preservare il
grande patrimonio costruito con il sangue e le lacrime del proletariato ebraico, mantenuto con le
speranze e le sofferenze di generazioni di combattenti, nel ricordo di grandi traguardi. Dico
grandi traguardi poiché la rivoluzione che il Bund ha compiuto ponendo il lavoratore ebreo
all’avanguardia del movimento operaio russo, fu probabilmente più grande della transizione al
comunismo compiuta negli ultimi anni. Ora dobbiamo scalare un’altra montagna ancora più alta,
un Monte Bianco. Trent’anni fa siamo venuti fuori da una tomba millenaria…Tradizione?
Emozioni? No! Questa è forza viva!242

Sarebbe stato difficile “sottometterci nel lavoro comunista e sovietico a quei comunisti che
sono meno capaci di noi, e fanno più errori di quanti ne faremmo noi” – chiaro riferimento alle
Evsektsiia – “…ma tutti noi trarremo conforto dalla consapevolezza che in questa maniera ci
assumiamo le responsabilità del Bund, e che in questo modo preserviamo il Bund anche per le
masse ebraiche degli altri paesi”243. Esther chiarì nettamente che considerava la fusione
un’operazione di salvataggio, concepita per mantenere l’influenza del Bund nel Partito Comunista.
Di certo sia lei che molti altri bundisti entrarono nel PCR con la ferma quanto illusoria convinzione
che la politica bolscevica sarebbe cambiata, e che i principi dell’autonomia bundista si sarebbero
affermati.
Veinshtain espresse sentimenti simili in una forma più razionale. Affermò che “siamo di
fronte al dilemma tra l’esistenza indipendente e le sezioni, con la speranza di essere in grado di
riformare le sezioni e renderle rispondenti ai bisogni del proletariato ebraico”244. Ribadì la propria
fiducia nell’attività autonoma del lavoratore ebreo. “Noi restiamo fedeli a questa prospettiva.
Questo è il nostro bundismo, questo è il Bund. Non uno di noi ha smesso di essere un bundista, né
smetterà di esserlo. Dunque posso concludere il mio intervento affermando: lunga vita al
bundismo, lunga vita al Bund!”245.
Dopo una serie di altri drammatici interventi, la maggioranza presentò la propria risoluzione:

La conferenza è del parere che il movimento operaio ebraico, all’interno del Partito
Comunista, presto o tardi assumerà la struttura normale e corretta che a suo tempo gli è stata
data dal Bund; l’evoluzione futura del PCR, insieme al grande rafforzamento del comunismo,
renderà inevitabile la realizzazione di questa struttura. Tenendo conto di ciò, la conferenza
stabilisce che l’ordine della commissione del Comintern, riguardante la fusione tra il Bund e il
PCR, è accettato.246

La risoluzione finale, una breve e concisa sentenza di morte, fu approvata da 47 delegati


con l’accompagnamento di “grida isteriche e pianti da parte di alcuni partecipanti”247. I 26 astenuti a
quel punto dichiararono il proprio rispetto della decisione della maggioranza. La conferenza
continuò, allo scopo di elaborare documenti esplicativi e appelli agli iscritti più riluttanti. Il Bund si
rivolse ai propri militanti come un padre perseguitato dai sensi di colpa ai propri figli inconsapevoli.

Lavoratori ebrei! Il Bund non vi sta abbandonando. Esso resta con voi. Vi dirige sotto le
insegne del Partito Comunista panrusso. Lavoratori ebrei! Su col morale, abbiate fiducia, siate
fedeli all’Unione dei Lavoratori Ebrei e alla sua grande alleanza dalla quale emergerà
l’organizzazione del proletariato ebraico… 248

242
Der Veker, 18 febbraio 1921
243
ibidem
244
Der Veker, 7 marzo 1921
245
ibidem
246
Der Veker, 16 marzo 1921
247
ibidem
248
Shlomo Agurskij, Der idisher arbeter in der komunistisher bavegung , 1925

75
Anche dopo la morte del Bund, il suo fantasma continuò ad aleggiare tra i vecchi dirigenti,
che all’interno del PCR provarono a salvaguardare la propria posizione e influenza precedenti.
Veinshtain ottenne di avere tre membri del Bund invece che due all’Ufficio Centrale delle Sezioni
Ebraiche, il mantenimento dei nomi bundisti dei circoli operai, e il nome dei giornali, che ora
diventavano organi delle Evsektsiia. Tutti i membri del Bund potevano diventare membri del PCR
su approvazione di commissioni locali composte ciascuna da un rappresentante del Bund, uno del
PCR e uno delle Evsekstiia. Agli ex bundisti non era richiesto alcun periodo di candidatura per
diventare membri del PCR, lo stesso privilegio che era stato accordato ai borot’bisty.
La fusione vera e propria iniziò nell’aprile 1921. L’organizzazione del Bund di Minsk, una
delle città natali del partito, celebrò la fusione con una drammatica cerimonia. 175 bundisti, un
numero ridottissimo rispetto all’epoca pre-bolscevica, marciarono coi propri vessilli fino a un teatro
e, in abiti militari, li consegnarono ai rappresentanti del Partito Comunista Bielorusso.
Il Bund socialdemocratico condusse un’esistenza semi-clandestina, criticando le Evsektsiia
nelle occasioni pubbliche in cui ne aveva la possibilità, ma le sue tracce sono molto scarse. Nel
febbraio 1923 comparve a Mosca un Bollettino del Comitato Centrale del Bund, recante il numero
26, che parlava di “organizzazioni del Bund e del POSDR di Mosca e Vitebsk”.

Pochi bundisti passano alle Evsektsiia. Nel 1917 il Bund contava circa 33.000 membri.
Molti di questi negli anni tra il 1918 e il 1921 si ritrovarono al di fuori dello stato sovietico, e
probabilmente è impossibile quantificare quanti di questi 33.000 vi risiedessero nel 1921.
Ciononostante il numero è presumibilmente molto maggiore dei 6.000 tra bundisti e Unitari che
complessivamente componevano in quegli anni il Komfarband bielorusso (2.000) e il Komfarband
ucraino (4.000). Dal momento che il Bund socialdemocratico contava meno membri dei
Komfarband, il numero totale degli ebrei di area bundista nel 1921 non dovrebbe superare gli
11.000. Ciò indica che tra il 1917 e il 1921 un gran numero di bundisti si erano ritirati dalla politica
attiva, o per disaccordo con le tendenze prevalenti nel Bund, o per sfiducia nel futuro, o perché la
guerra civile impose loro la lotta per la sopravvivenza davanti al lusso dell’attività politica. I dati
precisi sul numero di militanti del Komfarband entrati nel PCR nel 1921 non sono reperibili.
Agurskij afferma che essi furono circa 2.000. Dall’organizzazione di Minsk arrivarono 175 bundisti,
da Mosca soltanto 115, di cui 20 operai. Agurskij e Chemeriskij citano dati del 1925 secondo i quali
2.799 ex bundisti facevano parte del Partito Comunista su un totale di circa 700.000 membri, di cui
31.200 ebrei. Gli ex bundisti nel 1925 erano quindi lo 0,4% del totale e il 9% dei membri ebrei.
Questi dati sono segno che una grande quantità di ex bundisti non entrarono nel Partito
Comunista, e che numerosi ebrei senza precedente affiliazione al Bund entrarono nel Partito con
le nuove leve. Bisogna anche tener conto che probabilmente molti ex bundisti entrati nel Partito
possono avere nascosto la propria precedente affiliazione, dunque il numero di 2.799 del 1925 può
essere in realtà più alto. Inoltre, è da sottolineare che nel 1921 - 22 circa 6.000 ex membri di altri
partiti socialisti entrati nel Partito Comunista furono espulsi: un terzo di loro erano ex menscevichi,
e tra di loro è presumibile che vi fossero diversi bundisti. Un osservatore descrisse una sessione di
una commissione per le epurazioni, alla quale era stato presente:

Spesso agli ex bundisti veniva chiesto: se ora tu fossi in Polonia, in quale partito lavoreresti?
Spesso essi davano la seguente risposta: in Polonia lavorerei per il Bund. La ragione era che
qui nella Russia sovietica il Bund non esiste più, e quindi si trova nel Partito Comunista, ma il
Polonia un Bund esiste ancora.

A quanto pare i pochi bundisti che entrarono nel Partito Comunista andarono comunque a
occupare incarichi nelle Sezioni Ebraiche piuttosto che nel lavoro generale del partito, e in genere
questi incarichi furono di un certo rilievo. Alla quarta conferenza panrussa delle Evsektsiia, nel
1921, parteciparono 144 delegati dei quali 116 avevano fatto parte del Bund (86) o degli Unitari
(30). Ma ciò accadde prima della purga dell’inverno 1921 – 22, che decimò il numero dei membri
del PCR provenienti dal Bund.
Dei quindici membri del Comitato Centrale del Bund eletti alla Decima Conferenza,
nell’aprile 1917, almeno quattro fecero parte delle Evsektsiia (Veinshtain, la Frumkin, Rafes e
Chemeriskij) mentre altri tre (tra cui Zaslavskij) entrarono nel PCR. Dei 18 delegati del Bund
all’Assemblea Costituente, sciolta dai bolscevichi nel gennaio 1918, solo i summenzionati quattro

76
divennero membri delle Evsektsiia. Un quinto delegato, Zolotariov, entrò nel PCR, e un sesto,
David Lipetz, in seguito divenne capo della scuola di formazione dell’Armata Rossa, col nome di
Generale Petrovskij.
Probabilmente la scissione del Bund fu meno traumatica per i dirigenti e i militanti ucraini
piuttosto che per quelli in Bielorussia, ove il partito aveva una storia pluridecennale e gloriosa. Nel
1918 David Zaslavskij scrisse del bundista ucraino Rafes che “egli ha fatto dell’opportunismo una
professione adatta a sé. Non teme la sconfitta, perché riesce sempre a cavarsela. Ha una
predisposizione al compromesso, e quando la democrazia trionfa è democratico, in epoca di
autonomia è un’autonomista, quando arrivano i bolscevichi…è un bolscevico…Tutte le questioni
programmatiche le trasforma in questioni di tattica, e in tal modo riesce a cambiare posizione con
tanta facilità”249. Tutt’altro temperamento era quello di Veinshtain o Ester Frumkin, due dirigenti
profondamente fedeli ai principi del Bund e che vissero la fine dell’organizzazione in maniera molto
più drammatica.

Il Bund polacco e il Comintern. Dopo che nel luglio 1920 il Secondo Congresso della
Terza Internazionale ebbe approvato i celebri “21 punti” come condizioni per l’adesione dei singoli
partiti nazionali all’organizzazione, il Bund polacco si trovò a discutere profondamente la
questione, in particolare due punti che risultavano inaccettabili per molti militanti, anche dell’ala
sinistra pro-bolscevica. Il due punti in questione erano il 7 e il 21. Il punto 7 affermava:

I partiti desiderosi di entrare nell’Internazionale Comunista devono riconoscere la necessità di


una completa e assoluta rottura con il riformismo e la politica dei centristi e devono lavorare per
la rottura con la base più ampia del partito, senza la quale una coerente politica comunista è
impossibile. L’Internazionale Comunista chiede incondizionatamente e perentoriamente che tale
rottura avvenga nel più breve tempo possibile…

Il punto 21 diceva che “quei membri del partito che rifiutano per principio le condizioni e le
tesi della Terza Internazionale devono essere espulsi dal partito”.
Le altre diciannove condizioni erano accettabili per la maggior parte dei socialisti di sinistra,
ma queste due no. Essi significavano che il Bund si sarebbe dovuto dividere, e che i dirigenti che
obiettavano a una qualsiasi decisione del Comintern, per quanto ridicola essa potesse apparire
alla luce delle specifiche situazioni nazionali, dovessero essere espulsi. L’espulsione dei dirigenti
in disaccordo avrebbe voluto dire l’isolamento politico, e la dipendenza del Bund dai dirigenti del
Comintern, il quale a sua volta era egemonizzato dai russi.
La pubblicazione dei 21 punti generò un lungo e aspro dibattito nel Bund polacco,
delineando delle fazioni al suo interno. L’ala sinistra si divise ulteriormente in due gruppi, uno a
favore dell’accettazione di soli diciannove punti, e l’altra per l’accettazione di tutti e 21. All’interno
del Comitato Centrale, i pro-Comintern risultarono in minoranza quando due di loro annunciarono
che non avrebbero accettato tutte le 21 condizioni. Il Comitato Centrale si pronunciò a favore di
soli diciassette punti, ed espresse l’auspicio che ciononostante il successivo congresso
dell’Internazionale avrebbe ugualmente consentito l’adesione del Bund. In particolare rifiutò
categoricamente di espellere i dirigenti centristi o moderati, o che i giornali di partito fossero
controllati da esponenti comunisti.
I comunisti immediatamente lanciarono una campagna contro i dirigenti del Bund, allo
scopo di rimpiazzarli con altri disposti ad accettare le 21 condizioni. Il Bund russo, in uno dei propri
ultimi atti prima di essere assorbito nel Partito Comunista, inviò un messaggio ai membri del Bund
polacco esortandoli a modificare la decisione del Comitato Centrale e ad accettare le condizioni
poste da Mosca. Il messaggio diceva:

Ai lavoratori ebrei di Polonia! Essendo stati informati che il Comitato Centrale del Bund in
Polonia ha approvato una risoluzione che respinge i 21 punti per l’ammissione alla
Internazionale Comunista, il plenum del Comitato Centrale del Bund delle repubbliche
sovietiche federate si rivolge alle masse operaie ebraiche di Polonia, che sono organizzate
sotto la bandiera del Bund, con il seguente appello: “Dichiarate guerra totale contro questa

249
Iskra (Kiev), 31 dicembre 1918.

77
risoluzione! Condannate senza pietà il tradimento di questo gruppo di falsi dirigenti, come un sol
uomo unitevi sotto la bandiera dell’Internazionale Comunista!”. 250

Un altro messaggio rivolto ai membri del Bund polacco, invitandoli a espellere i loro dirigenti
e a capovolgere le decisioni del Comitato Centrale, fu inviato dall’Esecutivo del Comintern. La
missiva era uguale ad altre inviate a tutte le fazioni di sinistra dei partiti socialisti che avevano
respinto le 21 condizioni; l’obiettivo era, secondo un bundista comunista, migliorare la posizione
delle fazioni comuniste provocando una rottura formale all’interno di ciascun partito. L’effetto della
lettera fu di acuire la lotta interna; all’interno del Bund si formò una frazione comunista organizzata,
la Kombundishe Fraktsie. La fazione adottò una propria piattaforma, che accettava i 21 punti e
aggiungeva di non avere intenzione di costituire un’organizzazione separata, ma di voler entrare
nel Partito Comunista di Polonia.
Il Comintern a questo punto lanciò un secondo attacco ai dirigenti del Bund rivolgendosi
nuovamente ai militanti della base. Affermò che i dirigenti del Bund avevano adottato un
“atteggiamento centrista, riformista…controrivoluzionario…”. I dirigenti del Bund avevano assunto
una posizione anticomunista, scrisse il Comintern, e l’ala sinistra non faceva alcun tentativo di
contrastarla.

Abbiamo davanti a noi una vecchia organizzazione operaia pervasa da forti tradizioni
socialdemocratiche e in parte nazionaliste, che ha attraversato la guerra e la rivoluzione senza
scissioni ed è egemonizzata da un gruppo di confusi centristi. C’è un’ala sinistra nel partito,
sostenuta da una considerevole parte dei lavoratori organizzati nel Bund, che sviluppa una forte
e diretta simpatia verso il comunismo, ma purtroppo manca di lucidità e risolutezza.
Il primo compito di questi elementi è di organizzarsi in una fazione solida e consapevole, fare
proprie senza riserve le posizioni della Terza Internazionale e dei suoi congressi, e
intraprendere una decisa lotta contro i centristi e i nazionalisti, per la conquista della
maggioranza del partito. Sarà dovere di questi compagni non solo riconoscere la leadership
spirituale del Comintern, ma anche cooperare senza indugi e al massimo grado con il Partito
Comunista di Polonia.251

Questa seconda lettera mandò il Bund ancor più in fibrillazione. Gruppi di bundisti pro-
Comintern, in particolare a Lodz, provarono a persuadere la maggioranza dei membri ad accettare
le 21 condizioni. La Kombundishe Fraktsie si mise a collaborare strettamente con la Sezione
Ebraica del KPP. I gruppi pro-Comintern dentro il Bund furono particolarmente insistenti verso i
membri di sinistra del Bund, cercando di spingerli a “chiarire la loro posizione rispetto al
Comintern”252.
Il Bund sperava ancora in un alleggerimento delle 21 condizioni, e inviò tre emissari per
negoziare con il Comintern. Il primo di costoro, Emanuel Novogrodskij, fautore dei “19 punti”, partì
nell’autunno del 1920, quando la guerra russo – polacca era ancora in corso. L’incontro doveva
svolgersi a Kovno, vicino alla frontiera. Per raggiungere Kovno Novogrodskij dovette compiere un
lungo giro, lasciando il proprio bagaglio a Grodno. A Kovno incontrò segretamente gli inviati del
Comintern, e fu concordato che avrebbe viaggiato fino a Mosca su un treno di soldati dell’Armata
Rossa. Il viaggio ebbe molti rinvii, e questo fu uno dei motivi per cui i comunisti furono poco
propensi a conferire con lui.
Gli altri due emissari, Victor Alter e Chaim Vasser, furono inviati come delegati osservatori
al Terzo Congresso del Comintern, nel 1921. Alter fu arrestato poco dopo il suo arrivo, e dopo un
lungo periodo di tempo fu espulso dalla Russia per “sconfinamento nella Repubblica sovietica”.
Vasser non ebbe mai accesso al Congresso del Comintern, e quest’ultimo riportò che la
delegazione “non ottenne i risultati desiderati”253.
Anche un dirigente della Kombundishe Fraktsie del Bund polacco, Pinkus Minc, in questo
periodo si recò a Mosca per ricevere istruzioni dai dirigenti del Comintern. Con difficoltà egli
viaggiò da Varsavia alla capitale sovietica, e qui si incontrò con Veinshtain. Quest’ultimo voleva

250
Dos Fraie Vort, 19 marzo 1921
251
Bollettino dell’Esecutivo del Comintern, settembre 1921
252
Der Emes, 18 novembre 1921
253
Bollettino dell’Esecutivo del Comintern, settembre 1921

78
che il Bund polacco cacciasse la propria ala destra e si trasformasse in un partito comunista.
Suggerì che il Bund se avesse agito in fretta avrebbe potuto rimanere un’organizzazione separata
dentro il Comintern. “Se avessimo sostenuto subito i bolscevichi, avremmo potuto salvare il Bund
russo” – disse a Minc – “Vai in Polonia, dividi il Bund, liberati dell’ala destra e verrai accettato nel
Comintern. Non ripetere i nostri errori, aspettando fino a che sarà troppo tardi. Dividi il Bund”254.
Vainshtein assicurò a Minc che un Kombund polacco sarebbe stato ammesso nel Comintern. Minc
diede la propria disponibilità, e rientrò in Polonia.
La missione segreta di Minc fu scoperta dal Bund quando Stefan Krulikowskij, un dirigente
del KPP, inavvertitamente disse a un dirigente della destra bundista che Mosca aveva ordinato al
compagno Alexander (uno pseudonimo usato da Minc) di ritornare a Varsavia con il preciso
compito di disgregare il partito, spingendo per la scissione. Convocato di fronte al Comitato
Centrale, Minc ammise la cosa e fu espulso dal Bund255.
Il Comintern inviò altri due agenti a Varsavia nel tentativo di dividere il Bund: Jacob Levine
e Moshe Rafes. Entrambi erano stati importanti bundisti prima della rivoluzione: Levine aveva
lavorato nel Bund clandestino prima della guerra, e Rafes era stato il rappresentante del Bund
nella Rada ucraina.
Forse se i bolscevichi avessero fatto maggiori concessioni sul piano dell’autonomia
nazional culturale, a maggior ragione mentre l’antisemitismo in Polonia imperversava, i bundisti
polacchi si sarebbero lasciati assorbire dal Partito Comunista. Ma l’autonomia nazional culturale
era in contrasto coi dogmi bolscevichi. Prima della rivoluzione d’Ottobre, sia i bolscevichi che i
socialdemocratici polacchi si erano opposti a qualunque forma di autonomia nazional culturale.
Dopo la rivoluzione i bolscevichi, sotto la pressione delle mutate condizioni, fecero diverse
concessioni a quello che prima avevano definito il “separatismo ebraico”. Le sezioni ebraiche del
Partito Comunista in Ucraina e Bielorussia allestirono delle scuole e dei circoli di cultura yiddish, e
in alcuni soviet locali l’yiddish fu ammesso come lingua ufficiale. Le iniziative delle Evsektsiia in
Russia influenzarono anche la linea del KPP in Polonia, che introdusse elementi di autonomia
nazional culturale attraverso le proprie sezioni ebraiche, pur senza rinunciare al rigido controllo
centrale su dette sezioni. La maggior parte dei bundisti polacchi, tuttavia, nonostante le
concessioni sul piano dell’autonomia nazional culturale non volevano rinunciare all’autonomia
organizzativa del Bund; volevano mantenere una posizione intermedia tra il nazionalismo del PPS
e l’orientamento apertamente pro-moscovita del KPP.
Alla fine, per prendere una decisione una volta per tutte, nel dicembre 1921 fu convocato il
Secondo Congresso del Bund polacco, nella Città Libera di Danzica, poco oltre il confine. A causa
della repressione poliziesca nei confronti degli ebrei socialisti in genere, era sconsigliabile tenere
un’assise di quel tipo in territorio polacco. Nonostante a Danzica vi fosse un governo relativamente
tollerante fu deciso di mantenere una dimensione clandestina al congresso, per timore degli agenti
della polizia polacca che risiedevano in quella città.
In vista del congresso si delinearono tre fazioni: la sinistra, che accettava 19 delle 21
condizioni; la Kombundishe Fraktsie (più semplicemente Kombund), che era per l’accettazione
delle 21 condizioni; e il “centro-destra”, che considerava le condizioni totalmente inaccettabili,
sebbene fosse disposto ad accogliere con riserva 16 di esse. La destra, una volta egemone, era
troppo debole per presentarsi autonomamente, e si schierò con il centro. Dei 49 delegati, eletti con
voto segreto su base proporzionale, 26 erano della sinistra, 17 del centro-destra e 6 del Kombund.
Un tentativo di creare una mozione intermedia che mettesse d’accordo le tre fazioni non ebbe
buon esito256.
Sembrò chiaro fin dall’inizio che la sinistra avrebbe controllato il congresso e che il
Kombund avrebbe lasciato il Bund. Il presidium del congresso, composto di due sinistri e un
centrista, si rifiutò di permettere a Rafes, rappresentante ufficiale del Comintern, di presenziare alle
sessioni.

254
Pinkus Minc, The History of a False Illusion, 1954
255
Bernard Goldstein, Tsvantsik Yor in Varshever Bund, 1960. Negli anni ‘30 Minc lasciò i comunisti e rientrò nel
Bund.
256
Folkstseitung, 17 febbraio 1922

79
Il dibattito sull’affiliazione o meno al Comintern dominò il congresso. Ogni fazione presentò
la propria posizione, e la argomentò nei dettagli, ma nessuna posizione fu modificata in seguito la
dibattito.
Il rappresentante del centrodestra intervenne affermando che la posizione del Comintern
non era concepita per sviluppare un’internazionale di socialisti rivoluzionari, o di rafforzare il
socialismo internazionale. Piuttosto, l’obiettivo dei 21 punti era di “imporre l’idea di un ferreo
controllo centralistico”. La tattica della scissione, disse, poteva solo condurre a un indebolimento
delle forze della rivoluzione sociale, e a un rafforzamento delle forze del capitalismo e della
reazione. “Le scissioni nei partiti socialisti dell’Europa occidentale sono state un crimine,
specialmente per il fatto che sono avvenute mentre l’onda rivoluzionaria era in fase calante”257. Per
il centro-destra era ovvio che il Comintern non avesse intenzione di fare compromessi sui 21 punti,
e che dunque ogni illusione che il Bund potesse ancora contrattare il proprio ingresso nella Terza
Internazionale era ridicola. La sola strada per l’adesione sarebbe stata attraverso la capitolazione;
e in quel modo il partito avrebbe cessato di esistere. Per la fazione di centro-destra, la fine del
Bund come prezzo per l’affiliazione al Comintern era inaccettabile: “L’ingresso del Comintern non
può essere pagato a spese dell’esistenza del movimento operaio ebraico”258.
La posizione della sinistra era sempre la stessa; essa si considerava ideologicamente
legata al Comintern, ma respingeva l’imposizione dei 21 punti.
Il Kombund insistette che “I 21 punti sono un tutt’uno, e devono essere accettati tutti, senza
eccezione. Il partito deve dividersi, e unirsi al Comintern”259. Accettare I 21 punti non avrebbe
significato la liquidazione del Bund poichè vi sarebbe stato ancora spazio per un’attività socialista
ebraica indipendente. Il Kombund voleva l’unità con il KPP, ma per prima cosa era necessario
accettare i 21 punti: soltanto questo avrebbe sancito che il Bund fosse un partito genuinamente
marxista.
Come ci si aspettava, il congresso adottò la posizione della maggioranza di sinistra. Esso
proclamò la propria stretta affinità con il Comintern, e quindi decise di respingere I 21 punti.

I 21 punti sono concepiti per garantire ai partiti la possibilità di portare avanti la lotta di classe.
Queste utili direttive tuttavia qui non sono necessarie. Da un punto di vista pratico, i 21 punti
devono essere adattati distintamente alle condizioni concrete di ogni partito. La divisione
invocata dai 21 punti renderebbe il proletariato ebraico incapace di assolvere ai suoi compiti. In
questo momento, in cui i lavoratori ebrei abbisognano di tutto il potere possibile, una divisione
avrebbe un effetto disastroso. Vorrebbe dire la liquidazione e la distruzione del Bund.
Non è un segreto che il movimento operaio ebraico è accusato di sciovinismo, psicologia del
ghetto eccetera, ogniqualvolta chiede autonomia. Ciò è indice di mancanza di comprensione dei
bisogni minimi degli ebrei. Il problema è complicato dal rifiuto di accettare l’idea che solo in una
salutare condizione di autonomia vi sono speranze. I socialisti ebrei necessitano di un’esistenza
politica indipendente. Il Bund fa appello all’unità generale dei movimenti operai – con al loro
interno un movimento operaio ebraico autonomo. La classe operaia ebraica ha scelto di
costruire una sezione autonoma – poichè soltanto in autonomia può risolvere i propri problemi
specifici.260

Il Bund qui ribadì la posizione assunta 18 mesi prima a Cracovia, con una significativa
differenza: ora sapeva di non poter entrare nel Comintern. Il congresso sottolineò che il Bund era
fuori dal Comintern solo perchè non poteva accettare tutti i 21 punti, e non per ragioni di principio. I
bundisti ribadirono il proprio desiderio di essere ammessi, e la propria opposizione
all’Internazionale Socialista o a qualunque tentativo di costituire una Internazionale rivoluzionaria
“diluita”.

