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sionismo laburista,
movimento operaio
e pulizia etnica della Palestina
(1881 – 1948)
In copertina:
- manifesto propagandistico del MAPAI (dal 1968 Partito Laburista Israeliano), 1955
- attivisti dei kibbutz appartenenti al movimento Hashomer Hatzair
- Nakba palestinese del 1948
2
indice
nota introduttiva……………………………………………………………………………p.5
3
5. Il proletariato arabo nel mirino dell’Histadrut (1925 – 39)………………...p.62
Nascita del MAPAI e ripresa della “attività araba”……………...p.62
Gli scioperi degli autisti………………………………………….p.65
Crisi della “attività araba”……………………………………….p.68
I portuali di Haifa e la nascita della PLL………………………..p.69
Problemi del lavoro ebraico……………………………………..p.71
La PLL e la PAWS si contendono i salariati arabi………………p.73
I cavatori di Nesher……………………………………………..p.74
Difficoltà della PLL ad Haifa……………………………………p.76
Lavoratori arabi e lavoro ebraico nei moshavot…………………p.77
I portuali di Jaffa e i tessitori di Al-Majdan…………………….p.79
Organizzazione del lavoro e spionaggio sionista………………..p.80
Nascita dell’AWS e campagna contro l’Histadrut………………p.81
I portuali di Jaffa abbandonano la PLL…………………………p.82
L’affare “Even Vesid” e lo sciopero all’IPC…………………….p.82
La guerriglia di al-Qassam e atri prodromi della rivolta…………p.84
4
nota introduttiva
marzo 2017
5
principali fonti citate
6
Derek Penslar, Zionism and Technocracy: The Engineering of Jewish Settlement in Palestine,
1991
Yonathan Shapiro, The formative years of the Israeli Labour Party, 1919-30, 1976
Barbara Smith, The Roots of Separatism in Palestine: British Economic Policy, 1920-1929,
1993
Marie Syrkin, Nachman Syrkin, Socialist Zionist: A Biographical Memoir and Selected
Essays, 1960
Nachman Syrkin, La questione ebraica e lo stato socialista ebraico, 1898
Rachelle Taqqu, Arab Labor in Mandatory Palestine, 1920-1948, 1977
Shabtai Teveth, Ben-Gurion and the Palestinian Arabs: from Peace to War, 1985
Shabtai Teveth, Ben Gurion: The Burning Ground, 1886-1948, 1988
Agenzia Ebraica. Fondata nel 1929 dall’Organizzazione Sionista Mondiale, con un nome
appositamente scelto per coinvolgere tutti gli ebrei del mondo nel progetto di colonizzazione della
Palestina. Di fatto fu l’organismo dirigente della comunità ebraica in Palestina (Yishuv).
AHC. Arab Higher Committee (Alto Comitato Arabo). Organismo nazionalista arabo creato nel
1936 in occasione della Grande Rivolta e presieduto dal Mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini.
Ahdut Haavoda (Unità del Lavoro). Principale partito politico sionista laburista degli anni’20, nel
1930 fu il nucleo fondatore del MAPAI. Nel 1944 si riformò come scissione dal MAPAI e insieme ad
altri gruppi della sinistra sionista nel 1948 costituì il MAPAM.
AURW. Arab Union of Raiway Workers (Unione dei Ferrovieri Arabi). Sindacato arabo dei
ferrovieri.
AWC. Arab Workers’ Congress (Congresso dei Lavoratori Arabi). Creato nel 1944 come fronte
sindacale unitario dei lavoratori arabi.
AWS. Arab Workers’ Society (Società dei Lavoratori Arabi). Fondata nel 1934, sciolta nel 1936
dopo l’assassinio del suo segretario Michael Mitri.
FATULS. Federation of Arab Trade Unions and Labor Societies (Federazione dei Sindacati e
delle Società Operaie Arabe). Associazione sindacale araba creata ad Haifa nel 1942 da un gruppo di
comunisti fuoriusciti dalla PAWS, guidati da Bulus Farah.
Hapoel Hatzair (il Giovane Lavoratore). Partito politico sionista laburista degli anni ’20, nel 1930 si
fuse con Ahdut Haavoda creando il MAPAI.
Hashomer Hatzair (la Giovane Sentinella). Movimento giovanile sionista laburista, ispirato agli
scout inglesi di Baden Powell. Dal 1919 in avanti promosse la formazione di comunità agricole
ebraiche (kibbutz) in Palestina. Fino al 1947 sostenne la soluzione dello stato binazionale, ma quando
questa fu messa ai margini entrò nel primo governo israeliano.
7
Hibbat Zion (o Hovevei Zion, Amanti di Sion). La prima manifestazione politica organizzata del
sionismo, negli anni ’80 dell’Ottocento.
IU. International Union of Railway, Postal and Telegraph Workers of Eretz Israel. Denominazione
assunta dal 1931 dal sindacato dei lavoratori di ferrovie, poste e telegrafi dopo il colpo di mano
sionista che escluse gli attivisti comunisti e arabi.
MAPAI. Acronimo ebraico di Partito dei Lavoratori della Terra di Israele. Partito politico sionista
laburista fondato nel 1930 dalla fusione di Ahdut Haavoda e Hapoel Hatzair e diretto da David Ben-
Gurion. Fu lo strumento principale dell’affermazione del sionismo laburista in Palestina e nel
movimento sionista mondiale.
MAPAM. Acronimo ebraico di Partito Unificato dei Lavoratori. Nato nel 1948 dalla fusione di
Ahdut Havoda, Hashomer Hatzair e Poalei Zion Smol, entrò nel primo governo israeliano.
NLL. National Liberation League (Lega per la Liberazione Nazionale). Fondata nel 1944 dai
comunisti arabi fuoriusciti dal PCP, anti-sionista. Distrutta dalla guerra del 1948.
NURPTW. National Union of Railway, Postal and Telegraph Workers, denominazione del
sindacato dei ferrovieri dal 1928 al 1931.
PAWS. Palestinian Arab Workers’ Society (Associazione dei Lavoratori Arabo Palestinesi).
Fondata nel 1925, principale sindacato arabo-palestinese.
PCP. Partito Comunista di Palestina. Formatosi nel 1921, dal 1924 aderente alla Terza
Internazionale. Composto da militanti arabi ed ebrei, antisionista fino al 1943 quando andò incontro a
una scissione su base etnica e la componente araba formò la NLL.
PLL. Palestine Labor League (Lega Palestinese del Lavoro). Organismo creato dall’Histadrut per
organizzare i lavoratori arabi sotto la propria tutela. Fu sempre diretta da ebrei.
Poalei Zion (Lavoratori di Sion). Principale organizzazione operaia sionista di inizio Novecento,
animata dalle teorie di Ber Borokhov.
Poalei Zion Smol (Lavoratori di Sion di Sinistra). Piccolo partito sionista socialista formatosi nel
1919 dalla divisione del SWP, che oltre a Poalei Zion Smol produsse il PCP.
SWP. Socialist Workers Party (Partito Socialista dei Lavoratori). Formatosi nel 1919 dalla
scissione dell’ala sinistra di Poalei Zion (l’ala destra costituì Ahdut Haavoda). A sua volta si divise nel
1921 in Poalei Zion Smol e PCP.
URPTW. Union of Railway, Postal and Telegraph Workers, denominazione del sindacato dei
ferrovieri dal 1922 al 1928.
Yishuv. In ebraico “insediamento”. Termine usato per indicare la popolazione ebraica in Palestina.
8
1
LA FONDAZIONE
DEL SIONISMO LABURISTA
1
Derek Penslar, Zionism and Technocracy: The Engineering of Jewish Settlement in Palestine, 1991
10
scopo dichiarato del sionismo, l’alleviamente delle sofferenze degli ebrei. Ma, aggiungeva, un
insediamento ebraico su vasta scala in Palestina poteva essere ottenuto solo con la forza e la violenza di
fronte alla strenua resistenza della popolazione locale, e implorava i sionisti di trovare un altro territorio
nel quale creare lo stato ebraico2.
Nella sua risposta Herzl affermò che gli ebrei avevano soltanto intenzioni pacifiche e sottolineò
che i proprietari terrieri arabi si sarebbero arricchiti in quanto l’immigrazione ebraica avrebbe fatto salire
il prezzo dei terreni. “Questo deve capire la popolazione indigena, che acquisirà degli ottimi vicini e il
sultano potrà contare su grandi opere che renderanno prospera questa provincia – provincia che è la
loro patria ancestrale”3. “Loro”, ovvero gli ebrei.
D’altra parte Herzl fu perfettamente in grado di comprendere le aspirazioni degli indigeni quando
queste riguardavano altri paesi che non fossero la Palestina. Per esempio fu colpito dai giovani e istruiti
egiziani che incontrò attraversando il Cairo nel 1902, definendoli le “future guide” del paese e
chiedendosi come mai i funzionari inglesi che controllavano l’Egitto non lo capissero: “Pensano che
avranno sempre a che fare con dei fellahin (contadini)”. In Palestina, invece, per Herzl non vi era un
intellighentsia araba né tantomeno dei contadini.
La rappresentazione della Palestina fornita da Herzl e dai suoi seguaci non fu completamente
sottoscritta da tutti. Asher Ginsberg (1856 – 1927), meglio conosciuto con lo pseudonimo di Ahad Haam
(in ebraico “uno del popolo”) era un noto saggista e il principale pubblicista di Hibbat Zion. Dopo aver
visitato la Palestina nel 1891, egli pubblicò un articolo caustico (provocatoriamente intitolato La verità da
Eretz Israel) in cui spiegava ai suoi lettori che la Palestina non era vuota e desolata ma densamente
abitata e coltivata dagli arabi, che non erano selvaggi ignoranti ma un popolo intelligente e creativo.
Mentre alcuni funzionari ottomani erano senza dubbio corrotti e incompetenti, i governanti dell’impero
erano dei patrioti che non avrebbero concesso la Palestina senza lottare. Ahad Haam arrivò ad accusare
alcuni coloni ebrei in Palestina di trattare gli arabi in modo ingiusto e crudele. Dopo un’altra visita nel
1911 avvertì i suoi lettori che tra molti arabi di Palestina stava emergendo una coscienza nazionale, il che
avrebbe reso l’immigrazione e colonizzazione ebraiche ancora più difficili.
Negli anni ’90 dell’Ottocento Ahad Haam criticò il modello di insediamento di Hibbat Zion, e
successivamente attaccò Herzl per la sua idea di uno stato sovrano che includesse tutti o quasi gli ebrei
del mondo, garantito dall’appoggio di una o più potenze europee. In alternativa Ahad Haam auspicava un
programma di immigrazione su piccola scala e graduale, per insediare in Palestina una piccola ma vivace
comunità che fungesse da “centro spirituale” per la rigenerazione della cultura nazionale ebraica nella
Diaspora.
Ma la nuova sintesi del sionismo che prese forma durante la Seconda Aliyah (1903 – 14)
tendenzialmente ignorò o rifiutò la posizione di Ahad Haam sugli arabi di Palestina, assorbendo invece
quella dominante che considerava questi ultimi un qualcosa di marginale o irrilevante. Questa visione fu
ulteriormente condizionata da due fattori: da un lato la necessità di conciliare il sionismo con i principi
universali del socialismo, che erano sempre più presenti nel mondo ebraico attraverso forze politiche
organizzate, e dall’altro le concrete condizioni incontrate dagli immigrati ebrei giunti in Palestina nel
decennio precedente la Prima guerra mondiale.
2
Neville Mandel, The Arabs and Zionism before World War I, 1976
3
Walid Khalidi, From Haven to Conquest: Readings in Zionism and the Palestine Problem until 1948, 1987
11
dunque doveva essere socialista nella sua essenza) e, in contrasto con i socialisti ebrei antisionisti, che
non vi sarebbe stata soluzione alla questione ebraica senza la costituzione di uno stato ebraico.
Syrkin non era sempre stato convinto che lo stato ebraico dovesse sorgere in Palestina: per alcuni
anni dopo il Settimo Congresso sionista (1905) abbandonò la WZO e fu a capo dell’ala socialista russa
del movimento territorialista, che considerava la Palestina come solo uno dei possibili luoghi per
l’insediamento ebraico. Dal 1909, tuttavia, egli rientrò nell’alveo della corrente pro-Palestina aderendo a
Poalei Zion (Lavoratori di Sion), la più forte tendenza socialista all’interno del movimento sionista. Più
tardi, dal 1930 in poi, Syrkin divenne una sorta di grande vecchio del sionismo laburista nella versione
non marxista, socialdemocratica incarnata dal MAPAI (Partito dei Lavoratori della Terra di Israele)4.
E’ degno di nota che Syrkin apparentemente non sentì la necessità di giustificare in termini di
principi socialisti l’aspirazione del sionismo per la Palestina o il probabile impatto del sionismo sulla
popolazione indigena palestinese. Infatti, nessuno dei suoi testi teorici o programmatici precedenti la
Prima guerra mondiale fa menzione implicita o esplicita degli arabi o di un “problema arabo”. Ne La
questione ebraica e lo stato socialista ebraico Syrkin propone che il sionismo acquisisca la Palestina dal
governo ottomano con una trattativa economica o diplomatica o mobilitando l’opinione pubblica
democratica e proletaria europea per spingere gli ottomani a concedere il paese agli ebrei. L’opzione
migliore per il sionismo, diceva Syrkin, era sostenere i popoli cristiani oppressi dell’impero ottomano –
egli cita i macedoni, gli armeni e i greci – nelle loro lotte indipendentiste. Dopo la vittoria ogni popolo
avrebbe avuto il suo stato negli ex territori ottomani ove esso costituiva la maggioranza, mentre nei
territori a popolazione mista avrebbe avuto luogo una spartizione e uno scambio pacifico di abitanti. Per il
loro ruolo nella lotta anti-ottomana gli ebrei avrebbero ricevuto la Palestina: “Erez Israel, che è
scarsamente abitata e nella quale oggi gli ebrei sono il 10% della popolazione, dovrebbe essere ceduta
agli ebrei”5.
La facilità con cui Syrkin sorvolava sul fatto che la Palestina avesse una consistente popolazione
araba e il suo non vedere alcunché di problematico nella trasformazione di una piccola minoranza ebraica
in uno stato e una società (pur socialisti) esclusivamente ebraici, apparentemente rimuovendo la
popolazione indigena, suggeriscono che nonostante le forti differenze con Herzl sul carattere sociale del
nuovo stato, egli condividesse l’idea sionista dominante degli arabi palestinesi come invisibili, o
marginali. Per Syrkin come per Herzl la popolazione indigena della Palestina era semplice oggetto di una
politica di potenza, da spostare altrove per soddisfare bisogni e aspirazioni degli europei, e non godeva
certo del diritto all’autodeterminazione nazionale al pari di quello che si presumeva possedessero gli
ebrei.
BOROKHOV E IL BOROKHOVISMO
Il lavoro dell’altro principale pensatore del primo sionismo socialista, Ber Borokhov (1881 –
1917) mostra una concezione più complessa ma non dissimile nella sostanza. Fu Borokhov a gettare le
basi teoriche per la sintesi tra marxismo e sionismo prodotta da Poalei Zion, il più grosso partito sionista-
socialista in Europa orientale e Palestina prima della Grande Guerra. Ne La questione nazionale e la lotta
di classe (1905) Borokhov cercò di elaborare una teoria marxista della nazione e del nazionalismo. Egli
aggiunse ai concetti marxisti di “rapporti di produzione” e “forze produttive” il suo concetto di
“condizioni di produzione”, che includeva il territorio nazionale e altri fattori. Cercò di dimostrare che il
raggiungimento da parte di un popolo oppresso di “normali” condizioni di produzione (ovvero un proprio
stato indipendente) fosse un pre-requisito, piuttosto che un ostacolo, per lo sviluppo della lotta di classe e
successivamente per la rivoluzione socialista.
Nel lavoro di Borokhov i suoi metodi e schemi erano intrisi di quel marxismo molto positivista,
economicista e meccanicista tipico dei partiti della Seconda Internazionale, con la loro fede nelle “leggi
ferree” e negli inesorabili processi storici operanti indipendentemente dall’azione o dalla volontà umane.
L’utilità del lavoro di Borokhov fu immediatamente chiara ai suoi discepoli: esso forniva uno schema
marxista all’apparenza rigoroso per risolvere la contraddizione (assai profonda per molti sionisti socialisti
est-europei) tra socialismo e sionismo, facendo del secondo un pre-requisito essenziale per la
realizzazione del primo, un obiettivo necessario e inaggirabile invece che una pericolosa deviazione.
4
Marie Syrkin, Nachman Syrkin, Socialist Zionist: A Biographical Memoir and Selected Essays, 1960
5
Nachman Syrkin, La questione ebraica e lo stato socialista ebraico, 1898
12
L’analisi di Borokhov aiutò i sionisti socialisti a respingere le critiche dei socialisti anti-sionisti, incluse
quasi tutte le fazioni dei socialdemocratici russi ma anche il Bund, il partito socialista ebraico
indipendente che aveva un forte seguito tra le masse ebraiche impoverite dell’Europa orientale. Sia i
socialdemocratici panrussi che i bundisti denunciarono il sionismo in tutte le sue forme come reazionario,
poiché chiamando gli ebrei a emigrare in Palestina esso distoglieva l’attenzione dei lavoratori ebrei dalla
lotta contro il capitalismo e l’antisemitismo nei paesi in cui essi vivevano, poiché implicitamente o
esplicitamente esso accettava l’assunto antisemita dell’impossibilità della convivenza alla pari tra ebrei e
non ebrei, e infine prometteva una soluzione illusoria e utopica ai reali problemi delle masse ebraiche.
Nel 1906 Borokhov pubblicò La nostra piattaforma, che applicava la sua analisi generale del
nazionalismo alla questione ebraica e forniva al giovane movimento di Poalei Zion una prospettiva
teorica definita e un programma politico. Nel pensiero di Borokhov, gli ebrei erano non assimilabili e
perciò perseguitati ovunque vivessero a causa della loro struttura sociale “anomala”: essi erano
concentrati soprattutto negli interstizi e ai margini della vita economica nazionale, nel piccolo commercio,
nelle piccole imprese dei servizi, nel prestito del denaro e simili, piuttosto che nell’agricoltura e
nell’industria di base. Incapaci di competere in società dominate economicamente da non-ebrei e
generando antisemitismo ovunque andassero, le masse ebraiche piccolo-borghesi alla fine sarebbero state
inesorabilmente costrette ad emigrare in Palestina, il solo territorio in cui potessero acquisire la
“normalità” economica diventando operai e contadini. Qui questo nuovo proletariato ebraico avrebbe
finalmente potuto sviluppare la lotta di classe e infine raggiungere una società socialista ebraica.
Ma perché era proprio la Palestina il territorio nel quale le masse ebraiche avrebbero
inevitabilmente dovuto stabilirsi e nel quale avrebbero ottenuto sia il socialismo che lo stato? Borokhov
diede un prezioso contributo al sionismo socialista fornendo una giustificazione apparente, formulata in
termini marxisti, della scelta della Palestina, diversa dalle giustificazioni emotive, religose o storiche
fornite da altri sionisti. La Palestina era unica per un aspetto cruciale: solo laggiù gli immigrati ebrei in
viaggio intorno al mondo in cerca del paradiso avrebbero potuto
non andare incontro a una resistenza organizzata e unitaria. In tutti gli altri paesi le restrizioni e i
divieti di ingresso legale sono un’espressione dei bisogni della popolazione locale, che non vuole
concorrenti stranieri. Di conseguenza nessuna democratizzazione del governo o delle relazioni
internazionali all’interno della società borghese può rimuovere queste restrizioni. Invece, i divieti di
ingresso in Eretz Israel nei confronti degli ebrei provenienti da Russia e Austria sono solo una
manifestazione degli arbitri del sultano, senza alcun legame con i reali bisogni della popolazione
stessa di Eretz Israel6.