Ci sono due campi, la Seconda e la Terza Internazionale; ogni tentativo di organizzare


qualcosa tra le due è un crimine. Il solo campo rivoluzionario è la Terza. La sua piattaforma è
giusta, e giuste sono anche le tattiche. Ciò che è sbagliato è la sua insistenza per la nostra

257
Der Veker (New York), 18 marzo 1922
258
ibidem
259
ibidem
260
ibidem

80
scissione. Ciò significa che noi ufficialmente siamo fuori, ma che resteremo legati,
ideologicamente, alla Terza Internazionale; le sue tattiche saranno le nostre tattiche. 261

Sette degli undici membri del nuovo Comitato Centrale furono eletti dalla fazione di sinistra,
e quattro dal centro-destra. Fu varato un nuovo insieme di regole statutarie per porre fine al
dibattito interno al partito. Le fazioni organizzate furono proibite, il Comitato Centrale assunse
compiti di controllo sulle strutture, e furono proibite le trattative individuali con altri partiti. Sebbene
la discussione libera tra i bundisti e la differenza di opinione fossero consentita, queste vennero
limitate all’interno dell’ambito di partito.
Il Kombund non prese parte al dibattito congressuale dopo che fu sconfitto sulla questione
dei 21 punti. Uno dei 6 delegati si ritirò immediatamente dal gruppo e si unì alla maggioranza di
sinistra, lasciando il Kombund con soli 5 delegati su 49. I dirigenti del Kombund, alla luce della
propria debolezza, decisero di rimanere nel Bund per un breve periodo e di promuovere divisioni a
livello locale, in particolare a Varsavia, Lodz e Cracovia, dove avevano il maggiore seguito.
L’espulsione di Minc rese evidente che la scissione andava compiuta con una certa celerità, prima
che anche gli altri dirigenti del Kombund subissero la stessa sorte. Ma il piano incontrò quasi
subito un altro ostacolo quando altri due delegati passarono con la maggioranza di sinistra.262
La tattica del Kombund fu di sostenere nelle assemblee locali che il Congresso di Danzica
non era veramente rappresentativo del partito, che si basava su menzogne, e che si dovesse
convocare immediatamente un’altra assise per capovolgerne le decisioni. Non riuscendo
nell’intento, I kombundisti lasciarono le assemblee e formarono le proprie organizzazioni. Una
conferenza di tali gruppi, detti kombund locali, ebbe luogo nel gennaio 1922, e costituì l’Unione del
Lavoratori Ebrei Comunisti di Polonia (Kombund), affiliata al Comintern sulla base dei 21 punti.
Il Bund socialista fu quasi immediatamente coinvolto in una lotta per il controllo del
movimento sindacale. Il giornale del Kombund attaccò il Bund in quanto “organizzazione destrorsa,
centrista e opportunista”, con un passato rivoluzionario ma nessun presente o futuro, e si augurò la
sua disgregazione. Dentro i sindacati il Kombund si alleò con il KPP per disgregare e se possibile
assumere il controllo delle associazioni operaie. Tra coloro che si avvicinarono ideologicamente al
Kombund vi furono alcuni sindacalisti molto attivi, soprattutto i dirigenti del settore tessile, del cuoio
e della carta. La lotta interna indusse molti lavoratori pro-Bund a lasciare l’attività sindacale; altri
furono fisicamente allontanati. Il sindacato dei lavoratori del cuoio, una delle organizzazioni
bundiste più forti nel movimento operaio polacco, finì quasi subito sotto il controllo del Kombund.
Laddove i comunisti non riuscirono a ottenere il controllo sindacale, cercarono di attaccare
il Bund fisicamente. I comunisti ricorsero a tirapugni, coltelli e a volte anche pistole per distruggere
i sindacati bundisti; a questi attacchi parteciparono anche gruppi antisemiti e poliziotti fedeli al
governo. “Siamo stati costretti a spendere il 90% delle energie nel respingere gli attacchi del
Comintern” scrisse Henryk Erlich. Gli attacchi impedirono al Bund di compiere alcun tipo di lavoro
organizzativo. Una volta il Kombund irruppe in un’assemblea bundista convocata per protestare
contro le azioni antisemite del governo. La situazione si fece così seria che il plenum del Comitato
Centrale della Federazione dei Sindacati fece una protesta formale.263
Nelle intenzioni del Comintern, il Kombund non doveva esistere più a lungo del periodo
necessario a trasferire i bundisti di sinistra nel movimento comunista. A quel punto, il Kombund
polacco sarebbe stato liquidato, proprio come era stato fatto con il suo corrispettivo russo. Ma la
liquidazione era resa complessa a causa della ferma convinzione dei dirigenti del Kombund a
mantenere un’organizzazione ebraica autonoma entro il movimento comunista polacco: questa era
l’idea del gruppo capeggiato da Pinkus Minc. Tuttavia quando i comunisti si risolsero a liquidare il
Kombund, esso ebbe vita breve. Inoltre, soltanto pochi bundisti erano entrati nella nuova
organizzazione, approssimativamente un 10%.
Anche il Partito Comunista Polacco non fu affatto entusiasta del Kombund; ne accettò la
presenza sulla scena politica soltanto perché quelli erano gli ordini del Comintern. Le trattative per
la fusione tra il KPP e il Kombund iniziarono quasi subito dopo la formazione di quest’ultimo. La
questione centrale fu di carattere organizzativo, e non ideologico. Nel febbraio 1922 Moshe Rafes

261
Arbeiter Luakh (Varsavia), 1925
262
Der Emes, 5 febbraio 1922
263
Folkstseitung, 27 gennaio 1922

81
potè riferire a Mosca che “è quasi il momento che il Kombund e il KPP si uniscano in un unico
partito, e per la prima volta in 30 anni di movimento operaio ebraico l’avanguardia del proletrariato
ebraico e polacco si fonderanno in un partito di classe centralizzato”. Ma le cose non andarono
esattamente come previsto; le discussioni furono lunghe, e fu necessario istituire una commissione
congiunta per dirimerle. Alla fine, dopo alcuni mesi, rimase aperta solo una questione: se il
Kombund avrebbe potuto continuare a svolgere attività separate nell’ottica di attrarre più lavoratori
ebrei alla causa comunista. Il KPP fu irremovibile: non avrebbe permesso gruppi autonomi al
proprio interno, e non avrebbe permesso alcuna azione al di fuori del proprio controllo. Alla fine il
Kombund si arrese, e nel settembre 1922 si sciolse nel KPP.

Valutazione finale. Perché il Bund polacco riuscì a evitare la disgregazione? Tutte le


condizioni per il collasso erano presenti: un’opposizione di sinistra dentro il partito, e
un’opposizione anche più forte da parte del governo del paese. La scelta del Bund polacco di
rimanere al di fuori del Comintern non fu ideologica: il Bund era pronto ad accettare la disciplina
del Comintern, semplicemente rifiutò di aderire ai 21 punti per motivi organizzativi.
Rafes, bundista divenuto comunista, tentò una spiegazione del fenomeno:

Divisioni e differenze: questa è stata la costante dei movimenti russi e polacchi durante i
passati 25 anni. “Unità a qualunque prezzo” è stata la politica del Bund. Il Bund…passò in
questi 25 anni attraverso molte difficoltà, e ne uscì indenne. Anche dopo la scissione del Bund
in Ucraina e Bielorussia, Medem e Kosovsky affermarono che ciò era dovuto alla
disorganizzazione dei movimenti operai ebraici nella repubblica dei soviet, e che in Polonia,
dove vi era un movimento ebraico di massa, non ci sarebbe stata alcuna divisione. 264

Anche Medem fornì una spiegazione del perché il Bund polacco non si disgregò in questo
periodo. I partiti si dividono, scrisse,

…quando le differenze li rendono di fatto due organizzazioni distinte – differenze non solo
teoriche ma anche su problemi pratici e di politica concreta. Un esempio è quando una fazione
è favorevole a un regime vigente e l’altra invece vi si oppone. Tale fu il caso dei bolscevichi e
menscevichi in Russia dal 1917 in poi; e tale fu il caso del Bund russo. Ma questo non fu il caso
della Polonia, per le diverse condizioni; le condizioni erano completamente differenti. Il Bund
russo dovette decidere se appoggiare il regime bolscevico o opporvisi. Questa era una
questione concreta, e dovette essere affrontata. Ma questo non fu il caso del Bund polacco.
Non vi fu alcun governo da appoggiare (eccetto forse il governo di breve durata del PPS nel
1918).
Non vi fu mai la questione del sostegno al governo. Non vi fu mai la minima illusione su
questo. Sarebbe stato impossibile averne, all’epoca dei pogrom di Lemberg o dei primi spari
sulle manifestazioni operaie a Varsavia. Forse Moraczewski fu il Kerenskij polacco…Ma se in
Russia Kerenskij, consapevolmente o no, preparò il terreno alla presa del potere bolscevico,
Moraczewski consapevolmente o no preparò il terreno alla reazione capitalistico –
aristocratica…Il suo erede non fu Lenin, fu Paderewski.265

Medem sottolinea anche la forte adesione emotiva dei bundisti all’idea e alla storia
dell’organizzazione: “Il Bund divenne un partito di massa nei peggiori giorni dello zarismo. Fu
cementato col sangue e le lacrime dei propri martiri. E il sangue e le lacrime sono più durevoli
dell’inchiostro col quale si scrivono le piattaforme”266.

264
Der Emes, 11 febbraio 1922
265
Vladimir Medem, Farvos iz der Bund in Polyn Nit Farnandergefaln, 1921
266
ibidem

82
9.
IL BUND NELLA NUOVA POLONIA (1921 – 26)

Repressione del governo nazionalista. Nei primi anni ’20 le forze della sinistra in Polonia,
e tra esse il Bund ebraico, dovettero far fronte a un forte attacco repressivo da parte del governo
nazionalista uscito dalle elezioni del gennaio 1919. La stampa di opposizione fu confiscata, e i suoi
editori spesso incarcerati per lunghi periodi. Il giornale del Bund Unzer Tseit fu uno dei primi a
essere chiusi; Jan Hempel, editore della rivista Kultura Robotnicza, fu condannato a due anni di
prigione per avere pubblicato un estratto dal Manifesto comunista.
Anche le scuole organizzate dal Bund, e le organizzazioni culturali ad esso vicine, furono
liquidate dal governo. Le scuole del Bund erano tra le poche istituzioni educative in Polonia a
offrire un’istruzione laica agli studenti ebrei. Il governo vietò alle scuole popolari bundiste di
dispensare diplomi, e chiuse tutti i gymnazia (scuole secondarie) polacchi che accettavano gli
studenti ebrei usciti da quelle scuole. Laddove queste ultime continuavano la loro attività, il
governo ricorse a mezzi legali per chiuderle definitivamente. L’organizzazione Unzer Kinder, che
coordinava le scuole popolari, fu chiusa col pretesto di legami con le “organizzazioni comuniste”.
La repressione fu descritta nel 1924 da un socialdemocratico ucraino membro della Dieta
polacca:

Ovunque operai e contadini cerchino di organizzarsi per una lotta comune tesa a migliorare le
dure condizioni di vita, immediatamente la polizia interviene, e con vari pretesti e in vari modi
smantella i gruppi socialisti operai e contadini, le istituzioni educative, e i sindacati.
Il Partito Social Democratico Ucraino ha trent’anni, ma né sotto le autorità austriache né sotto
il tallone dell’esercito zarista è stato così duramente perseguitato come nel tempo presente.267

267
Bernhard Johnpoll, The General Jewish Workers Bund of Poland, 1917 – 43, 1967

83
Sebbene il governo opprimesse in generale tutto il movimento operaio, il suo obiettivo
prediletto erano i sindacati ebraici. A Varsavia almeno due terzi di tutti i sindacati furono messi
fuorilegge in questo periodo; 9 sindacati locali legati al Bund furono smantellati tra il 1921 e il 1924,
e lo stesso avvenne in diverse altre città.
Nell’ottobre 1923 la repressione giunse al culmine quando un’esplosione scosse la
Cittadella di Varsavia. L’episodio, di origine sconosciuta, portò all’arresto in massa dei dirigenti
operai, col pretesto che avevano legami coi comunisti. 350 sezioni sindacali furono chiuse, sempre
con particolare accanimento verso quelle ebraiche, e nelle due settimane successive più di 12.000
iscritti furono fermati dalla polizia.
Nel 1924 in tutta la Polonia gli scioperi e le manifestazioni operaie furono attaccate dalla
polizia a colpi d’arma da fuoco. A Tarnow e Borislav 4 scioperanti furono uccisi; a Cracovia durante
uno sciopero generale la gendarmeria massacrò 11 lavoratori, e la polizia uccise due minatori che
avevano chiesto il sussidio di disoccupazione.
Ad aggravare la situazione in tutto il periodo si aggiunsero gli episodi di ostilità tra le forze
di sinistra. Il Primo Maggio 1922 una manifestazione del Bund fu attaccata da un gruppo di teppisti
nazionalisti, e a quanto pare né i comunisti né il PPS, che manifestavano in due gruppi separati lì
vicino, intervennero in soccorso dei bundisti268.

L’unificazione dei sindacati. Di fronte alla repressione sempre più forte, il movimento
sindacale polacco si trovò a un bivio: unirsi o perire. La Federazione Sindacale Polacca, con
500.000 membri, era sotto l’egida del PPS; i sindacati ebraici (circa 30.000 iscritti) erano molto
vicini al Bund; alcuni sindacati infine erano sotto il controllo dei comunisti. Nel 1922 fu creata una
federazione sindacale ebraica tra i sindacati del Bund e alcuni organismi vicini alla sinistra di Poale
Zion. I sindacati comunisti rifiutarono di aderire a questa federazione, e decisero di entrare nella
Federazione Polacca.
I sindacati del PPS tuttavia non volevano che i comunisti entrassero nella loro federazione.
Il Bund invece appoggiò l’idea di una federazione unica per tutte le forze sindacali. Dopo lunghe
trattative il PPS accondiscese, a condizione che l’esecutivo della nuova federazione fosse
composto da una maggioranza PPS, una minoranza bundista e nessun comunista. Il Bund rifiutò,
insistendo su una rappresentanza proporzionale anche per i comunisti. A questo punto il PPS e i
comunisti giocarono sporco e fecero una trattativa segreta dalla quale uscì un esecutivo con una
maggioranza PPS, una minoranza comunista e l’esclusione del Bund. Da questo poco fraterno
dibattito nacque la Federazione Unitaria dei Sindacati Polacchi. Con ciò i problemi non furono
risolti, e ogni singolo organismo sindacale mantenne sempre la propria specificità, tuttavia in tutto il
periodo tra le due guerre la lotta sindacale in Polonia fu sempre per lo più all’insegna della
solidarietà operaia tra ebrei e polacchi, e servì in tal modo a facilitare le faticose intese politiche tra
il Bund e i socialisti polacchi.

Le elezioni del 1922. A causa della repressione e delle liti interne, i partiti operai e
socialisti si presentarono alle elezioni del 1922 con la prospettiva della sconfitta. Il Bund, che
aveva boicottato la tornata del 1919, era alla prima partecipazione elettorale da quando la Polonia
aveva acquisito l’indipendenza. Esso candidò alla Dieta i propri dirigenti più noti, con una
piattaforma tipicamente socialista, per la democrazia e il miglioramento economico. Si chiedevano
la giornata di otto ore, indennità di disoccupazione e malattia, libertà di stampa, libertà di parola,
amnistia per i prigionieri politici, autonomia culturale per le minoranze in Polonia, diritti civili ed
eguaglianza per gli ebrei, disarmo e normali relazioni con tutte le nazioni, in particolare con la
Russia sovietica.
Il Bund fece una campagna elettorale molto attiva, tenendo numerose assemblee e
distribuendo migliaia di volantini, affiggendo manifesti sui muri e inviando agitatori porta a porta nei
quartieri ebraici. Questa attività fu ostacolata sia dalla polizia che dai comunisti polacchi. La polizia
si rivolgeva ai proprietari di teatri e auditorium, minacciandoli se avessero affittato la sala ai
bundisti. Quando in qualche modo si trovava un luogo disponibile, la polizia provava a fomentare
disordini per avere il pretesto di disperdere l’adunata; oppure sorvegliava attentamente lo
svolgimento del dibattito, e al primo accenno contro le autorità imponeva lo stop con l’accusa di

268
Der Veker (New York), 3 giugno 1922

84
“incitamento contro il governo”. Il Bund fu costretto a destinare una parte delle proprie scarse
risorse a corrompere gli agenti di polizia, affinchè le assemblee potessero svolgersi con un minimo
di regolarità.
I comunisti avevano in programma la distruzione del Bund, considerato un ostacolo sulla
via della rivoluzione. Così, spesso le assemblee erano disturbate proprio dagli attivisti del KPP,
che davano alla polizia il pretesto per intervenire. Gli attacchinatori, le auto con le insegne del
Bund e gli attivisti porta a porta erano costantemente disturbati dai loro avversari comunisti. A
quanto pare non accadde lo stesso con il PPS in quanto i comunisti che ci provarono furono
brutalmente malmenati, uno di loro fino alla morte.269
Il risultato elettorale fu pessimo per la sinistra. I partiti di destra, alleati con gli Endek
antisemiti, ottennero 163 seggi su 444; il Partito dei Contadini, centrista, ebbe 70 seggi; il partito
agrario progressista, Wyzwolenie, ebbe 49 seggi, e il PPS soltanto 41. Le diverse minoranze
nazionali ottennero 67 seggi, e di questi 22 andarono agli ebrei, ma tutti di area conservatrice. Il
Bund complessivamente ebbe 87.000 voti assoluti, ma non ottenne alcun seggio.
Il movimento socialista subì una pesante sconfitta in tutte le regioni, e in particolare nelle
città, il che fa pensare che una coalizione socialista avrebbe ottenuto un risultato di gran lunga
maggiore. A Lodz, un centro industriale con un’ampia popolazione ebraica, il Bund prese 12.496
voti, il PPS 19.123, Poale Zion 2.261, per un totale di 34.240; ma a causa della divisione il seggio
andò a un conservatore, mentre in caso di unità il seggio sarebbe andato al candidato socialista.
Le elezioni municipali dell’anno successivo mostrarono un analoga virata a destra.
Se la sinistra era uscita sconfitta dalle elezioni del 1922, la destra non poteva cantare
vittoria. Gli Endek, che speravano di ottenere la maggioranza, si ritrovarono a loro volta in
minoranza. I partiti centristi, ovvero il Partito dei Contadini e le minoranze nazionali, erano l’ago
della bilancia nella formazione del nuovo governo. Inizialmente alla presidenza della Dieta fu eletto
Gabriel Narutowicz, amico di Pilsudski e appoggiato dalla sinistra, dal centro e da tutte le
minoranze nazionali. Gli Endek immediatamente lanciarono una campagna contro il “presidente
degli ebrei”; fomentarono scontri di piazza e boicottarono la seduta inaugurale della Dieta. Il 16
dicembre 1922, infine, Narutowicz fu assassinato da un fanatico nazionalista.
L’assassino, Eligius Niewiadomski, spiegò il proprio atto durante il processo che lo vide
imputato due settimane dopo:

L’ebraismo ha inculcato nel socialismo un veleno mortale, e l’incapacità creativa.


L’era del socialismo utopistico è stata seguita, mezzo secolo dopo, dal cosiddetto socialismo
scientifico che verrà chiamato a ragione l’ “era ebraica”. E altrettanto la storia ricorderà l’era
presente…L’ebraismo presto individuò per quali usi il socialismo potesse essere impiegato una
volta finito nelle proprie mani. Gli ebrei hanno portato nel socialismo le loro teorie, i loro
distributori e agitatori, il loro aiuto materiale, la loro propaganda e tutto il resto. E con successo.
Hanno imbevuto quell’idea con tutte le loro caratteristiche radicali e con gli elementi che sono
stati la causa della degenerazione sociale della sua componente nazionalista.
La lotta di classe è stata inventata da loro, per distruggere le nazioni ariane e così soffocare
l’orgoglio razziale e la lotta per difenderlo.270

L’assassinio allontanò gli impauriti centristi dalla sinistra moderata, e li spinse ad allearsi
con la destra, col cui appoggio elessero alla presidenza Stanislaw Wojciechowski. Con l’appoggio
della destra i centristi nominarono anche Wincenty Witos, leader del Partito dei Contadini, alla
carica di Primo ministro. Uno dei primi atti di quest’ultimo fu ordinare alla polizia di sparare sugli
scioperanti a Cracovia, causando la morte di 11 lavoratori, il che portò alle sue dimissioni. Gli
succedette un esponente della destra, Wladislaw Grabski271.

Il Bund di Vilna si riunisce al Bund polacco. Nel 1920 – 21 una consistente parte della
Lituania fu contesa tra la Russia e la Polonia. Questa parte di territorio comprendeva la città di
Vilna, la cosiddetta “Gerusalemme della Lituania”, luogo della gestazione e della nascita del Bund
negli ultimi anni del XIX secolo. Trovandosi in una situazione di confine tra Russia e Polonia, i

269
Bernard Goldstein, Zvantsik Yor in Varshever Bund, 1960
270
Bernhard Johnpoll, The General Jewish Workers Bund of Poland, 1917 – 43, 1967
271
Simon Segal, The New Poland and the Jews, 1938

85
bundisti di Vilna speravano che alla fine il Bund avrebbe mantenuto la propria unità originaria, di
organizzazione dei lavoratori ebrei di “Lituania, Polonia e Russia”. Perciò nel 1920 inviarono propri
rappresentanti sia al Congresso di Cracovia del Bund polacco sia alla Conferenza di Gomel del
Bund bielorusso. Ma presto anche a Vilna il Bund si divise in due componenti, seguendo il destino
dell’organizzazione nelle altre regioni della Russia. Durante un lungo e acceso convegno, l’ala pro-
bolscevica dell’organizzazione prese il controllo dei lavori e l’ala destra lasciò l’assemblea per
formare un Bund socialdemocratico, con un proprio giornale e una propria struttura.
Quando divenne chiaro che la divisione tra Russia e Polonia, e l’indipendenza del Bund
polacco, sarebbero state cosa permanente, inizialmente entrambi i gruppi bundisti di Vilna
espressero contrarietà a fondersi con il Bund polacco, per opposti motivi: per la sinistra il Bund
polacco era troppo moderato, per la destra era troppo filo-comunista. In particolare il Bund
socialdemocratico di Vilna, la componente più forte delle due, accusò il Bund polacco di avere
accettato supinamente i principi e le tattiche del Comintern, anche se formalmente non era parte
della Terza Internazionale. A. Litvak, veterano del Bund e ora leader della fazione
socialdemocratica di Vilna, si espresse in questi termini:

Il partito ha mantenuto il vecchio nome ma i suoi principi sono completamente differenti. Noi,
al contrario, siamo rimasti socialdemocratici, oggi come ieri, e ci opponiamo ai bolscevichi per
principio…Non possiamo accettare i principi base del Comintern…ci rifiutiamo di rinunciare alla
nostra socialdemocrazia.272

I socialdemocratici di Vilna inoltre accusavano il Bund polacco di essere isolato rispetto al


socialismo mondiale, in quanto oltre che dal Comintern esso era fuori anche dall’Internazionale
Operaia e Socialista (LSI). Il Bund polacco si era legato a un piccolo gruppo di partiti filo-comunisti
che facevano capo al Bureau dei Partiti Socialisti Rivoluzionari, con sede a Parigi. I
socialdemocratici di Vilna avrebbero voluto che esso entrasse nella LSI.
Il Bund socialdemocratico di Vilna aveva anche un altro motivo per non volere entrare
nell’organizzazione polacca: il timore che la sua stampa locale sarebbe stata messa sotto il
controllo del Comitato Centrale di Varsavia.
Durante il 1923 furono condotte delle trattative per l’ingresso di entrambi i gruppi bundisti di
Vilna nel Bund polacco. Alla fine le aspirazioni all’unità di fronte ai comuni nemici reazionari ebbero
la meglio, e le due fazioni si risolsero ad entrare, e per giunta come organizzazione locale unitaria.
Per quanto riguarda il resto del territorio lituano finito sotto il controllo polacco, in esso la
presenza bundista fu quasi azzerata. Quando l’Armata Rossa si ritirò oltre il nuovo confine, la
maggioranza degli attivisti bundisti la seguirono. Altrettanto dicasi per la porzione di Lituania che
divenne indipendente, il territorio a ovest di Vilna e a nord di Grodno.

Il Terzo Congresso. Le numerose traversie interne e persecuzioni esterne ritardarono fino


al dicembre 1924 la convocazione del Terzo Congresso del Bund polacco, tre anni dopo Danzica.
In questo lasso di tempo la fine del sogno rivoluzionario e la realtà dell’oppressione sovietica
avevano provocato il passaggio della sinistra pro-comunista da una condizione di maggioranza a
una di netta minoranza.
Il dibattito al Congresso, tenutosi a Varsavia, fu incentrato su quale organizzazione
internazionale dovesse essere punto di riferimento per il Bund: o la LSI, o l’Internazionale di
Vienna (o Internazionale “Due e mezzo”), che era a sinistra della LSI ma stava per fondersi con
quest’ultima, o il Comintern.
La possibilità di un allentamento delle 21 condizioni del Comintern aveva cessato di essere
all’’ordine del giorno: altri partiti socialisti erano stati esclusi dal Comintern non avendo voluto
accettare i dettami di Mosca. Inoltre il Partito Comunista dell’URSS aveva virato verso una dittatura
sempre più marcata, e non costituiva più un’attrattiva per la maggior parte dei socialisti.
Ciononostante una minoranza di bundisti ribadì al congresso che il Comintern era fondato su
genuini principi socialisti, che il Bund avrebbe dovuto accettare, e che l’unico difetto del Comintern
era il controllo monolitico dall’alto. Ma la maggioranza di coloro che nel 1921, pur respingendo i 21

272
Der Veker (New York), 2 agosto 1922

86
punti, avevano riconosciuto la leadership del Comintern, ora fecero ammenda e attaccarono
l’Internazionale di Mosca criticandone i principi fondativi.
Si formò una maggioranza che, pur essendo contraria alla proposta di un delegato di Vilna
di entrare nelle internazionali socialiste in via di fusione, chiarì che “non possiamo far parte della
Terza Internazionale, siamo socialisti e non comunisti”.

La differenza tra noi e i comunisti sta nel fatto che loro credono nel governo del partito e noi
crediamo nel governo della classe operaia nella sua totalità. Noi diciamo che il governo della
classe operaia deve rispondere alla classe operaia nella sua totalità; i comunisti invece dicono
che se la classe operaia non gradisce il governo del Partito Comunista, tale classe deve
ugualmente accettare il volere del governo, e non il contrario.
L’errore di fondo del Partito Comunista sta nel tentativo di trasformare la volontà della classe
operaia in una dittatura del comitato centrale sul proletariato. 273

La maggioranza del congresso espresse contrarietà alla visione comunista della


rivoluzione, considerandola non marxista:

Il secondo errore del Comunismo è da rilevare nella sua visione anti-marxista della rivoluzione
sociale. Per i comunisti essa non è un processo organico, bensì il risultato di una cospirazione
militare preparata a tavolino…Questo è bakuninismo, non marxismo.

Infine c’era la questione della struttura monolitica interna al partito.

Non possiamo entrare nel Comintern perché là non potremmo dissentire dai nostri superiori.
Anche Trockij è stato estromesso perché ha osato pensare autonomamente…Dovessimo,
controvoglia, essere condotti a Londra 274, sarebbe per noi una tragedia ma sopravviveremmo.
Nella Terza Internazionale, al contrario, spariremmo. 275

La sinistra rifiutò di riconoscere che il comunismo fosse diventato sinonimo di “putschismo


o settarismo”, o che i comunisti stessero conducendo una sorta di guerra civile all’interno del
movimento operaio. Con la stessa logica, allora, il socialismo poteva essere definito “politica della
coalizione e della pace sociale con la borghesia”, poiché i socialdemocratici tedeschi non avevano
forse formato governi di coalizione con partiti non socialisti? La vera differenza tra socialisti e
comunisti, affermarono gli esponenti della sinistra, era “la incessante guerra di classe, la
inflessibile volontà di combattere l’ordine vigente da parte dei comunisti. E’ su questo aspetto che il
comunismo si mostra in completo accordo con il socialismo rivoluzionario e in opposizione al
socialismo riformista”276.
La minoranza di sinistra rimase ferma nella convinzione che la Terza Internazionale “è
ancora il centro del movimento operaio rivoluzionario”. Ma dal momento che la Terza
Internazionale era preclusa al Bund a causa dei 21 punti, la minoranza di sinistra propose che il
Bund insieme ad altri partiti socialisti europei creasse una nuova organizzazione, per contrastare
“le tendenze negative dentro l’Internazionale ‘di sinistra’ (cioè la Terza) che ostacolano il
consolidamento di tutti i genuini partiti rivoluzionari”277.
Il voto sulla questione andò a favore della maggioranza centrista, 30 a 24. La maggioranza
proponeva di compiere un tentativo di riunificazione di tutte le internazionali, in un “forte organismo
di solidarietà operaia mondiale”. La maggioranza volle anche far approvare una risoluzione di
condanna del terrore in Unione Sovietica278.
Al Congresso del 1924 fu discusso anche lo stato di salute del partito, e molti delegati
lamentarono un arretramento attribuendolo all’eccesso di dispute interne e alla troppa importanza
attribuita all’attività a Varsavia, trascurando le province. A causa delle discussioni dogmatiche sul
futuro della rivoluzione si era trascurato il lavoro pratico quotidiano, e in particolare la questione

273
Der III Tsusamenfor fur Algemajner Idishn Arbeiter Bund in Polyn, 1925
274
Cioè entrare nell’Internazionale Socialista.
275
Der III Tsusamenfor fur Algemajner Idishn Arbeiter Bund in Polyn, 1925
276
ibidem
277
ibidem
278
ibidem

87
della diffusione dell’antisemitismo in Polonia, con conseguente ascesa del sionismo. “Dovremmo
incrementare la nostra attività antisionista” affermò un delegato dei gruppi giovanili. Alla proposta
altri obiettarono che “Siamo soprattutto socialisti rivoluzionari, e solo secondariamente socialisti
ebrei”279.
I rappresentanti della sinistra ribadirono che il declino del Bund era dovuto alla “politica di
coalizione”, e proposero che ai membri del Bund fosse proibito di accettare incarichi nelle
amministrazioni cittadine. La sinistra voleva che la presenza bundista nei consigli cittadini servisse
soltanto a scopi di propaganda, come tribuna per promuovere le posizioni del Bund. Il congresso
respinse la proposta ma votò per l’accettazione di incarichi amministrativi solo ove vi fosse un
consiglio cittadino socialista e solo previa approvazione da parte del Comitato Centrale.
Tra il 1921 e il 1924 il Bund aveva promosso più di 1.100 assemblee e distribuito 1.650.000
volantini; ciononostante era in un periodo di costante declino. Per recuperare il terreno fu ipotizzata
la costituzione di un fronte unito di socialisti e comunisti, con l’obiettivo di contrastare
l’antisemitismo. A tale scopo nel maggio 1923 il Bund propose una conferenza di tutti i partiti
socialisti e operai di Polonia, ma non riuscì a raggiungere un accordo con il principale di essi, il
PPS, che voleva che a dirigere il fronte fosse un unico segretariato composto da tutti i partiti, nel
quale esso avrebbe avuto la maggioranza.
Ma il problema del PPS era che al suo interno le posizioni sulla tutela delle minoranze
nazionali erano tutt’altro che chiare. Il congresso del PPS del febbraio 1924, ad esempio, fu
ambiguo su questo punto. Nel corso di quell’anno a quanto pare fu raggiunto un accordo con il
Bund, ma alcuni mesi dopo un deputato del PPS alla Dieta fece un veemente discorso contro le
scuole yiddish in Polonia, e di nuovo i rapporti tra le due organizzazioni si guastarono.

279
ibidem

88
10.
L’ERA PILSUDSKI (1926 – 35)

Il colpo di mano del 1926. Josef Pilsudski era nato nel 1867 presso Vilna, da una famiglia
polacco – lituana. Crebbe in un’atmosfera fortemente anti-zarista e anti-russa. Da giovane fu
coinvolto in una cospirazione contro il governo, e fu mandato per cinque anni (dal 1887 al 1892) in
esilio in Siberia. Al suo ritorno fu tra i fondatori del Partito Socialista Polacco (PPS), e editore del
suo giornale illegale, il Rabotnik. Fu di nuovo arrestato, e questa volta riuscì a fuggire. Nel 1904,
durante la guerra russo – giapponese, si recò a Tokyo nel tentativo di ottenere appoggio per una
rivolta nazionalista in Polonia. Il tentativo non andò a buon fine, a causa dell’opposizione dentro il
movimento socialista e perché Roman Dmowski, leader degli endek, riuscì a convincere i
giapponesi che una tale rivolta sarebbe stata di debole entità, e poco utile al loro sforzo bellico.
Da Tokyo Pilsudski si spostò a Cracovia, nella parte di Polonia allora occupata dall’Impero
austriaco, e qui formò un’organizzazione paramilitare, la Lega dei Fucilieri, con l’obiettivo di
condurre una guerra di liberazione contro la Russia. Al congresso del 1906 il PPS si divise sulla
questione dell’indipendenza polacca e del militarismo nazionalista di Pilsudski. La fazione
maggioritaria facente capo a quest’ultimo diede vita al PPS Frazione Rivoluzionaria.
Nel 1914, con l’avvento della Prima guerra mondiale, Pilsudski cercò di formare una milizia
per combattere a fianco degli austriaci, e le sue forze occuparono la città di Kielce. Nel 1917 si
rifiutò di collaborare al progetto di governo polacco fantoccio proposto dagli Imperi centrali, e
perciò fu incarcerato a Magdeburgo. Fu liberato nel novembre 1918 e fece ritorno a Varsavia, dove
fu nominato capo del Governo Provvisorio polacco. Nel 1919 – 21 fu capo di stato maggiore nella
guerra contro i bolscevichi.
Dal 1922, Pilsudski fu un acceso oppositore del governo di centro-destra che si era
insediato dopo l’assassinio del suo amico Narutowicz. La sua ostilità crebbe quando il premier
Witos nominò ministro della Guerra il generale Szeptycki, acerrimo nemico di Pilsudski, e quando
lo stesso Witos nel 1926 fu riconfermato nella carica di Primo ministro.
La Polonia era in crisi dal punto di vista economico, e il malcontento tra il proletariato era
elevatissimo. Il governo di destra era determinato a restare al potere con qualunque mezzo, e
circolavano le voci su un’eventuale sospensione della costituzione. Per anticipare il temuto colpo di
stato della destra, i dirigenti della sinistra e dei partiti moderati rivolsero a Pilsudski la proposta di
diventare Primo ministro. Egli rifiutò, accusandoli di essere dei corrotti al pari di tutti i membri della
Dieta, ma il 12 maggio 1926 alla guida di truppe a lui fedeli lanciò una marcia su Varsavia, che
incontrò l’appoggio della classe operaia e della stampa socialista.
Tutti i partiti socialisti – il PPS, il Bund, Poale Zion, la Socialdemocrazia Tedesca in Polonia
– sostennero la rivolta, e anche i comunisti si espressero a favore. Molti bundisti andarono a
combattere per Pilsudski. L’organo ufficiale del Bund scrisse: “I lavoratori ebrei hanno troppo da
perdere restando ai margini della rivolta. Dovete levare alta la protesta; dovete chiedere il
rovesciamento dei Chjena-Piast280. Al loro posto deve nascere un governo che provveda agli
urgenti bisogni dei lavoratori polacchi”281.
Il 14 maggio i sindacati del PPS e del Bund convocarono uno sciopero generale che
paralizzò tutta la Polonia. L’episodio più importante fu il blocco delle ferrovie, che impedì al
governo di Witos di ricevere rinforzi. I socialisti in seguito affermarono che solo il supporto del
movimento operaio aveva reso possibile la vittoria di Pilsudski. Anche se Pilsudski ormai non era
più socialista, i lavoratori speravano che sarebbe stato fedele ai suoi vecchi principi. Ma non tutti i
bundisti nutrivano tali speranze. La rivoluzione di Pilsudski era sì contro la reazione, ma non si
sapeva per che cosa fosse:

La marcia di Pilsudski su Varsavia ha distrutto i dolci sogni della reazione. Sebbene si


sapesse ben poco dei piani di Pilsudski per il futuro, la classe operaia ha sostenuto la

280
La coalizione di centro-destra al potere.
281
Unzer Folkstseitung, 14 maggio 1926

89
rivoluzione…poiché tutti erano d’accordo su un punto: un immenso odio e ostilità verso la
reazione.282

Ciò che preoccupò il Bund fin dall’inizio fu che la presa del potere era di tipo militare, e
senza un programma politico. Nonostante l’entusiasmo della popolazione, il Bund sottolineò che la
partecipazione civile alla presa del potere era stata scarsa. “Anche se lo sciopero dei ferrovieri ha
impedito ai soldati di Posen di raggiungere Varsavia per sostenere Witos, ciò non cambia il fatto
che si è trattato di una rivolta militare”283. Tutti i socialisti, e in particolare i bundisti (ma anche molti
militanti del PPS), iniziarono a temere che la rivoluzione avrebbe condotto a una dittatura
personale. Quando un corrispondente estero chiese a Pilsudki, poco dopo il rovesciamento di
Witos, quale fosse il suo programma politico, egli rispose: “Non chiedetemi le mie intenzioni,
perché non so neanche cosa farò tra una settimana”.
Il Bund si domandava:

Quale programma ha Pilsudski? Solo una cosa è chiara: egli è lontano da qualunque
posizione di sinistra o a favore degli operai. I suoi discorsi si limitano alla morale, al
nazionalismo, e all’ostilità verso i politici. Egli ha dimenticato il proprio passato socialista, è solo
un romantico che non comprende la verità – la lotta di classe. La lotte di classe per lui non
esiste, poiché egli non vuole che esista. Egli ignora questioni come la ripartizione equa del
gettito fiscale, le condizioni degli operai o la riforma agraria. Nessuna burocrazia può risolvere
questi problemi; solo un programma di classe li può risolvere. 284

I bundisti si opposero anche all’antiparlamentarismo di Pilsudski. Egli non solo non aveva
un programma per migliorare le condizioni della classe operaia, ma aveva anche annunciato di
essere contrario ai partiti politici e al potere del parlamento. “Tutto ciò che emerge sono
generalizzazioni sulla rivoluzione morale, sulla mano pesante, e simili. Nessun partito socialista
può accettare la posizione di Pilsudski sui poteri del parlamento, sui partiti politici o sulla lotta di
classe”285.
Nel periodo immediatamente seguente alla rivolta di maggio il PPS, la Socialdemocrazia
Tedesca in Polonia e il Bund mantennero stretti contatti, in attesa di vedere che cosa avrebbero
fatto il neo-nominato Presidente Pilsudski e il suo nuovo Primo ministro, Kazimierz Badel.
Il PPS e gli altri partiti socialisti vedevano tre alternative possibili: a) Pilsudski avrebbe
tentato di instaurare una dittatura militare, quindi in conflitto aperto con le forze operaie e socialiste
b) avrebbe formato un governo basato su elezioni democratiche c) le forze della destra avrebbero
fomentato la guerra civile, e si sarebbe formato un governo socialista, o pseudo-socialista (con
l’inclusione dei partiti contadini). Delle tre alternative, i socialisti erano per la seconda, e per
sostenerla proposero un programma in tre punti: scioglimento della Dieta e del Senato, elezioni
immediate, e formazione di un governo degli operai e dei contadini che facesse le riforme sociali e
tutelasse le minoranze nazionali.
Il Comitato Centrale del Bund pubblicò sul proprio quotidiano Unzer Folkstseitung una
dichiarazione di sostegno al nuovo regime e una proposta di programma. La rivoluzione di
Pilsudski, diceva la dichiarazione, era il primo passo nella direzione di un cambiamento di lunga
durata nella situazione economica e sociale della Polonia. Il rovesciamento del governo di Witos
era un buon colpo contro la reazione, ma ora occorreva concretizzare le possibilità democratiche
in esso contenute varando un programma sociale.

La creazione di tale programma è il compito della classe operaia e dei contadini radicali, che
devono lottare per dare agli eventi del 12 – 14 maggio un contenuto politico e sociale, e così
trasformare la rivolta in una vera rivoluzione.
Le masse proletarie della Polonia devono quindi spendere ogni loro energia affinchè solo un
governo in grado di creare una nuova Polonia – un governo della classe operaia e dei contadini
– possa vedere la luce.

282
Jugnt Vecker, giugno 1926
283
Alexandr Werder, Ostatnie Wypadki w Polsce, 1926
284
Bernhard Johnpoll, The General Jewish Workers Bund of Poland, 1917 – 43, 1967
285
Jugnt Vecker, giugno 1926

90
L’attuale Dieta reazionaria e il Senato devono essere sciolti, e l’intero apparato amministrativo
dovrebbe essere ripulito da tutti gli elementi reazionari.
Il successo di questa lotta è, in primo luogo, legato alla ferma e determinata unità delle masse
proletarie in Polonia; è quindi necessario creare un’unità organizzativa di azione tra tutti i partiti
operai e contadini radicali. E se tale unità non è possibile, essi dovrebbero almeno tendere
all’unità politica di azione.
Solo un governo degli operai e dei contadini sarà in grado di realizzare le importantissime
rivendicazioni economiche e politiche che tutti i partiti operai hanno fatto…Tra queste
rivendicazioni in primo luogo vi sono: pane e lavoro per i disoccupati, terra ai contadini, piena
libertà per le minoranze nazionali e amnistia politica. 286

Il numero del giornale contenente questa dichiarazione fu fatto confiscare da Pilsudski, e


presto le illusioni svanirono. Il Maresciallo non sciolse la Dieta, nella quale le forze di centro-destra
erano ancora maggioritarie, e si rifiutò di indire nuove elezioni. Il PPS rimase all’opposizione, e non
appoggiò il candidato di Pilsudski alla presidenza della Dieta, Ignacy Moscicki. La rivoluzione di
maggio era stata contro il governo dei partiti di centro-destra, e ora resuscitava quegli stessi partiti
con l’appoggio di alcuni ex socialisti saliti sul carro di Pilsudski, tra cui l’ex capo del primo governo
polacco del 1918, Moraczewski.
A questo punto i bundisti virarono decisamente contro Pilsudski e il suo regime. “I nuovi
governanti hanno deciso di aggrapparsi alle ampie e grasse spalle del capitale…Il nuovo regime si
è unito ad esso ed è diventato sostenitore degli interessi del capitale. Gli autori della rivoluzione di
maggio restano al potere con l’aiuto dei capitalisti”287. Per i bundisti a quel punto la scelta davanti
alla Polonia era tra il socialismo e la tendenza a un governo sempre più autoritario, di stampo
fascista. Il fascismo, secondo i portavoce del Bund, era l’ultima difesa di un sistema capitalistico
posto di fronte alla rivoluzione socialista o alla conquista di una maggioranza socialista in
parlamento. Ogni tentativo di fermare la reazione mantenendo in piedi il capitalismo sarebbe
andato incontro al fallimento; tale tentativo era basato semplicemente su di un “desiderio
soggettivo, che è inutile di fronte al fatto storico oggettivo, che fascismo e capitalismo sono
strettamente legati”288.
Rispetto al precedente governo nazionalista, il nuovo regime comunque rappresentò un
consistente passo avanti nel contrasto all’antisemitismo. Nel 1928 il corrispondente da Varsavia
del periodico The Nation potè scrivere che “il governo attuale…dà segno di voler giungere a
un’intesa con le minoranze. Ciò è particolarmente vero nel caso degli ebrei. Se comparata con le
persecuzioni del precedente regime endek, l’attuale condizione degli ebrei in Polonia è
grandemente migliorata. Il Maresciallo probabilmente è uno dei migliori amici degli ebrei in Polonia,
e la sua amministrazione…non può essere accusata di mancanza di buona volontà nei confronti
degli ebrei”289.
L’atteggiamento più amichevole del governo spinse i bundisti a chiedere il sostegno
governativo alle scuole yiddish, ma questa linea incontrò l’opposizione della Dieta, in particolare
dei sionisti non socialisti e degli ebrei ortodossi, che si unirono agli antisemiti nell’ostacolare la
proposta.

Elezioni del 1928: successo dell’alleanza Bund – PPS. In capo a un anno dal colpo di
stato, l’alleanza di Pilsudski con i gruppi capitalistici conservatori determinò una completa rottura
tra il Maresciallo e il PPS. Nel contempo gli Endek e il Partito dei Contadini, che avevano subito il
colpo di stato, non intendevano appoggiarlo; perciò il Maresciallo in vista delle elezioni politiche
formò autonomamente un “Blocco governativo non partitico”, chiamato Sanacja (Risanamento).
Le elezioni del 1928, tenutesi con due anni di ritardo, videro quindi fronteggiarsi tre
raggruppamenti: un blocco cattolico conservatore di destra, guidato dagli endek e appoggiato dai
proprietari terrieri e dai contadini ricchi di Witos; un blocco di sinistra comprendente il PPS, il Bund
e il Wyzwolenie (partito agrario progressista); e il blocco di centro di Pilsudski e del colonnello
Valerian Slawek.

286
Der Veker (New York), 3 luglio 1926
287
Jugnt Vecker, dicembre 1926
288
Jugnt Vecker, luglio 1926
289
The Nation, 7 marzo 1928

91
Il blocco di destra era indebolito in quanto la Chiesa Cattolica non gli diede aperto
sostegno, temendo che in caso di appoggio agli endek Pilsudski le avrebbe tolto i privilegi di cui
godeva. Il Bund, poco entusiasta del blocco elettorale nel quale era entrato, fece una campagna
elettorale pragmatica, presentandosi come difensore “senza compromessi” delle minoranze e della
cultura yiddish. I bundisti si coordinarono con il PPS, e in alcune regione sostennero i candidati di
quest’ultimo, mentre in altre nominarono i propri. Nella regione di Bialystok si formò un’ampia
coalizione socialista che espresse un candidato del Bund, l’organizzazione più radicata in quella
città. Il quartier generale del PPS a Varsavia dovette imporre l’accettazione del candidato ebreo
alla sezione locale del PPS, la quale temeva che i lavoratori polacchi di Bialystok non lo avrebbero
votato. Invece l’alleanza Bund – PPS a Bialystok, la prima a livello nazionale nella storia della
Polonia indipendente, ebbe un grosso successo, soprattutto nei quartieri polacchi. Per un soffio il
candidato bundista non ottenne il seggio alla Dieta.
Nei quattro distretti elettorali in cui il Bund appoggiava il candidato del PPS, il voto
socialista crebbe considerevolmente, mentre il voto verso i candidati ebrei sionisti o nazionalisti
calò in proporzione. Il voto totale per il Bund risultò disperso nelle varie alleanze che portarono il
PPS ad acquisire 62 seggi alla Dieta e il Wyzwolenie 41. I candidati del Bund ricevettero
complessivamente circa 100.000 voti, un risultato positivo, in crescita rispetto agli 87.000 del 1922.
Il KPP si presentò separatamente alle elezioni e ottenne 217.000 voti e 5 seggi, con un netto
incremento rispetto ai 120.000 voti e 2 seggi del 1922.
L’esito positivo dell’alleanza con il PPS pose ai bundisti il quesito sull’opportunità di
mantenere in piedi un’organizzazione socialista separata dei lavoratori ebrei. Un dirigente
dell’organizzazione scrisse che, dal momento che i lavoratori ebrei in Polonia erano una minoranza
fortemente distribuita, il loro partito socialista ebraico era isolato dal movimento socialista polacco
nel suo complesso. Bisognava scegliere tra un partito socialista ebraico separato o una sezione
autonoma all’interno di un partito socialista pan-polacco290.
Il blocco governativo non partitico di Pilsudski pur avendo vinto le elezioni del 1928 non
ottenne la maggioranza assoluta, bensì solo 125 seggi su 444. Dunque il ruolo dei partiti socialisti
risultava significativo, e nei due anni successivi fu espresso da Ignacy Daszynski, leader del PPS
che fu anche eletto Presidente della Dieta.
In questi anni la dirigenza del Bund iniziò un intenso lavoro per promuovere la
cooperazione sia con il PPS che con i comunisti del KPP, nonostante le distanze tra queste due
fazioni. “La classe operaia ebraica organizzata nel Bund insiste sull’unità organizzativa della classe
operaia…” scrisse Erlich “…ciò è difficile da ottenere. Ma non vediamo altra strada…Finchè una
parte della classe operaia considera l’altra ‘agenti al soldo di un’altra nazione’ (il PPS rispetto al
KPP), o ‘lacchè della borghesia’ (il KPP rispetto al PPS); finchè i partiti della classe operaia si
fanno la guerra l’un l’altro, in quel modo la reazione può vincere”291. I dirigenti del Bund erano
favorevoli a una federazione di organizzazioni socialiste composta dal PPS, dal Bund, dai
socialdemocratici ucraini in Polonia e dai socialdemocratici tedeschi in Polonia. Dunque si trattava
di tenere conto delle specificità nazionali di ogni raggruppamento operaio. Di conseguenza la
posizione del KPP veniva giudicata quantomeno troppo prematura: “Il partito del proletariato
polacco non è ancora pronto a rompere i confini del nazionalismo, a diventare un partito di stato
piuttosto che un partito nazionale; a diventare, invece che un partito socialista polacco, il Partito
Socialista di Polonia”.
Negli anni immediatamente successivi alle elezioni del 1928 il dibattito ideologico tra i
socialisti in Polonia si fece molto articolato, delineando le tre componenti principali: i comunisti, i
socialisti rivoluzionari del Bund e i socialisti riformisti del PPS. Secondo i bundisti la differenza tra
riformisti e rivoluzionari era soprattutto legata all’internazionalismo:

Qual è la prova di un’ideologia o di un’azione rivoluzionaria o opportunistica? Il desiderio della


dittatura è segno di una posizione rivoluzionaria…o i metodi riformistici e le azioni
opportunistiche sono caratteristica dei partiti socialisti di destra? Né una né l’altra.
La dirigenza del PPS si oppone alla dittatura ed è ferma fautrice della democrazia? O sono i
bolscevichi immuni dall’opportunismo e dal riformismo, alla luce dei loro contatti coi fascisti e coi
nazionalisti di Turchia, Cina eccetera? Non sono questi elementi che determinano la tendenza

290
Unser Tseit, marzo – aprile 1928
291
Unser Tseit, maggio 1928

92
rivoluzionaria o riformista di un movimento. Il segno distintivo principale tra riforme e rivoluzione
è, strano a dirsi, l’internazionalismo – o meglio, come uno stato o una nazione si pongono
rispetto alla questione dello stato e della nazionalità. Se il Partito Socialista è disposto a
subordinare l’interesse nazionale all’interesse di classe, o all’interesse del movimento
socialista…allora è un partito rivoluzionario. Se non ha questa visione, se guarda ad ogni cosa
sulla base del cosiddetto interesse nazionale…allora è riformista.292

Secondo Erlich la distinzione tra il socialismo rivoluzionario del Bund e il socialismo del
Partito Comunista era ancora più marcata:

Come respingiamo il riformismo, così noi respingiamo il comunismo. Noi siamo contro le
tattiche anti-marxiste dei comunisti. Ci opponiamo totalmente al regime della illibertà, delle
prigioni di stato alla maniera prussiana, della dittatura che i comunisti hanno instaurato anche
dentro il loro stesso partito. Ci opponiamo ai loro tentativi di piegare la volontà della classe
operaia stabilendo una dittatura del Politburo sulla classe operaia, e condanniamo senza mezzi
termini le tattiche distruttive dei comunisti, la loro politica di guerra civile nei ranghi del
proletariato, che ha provocato gravi danni al movimento operaio mondiale. 293

Le possibilità di cooperazione del Bund coi comunisti erano considerate assai scarse, dal
momento che questi ultimi criticavano aspramente i partiti socialisti accusandoli di
“socialfascismo”, e avevano anche compiuto diversi attacchi teppistici contro il Bund, e le sue
strutture tra cui il Sanatorio Medem, nel quale venivano ospitati i figli malati delle famiglie operaie:
“I comunisti sono assai rivoluzionari quando combattono gli altri partiti proletari. L’esperienza degli
ultimi anni rende impossibile l’esistenza di qualunque fronte unito coi comunisti. La loro linea è la
distruzione dei partiti socialisti rivoluzionari con qualunque mezzo a disposizione”294.
Invece sembravano esserci maggiori possibilità per una cooperazione con il PPS, che
stava perdendo la propria inclinazione nazionalista e stava diventando “più socialista e meno
polacco” (questa almeno era l’impressione dei bundisti): “Non siamo forse testimoni viventi della
nuova evoluzione del PPS? Non vediamo che il PPS si ripulisce?”. La maggior parte di coloro che
si erano uniti al PPS solo per ottenere l’indipendenza avevano lasciato il partito poco dopo il
conseguimento dei loro obiettivi, nel 1918. Pochi altri erano rimasti per alcuni anni, fino al colpo di
stato di Pilsudski. Il PPS post-1926 denotava un orientamento più proletario: “…vediamo nel PPS il
fatto positivo che la dirigenza nazionalista pre-bellica sta lasciando il partito”295.
I dirigenti del Bund erano concordi nel ritenere il PPS un partito ancora fondamentalmente
riformista, e che la sua posizione a favore dell’esercito fosse basata su motivazioni nazionalistiche
e non di patriottismo di classe. “Di certo le tradizioni pre-belliche giocano ancora un ruolo nel
PPS…Ma per coloro che erano interessati soltanto a una Polonia indipendente ora non c’è più
posto nel PPS – esso è troppo orientato in senso classista. Solo i lavoratori restano nel PPS, e
presto o tardi essi dovranno restare fedeli alla linea della lotta di classe senza compromessi”296.
Una maggioranza dei bundisti erano favorevoli a sollecitare l’unità d’azione con il PPS per
favorire l’evoluzione di quest’ultimo verso una linea rivoluzionaria. Una consistente minoranza
invece era scettica su questa possibilità, e in essa vi era Joseph Chmurner, che propendeva per
cercare l’alleanza con i comunisti. Chmurner non pensava che il PPS fosse veramente anti-
Pilsudski: dopotutto era stato Pilsudski a staccarsi da esso, e non viceversa, e inoltre i socialisti
sostenevano il governo in politica estera. Chmurner chiedeva: “Si può dimostrare, a due anni dal
passaggio del PPS all’opposizione, che questa opposizione forzata si sia riflessa nella posizione
ideologica del PPS? Prima lo stato e poi la classe operaia, questa rimane la politica di fondo del
PPS. Indipendenza – e poi socialismo…questo è ora, come sempre, la costante della linea del
PPS”297.

292
Socialistisze Bleter, giugno 1931
293
Henryk Erlich, Der Icker fun Bundism, 1934
294
Socialistisze Bleter, giugno 1931
295
ibidem
296
ibidem
297
Unser Zeit, gennaio 1929

93
1930: nuovo distacco dal PPS. Il primo disaccordo post-elettorale tra il PPS e il Bund si
manifestò al congresso del 1929 della Federazione dei Sindacati. Fu questo congresso che
formalizzò la rottura tra i seguaci di Pilsudski e il movimento operaio socialista. Ma nonostante la
dichiarazione anti-Pilsudski, secondo un rappresentante del Bund al congresso non si era
manifestata una chiara linea di opposizione socialista. Il PPS era favorevole a qualcosa di più
simile alla democrazia economica, mentre il Bund non intendeva rinunciare all’idea del socialismo
come unica cura per i mali della classe operaia polacca.
La democrazia economica, nel senso attribuitole dai partiti socialdemocratici durante il
periodo 1925 – 33, significava essenzialmente che lo stato, in quanto rappresentante del popolo
nel suo complesso, avrebbe regolato la vita economica di tutta la nazione. L’idea di democrazia
economica era qualcosa di simile al New Deal degli Stati Uniti: un miglioramento delle condizioni
dei lavoratori nel quadro dell’economia capitalistica, invece che un rovesciamento del sistema e la
sua sostituzione con uno nuovo. “Oggi la democrazia economica è una frase accettata e diffusa
nell’Europa occidentale” scrisse Erlich “I riformisti della destra del movimento operaio considerano
ciò…una cura per le storture del sistema capitalistico; vedono ciò come un mezzo attraverso il
quale il socialismo si può sviluppare pacificamente nel capitalismo”298.
Molti bundisti erano contrari all’idea che questa cosiddetta democrazia economica avrebbe
condotto gradualmente al socialismo. La vera democrazia secondo loro si sarebbe raggiunta
soltanto con l’abolizione del sistema capitalistico e la sua sostituzione con una società socialista in
cui “l’attuale divisione in classi della società sia abolita”. Fino a quando lo stato fosse rimasto
l’agente della classe al potere – perchè tale era secondo il Bund – e fino a quando quella classe
fosse stata la borghesia, la democrazia economica sarebbe stata “una trappola e un’illusione”. Nel
caso particolare della Polonia, poi, il governo Pilsudski era evidentemente “il comitato esecutivo
dei trust”. Qualunque “democrazia economica” in Polonia avrebbe voluto dire assumere il controllo
sui trust. Ma per potere fare ciò occorreva creare due condizioni in Polonia: la democrazia politica
e una classe operaia fortemente organizzata e in grado di influenzare le azioni dello stato299.
Oltre a queste differenze ideologiche, un altro ostacolo all’unità socialista venne dalla
crescente tendenza all’autocrazia da parte del blocco di Pilsudski, che spinse il PPS a formare un
blocco democratico con altri partiti non socialisti, dal quale il Bund rimase fuori. Jerzy Shapiro,
corrispondente del New York Times a Varsavia, all’inizio degli anni ’30 scrisse che “la politica in
Polonia è arrivata a un punto in cui il conflitto tra il parlamento e la velata dittatura del Maresciallo
Pilsudski deve trovare una soluzione”300. L’attacco di Pilsudski si concretizzò quando il ministro del
Lavoro, il colonnello Alexander Prystor, licenziò tutti i funzionari eletti del Fondo per le Malattie,
molti dei quali erano socialisti, rimpiazzandoli con uomini fedeli a Pilsudski. A ciò seguì un aspro
attacco alla Dieta e in particolare alla sua componente socialista, con la richiesta che la
costituzione democratica polacca fosse sostituita da un’altra in cui il potere parlamentare fosse
ridimensionato. Alla fine dell’agosto 1930 il quotidiano di Pilsudski, la Gazeta Polska, annunciò che
il Maresciallo d’ora innanzi avrebbe assunto pieni poteri.
Per far fronte alla crescente minaccia di dittatura il PPS, il partito contadino conservatore
Piast, il Wyzwolenie e i cristiano-democratici formarono un’alleanza denominata Centrolew. Prima
della formazione del Centrolew, il Bund aveva invitato il PPS a costituire un blocco di tutti i partiti
socialisti di Polonia. Il PPS aveva ribattuto offrendo al Bund dei posti nel Centrolew. Il Comitato
Centrale del Bund rifiutò, affermando che “la politica centrista del PPS” aveva fatalmente indebolito
il movimento socialista in Polonia nella sua lotta contro il fascismo. Nessuna delle due
organizzazioni volle fare marcia indietro, e il Bund formò un’alleanza con il piccolo Partito
Socialista Indipendente.
Nell’imminenza delle nuove elezioni, Pilsudski temeva che il Centrolew lo avrebbe
danneggiato, perciò fece arrestare 15 dirigenti dei partiti di opposizione, incluso Herman
Liebermann del PPS. Jan Kwampinski, leader del Sindacato degli Operai Agricoli, fu arrestato per
un discorso che aveva fatto mesi prima, seppure avesse l’immunità parlamentare. Furono poi
imprigionati 16 deputati dei partiti ucraini, 4 bielorussi e un membro del Senato. Infine la stessa
sorte toccò a Witos, che si era avvicinato al Centrolew, e a Thugutt, leader del Wyzwolenie.