Borokhov quindi sapeva che la Palestina non era disabitata. Ma come la maggior parte dei primi
sionisti egli era sicuro che i suoi abitanti non costituissero, né in futuro avrebbero costituito una comunità
definita e coesa che potesse opporsi all’immigrazione ebraica. Di fatto le sue analisi e previsioni erano
rese plausibili soltanto da questa assai opinabile premessa. Quella premessa era sua volta sostenuta dalla
concezione di Borokhov della popolazione palestinese. Sebbene un ignorante li potesse definire “arabi” o
“turchi”, egli scrisse, “Essi di fatto non hanno nulla in comune con gli arabi o i turchi, e il loro
atteggiamento verso entrambi è freddo e anche ostile”7. Egli sosteneva che
I nativi di Eretz Israel non hanno un carattere economico o culturale indipendente; essi sono divisi e
disgregati non solo dalla struttura territoriale del paese e dalla diversità delle religioni, ma anche per
le sue caratteristiche, una specie di ostello internazionale…I nativi di Eretz Israel non sono un’unica
nazione, né costituiranno un’unica nazione per lungo tempo. Essi si adattano molto facilmente e
rapidamente ad ogni modello culturale superiore al loro introdotto dall’estero; non sono in grado di
unirsi e organizzare atti di resistenza alle influenze esterne; sono inadatti alla competitività tra
nazioni, e la loro competitività ha un carattere individuale e anarchico.
6
B.Borochov, La nostra piattaforma, 1906
7
B.Bochorov, On the Question of Zionism and Territory, 1905
13
Prediceva Borokhov: “Saranno gli immigrati ebrei a sostenere lo sviluppo delle forze produttive
di Eretz Israel, e la popolazione locale di Eretz Israel sarà presto assimilata economicamente e
culturalmente agli ebrei”8.
Per sostenere le sue argomentazioni Borochov ricorreva anche alle classificazioni razziali in voga
all’epoca in Europa. “La popolazione locale di Eretz Israel” affermava “è più simile agli ebrei per
composizione razziale che ad ogni altro dei popoli “semitici”…In tutti i casi tutti i viaggiatori
confermano che a parte l’uso della lingua araba è impossibile distinguere in alcun modo un facchino
sefardita e un semplice lavoratore o contadino arabo”9. Borokhov doveva fidarsi dei resoconti dei
viaggiatori perché egli stesso non mise mai piede in Palestina.
Curiosamente, nonostante la scarsa comprensione della goegrafia, della cultura e della storia della
regione, Borokhov sapeva qualcosa della comparsa di un movimento nazionalista arabo. In una nota a piè
di pagina de La nostra piattaforma egli riconobbe che i nazionalisti arabi includevano la Palestina nei
loro progetti e che “i nostri nemici di Sion10 vedono gli arabi come una terribile minaccia al sionismo”.
Ma egli liquidò il nazionalismo arabo come irrilevante poiché era certo che pur condividendo la stessa
lingua e religione i contadini palestinesi non avessero nulla in comune con gli arabi.
La pre-condizione per un massiccio afflusso di immigrati ebrei in Palestina e il loro eventuale
assorbimento della popolazione indigena era, naturalmente, la rimozione delle restrizioni del governo
ottomano alla libertà di ingresso per gli ebrei. Ma come raggiungere ciò? Come Syrkin, Borochov
riteneva che i governi antisemiti dei paesi europei abitati dalle masse ebraiche avrebbero spinto il governo
ottomano a concedere la libertà di ingresso degli ebrei, per facilitare la loro emigrazione e quindi liberarsi
di tali elementi indesiderati. Nel lungo periodo, la lotta di classe del proletariato ebraico avrebbe
contribuito al rovesciamento di quei regimi reazionari, e i nuovi governi democratici, insediatisi con
l’aiuto degli ebrei, avrebbero ricompensato questi ultimi costringendo il sultano ottomano a dare loro
libero accesso in Palestina11.
I bisogni della popolazione palestinese indigena non rientravano nella visione presente o futura di
Borokhov. Di fatto il suo edificio teorico poggiava sulla negazione dell’esistenza di una società araba
coesa in Palestina, e sulla rappresentazione della popolazione indigena come nient’altro che una massa di
contadini arretrati, eterogenei e senza radici. In questo senso il teorico socialista-sionista fu davvero un
uomo del suo tempo. Sicuramente vi era all’epoca molto dibattito nel movimento socialdemocratico
europeo sulle relazioni tra l’internazionalismo proletario e i diritti nazionali dei popoli oppressi (inclusi
gli ebrei) entro gli imperi multietnici d’Europa, specialmente la Russia zarista e l’Austria-Ungheria degli
Asburgo. I socialdemocratici europei erano anche impegnati a mitigare gli aspetti più feroci del
colonialismo europeo e a renderlo più benigno, contrastando il militarismo e lo sciovinismo che essi ben
conoscevano e che le forze reazionarie in Europa impiegavano contro lo stesso movimento
socialdemocratico. Prima della Prima guerra mondiale, ben pochi socialisti rifiutavano in toto il
colonialismo o criticavano i suoi assunti di fondo, e molti condividevano con i loro nemici di classe la
ferma convinzione della superiorità della civiltà europea e il conseguente diritto (se non dovere) degli
europei di governare sui popoli meno avanzati. Il principio dell’autodeterminazione nazionale, che molti
socialisti europei erano pronti ad accettare riguardo ai popoli europei, non era applicato per i popoli non-
europei, che erano visti più o meno come bambini bisognosi della benevola tutela occidentale. Si riteneva
che i futuri governi socialisti in Europa avrebbero di certo esercitato una tutela più benigna di quella dei
regimi borghesi, e non avrebbero esercitato un dominio coloniale tale da suscitare l’irredentismo
nazionale. Ma il diritto degli europei di condividere o imporre ai non-europei il proprio superiore
modello, incluso il socialismo, era dato largamente per scontato.
Sia Syrkin che Borokhov ritenevano che la Palestina alla fine sarebbe stata assegnata agli ebrei dai
governi europei, reazionari, antisemiti, democratici o socialisti che fossero. I bisogni della popolazione
indigena semplicemente erano qualcosa di cui neanche i sionisti socialisti dovevano tener conto. Mentre
Syrikin s’immaginava l’emigrazione di quella popolazione per far posto agli ebrei, Borokhov
semplicemente pensava che gli abitanti arabi della Palestina sarebbero scomparsi attraverso
l’assimilazione agli ebrei economicamente e culturalmente più avanzati. Nelle previsioni di Borokhov
8
B.Borochov, La nostra piattaforma, 1906
9
B.Bochorov, On the Question of Zionism and Territory, 1905
10
Per “nemici di Sion” Borokhov intende i socialisti antisionisti o i sionisti territorialisti.
11
B.Borochov, La nostra piattaforma, 1906
14
vediamo la sintesi di concezioni sui popoli non-europei che erano al centro del pensiero colonialista, e
una versione del marxismo assai simile al più crudo determinismo economico.
Negli anni che seguirono la pubblicazione dei suoi principali lavori teorici e programmatici,
Borokhov avrebbe soltanto accennato alla popolazione indigena della Palestina. Nei suoi ultimi scritti egli
occasionalmente usò il termine “arabi”, ma non abbandonò mai l’idea che non questi ultimi costituissero
un’entità nazionale distinta, e che non avessero alcun diritto sulla Palestina. Nonostante alcune
espressioni di riconoscimento per la resistenza ottomana all’invasione straniera nei primi anni della Prima
guerra mondiale, egli e il suo movimento ricollegarono sempre all’antisemitismo ogni opposizione araba
e ottomana al sionismo. Così nell’estate 1911 il terzo congresso mondiale dei Lavoratori di Sion, che
riuniva partiti socialisti-sionisti di vari paesi, nella risoluzione finale affermò nell’estate 1911 che “vi sono
state recentemente alcune manifestazioni di antisemitismo tra alcuni segmenti della comunità araba di
Eretz Israel e anche in alcuni elementi della società turca, manifestazioni che causano conflitti e scontri e
creano ostacoli politico-legali all’immigrazione e insediamento degli ebrei in Palestina”.
In questa risoluzione vi sono anche altri elementi centrali per la concezione sionista-laburista della
Palestina e dei suoi abitanti. In primo luogo, proclamando il supporto di Poalei Zion all’integrità
territoriale dell’impero ottomano e la sua solidarietà con le forze progressiste e democratiche di
quell’impero, essa dichiarava anche che “le nostre aspirazioni viaggiano di pari passo con lo sviluppo
delle forze produttive in Eretz Israel e con gli interessi della democrazia ottomana”. Questa formulazione
rispecchia l’autorappresentazione del borokhovismo come applicazione fedele della necessità storica,
un’immagine legata alla sua intepretazione meccanicistica del marxismo. Con lo sviluppo delle forze
produttive il proletariato ebraico sarebbe cresciuto in ampiezza e forza, incrementando la propria lotta di
classe che avrebbe contribuito anche a quella per la democrazia ottomana. Di qui il carattere benefico e
necessario del sionismo borokhoviano. In questa concezione vi era ben poco spazio per le aspirazioni
della popolazione arabo-palestinese, che come abbiamo visto era stata definita più o meno inesistente.
La risoluzione del 1911 conteneva anche quella che sarebbe divenuta la principale giustificazione
addotta per difendere il sionismo laburista dalla critica che i diritti nazionali della maggioranza indigena
erano violati. L’argomento consisteva nel fatto che il paese dovesse appartenere a coloro che lo avevano
reso produttivo. Gli immigrati ebrei si erano insediati quando la Palestina era un luogo sterile, tramite il
loro appassionato lavoro l’avevano resa fertile e produttiva, e questo atto di redenzione quasi sacro aveva
loro conferito i diritti sul paese. Implicita in questa rappresentazione vi era un’accusa verso gli arabi,
dipinti come se avessero abbandonato, ignorato e rovinato quel luogo, e dunque non ne avessero diritto.
Un’altra parte di questa risoluzione mostra un altro tema di grande rilevanza nella concezione
sionista laburista delle relazioni con gli arabi palestinesi, in particolare con i proletari. Da un lato essa
dipingeva l’opposizione araba al sionismo come puro e semplice antisemitismo, paragonando
implicitamente i contadini palestinesi ai pogromisti russi o ucraini, esaltati dall’alcool, che gli ebrei
dell’Europa orientale ben conoscevano. Dall’altro lato la risoluzione invitava alla riconciliazione e alla
comprensione reciproca con “gli elementi popolari tra gli abitanti arabi di Eretz Israel”. Come vedremo,
con questa formulazione si marcava la distinzione tra “elementi popolari” potenzialmente amichevoli
della popolazione araba e altri presumibilmente ostili. La distinzione sionista laburista tra masse operaie
arabe benevole (se arretrate) e un’elìte pericolosa (perché nazionalista e antisionista) avrebbe rafforzato
non solo la convinzione di un’oggettiva propensione al sionismo dei lavoratori arabi ma anche un
duraturo rifiuto dell’autenticità, della legittimità e del radicamento di massa del nazionalismo arabo-
palestinese.
12
Le citazioni provengono dalle opere complete di Borokhov in ebraico.
16
immigrati della Seconda Aliyah presto lasciarono la Palestina, o rientrando in Europa o (più spesso)
proseguendo il viaggio verso un’altra più ricca e attraente “terra promessa”: gli Stati Uniti d’America.
13
Fonte ebraica.
17
intendesse costruire una Palestina socialista con le sue sole forze, fu spinto dalle circostanze a cercare
l’appoggio della borghesia sionista per realizzare l’obiettivo di creare una classe operaia ebraica nella
“terra promessa”. Il sociologo Michael Shalev ha descritto questa relazione come “un’alleanza di fatto tra
un movimento coloniale senza coloni e un movimento operaio senza operai”14.
Fu soltanto dopo la Prima guerra mondiale che il movimento sionista laburista – unificato dal
1920 nella Organizzazione generale dei Lavoratori Ebrei della Terra d’Israele (meglio nota come
Histadrut, “organizzazione” in ebraico) – fu in grado di creare un suo sviluppo economico autonomo, con
l’aiuto e i fondi del movimento sionista. Questo nuovo sviluppo inzialmente fu lento, ma alla fine
l’Histadrut stessa divenne una delle più grandi aziende dell’Yishuv (e poi di Israele), fornendo numerosi
servizi sociali e culturali e molti nuovi posti di lavoro. Alle imprese urbane controllate dall’Histadrut si
aggiunsero nuove forme di insediamento agricolo, massicciamente sostenute dalle istituzioni del
movimento sionista: si trattava del kibbutz, una fattoria collettiva i cui primi esempi risalgono a prima
della Prima guerra mondiale, e del villaggio cooperativo di piccoli proprietari, il primo dei quali fu creato
nel 1920. Questi nuovi tipi di insediamento, garantendo un maggiore assorbimento di immigrati e un
migliore uso del loro lavoro, sembravano superare i problemi del moshava di più grandi dimensioni che
aveva caratterizzato la Prima Aliyah.
La creazione di un settore economico separato e di livello superiore, insieme all’enfasi sulla lotta
per il lavoro ebraico, portarono all’abbandono del borokhovismo ortodosso e alla comparsa di una nuova
dottrina talvolta indicata con il termine “costruttivismo”. Questo nuovo sviluppo teorico poneva la classe
operaia ebraica in Palestina nel ruolo di soggetto storico deputato alla realizzazione del progetto sionista.
Si passò dunque dall’idea della lotta di classe in un’economia dominata dai capitalisti ebrei all’obiettivo
di costruire in Palestina un’economia ebraica autonoma, fondata sul lavoro e con il supporto di elementi
non proletari del movimento sionista e anche di capitalisti. Questo obiettivo richiedeva la mobilitazione
delle energie della classe operaia attraverso un apparato molto centralizzato e burocratico, incessanti
appelli al sacrificio e al duro lavoro, e l’insistenza sulla costruzione della nazione. La dedizione dei
lavoratori ebrei verso la propria nazione veniva ora indicata come il fattore decisivo nella lotta per la
realizzazione del sionismo.
Facendo leva sul controllo di un ampio insieme di istituzioni politiche, economiche, sociali e
culturali che coinvolgevano una larga parte della popolazione dell’Yishuv, il sionismo laburista riuscì
infine ad assumere una posizione egemone entro il movimento sionista, sancita dalla nomina nel 1935 di
David Ben-Gurion a capo dell’esecutivo dell’Agenzia Ebraica, l’effettivo organo di direzione politica
dell’Yishuv.
Un altro evento significativo per il sionismo in questo periodo fu l’impegno del governo inglese,
attraverso la Dichiarazione Balfour del novembre 1917, a sostenere il progetto di creazione di una “casa
nazionale” ebraica in Palestina. Il governo inglese in questo modo intendeva assicurarsi l’appoggio alla
causa alleata da parte degli ebrei in Russia e negli Stati Uniti, e pianificare un nuovo Medio Oriente post-
bellico. Il sionismo dal canto suo aveva finalmente acquisito quel grande alleato che cercava sin dai tempi
di Herzl. Dopo la guerra, la Gran Bretagna creò in Palestina un’entità distinta, insediò un proprio governo
(sottoforma di “mandato” della Società delle Nazioni) e facilitò in vari modi il progetto sionista.
L’alleanza anglo-sionista non fu priva di tensioni, e iniziò a rompersi appena prima dell’inizio
della Seconda guerra mondiale, quando gli interessi delle due parti andarono in direzioni opposte.
Ciononostante è chiaro che il governo coloniale inglese in Palestina, di fronte alla crescente opposizione
nazionalista arabo-palestinese al sionismo, aprì la strada all’immigrazione ebraica e allo sviluppo
dell’Yishuv in una maniera che sarebbe stata inimmaginabile con la prosecuzione del governo ottomano o
la creazione di un governo arabo indipendente. Il successo della strategia sionista laburista sarebbe stato
impossibile senza l’aiuto di un governo coloniale amico che contenne la maggioranza indigena (che nel
1947 ammontava ancora a due terzi della popolazione totale del paese) fino a che l’Yishuv non fu in
grado di “cavarsela da solo”.
14
Gershon Shafir, Land, Labor and the Origins of the Israeli-Palestinian Conflict, 1882-1914, 1989
18
2
IL SIONISMO LABURISTA
E LA CLASSE OPERAIA ARABA
(1920 – 1929)
Sebbene il periodo della Seconda Aliyah (1903 – 14) avesse visto alcuni episodi di conflitto
arabo-ebraico, allora era ancora possibile per molti sionisti ignorare la questione delle relazioni tra arabi
ed ebrei in Palestina, o considerarla un tema di marginale importanza. Pochi anni dopo tale atteggiamento
divenne pressoché impossibile. La conquista della Palestina da parte inglese durante la Prima guerra
mondiale, la crescita sotto la leadership hashemita di un movimento nazionalista arabo il cui obiettivo era
la creazione di uno stato arabo indipendente che includesse la Palestina, la Dichiarazione Balfour del
novembre 1917, l’istituzione del Mandato inglese, l’evidente sviluppo in Palestina di un’opposizione
nazionalista araba organizzata al sionismo e al governo inglese – tutti questi elementi obbligarono il
movimento sionista laburista durante la Terza Aliyah (1918 – 23) ad affrontare la questione araba molto
più seriamente e direttamente. L’urgenza del tema divenne ancor più chiara dopo lo scoppio di violenze
arabe contro gli ebrei a Gerusalemme (1920) e Jaffa (1921).
Durante i primi anni del Mandato furono compiuti numerosi tentativi di venire a capo dei dilemmi
teorici e pratici che l’autodeterminazione araba poneva al sionismo di sinistra. Questi tentativi
includevano elementi della concezione sionista-socialista prebellica sviluppandoli in uno schema più
coerente e sistematico, anche rispetto alle esigenze politiche immediate. Uno dei più seri e autorevoli di
tali tentativi fu il saggio del 1921 intitolato Il movimento arabo, di Yitzhak Ben-Tzvi. Questo saggio
contiene molti degli elementi costitutivi della concezione sionista-laburista sugli arabi nei decenni a
venire, e perciò merita un’attenta lettura.
E se si giudica da questi resoconti sembra che vi sia un forte movimento arabo in Palestina rivolto
contro di noi. E paragonandolo ad altri movimenti nazionali a noi noti presso altri popoli e paesi,
sorgerà facilmente l’illusoria impressione che questo movimento arabo poggi su una solida base
popolare, che sia nell’interesse delle masse proletarie arabe e che dunque possegga il carattere di un
movimento per la liberazione e il progresso dell’uomo. E non solo, ma abbiamo già ebrei di
“orientamento arabo”, così come ne abbiamo troppi con orientamenti polacchi, ucraini, russi etc.
Costoro diffamano il movimento di liberazione nazionale ebraico, e il sionismo in genere, con la falsa
accusa che esso esiste solo come agente dell’imperialismo europeo per soffocare il movimento di
liberazione del popolo arabo, e che il suo scopo è sfruttare e schiavizzare le masse proletarie arabe15.