298
Unser Zeit, marzo – aprile 1929
299
ibidem
300
New York Times, 6 aprile 1930

94
Gli arrestati furono incarcerati a Brest-Litovsk e sottoposti a maltrattamenti, e quando
l’Ordine degli Avvocati di Varsavia fece una protesta pubblica fu minacciato di severe punizioni se
avesse ripetuto l’azione.
In questo clima di repressione e brogli Pilsudski con il suo blocco governativo Sanacja
ottenne la maggioranza assoluta alle elezioni del 16 novembre 1930. Il piccolo blocco Bund – PSI
ottenne soltanto 71.000 voti, un calo del 30% rispetto ai voti ricevuti dal Bund nel 1928, e nessun
seggio alla Dieta. Anche i partiti del Centrolew, tra i quali vi era il PPS, nel complesso arretrarono.
L’esito elettorale spinse di nuovo il Bund e il PPS l’uno verso l’altro, verso un’unità che non
si sarebbe mai realizzata. In particolare, il Bund fu sempre contrario ad allearsi con partiti non
socialisti. “Il fascismo” scrisse Erlich “è il volto più truce del capitalismo morente”. Perciò era
impossibile combattere il fascismo senza combattere il capitalismo stesso. Inoltre, i bundisti
avevano iniziato a perdere fiducia nel sistema elettorale: “Le elezioni del 16 novembre mostrano
irrefutabilmente ciò che si è dimostrato in Italia e Ungheria e altri paesi, ovvero che la speranza di
battere il fascismo alle elezioni è una ridicola illusione”301.
Il Bund ribadì che le elezioni avevano provato la non efficacia dell’alleanza con i partiti non
socialisti, e che i lavoratori volevano soltanto l’unità socialista. Alcuni dei partiti coi quali il PPS si
era legato, scrisse un periodico del Bund, erano “nazionalisti e reazionari”, e ciò aveva portato i
lavoratori a votare per Pilsudski, anche se non erano favorevoli al fascismo. “Essi erano apatici e
delusi. Non potevano entusiasmarsi per la democrazia proclamata da partiti che ignorano i diritti
dei lavoratori”302.
I bundisti speravano ancora in un partito socialista unitario in Polonia, ma non si
aspettavano più che quel partito utilizzasse solo i mezzi legali della democrazia parlamentare per
realizzare i propri scopi. Scrisse Erlich:

La miglior difesa è l’attacco…(anche se) non può essere usato in ogni occasione. Due anni fa,
quando la bancarotta del governo di maggio non era così evidente, quando le masse popolari
non avevano ancora abbandonato le illusioni di maggio, sarebbe stato difficile seguire questo
consiglio. Ma oggi la situazione è cambiata. Oggi la politica di attendere, evitare, restare ai
margini e non rispondere alla provocazioni è acqua al mulino del dittatore, poiché essa produce
apatia e disinteresse, che sono elementi importanti per la reazione e la dittatura.
E’ necessario portare la lotta contro il regime di Pisludski al di fuori delle mura della Dieta,
all’aperto. E’ necessario avere il supporto del popolo, in primo luogo dei lavoratori, nell’azione
contro il regime di Pilsudski.303

Nel tentativo di promuovere la fusione del PPS e del Bund, fu organizzato un incontro
dell’Esecutivo dell’Internazionale Socialista. Ivi Victor Alter, leader dei sindacati ebraici e secondo
solo a Erlich nelle gerarchie del Bund, dichiarò che “solo una lotta per la democrazia proletaria
rivoluzionaria può portare all’unità tra i gruppi socialisti”304. Mieczyslaw Niedzialkowski, che
rappresentava il PPS, rispose che il Bund poteva più facilmente permettersi di sputare frasi
rivoluzionarie poiché non aveva mai avuto sulle spalle il destino della Polonia, mentre il PPS aveva
sperimentato quel gravoso ruolo.
Nell’estate del 1932, durante un periodo di forte repressione da parte del regime di
Pilsudski, un gruppo di bundisti guidati da Victor Alter e un gruppo dell’ala sinistra del PPS (i
Socialisti Polacchi) decise di trasformare un piccolo mensile, Nasza Walka, in un quotidiano
socialista, che doveva essere pubblicato dagli stessi editori del quotidiano bundista Najer
Folkstseitung. Il nuovo giornale, chiamato Pismo Codzienne, era ideologicamente molto vicino ai
bundisti ma era rivolto ai lavoratori polacchi, per portarli dal riformismo del PPS alle posizioni
rivoluzionarie. Il governo di Pilsudski fu subito preoccupato da questa iniziativa che poteva
spingere il PPS a un maggiore radicalismo, e perciò a due settimane dalla prima uscita decise di
chiudere la tipografia che aveva iniziato a stampare il giornale, nel contempo diffidando le altre
attività simili dal rilevare quell’onere. Inoltre un ispettore governativo fece chiudere per 17 giorni il
Najer Folkstseitung, con il pretesto che i macchinari per stamparlo non erano sicuri.

301
Unser Zeit, febbraio 1932
302
Najer Folkstseitung, 6 agosto 1931
303
Unser Zeit, maggio 1931
304
Najer Folkstseitung, 12 marzo 1931

95
Anche il PPS fu contrariato dall’uscita di Pismo Codzienne, poichè quest’ultimo conteneva
molte critiche verso i socialisti riformisti. Anche il successore di Pismo Codzienne, il settimanale
Nowe Pismo, continuò a fungere da spina nel fianco del PPS, il quale levò aspre proteste.
Niedzialkowski disse che gli attacchi alla propria leadership sollevavano seri dubbi sulla effettiva
volontà del Bund di cooperare con il PPS. Erlich rispose negando che il Bund dovesse astenersi
dal criticare il PPS, anche se i due gruppi cooperavano. “Secondo Niedzialdowski” scrisse Erlich
“un partito socialista non deve mai parlare di un altro, o deve parlarne solo bene. Le critiche oneste
e costruttive egli le considera ostili”. Per Erlich gli altri partiti socialisti non dovevano essere
considerati intoccabili: “Noi siamo ben felici di riportare i loro successi; ma, proprio perché ci
sentiamo molto vicini a loro, ci sentiamo liberi di – e obbligati a – parlare apertamente e senza
fronzoli diplomatici di tutte quelle azioni che noi consideriamo sbagliate e dannose per la nostra
politica”305.
In alcuni casi nelle elezioni locali il Bund e il PPS si presentarono con una lista unitaria,
riscontrando un buon risultato: a Cracovia e Tarnow, due centri industriali, elessero rispettivamente
17 e 13 consiglieri comunali.
I militanti del Bund nei primi anni ’30 calarono da 7.590 nel 1929 a circa 7.000 nel 1935.
Evidentemente il calo maggiore si riscontrò nelle città piccole, poiché nel 1935 le dodici maggiori
città polacche contavano complessivamente 6.715 militanti. In questo periodo il numero di sezioni
locali del Bund salì da 200 a 213, ma in 300 piccoli centri l’organizzazione era assente, o
rappresentata da singoli individui.

Lo scontro con il KPP. A cavallo del 1930, il Partito Comunista di Polonia condusse una
guerra aperta contro il Bund, accusandolo di essere in combutta con il governo nell’oppressione
dei lavoratori ebrei e polacchi, e di essere “socialfascista”, lacchè della classe capitalistica.
L’organo ufficiale del KPP, Czerwony Sztandar, in uno dei vari editoriali accusò il Bund di
rappresentare “il più bieco tradimento degli interessi della classe operaia”. La difesa del diritto al
lavoro degli operai ebrei fu criticata dai comunisti come tentativo di rompere l’unità tra il proletariato
ebreo e polacco, e la richiesta dei consiglieri comunali del Bund di Varsavia di includere il pane
azzimo nei pacchi di viveri distribuiti ai disoccupati durante la Pasqua ebraica fu criticata come pro-
clericale. Infine il giornale del KPP accusò il Bund di impedire alle minoranze nazionali il
raggiungimento dell’autonomia.
Un giovane bundista, Abraham Neuerman, membro della minoranza anti-comunista nel
Sindacato dei Fornai, fu ucciso a colpi di pistola da sicari comunisti, in pieno giorno, in un’affollata
via di Varsavia. Egli si stava recando a un’assemblea sindacale ove la leadership comunista
sarebbe stata messa in discussione. Più di 50 bundisti in quegli anni furono feriti o accoltellati dai
comunisti; tra essi vi fu il segretario del sindacato femminile dell’abbigliamento, il segretario del
sindacato dei lavoratori del cuoio, e funzionari dei sindacati dei metallurgici, dei magliai e dei
trasporti. Gangster comunisti attaccarono le scuole serali gestite dal Bund, frequentate da adulti,
ma anche quelle per bambini e il Sanatorio Medem306.
Gli attacchi erano parte di una campagna di terrore rivolta contro il movimento operaio
ebraico che i comunisti non riuscivano a controllare. I bundisti li paragonarono al terrore anti-
socialista dei fascisti in Italia nei primi anni ’20, attribuendoli non tanto ai dirigenti del KPP ma a dei
provocatori che in questo modo “stanno aiutando la reazione fascista”307. La polizia polacca non
arrestava i comunisti sospettati di avere compiuto gli attacchi, mentre gli arresti e le condanne
fioccavano per i membri del KPP sorpresi a distribuire volantini o a fare agitazione.
Nonostante questi episodi, dopo la presa del potere di Hitler in Germania ci furono tentativi
di cooperazione tra Bund e KPP, almeno contro la repressione, ma non ebbero buon esito. Nel
marzo 1933 i comunisti proposero ai bundisti un fronte unito contro il fascismo. Il Bund accettò, a
due condizioni: la cessazione della campagna comunista contro il Bund e negoziati segreti per
evitare le attenzioni della polizia. I comunisti accondiscesero e i negoziati incominciarono, ma
quasi subito gli attacchi contro il Bund ripresero, culminando in una sparatoria contro i lavoratori di

305
Najer Folkstseitung, 13 agosto 1933
306
Unser Tseit, marzo – aprile 1932
307
ibidem

96
una mensa, la maggior parte dei quali erano bundisti, in cui ci furono un morto e un ferito grave.
Ciò portò alla fine delle trattative.
Sempre nel 1933 ci furono altri due tentativi di azione unitaria tra il Bund e i comunisti, ma
anch’essi abortirono quando il KPP annunciò di non poter cooperare con il Bund in quanto esso
era “traditore della classe operaia” e “nemico dell’Unione Sovietica”308.
Nel giugno del 1934 un altro tentativo di cooperazione fu messo in piedi su iniziativa del
KPP per salvare Ernst Thaelmann, dirigente dei comunisti tedeschi accusato ingiustamente e
condannato a morte per l’incendio del Reichstag. Ancora una volta i negoziati si interruppero
quando ripresero gli attacchi contro il Bund.
La disastrosa tattica di attacco ai socialdemocratici condotta dal Comintern in questi anni
spinse ancora di più i dirigenti bundisti all’opposizione al comunismo dell’Unione Sovietica. Erlich
scrisse: “La tragedia del comunismo, come movimento internazionale, sta nella sua completa
mancanza di valori. L’intera filosofia del comunismo si limita a due cose: apologia dell’Unione
Sovietica e odio verso i movimenti operai non comunisti. I comunisti non hanno altri principi
positivi”309. Mauritzi Ozher, direttore del Najer Folkstseitung, scrisse che “Non c’è alcun socialismo
in Unione Sovietica. Là governa il terrore…”.
Secondo i teorici del Bund, l’economia dell’URSS si fondava su false premesse, che
ignoravano i bisogni delle masse. L’industrializzazione era stata imposta con la forza e il terrore, e
aveva portato a un ulteriore impoverimento della popolazione. Il Piano Quinquennale istituito da
Stalin non era la strada verso il socialismo, ma semplicemente un tentativo di trasformare l’URSS
in un gigante industriale. Il problema del socialismo in URSS era poi anche di carattere politico,
oltre che economico. Non si poteva giungere al socialismo attraverso un governo dittatoriale: “La
via del Piano Quinquennale non è la via al socialismo, bensì piuttosto la falsa via verso la
dittatura”310.
I bundisti ritenevano che il socialismo non fosse raggiungibile semplicemente abolendo la
proprietà privata o sviluppando l’industria pesante; questi erano soltanto i prerequisiti necessari al
socialismo. Lo sviluppo dell’industria pesante poteva avere luogo anche sotto il capitalismo. Il
socialismo voleva dire controllo collettivo dell’industria per il benessere dell’intera società. Ciò che
il Piano Quinquennale sperava di ottenere, invece, era una “dittatura terroristica dell’industria sugli
interessi delle masse”. L’industria era una componente necessaria della società socialista, ma se il
Piano Quinquennale era un passo verso il socialismo, ciò metteva in discussione i principi del
socialismo, poiché il capitalismo aveva raggiunto l’industrializzazione con costi umani inferiori a
quelli richiesti dal Piano Quinquennale311.
Nel 1935 l’Unione Sovetica iniziò a temere seriamente l’invasione da parte della Germania
di Hitler, e i comunisti dunque svilupparono la tattica dei fronti popolari. In sintesi si trattava di
organizzare azioni unitarie di tutti gli elementi antifascisti di un paese, a sostegno di una politica
estera anti-nazista. Il Bund fu contrario a questa tattica, in quanto contrastante con gli interessi
della classe operaia:

Così come la precedente teoria del fronte unito dal basso (la tattica della guerra ai socialisti)
era dannosa per la classe operaia, altrettanto lo è la nuova tattica del fronte popolare. Limitare
la lotta contro il fascismo a una difesa della democrazia, con riferimenti alla democrazia di
carattere generale…non è abbastanza.
I fascisti fanno uso della democrazia per propagandare le proprie…idee. Hitler è giunto al
potere legalmente, in base alla Costituzione democratica di Weimar.
In tali condizioni (laddove la democrazia può aiutare il fascismo a prendere il potere) la lotta
della classe operaia non è per una generica democrazia, ma per la più dura repressione delle
organizzazioni fasciste…312

308
Rapporto del Comitato Centrale al Sesto Congresso del Bund polacco, 1935
309
Unser Tseit, febbraio 1932
310
Unser Tseit, aprile 1931
311
Socialistisze Bleter, giugno 1931
312
Tezn un Referat an der Teme “Folks Front oder Proletarishe Klasn Front, bollettino del Comitato Centrale del Bund
distribuito nel 1936 nelle sezioni locali, Archivio del Bund

97
Negli anni ’30 a quanto pare non vi furono altri contatti tra il Bund e i comunisti polacchi. Il
regime di Stalin nel 1938 ordinò lo scioglimento del KPP in quanto organizzazione trotzkista. I
dirigenti del KPP fuggiti in Unione Sovietica dalla persecuzione in patria furono assassinati nelle
galere staliniane.

Contrasti con i sionisti. Il Bund non era il solo a voler rappresentare gli ebrei socialisti;
almeno altri due partiti si autodefinivano socialisti, e offrivano la propria soluzione alla questione
ebraica. Si trattava di due distinte correnti di Poale Zion, che appoggiavano entrambe il progetto di
stato ebraico in Palestina, spingendo per l’emigrazione dalla Polonia verso quella che
consideravano la nuova patria. L’ala destra di Poale Zion era ostile al Bund; l’ala sinistra in alcuni
casi aveva collaborato con esso.
Il Bund era sempre stato contrario all’ideologia sionista, e Vladimir Medem aveva
sottolineato come il sionismo e il socialismo fossero due opposti inconciliabili. “Ci chiedono perché
siamo contrari al sionismo” scrisse “La risposta è semplice: perché siamo socialisti. E non solo
tendenti al socialismo, o solo di idee socialiste. Ma attivisti socialisti. E tra l’attività sionista e
l’attività socialista vi è una distanza profonda…e nessun ponte la può colmare”313.
Il Bund ribadiva che gli ebrei erano cittadini polacchi e non della Palestina, che erano un
popolo europeo e non mediorientale, che i loro legami erano con i paesi nei quali vivevano e non in
quello in cui alcuni loro antenati avevano vissuto. La sola risposta definitiva al problema ebraico
era nella rivoluzione sociale.
Nel 1920 Medem aveva riassunto la posizione del Bund:

…parlano di una casa nazionale in Palestina. Ma tutta la nostra organizzazione, tutto il nostro
lavoro è basato precisamente sull’idea opposta, l’idea che la nostra casa è qui: qui in Polonia, in
Russia, in Lituania, in Ucraina, in America. Qui viviamo, qui lottiamo, qui lavoriamo, qui
costruiamo le nostre speranze. Non siamo qui come stranieri, qui siamo a casa. E’ su questa
base che sussiste la nostra ragion d’essere…Senza questa base tutto il nostro lavoro diventa
inutile, illogico, senza ragione.
Se la mia casa fosse “là”, avrei sprecato ogni goccia di sudore che ho speso qui, in un paese
straniero…Dunque c’è un motivo se i sionisti sono arrabbiati, e ci accusano di voler usare il
sangue ebraico come “lubrificante per le rivoluzioni altrui”. Le grandi rivoluzioni europee a loro
non interessano, la loro casa è in Asia.
Una casa nazionale in Palestina non eliminerebbe la condizione di esiliati degli ebrei. E’ una
negazione e una distorsione spirituale dell’esilio…L’emigrazione di milioni di ebrei in Palestina
non è neanche un’ipotesi. Al massimo, col massimo degli sforzi e nelle migliori condizioni…un
decimo degli ebrei del mondo potrebbero – dopo decenni – stabilirsi in Palestina. L’esilio
ebraico esisterebbe ancora come prima. Ciò che cambierebbe è che la fiducia degli ebrei nel
proprio futuro, la speranza degli ebrei nell’esilio, la lotta per una vita migliore verrebbero
soffocate.314

Quando nel 1929 gli arabi attaccarono i coloni ebrei in Palestina, I sionisti chiamarono delle
manifestazioni di protesta. Il Bund si rifiutò di partecipare e convocò proprie assemblee per esporre
“la verità sulla Palestina”. I sionisti, affermò il Bund, erano colpevoli dei massacri di ebrei tanto
quanto gli arabi o gli inglesi; si erano insediati in un territorio per sottrarlo alla popolazione
indigena. Il Bund assunse una posizione fermamente anti-sciovinista, ribadendo che “con la
massima energia ci opponiamo all’ondata nazionalista nel momento della sua massima
crescita”315. I sionisti, che sull’onda emotiva aumentavano il proprio seguito (soprattutto le fazioni di
destra), attaccarono quelli che definivano gli effendi bundisti, e vi fu un periodo di forte tensione tra
le due componenti in seno al mondo ebraico.

Ingresso del Bund nell’Internazionale Socialista. Rimasto fuori dal Comintern dopo le
trattative del 1921, a livello internazionale nel 1923 il Bund si era legato a un piccolo gruppo di
partiti socialisti o filo-comunisti, il Bureau dei Partiti Socialisti Rivoluzionari, con centro a Parigi. Nel
corso degli anni ’20 ripetutamente i dirigenti bundisti avevano espresso la consapevolezza

313
Naie Velt (New York), 2 luglio 1920
314
ibidem
315
Resoconto del Comitato Centrale al Quinto Congresso del Bund polacco, 1931

98
dell’inutilità di tale affiliazione. Il primo passo verso l’affiliazione all’Internazionale Operaia e
Socialista (LSI) fu fatto al Quarto Congresso del gennaio 1929 a Varsavia, che ebbe luogo due
mesi dopo le elezioni del 1928, nelle quali si era sperimentata positivamente l’alleanza con il PPS.
I militanti bundisti erano cresciuti fino a oltre 7.500, contro i 4.500 di cinque anni prima. Erano
aumentate anche le sezioni locali, 187 bundisti erano presenti nei vari consigli municipali e 13
erano magistrati.
In quel periodo non vi era speranza di unione con i comunisti, e il distacco del PPS da
Pilsudski aveva reso possibile l’affiliazione del Bund alla LSI, della quale il PPS era membro. Per
sottolineare il “nuovo corso”, il PPS inviò l’editore del proprio quotidiano, il Robotnik, come
delegato al Congresso. Costui fece un discorso a favore dell’ingresso del Bund nell’Internazionale
Socialista, invocando una maggiore cooperazione tra i due partiti ed esprimendo appoggio per uno
dei cavalli di battaglia del Bund, la garanzia dei diritti dei lavoratori ebrei nei luoghi di impiego.
Non tutti i dirigenti del Bund erano a favore dell’ingresso nella LSI, da loro considerata la
“palude del riformismo”. Costoro speravano ancora che il Comintern sarebbe cambiato in positivo,
consentendo al Bund di affiliarsi all’Internazionale Comunista. La maggioranza dei dirigenti bundisti
tuttavia non si facevano illusioni sul Comintern, e ritenevano che se anche ci fosse stata la
possibilità di entrarvi il Bund avrebbe dovuto rifiutare, per il disaccordo su alcune fondamentali
questioni di principio.
Al Congresso Victor Alter propose quindi che il Bund entrasse nella LSI, e che tentasse di
convincere gli altri membri del Bureau di Parigi a fare altrettanto. Ne sorse un lungo e acceso
dibattito, come riportato da un delegato: “Per tre giorni e mezzo dentro il partito vi fu un acceso
dibattito ideologico. Ciascuno di noi combattè vigorosamente per la verità per come la vedeva,
poiché ciascuno era convinto che quella verità esprimesse al meglio l’interesse del partito”316. Alla
fine la risoluzione di Alter fu approvata, con un emendamento che prevedeva una ratifica della
decisione ad un congresso straordinario da tenersi l’anno successivo.
Il Quinto Congresso del Bund si tenne quindi nel giugno 1930 a Lodz, città in cui la
presenza socialista era molto consistente. Israel Lichtenstein, membro del Bund e del Consiglio
municipale della città, espresse lo spirito dell’assise affermando: “I lavoratori ebrei di Lodz non
sono soli nella lotta. Essi sono fianco a fianco con la classe operaia polacca e tedesca”317.
Zygmunt Zaremba, socialista membro della Dieta eletto grazie a un’alleanza Bund – PPS,
fece un appello per l’unità permanente tra i due partiti.

I lavoratori polacchi e i lavoratori ebrei non hanno solo punti in comune, ma anche differenze.
Il nemico che divide i lavoratori di varie nazionalità detiene ancora un’ampia influenza su di
noi…Se, nonostante ciò, i lavoratori polacchi ed ebrei si avvicinano sempre più, è perché da
una parte vi è il Bund e dall’altra il PPS…i quali stanno costruendo un ponte di unità tra il
proletariato delle due nazioni. Se vi sono delle differenze tra noi, non dobbiamo avercene a
male; invece dobbiamo cercare di comprenderci l’un l’altro, e cercare di eliminare queste
differenze. Poiché si sta creando una maggiore comprensione dei punti di vista di ciascuno,
anno dopo anno ci stiamo avvicinando sempre più. 318

Lo spirito di cooperazione era reso possibile in quanto l’esito del Congresso era scontato.
Quasi il 60% degli iscritti al Bund si era espresso in precedenza per l’affiliazione alla LSI, e i
delegati erano presenti nella proporzione corrispondente, 60 a 43. La minoranza tuttavia assunse
un atteggiamento battagliero, rifiutandosi di far parte della presidenza del congresso.
La risoluzione sull’affiliazione, preparata dal Comitato Centrale, sottolineò che non vi
potevano essere compromessi con l’Internazionale Comunista. Essa affermò che il Comintern “è
alla bancarotta ideologica e svolge un ruolo deleterio nel movimento operaio; il Bureau…non è
riuscito, dopo sette anni, a diventare un centro per i partiti socialisti rivoluzionari, e l’Internazionale
Socialista è cresciuta a causa del crescente desiderio di unità tra i partiti socialisti non comunisti.
L’Internazionale Socialista ora include tutti i settori del movimento socialista eccetto i comunisti, e
permette a ciascuno di far parte dei propri ranghi”319.

316
Der Veker (New York), 23 marzo 1929
317
Der Veker (New York), 28 giugno 1930
318
ibidem
319
ibidem

99
La minoranza propose una risoluzione alternativa, attaccando aspramente la LSI ma senza
proporre un’affiliazione internazionale alternativa per il Bund, e chiese che il congresso rinunciasse
ad esprimersi sulla questione per rispetto delle posizioni della minoranza: “Come potete chiedere a
quasi la metà del partito di entrare in un’internazionale che consideriamo essere la più oltraggiosa
negazione degli ideali stessi dell’internazionalismo?”. Erlich a nome della maggioranza negò che
l’ingresso nella LSI significasse capitolazione ideologica: “Noi rimaniamo opposti tanto al
riformismo quanto al comunismo”320.
A questo punto la minoranza tentò un altro stratagemma burocratico, e 42 delegati su 43
lasciarono il congresso, pensando che un numero di presenti inferiore al 60% avrebbe inficiato la
prosecuzione dei lavori. Ma i delegati rimasti votarono ugualmente la risoluzione (59 a 1, essendo
un delegato della maggioranza assente). A questo punto la minoranza rientrò per partecipare alla
sessione finale del congresso, dando prova di non volere dividere il Bund.
Sancendo l’ingresso del Bund nella LSI, Erlich sottolineò comunque che il Bund si sarebbe
battuto vigorosamente per farne un’organizzazione rivoluzionaria:

Il Congresso doveva rispondere a una domanda: “Come porre fine al paradosso della visione
internazionalista del nostro partito e del suo isolamento nella pratica?”
Nell’ambito dell’organizzazione (dell’Internazionale Socialista) è necessario per il bene della
classe operaia ebraica trovare un posto per il suo partito…il Bund. Ma non cerchiamo di farci
alcuna illusione sull’Internazionale Socialista…siamo consapevoli di tutti i suoi errori. 321

La democrazia interna al Bund. L’unità del partito dei lavoratori ebrei era stata sempre un
elemento fondamentale del Bund fin dalla sua nascita. Ma l’unità, nella terminologia del Bund, non
aveva mai voluto significare un controllo monolitico sull’organizzazione. Nel Bund ci fu sempre una
quasi totale libertà di espressione, anche se una volta prese delle decisioni era richiesta la
disciplina nell’azione. Dopo il Congresso di Lodz la posizione della minoranza fu rappresentata nel
Comitato Centrale e nella redazione del giornale ufficiale del partito. Il portavoce della minoranza,
Chmurner, fu riconfermato nel Comitato Centrale ed entrò nella redazione del Najer Folkstseitung.
“Sia la maggioranza che la minoranza, nei momenti del massimo disaccordo ideologico
o…organizzativo, non persero mai il sentimento di fraterna unità”322.
Dalle posizioni emerse al Congresso di Lodz scaturirono due pubblicazioni: Socialistisze
Bleter a rappresentare il punto di vista della maggioranza, e Kegn Shtrom come espressione della
minoranza. Nel 1931, a un articolo di Chmurner che difendeva la tattica scissionista del Comintern
nel 1921, replicò per la maggioranza Emanuel Sherer:

L’influenza del riformismo sulla classe operaia era molto più debole prima della guerra rispetto
ad oggi. Ciò era dovuto all’unità del movimento socialista in quasi tutte le nazioni importanti e
nell’Internazionale. L’unità proletaria e non la divisione è oggi, ancora una volta, il modo più
corretto ed efficace di combattere il riformismo. La linea comunista della scissione…è un danno
per il socialismo rivoluzionario…dunque è un…crimine.323

Non tutti i dirigenti del Bund accolsero con favore la polemica tra fazioni interne al Bund.
Alter ad esempio espresse forte contrarietà:

Una volta vi sono delle fazioni organizzate dentro il partito ci deve essere disciplina entro
queste fazioni…così la disciplina di fazione diventa più forte della disciplina del partito. La sola
disciplina che io accetto è quella del partito. 324

Ciò che premeva di più ai dirigenti bundisti era l’unità di tutti i gruppi socialisti, dal più
moderato al più rivoluzionario, sotto un’unica bandiera. In questo modo sarebbe stato possibile lo
sviluppo di un movimento socialista in grado di comporre gli estremi ideologici. Il moderatismo del
PPS o della Socialdemocrazia Tedesca era da rifiutare poiché non garantiva una sufficiente

320
ibidem
321
Najer Folkstseitung, 6 giugno 1930
322
Socialistisze Bleter, giugno 1931
323
ibidem
324
ibidem

100
efficacia nell’azione. Ma la posizione comunista era ancor peggiore: “Il regime senza libertà, lo
stato prigione che il Partito Comunista vuole instaurare ci è estraneo”. Quasi tutti i leader bundisti
erano contrari al tentativo comunista di “piegare la volontà della classe operaia istituendo una
dittatura del Politburo”325.
Pur difendendo le libertà democratiche e il parlamentarismo contro la reazione e il
fascismo, i bundisti non espressero mai un’adesione alla democrazia parlamentare “per principio”,
né consideravano possibile che la classe capitalistica cedesse il proprio potere pacificamente.
Secondo i bundisti i fatti stavano a dimostrare che, nel momento in cui i socialisti fossero stati sul
punto di prendere il potere attraverso la democrazia, il regime borghese si sarebbe evoluto in
senso totalitario per impedirlo:

Anche avendo portato la maggioranza della popolazione dalla propria parte, la classe operaia
non può aspettarsi che la borghesia cederà volontariamente il potere. Né le argomentazioni, né
la giustizia, né il numero di persone che appoggiano il socialismo, ma solo la forza e lo spirito
combattivo dei lavoratori determineranno l’esito della battaglia decisiva.
La borghesia non rimarrà inerte mentre i suoi privilegi di classe vengono limitati. Dobbiamo
attenderci una dura opposizione da parte della reazione, che difenderà le posizioni di potere
che detiene da lungo tempo, e userà ogni mezzo disponibile contro qualunque tentativo di
ridimensionarle da parte del nuovo ordinamento. In tali condizioni è necessario per le forze
statali mettere a punto il proprio apparato statale – difendere il nuovo ordinamento…326

Il ruolo del regime di Pilsudski, secondo i bundisti, era di salvare il sistema capitalistico. La
sola differenza tra il Sanacja e gli Endek era nel nome, e questi ultimi costituivano “l’esercito di
riserva” del regime del Maresciallo.
Il Bund era a favore delle riforme in epoca capitalistica, del miglioramento delle condizioni
di vita e di lavoro delle masse impoverite in Polonia, prima dell’avvento della rivoluzione socialista.
Erlich scrisse: “Noi non siamo comunisti, e non crediamo nella ridicola teoria del tanto peggio tanto
meglio, o viceversa”327. Né i bundisti si illudevano di poter migliorare le condizioni degli ebrei senza
che migliorassero le condizioni di tutta la popolazione polacca. Ma il Bund non volle mai entrare
nel PPS, per non snaturare il proprio carattere di partito socialista ebraico.

325
Henrych Erlich, Der Icker fun Bundism, 1934
326
Materialn tsum Diskusie farn V. Tsusamenfor, documento del Bund 1934
327
Unser Tseit, gennaio 1929

101
11.
IL BUND SCONFIGGE IL NAZISMO POLACCO
(1935 – 39)

Intorno alla metà degli anni ’30 tre grandi e drammatici eventi, due esteri e uno interno,
scossero la Polonia dalle fondamenta, e le risposte che il Bund seppe dare lo portarono in una
posizione di vera e propria leadership nel mondo ebraico polacco. Gli eventi in questione furono
l’ascesa al potere di Hitler in Germania, i brutali processi alla vecchia guardia bolscevica in Russia
(culminati con le purghe staliniane), e la morte di Pilsudski, che aprì la strada alla deriva autoritaria
e antisemita del regime da lui fondato.

La vittoria di Hitler in Germania. Nelle elezioni presidenziali tedesche del marzo 1932, nel
pieno della spaventosa depressione economica, i nazisti si presentarono come forza politica in
grado di rovesciare la fragile Repubblica di Weimar. La Socialdemocrazia tedesca a quel punto
decise di convergere sulla riconferma alla presidenza, come indipendente, del vecchio eroe della
Prima guerra mondiale, il Maresciallo Paul von Hindenburg, militarista e juncker.
Una minoranza di bundisti polacchi, guidata da Maurycy Orzech, ritenne che i
socialdemocratici tedeschi avessero agito correttamente – che nelle attuali condizioni i tedeschi
potessero soltanto scegliere il minore dei due mali. La situazione in Germania, scrisse Orzech, non
poteva essere vista come un vuoto in cui la scelta tra un candidato borghese e un altro fosse
indifferente. La questione infatti era se Hitler fosse diventato presidente della Germania, facendo
trionfare il nazismo. I socialisti non potevano concordare con la posizione dei comunisti “per cui
non fa differenza per il proletariato tedesco se Hitler o Hindenburg è il presidente, e vi sarà poca
differenza se il sistema di Bruning328 sarà sostituito da un regime fascista”. Orzech affermò che la
scelta del presidente della Germania avrebbe fatto la differenza, e Hindenburg era da preferire a
Hitler: “E’ ovvio che la Socialdemocrazia tedesca debba fare tutto il possibile per impedire a Hitler
di essere eletto presidente”329.
L’azione dei socialdemocratici tedeschi stupì la maggioranza dei bundisti, che storicamente
si erano opposti alle coalizioni con i partiti non socialisti, e ancor più con forze non democratiche.
La maggior parte dei dirigenti del Bund ammonì che alla fine Hindenburg si sarebbe alleato con
Hitler. Al Congresso del 1931 della LSI il Bund, il piccolo Partito Laburista Indipendente di Gran
Bretagna, Bataille Socialist (fazione del partito francese) e il piccolo Partito Socialista Indipendente
di Polonia attaccarono aspramente la Socialdemocrazia tedesca. Alter esortò Rudolf Hilferding,
dirigente della SPD, a presentare al Reichstag una proposta di politiche fiscali di stampo
keynesiano, nel tentativo di sanare l’economia e ricacciare indietro Hitler. Ma il suggerimento fu
respinto. Otto Wels, alto dirigente della SPD, derise il Bund e i suoi alleati, dicendo che erano
troppo piccoli per comprendere i difficili compiti di governo e avevano poca voce in capitolo, a
parte le questioni di principio: “Il Bund, a conti fatti, è membro dell’Internazionale da cinque mesi, e
sta già provando a dire all’SPD che cosa deve fare”330.
I fatti diedero ragione ai bundisti. Con l’appoggio dei socialdemocratici, Hindenburg vinse le
elezioni presidenziali del 1932, ma in capo a meno di un anno chiamò controvoglia Hitler
all’incarico di Primo ministro (Cancelliere). E nel 1933 il più forte movimento operaio e socialista
del mondo collassò, e i suoi dirigenti finirono o in esilio o nei campi di concentramento. In
conseguenza di ciò, alla Conferenza dell’Internazionale Socialista tenutasi a Parigi nell’agosto
1933 crebbe la minoranza radicale formata dal Bund e da membri dei partiti socialisti di Stati Uniti,
Belgio, Francia ed Estonia. Tuttavia questa fazione rivoluzionaria prese ancora solo 18 voti su 309.
Erlich, portavoce della fazione, affermò che la responsabilità dell’ascesa di Hitler in
Germania era da imputare in pari grado all’SPD e ai comunisti. I dirigenti comunisti avevano

328
Heinrich Bruning, Primo ministro uscente, del Partito di Centro.
329
Unser Tseit, luglio 1931
330
Najer Folkstseitung, 6 agosto 1931

102
“inventato la formula del ‘ruolo positivo’ dell’hitlerismo” in quanto il fascismo era l’ultimo stadio del
capitalismo e salendo al potere esso avrebbe accelerato il crollo del capitalismo. Per di più Hitler
aveva ottenuto “in un breve lasso di tempo ciò che i comunisti avevano a lungo cercato di fare
senza successo, ovvero la distruzione del Partito Social Democratico”331. Ma per quanto gravi
fossero le colpe dei comunisti, Hitler era salito al potere anche a causa delle mancanze dei
socialdemocratici.

Naturalmente noi sappiamo quanto sia grande la responsabilità dei comunisti per (l’ascesa di)
Hitler. La loro politica avventurista, e in particolare la loro idea di poter giovare al proletariato
dividendo i suoi ranghi, hanno subito una completa disfatta in Germania. Ma non meno
completa è la sconfitta della politica riformista, la politica di contare sulla democrazia formale e
la legalità. Ciò deve essere chiarito, cosicchè non solo possiamo ben giudicare il passato ma
anche imparare come agire in futuro.332

La linea dei socialisti tedeschi di coalizione con i partiti non-socialisti, disse Erlich, aveva
rafforzato quelle stesse fazioni che essi intendevano sconfiggere. La SPD, creando l’illusione della
democrazia, aveva paralizzato la classe operaia e reso impossibile l’azione contro Hitler.
Wels ammise che l’SPD aveva commesso degli errori, in particolare nell’insistenza affinchè
a Hitler fossero garantite pienamente le libertà previste nella Costituzione di Weimar. Ma,
aggiunse, il partito avrebbe potuto fare ben poco per fermare Hitler. La resistenza sarebbe stata
inutile: i lavoratori avevano perso il loro spirito militante. Nel 1920 egli aveva lanciato uno sciopero
generale e il proletariato aveva aderito entusiasticamente, ma nel 1932 lo stesso appello avrebbe
avuto “l’effetto di gettare una torcia in un covone di paglia bagnata”333.
Una lotta vincente contro la minaccia fascista in Europa, replicò Erlich, richiedeva una
completa revisione delle posizioni dei socialisti. Il capitalismo era in declino, e in quelle condizioni
la democrazia diminuiva a sua volta. La questione a quel punto era “se la classe operaia possa
ottenere il potere e iniziare a realizzare l’ideale socialista attraverso mezzi puramente
democratici”334.
La fazione di Erlich propose, senza successo, che l’Internazionale adottasse una
risoluzione contenente molti elementi delle teorie di Lenin:

L’esperienza dell’ultimo anno ha dimostrato che le crisi economiche prolungate, i frenetici


tentativi della borghesia di mantenere i suoi privilegi a dispetto di tutto, e di preservare con ogni
mezzo la propria posizione dalla minaccia del socialismo, pongono di fronte ai partiti operai e
contadini la necessità della realizzazione del socialismo come obiettivo immediato.
La sola scelta davanti alle classi subalterne è tra la completa distruzione, sotto il fascismo, e la
lotta immediata per il socialismo.
…Non è compito dei partiti socialisti tentare di risollevare il mondo capitalista, o anche di
collaborare a tali tentativi. Essi dichiarano, al contrario, che a prescindere dai mezzi coi quali
ottengono il potere essi non devono esercitare il potere entro la struttura del regime capitalista,
ma devono utilizzare il potere per distruggere lo stato borghese e instaurare la dittatura del
partito rivoluzionario durante la fase dell’edificazione socialista.
Durante il periodo della lotta per la conquista del potere, come durante il periodo della sua
gestione, i partiti socialisti devono rimanere fedeli al principio della democrazia proletaria, che è
la sola garanzia per lo sviluppo della dittatura delle classi rivoluzionarie in una dittatura degli
operai e dei contadini. La dittatura dovrebbe essere esercitata sotto il controllo permanente di
organizzazioni libere di negoziare, di scegliere i propri rappresentanti, e di stabilire
autonomamente la propria linea di azione.
E’ chiaro che la classe operaia difenderà energicamente le conquiste democratiche contro tutti
i tentativi reazionari, ma la lotta contro il fascismo non può avere come obiettivo il
mantenimento o il ristabilimento della democrazia borghese, che è basata sulla diseguaglianza
economica, bensì la costruzione di una vera democrazia socialista. 335

331
Henryk Erlich, The Struggle for Revolutionary Socialism, report della Conferenza di Parigi della LSI, 1934
332
ibidem
333
ibidem
334
ibidem
335
ibidem

103
Non appena Hitler conquistò il potere i bundisti intravidero in ciò una minaccia diretta
all’esistenza della Polonia. Nel maggio 1933 Erlich ammonì che il piano di Hitler era eliminare il
Corridoio Polacco, che univa il paese al mare, rioccupare la parte di Slesia divenuta territorio
polacco, occupare Danzica e infine fare dell’intera Polonia una colonia del Terzo Reich.

Il Bund polacco e le purghe staliniane. Il 1 dicembre 1934 Sergej Kirov, membro del
Politburo e capo del PCUS a Leningrado, fu ucciso a colpi di pistola da un giovane studente. La
reazione di Stalin e del suo blocco fu una serie di processi durante i quali i principali protagonisti
della Rivoluzione d’Ottobre, e della successiva difesa del potere bolscevico durante la guerra
civile, furono condannati a morte.
L’effetto sui bundisti polacchi fu scioccante. Molti dei condannati prima del 1917 erano stati
compagni di lotta di Erlich, Alter e degli altri leader del movimento operaio ebraico. Vi erano stati
disaccordi su temi di principio e di tattica, ma tutti si erano uniti nella lotta armata contro il regime
zarista. Zinovev nei primi tempi era stato uno dei più fieri avversari del Bund, ma la sua devozione
alla causa rivoluzionaria non era mai stata messa in dubbio. E ora veniva processato come
“agente delle guardie bianche zariste”. I dirigenti del Bund affermarono che il processo a Zinovev e
ad altri leader aveva come scopo il rafforzamento del potere di Stalin, e non era legato
direttamente all’uccisione di Kirov. Alter scrisse che ammettendo che il verdetto fosse giusto, allora
la rivoluzione era stata fatta da indegni traditori; di converso se, com’egli credeva, il verdetto era
sbagliato, allora i governanti dell’URSS avevano commesso un’orribile crimine contro la rivoluzione
e gli uomini che l’avevano fatta. In entrambi i casi i processi erano una tragedia non solo per la
Russia ma per il movimento rivoluzionario nel suo complesso: “Le fucilazioni non hanno colpito
solo i condannati, ma anche seriamente ferito la rivoluzione stessa”336.
Le esecuzioni segnarono un nuovo marcato distacco del Bund dal comunismo e spinsero i
suoi dirigenti a sottolineare ancora il valore della democrazia proletaria. Il totalitarismo, dichiarò
Alter, significava “ritorno alle tradizioni barbare, al potere illimitato dell’individuo che sta al di sopra
della legge umana e divina – alla tradizione del Khan mongolo, di Ivan il Terribile, e di Pietro il
Grande”. Il totalitarismo rappresentava la negazione di migliaia di anni di lotte per la libertà e per la
fine dell’oppressione. Alter definì il potere di Stalin una forma di questo totalitarismo.

Dobbiamo rivedere la vecchia teoria che il comunismo e il socialismo, crescendo dalla


medesima radice – e anche dallo stesso ramo – sono divisi solo per questioni di tattica e metodi
di lotta, e dovrebbero unirsi come un tutt’uno per la lotta per la società futura.
Una volta era così; ora è diverso. Anche i fini sono cambiati. Se il socialismo è rimasto fedele
ai principi di una società futura fondata sulla libertà, il comunismo si è allontanato sempre più, e
ha raggiunto l’attuale totalitarismo antilibertario stalinista. 337

Il regime sovietico, ribadì Alter, ora era l’antitesi della futura società socialista. Era piuttosto
uno stato totalitario in cui chiunque lottasse per una vera società socialista sarebbe andato
incontro alla prigione e alla morte.
Di fronte alla tragedia dei processi, Alter si spinse anche a relativizzare i principi del
marxismo:

Il momento del trionfo finale del Marxismo sarà anche il momento della sua scomparsa. Allora
automaticamente sorgerà una nuova ideologia, legata a quell’epoca in cui la lotta per la
sopravvivenza cesserà di essere la forza motrice della vita umana. Il metodi marxisti resteranno
parzialmente nella nuova ideologia. Serviranno a studiare il passato, ma il futuro sarà oggetto di
leggi più generali.338

La Polonia dei colonnelli: provvedimenti contro gli ebrei. La definitiva scomparsa della
democrazia in Polonia arrivò nell’aprile 1935, quando fu adottata la nuova, cosiddetta Costituzione
di Pilsudski. Essa limitava i poteri della Dieta, aumentava il potere del Presidente, e gettava le basi

336
In Henryk Erlich un Victor Alter, 1951
337
ibidem
338
ibidem

104
per il controllo dall’alto delle nomine e delle elezioni. Ma Pilsudski non potè abusare dei nuovi
provvedimenti, poichè tre settimane dopo il loro varo morì.
Nel luglio 1935, in vista delle elezioni, i colonnelli dell’esercito seguaci di Pilsudski
introdussero una legge elettorale che rendeva praticamente impossibile per l’opposizione
nominare dei candidati. I socialisti chiamarono quindi al boicottaggio elettorale. Nonostante la
repressione della polizia contro gli agitatori che promuovevano il boicottaggio, il 50% degli aventi
diritto non si presentò alle urne, e nei quartieri operai delle città la percentuale salì all’80%.
I seguaci di Pilsudski – i colonnelli Slawek, Koc, Kowalewski e Smygly-Rydz - non si
scomposero e nel giro di due anni formarono un nuovo blocco governativo, il Campo di Unità
Nazionale, comunemente detto Ozon. Il programma dell’Ozon ricalcava quello dei fanatici endek:
offriva alla Chiesa Cattolica una posizione di privilegio, salutava l’esercito come forza unificante
della nazione, attaccava frontalmente il comunismo come estraneo alla Polonia e solo come ultima
voce prometteva la distribuzione della terra ai contadini poveri.
La nascita di questo “non-partito” fu seguita dall’aumento della repressione verso gli
oppositori politici. Un reporter inglese all’epoca parlò di “un’atmosfera tesa, carica di ansietà e
paura”339 in tutto il paese. Gli attacchi alle sedi socialiste divennero un evento quasi quotidiano;
bombe a tempo vennero collocate in sezioni del Bund; teppisti organizzati dall’Ozon assalivano i
militanti socialisti, e in particolare bundisti. Nel settembre 1937 un ordigno incendiario fu gettato
nella sede centrale del Bund a Varsavia, e a ciò seguì una sparatoria che fece quattro feriti gravi.
Non ci fu nessun arresto e nessuna condanna, sebbene “la polizia fosse al corrente in anticipo
degli assalti imminenti, e fosse ben conscia dell’identità dei loro autori”340.
Il Primo Maggio 1937, un gruppo di teppisti attaccò lo spezzone del Bund al corteo operaio
e socialista; alcuni partecipanti furono seriamente feriti, e un bambino di cinque anni perse la vita.
A Kalisz un membro diciannovenne del Zukunft, il gruppo giovanile del Bund, fu ucciso da
sconosciuti dopo aver lasciato la sede dell’organizzazione. Altri attacchi si ripeterono in tutta la
Polonia nel corso dell’anno seguente.
I giornali dell’opposizione venivano chiusi “con allarmante frequenza, perché pubblicavano
notizie e opinioni ostili al governo”. I giornali socialisti in particolare furono colpiti; le loro sedi
venivano sistematicamente ispezionate e dichiarate tecnicamente inadatte ad ospitare i macchinari
di stampa. Le pubblicazioni che non venivano completamente vietate contenevano spazi bianchi
laddove i censori avevano fatto cancellare gli articoli invisi; gli editori li sostituivano con note del
tipo: “Non abbiamo potuto stampare l’articolo a causa di circostanze inaspettate”341.
La crescente oppressione politica giunse in concomitanza con una forte crisi economica,
che colpì in modo particolare la parte ebraica della popolazione. Il Comitato Centrale del Bund
scrisse: “Questi sono tempi difficili. La crisi economica cresce sempre più…La situazione
economica delle masse ebraiche, che prima della crisi era stata incerta e difficile, nel corso degli
ultimi anni è peggiorata terribilmente”342.
Le sofferenze economiche degli ebrei erano particolarmente accentuate a causa della loro
posizione subalterna nella società polacca. Di 3.500.000 ebrei che vivevano in Polonia negli anni
’30, il 75% erano nelle aree urbane. A Varsavia più del 30% della popolazione era ebrea, a Lodz il
35% e a Lvov il 25%. La maggior parte degli ebrei erano artigiani o operai, con un consistente
strato di piccoli negozianti; il Bund nel 1937 tra gli ebrei polacchi calcolava 700.000 salariati e
400.000 artigiani.
Alla collocazione sociale si aggiungevano gli attacchi e le discrimazioni antisemite,
all’ordine del giorno negli anni ’30. Sin dal 1931 iniziarono i problemi per gli studenti ebrei. Ad essi
fu di fatto impedita l’ammissione alla maggioranza delle università, in particolare quelle per gli studi
tecnici e medici. Moltissimi studenti ebrei preferirono andare a studiare all’estero: nel 1932 vi erano
8.000 ebrei polacchi nelle università straniere.
Con l’avvento di Hitler al potere in Germania, i movimenti antisemiti polacchi subirono
un’accelerazione. Un gruppo di giovani fanatici provenienti dagli Endek nel 1934 formò il Partito
Nazional Radicale (comunemente detto “Nara”). I Nara volevano che tutti gli ebrei polacchi

339
Living Age, gennaio 1938
340
ibidem
341
ibidem
342
baricht

105
perdessero i diritti di cittadinanza, che tutte le proprietà ebraiche fossero espropriate, e che tutti gli
ebrei fossero espulsi dalla Polonia. Ciò era in contraddizione con la posizione dei Nara verso le
altre minoranze nazionali, per le quali essi volevano l’assimilazione ai polacchi. I Nara erano
soprattutto giovani delle città, specialmente studenti universitari. Quando nel 1936 la loro
organizzazione fu messa fuorilegge, passarono a tattiche e azioni ancor più apertamente
terroristiche.
I colonnelli che erano succeduti a Pilsudski non avevano gli scrupoli di quest’ultimo nel
difendere gli ebrei dagli attacchi antisemiti. Il primo accenno alla questione venne dal colonnello
Koc in occasione dell’annuncio della nascita dell’Ozon: “La posizione verso la minoranza ebraica è
la seguente. Noi non potremo mai approvare la violenza e i brutali attacchi antisemiti, che
rappresentano un degrado per la nostra dignità e il nostro onore nazionale. La calma, l’ordine e la
sicurezza devono essere mantenute, ma noi comprendiamo l’istinto di legittima autodifesa del
nostro popolo nel suo sforzo verso l’indipendenza economica”343.
La risposta dell’Ozon ai problemi degli ebrei fu di invocare un esodo forzato di massa di
questi ultimi dal paese che era stato la loro casa per 600 anni. Prima di poter cacciare gli ebrei,
tuttavia, la Polonia doveva estrometterli dal tessuto economico, e rimpiazzarli con i polacchi. Il
colonnello Jan Kowalewski, un leader degli Ozon, chiarì la posizione dell’organizzazione in un
messaggio radiofonico:

La questione ebraica in questo paese è uno dei problemi più importanti. Gli ebrei sono troppo
numerosi. La risposta è l’emigrazione di massa…e noi dovremmo spingere in quella direzione.
Tuttavia, non possiamo aspettare che il problema si risolva da solo con la sparizione degli
ebrei; noi dobbiamo senza indugio trovare impieghi per la popolazione polacca nel commercio,
nell’industria e nelle attività artigiane. Non dobbiamo risparmiare alcuno sforzo nel polonizzare
le principali branche dell’economia nazionale, e fare sì che le nostre principali città giochino un
ruolo nella vita economica e culturale della Polonia. 344

Per alcuni anni le condizioni economiche degli ebrei erano già peggiorate a causa delle
discriminazioni nella politica fiscale e della disoccupazione. Allo scopo di mantenere il proprio
smisurato esercito, la Polonia sviluppò un intricato sistema di tassazioni dirette e indirette, il peso
delle quali ricadde in primo luogo sulla popolazione urbana. Di conseguenza gli ebrei, che
vivevano quasi tutti nelle città, furono il gruppo più colpito. Essi costituivano il 10% della
popolazione del paese ma pagavano circa il 40% delle tasse.
Gli impieghi divennero sempre più difficili da ottenere per gli ebrei, molti di quelli che già li
avevano finirono disoccupati. Ciò valse in particolare per i settori nazionalizzati, nei quali fu portata
avanti una politica di sistematica colonizzazione. Nel 1922, per esempio, le manifatture tabacchi di
proprietà privata a Varsavia, Bialystok, Lublino e Grodno impiegavano complessivamente circa
3.000 lavoratori ebrei; nove anni dopo, con l’industria nazionalizzata dallo stato polacco, non vi era
quasi nessun lavoratore ebreo. Lo stesso accadde nella produzione di alcoolici e olio. E le
amministrazioni comunali quasi sempre rifiutavano di assumere ebrei per le varie mansioni civiche,
anche le più umili.
Per gli artigiani le cose andarono nello stesso modo. Nel 1927 il regime di Pilsudski, nel
tentativo di innalzare il livello di istruzione della popolazione, aveva approvato una legge che
richiedeva una qualifica agli artigiani, e che stabiliva dei criteri d’esame. Questi criteri includevano
la conoscenza della lingua e della storia polacca, la geografia e una prova di letteratura nell’idioma
prevalente nello stato. Senza la licenza un artigiano non poteva assumere un apprendista, e ciò gli
rendeva molto difficile svolgere la propria attività. Dal momento che la maggior parte degli artigiani
ebrei erano uomini adulti che erano cresciuti nelle scuole yiddish o ebraiche del periodo zarista
(quando la Polonia non era uno stato), per loro era molto difficile passare l’esame. Il risultato della
legge sulle licenze fu una drastica diminuzione degli artigiani ebrei.
Un effetto collaterale del fenomeno fu rendere difficile l’apprendimento di impieghi qualificati
da parte della gioventù ebraica. Gli artigiani dai quali imparare non c’erano quasi più, e le scuole
commerciali tendevano a privilegiare gli studenti polacchi. E quando un ebreo era ammesso agli
studi, doveva guardarsi dalle discriminazioni, e dagli attacchi dei Nara e degli Endek.

343
Citato dal New York Times, 22 febbraio 1937
344
Gazeta Polska, 22 aprile 1937

106
Nel 1937 l’International Missionary Council of New York riportò che almeno un milione di
ebrei in Polonia erano vicini all’indigenza. Un corrispondente del London Daily Herald scrisse che
essi stavano “vivendo nel terrore fisico, e sono minacciati di espulsione di massa dalla Polonia.
Non riescono a organizzarsi per difendersi, e sembra che stiano perdendo anche la speranza”345.
Il Bund assunse la direzione della lotta per difendere i posti di lavoro degli ebrei e le attività
degli artigiani. A Lodz il tentativo di licenziare undici insegnanti fu sventato grazie alla minaccia di
sciopero unitario da parte del Bund e del PPS. Due membri della Dieta eletti grazie a un accordo
Bund – PPS fecero pressioni sui dirigenti delle poste affinchè degli impieghi in quel settore fossero
assegnati agli ebrei. E nelle manifatture tabacchi e in altri settori i sindacati guidarono degli
scioperi nel vano tentativo di preservare i posti di lavoro degli ebrei che venivano licenziati. Per
tutelare le condizioni economiche degli artigiani il Bund organizzò una Unione degli Artigiani
Socialisti Ebrei, che lavorò a stretto contatto con gli artigiani polacchi legati al PPS per far fronte
agli attacchi antisemiti.