Era necessario a questo punto dimostrare esplicitamente che non vi era contraddizione tra il
sionismo e gli interessi obiettivi della popolazione indigena della Palestina. Uno o due decenni prima la
questione aveva avuto un peso minore nella teoria e nella pratica sionista socialista; ora assumeva un
ruolo centrale e Ben-Tzvi affermò non era corretto parlare di una singola nazione araba, data l’assenza di
condizioni sociali, economiche e politiche per l’unità del popoli di lingua araba. Il nazionalismo arabo-
palestinese essenzialmente non era un qualcosa di genuino. Le sue rivendicazioni – opposizione
all’immigrazione ebraica, all’insediamento e alla Dichiarazione Balfour – erano del tutto negative,
riflesso del fatto che non fosse un vero movimento popolare radicato nella masse proletarie arabe.
Piuttosto, era una creazione artificiale destinata a fare gli interessi dei grandi proprietari terrieri arabo-
palestinesi, degli speculatori finanziari e dei religiosi, che volevano perpetuare il loro dominio e
sfruttamento sui contadini e operai arabi.
Nell’analisi di Ben-Tzvi, fondata sul marxismo economicista che egli condivideva col suo amico e
mentore Borokhov, erano gli interessi economici dell’elite terriera araba a generare l’ostilità al sionismo.
I proprietari e i loro lacchè temevano che “gli immigrati arriveranno e si insedieranno e impediranno per
sempre agli effendi16 di impadronirsi dei terreni incolti per sfruttarli e speculare, mettendo così a
repentaglio il futuro stesso di questa classe”. Costoro si opponevano al sionismo anche perché sapevano
che l’immigrazione ebraica avrebbe minato il loro dominio sui contadini, che traevano beneficio dalla
presenza degli ebrei e dalle opportunità di ricchezza e sviluppo che essi portavano. Ben-Tzvi ribadiva che
il contadino arabo in Palestina
non subisce l’immigrazione ebraica, ma il dominio del suo effendi e lo sfruttamento da parte del
cittadino di medesima razza e religione che fa da tramite tra lui e l’effendi…ha interesse per il nuovo
regime17 che gli assicura pace e sicurezza da ladri e banditi, specialmente dai beduini che compiono
scorrerie dal deserto alle terre abitate devastandole senza sosta; il contadino ha interesse per un
regime che eleva il livello culturale e garantisce giustizia e protezione dalle estorsioni. Il contadino ha
anche interesse nell’espansione dello sviluppo industriale e nell’aumento del numero dei proletari, il
che necessariamente deriva dall’immigrazione ebraica. Dunque il contadino non si oppone
all’immigrazione…
15
Y. Ben-Tzvi, Il movimento arabo, 1921. Tutte le citazioni del paragrafo vengono da questa fonte.
16
“Signori”, termine nobiliare o di cortesia in uso in Turchia e nelle province orientali dell’impero ottomano.
17
quello inglese
20
Il sionismo dunque era considerato al servizio degli interessi – definiti in termini rigorosamente
economici – della maggior parte della popolazione palestinese. Questo era un vecchio argomento,
risalente a Herzl. Ma da quando fu innegabile l’esistenza di un movimento nazionalista palestinese
dichiaratamente anti-sionista, Ben-Tzvi dovette ampliare il suo ragionamento, e rifiutò di legittimare
l’antisionismo e il nazionalismo indigeni dipingendoli come strumenti, se non creazioni artificiose, di
un’elite reazionaria ansiosa di preservare i suoi privilegi e averi. Questo era un argomento relativamente
nuovo.
Ma le circostanze in cui Ben-Tzvi e il suo movimento agivano richiesero di allargare ulteriormente
il discorso, riesumando un altro vecchio tema per riadattarlo in termini socialisti. L’opinione pubblica
socialista e liberal-democratica cui Ben-Tzvi si rivolgeva tendeva ad accogliere il principio di
autodeterminazione dei popoli. Un compito centrale per il sionismo era dunque risolvere l’apparente
contraddizione tra il suo obiettivo di lungo termine – la creazione di una maggioranza ebraica e uno stato
in Palestina – e il fatto che per il momento la stragrande maggioranza della popolazione palestinese fosse
araba. Era necessario dimostrare che in questo contesto non vi era alcuna violazione del principio di
autodeterminazione dei popoli.
Per fare ciò Ben-Tzvi sviluppò un elemento della concezione sionista già presente nelle allusioni di
Herzl agli abitanti della Palestina come una “moltitudine mista”, e nell’ipotesi di Borokhov
sull’assimilazione. Ben-Tzvi trasformò queste caratterizzazioni piuttosto grossolane in una coerente
negazione dell’esistenza di un vero popolo palestinese. Solo i beduini erano di pura razza araba, affermò;
la restante popolazione non-ebrea era costituita da contadini e cittadini che
sono arabi per lingua e cultura ma per origine e razza sono misti e composti di diversi
elementi…Come dimostrato dalla composizione nazionale, religiosa e razziale, la popolazione di
questo paese non ha un carattere nazionale e non costituisce un’unica nazione ostile alla nuova
nazione nel paese, cioè Israele. Al contrario, questa popolazione è composta da gruppi religiosi e
nazionali differenti ciascuno dei quali ha un carattere più o meno definito.
Usando dei criteri da lui definiti assolutamente oggettivi, Ben-Tzvi stabilì che gli abitanti della
Palestina erano divisi in undici distinte comunità. La più grande di queste, i musulmani sunniti,
comprendeva la maggioranza della popolazione del paese e un domani avrebbe forse potuto costituire un
distinto gruppo nazionale, ma non allo stato attuale a causa delle divisioni razziali, economiche e di
classe, e inoltre perché la nazionalità non era una categoria identitaria legittima per l’Islam. Gli altri
settori della popolazione erano molto meno numerosi, e di essi solo i non musulmani erano da
considerarsi possessori di caratteri nazionali.
La rappresentazione di Ben-Tzvi della popolazione palestinese, oltre a eliminare le basi per un
legittimo nazionalismo arabo palestinese, aveva il vantaggio supplementare di sovrastimare il peso
demografico e l’importanza politica dell’Yishuv. Al tempo in cui scriveva, gli ebrei costituivano circa il
10% della popolazione totale, ma nella rappresentazione di Ben-Tzvi venivano a costituire il secondo
gruppo per numerosità, e il primo per coesione nazionale. Gli ebrei erano inoltre la comunità più attiva,
energica e creativa del paese.
La conclusione di questa analisi era che “Non c’è ancora traccia di un movimento arabo unitario
tra gli abitanti di Eretz Israel. Il movimento arabo che pretende di essere nazionale non è altro che il
movimento di alcuni strati di possidenti di beni e terre, le famiglie abbienti del vecchio regime. Questo
movimento è diretto non contro gli ebrei, ma piuttosto contro i lavoratori della propria stessa etnia e
contro le altre etnie e comunità”. Quale doveva essere dunque l’atteggiamento della classe operaia
ebraica nei confronti “non dell’odierno movimento arabo, che non è nazionale e non ha contenuto
sociale, ma verso i vari elementi non ebraici che vivono a Sion?”. Ben-Tzvi riconosceva che in passato
erano stati compiuti molti errori e che la questione non era stata affrontata con la dovuta attenzione, ma
non offriva alcuna chiara soluzione. Concludeva in modo piuttosto vago:
Se prendiamo come punto di partenza gli interessi comuni dei lavoratori, e teniamo a mente gli
interessi di prosperità, progresso e giustizia sociale del nostro paese, allora troveremo facilmente la
strada per risolvere la nostra questione nazionale, e con essa la soluzione della questione delle
relazioni internazionali dal punto vista della classe operaia di Eretz Israel. Quale forma concreta
questa soluzione avrà, e quale sarà il programma pratico per raggiungere l’equilibrio nei rapporti tra
21
la classe operaia ebraica e i lavoratori di altri popoli che vivono nel nostro paese – questo è oggetto
di un’altra discussione, che va al di là dei limiti di questo studio.
NASCITA DELL’HISTADRUT
Negli anni ’20 la questione delle relazioni del movimento sionista laburista con la maggioranza
arabo-palestinese, e specialmente con la sua classe operaia, divenne persistente e complessa, non solo dal
punto di vista teorico ma anche come problema pratico. La cosa suscitò un ampio dibattito tra i vari partiti
che si contendevano l’influenza sui lavoratori ebrei di Palestina, e fu all’ordine del giorno all’inizio di
dicembre 1920 al congresso di fondazione di quella che sarebbe diventata la principale istituzione del
movimento sionista laburista in Palestina, l’Histadrut.
Dopo la guerra i sionisti laburisti in Palestina avvertivano come urgente necessità la creazione di
uno strumento organizzativo unitario al di sopra dei singoli partiti per dare maggior peso politico e sociale
al movimento nell’Yishuv. Dopo lunghi negoziati nel novembre 1920 si tennero le elezioni per i delegati
a un congresso dei lavoratori ebrei in Palestina. I votanti furono meno di 4.500 su una popolazione totale
ebraica di 80.000 – un chiaro segno della debolezza del movimento operaio ebraico cui la creazione del
nuovo organismo doveva rimediare18. Ahdut Haavoda fu l’organizzazione più forte rappresentata al
congresso che si riunì ad Haifa dopo le elezioni, e pur non avendo la maggioranza assoluta controllò
largamente i lavori in collaborazione con Hapoel Hatzair. La sede centrale dell’organizzazione fu fissata a
Tel Aviv, ma Haifa era i centro propulsore dell’industria, e il consiglio operaio di Haifa, controllato da
Ahdut Haavoda e negli anni ’30 dal MAPAI, fu una sorta di sezione locale dell’Histadrut in quell’area di
fondamentale importanza.
Ahdut Haavoda e Hapoel Hatzair consideravano la nuova Histadrut non come una federazione
sindacale sul modello europeo, ma piuttosto come uno strumento per favorire l’insediamento dei
lavoratori ebrei in Palestina e la costituzione di un “benessere comune” (commonwealth) ebraico. Questo
implicava ovviamente che l’Histadrut fosse un’organizzazione esclusivamente ebraica e non aperta a tutti
i lavoratori presenti in Palestina. Di qui l’aggettivo posto accanto al termine “lavoratori” nel nome
ufficiale: Organizzazione Generale dei Lavoratori Ebrei della Terra di Israele.
Questa concezione sulla struttura dell’Histadrut fu contrastata al congresso fondativo da un
piccolo ma battagliero gruppo del Partito Socialista dei Lavoratori (SWP), che insisteva anche sulla
necessità di affrontare la questione delle relazioni coi lavoratori arabi. L’SWP si era formato nell’autunno
del 1919 come ala sinistra del movimento dei Lavoratori di Sion (Poalei Zion), mentre Ahdut Haavoda ne
rappresentava l’ala destra. All’epoca era ancora possibile per i leader e attivisti dell’SWP insistere sul
fatto che non vi fosse contraddizione tra il supporto alla rivoluzione bolscevica e al Comintern da un lato
e l’impegno a costruire una patria ebraica in Palestina dall’altro. Il SWP denunciava Ahdut Haavoda per
la rinuncia alla lotta di classe, i legami con la risorta Seconda Internazionale, la cooperazione con
l’imperialismo inglese, l’alleanza con la borghesia ebraica, il tutto provato dall’adesione
all’Organizzazione Sionista Mondiale. Per contro il SWP si considerava un’alternativa rivoluzionaria ma
anche ebraica ad Ahdut Haavoda, una posizione che si potrebbe definire “bolscevico-sionista”. Questa
posizione sarebbe divenuta insostenibile, e in capo a un anno il SWP si divise in fazioni rivali19. Ma nel
particolare periodo 1919 – 21, quando la rivoluzione socialista mondiale sembrava imminente, queste
contraddizioni sembravano sanabili. Alcuni membri del partito immaginavano una marcia trionfale
dell’Armata Rossa fino in Palestina per liberarla dall’imperialismo inglese e trasformarla in una
repubblica sovietica ebraica.
Nel periodo prima e durante la fondazione dell’Histadrut, la posizione del SWP attirò significativo
supporto dai lavoratori ebrei in Palestina, specialmente dai nuovi arrivati dall’Europa orientale tra i quali
l’impatto galvanizzante della rivoluzione bolscevica era molto forte. L’opposizione a quanto era vissuto
da molti come un atteggiamento dominante e centralizzatore da parte di Ahdut Havoda, recava loro molta
simpatia.
La lotta per l’influenza sul proletariato ebraico avveniva anche nel campo culturale, sulla
questione della lingua. L’yiddish era la lingua madre delle masse ebraiche dell’Europa orientale, e molti
18
Yonathan Shapiro, The formative years of the Israeli Labour Party: the organization of power, 1919-1930, 1976.
19
Nel 1921 di fronte all’aut aut sulla questione dell’adesione al Comintern il SWP andò incontro a una scissione dalla quale
nacquero il Partito Comunista Palestinese, antisionista (che divenne la sezione della Terza Internazionale in Palestina), e il
gruppo Poalei Zion Smol (Lavoratori di Sion di Sinistra), sionista.
22
nuovi immigrati in Palestina rimanevano attaccati ad essa anche se iniziavano ad usare l’ebraico. Gli
attivisti del SWP usavano orgogliosamente l’yiddish nella propaganda e agitazione scritta e orale. Invece
Ahdut Haavoda vedeva l’yiddish come il linguaggio della vituperata Diaspora, e cercò di fare sì che
venisse parlato solo l’ebraico, la cui prevalenza nell’Yishuv era ritenuta essenziale per il progetto sionista
di edificazione di una nuova società ebraica. Coloro che parlavano yiddish erano sovente zittiti nei
meeting pubblici. Tuttavia nei primissimi anni ’20 la politica “solo lingua ebraica” impedì i tentativi di
Ahdut Haavoda di collegarsi a molti nuovi immigrati ebrei, favorendo indirettamente il SWP.
Nei dibattiti al congresso fondativo dell’Histadrut, i delegati del SWP criticarono la linea di Ahdut
Haavoda e Hapoel Hatzair per cui la nuova organizzazione dovesse essere esplicitamente sionista e aperta
esclusivamente ai lavoratori ebrei. Essi invece proposero che fossero istituite due organizzazioni: “una
federazione sindacale non partitica di tutti i lavoratori di Eretz Israel, senza limitazioni dovute alla
nazionalità o alle opinioni politiche” e “un’organizzazione di insediamento di tutti i lavoratori ebrei
impegnati nella costruzione di un centro socialista ebraico in Eretz Israel”. A completare questi due enti
occorreva “un consiglio operaio internazionale come organo politico dell’intera classe operaia del
paese, per tenere le redini del governo” – ovvero un soviet. Il SWP non rifiutava l’immigrazione e
l’insediamento, ma voleva che questi obiettivi fossero perseguiti da un’organismo apposito di lavoratori
ebrei, mentre la lotta di classe sarebbe stata condotta da un’organizzazione congiunta arabo-ebraica,
seppure in sezioni etnicamente separate.
La proposta del SWP ricevette un sostegno molto limitato. Lo statuto della neonata Histadrut non
faceva menzione esplicita dei lavoratori arabi, e venne varata una risoluzione che diceva che l’Histadrut
avrebbe “unito tutti i lavoratori del paese che vivono del proprio lavoro senza sfruttare il lavoro altrui,
per provvedere all’insediamento, ai problemi economici e anche culturali di tutti i lavoratori del paese,
per costruire una società del lavoro ebraico in Eretz Israel”. Va da sé che “tutti i lavoratori del paese” di
fatto significava solo i lavoratori ebrei.
20
Verbali dell’esecutivo dell’Histadrut 30 dicembre 1920.
23
numerico della classe operaia araba, legato allo sviluppo economico attraversato dalla Palestina nel corso
del decennio.
La società arabo-palestinese era ancora per lo più rurale, ma il naturale sviluppo demografico, una
crisi agraria e nuove opportunità di impiego nei centri urbani generarono una consistente immigrazione
dalla campagna, specialmente nelle città costiere in espansione di Jaffa e Haifa. Tra il 1922 e il 1931
secondo i censimenti la popolazione araba aumentò del 40% circa, ma la popolazione di Jaffa passò da
27.429 a 44.638 (+63%) e quella di Haifa da 18.240 a 34.148 (+87%). Alcuni immigrati erano stagionali
o temporanei, mentre altri si inurbarono stabilmente. In entrambi i casi, molti mantevano stretti legami
con i villaggi natii e la vita rurale. Questi nuovi arrivi accrebbero gli strati poveri nelle città e
aumentarono la competizione per il lavoro nell’edilizia, nei lavori pubblici, nei vari impieghi qualificati e
semiqualificati che venivano creati in particolare ad Haifa, principale porto e centro industriale della
Palestina. Molti membri del nuovo proletariato arabo si avvicinavano al sindacalismo.
Questo fenomeno era sotto gli occhi dei leader dell’Histadrut, e specialmente di coloro che erano
in contatto con lavoratori più avanzati come i ferrovieri. Fermo restando che a essere oggetto di maggiore
interesse e discussione era sempre il suo significato rispetto al progetto sionista, il fenomeno fu
interpretato anche in altre forme. All’epoca vi era in Palestina una significativa componente comunista,
negli anni ’20 ancora prevalentemente ebraica, che vedeva la classe operaia araba come campione
dell’indipendenza nazionale e del socialismo. Ma, come vedremo, nei primi anni ’20 anche tra molti
sionisti si fece strada una nuova concezione del lavoratore arabo, visto non più come una minaccia per il
lavoro ebraico ma come un potenziale alleato del sionismo, per cui venne proposta una strategia di
solidarietà di classe arabo-ebraica in forme che, si credeva, avrebbero avvantaggiato il sionismo.
Infine, negli anni ’20 divenne sempre più forte la voce degli stessi lavoratori arabi, con le loro
proprie prospettive e la loro presa di coscienza di bisogni e interessi. Quale che fosse la visione che la
controparte ebraica avesse di loro, i proletari arabi furono protagonisti autonomi di questo periodo.
Fino a pochi anni fa l’attività del proletario ebreo nel paese era quasi esclusivamente limitata a una
difficile e disperata lotta per il diritto a lavorare nelle poche imprese della comunità ebraica. Senza
saperlo e senza volerlo il lavoratore arabo, a causa del suo stato degradato, dei suoi bisogni limitati,
della sua cultura primitiva, ostacolava la possibilità di esistenza del lavoratore ebreo nella stessa
sfera del lavoro salariato…Ora le condizioni sono mutate. Ora il lavoratore ebreo e il lavoratore
arabo lavorano insieme nelle imprese del governo mandatario, ovvero in tutto il paese, e alla pari.
Ma le caratteristiche di questa “uguaglianza” sono ora determinate dal lavoratore con cultura e
bisogni più limitati; le paghe e le condizioni di lavoro sono determinate in base alle esigenze del
lavoratore arabo, una situazione negativa per il lavoratore ebreo. Il miglioramento delle condizioni di
21
Kuntres (periodico di Ahdut Haavoda), agosto 1921
25
lavoro degli ebrei in queste imprese non può essere immaginato senza la partecipazione attiva dei
lavoratori arabi. E la creazione di una forte organizzazione di classe di arabi ed ebrei è la condizione
necessaria per la sopravvivenza del lavoratore istruito in queste occupazioni.
Ben-Gurion concluse che “la creazione di un singolo fronte comune di tutti i lavoratori del paese
per soddisfare i propri interessi è diritto e dovere dei pionieri della cultura laburista in Palestina – è la
missione dei lavoratori ebrei. Non una missione metafisica o teologica, ma una missione che deriva ed è
condizionata dalla nostra situazione di vita e di lavoro in Palestina”22.