Resistenza popolare allo squadrismo. Dal 1936 alla lotta economica contro gli ebrei si
aggiunse il terrore fisico, portato avanti dai Nara e dagli Endek. Il primo di una serie di attacchi fu
compiuto il 9 marzo 1936 nella piccola città di Prytzyk. Almeno due ebrei e uno degli assalitori
furono uccisi. L’assalto fu preceduto da un volantino degli Endek che diceva: “Non temete il
sangue! Colpite! Colpite duramente! Colpite duramente tutto ciò che potete! Colpite gli ebrei!”346.
Non appena la notizia raggiunse Varsavia, un apposito incontro del Comitato Centrale del
Bund produsse la decisione di indire uno sciopero di mezza giornata, che venne fissato per il 17
marzo 1936; il 13 marzo il consiglio regionale dei sindacati ebrei votò per co-promuovere lo
sciopero. L’appello ufficiale allo sciopero, distribuito massivamente tra i lavoratori ebrei, diceva:

In risposta all’orribile…assalto alla popolazione ebraica della Polonia, abbiamo deciso di indire
mezza giornata di sciopero dell’intera popolazione ebraica della Polonia, per martedi 17 marzo.
Le nostre principali ragioni dello sciopero di martedi sono:
1. Contro l’antisemitismo degli Endek e del Sanacja, contro la propaganda pogromista e lo
sterminio fisico della popolazione ebraica.
2. Contro il nazionalismo ebraico e la reazione clericale.
3. Contro il boicottaggio dei lavoratori ebrei, contro l’esclusione degli ebrei da tutte le attività
economiche, contro la politica dell’asservimento delle masse ebraiche.
4. Contro le persecuzioni verso le scuole yiddish e verso la cultura delle masse ebraiche;
contro il tentativo di creare un ghetto ebraico nei collegi, contro tutte le forme di oppressione
nazionale.
5. Contro la reazione, il fascismo e il capitalismo.
6. Per la piena eguaglianza della popolazione ebraica a tutti i livelli (economico, sociale,
politico) in Polonia.
7. Pane, lavoro e libertà per tutte le nazioni in Polonia.
8. Per la solidarietà proletaria internazionale.
9. Per un’efficace autodifesa della popolazione ebraica contro i tentativi di pogrom.
10. Per un governo degli operai e dei contadini, per il socialismo. 347

L’appello fu pressoché ignorato dalla stampa yiddish non socialista; Der Moment, il più
popolare giornale yiddish all’epoca, lo menzionò ma riportò erroneamente che lo sciopero era
soltanto di un’ora, e criticò il Bund e i sindacati per non aver chiesto a intellettuali e professionisti di
sostenere l’azione. L’ala destra di Poale Zion ignorò completamente l’invito a scioperare; essi
proclamarono un’ora di fermata dei macellai, il sindacato che controllavano maggiormente, ma la
sola proposta fu di astenersi dalla macellazione rituale. Il piccolo Socialist Workers Party e l’ala
sinistra di Poale Zion furono le sole organizzazioni a unirsi con il Bund e i sindacati nello sciopero,
che dunque fu di fatto un’iniziativa del Bund.
Lo sciopero paralizzò le attività nelle aree ebraiche di Varsavia, Bialystok, Czestochowa,
Vilno, Cracovia, Lwow, Tarnow, Lodz, Lublino e di tutti gli altri centri ove la popolazione ebraica era
numerosa. In quelle città i sindacati legati al PPS si unirono ai loro fratelli di classe ebrei, e lo

345
Living Age, gennaio 1938
346
In J. Kiersz, Der Jidisher Arbeter Klas in yor 1936, 1937
347
Circolare numero 36 del Comitato Centrale, 13 marzo 1936 (Archivio del Bund)

107
sciopero più efficace di quanto il Bund si aspettasse. I giornali, che prima avevano ignorato la
cosa, riportarono il successo dello sciopero in termini entusiasti. Secondo il filo-sionista Hajnt,

In tutti i settori dove sono impegati operai e organismi ebrei, lo sciopero è stato un successo
totale. Tutte le attività ebraiche – quasi senza eccezione – sono state chiuse.
Al mattatoio municipale non si sono visti lavoratori ebrei, e neppure lavoratori cristiani collegati
al PPS. Là un’assemblea di lavoratori, ebrei e non ebrei, ha visto susseguirsi una serie di fieri
discorsi.348

La popolare Radio Varsavia commentò: “Shabbat dei shabbat! Questo è il solo modo di
descrivere l’assordante silenzio di oggi, la protesta della popolazione ebraica di Polonia contro
Prytzyk e in generale contro il folle antisemitismo”349. Il quotidiano del PPS si unì al coro,
sottolineando in particolare l’unità tra i lavoratori ebrei e polacchi nelle fabbriche dove lavoravano
fianco a fianco.
Lo sciopero fu una notevole dimostrazione di forza da parte del Bund, il quale volle coltivare
la solidarietà coi lavoratori polacchi convocando una conferenza contro l’antisemitismo da
svolgersi congiuntamente con il PPS e i sindacati. L’appello chiariva che si trattava di un’assise
socialista, e che l’obiettivo era di lanciare un’offensiva socialista unitaria contro il governo, che il
Bund considerava alla base dei pogrom. Ma il governo proibì la conferenza e sequestrò i volantini
stampati dal Bund.
La mobilitazione socialista non portò a una significativa riduzione degli atti antisemiti, ma
cementò la crescente solidarietà tra i lavoratori polacchi ed ebrei, e segnò un ulteriore distacco del
Bund dalle altre organizzazioni ebraiche. Nel maggio 1937 ebbe luogo un altro pogrom, questa
volta a Brest-Litovsk. Un ebreo fu ucciso e quasi tutti i negozi della città gestiti da ebrei furono
distrutti. Fu pubblicata una dichiarazione congiunta del Bund, del Partito Socialdemocratico della
minoranza tedesca in Polonia e del PPS:

Il pogrom di Brest è frutto della sistematica propaganda nazionalista. E’ il prodotto del clima di
continue concessioni del Sanacja ai cosiddetti Nara. Le concessioni assumono la forma
dell’accettazione da parte del Sanacja delle condotte più reazionarie e antisemite da parte dei
Nara, e anche del permettere che i Nara autori degli eccessi antisemiti rimangano impuniti.350

Significativamente, il Bund si rifiutò di partecipare a uno sciopero di due ore indetto dai
partiti ebraici non-socialisti. Esso affermò che lo sciopero, essendo stato convocato dai sionisti e
da altri elementi “borghesi”, era nazionalista e dunque reazionario. Il Bund stava diventando parte
di un movimento operaio di massa multietnico, e voleva valorizzare questo carattere.
Altri pogrom si susseguirono uno dietro l’altro. Il più violento fu a Czestochowa, città di
attività tessili. Nel solo agosto 1937 ebbero luogo complessivamente 400 attacchi a ebrei in 79
città di tutta la Polonia. Per far fronte alla situazione i bundisti organizzarono delle squadre mobili
24 ore su 24 di stanza presso la propria sede di Varsavia. Alla notizia di un attacco il loro Ordener-
grupe (servizio d’ordine), bastoni e tubi tra le mani, interveniva in soccorso. All’epoca centinaia di
bundisti e di attivisti della milizia del PPS, la Akcja Socyalistyczna, furono coinvolti in aspri scontri
con i sostenitori di endek e nara351. La più importante di queste battaglie di strada fu quella al
Giardino Sassone, famoso parco di Varsavia, nel 1938, quando il Bund scoprì che i Nara avevano
in programma un pogrom nel parco e nelle strade adiacenti. Bernard Goldstein, leader
dell’Ordener-grupe, ha poi descritto la battaglia nelle sue memorie:

Creammo un grosso gruppo di militanti e lo concentrammo nella grande piazza vicino al


cancello di ferro. Il nostro piano era di spingere i teppisti in quella piazza, che era chiusa da tre
lati, e di bloccare la quarta uscita, e quindi coglierli in trappola in un luogo dove potevamo dare
battaglia e impartire loro una bella lezione…all’improvviso sbucammo fuori dai nostri
nascondigli, circondandoli da ogni lato…dovettero chiamare le ambulanze 352.

348
Hajnt, 17 marzo 1936
349
Radio Varsavia, 17 marzo 1936
350
Najer Folkstseitung, 15 maggio 1937
351
In AA.VV., Studies on Polish Jewry, 1919 – 1939, 1974
352
ibidem

108
Unità socialista: lo sciopero dei contadini e nelle università. La situazione di minaccia
determinò un ulteriore avvicinamento tra il Bund e il PPS. A Varsavia essi fondarono un quotidiano
congiunto; si unirono per la parata del Primo Maggio 1937, e formarono delle squadre di
autodifesa unitarie. Gli iscritti ai sindacati tenevano congressi congiunti, e vi furono anche
discussioni sull’unificazione dei due partiti. Il solo ostacolo all’unione fu il timore da parte del PPS
che gli elettori polacchi avrebbero esitato a sostenere un partito con una forte componente ebraica.
Sebbene il governo avesse assunto una linea ufficialmente antisemita, e nonostante
l’offensiva economica e fisica contro un così ampio settore della popolazione della Polonia, vi sono
prove che la maggioranza della classe operaia polacca e dei contadini si opposero alle azioni
antisemite. A Varsavia vennero formate delle unità di autodifesa multietniche, con l’obiettivo
primario di difendere gli ebrei. Quando i Nara organizzarono dei picchetti per impedire ai polacchi
di fare acquisti nei negozi ebrei, in molte città furono cacciati da operai e contadini del PPS. Questi
ultimi formarono anche gruppi per impedire che i giornalisti antisemiti scattassero fotografie per i
loro periodici.
Nell’agosto 1937, i contadini polacchi lanciarono uno sciopero generale di dieci giorni per
“la libertà, la democrazia e la fine della dittatura”. Nonostante l’opposizione degli endek e del
governo, l’astensione dal lavoro fu quasi completa. Per porre fine allo sciopero venne chiamata in
causa la polizia, che in molte situazioni aprì il fuoco sui picchetti dei contadini, facendo alla fine
complessivamente 50 morti. Il PPS e il Bund sostennero la lotta dei contadini, raccolsero fondi per
lo sciopero e organizzarono manifestazioni commemorative dopo il massacro. Ora la crescente
unità tra i partiti democratici era evidente.
Accanto al terrore fisico, l’Ozon e i due partiti apertamente antisemiti, i Nara e gli Endek,
intensificarono la campagna per segregare gli ebrei e per spingerli a lasciare la Polonia. L’ordine
dei medici votò per escludere gli ebrei dai propri ranghi. Un osservatore americano scrisse nel
1938: “Il ghetto chiesto dai ‘Veri Russi’, un partito ultra-nazionalista antiebraico e antipolacco molto
vicino al regime zarista, e che il governo zarista non introdusse, ora i nazionalisti polacchi lo
stanno chiedendo per gli ebrei. E il governo ha iniziato a crearlo”.353
Il ghetto fu introdotto inizialmente nelle università, dove vi erano numerosi sostenitori dei
Nara. Su richiesta del ministro dell’Istruzione, i rettori delle università polacche istituirono
ufficialmente dei “banchi ghetto”, scrivanie segregate dal resto. Gli studenti ebrei che rifiutavano di
sedersi là erano percossi dagli studenti antisemiti e quindi espulsi dall’istituto. Ci furono proteste da
parte dei sindacati e dei dirigenti dell’intellighenzia polacca, tra cui illustri scienziati, professori e
uomini di lettere, così come degli studenti socialisti e democratici. Gli scontri tra studenti antisemiti
e democratici erano quasi quotidiani.
Il Bund per protestare contro la segregazione proclamò due giorni di sciopero generale. Il
PPS e molti accademici risposero all’appello, e lo sciopero ebbe molto successo; i polacchi si
unirono agli ebrei nell’opporsi agli attacchi dei teppisti nazionalisti. Il reporter di The Nation scrisse:
“Mai prima d’ora il Partito Socialista Polacco ha lavorato così armoniosamente col Partito
Socialista Ebraico (Bund) contro l’antisemitismo”354.

La collaborazione dei sionisti con gli antisemiti polacchi. La soluzione proposta dal
regime polacco per il “problema ebraico” era simile a quella sionista: ovvero, emigrazione di
massa. Spesso i picchetti di boicottaggio anti-ebraico dei nazionalisti erano condotti all’insegna
dello slogan: “Moszku idz do Palestyny!” (“A calci in Palestina!”). Nel 1936 i delegati endek nel
consiglio comunale di Piotrkow fecero un gesto dimostrativo proponendo di destinare un zloty “per
sostenere l’emigrazione di massa in Palestina degli ebrei di Piotrkow”355. Il 31 agosto 1937 l’ABC,
organo dei Nara, affermò:

La Palestina da sola non risolverà la questione ma può rappresentare l’inizio di


un’emigrazione di massa degli ebrei dalla Polonia. Di conseguenza essa non deve essere

353
The Nation, 2 aprile 1938
354
ibidem
355
World Jewry, 13 marzo 1936, p. 5

109
ignorata dalla politica estera polacca. L’emigrazione volontaria degli ebrei dalla Polonia può
ridurre la tensione delle relazioni ebraico-polacche356.

Un sostenitore del regime scrisse: “L’organizzazione su larga scala dell’emigrazione degli


ebrei polacchi alla volta di altri paesi, e in particolare della Palestina, è importante tanto per gli
ebrei quanto per i polacchi, e il governo polacco dovrà dedicarvi molto del proprio tempo…”357.
Su questa base i dirigenti sionisti a livello internazionale e nazionale cercarono più volte di
scendere a patti col regime dei colonnelli, in particolare a partire dal 1936, quando in seguito alla
Grande Rivolta Araba l’imperialismo inglese aveva di fatto bloccato l’emigrazione ebraica legale in
Palestina.
Sul fronte dei sionisti laburisti, il 20 settembre 1936 un editoriale dell’americana Labor
Zionist Newsletter scrisse:

L’attenzione del mondo politico internazionale è stata attirata dalla notizia che il governo
polacco si sta preparando ad accrescere la sua richiesta di colonie…Gli analisti più seri
ritengono che la questione della redistribuzione delle colonie diventerà qualcosa di
fondamentale. Perciò tali progetti e proposte da parte di paesi con un’ampia popolazione
ebraica dovrebbero ricevere molta attenzione da parte della leadership ebraica mondiale 358.

In realtà la Polonia non aveva alcuna possibilità di “un posto al sole” nella spartizione
coloniale, ma dando credito alle lunatiche aspirazioni della destra polacca i sionisti speravano di
persuadere l’opinione pubblica del fatto che la risposta all’antisemitismo polacco fosse al di fuori
del paese.
Nel 1937 il presidente dell’Organizzazione Sionista Mondiale, il sionista liberale Chaim
Weizmann, ebbe un incontro con il ministro degli Esteri polacco Jozef Beck, il quale a quanto pare
gli assicurò che qualora gli inglesi avessero acconsentito alla formazione di uno stato ebraico in
Palestina, benché piccolo, il governo di Varsavia si sarebbe adoperato in modo da garantire la
massima ampiezza possibile alle frontiere del nuovo saterello ebraico, nell’ottica di avere la
massima emigrazione dal territorio polacco. Lo stesso anno Yehuda Arazi, incaricato
dall’Haganah, acquistò mitragliatrici e fucili dall’esercito polacco per contrabbandarli in Palestina
all’interno di compressori a vapore. Alcuni istruttori dell’Haganah furono ammessi in Polonia per
addestrare segretamente all’uso di quelle armi i suoi simpatizzanti, che quindi si sarebbero
trasferiti in Palestina359.
Furono tuttavia i revisionisti, i sionisti di destra, ad avere i maggiori legami con il regime
polacco, col quale evidentemente c’era anche un’affinità ideologica. Il capo riconosciuto dei
revisionisti, Vladimir Jabotinskij, nel 1937 sulla stampa polacca annunciò un suo gigantesco “piano
di evacuazione” di un milione e mezzo di ebrei dall’Europa orientale, la maggior parte dei quali
dalla Polonia. In un articolo rivolto agli ebrei spiegò la sua idea:

Dapprima ho pensato a un “Esodo”, una “seconda partenza dall’Egitto”. Ma non può essere.
Noi siamo impegnati in politica, dobbiamo essere in grado di relazionarci con le altre nazioni e
di chiedere il sostegno di altri stati. E stando così le cose, non possiamo sottoporre loro un
termine offensivo, che richiama alla mente il Faraone e le sue dieci piaghe. Per di più, la parola
Esodo evoca una terribile immagine di orrore, l’immagine di un’intera nazione che si muove
disordinatamente e in preda al panico360

Il governo polacco applaudì, mentre l’opinione pubblica ebraica fu sconvolta da quella che
considerava una follia. Ma i revisionisti insistettero, e nel 1939 inviarono Robert Briscoe, membro
del parlamento irlandese, dal ministro polacco Beck con un’altra fantasiosa proposta:

Per conto del Nuovo Movimento Sionista…vi suggerisco di chiedere all’Inghilterra di cedere a
voi il Mandato per la Palestina e renderla di fatto una colonia polacca. Allora potrete spostare

356
In Information Bulletin (American Jewish Committee), nn. 8-9, 1937, p. 3
357
Stefan Litauer, Poland’s Problems in 1939, 1939
358
Labor Zionist Newsletter, 20 settembre 1936, p. 10
359
AA.VV., Encyclopaedia Judaica, 16 voll., 1971 - 72
360
Vladimir Jabotinsky, Evacuation – Humanitarian Zionism, 1937

110
tutti gli ebrei polacchi indesiderati in Palestina. Ciò porterebbe grande giovamento al vostro
paese, e avreste una colonia ricca e prospera per sostenere la vostra economia 361.

Il governo polacco non perse tempo a rivolgere inutili richieste all’Inghilterra, ma nella
primavera del 1939 allestì un campo di addestramento per i revisionisti a Zakopane, sui Monti
Tatra. Ufficiali dell’esercito polacco istruirono a fondo 25 paramilitari sulle tecniche di sabotaggio e
insurrezione. Furono fornite armi per 10.000 uomini in previsione di un’invasione della Palestina
che secondo i piani di Jabotinskij doveva avvenire nell’aprile del 1940362.
La sezione polacca del Betar, la milizia giovanile revisionista, capeggiata da Menachem
Begin, futuro leader dopo la morte di Jabotinskij, non si scontrò quasi mai coi pogromisti polacchi:
a meno che non fosse attaccata direttamente, nonostante il suo marcato militarismo si astenne
sempre dal contrastare i fascisti polacchi. Shmuel Merlin, che negli anni prima della Guerra era a
Varsavia come editore di un giornale revisionista, affermò che:

E' assolutamente corretto affermare che solo il Bund fece una lotta organizzata contro gli
antisemiti. Noi non prendevamo in considerazione il fatto di dover combattere in Polonia.
Credevamo che il modo di risolvere la situazione fosse portare gli ebrei fuori dalla Polonia. Noi
non avevamo alcuno spirito battagliero363.

I bundisti sottolinearono a più riprese le analogie tra gli antisemiti polacchi e i sionisti. Un
dirigente del Bund affermò che Ben Gurion, capo del movimento sionista laburista, Gruenbaum,
leader dei sionisti generali e il sionista ultra-nazionalista Jabotinskij concordavano con i nemici
degli ebrei. Gli Ozon avevano dichiarato che era necessario inserire i polacchi nel commercio, e
ciò poteva essere fatto solo spingendo gli ebrei a lasciare il paese. Il Congresso Mondiale Ebraico,
un organismo filo-sionista, aveva detto che per ragioni economiche, o a causa della crisi, o a
causa della struttura sociale dei paesi dell’Europa orientale, era necessario che gli ebrei
emigrassero. I bundisti definirono ciò un tradimento verso gli ebrei, “che non hanno alcun interesse
a lasciare la Polonia”. Gli ebrei, disse Alter, erano utili all’economia polacca tanto quanto i polacchi.
“La teoria di Gruenbaum che gli ebrei sono una ‘zavorra in eccesso’ in Polonia è una pericolosa
assurdità, che deve essere rigettata con forza”364.
La stampa antisemita accusò il Bund di essere ostile alla Polonia, e che tutti gli ebrei erano
nemici dello stato. L’Ozon propose che il Bund fosse dichiarato fuorilegge a causa del suo
antagonismo verso la Polonia. Il Bund replicò che nelle mire dell’Ozon vi era la popolazione
ebraica nel suo complesso e in generale il movimento operaio. La federazione dei sindacati si
schierò con il Bund. In difesa delle proprie posizioni, il Comitato Centrale diramò una dichiarazione:

No, non siamo noi che creiamo tra le masse ebraiche un sentimento di alienazione dalla
Polonia; quel tentativo è compiuto da coloro che hanno sempre e ovunque fomentato la
reazione ebraica, che porta a trasformare le masse ebraiche in un…gruppo fanatico estraneo
agli ideali e alle lotte del proletariato polacco; quel tentativo è compiuto dai nazionalisti polacchi
che affermano, davanti al mondo intero, che la Polonia è soltanto una residenza temporanea
per gli ebrei, e che questi se ne devono andare, presto o tardi, perché la Polonia non può
essere che antisemita.
…Il nostro partito ha promosso, e tuttora promuove, la consapevolezza tra le masse ebraiche
che il loro destino e il destino del paese in cui vivono sono inseparabili; ha sviluppato e tuttora
sviluppa nelle masse ebraiche il sentimento di essere cittadini della Polonia, che sono titolari
non solo di uguali diritti, ma anche di uguali responsabilità verso gli altri; ha legato, e tuttora
lega, sempre più le masse ebraiche alla vita della Polonia e alle lotte dei lavoratori polacchi, per
un futuro migliore e una piena liberazione nella loro patria comune.365

Il Bund offrì agli ebrei una risposta di classe all’antisemitismo: non dovevano aspettarsi la
liberazione dalla persecuzione a meno che non vi fosse una “simultanea liberazione delle masse

361
Robert Briscoe, For the Life of Me, 1958
362
Jewish Spectator, estate 1980
363
Intervista di Lenni Brenner a Shmuel Merlin, 16 settembre 1980
364
Victor Alter, Antysemityzm Gospodarczy w Swietle Cyfr, 1937
365
Najer Folkstseitung, 20 giugno 1937

111
polacche dall’oppressione sociale”. Era quindi necessario per i lavoratori ebrei e polacchi unirsi in
una lotta comune contro l’autoritarismo del regime, per la democrazia e il socialismo. “La vostra
liberazione” scrisse Alter “può essere soltanto un effetto secondario della liberazione generale di
tutti i popoli oppressi”.
L’idea che il vero obiettivo dell’Ozon fosse il movimento operaio e democratico in genere fu
condivisa da molti osservatori. Il corrispondente di The Nation scrisse: “Potrà sembrare strano
all’estero, ma in Polonia è in genere vero che l’attuale linea anti-ebraica, con tutto il suo terrore, la
sua barbarie e le reminescenze medievali, è diretta più contro la democrazia polacca che contro gli
ebrei”366.

Vittorie elettorali del Bund. Dal 1935 in poi, le risposte che il Bund seppe mettere in
campo di fronte alla linea antisemita del nuovo governo polacco furono premiate a livello elettorale,
dalla popolazione ebraica e non solo. Ciò accadde anche a causa dell’inadeguatezza mostrata
dagli altri partiti ebraici. I partiti sionisti dal 1936 videro la loro attrattiva diminuire fortemente a
causa della Grande Rivolta Araba e del conseguente blocco dell’emigrazione in Palestina da parte
degli inglesi, mentre era sotto gli occhi di tutti l’oggettiva convergenza tra loro e gli antisemiti
polacchi sul tema della fuoriuscita degli ebrei dal paese. I partiti ebraici borghesi per loro natura
non erano in grado di convocare scioperi o proteste di massa contro l’antisemitismo, e inoltre non
avevano alleati tra i partiti polacchi loro omologhi, che erano schierati col governo. Il partiti religiosi
erano troppo legati alla teologia mistica del chassidismo, che non contemplava l’azione militante.
Dunque solo il Bund poteva nel contempo rappresentante l’ostilità popolare alle politiche di
espulsione degli ebrei, allearsi con partiti polacchi di un certo peso e condurre un attivismo
militante contro gli antisemiti.
Il primo segno del rafforzamento elettorale del Bund si ebbe nelle elezioni delle kehillah (le
comunità ebraiche) del 1936. In molte città le sezioni locali del Bund parteciparono alle elezioni,
contravvenendo alle indicazioni del Comitato Centrale, allo scopo di provare il proprio radicamento,
e ottenero risultati al di là di ogni aspettativa. Il Bund fu il partito più votato a Vilna, Lublino,
Grodno, Piotrkow e Varsavia. Nella capitale ottenne un numero di voto molto elevato, con 20 seggi
contro i 3 presi dalla lista di Poale Zion.
Un secondo momento di affermazione fu l’elezione del consiglio municipale di Lodz,
nell’ottobre 1936. L’antisemitismo fu il tema dominante, e i partiti socialisti si presentarono divisi. Il
PPS cercò febbrilmente di ottenere il sostegno degli elettori ebrei conservatori, sulla base
dell’assunto che gli ebrei avrebbero scelto i socialisti piuttosto che gli endek, e fece campagna
elettorale contro il Bund. Ma gli elettori ebrei assegnarono 23.692 voti alla lista separata del Bund,
e 14.947 a una lista ebraica non socialista, mentre il PPS prese sì quattro volte tanto i voti del
Bund, ma quasi tutti nei quartieri non ebraici.
Dopo l’elezione i dirigenti nazionali del PPS rimproverarono la sezione di Lodz per non
essersi alleata con il Bund, e ottennero che d’ora innanzi i due partiti cooperassero nel consiglio
municipale. Alla fine di novembre i partiti socialisti di tutte le minoranze nazionali della Polonia
decisero un’azione congiunta per porre fine all’autoritarismo del regime, e per rafforzare il
movimento socialista in Polonia. A metà del 1937, il Bund ottenne 193 delegati su 253 alle elezioni
del congresso dei lavoratori ebrei di Varsavia. Il PPS a nome di tutti i partiti socialisti polacchi
chiese lo scioglimento della Dieta e l’indizione di nuove elezioni.
La politica dell’Ozon non incontrava l’appoggio popolare, e i problemi economici erano
gravissimi. In una statistica fornita alla Società delle Nazioni, il governo riportò che circa 6.000.000
di polacchi erano sull’orlo dell’indigenza. Il governo doveva far fronte al fermento di ribellione dei
contadini. Alla fine del 1937 il colonnello Koc, leader dell’Ozon fin dalla sua nascita, si dimise e fu
sostituito dal generale Skwarcynski, un liberale già amico di Pilsudski. Questi tra i primi atti espulse
un deputato filo-nazista, M. Budzynski, dall’Ozon e dalla Dieta. Dal 1938 l’Ozon si divise in due
fazioni distinte, e la guerra tra queste portò all’indizione di nuove elezioni per il mese di novembre.
Il presidente Moscicki, ex membro del PPS e capo dell’ala democratica dell’Ozon, non
riuscì a far cambiare la legge elettorale in modo da rendere possibile la partecipazione dei
socialisti. Il PPS, il Bund e anche gli Endek boicottarono le elezioni, ciascuno per le proprie ragioni.

366
The Nation, 2 aprile 1938

112
Il governo tuttavia fece molta propaganda per il voto, e circa il 65% degli aventi diritto si
presentarono ai seggi, un numero molto più elevato rispetto al 1935.
Le elezioni municipali del dicembre 1938 e del gennaio 1939 furono invece partecipate da
tutte le forze politiche, e si configurarono come un vero e proprio plebiscito popolare verso il nuovo
governo uscito dalle mezze elezioni politiche svoltesi nel novembre.
Il Bund propose al PPS di presentarsi uniti, ma quest’ultimo rifiutò temendo che i candidati
ebrei avrebbero allontanato gli elettori polacchi dalla lista. Il Bund prese in considerazione di
sostenere i candidati del PPS, ma alla fine decise che sarebbe stato meglio avere due liste
separate. Alter spiegò la decisione:

Il PPS ha voluto mantenere il carattere polacco della propria lista, spiegando che in tal modo
sarà più facile battere il nazionalismo polacco; perciò è stato necessario per i lavoratori ebrei
andare alle urne separatamente. Suggerire che i lavoratori ebrei rinuncino ai propri candidati
indica un atteggiamento di resa da parte loro. Se il ruolo di guida nella battaglia per i diritti delle
masse ebraiche fosse trasferito ai socialisti polacchi, ciò sarebbe indice di un complesso di
dipendenza…La stampa antisemita insiste sull’esclusione degli ebrei dalla vita politica. Se i
lavoratori ebrei avessero come unica scelta il voto per la lista del PPS, essi creerebbero
esattamente ciò che vogliono gli antisemiti: un consiglio municipale libero da ebrei.367

Nonostante ciò, la campagna elettorale dei due partiti fu all’insegna della cooperazione.
Erlich chiese ai bundisti che vivevano nei distretti ove non vi erano candidati del Bund, di votare
per il PPS anziché per le altre liste ebraiche. Il PPS a sua volta chiese ai propri sostenitori nei
quartieri ebraici di sostenere il Bund.
Il successo elettorale socialista fu notevole. I partiti antisemiti uscirono fortemente
ridimensionati; l’Ozon calò considerevolmente; il PPS mostrò una consistente crescita; e il Bund si
affermò come primo partito tra gli ebrei polacchi. A Varsavia il Bund prese 17 dei 20 seggi acquisiti
da candidati ebrei, e a Lodz 11 su 17. Il PPS prese 27 consiglieri a Varsavia e 33 a Lodz, il che
significava che le due maggiori città della Polonia erano governate da una maggioranza socialista.
Lo stesso accadde a Lvov, Piotrkow, Cracovia, Bialystok, Grodno, Vilna e altri centri.
Il Bund aveva raggiunto l’apice della propria forza. Esso chiese la revisione della legge
elettorale e nuove elezioni nazionali, nelle quali sicuramente i suoi dirigenti sarebbero diventati i
portavoce ufficiali dei 3.500.000 ebrei residenti in Polonia. Ma arrivò l’invasione nazista.

367
Najer Folkstseitung, 16 dicembre 1938

113
12.
IL BUND NELLA POLONIA DELL’OLOCAUSTO

L’invasione nazista e la resa di Varsavia. L’invasione tedesca della Polonia non giunse
inattesa; i negoziati che l’avevano preceduta andarono avanti per mesi. Solo il governo polacco
negli ultimi tempi non riuscì a riconoscere il pericolo immediato in cui il paese era finito, e non
diede l’ordine di mobilitazione dell’esercito fino al 30 agosto 1939, meno di due giorni prima
dell’invasione. Il regime polacco sperava ancora che in qualche modo gli appetiti di Hitler
sarebbero stati placati; di certo, pensava, il Fuhrer non sarebbe stato così pazzo da combattere
una guerra su due fronti, con Inghilterra e Francia a ovest e Polonia e URSS a est. Ma otto giorni
prima dell’invasione le ultime speranze polacche furono distrutte dalla sigla del Patto di non
aggressione tra Germania e URSS.
I socialisti di tutti i paesi furono scioccati dall’accordo di Stalin con Hitler. Il patto, scrisse
l’organo del Bund, era un immorale e ingiustificabile tradimento di tutte le speranze della classe
operaia: “l’amichevole stretta di mano tra i rappresentanti del governo di Mosca e i promotori del
patto anti-Comintern è stato un momento veramente terribile”368.

Cosa pensano ora i comunisti in Inghilterra e Francia? Come si sentono i comunisti in


Germania – essi e i socialisti che hanno sognato la sconfitta militare e politica di Hitler? Come si
sentono i lavoratori nei campi di concentramento di Germania e Cecoslovacchia…vedendo che
la cricca dei loro persecutori è resa più forte da…Mosca?369

368
Najer Folkstseitung, 24 agosto 1939
369
ibidem

114
Il giorno dopo l’annuncio del Patto, fu chiaro che la Polonia non aveva alternativa tra la resa
e la guerra. Hitler comunicò all’ambasciatore britannico a Berlino, sir Arthur Henderson, che la
Germania non avrebbe fatto compromessi, che tutte le sue richieste dovevano essere accolte o la
macchina militare tedesca sarebbe entrata in azione. Forse, ipotizzò un bundista, Hitler avrebbe
agito alla stessa maniera nonostante la Russia; ma di certo il Patto di non aggressione lo rese più
sicuro delle proprie possibilità: “Chi è così ingenuo da pensare che sia casuale che Hitler abbia
dato questa risposta proprio nel momento in cui l’aeroplano che aveva portato Ribbentrop a Mosca
era sceso all’aeroporto della capitale sovietica?”370.
L’attacco tedesco spinse l’esercito polacco a una precipitosa ritirata. Quelle armate che
erano state l’orgoglio dei colonnelli si dimostrarono assolutamente non in grado di fronteggiare i
tedeschi, i quali in capo a cinque giorni giunsero alle porte di Varsavia. Il governo polacco dichiarò
la capitale città aperta, e procedette all’evacuazione; tutti i partiti politici non socialisti obbedirono. Il
Comitato Centrale del Bund, comprendendo il pericolo per i 300.000 ebrei di Varsavia, ipotizzò di
chiamare alla resistenza, ma quasi all’ultimo decise di accettare l’ordine di evacuazione, per
evitare che agli ebrei fosse imputata la colpa delle uccisioni e delle distruzioni che una resistenza
impari avrebbe comportato.371
I socialisti polacchi, tuttavia, decisero che la capitolazione della città senza combattere
sarebbe stata una catastrofe ancor più grande di una resistenza senza speranza. Niedzialdowski e
Zygmunt Zaremba, due dei massimi dirigenti del PPS, persuasero il sindaco Starzinski e il
generale al comando della guarnigione di Varsavia a non accettare l’ordine di resa del governo. La
dichiarazione di Varsavia città aperta fu annullata, e iniziarono i preparativi per la difesa. Durante i
21 giorni di assedio che seguirono, la Luftwaffe e l’artiglieria tedesca imperversarono sulla città. Il
Bund e il PPS operarono in stretta collaborazione durante l’assedio, formando delle compagnie di
loro militanti poste sotto il comando di ufficiali polacchi, e battaglioni di lavoratori per erigere
barricate. Shmuel Zygielboym, dirigente del Bund, si incontrava giornalmente con Niezialdowski e
Zaremba per coordinare gli sforzi della popolazione ebraica e polacca. Il Folkstseitung del Bund e
il Robotnik del PPS furono gli unici giornali a uscire in città durante l’assedio. Quando dopo tre
settimane la città decise di arrendersi e i tedeschi vi fecero ingresso, Niezialdowski si rifiutò di
firmare il documento di resa, dichiarando che “la classe operaia non capitola”372.

Il Bund in clandestinità. Due settimane dopo la resa di Varsavia, il Bund fu ricostituito


come organizzazione clandestina, con una conferenza apposita cui parteciparono 20 delegati di
tutti i settori del proletariato ebraico. Fin dall’inizio l’organizzazione fu divisa in tre gruppi, tutti sotto
la direzione centrale del Comitato di Varsavia. Il primo gruppo era costituito dai comitati sindacali, il
cui primo compito fu di allestire delle mense per offrire un sostentamento ai lavoratori e nel
contempo un luogo di ritrovo per discutere, poichè i nazisti avevano vietato le riunioni pubbliche. Il
secondo gruppo era costituito dai comitati politici, piccoli e a compartimenti quasi stagni, per
evitare che in caso di cattura da parte dei tedeschi i prigionieri, sotto tortura, facessero troppi nomi.
Oltre a questi due gruppi principali, il Bund allestì anche degli organismi di appoggio, il più
importante dei quali fu la Croce Rossa Socialista. Essa aveva tre scopi: provvedere alle cure
mediche per i membri e i simpatizzanti del Bund, assicurare nascondigli per i militanti ricercati dai
nazisti, e mantenere contatti e fornire cibo e vestiario ai militanti arrestati, o imprigionati nei campi
di concentramento.
I tedeschi avevano sequestrato tutti i macchinari tipografici e i duplicatori per impedire la
nascita di pubblicazioni clandestine, ma i bundisti avevano anticipato quelle mosse nascondendo
un macchinario nella casa di un militante dell’organizzazione, col quale iniziarono a stampare un
settimanale e quattro mensili. Al prezzo di denaro e anche di diverse vite umane fu garantito il
rifornimento di carta e inchiostro, e in questo modo durante l’occupazione tedesca gli organi del
Bund apparvero regolarmente, in yiddish e in polacco. Per ragioni di segretezza le attività di
redazione e di stampa furono separate: i redattori non sapevano dove si trovasse la tipografia e chi
la gestisse, e viceversa. La distribuzione della stampa era un terzo settore di lavoro,
completamente autonomo.

370
Najer Folkstseitung, 26 agosto 1939
371
Bernard Goldstein, The Stars Bear Witness, 1949
372
ibidem

115
Un altro lavoro di vitale importanza svolto dal Bund fu l’allestimento di un rudimentale
sistema scolastico per i bambini ebrei, poiché i nazisti avevano vietato tutte le scuole ebraiche
ufficiali, sia laiche che religiose. Il Bund creò subito due scuole illegali, dove i bambini ricevevano
un’istruzione e potevano giocare e sfamarsi. Le scuole bundiste arrivarono a ospitare il 20% dei
bambini ebrei di Varsavia. Furono altresì allestiti circoli giovanili nei quali si svolgevano seminari,
corsi di canto, di teatro e simili, tutto clandestinamente. Si organizzarono lezioni di medicina, per
venire incontro a una delle principali necessità della popolazione ebraica, provata dai disagi e dalla
mancanza di medici e infermieri; il direttore di queste lezioni era il dottor Ludwig Hirschfeld, premio
Nobel per la Medicina qualche anno addietro.

La creazione degli Judenrat e dei ghetti. Ogniqualvolta i nazisti occupavano una città,
pretendevano che le autorità locali indicassero un gruppo di “ostaggi”, un elenco di abitanti che
sarebbero stati giustiziati in caso in quella città vi fossero stati episodi di seria resistenza
all’occupazione. Il giorno dopo la capitolazione di Varsavia i nazisti chiesero un elenco di ostaggi
per la capitale, sia polacchi che ebrei, e il sindaco chiese al Bund di indicare un nome in
rappresentanza della classe operaia ebraica. Quasi tutti i dirigenti bundisti erano già ricercati dalla
polizia; perciò i bundisti indicarono l’unico tra i loro dirigenti che non era particolarmente
conosciuto, ovvero Shmuel Zygielboym. Zygielboym aveva vissuto a Varsavia fino al 1937, ma
quell’anno si era trasferito a Lodz, e nel 1938 era diventato consigliere muncipale in quella città.
Era rientrato a Varsavia poco prima dell’assedio, e dunque non era sulla “lista nera” della polizia
polacca. Dietro sua richiesta volontaria fu indicato come “ostaggio”.
Zygielboym fu anche nominato dal Bund come delegato allo Judenrat, il Consiglio ebraico
collaborazionista creato dai nazisti per eseguire i loro ordini. Già nell’ottobre 1939 i nazisti
intimarono allo Judenrat di promuovere il trasferimento di tutta la popolazione ebraica di Varsavia
in un ghetto. Lo Judenrat decise di obbedire supinamente alla direttiva, ma Zygielboym fece un
appassionato appello affinchè questa fosse respinta. Nella riunione del Consiglio egli affermò:

Avete preso una decisione storica. A quanto pare non sono stato in grado di convincervi che
non dobbiamo agire così. Da parte mia, non ho abbastanza forza per partecipare a questa
sottomissione. Credo che non avrei diritto a vivere se…il ghetto fosse creato e la mia sorte
fosse risparmiata. Quindi dichiaro di rinunciare al mio mandato. Riconosco che il presidente ha
l’obbligo di riferire ciò alla Gestapo, e so a quali conseguenze andrò incontro personalmente.
Non posso agire diversamente.373

Il discorso di Zygielboym convinse i membri dello Judenrat a riprendere la discussione sulla


questione. Alla fine fu raggiunto un compromesso: lo Judenrat non avrebbe ordinato agli ebrei di
trasferirsi nel ghetto, ma li avrebbe informati dell’ordine dei nazisti.
Non appena si diffuse la voce, un’enorme folla di ebrei che vivevano al di fuori dei confini
dell’ipotetico ghetto si radunarono davanti alla sede dello Judenrat. Zygielboym decise di
approfittare della situazione e arringò le migliaia di astanti dal balcone, esortandoli a non lasciare
le proprie case e piuttosto a farsi portare via con la forza dai tedeschi.
Il discorso fu riferito alla Gestapo, e il capo di questa ordinò a Zygielboym di presentarsi al
quartier generale della polizia tedesca il mattino seguente. Il Comitato Centrale del Bund si riunì
d’urgenza, decise che Zygielboym non poteva rimanere in Polonia e decise di inviarlo all’estero.
Dopo alcuni giorni, grazie a contatti con il movimento clandestino polacco, Zygielboym riparò in
Belgio, di qui negli Stati Uniti e poi a Londra, dove nel 1942 divenne rappresentante del Bund
presso il Governo polacco in Esilio.
L’appello di Zygielboym ebbe l’effetto di ritardare il progetto tedesco di costruzione del
ghetto, ma nell’autunno del 1940 esso alla fine venne edificato, e la popolazione ebraica accettò
passivamente il trasferimento: “Un alto muro di mattoni e filo spinato separò gli ebrei dai gentili.
Non vi era alcuna commistione, alcuna comunicazione, alcun contatto”374.
Il Bund continuò a tenere regolari riunioni di partito all’interno del ghetto, ma si pose subito
il problema dei contatti con l’esterno. Fu creato un canale con il movimento operaio polacco
attraverso Antoni Zdanowski, dirigente del Sindacato dei Trasporti. Inoltre Leon Feiner, avvocato di

373
ibidem
374
ibidem

116
Cracovia e dirigente del Bund che poteva essere facilmente scambiato per un polacco, fu
incaricato di vivere al di fuori del ghetto per mantenere i legami con la comunità polacca.
Furono creati un esecutivo e un consiglio per dirigere l’attività del Bund dentro il ghetto, una
federazione giovanile (Zukunft) e una dei giovanissimi, lo Skif (Sotsialistisher Kinder Ferayn). La
stampa fu strutturata con un settimanale in yiddish a grande tiratura, un mensile teorico, un
mensile in polacco e pubblicazioni per i giovani in yiddish e in polacco. L’attività non fu limitata al
ghetto di Varsavia, ma si sviluppò in maniera analoga in quasi tutte le città della Polonia occupata
dai nazisti.
Nonostante i rischi, la distribuzione della stampa poteva contare su numerosi volontari. In
Germania l’Hamburger Tageblatt riportò di tre bundisti catturati nel ghetto mentre diffondevano un
settimanale clandestino contenente notizie dall’estero. “Il giornale aveva molti sostenitori” scrisse il
quotidiano nazista “che pagavano quote regolari per far fronte ai costi di produzione”. A Lublino un
bundista arrestato perché il possesso di volantini illegali morì in prigione.
Le relazioni tra gli abitanti del ghetto e l’esterno erano mantenute soprattutto grazie ai
legami del Bund con i socialisti polacchi, i quali in quei mesi si divisero tra un’ala più radicale, che
scelse il nome generico di Socialisti Polacchi, e il restante PPS. La ragione della scissione fu
l’atteggiamento verso l’URSS. I Socialisti Polacchi erano del parere che date le circostanze si
dovesse concentrare la lotta unicamente contro i nazisti e non fare propaganda contro l’URSS, a
maggior ragione dopo l’inizio dell’invasione nazista del giugno 1941, mentre il PPS non voleva
passare sotto silenzio la storica oppressione dei polacchi da parte dei russi e il Patto Hitler – Stalin
del 1939. Furono in particolare i Socialisti Polacchi ad aiutare i bundisti a tenere i contatti tra i
comitati delle varie città e con il Governo in Esilio.
D’altra parte, i partiti polacchi antisemiti anche sotto l’occupazione tedesca continuarono a
manifestare odio verso gli ebrei. Nonostante anche l’Ozon, gli endek e i Nara fossero costretti alla
clandestinità, costoro non ebbero da obiettare al trattamento dei nazisti nei confronti degli ebrei.
Circa un quarto dei 40 periodici polacchi usciti clandestinamente durante l’occupazione nazista
espressero posizioni antisemite, mentre i restanti per lo più non parlavano del destino degli ebrei.
Solo i socialisti e il Wyzwolenie espressero solidarietà per la drammatica situazione ebraica.
Per quanto riguarda gli altri partiti ebraici, il Comitato Centrale del Bund li accusò di
ignorare la tragedia in corso, e di farsi inutili illusioni. Secondo un resoconto dell’organizzazione
clandestina del Bund nel 1942,

Gli oppositori del Bund…non mostrano molto interesse per il destino della Polonia.
Quelli di Poale Zion…sono pronti a cedere la Polonia al suo vicino orientale. Nelle loro
sporadiche pubblicazioni parlano soltanto di un sogno – andare in Palestina.
Essi minimizzano l’importanza degli Alleati per il nostro futuro. La loro unica speranza è la
Russia.
Il Bund rimane fiducioso e crede nell’esistenza della Polonia.
I comunisti si sono organizzati in ritardo e in generale…su base patriottica. Per ora, la loro
influenza nel ghetto è minima.375

Nonostante le persecuzioni e i massacri sempre più intensi, il Bund mantenne sempre la


speranza in un’eventuale vittoria: “Restiamo fermamente dalla parte di una Polonia, libera,
indipendente e socialista, in una libera federazione di repubbliche socialiste in Europa”376,
proclamò. E, soprattutto, il Bund continuò a rifiutare la prospettiva di emigrare dalla Polonia,
insistendo che la questione ebraica dovesse essere risolta in Polonia, con il raggiungimento
dell’uguaglianza politica e sociale. Anche nei momenti più bui, il Comitato Centrale del Bund
chiedeva ai propri emissari informazioni sulla situazione in URSS, sui rapporti tra i vari partiti
socialisti e comunisti, se vi fossero segni di cambiamento nel totalitarismo sovietico, se il Governo
in Esilio e l’URSS si fossero riconciliati o no, come fossero i rapporti col governo inglese etc.
In questo periodo i rappresentanti del Bund all’estero svolsero la funzione di servizio
informazioni per il movimento polacco e di raccolta fondi per l’attività clandestina del Bund nei
ghetti. I polacchi fornivano somme di denaro in zloty ai bundisti all’estero, e questi ultimi li
cambiavano in dollari e depositavano nelle banche americane per conto dei polacchi.

375
In di Yorn fun Idishn Khurbn, 1946
376
ibidem

117
La fine di Erlich e Alter per mano dell’URSS. Quando, all’inizio dell’invasione nazista,
Varsavia fu dichiarata città aperta, il Comitato Centrale del Bund decise che i suoi due dirigenti
principali, Erlich e Alter, si trasferissero nella nuova capitale del paese, ovunque essa fosse. Alter
chiese di rimanere per dirigere il movimento clandestino, ma il Bund rifiutò: era troppo conosciuto
come capo dei sindacati ebraici, e sarebbe stato un pericolo per se stesso e per l’organizzazione.
Alter si recò a Kowel, al confine orientale della Polonia, e Erlich raggiunse Miedzyrec, sul confine
lituano. Nel frattempo, l’URSS aveva occupato il settore orientale della Polonia, come parte
dell’accordo con la Germania.
Erlich era stato portavoce del Soviet di Pietrogrado nel 1917, e in seguito si era opposto
decisamente alla presa del potere bolscevico. Rintracciato alla stazione di Miedzyrec, fu arrestato
immediatamente. Alter era stato arrestato nel 1921, durante la burrascosa fase della scissione del
Bund russo. Anch’egli di lì a poco fu fermato dagli agenti dell’NKVD, mentre tentava di rientrare a
Varsavia. Le Grandi Purghe erano appena terminate, e Stalin aveva eliminato dal suolo sovietico
tutti i potenziali rivali.
I due dirigenti del Bund furono incarcerati separatamente nella prigione Batirka di Mosca,
dove furono interrogati per lunghi periodi. Furono accusati di essere agenti dei servizi segreti
polacchi, di tramare per sabotare le ferrovie russe e altre simili fantasie. Secondo il compagno di
cella Lucien Blit, Erlich in particolare fu sottoposto a severi interrogatori dal capo della NKVD in
persona, Lavrentij Beria.
Nessuno dei due confessò, ma nel luglio 1941 furono condannati a morte come spie
polacche. La sentenza fu commutata in 10 anni di lavori forzati. In settembre, mentre i nazisti
avanzavano in URSS, fu proclamata un’amnistia per i cittadini polacchi, ed essi furono liberati.
Il Governo polacco in Esilio subito propose che Erlich diventasse membro del Parlamento
polacco in Esilio, e iniziò i preparativi per portarlo in Inghilterra. Alter sarebbe dovuto diventare
funzionario dell’Ambasciata polacca a Mosca, per occuparsi dei cittadini polacchi nell’URSS. Ma
nel frattempo i sovietici chiesero a Erlich e Alter di occuparsi della formazione di un comitato
antifascista internazionale che unisse tutti gli ebrei del mondo nella lotta contro Hitler.
I due tuttavia mostrarono subito un’attitudine indipendente, chiedendo che la promozione
del nuovo comitato fosse curata non solo dall’URSS, ma anche da USA, Inghilterra e Polonia, e
che la direzione fosse non russa. Dopo tre mesi di tempo, durante il quale i contatti furono molto
sporadici, Erlich e Alter furono convocati a un fantomatico colloquio, in quella sede furono di nuovo
arrestati e sparirono.
Sette mesi dopo l’ambasciatore polacco a Mosca, Stanislav Kot, chiese notizie dei due al
vice Commissario agli Esteri sovietico, Andrej Vyshinskij, il quale gli rispose di non poter fornire
informazioni in quanto Erlich e Alter per l’URSS erano cittadini sovietici.
Le proteste per l’arresto dei due bundisti si allargarono a livello internazionale, finchè il 27
gennaio 1943 un gruppo di socialisti di livello mondiale tra cui William Green, presidente
dell’American Federation of Labor, inviarono un cablogramma a Stalin chiedendo di liberarli. La
risposta, indirizzata a Green, venne dall’Ambasciatore sovietico negli Stati Uniti, Maxim Litvinov:

Caro mr. Green:


Sono informato da mr. Molotov, Commissario del Popolo agli Esteri, del ricevimento di un
telegramma da voi firmato riguardante due cittadini sovietici, Alter ed Erlich.
Ho l’incarico da parte di mr. Molotov di informarvi dei seguenti fatti:
Per attività sovversiva contro l’Unione Sovietica e aiuto ad attività armate dei servizi
dell’intelligence polacca, Erlich e Alter furono condannati alla pena capitale nell’agosto del
1941.
Su richiesta del governo polacco, Erlich e Alter furono rilasciati nel settembre 1941.
Tuttavia, una volta liberati, all’epoca delle più disperate battaglie delle truppe sovietiche contro
l’avanzante esercito di Hitler, essi ripresero le loro attività ostili, incluso appelli alle truppe
sovietiche a fermare lo spargimento di sangue e a concludere una pace con la Germania.
Perciò essi furono riarrestati e nel dicembre 1941 condannati ancora una volta alla pena
capitale dal Collegio Militare della Corte Suprema. Questa sentenza è stata eseguita a carico di
entrambi.377

377
Telegramma di Litvinov a William Green, 23 febbraio 1943 (Archivio del Bund)

118
Così il mondo apprese che Stalin aveva fatto uccidere i due massimi dirigenti del Bund
polacco.

Il Bund e il Governo polacco in Esilio. Durante la guerra il Bund mantenne in piedi due
organizzazioni, una in Polonia e una all’estero, negli Stati Uniti e in Inghilterra. Quest’ultima
divenne portavoce degli ebrei socialisti presso il Governo polacco in Esilio, mantenendo legami
particolarmente stretti con gli omologhi del PPS.
All’inizio del 1942 il Parlamento polacco in Esilio votò per l’inserimento di un delegato
bundista nei propri ranghi, alla luce del radicamento dell’organizzazione tra gli ebrei polacchi quale
si era constatato nelle elezioni municipali del 1938 – 39. Si trattava della prima volta nella storia di
un bundista nella Dieta polacca, seppure in circostanze tragicamente eccezionali. Poiché Erlich
era scomparso nelle galere sovietiche, il Bund scelse Shmuel Zygielboym, fuggito da Varsavia già
nel 1939 perché ricercato dalla Gestapo.
Nella nuova veste Zygielboym prevedeva di dover condurre un’aspra battaglia contro i
nazionalisti polacchi e contro i sionisti, e sin dall’inizio assunse una linea di opposizione nei
confronti di costoro, riprendendo la tattica del Bund di isolare o escludere la destra, e di un
antifascismo che avesse per protagoniste le masse operaie.
I timori di Zygielboym si manifestarono sin dall’inizio, in quanto gli endek presentarono e
fecero approvare la proposta che si costituisse uno stato ebraico al di fuori della Polonia, nel quale
gli ebrei polacchi si sarebbero dovuti trasferire. L’emendamento del dr. A. Schwarzbard, delegato
sionista, di nominare espressamente la Palestina, fu respinto. Solo Zygielboym e un socialista
votarono contro. Schwarzbard si astenne, e un altro socialista, Adam Ciolkosz, si dichiarò
contrario ma fu assente al momento del voto. Il rappresentante bundista affermò che “Le masse
ebraiche considerano la Polonia come patria unitaria di tutta la popolazione del paese. Il voto del
Parlamento Nazionale è un avviso alle masse ebraiche. Esso dimostra che la reazione polacca
non ha abbandonato la sua posizione antisemita”378.
Il Bund si scontrò ancora una volta con i sionisti, che volevano che la guerra sfociasse nel
riconoscimento dello stato ebraico in Palestina. I sionisti lavoravano per un’armata ebraica
separata di 10.000 uomini da stanziare in Palestina, formata da 3.000 coloni già residenti nell’area
e 7.000 ebrei di altri paesi. La proposta fu respinta dal governo inglese, che temeva che un’armata
ebraica avrebbe suscitato l’ostilità degli arabi nei confronti degli Alleati. I sionisti continuarono a
insistere, finchè una Brigata Ebraica di 5.000 uomini fu allestita verso la fine della guerra. Il Bund
fin dall’inizio fu contrario alla Brigata ebraica:

L’idea di un’armata ebraica separata è dannosa per gli ebrei, ovunque essi siano; è dannosa
anche per gli ebrei in Palestina. Gli ebrei di Palestina hanno davvero interesse a suscitare
l’ostilità…tra la popolazione indigena? Hanno interesse a disporre di un esercito separato in
Palestina contro il quale vi sarà un esercito separato arabo? A chi giova tutto questo?
L’idea di un esercito ebraico separato è stata sostenuta dalle forze più reazionarie nella
Russia zarista e in Polonia. Esse volevano introdurlo come segno di disuguaglianza. E le
masse ebraiche hanno sempre guardato a ciò con sospetto, e indubbiamente se ne
guarderanno anche in futuro.
Dunque quando i sionisti oggi sollevano la questione dell’esercito ebraico…creano un grosso
danno…Stanno portanto acqua al mulino della disuguaglianza e della reazione…essi mobilitano
le energie del popolo ebraico per avventure inutili e donchisciottesche, nella presente, tragica
epoca in cui noi dobbiamo spendere così tante energie per aiutare i 10 milioni di ebrei
soggiogati da Hitler.379

I bundisti temevano che l’esercito ebraico sarebbe stato soltanto un primo passo verso
l’emigrazione, e verso l’ulteriore alienazione degli ebrei dalla Polonia. Zygielboym chiarì la
posizione in una sua importante dichiarazione davanti al Parlamento in Esilio: “La popolazione
ebraica della Polonia ha la sua patria. Quella patria è la Polonia, così come è la patria delle masse

378
Unser Tseit, luglio 1942
379
Unser Tseit, aprile 1942

119
polacche”380. Era giunto il momento, disse, di porre fine alla questione ebraica in Polonia, e ciò
poteva avvenire soltanto attraverso un programma in tre punti: 1. Piena uguaglianza per la
popolazione ebraica in tutti i settori della vita politica, economica e sociale del paese; 2. La
garanzia per la popolazione ebraica di potere esercitare la propria autonomia nazional culturale,
con il riconoscimento della lingua yiddish nelle istituzioni educative e statali; 3. Proibizione
dell’antisemitismo nel campo politico, sociale e educativo.
Per raggiungere questi tre obiettivi, occorreva una Polonia libera e democratica, all’interno
di un’Europa libera e democratica. E un’Europa libera e democratica, disse Zygielboym, era
l’obiettivo verso il quale il Bund stava dirigendo tutti i propri sforzi. Perciò egli presentò al
Parlamento in Esilio un programma in dieci punti: 1. governo degli operai e dei contadini 2.
autodeterminazione territoriale, nazionale ed economica 3. proibizione delle discriminazioni verso
le minoranze nazionali 4. distribuzione della terra ai contadini e nazionalizzazione dell’industria 5.
aiuti di stato ad artigiani, piccoli imprenditori e cooperative 6. diritto al lavoro e alla salute per tutti i
cittadini 7. un piano di ricostruzione per l’economia polacca, in particolare di risanamento della
popolazione ebraica impoverita 8. istruzione pubblica libera per tutti, con uso delle varie lingue
delle minoranze nazionali 9. laicizzazione della vita politica e sociale polacca 10. creazione di un
organismo permanente per la cooperazione delle nazioni libere dell’Europa, sulla base
dell’uguaglianza reciproca.
I bundisti erano consapevoli che tale programma era idealistico, e che alla metà del 1942
era in forse l’esistenza stessa della comunità ebraica polacca. A un incontro dell’Internazionale
Socialista a Londra, Zygielboym affermò che “è possibile che non vi sia alcuna via di salvezza”381.