Mentre insisteva sul fatto che la cooperazione fosse vitale per i lavoratori arabi ed ebrei, Ben-
Gurion fu anche inflessibile nell’affermare che ciascun proletariato aveva propri obiettivi specifici che
richiedevano un certo grado di separazione organizzativa. In un discorso a un’assemblea del sindacato dei
ferrovieri nel 1924, egli affermò che
L’unità tra lavoratori di differenti nazioni può esistere solo sulla base della libertà e uguaglianza
delle nazioni. Per i lavoratori ci sono ambiti di interesse comune nei quali non vi è differenza tra
ebreo e arabo, o tra inglese e francese. Sono le cose che riguardano il lavoro: orari, salari, rapporti
col padrone, tutela dagli infortuni, diritto a organizzarsi eccetera. In tutti questi ambiti noi lavoriamo
insieme. E vi sono interessi che sono specifici dei lavoratori di ogni nazione, interessi specifici ma non
contraddittori che riguardano la cultura, la lingua, la libertà del popolo etc. In tutti questi ambiti ci
deve essere la completa autonomia e uguaglianza per i lavoratori di ciascuna nazione23.
Nello schema di Ben-Gurion e del suo partito, sindacati separati in luoghi di lavoro misti, o
almeno sezioni nazionali autonome all’interno di sindacati unitari, erano necessarie per assicurare il
perseguimento dei bisogni specifici dei lavoratori ebrei e arabi. La versione di organizzazione congiunta
da loro concepita avrebbe permesso ai lavoratori ebrei impiegati in luoghi di lavoro misti di migliorare la
loro situazione attraverso la cooperazione coi colleghi arabi mantenendo il carattere esclusivamente
ebraico dell’Histadrut e dei suoi sindacati, che avrebbero potuto quindi condurre i loro obiettivi sionisti
(“nazionali”), inclusa la lotta per il lavoro ebraico. Su questa base Ahdut Haavoda insisteva affinchè i
lavoratori arabi non fossero ammessi a far parte dell’Histadrut.
Questa concezione aveva anche un’importante dimensione politica. Con la rappresentazione del
proletariato araba che vi era sostenuta, poteva essere letta come una risposta all’emergere in Palestina di
un battagliero movimento nazionalista arabo che chiedeva la cessazione dell’immigrazione ebraica e
dell’acquisizione delle terre, la fine del mandato inglese e l’indipendenza della Palestina come stato
arabo. Nelle varie formulazioni di Ben-Gurion e del suo partito a metà degli anni ’20 si può evincere lo
sforzo di ridefinire con il linguaggio della solidarietà di classe il rifiuto sionista della autenticità e
legittimazione del nazionalismo arabo-palestinese, con i lavoratori arabi curiosamente eletti a potenziali
decisivi alleati del sionismo.
Ben-Gurion sviluppò queste argomentazioni affermando che il vero conflitto in Palestina non era
tra la maggioranza araba e il progetto sionista, come sostenuto dal nazionalismo arabo-palestinese, ma
piuttosto tra i lavoratori arabi e i loro oppressori arabi. Al falso nazionalismo arabo propagandato da
quegli oppressori, Ben-Gurion contrapponeva un’alleanza di classe tra lavoratori arabi ed ebrei fondata
sui loro interessi economici comuni. Questa alleanza secondo Ben-Gurion avrebbe giovato agli interessi
di entrambi i proletariati. I lavoratori ebrei, più avanzati, avrebbero aiutato i loro fratelli arabi schiavizzati
e ignoranti a liberarsi dai loro veri nemici, i loro compatrioti oppressori. In questa dinamica gli arabi si
sarebbero innalzati e trasformati in veri proletari, e avrebbero colto il carattere benefico e progressista del
progetto sionista. Allo stesso tempo, la solidarietà di classe arabo-ebraica (limitata ad alcuni ambiti)
avrebbe permesso di raggiungere l’obiettivo sionista della redenzione nazionale ebraica. A metà degli
anni ’20 Ben-Gurion sosteneva che senza una tale alleanza tra lavoratori arabi ed ebrei, il sionismo non
avrebbe potuto avere successo.
22
Kuntres, gennaio 1922
23
Kuntres, 14 marzo 1924
26
AFFERMAZIONE DELLA LINEA DI BEN-GURION
I significati politici ed economici della concezione di Ben-Gurion furono discussi in Ahdut
Haavoda nel corso del 1924. Il British Colonial Office e il governo mandatario avevano iniziato negoziati
con le leadership araba ed ebraica per costituire un consiglio legislativo, con poteri limitati. Ciò mise
l’Yishuv e il sionismo in una posizione difficile. Da un lato, la leadership sionista formalmente approvava
i principi di autogoverno e democrazia rappresentativa, e voleva giocare un ruolo governativo in
Palestina. Dall’altro non poteva accettare forme di rappresentanza in un paese in cui l’ampia maggioranza
della popolazione era araba (e quindi antisionista), da questo punto di vista era meglio l’amministrazione
coloniale inglese.
La questione del consiglio legislativo e quella delle relazioni tra lavoratori ebrei e arabi furono
dibattute al terzo congresso di Ahdut Haavoda, tenutosi a Ein Harod nel maggio 1924. Shlomo
Kaplanskij, veterano della Seconda Aliyah che guidava l’ala sinistra del partito, propose che Ahdut
Haavoda chiedesse l’immediata costituzione di un parlamento eletto democraticamente e con pieni poteri.
Kaplanskij riconobbe che questo parlamento sarebbe inevitabilmente stato a maggioranza araba, ma
riteneva che gli interessi dell’Yishuv sarebbero stati garantiti, e gli obiettivi di lungo termine del sionismo
raggiunti attraverso un accordo con la leadership nazionalista arabo-palestinese.
Ben-Gurion si oppose fermamente alla proposta di Kaplanskij. Sottolineando che il sionismo era
essenzialmente un progetto statale, chiese che tutte le proposte di organismo rappresentativo, anche se in
astratto democratico, fossero giudicate in base al vantaggio arrecato a quel progetto. In questo dibattito
Ben-Gurion indicò di nuovo il movimento nazionale arabo-palestinese come un giocattolo finto nelle
mani degli effendi: “Non dobbiamo temere di proclamare apertamente che tra noi, i lavoratori ebrei, e
gli attuali leader del movimento arabo, gli effendi, non c’è possibilità di dialogo”24. E proseguì:
E dunque, chiese con enfasi Ben-Gurion, con chi si deve accordare il sionismo, se con la leadership
araba non è possibile? “Dobbiamo percorrere la via più lunga e difficile – la via verso il lavoratore
arabo. C’è una piattaforma comune tra noi e i lavoratori arabi, anche se questa piattaforma esiste solo
come possibilità e non ancora come realtà”. E ancora: “Il lavoratore arabo è un elemento organico,
inseparabile del paese, come lo sono le sue montagne e le sue valli”. Era compito dei lavoratori ebrei
elevare i lavoratori arabi al di sopra della povertà e dell’ignoranza, non per carità ma nel proprio interesse.
Il destino del lavoratore ebreo è legato al destino del lavoratore arabo. Insieme vinceremo, o
insieme perderemo. Il lavoratore ebreo non lavorerà 8 ore al giorno se il lavoratore arabo sarà
costretto a lavorare 10 – 12 ore. Il lavoratore ebreo non prenderà 30 piastre al giorno se il lavoratore
arabo ne prende 15 o meno…Dobbiamo cercare accordo e intesa con il popolo arabo soltanto
attraverso il lavoratore arabo, e solo un alleanza tra lavoratori ebrei e arabi permetterà l’alleanza tra
popolo ebraico e arabo in Palestina.
Dunque la classe operaia araba in questo periodo aveva un ruolo significativo nella concezione di
Ben-Gurion. Essa rappresentava per il pensiero sionista laburista una sorta di deus ex machina per
compensare l’oggettiva debolezza del movimento operaio ebraico, un alleato per il successo finale del
progetto sionista laburista in una fase in cui una maggioranza ebraica in Palestina sembrava qualcosa di
molto lontano e difficilmente raggiungibile. Questa concezione affermava l’autenticità della classe
operaia araba della Palestina (“come le sue montagne e le sue valli”), ma nel contempo l’inautenticità del
movimento nazionalista palestinese. Il diritto all’autodeterminazione degli arabi era riconosciuto in linea
di principio, ma per essere immediatamente subordinato ai diritti, bisogni e interessi degli ebrei in
24
Le citazioni di Ben-Gurion provengono dal resoconto in ebraico del congresso.
27
Palestina. L’opposizione araba su base nazionalista all’immigrazione ebraica, e al sionismo in generale,
era per definizione illegittima, e il movimento nazionalista arabo andava combattuto non solo
nell’interesse degli ebrei ma anche nell’interesse delle masse arabe oppresse.
Il congresso di Ahdut Haavoda a Ein Harod approvò a larga maggioranza la linea di Ben-Gurion
contro quella di Kaplanskij. Nel gennaio 1922 l’Histadrut aveva già dato il via libera all’idea di
organizzazione congiunta tra i ferrovieri, dove il problema era più urgente, con una risoluzione per cui
tale organizzazione doveva essere “sulla base di sezioni nazionali” e mantenendo “la Jewish Railway
Workers’ Association come parte dell’Histadrut”. Dal punto di vista dell’ideologia sionista laburista
questa politica di “separazione e uguaglianza” aveva apparentemente la funzione di riconciliare il
conflitto tra sionismo e internazionalismo proletario. Allo stesso tempo, essa eliminava la minaccia per il
sionismo a per il lavoro ebraico insita nell’idea di un sindacato arabo-ebraico completamente interetnico,
e attraverso l’organizzazione sotto la tutela ebraica dei lavoratori arabi forniva uno strumento per cercare
di isolare questi ultimi dalla perniciosa infuenza degli attivisti nazionalisti e antisionisti arabi.
25
Walid Khalidi, All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated in 1948, 1992
30
Curiosamente, mentre l’Histadrut cercava di allontanare i non ebrei dalla cava di Nesher, essa
sostenne lo sciopero per l’aumento dei salari iniziato da 25 egiziani, 2 palestinesi e 7 ebrei impiegati in
un’altra cava a Yajur, diretta da un intermediario belga collegato a Nesher. In questo caso i lavoratori
ebrei di Nesher aiutarono gli scioperanti, e l’Histadrut intervenne in difesa degli egiziani quando si
paventava la loro deportazione. La contraddizione tra le due situazioni è solo apparente. Per l’Histadrut,
Nesher era lavoro ebraico: i posti di lavoro nel settore ebraico dell’economia palestinese dovevano andare
solo agli ebrei. Si riteneva che il movimento operaio ebraico fosse in una lotta vitale con il lavoro arabo
più a buon mercato, e avesse il diritto di difendere il proprio standard, e la propria stessa esistenza.
Commentando lo sciopero di Nesher, David Ben-Gurion ammise che la lotta dell’Histadrut per
allontanare i lavoratori arabi poteva “andare contro l’interesse personale dei lavoratori arabi assunti alla
cava”26. Ma aggiunse che la lotta degli ebrei per il lavoro e le paghe più alte avrebbe alla fine migliorato
la situazione economica di tutta la Palestina, creato nuovi e migliori impieghi anche nel settore arabo, e
dunque avvantaggiato i lavoratori arabi in quanto classe. Per Ben-Gurion non vi era stata alcuna
discriminazione etnica o nazionale: “Non è a causa del suo essere arabo che il lavoratore arabo mette a
repentaglio le opportunità di impiego dei lavoratori ebrei, ma a causa del suo essere non organizzato e in
competizione con altri”. Quale miglior prova di ciò del fatto che l’Histadrut supportava scioperi di
lavoratori non-ebrei ove la questione del lavoro ebraico non era in discussione? Di qui l’enfasi nella
pubblicazione su Kuntres di due lettere degli scioperanti egiziani di Yajur che ringraziavano l’Histadrut e
i lavoratori del cementificio di Nesher per il loro sostegno.
26
I commenti di Ben-Gurion provengono da fonte ebraica.
31
Nel marzo 1925 il Consiglio operaio di Haifa, in cui Ahdut Haavoda era il partito più forte, era
molto preoccupato del crescente peso di Poalei Zion Smol tra i ferrovieri e della sua intenzione di
collaborare con i salariati arabi. Per prevenire ciò il consiglio creò un comitato per reclutare lavoratori
arabi in un’organizzazione separata, che doveva avere un suo proprio ufficio di collocamento. Quando i
funzionari di Haifa si rivolsero alla sede centrale di Tel Aviv per reperire i fondi necessari al progetto,
ricevettero finalmente una risposta affermativa. Durante il 1925 furono così lanciate due iniziative: un
giornale in lingua araba (il primo del movimento sionista) e un “circolo” ad Haifa con la funzione di
coinvolgere e organizzare lavoratori arabi.
Il nuovo giornale, che iniziò a uscire in aprile, fu chiamato Ittihad al-Ummal (Unità operaia),
come (probabilmente per caso, un giornale operaio pubblicato l’anno precedente da un sindacato egiziano
legato al partito nazionalista Wafd). All’inizio l’editore fu lo stesso Ben-Tzvi; poi subentrò il dottor
Nissim Malul, giornalista di Gerusalemme. Quando Malul si trasferì a Baghdad, fu la volta della moglie
di questi, e poi di un altro ebreo arabofono.
Ittihad al-Ummal aveva un obiettivo politico ben preciso: come puntualizzò un funzionario
dell’Histadrut, esso cercava “di fornire al lavoratore arabo i concetti generali dell’internazionalismo
proletario, di fargli capire le attività e posizioni dell’Histadrut in Palestina, e di sviluppare la sua
coscienza di classe”27. Vi erano diversi articoli sulla storia, l’ideologia e i successi del movimento
sionista laburista e sulla struttura e funzioni dell’Histadrut e delle sue varie componenti. Il giornale
cercava anche di presentare il socialismo ai suoi lettori pubblicando una serie di classici, da Ferdinand
Lassalle ad altri, e la letteratura europea con la traduzione di scrittori come Maksim Gorkij e Oscar Wilde.
L’impatto di Ittihad al-Ummal sembra essere stato poco rilevante, poiché molti dei suoi destinatari
erano analfabeti e quelli che sapevano leggere erano per lo più nazionalisti ostili al sionismo. In ogni caso
la tiratura del giornale fu di circa 500 copie, che venivano distribuite gratuitamente soprattutto ai
lavoratori di Haifa: i fondi venivano dall’Histadrut e dall’esecutivo sionista. Su pressione dei sionisti
liberali che allargavano i cordoni della borsa, dal 1926 il giornale prestò meno attenzione al movimento
sionista laburista e di più all’Yishuv in generale.
Mentre lanciava la pubblicazione del giornale, l’Histadrut assunse un ebreo part-time come responsabile
per i lavoratori arabi ad Haifa, e un assistente arabo full-time, entrambi sotto la supervisione del Consiglio
operaio di Haifa. Il primo era Avraham Khalfon, nato a Tiberiade da una famiglia ebraica da tempo
stanziata in Palestina. Cresciuto ad Haifa, parlava un arabo fluente e aveva molti contatti con gli arabi
della città. Fedele sionista laburista e ben conosciuto da Ben-Tzvi, che era responsabile dell’attività araba
per il segretariato dell’Histadrut, Khalfon fu la logica scelta per ricoprire il nuovo ruolo. Il secondo era un
giovane arabo di nome Philip Hassun, a quanto pare originario della Transgiordania e figlio di un pastore
protestante. Hassun cercò di organizzare i lavoratori di Haifa soprattutto al porto, e aveva preso contatti
con militanti di Poalei Zion Smol al circolo dei ferrovieri. Buon oratore, con uno spiccato senso
dell’umorismo, Hassun acconsentì a lavorare come assistente di Khalfon dietro il notevole compenso di 8
sterline al mese. Negli anni, l’entusiasmo di Hassun per il sionismo socialista lo avrebbe reso ridicolo
anche agli occhi dei suoi colleghi ebrei. Nelle sue memorie Berl Repetur, che decenni dopo sarebbe
diventato segretario generale dell’Histadrut ma che all’epoca era un giovane operaio al porto di Haifa,
scrive che invitò Hassun a un incontro con due visitatori ebrei provenienti dall’Unione Sovietica, e che in
quella sede Hassun lo mise in imbarazzo con le sue celebrazioni di tutto ciò che il sionismo aveva fatto
per gli arabi di Palestina. Repetur afferma che tra gli ebrei Hassun era soprannominato per scherzo “il
gentile dell’Histadrut”28.
Nel luglio 1925, con un piccolo budget fornito dall’Histadrut, Khalfon e Hassun aprirono il
“General Workers’ Club” in un affollato rione arabo della parte vecchia di Haifa. Il circolo attirò subito
l’attenzione di parecchi artigiani qualificati, soprattutto falegnami e sarti. Esso offriva lezioni serali di
ebraico e letteratura araba, conferenze di vari esponenti sionisti laburisti, e giornali arabi di Palestina e
altrove. Attraverso il circolo alcuni lavoratori potevano anche accedere a un apposito corso di lingua al
Technion, l’istituto tecnico ebraico fondato ad Haifa poco prima della guerra. L’obiettivo principale del
circolo era comunque organizzare i lavoratori, e il primo risultato fu la creazione di un sindacato di
falegnami e sarti.
27
Fonte ebraica.
28
Fonte ebraica
32
LO SCIOPERO DEI FALEGNAMI E DEI SARTI
Il malcontento di entrambe le categorie per le paghe basse, la giornata lavorativa lunga e gli abusi
dei padroni durava già prima della presa di contatto con l’Histadrut, e furono gli stessi lavoratori che
chiesero a Khalfon e Hassun di aiutarli a organizzare uno sciopero. Dopo un periodo di titubanza
Khalfon, con l’avallo dell’esecutivo dell’Histadrut, nell’ottobre del 1925 decise che era giunto il
momento. A nome del General Workers’ Club Khalfon inviò lettere ai proprietari delle dodici manifatture
in cui i circa 100 falegnami erano impiegati, esponendo le rivendicazioni e chiedendo una risposta entro
dieci giorni. I padroni, che avevano a che fare per la prima volta con un’iniziativa di questo tipo,
semplicemente ignorarono le lettere. I falegnami, insieme a circa 30 sarti, scesero in sciopero sotto la
direzione di Khalfon e Hassun e con il sostegno dell’Histadrut.
Inizialmente lo sciopero fu pacifico, ma si arrivò allo scontro quando i padroni provarono a far
venire dei crumiri dalla vicina città di Acri. La polizia intervenne e arrestò alcuni scioperanti, ma l’abile
Khalfon riuscì a liberarli versando una cauzione e inviando all’ispettore capo della polizia inglese una
fornitura del suo whisky preferito. Ma nel prosieguo dello sciopero apparve chiaro che nonostante il
contributo finanziario dell’Histadrut e del sindacato dei ferrovieri gli scontri e gli arresti stavano
indebolendo la posizione dei lavoratori. Vi erano anche crescenti pressioni sui lavoratori da parte della
stampa araba locale e dei religiosi. Il più vecchio giornale di Haifa, al-Karmil, era fortemente antisionista,
e pur esprimendo simpatia per i lavoratori si diceva preoccupato che lo sciopero avrebbe giovato agli
interessi sionisti piuttosto che a quelli arabi palestinesi. “Temiamo” dichiarava al-Karmil “che l’obiettivo
di far scioperare gli arabi sia: 1) incitarli alla ribellione 2) creare problemi economici alle imprese
arabe 3) far lievitare i prezzi, cosicchè sia più facile la vendita per i prodotti ebrei e così l’aumento dei
posti di lavoro per loro. Avvertiamo i leader di questo movimento affinchè non cadano in trappola, anche
se apprezziamo la mobilitazione dei lavoratori”29.
Alcuni religiosi cristiani ripresero al-Karmil e altri giornali arabi. Il leader spirituale della
comunità cristiana maronita, padre Francesco, convocò venti scioperanti, chiese loro di non cooperare con
gli ebrei che diffondevano il bolscevismo in Palestina, e li esortò a formare il loro sindacato cristiano-
musulmano, libero da influenze ebraiche. Secondo quanto concordato con l’Histadrut, gli arabi
replicarono che l’Internazionale Socialista aveva delegato l’Histadrut a organizzare i lavoratori in Medio
Oriente, e dunque essi dovevano fare riferimento ad essa. Ovviamente l’Internazionale non aveva fatto
una simile delega. Pare che gli scioperanti dissero anche al religioso che non c’era nulla da temere dai
lavoratori ebrei perché questi ultimi non avrebbero accettato le misere paghe dei lavoratori arabi. Ciò
probabilmente era vero in quei settori, ma naturalmente uno dei motivi per cui l’Histadrut aiutava gli
arabi a ottenere salari migliori era per far diventare quei posti di lavoro appetibili per gli ebrei.
Dopo un incontro con alcuni scioperanti Najib Nassar, editore di al-Karmil, invitò le parti in causa
presso la direzione del giornale per trovare un accordo. Gli scioperanti volevano che Khalfon e Hassun li
accompagnassero. Nassar non gradì l’arrivo dei funzionari di quella che il suo giornale definiva
“l’associazione dei lavoratori sionisti”, ma alla fine i due poterono rimanere come osservatori. Dopo
alcune ore di negoziato fu raggiunto un accordo in seguito al quale due settimane dopo lo sciopero
terminò. Se si pensa alle condizioni da cui partivano, lavoratori ottennero risultati non da poco: giornata
lavorativa di nove ore, pausa pranzo di mezzora, e il pagamento di sette giorni di malattia all’anno.
Nel suo resoconto dell’accordo, al-Karmil espresse la speranza che d’ora in avanti in ogni azienda
si formasse una “corporazione” di imprenditori e lavoratori per risolvere le varie questioni e quindi
“bloccare il coinvolgimento dei sionisti in ciò che riguarda i lavoratori arabi”30. I fatti dell’ottobre 1925
indussero Nassar e altri elementi della borghesia araba di Haifa a prestare più attenzione alle questioni
sociali relative al nascente movimento operaio arabo, soprattutto per timore che i sionisti (che loro
credevano anche portatori del virus del bolscevismo) potessero promuovere e sfruttare la lotta di classe
all’interno della comunità araba. Fu così che al-Karmil e altri giornali arabi conservatori iniziarono a
pubblicare notizie sulla PAWS, nata ad Haifa alcuni mesi prima, e più in generale a interessarsi al lavoro
arabo e a promuovere la formazione di sindacati arabi. Nell’estate 1927 Filastin, giornale di Jaffa,
esprimeva soddisfazione perché i lavoratori arabi finalmente sembravano ascoltare i suoi frequenti
ammonimenti che “i sindacati ebraici si interessano del lavoro arabo soltanto per i loro interessi, gli
29
Al-Karmil, 10 ottobre 1925
30
Al-Karmil, 21 ottobre 1925
33
interessi dei lavoratori ebrei, mentre il lavoratore arabo è soltanto uno strumento da usare per
minacciare il governo mandatario se questo non fornisce lavoro ben pagato agli ebrei”31. Il giornale
chiamava i lavoratori arabi ad abbandonare i sindacati ebraici e a formare le loro organizzazioni
autonome.
La leadership dell’Histadrut fu chiara nel ribadire la sua idea sull’organizzazione del lavoro arabo.
In visita ad Haifa durante lo sciopero dei falegnami e dei sarti, Ben-Gurion si congratulò con Khalfon: lo
sciopero era un ottimo risultato per il quale il sionismo laburista aveva lavorato molti anni. Ma, lo
ammonì, “Non andare troppo oltre. Tu sei il loro maestro, tu hai insegnato loro a scioperare. Hanno già
fatto passi importanti. Verrà un giorno, tra non molto, in cui Haji Amin al-Husseini verrà e si rivolgerà
ai lavoratori che tu hai allevato, per usarli contro di noi adoperando gli stessi mezzi che tu hai loro
insegnato”32. Ben-Gurion raccomandò a Khalfon di accettare la proposta di negoziato di Najib Nassar e di
far cessare in fretta lo sciopero.
Lo sciopero dell’ottobre 1925 in realtà non fu l’inizio, ma il punto più alto raggiunto
dall’Histadrut nell’organizzazione dei lavoratori arabi di Haifa. Alcuni lavoratori arabi parteciparono al
corteo e all’aduntata del Primo maggio 1926 organizzate dal Consiglio operaio di Haifa, ma in quel
periodo l’nfluenza del General Workers’ Club declinò rapidamente. In parte ciò fu dovuto al clima
economico deteriorato. Gli ultimi mesi del 1925 videro l’inizio di una depressione che in Palestina
sarebbe durata fino al 1929, con disoccupazione e calo dei salari sia per i lavoratori arabi che per gli ebrei.
La situazione nelle attvità edilizie di Haifa era complicata dalla presenza di un gran numero di falegnami
e altri artigiani provenienti dalla Siria, dove una rivolta nazionalista e la conseguente repressione di massa
da parte del governo coloniale francese aveva sconvolto la normale vita economica. L’altra causa del
declino del circolo di Haifa fu la crescente ostilità nei suoi confronti sia da parte dei nazionalisti arabi che
dei comunisti ebrei del PCP. Entrambi questi gruppi per ragioni diverse vedevano il circolo come uno
strumento dei sionisti per infiltrare e controllare la classe operaia araba. Philip Hassun era il principale
bersaglio dei nazionalisti, ed era additato come lacchè degli ebrei e traditore del suo popolo. Nel 1927 il
circolo era sull’orlo della chiusura, e al di fuori di Haifa gli sforzi dell’Histadrut di contattare i lavoratori
arabi erano senza esito.
Nel febbraio 1927 il tasso di disoccupazione nell’Yishuv raggiunse il 40% a Tel Aviv, e quattro
mesi dopo la compagnia consortile dell’Histadrut, la Solel Boneh, andò in bancarotta. Sia l’Histadrut che
l’esecutivo sionista dovettero tagliare i propri fondi, e quell’anno furono di più gli ebrei che lasciarono la
Palestina di quelli che vi entrarono. In conseguenza di questi tagli nella primavera del 1927 Khalfon
lasciò il General Workers’ Club e andò a fare il delegato ebraico alla segreteria del comune di Haifa, dove
l’Histadrut sperava che avrebbe potuto promuovere l’assunzione di ebrei da parte della municipalità. Nel
successivo quarto di secolo Khalfon fece carriera nell’amministrazione e divenne infine segretario
comunale. Hassun rimase al General Workers’ Club, ma il circolo era pieno di debiti e anche il suo posto
era in forse. Ittihad al-Ummal non uscì più regolarmente e dopo alcune sospensioni cessò le pubblicazioni
all’inizio del 1928, a causa del taglio dei fondi da parte dell’esecutivo sionista.
31
Filastin, 19 agosto 1927
32
Histadrut Archives
34
alla questione dell’organizzazione congiunta. Troppe preoccupazioni sul benessere degli arabi, o senso di
colpa per le possibili violazioni dei loro diritti erano considerate manifestazioni di un’insana “mentalità
galuth”, della Diaspora, inadeguata al progetto di ricostruzione nazionale ebraica.
L’analisi del problema da parte di Hapoel Hatzair fu sviluppata da Chaim Arlosoroff in un saggio
del 1927 intitolato Sulla questione dell’organizzazione congiunta, pubblicato come contributo al dibattito
sulla questione che precedette il terzo congresso dell’Histadrut. Nato in Ucraina nel 1899 ed emigrato in
Germania, dove studiò economia, Arlosoroff si stabilì in Palestina nel 1924 e divenne un alto dirigente di
Hapoel Hatzair. Quando nel 1930 fu fondato il MAPAI dalla fusione di Ahdut Havoda e Hapoel Hatzair,
egli ne divenne uno dei principali esponenti. Un anno dopo fu scelto per dirigere il dipartimento politico
dell’Agenzia Ebraica, che era stata costituita nel 1929 per coinvolgere ebrei sionisti e non-sionisti nello
sviluppo della “casa nazionale” in Palestina. L’esecutivo dell’Agenzia fu di fatto la leadership
dell’Yishuv, e la chiamata di Arlosoroff alla direzione del dipartimento politico, così come la presidenza
dell’esecutivo poi affidata a Ben-Gurion, segnarono l’ascesa del sionismo laburista nell’Yishuv e
nell’Organizzazione Sionista.
Nel suo saggio Arlosoroff dichiarava di basarsi su un’analisi economica strettamente realistica e
razionale, priva delle considerazioni ideologiche che a suo dire avevano fuorviato i leader di Ahdut
Havoda come Ben-Gurion. Arlosoroff accusava Ben-Gurion di non considerare la realtà obiettiva del
conflitto essenzialmente nazionale tra il più costoso lavoro ebraico e il meno costoso lavoro arabo. Egli
rifiutava l’idea che l’organizzazione congiunta potesse elevare il livello generale dei salari in Palestina e
dunque favorire il lavoro ebraico. Era convinto che la rappresentazione di Ben-Gurion di una nascente
classe operaia araba potenzialmente alleata al sionismo fosse solo fantasia. Secondo lui anche nella forma
prevista da Ahdut Havoda l’organizzazione congiunta avrebbe significato il disastro del progetto sionista.
Per corroborare la sua tesi Arlosoroff citava il caso del Sud Africa, dove vedeva condizioni simili
a quelle sperimentate dagli ebrei in Palestina. I lavoratori bianchi non erano in grado di competere in un
mercato del lavoro dominato da una massa di operai africani e indiani a basso costo. Essi si erano dunque
organizzati per assicurare l’imposizione di una “discriminazione razziale” che escludeva i non bianchi dai
lavori qualificati e ben pagati. Se i lavoratori arabi ed ebrei fossero stati in concorrenza nello stesso
mercato del lavoro, il risultato non solo sarebbe stato la cessazione dell’immigrazione ebraica in Palestina
ma anche la fuga dal paese. L’unica via d’uscita secondo Arlosoroff era costituire un’area economica
separata con altri salari, alta produttività e solo lavoro ebraico. Ciò è quanto già stava accadendo, ma
Arlosoroff voleva che il movimento fosse più chiaro sui suoi scopi e metodi.
Oltre all’edificazione di un’enclave economica ebraica separata, il movimento sionista laburista
cercava anche con mezzi politici di evitare i disagi di un mercato della forza lavoro nel quale i lavoratori
ebrei erano poco competitivi. Per esempio nella seconda metà degli anni ’20 l’Histadrut fece pressioni
sull’Ufficio Coloniale e il governo mandatario per introdurre un salario minimo del lavoro non
qualificato. Ciò avrebbe permesso di ridurre la competitività del lavoro arabo nei confronti di quello
ebraico. Le autorità inglesi non accolsero questa richiesta. L’Organizzazione Sionista e l’Histadrut
cercarono anche di far sì che dopo la crisi economica del 1925 le paghe dei lavoratori ebrei impiegati nei
lavori pubblici fossero più alte dei loro omologhi arabi. I funzionari inglesi si opposero anche a questa
richiesta, perché discriminava il lavoro arabo e perché alzava il costo del lavoro in generale. Tuttavia nel
1928 una commissione governativa documentava quattro diversi livelli di paghe per i lavoratori non
qualificati: lavoro arabo rurale 12 – 15 piastre, lavoro arabo urbano 14 – 17 piastre, lavoro ebraico
sindacalizzato 28 – 30 piastre, lavoro arabo non sindacalizzato 15 – 30 piastre33.
Allo stesso tempo, come vedremo, i funzionari sionisti pressavano incessantemente le autorità
britanniche a Gerusalemme e Londra per fare sì che agli ebrei fossero assegnati quanti più lavori e
contratti pubblici possibile. Per esempio, l’Organizzazione Sionista richiese che gli ebrei avessero il 50%
dei posti di lavoro creati dalla costruzione della nuova darsena del porto di Haifa, con paghe adeguate agli
standard dell’Histadrut. I sionisti giustificavano questa richiesta per il fatto che i contributi degli ebrei alla
tassazione governativa erano in proporzione più elevati della percentuale degli ebrei della popolazione
della Palestina. Ma i funzionari inglesi, specialmente in Palestina, non accolsero queste richieste perchè
esse avrebbero sostanzialmente elevato i costi di realizzazione del nuovo porto di Haifa.
33
Barbara Smith, The Roots of Separatism in Palestine: British Economic Policy, 1920-1929, 1993
35
DALLA “MISSIONE STORICA” ALLA “NON INTERFERENZA”
A partire dalla seconda metà degli anni ’20, la linea dominante del movimento sionista laburista di
fatto fu fermamente orientata alla lotta per il lavoro ebraico e allo sviluppo di un settore economico
ebraico separato. Ben-Gurion e il suo partito faticavano ad accettare questa realtà, che significava la
messa da parte dell’idea di solidarietà arabo-ebraica e di organizzazione congiunta. Nell’ottobre 1926, al
quinto congresso di Ahdut Haavoda, Ben-Gurion riconobbe che la difficile situazione del movimento
sionista laburista non consentiva di affrontare adeguatamente la questione dell’organizzazione congiunta,
ma chiese che da un punto di vista morale il partito continuasse a considerare il destino della classe
operaia ebraica in Palestina come indissolubilmente legato a quello della sua corrispondente araba. “E’
impossibile” disse Ben-Gurion “che noi possiamo avere successo nell’insediarci in Palestina…mentre il
lavoratore arabo resta disastrato e disorganizzato, ci fa concorrenza e ci vede come suo nemico”34.
In vista del congresso dell’Histadrut del 1927 sia Ben-Gurion che Ben-Tzvi formularono proposte
di mantenere attiva l’attività di coinvolgimento degli arabi in organismi contigui all’Histadrut ma
separati. Tuttavia di fatto i leader di Ahdut Haavoda non ponevano più la stessa enfasi di prima alla
“missione storica” dell’alleanza tra lavoratori arabi ed ebrei, in ciò avvicinandosi alle posizioni di Hapoel
Hatzair. La graduale convergenza ideologica dei due partiti avrebbe portato in capo a pochi anni alla
fondazione del MAPAI.
La diminuzione dell’interesse dell’Histadrut nell’organizzare i lavoratori arabi, e il suo
spostamento verso una linea che si potrebbe definire della “non interferenza”, coincise con il lancio di una
campagna per spingere i proprietari ebrei di agrumeti a mandare via i lavoratori arabi e ad assumere al
loro posto degli ebrei. La motivazione di questa ripresa della lotta per il lavoro ebraico risiedeva
nell’urgente necessità di alleviare la grave disoccupazione sopraggiunta nelle città, e anche per incanalare
il malcontento dei lavoratori ebrei nei confronti degli arabi, visti in questa fase come dei concorrenti che
toglievano loro il pane dalla bocca.
Il nuovo orientamento di Ahdut Haavoda dipendeva anche dal peso sociale comunque raggiunto
del movimento operaio ebraico in Palestina. L’Histadrut era passata da 4.433 iscritti al momento della
fondazione nel 1920 a circa 25.000 iscritti nel 1928. L’opposizione araba al sionismo c’era, ma alla fine
degli anni ’20 era divisa e inefficace, e il sostegno inglese alla casa nazionale ebraica sembrava saldo.
Tutti questi fattori facevano sì che l’enfasi sulla solidarietà arabo-ebraica fosse in netta diminuzione.
La tendenza emerse chiaramente al terzo congresso dell’Histadrut, svoltosi nel luglio 1927. Tra le
altre cose, il congresso doveva finalmente decidere su quale forma di organizzazione puntare nei luoghi di
lavoro misti. Nonostante il tema fosse secondario rispetto ad altri, salì ugualmente alla ribalta sin
dall’apertura, quando vari osservatori e ospiti presentarono i loro saluti ai delegati. Uno di questi fu Philip
Hassun, che affermò di parlare a nome dei lavoratori arabi organizzati dall’Histadrut ad Haifa. Hassun
elogiò l’organizzazione in termini ossequiosi e dichiarò che “il lavoratore arabo non dipende da altri che
dal lavoratore ebreo”. Detto da lui, impiegato dell’Histadrut, era vero.
L’oratore che intervenne dopo Hassun usò toni molti diversi. Era Ahmad Hamdi, e disse che
salutava il congresso da parte di un gruppo di circa 600 lavoratori arabi. Non sappiamo nulla di lui, ma
sembra che la sua partecipazione sia stata voluta da Poalei Zion Smol, e che i lavoratori da lui
rappresentati fossero quelli che volevano aderire all’Histadrut. Hamdi chiese ai lavoratori ebrei di aiutare
i lavoratori arabi a liberarsi dalla loro condizione degradata. Ma perché, domandò, i lavoratori ebrei si
vogliono isolare nella loro organizzazione separata?
Le organizzazioni separate sono pericolose. Non lasciamo che l’est e l’ovest, il sionismo e
l’arabismo, la Torah e il Corano creino divisioni tra noi. Quando i lavoratori arabi si avvicinano agli
ebrei, i loro nemici dicono “sionisti!” e altri dicono “comunisti!”. Dunque il lavoratore arabo è
confuso. Dobbiamo unirci e presentare rivendicazioni comuni al governo, che ignora i suoi doveri
verso gli operai e invece chiama la polizia e li fa mettere in prigione35.
Quello che Hamdi diceva era che il movimento operaio ebraico come tale non era sionista, e che la
distinzione doveva essere chiarita per non creare divisioni tra lavoratori ebrei e arabi.
34
Fonte ebraica
35
Histadrut Archives
36
Pare che queste affermazioni abbiano suscitato l’ira di Ben-Gurion, tanto che gli rispose
immediatamente. Il segretario dell’Histadrut dichiarò che mentre apprezzava ogni segno di vitalità da
parte dei lavoratori arabi, voleva che questi ultimi e gli intellettuali loro connazionali, almeno queste due
categorie, mettessero da parte “l’ostilità che gli effendi diffondevano nei confronti dell’impresa sionista”,
e capissero che “i lavoratori ebrei in Palestina sono i sionisti”, al che i delegati applaudirono. Aggiunse
Ben-Gurion:
Essi sono arrivati in Palestina solo grazie al sionismo. Non fosse stato per il sionismo, non ci
sarebbero 30.000 lavoratori organizzati in Palestina, non ci sarebbe questo congresso, né l’Histadrut
né il movimento che solleverà il lavoratore arabo dal degrado. E voglio dirti, compagno Hamdi, che
cos’è il sionismo. Tu dici che il lavoratore arabo è oppresso e la sua situazione degradante. Ma la
nostra situazione è anche peggiore. Se il lavoratore arabo lavora in condizioni difficili, le masse
ebraiche non hanno l’opportunità di lavorare. E il sionismo vuole portare le masse ebraiche in Eretz
Israel a lavorare, trasformare qui le masse ebraiche in lavoratori che porteranno al rafforzamento
delle masse arabe in Eretz Israel e nei paesi vicini…Questo è il sionismo: il ritorno delle masse
ebraiche in Eretz Israel e la loro trasformazione in forza lavoro produttiva, sulla quale si baserà il
futuro governo del paese36.
Ecco perché, disse Ben-Gurion, gli effendi combattevano il sionismo: questa nuova forza avrebbe
posto fine al loro arricchimento e ai loro soprusi: “Voi, i lavoratori arabi, non dovete salire sul carro
degli effendi nella loro guerra contro il sionismo. Noi crediamo che se la nostra forza cresce, cresce la
forza della classe operaia che libererà il paese, come Hamdi e i suoi compagni sperano”.