Sterminio, Resistenza e distruzione del ghetto di Varsavia. Nel 1942 il ghetto di


Varsavia divenne una trappola di morte per 400.000 ebrei polacchi: i 300.000 che abitavano nella
capitale prima della guerra e le decine di migliaia che vi erano affluite dai centri della provincia nei
mesi passati. Jan Karski, emissario del Governo polacco in Esilio, descrisse la propria visita nel
ghetto dopo un incontro con Feiner e un dirigente sionista, nel 1942:

Ciò che appresi nell’incontro…e in seguito, quando fui condotto a vedere coi miei occhi, fu
orribile al di là di ogni descrizione. Conosco la storia, ho un’ampia conoscenza dello sviluppo
delle nazioni, dei sistemi politici, delle dottrine sociali e dei metodi di conquista, persecuzione e
sterminio, e so anche che mai nella storia dell’uomo è accaduto qualcosa di comparabile con
ciò che è stato inflitto alla popolazione ebraica della Polonia.
La prima cosa che mi fu chiara…fu la completa assenza di speranza nelle loro prospettive.
Per loro, per gli ebrei polacchi sofferenti, questa era la fine del mondo…Non avevano paura
della morte in sé, e anzi l’accettavano come qualcosa di inevitabile…. 382

Nell’ottobre 1942 l’emissario polacco riportò che al termine della Grande Azione, la
deportazione di massa a Treblinka, 300.000 dei 400.000 abitanti del ghetto erano stati sterminati.
In seguito Feiner stimò che circa 3 milioni di ebrei polacchi, inclusi i 300.000 di Varsavia, furono
uccisi dai nazisti tra l’ottobre del 1939 e il giugno del 1943, la metà di loro negli ultimi dieci mesi di
quel periodo. Egli riportò che soltanto 75.000 ebrei polacchi erano ancora vivi nell’area occupata
dalla Germania, di cui 10.000 nascosti nei quartieri polacchi delle città.
I dirigenti bundisti si resero conto ben presto che i nazisti pianificavano il totale sterminio
degli ebrei del ghetto di Varsavia, e chiamarono la popolazione ebraica a resistere con ogni mezzo
possibile. Alla metà dell’aprile 1942, i nazisti squestrarono alcune decine di professionisti ebrei di
rilievo e li fucilarono in strada, davanti a tutti. L’organo del Bund Der Veker scrisse che questo era
solo l’inizio di un’azione volta a schiacciare la resistenza ebraica: l’obiettivo, disse il Bund, era
ottenere la completa sottomissione.
Una delle tecniche dei nazisti per gli stermini di massa era di reclutare volontari per dei
“campi di lavoro”, che in realtà erano campi di sterminio. Nel 1942 questa tecnica divenne lo
strumento per dare il via alla Grande Azione, ma i bundisti scoprirono presto qual’era la vera
destinazione dei treni carichi di volontari per i “campi di lavoro”. “Non lasciatevi ingannare! Fugate

380
Unser Tseit, giugno 1942
381
Unser Tseit, ottobre 1942
382
Jan Karski, Story of a Secret State, 1944

120
le vostre illusioni. Vi stanno conducendo alla morte per sterminio” ammonì il Bund “Non
consegnatevi volontariamente nelle mani dei vostri esecutori…non fatevi catturare. Combattete
con mani e piedi”383.
Il Bund creò una milizia fin dai primi giorni dell’occupazione; si trattava di un rudimentale
organismo paramilitare, con pochissime armi e molto coraggio. Nell’aprile del 1940 la milizia del
Bund fu coinvolta nella protezione della popolazione ebraica di Varsavia da una serie di attacchi da
parte di teppisti polacchi e tedeschi, fomentati dai nazisti per creare le giustificazioni politiche per la
costruzione del ghetto.
Quando, alla metà del 1941, anche il ghetto di Lublino fu completato, divenne sempre più
chiaro che per gli ebrei la scelta era tra morire passivamente o lottando contro i nazisti, il Bund
intensificò i propri sforzi per allestire un’organizzazione di combattimento, attraverso l’acquisto di
armi. Bernard Goldstein, dirigente della milizia, in seguito scrisse: “Il reperimento di armi divenne
l’unico obiettivo, per il quale facemmo il massimo sforzo come organizzazione. Era chiaro che
avremmo dovuto combattere. Non sapevamo di quanto tempo potessimo disporre, ma sapevamo
di non averne abbastanza”384.
Dopo il massacro degli intellettuali ebrei del ghetto di Varsavia nell’aprile 1942, si fece
urgente la necessità di unire le forze dei gruppi ebraici: il Bund si accordò con due gruppi giovanili
della sinistra sionista, Hashomer Hatzair e Hechalutz. Ma la Grande Azione nazista non potè
essere contrastata, anche per la passività con la quale la maggioranza della popolazione ebraica
andava incontro al proprio destino. Solo nell’ottobre 1942 si formò una milizia unitaria, la ZOB
(Żydowska Organizacja Bojowa, Organizzazione Ebraica di Combattimento), con Mordechai
Anjelewicz (Hashomer Hatzair) come comandante e il bundista Marek Edelman tra i quattro vice.
Tutti i capi militari della Resistenza avevano 20 anni o poco più. Altri bundisti con un ruolo rilevante
nella lotta armata furono Bernard Goldstein, Berek Shneidmil e Abraham Blum, quest’ultimo
membro dell’ufficio politico della ZOB. I legami con la resistenza polacca al di fuori del ghetto
erano tenuti, tra gli altri, da Leon Feiner del Bund.
Il problema più grave per la ZOB fu il reperimento delle armi. Le prime armi, alcune pistole,
furono ottenute grazie alla Gwardia Ludowa, la milizia comunista del Partito Operaio Polacco
(Polska Partia Robotnicza, PPR), nato nel gennaio 1942 ed erede del KPP. Il PPS e i Socialisti
Polacchi, che facevano parte della resistenza polacca “ufficiale” (Armja Krajowa), sostenuta dal
Governo in Esilio, contrabbandarono nel ghetto benzina e altri materiali per il confezionamento di
rudimentali granate e delle prime bombe incendiarie Molotov.
Le prime azioni della ZOB significativamente furono attentati verso i collaborazionisti della
polizia ebraica nel ghetto, e missioni di salvataggio di compagni arrestati. Il resoconto di Marek
Edelman descrive appieno questa prima fase della lotta armata385.
Verso la fine del dicembre 1942 arrivò dall’Armja Krajowa una nuova fornitura di armi,
giusto in tempo per far fronte alla liquidazione definitiva del ghetto, che i tedeschi avevano
programmato per la metà di gennaio. Quando la Gestapo circondò quello che rimaneva del ghetto
e fece il suo ingresso, questa volta incontrò una dura resistenza, subendo molte perdite. La
battaglia del gennaio 1943 accreditò la ZOB presso la resistenza polacca, e vennero inviate altre
armi all’interno del ghetto, comprese alcune mitragliatrici.
Nel marzo 1943 i nazisti fecero un altro tentativo ordinando il trasferimento dei lavoratori
della fabbrica di spazzole, nel settore del ghetto sotto il diretto controllo del Bund. Nessuno dei
lavoratori si presentò. I camion tedeschi tentarono di entrare nella fabbrica, ma furono accolti
dall’esplosione di una mina elettrica nascosta nel terreno, e dal lancio di granate e molotov. Nel
contempo la resistenza assaltava la prigione del ghetto, liberando i detenuti.
La liquidazione del ghetto fu posticipata al 19 aprile 1943, data di inizio dell’assedio finale.
Nelle prime fasi dell’operazione, i resistenti riuscirono anche a distruggere un carro armato
tedesco, e a impadronirsi di un mortaio e di altre armi. Alla lunga, la tattica vincente dei nazisti fu
quella di incendiare sistematicamente le aree in cui erano asserragliati gli assediati, che poco per
volta dovettero cedere. Marek Edelman riporta:

383
Marek Edelman, Il Ghetto Combatte, 1945
384
Bernard Goldstein, The Stars Bear Witness, 1949
385
Marek Edelman, Il Ghetto Combatte, 1945

121
Ciò che i tedeschi non erano riusciti a fare, il fuoco onnipotente lo realizza ora. A migliaia
periamo nelle fiamme. L’odore dei corpi arrostiti prende alla gola. Ovunque, sui balconi, alle
finestre, sulle scale di pietra che non hanno preso fuoco, giacciono cadaveri carbonizzati. Il
fuoco caccia fuori la gente dai rifugi, li snida dai nascondigli che avevano arrangiato da lungo
tempo, in luogo sicuro, in un solaio o in una cantina. Migliaia di persone vagano nei cortili,
esponendosi alla cattura, detenuti o uccisi sul campo dai tedeschi. 386

L’8 maggio i tedeschi espugnarono il bunker nel quale si era rifugiato il più grosso gruppo di
resistenti. Decine di militanti della ZOB persero la vita, tra cui il comandante Mordechai Anjelewicz.
Alcuni gruppi di combattenti si salvarono attraverso una fuga nelle fognature, durata due giorni, e il
10 maggio riuscirono a uscire nella parte polacca di Varsavia, i più prendendo la vita dei boschi per
unirsi ai partigiani. Marek Edelman, Bernard Goldstein e i pochi bundisti sopravvissuti continuarono
a lottare per la liberazione della Polonia, partecipando all’insurrezione della città di Varsavia
nell’agosto 1944.

Le responsabilità degli Alleati e dei sionisti nello sterminio degli ebrei. Una delle più
vergognose pagine della Seconda guerra mondiale fu il comportamento degli Alleati e dei sionisti
di fronte alle notizie che provenivano dalla Polonia, e dagli altri paesi occupati dai tedeschi,
riguardo allo sterminio in corso degli ebrei. La linea di condotta generale fu improntata a dare la
priorità alle esigenze dello sforzo bellico, facendo sì che i civili ebrei fossero sempre messi in
secondo piano, quando non usati come zavorra da sacrificare per indebolire il nemico nazista.
Durante il 1940 e 1941 l'Esecutivo dell'Agenzia Ebraica, l’organo dirigente sionista in
Palestina, raramente discusse degli ebrei dell'Europa occupata e a parte i timidi sforzi per
l'immigrazione clandestina l'Agenzia non fece nulla per loro.387 Nè fecero molto di più gli ebrei della
neutrale America; anzi, la dirigenza sionista americana fece una campagna contro quegli ebrei che
provavano a inviare aiuti in Europa. Aryeh Tartakower, che era incaricato per il Congresso
Mondiale Ebraico del lavoro di assistenza in America nel 1940, ha raccontato parte della vicenda
in un’intervista con lo storico israeliano Shabatei Beit-Zvi:

Ricevemmo una chiamata dal Governo Americano, dal Dipartimento di Stato, e loro ci fecero
notare che inviare aiuti agli ebrei in Polonia non era nell’interesse degli Alleati…Il primo a dirci
di interrompere immediatamente fu il dottor Stephen Wise388…Egli disse: “Dobbiamo smettere
per il bene dell’Inghilterra”.389

La linea inglese sosteneva che fosse “compito” dei tedeschi, in quanto belligeranti, nutrire
le popolazioni dei territori che occupavano. I pacchi di viveri inviati dall’estero, affermarono gli
inglesi, erano solo un aiuto agli sforzi bellici tedeschi. In ottemperanza a tali direttive l’apparato del
WJC-AJC (Congresso Mondiale Ebraico – American Jewish Congress) non solo smise di inviare
cibo, ma fece pressioni sulle associazioni caritatevoli ebraiche non sioniste affinchè cessassero a
loro volta di farlo, e quasi tutte accettarono eccetto gli ebrei ortodossi di Agudas Israel.
Quando l’establishment ebraico in Occidente e gli Alleati scoprirono che Hitler stava
sistematicamente uccidendo gli ebrei? Resoconti di massacri in Ucraina iniziarono a raggiungere
la stampa occidentale nell’ottobre del 1941, e nel gennaio 1942 i sovietici approntarono un
dettagliato rapporto, il “Molotov Announcement”, che analizzava le azioni delle Einsatzgruppen. Il
rapporto fu snobbato dalla World Zionist Organization in Palestina come “propaganda
bolscevica”.390 Nel febbraio 1942 Bertrand Jacobson, ex rappresentante del Joint Distribution
Committee in Ungheria, organizzò una conferenza stampa al suo ritorno negli USA e fornì le
informazioni dai contatti ungheresi sul massacro di 250.000 ebrei in Ucraina. Nel maggio 1942 il
Bund inviò via radio a Londra il messaggio che in Polonia il numero degli ebrei sterminati era già
arrivato a 700.000, e il 2 luglio la BBC trasmise una sintesi della situazione in Europa. Il Governo

386
Marek Edelman, Il Ghetto Combatte, 1945
387
Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979
388
Il Presidente dell’American Jewish Congress.
389
Shabatei Beit-Zvi, Post-Ugandan Zionism During the Holocaust, 1977
390
Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979

122
polacco in Esilio utilizzò il messaggio del Bund nella propria stampa propagandistica in lingua
inglese.
Ma ancora il 7 luglio 1942 Yitzhak Gruenbaum, dell’Agenzia Ebraica, rifiutava di credere ad
analoghi racconti di massacri in Lituania, perché il numero ipotetico dei morti era maggiore della
popolazione ebraica sita nel paese prima della guerra.391 Il 15 agosto Richard Lichtheim della
Svizzera inviò un rapporto a Gerusalemme, basato su fonti tedesche, sugli scopi e i metodi dello
sterminio. Ricevette la risposta di Gruenbaum, datata 28 settembre:

Francamente non sono incline ad accettare tutto il contenuto alla lettera…Come uno deve
imparare ad accettare anche le storie più incredibili se corrispondono a fatti reali, così uno deve
imparare dall’esperienza a distinguere tra la realtà, per quanto dura essa sia, e l’immaginazione
che produce idee distorte per un giustificato timore. 392

Gruenbaum sapeva che stavano accadendo cose terribili, ma egli le minimizzava come se si
trattasse “soltanto” di pogrom.
L’8 agosto Gerhart Riegner dell’ufficio di Ginevra del World Jewish Congress ottenne un
resoconto dettagliato del programma di soppressione col gas da fonti tedesche affidabili, e lo
inoltrò alle sezioni WJC di Londra e New York attraverso diplomatici inglesi e americani. La
sezione del WJC di Londra ricevette il materiale, ma Washington evitò di trasmetterlo al rabbino
Stephen Wise, il numero uno del Congress. Il 28 agosto la sezione inglese inviò a Wise un’altra
copia, ed egli chiamò il Dipartimento di Stato scoprendo che avevano rispedito indietro il dossier.
Quindi il governo americano gli chiese di non rendere pubbliche le notizie poiché le stavano ancora
verificando; egli acconsentì e non disse nulla fino al 24 novembre – 88 giorni dopo – quando il
Dipartimento Stato finalmente riconobbe come autentico il rapporto. Solo allora Wise rese pubblico
il piano nazista di sterminio degli ebrei. Il 2 dicembre egli scrisse una lettera al presidente Franklin
Roosevelt (al quale si rivolge confidenzialmente con l’appellativo “Caro Boss”) chiedendo un
incontro urgente e informandolo che:

Ho avuto cablogrammi e informazioni riservate per diversi mesi, che riportavano questi fatti.
D’accordo con i capi di altre organizzazioni ebraiche, ho stabilito di non informare la stampa. 393

Insomma i vertici ebraici americani per mesi non dubitarono che il rapporto di Riegner fosse
vero, ma non lo resero pubblico.
Anche in Palestina i vertici sionisti erano da tempo al corrente dei massacri. Ad esempio il 17
aprile 1942, prima del messaggio del Bund, Moshe Shertok (capo del Dipartimento Politico
dell’Agenzia Ebraica) scrisse al generale Claude Auckinleck, comandante dell’Ottava armata
inglese in Nord Africa, dicendosi preoccupato per ciò che sarebbe potuto accadere agli ebrei in
Palestina se l’Africa Korps avesse sfondato in Egitto.

La distruzione della razza ebraica è uno dei principi fondamentali della dottrina nazista. Gli
autorevoli rapporti pubblicati recentemente mostrano che questa politica è portata avanti con
indescrivibile spietatezza…C’è da temere che una distruzione anche più rapida possa colpire gli
ebrei della Palestina.394

Dunque mentre Gruenbaum si mostrava scettico sulla veridicità dei resoconti sui massacri
che riceveva, il suo collega Shertok stava utilizzando gli stessi resoconti per convincere gli inglesi
a intervenire in difesa del movimento sionista in Palestina, magari armando una Brigata ebraica.
Quando Jan Karski fu inviato a Varsavia come emissario del Governo polacco in Esilio, per
raccogliere informazioni di prima mano sulla situazione, i rappresentanti del Bund e delle altre
fazioni ebraiche gli chiesero di fare pressione presso i governi alleati: “Dite ai governi alleati, se
vogliono aiutarci, di inviare dichiarazioni ufficiali al governo e al popolo tedesco dicendo che le

391
Midstream, aprile 1968, p.51
392
Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979
393
Eliyahu Matzozky, The Response of American Jewry and Its Representative Organizations to Mass Killing of Jews
in Europe, 1979
394
Commentary, dicembre 1979, p. 53

123
conseguenze della continua persecuzione saranno rappresaglie di massa, e la sistematica
distruzione dell’intera nazione tedesca”395.
Un combattente del ghetto si appellò disperatamente alle organizzazioni ebraiche in America
e Inghilterra, affinchè facessero pressione sui governi Alleati:

Dite ai dirigenti ebrei che non è il momento della politica o della tattica. Dite che la terra deve
essere scossa dalle fondamenta, che il mondo deve essere svegliato. Forse allora si
sveglieranno, capiranno, si renderanno conto. Dite che devono trovare il coraggio di compiere
sacrifici che nessun altro uomo di stato ha mai dovuto fare, sacrifici dolorosi come il destino del
mio popolo morente…Gli scopi e i metodi tedeschi non hanno precedenti nella storia. Le
democrazie devono reagire in un modo che sia anche senza precedenti, scegliere come
risposta dei metodi inusitati…La vittoria militare non scongiurerà ciò che il nemico include nel
proprio programma di distruzione. I loro metodi non ci risparmieranno.
Mi chiedete quale linea di condotta suggerisco ai dirigenti ebrei. Dite loro di recarsi presso le
istituzioni e le agenzie inglesi e americane più importanti. Dite loro di non andarsene di là finchè
non avranno ottenuto garanzie che è stato trovato un modo per salvare gli ebrei. Fate che non
accettino cibo né acqua, fate che muoiano lentamente mentre il mondo li guarda. Lasciate che
muoiano. Questo forse scuoterà la coscienza del mondo.396

Il bundista Zygielboym a Londra si impegnò a fondo perché gli Alleati facessero qualcosa
per impedire lo sterminio degli ebrei polacchi, ma invano. “Le nostre azioni e proteste non hanno
effetto pratico”, scrisse ai rappresentanti del Bund in America, e il Parlamento polacco in Esilio si
mostrava altrettanto sordo. L’11 maggio 1943, alla notizia della completa distruzione del ghetto di
Varsavia, Zygielboym si tolse la vita, lasciando una lettera rivolta alle autorità polacche, che tra
l’altro diceva:

La responsabilità per il crimine dello sterminio dell’intera nazione ebraica in Polonia risiede
innanzitutto in quelli che lo stanno compiendo, ma indirettamente essa ricade anche sull’intera
umanità, sui popoli delle nazioni alleate e sui loro governi, che fino a oggi non hanno compiuto
alcun passo concreto per fermare questo crimine.
Assistendo passivamente a questa tortura e questo sterminio di milioni di uomini, donne e
bambini, essi ne hanno condiviso la responsabilità.
…Non posso continuare a vivere, e rimanere in silenzio, mentre gli ebrei polacchi superstiti, di
cui sono rappresentante, vengono sterminati. I miei compagni nel ghetto di Varsavia sono
caduti armi in pugno nell’ultima, eroica battaglia. Non ho potuto cadere come loro, insieme a
loro, ma sono con loro, nella loro fossa comune.
Con la mia morte confido di dare la massima espressione alla mia protesta contro la passività
con la quale il mondo assiste e permette la distruzione del popolo ebraico.
So che la vita di un uomo non ha molto valore, soprattutto oggi. Ma se non vi sono riuscito in
vita, forse attraverso la morte potrò contribuire al risveglio dal letargo di coloro che potrebbero e
dovrebbero agire affinchè anche ora, forse all’ultimo momento, quei pochi ebrei polacchi che
sono ancora in vita possano venire salvati dalla distruzione certa. 397

Ancora dopo alcuni mesi, il periodico del Bund a New York poteva constatare amaramente
il disinteresse degli ebrei americani per la sorte delle vittime dell’Olocausto nazista, e anzi lo
sfruttamento della situazione da parte dei sionisti per chiedere lo stato ebraico in Palestina, come
una sorta di compensazione per le quelle vittime:

Il fatto che non li aiutiamo non è solo una tragedia per loro; è anche una vergogna per noi. Mi
riferisco alla criminale indifferenza…Tutte le richieste fatte a Washington si riducono a una sola:
una casa ebraica nazionale in Eretz Israel. 398

Che i sionisti più convinti...non siano particolarmente dispiaciuti dello sterminio e della
distruzione delle comunità ebraiche in Europa, è cosa che abbiamo sempre saputo. 399

395
Jan Karski, Story of a Secret State, 1944
396
ibidem
397
Archivio del Bund
398
Nokhem Chanim su Der Veker, 1 settembre 1943
399
David Einhorn su Der Veker, 15 settembre 1943

124
12. EPILOGO

L’ultima fase della guerra. Nel giugno 1944, contemporaneamente allo sbarco in
Normandia, l’Unione Sovietica diede inizio sul fronte orientale alla Operazione Bagration, per
ricacciare l’esercito nazista fuori dal territorio russo e da quello polacco. Il 22 luglio venne
annunciata la formazione di un Comitato Polacco di Liberazione Nazionale (Polski Komitet
Wyzwolenia Narodowego, PKWN), un governo provvisorio polacco filo-sovietico, dapprima con
sede a Chelmno e dal 1 agosto con sede a Lublino (comunemente detto infatti Comitato o
Governo di Lublino).
Lo stesso 1 agosto l’Armja Kraiowa, diretta dal Governo in Esilio a Londra, diede inizio a
una rivolta anti-nazista a Varsavia. I bundisti di Varsavia che non avevano raggiunto i partigiani
nelle foreste (tra cui Marek Edelman e Bernard Goldstein) parteciparono all’insurrezione, la quale
nelle prime settimane ebbe successo, ma in seguito fu abbandonata a se stessa dagli Alleati
(l’esercito sovietico stazionava a pochi chilometri), e il 2 ottobre la città capitolò ai tedeschi, che la
distrussero quasi completamente. Solo nel gennaio 1945, con i tedeschi in ritirata, Varsavia fu
occupata dall’Armata Rossa.
Il 1º gennaio 1945 il Comitato Polacco di Liberazione Nazionale divenne il Governo
Provvisorio della Repubblica di Polonia (Rząd Tymczasowy Rzeczypospolitej Polskiej o RTRP). A
Londra, il Governo polacco in Esilio protestò: fu scritta una dichiarazione secondo la quale l'Unione
Sovietica aveva "preso il controllo dei diritti politici sovrani della nazione polacca". Il futuro della
Polonia venne discusso alla successiva Conferenza di Jalta (febbraio 1945), ove vennero definiti i
nuovi confini. Il 28 giugno il Governo Provvisorio della Repubblica di Polonia fu trasformato nel
Governo Provvisorio di Unità Nazionale (Tymczasowy Rząd Jedności Narodowej). Questa
conversione era stata promessa da Stalin a Jalta, e fu effettuata come gesto di apertura verso il
Governo in Esilio della Polonia. Di fatto tuttavia la Polonia entrò nella sfera di influenza sovietica.
La Polonia fu il paese che in percentuale subì il maggior numero di vittime della Seconda
guerra mondiale. Nel 1939 aveva circa 35 milioni di abitanti, scesi a 29 dopo sei anni (una

125
diminuzione del 20%): 3 milioni furono le vittime polacche, e altrettanti gli ebrei residenti nel paese,
la quasi totalità della comunità. In seguito alla ridefinizione dei confini e alle conseguenti migrazioni
di massa imposte dagli Alleati, il numero di abitanti rilevato nel censimento del febbraio 1946
ammontava a 23,9 milioni.
Dopo l'annessione sovietica dei territori ad est della linea Curzon, circa 2 milioni di polacchi
vennero rimpatriati da queste aree per passare nei nuovi territori occidentali e settentrionali ad est
della linea Oder-Neisse, che i sovietici girarono alla Polonia dopo gli accordi di Potsdam. Inoltre
circa 5 milioni di polacchi della Polonia centrale si trasferirono nei "territori recuperati" alla
Germania. La popolazione tedesca, circa 10 milioni di individui, venne espulsa dai nuovi territori
acquisiti dalla Polonia. Con il rimpatrio in Unione Sovietica della popolazione di origine ucraina, e
considerando lo sterminio degli ebrei operato dalla Germania nazista, la Polonia per la prima volta
divenne uno Stato-nazione quasi omogeneo.

Destino degli ebrei polacchi sopravvissuti. Ciononostante, nel 1945 molti degli 80.000
ebrei polacchi sopravvissuti allo sterminio erano disposti a rifarsi una vita in Polonia. Nella regione
della Bassa Slesia, che da tedesca divenne territorio polacco, si progettava la costituzione di un
nuovo centro propulsore della comunità ebraica. Inoltre numerosi ebrei polacchi erano radunati nei
campi per i profughi (Displaced Persons, DP) allestiti dagli Alleati in Germania e Austria. Anche qui
i bundisti cercarono di riorganizzarsi, ma dovettero fare i conti con i sionisti e le loro mire.
Il 1 giugno 1946 150 bundisti si riunirono a Camp Feldafing, in Germania, per una
conferenza di tre giorni alla quale fu presente anche un rappresentante dall’Europa occidentale. La
conferenza discusse dell’organizzazione del Bund nei campi, di un giornale del movimento e delle
prospettive future in Europa.
Ma i sionisti impedirono l’ingresso negli organismi direttivi dei campi al Bund e ad altri
gruppi contrari o non interessati alla Palestina, ad esempio ai territorialisti della Freiland Lige, che
proponevano la costituzione di comunità autonome ebraiche in varie parti del mondo. Un membro
del Bund descrisse la situazione nei campi in una lettera a un amico a New York, paragonandola
alla persecuzione degli ebrei nel Medioevo:

Siamo circondati da una ridda di kibbutzim, dipartimenti e segreterie del movimento sionista. I
nostri compagni vivono lì come un tempo i marrani in Spagna. 400

Il simpatizzante bundista Moshe Ajzenbud, l’unico a inviare resoconti regolari dai campi,
scrisse un pezzo tristemente ironico pubblicato in seguito su un periodico newyorkese del
movimento:

…dalla Terra Santa arrivarono i missionari a rimettere il sacro gregge sul cammino della
rettitudine, in modo che potesse andare in Paradiso. Questi missionari accorsero nei campi con
le loro bandiere bianche e blu e così venne fondata una colonia sionista: i campi ebraici in
Germania, Austria e Italia. E come in genere capita nelle colonie, anche qui i sionisti
governarono con durezza, volendo che tutto si facesse solo a vantaggio della Palestina. In suo
nome si comportarono da padroni dei campi. I sionisti avevano convinto il resto del mondo che i
sopravvissuti costituissero un fronte unito. 401

Analogo contesto è quello descritto da uno storico della Freiland Lige:

Le misure prese contro di noi, contro i bundisti e in genere contro gli ebrei che volevano
emigrare in paesi diversi da Eretz Israel, consistevano in incessanti pressioni. Ci toglievano i
viveri, ci cacciavano dal lavoro e dai campi, ci picchiavano (in maggio a Salisburgo furono
organizzati dei raid nelle strade)…402

400
Archivio del Bund, New York
401
Unser Tsait, gennaio 1949
402
Michael Astor, Geschichte fun der Freiland Lige, 1967

126
Anche un consigliere per le questioni ebraiche presso il comando supremo americano,
William Haber, ebbe a scrivere che “la pressione esercitata sulle persone è stata rude, e talvolta
ha riprodotto le tecniche che essi avevano appreso dai loro stessi oppressori”403.
Insomma gli ebrei dei campi DP, reduci dalle persecuzioni naziste e fasciste, dovettero
subire dai sionisti altre vessazioni, a volte di tipo analogo.
Nella Polonia devastata dalla guerra intanto riprendevano gli episodi di antisemitismo, a
carico degli 80.000 sopravvissuti e dei quasi 200.000 ebrei rientrati dall’Unione Sovietica dopo la
definizione dei nuovi confini. 351 ebrei furono uccisi tra il novembre 1944 e l’ottobre 1945; i
pogrom continuarono fino al 1946 e culminarono in un feroce massacro che ebbe luogo a Kielce il
2 luglio, nel quale 42 ebrei furono uccisi. Il massacro terrorizzò gli ebrei rimanenti e circa 100.000
di loro lasciarono la Polonia e altri paesi dell’Est Europa nell’arco dei tre mesi successivi.

Lo scioglimento del Bund polacco. Nel 1947 vari partiti socialisti polacchi si aggregarono
intorno a un “blocco democratico” il cui centro era costituito dal PPR filosovietico. Nelle elezioni
legislative del gennaio 1947 il blocco democratico prese l’80% dei voti, e 394 seggi su 444 alla
Dieta. Nel dicembre del 1948 venne costituito il Partito Operaio Polacco Unificato (Polska
Zjednoczona Partia Robotnicza, PZPR) nel quale confluirono il PPS e altri partiti socialisti minori.
I sopravvissuti del Bund assistettero impotenti allo svolgersi degli eventi; il 16 gennaio 1949
si riunirono in Congresso a Wroclaw e votarono per sciogliersi a loro volta nel PZPR.
La base sociale del Bund, il proletariato ebraico di Polonia, era ridotta ai minimi termini, e il
potere sovietico era egemone. Molti bundisti polacchi lasciarono il paese, altri decisero di
rimanervi, come Marek Edelman. Quasi tutti mantennero fede alla linea di condotta anti-sionista,
mentre i sionisti coglievano i frutti dello sterminio degli ebrei in Europa ottenendo dalle potenze
alleate (compreso l’URSS) il riconoscimento dello Stato di Israele, nato da decenni di sporche
manovre politiche e dalla pulizia etnica della Palestina del 1848 – 49.
Da allora in avanti il Bund perse la caratterizzazione russo-polacca, per assumere i
connotati di organizzazione internazionale. La nuova veste iniziò a prendere forma nel maggio
1947 con un congresso di organizzazioni bundiste tenutosi a Bruxelles, dal quale scaturì
l’International Jewish Labor Bund.

(dicembre 2017)

403
Yosef Grodzinsky, All’ombra dell’Olocausto, 1998

127

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