La principale proposta sull’organizzazione congiunta fu presentata da Ben-Tzvi, che criticò sia
l’insistenza di Hapoel Hatzair sulla completa separazione che la richiesta di Poalei Zion Smol di
ammettere gli arabi nell’Histadrut, ipotizzando invece “un’alleanza operaia internazionale” composta da
un’Histadrut di soli ebrei, alcuni sindacati esclusivamente arabi e sindacati “internazionali” con sezioni
separate nei luoghi di lavoro misti. Ci fu anche un’altra risoluzione, presentata dal “movimento dei
kibbutz”, costituito da nuove forze politiche provenienti dalla Terza Aliyah (1918 – 23) che organizzate
in Hashomer Hatzair avrebbero in seguito soppiantato Poalei Zion Smol all’ala sinistra dello
schieramento sionista.
Alla fine il congresso adottò una risoluzione alquanto vaga, che in sostanza era un compromesso
tra la posizione di Ahdut Haavoda e quella di Hapoel Hatzair. Essa affermava che il congresso
riconosceva la necessità di “cooperazione tra lavoratori arabi ed ebrei negli interessi vitali di entrambi”
ma subito precisava che “la base per l’azione comune è il riconoscimento dell’essenziale validità del
diritto all’immigrazione ebraica in Palestina”. Proseguiva proclamando la formazione di “un’alleanza
internazionale dei lavoratori di Palestina” sulla base di sindacati nazionali autonomi, ma aggiungeva in
una clausola che la struttura e gli obiettivi dell’Histadrut non sarebbero per nulla cambiati.
Sebbene le risoluzioni del 1927 fossero il culmine di anni di dibattito in seno al movimento
sionista, esse non portarono ad alcun effetto immediato. Stante gli obiettivi limitati, la crisi economica e
l’attenzione dell’Histadrut verso altri problemi, non furono assegnate nuove risorse all’organizzazione
dell’attività araba. Ittihad al-Ummal cessò le pubblicazioni pochi mesi dopo il congresso, mentre il
General Workers’ Club di Haifa chiuse i battenti nel 1928 o nel 1929. Poalei Zion Smol mantenne i
contatti con gli arabi di George Nassar a Jaffa, ma il loro gruppo era piccolo e isolato, e non aveva
influenza sulla crescente classe operaia araba della città.
Nel maggio 1929 David Hacohen, dirigente dell’Histadrut esperto di questioni economiche,
avvisò il segretariato che il dipartimento dei lavori pubblici del governo mandatario tendeva ad assumere
lavoratori arabi a basso salario, il che avrebbe reso impossibile per l’Histadrut ottenere appalti a livelli di
paga che andassero bene per gli ebrei. Egli propose che l’Histadrut riprendesse a organizzare i lavoratori
arabi, per mostrare al governo che “la strada della compressione dei salari arabi non sarebbe stata rose e
fiori”37. L’idea fu condivisa ma non ebbe un seguito pratico.
A complicare la situazione intervennero le crescenti tensioni politiche tra arabi ed ebrei a
proposito del diritto di accesso e culto al complesso del Monte del Tempio (al-Haram al-Sharif per gli
36
Fonte ebraica
37
Histadrut Archives
37
arabi) e del suo Muro Occidentale a Gerusalemme. Nell’agosto del 1929 queste tensioni sfociarono in una
settimana di violenza di massa in tutto il paese: 133 ebrei furono uccisi da dimostranti arabi, e 116 arabi
perirono per lo più per mano della polizia e dell’esercito inglese. La violenza e le uccisioni produssero un
vero e proprio “shock” nell’Yishuv e nel movimento sionista, e una varietà di reazioni. Ben-Gurion fu
spinto a rivalutare il suo atteggiamento verso il nazionalismo arabo-palestinese, fino ad allora da lui
liquidato come una frode degli effendi. Mostrando la sua caratteristica duttilità tattica, Ben-Gurion ora
iniziò a sostenere che era un errore ignorare o sottovalutare la profondità del sentimento nazionalista tra i
palestinesi. Il sionismo avrebbe dovuto fare un accordo con il movimento nazionalista arabo, anche con
quegli effendi che egli aveva criticato per dieci anni come sfruttatori che non avevano nulla in comune coi
lavoratori ebrei.
Questa nuova linea implicava anche una diminuzione dell’enfasi sulla classe operaia araba come
naturale alleato del progetto sionista, e dunque una diminuzione dell’investimento di risorse
nell’organizzazione dei lavoratori arabi sotto la tutela dell’Histadrut. In realtà negli anni ’30 i tentativi
sionisti laburisti di organizzare i lavoratori arabi non diminuirono, anzi in alcune fasi furono intensi, ma
vennero motivati in base a nuovi obiettivi e ragionamenti, diversi da quelli portati avanti nella decade
precedente.
38
3
I FERROVIERI IN PALESTINA I
(1919 – 1925)
lotta per l’unità arabo-ebraica
Anche se al giorno d’oggi sono ampiamente soppiantate dal trasporto su gomma, le ferrovie
palestinesi hanno una storia lunga e significativa. I primi progetti europei di costruzione di una strada
ferrata nel paese risalgono alla metà dell’Ottocento. Ma fu solo nel 1888 che Yosef Navon (1858 – 1934),
un ricco dignitario ebreo di Gerusalemme, ottenne dal sultano ottomano Abd al-Hamid la concessione per
costruire e gestire una ferrovia tra Jaffa, la più grande città e maggiore porto palestinese, e Gerusalemme,
fino alle colline. Navon poi vendette la concessione a una compagnia francese nata appositamente per
quel progetto. La ferrovia Jaffa – Gerusalemme fu completata nell’estate del 1892, e negli anni che
seguirono favorì la crescita economica del paese facilitando l’esportazione di agrumi e il turismo.
Il governo ottomano sviluppò a sua volta il sistema ferroviario palestinese collegandolo con la
Ferrovia dell’Hijaz. Quest’ultima, realizzata tra il 1900 e il 1908 con il sostegno finanziario ed economico
tedesco, aveva lo scopo di rafforzare il controllo ottomano sulla regione dell’Hijaz e le sue città sante, e di
favorire il pellegrinaggio musulmano annuale collegando Damasco alla Mecca; la linea tuttavia si fermò a
Medina. Nel 1905 fu completata una diramazione che collegava la Ferrovia dell’Hijaz nel sud della Siria
con Haifa sul Mediterraneo, passando per Daraa, Samakh, Beisan e Afula; nel 1913 venne aperto un
prolungamento da Haifa verso nord, fino ad Acri.
La Prima guerra mondiale vide la rapida espansione del sistema ferroviario palestinese, per lo più
per scopi militari. Con l’assistenza tecnica tedesca e la forza lavoro locale, per lo più contadini arabi ma
anche artigiani ebrei o di altre nazioni, gli ottomani costruirono linee a scartamento ridotto attraverso le
colline della Palestina centrale, da Afula a Jenin, Nablus, Tulkarem, per raggiungere infine Lydda, nella
39
piana costiera a sud-est di Jaffa. L’esercito prolungò la strada ferrata fino a Gaza e attraverso il Sinai, per
facilitare un’invasione ottomana dell’Egitto. Furono le forze armate inglesi, che a loro volta strapparono
la Palestina agli ottomani, a completare una linea permanente lungo la costa mediterranea, che correva da
al-Qantara, sul canale di Suez, fino ad Haifa passando per Gaza e Lydda. Quest’ultima città, che faceva
parte anche della Jaffa – Gerusalemme, divenne il corcevia principale del paese.
Dopo la fine della guerra il controllo delle ferrovie – comprese quella del Sinai e dell’Hijaz -
passò in mano alle Palestine Railways, Telegraph and Telephone, un’agenzia del nuovo governo
mandatario inglese in Palestina. La nuova amministrazione chiuse alcune linee sottoutilizzate ma negli
anni ne sviluppò altre già esistenti e ne costruì di nuove. La principale fu il prolungamento a nord della
linea costiera, da Haifa a Beirut e Tripoli in Libano. Alla fine del periodo mandatario vi erano in Palestina
290 miglia di ferrovia, che nel 1946 – 47 trasportarono 1,9 milioni di tonnellate di merci e circa 900.000
passeggeri.
Durante il periodo mandatario, le Palestine Railways furono una delle più grandi imprese di lavoro
salariato nel paese. Il numero degli addetti variava, ma in tempo di guerra esso arrivò nel 1943 al picco di
7.800. La maggior parte di questi erano contadini arabi non qualificati assunti per la costruzione e
manutenzione dei binari e dei vagoni, ma una consistente minoranza – più di 1.200 nel 1943 – erano
lavoratori qualificati e stabili, concentrati nelle officine ferroviarie alla periferia nord di Haifa e diffusi in
varie altre località del paese38.
38
Paul Cotterell, The Railways of Palestine and Israel, 1984
40
La prima ondata di immigrati ebrei incanalati nel settore ferroviario non durò a lungo. Guardando
retrospettivamente a quel periodo nel gennaio 1921, la leadership della RWA affermò che per i funzionari
sionisti essenzialmente si trattava di
…provvedere a un’occupazione per i giovani appena arrivati, che cercavano invano un impiego.
Volevano liberarsi di loro, e li inviarono nelle ferrovie. Ma in realtà non era materiale umano adatto
a conseguire la conquista del lavoro, e coloro che li dirigevano non erano realmente interessati a
creare le condizioni per facilitare loro l’accesso a quel settore. Dunque di quelli che furono assunti,
poche centinaia in tutto, solo alcuni rimasero, quelli che – per la loro determinazione a garantire agli
ebrei un posto di ferroviere – avevano pazienza sufficiente per sopportare le difficilissime
condizioni39.
Pochi ebrei erano disposti a tollerare a lungo le paghe basse, gli orari lunghi, le condizioni dure e le
vessazioni padronali caratteristiche del lavoro del ferroviere in Palestina, e appena trovavano un altro
lavoro andavano altrove. La leadership sionista labursita fu sempre in conflitto tra l’interesse materiale
dei singoli lavoratori e l’obiettivo strategico di introdurre il lavoro ebraico in questa infrastruttura vitale.
Soltanto migliorando i salari e le condizioni di lavoro essa poteva sperare di portare un certo numero di
ebrei a lavorare nelle ferrovie. Ma queste migliorie si potevano avere soltanto attraverso la cooperazione
coi lavoratori arabi, e tale cooperazione avrebbe potuto in realtà rafforzare la posizione degli arabi nel
settore, visto che erano la stragrande maggioranza. Il movimento sionista non riuscì mai a risolvere i
maniera soddisfacente questa contraddizione.
Le officine ferroviarie erano un misto di ogni nazionalità, ma i lavoratori arabi ed ebrei erano la
grande maggioranza. Una sorta di mutua comprensione prevaleva tra loro, a dispetto delle differenze
di lingua, costumi, tradizioni e livello di civiltà. La maggior parte degli ebrei veniva dall’Europa
orientale, soprattutto la Polonia, ed essi volevano impare l’arabo dai loro colleghi. La lingua comune
era l’arabo. C’erano alcuni ebrei europei che avevano fatto parte di movimenti socialisti, e quando il
sionismo interveniva direttamente negli affari dei lavoratori ebrei, arrivavano le risposte degli ebrei
39
Kuntres, 21 gennaio 1921
41
socialisti. C’erano violente discussioni tra i sostenitori della sinistra e quelli dell’Histadrut, aderenti
alla Seconda Internazionale; non erano discussioni astratte, ma relative all’atteggiamento verso il
movimento sionista, l’imperialismo inglese, il movimento nazionale arabo, la rivoluzione comunista in
Russia…i lavoratori ebrei guardavano ai loro colleghi arabi con il dovuto rispetto, poiché
riconoscevano che questi ultimi possedevano un alto livello di qualifica, sebbene non fossero
all’altezza degli ebrei in quanto a cultura40.
Forse la descrizione di Farah delle relazioni di ebrei e arabi è troppo rosea, ma sembra che
effettivamente le officine ferroviarie di Haifa fossero un luogo di lavoro particolare, per certi versi unico
in tutta la Palestina.
Nell’estate e autunno 1921 si tenne una serie di incontri nelle abitazioni dei ferrovieri arabi, in cui
questi ultimi espressero ai leader sindacali ebrei la volontà di creare un’organizzazione congiunta di tutti i
ferrovieri della Palestina, e anche di unirsi all’Histadrut. I membri della RWA, piuttosto confusi, si
rivolsero all’Histadrut per sapere cosa rispondere. In quel periodo la questione della “organizzazione
congiunta” era nel pieno del dibattito. Nel gennaio 1922, dovendo dare qualche indicazione ai ferrovieri,
il consiglio dell’Histadrut approvò la proposta di Ben-Gurion che un’organizzazione congiunta tra i
ferrovieri implicasse “organizzazione dei lavoratori sulla base di sezioni nazionali” e “mantenimento
della Jewish Railway Workers’ Association come parte dell’Histadrut”. Ogni lavoratore arabo che avesse
aderito alla RWA sarebbe dunque entrato in una sezione separata, mentre la sezione dei ferrovieri ebrei
sarebbe stata direttamente legata all’Histadrut.
Questa concezione venne criticata dalle forze della sinistra dentro l’Histadrut e tra i ferrovieri
ebrei, soprattutto quelli delle officine di Haifa dove Poalei Zion Smol e i comunisti avevano una notevole
presenza. Occorre tenere presente che i ferrovieri delle officine erano salariati urbani, lavoravano in un
ambiente etnicamente misto e in una città portuale che si avviava ad essere il principale centro industriale
della Palestina; per loro lo stato coloniale – il governo mandatario e le Palestine Railways da esso
dipendenti – era il diretto responsabile dello sfruttamento che subivano, il che li rendeva sensibili alle
posizioni più radicali delle forze politiche di sinistra.
Supponiamo che abbia successo, che accada il miracolo e che tutti gli arabi scendano in sciopero.
Diciamo che le cose andranno bene, e allora cosa chiederemo? Che Moshlin41 venga licenziato! E al
suo posto arriverà un arabo, o un inglese. Pochi giorni fa i ferrovieri ebrei hanno chiesto l’assunzione
40
Bulus Farah, Min al-'uthmaniyya ila al-dawla al-'ibriyya, 1984
41
Si trattava di un funzionario ebreo che l’Histadrut aveva fatto assumere nelle ferrovie ma che era assai malvisto.
42
di un funzionario ebreo, e ora sciopereranno per chiedere il licenziamento di un funzionario ebreo?
Tutte le decisioni riguardo a uno sciopero sono errate, la cosa non è fattibile da alcun punto di vista42.
Ben-Tzvi disse ai sindacalisti, che erano convinti attraverso lo sciopero di poter paralizzare le
ferrovie, di tenere calmi i lavoratori.
Ciononostante, il 1923 vide una nuova fase di attività politica e organizzativa da parte dei
ferrovieri. Il malcontento crebbe ulteriormente in seguito a una serie di licenziamenti senza preavviso e
senza indennità di licenziamento, all’incremento della giornata lavorativa fino a un massimo di sedici ore,
alla revoca del diritto a scegliere il giorno di riposo in base alla confessione religiosa, e alle vessazioni
continuate da parte di manager e capisquadra. Quando nel gennaio 1923 un gruppo di licenziati ebrei e
arabi autorizzarono formalmente due ebrei a chiedere alla direzione l’indennità di licenziamento, il
General Manager delle Palestine Railways, R.B.H. Holmes, rispose con sarcasmo:
A quanto mi risulta non vi è stata nessuna offerta da parte di questa Ferrovia che vi inducesse a
lasciare le vostre case in Europa per cercare lavoro in Palestina…Presumibilmente i lavoratori che
rappresentate sono venuti in Palestina sotto l’egida della Commissione Sionista e dunque
quell’organismo provvederà alla ricerca per loro di un nuovo impiego, dunque siete in una condizione
migliore dei vostri fratelli che abitano in Palestina da sempre e non hanno una Commissione che li
tuteli. Purtroppo è impossibile corrispondere l’indennità di licenziamento a personale che ha lavorato
in azienda per un periodo troppo breve43.
Questa lettera sprezzante, tipica dell’atteggiamento della direzione verso i sottoposti, servì solo a
esacerbare gli animi. Nei mesi successivi crebbe il numero degli arabi che partecipavano a incontri di
protesta promossi dalla URPTW e lavoravano a stretto contatto con quel sindacato. Venne chiesto
all’Histadrut di fornire un interprete arabo per facilitare le discussioni, e questa alla fine mise a
disposizione Avraham Khalfon. Le discussioni si svolgevano alla sede della URPTW e poi anche in un
vicino caffè arabo. Uno dei primi arabi a entrare in contatto in questo modo fu Ibrahim al-Asmar, un
caposquadra della sezione carri merci. Al-Asmar coinvolse un altro caposquadra, Ali al-Batal, calderaio.
Alla sede della URPTW iniziarono a tenersi conferenze sul sindacalismo, tradotte in arabo, e lezioni di
arabo ed ebraico, oltre a eventi sociali e culturali.
Il crescente coinvolgimento degli arabi rafforzò le posizioni e l’attività delle forze alla sinistra di
Ahdut Haavoda. Nel giugno del 1923 Ben-Tzvi venne a sapere che i comunisti del PCP stavano cercando
di convincere i ferrovieri a mettere il sindacato fuori dall’Histadrut. A luglio Ben-Tzvi e Ben-Gurion
intervennero personalmente per far cancellare la minaccia di sciopero dalla versione araba di un
documento di protesta redatto da lavoratori dell’area di Jaffa – Lydda.
Il confronto politico giunse al culmine in occasione del quinto congresso della URPTW, tenutosi
ad Haifa nel settembre 1923, al quale parteciparono 21 delegati ebrei in rappresentanza di 200 – 250
lavoratori sindacalizzati. Di questi circa 130 lavoravano ad Haifa, circa 50 a Gerusalemme e gli altri in
altre stazioni e linee. La forza lavoro totale nelle ferrovie all’epoca era di circa 2.000 addetti. La scarsa
percentuale di lavoratori ebrei faceva rendeva più necessaria che mai l’unità arabo-ebraica, e favorì le
posizioni di Poalei Zion Smol e del PCP. Per la prima volta due arabi – Ibrahim al-Asmar e Ali al-Batal –
presenziarono al congresso, in qualità di osservatori. Alcuni alti dirigenti dell’Histadrut, tra cui Ben Tzvi,
parteciparono al dibattito.
Fu presentata la richiesta della sinistra di cancellare la decisione del quarto congresso sulle sezioni
sindacali separate, e i comunisti chiesero l’uscita della URPTW dall’Histadrut. Quest’ultima richiesta
ricevette un sostegno limitato, e il congresso alla fine adottò una risoluzione di Poalei Zion Smol che
riaffermava l’affiliazione all’Histadrut ma chiedeva al successivo congresso di quest’ultima di
organizzare la propria attività sindacale su base interetnica (ovvero ammettendo gli arabi). Se l’Histadrut
non avesse fatto ciò, i ferrovieri avrebbero tenuto un referendum per decidere il distacco.
Il quinto congresso segnò dunque un’avanzata delle posizioni della sinistra rispetto a quelle di
Ahdut Haavoda. Questo fu chiaro nel nuovo statuto dell’URPTW, nel quale non si parlava di sezioni
nazionali ma si dichiarava che alla base del sindacato vi era “la lotta di classe”. Tuttavia Ahdut Haavoda
42
Verbali dell’esecutivo dell’Histadrut
43
Histadrut Archives
43
non rimase certo ai margini. Il più forte partito sionista laburista manteneva un consistente supprto tra i
ferrovieri ebrei, alcuni dei quali segretamente erano anche membri dell’Haganah, l’organizzazione
militare clandestina controllata dall’Histadrut (e in particolare da Ahdut Haavoda).
Sto cercando di stabilire legami tra lavoratori ebrei e arabi perché sono certo che se siamo uniti
possiamo aiutarci l’un l’altro, senza distinzione di religione e nazionalità. Molti lavoratori arabi non
vogliono unirsi alle organizzazioni nazionaliste perché comprendono i loro scopi e non vogliono
essere presi in giro. Hanno visto sulla tessera le parole “Federazione dei Lavoratori Ebrei” e non
capiscono a cosa serve questo. Chiedo a tutti i compagni di rimuovere la parola “ebrei”, e sono
sicuro che se essi saranno d’accordo si creerà uno stretto legame tra loro e noi. Io sono il primo a
non voler aderire a un’organizzazione operaia nazionalista. Ci sono molte organizzazioni nazionaliste
arabe, e noi non vogliamo unirci a loro…Le migliaia di iscritti che hanno formato l’Histadrut non
hanno fatto nulla in favore dei lavoratori, e il motivo è che sulle loro tessere c’è scritta la parola
“ebrei”, e ciò comporta divisioni e gelosie. Se si toglie quella parola potremo unirci e lavorare
insieme44.
Gli altri delegati arabi ripresero le parole di Asad, e molti delegati ebrei si mostrarono d’accordo
con le loro vedute. Un allarmato e adirato Ben-Gurion rispose difendendo strenuamente la posizione di
Ahdut Haavoda, come abbiamo già visto nel cap.2.
Per i lavoratori ci sono ambiti di interesse comune nei quali non vi è differenza tra ebreo e arabo, o
tra inglese e francese. Sono le cose che riguardano il lavoro: orari, salari, rapporti col padrone,
tutela dagli infortuni, diritto a organizzarsi eccetera. In tutti questi ambiti noi lavoriamo insieme. E vi
sono interessi che sono specifici dei lavoratori di ogni nazione, interessi specifici ma non
contraddittori che riguardano la cultura, la lingua, la libertà del popolo etc. In tutti questi ambiti ci
deve essere la completa autonomia e uguaglianza per i lavoratori di ciascuna nazione.
Il compagno Ilyas ha detto correttamente che gli arabi non vogliono entrare in organizzazioni
nazionaliste i cui obiettivi suonerebbero falsi per gli interessi dei lavoratori. E noi non stiamo
chedendo ai lavoratori arabi di unirsi a un’organizzazione nazionalista, ma di collegarsi
all’Histadrut. Non vogliamo che il lavoratore arabo sia alieno dal suo popolo e dalla sua lingua…45
Proseguì dicendo che se avesse lasciato l’Histadrut la URPTW sarebbe stata debole e senza
influenza.
Il consiglio decise innanzitutto di chiedere all’Histadrut di creare una cooperativa di consumo e un
fondo di credito, di fornire insegnanti di lingua ebraica, araba e inglese, di sovvenzionare le pubblicazioni
dei ferrovieri e di trovare un lavoro ai licenziati. Poi richiese all’esecutivo dell’Histadrut di fissare un
incontro in cui i sindacati ad essa aderenti gettassero le basi di una confederazione separata – una variante
della linea della separazione delle funzioni proposta da Poalei Zion Smol. Infine deliberò la creazione di
una comissione speciale, formata da membri del comitato centrale della URPTW e da capi operai arabi,
per negoziare un accordo sull’organizzazione congiunta. Dal punto di vista della leadership
dell’Histadrut, le cose andavano molto male. Dopo queste deliberazioni il segretario del consiglio operaio
di Haifa scrisse al quartier generale a Tel Aviv che “Sarà necessario spaccare il sindacato dei
ferrovieri”46.
44
Kuntres, 14 marzo 1924
45
Kuntres, 14 marzo 1924
46
Fonte ebraica
44
Nella primavera del 1924 40 arabi avevano aderito formalmente alla sezione di Jaffa – Lydda della
URPTW, ed era stata riattivata la sezione di Al-Qantara, composta soprattutto da lavoratori egiziani.
Molti ferrovieri arabi ed ebrei fecero sciopero il giorno del Primo maggio, nonostante le minacce del
management di taglio della paga. Ma ad Haifa i decisivi negoziati tra i sindacalisti ebrei e i capi operai
arabi andavano a rilento. In una lettera ai loro colleghi ebrei, gli arabi insistevano di non potersi aggregare
a un sindacato i cui scopi non erano quelli della lotta di classe ma erano in realtà quelli del sionismo. In
alternativa proponevano la formazione di un nuovo sindacato “slegato da ogni federazione o
organizzazione e le cui attività, posizioni e idee fossero libere da ogni influenza esterna”47. La direzione
della URPTW respinse la proposta, e il segretario (aderente ad Ahdut Haavoda) disse privatamente che il
sindacato avrebbe dovuto smettere di negoziare e iniziare a reclutare membri arabi direttamente.
In questa situazione di stallo i membri comunisti della URTPW decisero di fare pressione sulla
direzione affinchè accettasse la richiesta araba che il sindacato fosse non-sionista, indipendente e
internazionale. Proprio nel contempo, nell’aprile del 1924, l’Histadrut aveva dichiarato i comunisti
“nemici del popolo ebraico” e della classe operaia ebraica in Palestina e aveva lanciato una campagna per
espellerli dall’Histadrut. Nel febbraio il PCP era stato formalmente accettato come sezione palestinese
della Terza Internazionale. I comunisti in Palestina, che erano pressoché tutti ebrei, a questo punto
chiedevano apertamente la fine dell’immigrazione ebraica in Palestina, la rottura col sionismo e la
formazione di un’allenza rivoluzionaria coi lavoratori e contadini arabi. Nell’autunno dello stesso anno il
PCP animò la resistenza all’espulsione dei contadini palestinesi di Afula, contro l’agenzia sionista che
aveva acquistato la loro terra dai latifondisti arabi. In Unione Sovietica nel contempo montava una
campagna contro gli attivisti sionisti laburisti, con arresti e soppressione delle loro organizzazioni48.
La campagna dell’Histadrut contro il PCP si intrecciò quindi con i tentativi della URPTW di
creare l’unità coi lavoratori arabi. Nel maggio 1924 degli attivisti comunisti del sindacato invitarono
alcuni lavoratori arabi a un incontro, dichiarando che loro accettavano le proposte arabe di unità. Di certo
Moshe Ungerfeld, comunista e membro sia del comitato centrale della URPTW che della commissione
speciale per l’organizzazione congiunta, fu presente a quell’incontro. La leadership del sindacato si offese
per questa apparente insubordinazione, e per punizione una sua commissione disciplinare decretò
l’espulsione per un anno di sette sindacalisti del PCP che avevano organizzato l’incontro.
Tuttavia la direzione della URPTW a sua volta non obbedì all’ordine dell’Histadrut di espellere
tutti i comunisti dal sindacato, rifiutando ad esempio di cacciare, come chiesto dal Consiglio operaio di
Haifa, altri due membri del PCP. Moshe Ungerfeld respinse le accuse che gli venivano mosse di aver
“avvelenato la mente degli arabi” parlando loro male del sindacato dei ferrovieri e dell’Histadrut:
La situazione non è così negativa come viene descritta, e non è la Frazione49 che è responsabile
della situazione attuale; la Frazione è interessata più di altri ad avere gli arabi nel sindacato. Non
siamo noi che abbiamo parlato loro dell’Histadrut, sono loro che hanno visto ciò che era scritto sulle
tessere, e dunque si sono posti la questione di aderire a un’organizzazione ebraica…C’è un problema
fra voi, non sapete come risolverlo, e ve la prendete con altri50.
La tendenza a prendersela con gli “agitatori esterni” era in realtà tipica dell’atteggiamento sionista
laburista verso gli arabi. Questi ultimi erano spesso percepiti come soggetti passivi, suscettibili di
manipolazione da parte di attori esterni senza scrupoli (i comunisti, gli effendi, i religiosi etc.) e illuminati
invece dai sionisti laburisti che portavano loro la coscienza di classe e la vera cultura proletaria. Era
difficile per loro considerare gli arabi come esseri umani ragionevoli e in grado di risolvere da soli i
problemi relativi all’organizzazione congiunta.
Vi era anche un’altra importante dimensione culturale nella percezione sionista laburista degli
arabi. Pochissimi ebrei in Palestina si sforzavano di imparare l’arabo, di prendere confidenza con le
usanze della popolazione indigena e di sviluppare relazioni personali con loro. Yehezkel Avramov,
fedelissimo di Ahdut Haavoda che fu per anni segretario del sindacato del ferrovieri, si lamentava
dell’impossibilità di insegnare ai lavoratori ebrei a riferirsi agli arabi chiamandoli per nome. Al contrario,
47
Histadrut Archives
48
Ilan Greilsammer, Les Communistes Israéliens, 1978
49
La frazione comunista in seno alla URPTW
50
Histadrut Archives
45
sia in pubblico che in privato essi erano indicati generalemente con l’appellativo yiddish “der araber”.
Nonostante le esortazioni di Abramov a “sedersi vicino ai goyim” durante le pause, i suoi colleghi ebrei
spesso se ne stavano tra di loro.
Alla fine la leadership dell’Histadrut ebbe buon gioco nella purga dei comunisti. Quando questi
ultimi organizzarono un incontro di ferrovieri per protestare contro l’espulsione dei sette attivisti del PCP,
la direzione della URPTW votò la sospensione del proprio membro aderente quel partito. Questo episodio
segnò la fine di un’influenza effettiva del PCP nella direzione del sindacato dei ferrovieri, e presto si
arrivò al punto che la propaganda comunista nel settore significava il rischio di espulsione e di perdita del
posto di lavoro. Questo spinse il PCP a intensificare gli sforzi di collaborazione con gli arabi, per trovare
in loro il sostegno all’opposizione al sionismo.
Data l’attuale struttura dell’Histadrut, non vi è alcuna possibilità per il lavoratore arabo di aderire
a un’organizzazione di “lavoratori ebrei” finchè non siano compiute le modifiche necessarie…Anche
oggi un gran numero di lavoratori arabi rifiutano di entrare nel nostro sindacato pochè esso è
affiliato all’Histadrut. Finchè il nostro sindacato non aveva un ampio numero di lavoratori
arabi…questa questione non poteva essere posta chiaramente e noi non avevamo il diritto di chiedere
cambiamenti. Ora ci troviamo di fronte al dato di fatto che il nostro sindacato è interetnico, ed è
impossibile per esso far parte dell’Histadrut. Perciò, per conseguire l’unità con i lavoratori arabi in
ogni settore di lavoro, noi riteniamo opportuno che innanzitutto il nome dell’Histadrut debba essere
modificato51.
51
Histadrut Archives
46
avere dimenticato i loro obiettivi nazionali (ovvero sionisti). Un membro di Ahdut Haavoda diede una
spiegazione sociologica del radicamento delle forze di sinistra tra i ferrovieri:
Questi posti di lavoro sono stati quasi totalmente abbandonati dagli elementi con aspirazioni
pionieristiche. L’elemento prevalente ora è influenzato da partiti che non hanno sostegno nelle
officine e nelle imprese del lavoro ebraico, perché l’idea pionieristica per loro è perniciosa52.
La direzione sindacale e i suoi sostenitori risposero alle critiche con argomenti pragmatici,
insistendo che “senza organizzazione congiunta non possiamo sopravvivere” e che l’idea delle sezioni
nazionali separate semplicemente si era rivelata impercorribile.
Dentro il sindacato l’influenza del membri arabi portò a una ristrutturazione. Nel novembre 1924
fu formalmente deciso che gli organi eletti sarebbero stati metà arabi e metà ebrei, e gli arabi furono
cooptati nel comitato centrale. Tuttavia il percorso verso l’unità non fu del tutto lineare poiché la
questione del sionismo riaffiorò nuovamente. Alla prima riunione del comitato centrale unitario uno dei
membri arabi, Hasanayn Fahmi, un impiegato egiziano, fece due domande ai suoi colleghi ebrei: chiese se
vi era un legame tra il sindacato dei ferrovieri e il movimento sionista e se i membri ebrei del comitato
centrale fossero essi stessi sionisti.
Dopo un consulto tra loro, i membri ebrei del comitato risposero che il sindacato aveva obiettivi
economici e non politici, senza legami col sionismo; chiunque avesse voluto introdurre questioni politiche
sarebbe stato espulso. Alla seconda domanda di Fahmi risposero: “Come noi non ti chiediamo chi sei, a
che partito appartieni, quali opinioni politiche hai, così tu non hai diritto di chiederci queste cose…”. Gli
ebrei pensavano che le loro risposte fossero adeguate, ma di fatto erano piuttosto evasive, dal momento
che la URTPW era affiliata all’Histadrut, che era un’ente chiave per il progetto sionista in Palestina.
Pochi giorni dopo Hasanayn Fahmi, evidentemente assai poco soddisfatto delle risposte ricevute,
pubblicò una lettera sul giornale in lingua araba al-Nafir in cui riproponeva le domande e chiedeva ai
ferrovieri arabi di lasciare il sindacato perché esso in realtà era un’organizzazione sionista. Solo pochi
iscritti pare abbiano seguito le sue indicazioni, ma la questione era chiaramente aperta e influenzò le
deliberazioni del consiglio sindacale nel gennaio 1925.
I 25 delegati che parteciparono a questo consiglio, tenutosi ad Haifa, erano composti dai 9 membri
del comitato centrale più 9 ebrei e 7 arabi in rappresentanza delle varie sezioni territoriali. Anche tre alti
dirigenti dell’Histadrut – Ben-Gurion e Ben Tzvi per Ahdut Haavoda e Chaim Arlosoroff per Hapoel
Hatzair – vi presero parte, sperando di bilanciare l’influenza di Poalei Zion Smol e dei suoi alleati arabi.
La discussione fu dominata dalla questione della relazione del sindacato con l’Histadrut, con la
maggioranza dei delegati ebrei a chiedere la separazione delle funzioni.
I dirigenti dell’Histadrut furono costernati dal radicalismo di alcuni delegati ebrei, uno dei quali
arrivò a distinguere i “proletari sionisti” dai “borghesi sionisti” che “espropriavano gli arabi”53. Uno dei
delegati arabi, Ahmad al-Nimr, dichiarò che “le promesse dell’esecutivo dell’Histadrut
sull’organizzazione congiunta sono come le promesse di Balfour”. In risposta, Ben-Gurion si rivolse
innanzitutto ai delegati ebrei. Il suo discorso venne tradotto in arabo da Avraham Khalfon, che 50 anni
dopo avrebbe ammesso che la sua traduzione “alterò completamente il discorso di Ben-Gurion”.
Perché se io avessi tradotto ciò che egli diceva, sono sicuro che quasi tutti gli arabi se ne sarebbero
andati. Egli fu molto duro. Da un punto di vista ebraico fu eccellente, ma se fosse convincente o no
per gli arabi è un’altra questione. Così edulcorai i contenuti del suo discorso. Vidi per quanto tempo
parlava e poi parlai anch’io per circa mezzora. Nella pausa successiva Ben-Tzvi venne da me e mi
baciò: “Bravo, grazie!”. Né Ben-Gurion né Arlosoroff pensavano che avessi cambiato qualcosa, ma
lui lo sapeva54.
In realtà il discorso di Ben-Gurion non fu particolarmente duro: era una chiara esposizione della
linea dell’Histadrut a favore delle sezioni nazionali separate nei luoghi di lavoro e sindacati misti. Forse
Khalfon pensò che fosse troppo duro il riferimento esplicito di Ben-Gurion all’immigrazione,
52
Kuntres, 7 novembre 1924
53
Kuntres, 16 gennaio 1925
54
Histadrut Archives
47
all’insediamento e alla lingua ebraica come argomenti per cui l’Histadrut doveva rimanere essenzialmente
ebraica.
Il consiglio comunque non diede retta alla dirigenza dell’Histadrut e con una maggioranza di 18
voti contro 7 proclamò la formazione di un sindacato territoriale e interetnico di tutti i lavoratori di
ferrovie, poste e telegrafi, senza distinzione di razza, religione o nazionalità. Una seconda risoluzione
chiedeva che l’imminente congresso dell’Histadrut provvedesse a rendere interetniche tutte le federazioni
sindacali. La maggioranza dei 18 votanti fu composta dai 9 del comitato centrale, i 7 arabi e 2 dei delegati
ebrei delle sezioni. Per Ben-Gurion e i suoi questo voto rappresentò un oltraggio; i leader dell’Histadrut
gridarono che solo gli ebrei avevano il diritto di votare sulla relazione tra il sindacato e l’Histadrut e
respinsero i risultati come non validi. Ma Yehezkel Abramov fece presente a Ben-Gurion che non era
corretto permettere dapprima agli arabi di votare e poi non riconoscere le decisioni del consiglio perchè
scaturite da una maggioranza ottenuta con l’appoggio decisivo degli arabi.
Comunque Ahdut Haavoda poteva ancora contare sul fatto che la sinistra non aveva una
maggioranza consistente tra i ferrovieri ebrei fuori Haifa (infatti 5 su 7 delegati ebrei delle sezioni
avevano votato contro), e inoltre una consistente minoranza dei lavoratori ebrei delle poste e dei telegrafi
non era soddisfatta delle decisioni e ipotizzava una scissione dal sindacato. Il consiglio votò una
risoluzione che riconosceva queste posizioni e intendeva aumentare gli sforzi per rinsaldare i rapporti con
la minoranza all’interno del sindacato. Infine, su una questione ci fu poco disaccordo: i delegati, inclusi
tutti gli arabi, votarono a favore della conferma dell’espulsione di Moshe Ungerfeld del PCP. Alla fine
dei lavori sette arabi (cinque di Haifa tra cui Ibrahim al-Asmar e Alì al-Batal, uno di Jaffa – Lydda e uno
di Al-Qantara), furono ufficialmente eletti nel comitato centrale del sindacato.
55
Haifa, 1 dicembre 1924
48
Abbandonando il sindacato noi rafforziamo la posizione dei sionisti al suo interno; essi sono
contenti dell’abbandono perché così non hanno più un’opposizione interna per le loro attività
politiche…Dobbiamo tentare di assumere la leadership del sindacato per renderlo un’organizzazione
che faccia gli interessi di tutti i lavoratori, sia arabi che ebrei. Vi è un ampio numero di compagni
ebrei che sono pronti ad aiutarci con lealtà e sincerità56.
Pochi mesi dopo, dopo che molti arabi avevano abbandonato e dopo che Haifa aveva espresso
parere favorevole alla costituzione di un sindacato arabo separato, il giornale pubblicò una lettera di
Moshe Ungerfeld contro il separatismo, che affermava che era scorretto chiamare la URPTW “sionista”
solo perché la dirigenza era sionista, e chiamava gli arabi a unirsi agli ebrei progressisti nel lotta per il
controllo di quel sindacato.
Secondo vari storici ebrei, inoltre, il management delle Palestine Railways, che aveva
sottovalutato il pericolo della costituzione di un sindacato interetnico, decise dalla fine del 1924 di
adottare una strategia sofisticata per distruggerlo. Invece di mostrare totale ostilità nei suoi confronti,
acconsentì a incontrare i suoi rappresentanti e per la prima volta riconobbe che molte delle richieste dei
ferrovieri erano giustificate. Allo stesso tempo, però, fece in modo di dividere i lavoratori ed emarginare
il sindacato. Ad esempio, concesse aumenti di paga a quei lavoratori che erano maggiormente graditi ai
capisquadra. Gli impiegati come categoria ricevettero un aumento a condizione che non facessero causa
comune con gli altri addetti. I lavoratori arabi non iscritti al sindacato furono a loro volta compensati con
paghe più alte e tutela dai licenziamenti. Anche il ruolo del management comunque non può essere
indicato come il principale fattore che determinò la fuoriuscita degli arabi dalla URTPW.
Sarebbe importante andare a vedere che cosa i lavoratori e i sindacalisti arabi dissero e scrissero in
queste circostanze, ma le fonti da questo punto di vista sono scarse, almeno quelle del movimento sionista
laburista. Sembra comunque che le questioni sollevate da Hasanayn Fahmi su al-Nafir nel novembre
1924 abbiano toccato un punto dolente, che le decisioni del consiglio sindacale del gennaio successivo
non riuscirono a risolvere. Come scrisse Haifa, probabilmente i dirigenti arabi sentivano che “i principi
fondativi di questo sindacato non erano basati sugli interessi dei lavoratori e il miglioramento delle loro
esistenze, ma piuttosto sulla diffusione tra i lavoratori degli obiettivi del sionismo”57.
Resoconti arabi della scissione parlano di “prevaricazioni” e “doppiezza” da parte dei dirigenti
sindacali ebrei. Un articolo su Haifa pubblicato alla fine di aprile 1925 fa esplicito riferimento a Avraham
Khalfon, che come abbiamo visto aveva falsato il discorso di Ben-Gurion almeno in un’occasione,
suggerendo che i sindacalisti arabi si sentivano spesso ingannati dai loro colleghi ebrei. La differenza
nella lingua tra gli arabi e gli ebrei, notava Haifa, implicava “necessariamente un interprete per risolvere
le questioni; ma questo incaricato, non un ferroviere, era dalla parte del sionismo…ne favoriva
l’influenza e lo faceva entrare nelle questioni sindacali”. “Più in generale”, proseguiva l’articolo,
“ogniqualvolta gli arabi facevano proposte all’insegna dell’unità, incontravano soltanto opposizione e
contraddittorio da parte dei sionisti…a proposito di qualunque cosa portasse al conseguimento di
risultati per la classe operaia sfruttata”58.
La questione che più di ogni altra sembra avere concretamente segnato il contrasto tra il sionismo
e gli arabi fu quella del lavoro ebraico. L’assunzione di un maggior numero di ebrei nelle ferrovie era
stata uno degli obiettivi della URPTW fin dalla fondazione, e i comunisti avevano avvertito gli arabi che
questo obiettivo non era mutato, checché ne dicessero i sindacalisti ebrei. Secondo Bulus Farah un
sovrintendente chiamato Moshlin, che come abbiamo visto prima era un caposquadra sgradito ai
lavoratori mentre l’Histadrut lo difendeva in quanto ebreo, assegnava
…ogni nuovo posto di lavoro a un lavoratore ebreo, senza badare all’anzianità o al livello di
qualifica, o assumeva nuovi lavoratori ebrei a paghe più alte anche se non erano competenti…I
lavoratori arabi non si iscrivevano all’Histadrut, e quelli che lo fecero se ne andarono di lì a poco
avendo visto che il sindacalismo dell’Histadrut era all’insegna della discriminazione dei lavoratori
arabi. Essi in primo luogo sperimentarono il furto di impieghi dai lavoratori arabi e l’assegnazione
agli ebrei, e in secondo l’utilizzo degli arabi per legittimare l’ebraicità dell’Histadrut nel movimento
56
Haifa, 1 gennaio 1925
57
Haifa, 30 aprile 1925
58
ibidem
49
operaio internazionale…i lavoratori arabi sentirono la necessità di un nuovo sindacato poiché
l’internazionalismo professato dall’Histadrut in realtà era utilizzato dal sionismo59.
E’ accertato che in tutto questo periodo l’Histadrut continuò a usare la sua influenza sui
capisquadra ebrei affinchè un maggior numero di ebrei fosse assunto nelle ferrovie.
59
Bulus Farah, Min al-'uthmaniyya ila al-dawla al-'ibriyya, 1984
50
capirono, la maggior parte di loro lasciò la URPTW e si unì ai connazionali che non avevano mai avuto
interesse a un sindacato unitario.
Di conseguenza, dal 1925 fino alla fine del mandato inglese nelle ferrovie furono attivi due
sindacati: uno esclusivamente arabo e uno largamente ebraico come iscritti e sionista come orientamento
politico. Ciononostante, come vedremo, non solo le condizioni oggettive dei ferrovieri spinsero i due
sindacati uno verso l’altro, ma anche il sogno dell’unità rimase tale per molti arabi ed ebrei negli anni a
venire. Nello stesso tempo varie dinamiche intervennero a produrre alienazione e conflitto. Le complicate
relazioni tra i due sindacati rappresentano un paradigma della complessità delle relazioni tra lavoratori
arabi ed ebrei in Palestina nel periodo mandatario.
51
4
I FERROVIERI IN PALESTINA II
(1925 – 1939)
cooperazione e conflitto
60
Kuntres, 29 gennaio 1926
53
pressione presso i funzionari inglesi affinchè una maggiore percentuale di posti di lavoro governativi
andasse agli ebrei61.
Un ulteriore, significativo aspetto dell’incontro di luglio è rappresentato dal fatto che alla
discussione era presente anche un sindacalista arabo dell’URPTW, Ibrahim al-Asmar, il quale
probabilmente non capì una parola di quanto veniva detto. Egli fu portato per ragioni propagandistiche,
per poter dire che il sindacato aveva degli arabi tra i proprii dirigenti e accreditarsi così presso gli arabi: la
presenza e il silenzio di al-Asmar sono una chiara esemplificazione del ruolo assegnato agli arabi
all’interno della URPTW.
RIVALITA’ E DIALOGO
Sebbene la sinistra della URPTW fosse indebolita, ciononostante rimaneva una forza significativa,
soprattutto ad Haifa, e continuò a portare avanti la linea della cooperazione tra arabi ed ebrei come unica
strada per ottenere qualcosa di fronte alla rigidità dei padroni. Fu così che nel giugno 1926 dirigenti della
PAWS e della URPTW si incontrarono ad Haifa e concordarono di unirsi per chiedere al governo
mandatario una legge in materia di diritti dei lavoratori.
La URPTW aveva cercato a lungo di essere riconosciuta come rappresentante di tutti i ferrovieri
presso il governo, ma il management delle Palestine Railways dapprima aveva tergiversato e poi aveva
imposto condizioni durissime per il riconoscimento, tra cui la pubblicazione della lista degli iscritti al
sindacato, cosa che quest’ultimo accettò nonostante l’opposizione della sinistra. Ma alla fine del luglio
1926 il capo della segreteria del governo mandatario informò l’Histadrut che la URPTW non sarebbe
stata riconosciuta, per di più poco dopo il varo di un decreto che revocava il diritto dei lavoratori a sette
giorni di ferie annue e otto giorni di festività.
Questo ennesimo arbitrio indignò i ferrovieri e spinse entrambi i sindacati a promuovere insieme
una campagna di opposizione. La campagna avrebbe dovuto essere lanciata in un assemblea generale al
cinema Eden di Haifa, ma subito nacquero i problemi quando il sindacato arabo chiese che la
pubblicazione che presentava lo sciopero non portasse il nome di alcuna delle due sigle, per scoprire poco
dopo che l’indizione dell’assemblea era stata firmata dalla sola URPTW. La PAWS pubblicò allora un
opuscolo spiegando la situazione e accusando la URPTW di sabotare l’unità arabo-ebraica.
Nonostante tutto la cooperazione non poteva essere elusa, date le condizioni di debolezza di
entrambi e l’offensiva padronale. Dalla fine del 1926 alla primavera del 1927 a causa della crisi le
officine ferroviarie di Haifa lavorarono solo cinque giorni a settimana, sotto la minaccia di continui
licenziamenti. Nell’estate 1927 si tenne il sesto congresso della URPTW, alla cui sessione di apertura
furono invitati Id Salim Haymur e Ali al-Batal. Al-Batal portò il saluto della PAWS dicendo di essersi
unito al sindacato arabo “per trovare la migliore forma di organizzazione congiunta di tutti i lavoratori.
Tutti i lavoratori arabi cercano la pace, e ciò che promettono, lo fanno…”62.
Questo congresso come i precedenti dedicò ampio spazio alla questione dell’organizzazione
congiunta. Si ricorderà che nel luglio 1927 l’Histadrut aveva appena ratificato la proposta di Ben-Gurion
di creare un’organzzazione araba separata da affiliare all’Histadrut. Tra i ferrovieri il dibattito vide la
leggera prevalenza della linea delle sezioni nazionali di Ahdut Haavoda su quella del sindacato
interetnico, rappresentata da Poalei Zion Smol. Un membro di quest’ultima, Naftali Panini di
Gerusalemme, nel difendere il sindacato interetnico evocò un timore certamente presente in Ahdut
Haavoda: “Se creiamo una sezione speciale per gli arabi, potremmo perderne il controllo. Gli arabi
prenderanno le distanze da noi e chissà cosa potrà derivare da ciò”63.
Con uno stretto margine il sesto congresso adottò il principio dell’organizzazione congiunta con
sezioni nazionali separate. Nel febbraio 1928 il nuovo statuto fissò formalmente questa nuova struttura,
modificando quella definita nel gennaio 1925. L’organizzazione cambiò anche il proprio nome in
National Union of Railway, Postal and Telegraph Workers (NURTPW). Il termine “nazionale” sembra
essere stato scelto per sottolineare l’apertura a membri sia arabi che ebrei con l’adozione però di sezioni
separate.
61
Frederick Kish, Palestine Diary, 1938
62
Davar, 4 settembre 1927
63
Histadrut Archives
54
Alla fine del 1927 ci fu un altro tentativo di cooperazione con la PAWS, allorchè il management
delle ferrovie si rifiutò di compensare la perdita di salario legata all’introduzione di una nuova moneta
palestinese al posto di quella egiziana usata fino ad allora. Fu formato un comitato congiunto tra i due
sindacati, ma presto fu sciolto poiché la NURPTW temeva che esso rafforzasse troppo la PAWS. Il
sindacato a guida ebraica diramò una circolare in cui accusava gli arabi di avere ancora una volta sabotato
l’unità, e decise di reclutare i lavoratori arabi direttamente. Da parte sua il movimento nazionalista arabo
attaccò la NURPTW attraverso il giornale Filastin, accusandola di sfruttare i lavoratori arabi per i propri
scopi sionisti.
Nell’estate del 1928 le Palestine Railways ridussero l’orario lavorativo a cinque giorni alla
settimana in tutti i comparti di Haifa, e fecero nuovi licenziamenti a causa della diminuzione del traffico.
Nel settembre allora fu organizzato un nuovo meeting congiunto dei due sindacati per protestare su questi
due aspetti. Ma anche questo incontro fallì, in quanto gli arabi rifiutarono di sottoscrivere un
memorandum rivolto al management, e ne seguì un nuovo profluvio di dichiarazioni e opuscoli contenenti
accuse reciproche. Nella sua critica la PAWS distingueva sempre tra i dirigenti della NURPTW e i
semplici iscritti, incoraggiando questi ultimi a prendere le distanze dal comportamento dei primi, avvezzi
a frequenti sotterfugi e manipolazioni.
Nel frattempo si accumulavano le tensioni politiche che sarebbero esplose nell’agosto 1929.
All’inizio di quell’anno la NURPTW era riuscita ad attrarre un certo numero di lavoratori arabi, e il suo
prestigio parve aumentare quando nel marzo, per la prima volta da quattro anni, il management acconsentì
a incontrare dei delegati, non per riconoscere ufficialmente il sindacato ma per ascoltare le loro
rivendicazioni: settimana lavorativa di 48 ore, stop alle salatissime multe per le presunte intemperanze dei
lavoratori, miglioramento delle condizioni igieniche nelle officine e dell’assistenza medica, e un giorno di
riposo alla settimana per gli addetti di alcuni dipartimenti. In particolare la NURPTW acquisì un certo
seguito nell’area di Jaffa – Lydda, dove aprì una sezione araba che dichiarava di avere oltre 100 iscritti
paganti. La sezione tuttavia restò attiva solo pochi mesi: secondo i sindacalisti ebrei, perchè il
management fece trasferire in altri siti gli iscritti arabi più in vista, e gli altri ebbero paura e lasciarono il
sindacato. Ad Haifa il radicamento della NURTPW tra gli arabi sembrava ancora più difficile, e
comunque in tutto il paese intervenne la sollevazione araba di agosto a causare un brusco stop al
processo, che non riprese se non con il volgere del decennio.
64
Histadrut Archives
56
accettare suo malgrado l’idea di una fusione, sebbene continuò a insistere che essa doveva avvenire sulla
base di una rappresentanza di 50 e 50 negli organi direttivi.
A togliere le castagne dal fuoco per l’IU intervenne alla fine del 1934 lo stallo nelle trattative con
il management delle Palestine Railways, per cui il comitato congiunto cominciò a litigare dando ai
dirigenti ebrei il pretesto per la rottura. Michael Dana nel gennaio del 1935 in privato scrisse all’Histadrut
che “tutti i nostri compagni sono dell’opinione che ora abbiamo l’opportunità di assestare un colpo al
sindacato arabo presentandoci davanti ai lavoratori a dire che le attività del comitato erano portate
avanti solo da noi mentre il sindacato arabo aveva smesso di collaborare per ambizione e desiderio di
potere…”65. Dana riteneva che con “un po’ di audacia” e qualche soldo dall’Histadrut fosse possibile
spaccare l’AURW e far passare all’IU parecchi iscritti, e anche lavoratori arabi non sindacalizzati. Il suo
piano di sciogliere il comitato congiunto dando la colpa all’AURW tuttavia fu vanificato da
un’inaspettata ondata di mobilitazioni in tutta Haifa, che coinvolsero anche i ferrovieri e finalmente
permisero loro di ottenere alcune vittorie.
65
Histadrut Archives
57
certificati di immigrazione in Palestina per i loro familiari ancora in Europa. Allo stesso tempo il
sindacato riportò che “vi è attualmente una straordinaria opportunità di far assumere molti ebrei nelle
ferrovie” perché un caposquadra ebreo alle officine di Haifa era pronto a collaborare.
Il problema era che in realtà ben pochi ebrei erano disposti a lavorare nelle ferrovie. L’Histadrut
aveva anche fatto preparare elenchi di ferrovieri ebrei impiegati in Iraq per farli trasferire in Palestina, ma
nessuno di loro aveva accettato. A questo punto diramò una circolare nella quale si avvertiva che gli ebrei
che avessero lasciato le ferrovie sarebbero andati incontro a sanzioni: “Un lavoratore che lascia il suo
posto nelle ferrovie non verrà assunto da nessun’altra parte a meno che non abbia una lettera di
autorizzazione firmata dalla IU”66. Nel lungo periodo gli sforzi dell’Histadrut ebbero un parziale
successo. Nel periodo 1934 – 36 nelle ferrovie furono assunti 120 – 150 ebrei, e al netto degli abbandoni
la proporzione di addetti ebrei nel settore passò dall’8,2% alla fine del 1934 a quasi il 10% nel 1937. Alla
fine del 1935 le Palestine Railways impiegavano 3.171 arabi, 345 ebrei e 1.307 altre nazionalità,
soprattutto egiziani nella linea del Sinai ma anche turchi, greci, armeni, siriani e (come sovrintendenti)
inglesi. Gli ebrei erano concentrati nelle officine ferroviarie di Haifa e Lydda, dove occupavano buona
parte dei posti qualificati.
Questa limitatissima crescita sembra avere rafforzato l’intento dei dirigenti della IU che volevano
rompere con l’AURW per riprendere il reclutamento di arabi. Il segretario della IU Michael Dana
premeva per lo scioglimento del comitato congiunto, proprio mentre quest’ultimo, dopo le concessioni
ottenute nel maggio-giugno 1935, veniva sollecitato dai lavoratori a continuare la pressione sull’Alto
Commissario per ottenere altre migliorie. A luglio scoppiò uno sciopero spontaneo del personale di
macchina, che non aveva ancora ottenuto nulla, ma entrambi i sindacati si opposero all’agitazione
temendo che questa limitasse il loro ruolo e le trattative con il management, e la fecero rientrare
rapidamente.
La rottura tra l’IU e l’AURW fu rinviata di altri sei mesi perché nessun sindacato si sentiva in
grado di tener testa al management da solo. Alla fine nel febbraio del 1936 fu l’AURW a dichiarare
formalmente sciolto il comitato congiunto, in primo luogo per la persistente tendenza della IU a reclutare
arabi, e poi per un’altra serie di motivi che furono esplicitati in un lungo e aspro documento pubblicato in
arabo in marzo, per spiegare agli arabi i motivi della scissione. Tra le altre cose l’AURW accusava la IU
di cattiva fede, di violare ripetutamente le regole di funzionamento del comitato congiunto, e di
sabotaggio dello sciopero del personale di macchina. Ciò che maggiormente indisponeva i sindacalisti
arabi, tuttavia, era la costante tendenza della IU a togliere il lavoro agli arabi per assegnarlo agli ebrei; il
tentativo di attirare gli arabi offrendo loro credito, assistenza sanitaria e altri benefici che l’AURW non
poteva permettersi; e il dichiararsi la sola rappresentante di tutti i ferrovieri di Palestina. Il documento
attribuiva questi atteggiamenti al carattere sionista della IU, al suo porre l’istituzione della “casa
nazionale ebraica” davanti agli interessi dei lavoratori. Alcune delle accuse dell’AURW erano esagerate,
ma come abbiamo visto molte erano vere.
Nonostante l’aspra rottura del febbraio 1936 la tendenza alla cooperazione tra i ferrovieri non
venne meno. Poche settimane dopo un gruppo di addetti arabi ed ebrei delle officine di Haifa si riunirono
per discutere la ricostituzione del comitato congiunto, e all’inizio di aprile l’AURW propose formalmente
alla IU che entrambi i sindacati fossero sciolti e rimpiazzati da un’organizzazione unitaria. La IU non osò
rifutare recisamente la proposta, ma insistette subito che l’unità fosse basata su una proporzione di 50 e
50 negli organismi dirgenti del nuovo sindacato, e che i membri ebrei potessero essere iscritti
all’Histadrut. Si trattava di stratagemmi per far fallire in partenza le trattative, che in ogni caso si
interruppero a causa dello scoppio della Grande Rivolta Araba alla metà di aprile 1936.
66
Histadrut Archives
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e della PAWS furono arrestati e detenuti per lungo tempo, lasciando le organizzazioni nella paralisi e la
base senza una rappresentanza.
Nonostante le pressioni della leadership nazionalista araba, i ferrovieri arabi (come la maggior
parte dei dipendenti governativi) non aderirono allo sciopero generale che iniziò nell’aprile 1936 e si
protrasse fino a ottobre. Solo in agosto molti di loro si astennero dal lavoro, e solo per dieci giorni. A
differenza degli arabi che lavoravano per un padrone arabo, i dipendenti delle ferrovie che avessero
scioperato avrebbero rischiato il posto di lavoro, ed essi erano ben consapevoli che i loro posti potevano
essere presi dagli ebrei. La leadership sionista era infatti pronta ad approfittare della situazione da questo
punto di vista. Nel 1937, rivolgendosi alla commissione di inchiesta inviata dal governo inglese, il
direttore del dipartimento politico dell’Agenzia Ebraica, Moshe Shertok (poi Sharett) sostenne che
La presenza di un consistente numero di ebrei sarebbe stata un buon deterrente. Non vi sarebbero
state spinte all’agitazione e gli organizzatori dei disordini non sarebbero stati incoraggiati dalla
prospettiva di bloccare le ferrovie. Quando scoppiò la crisi – il 9 agosto – e centinaia di ferrovieri
arabi scesero in sciopero, vi furono molti fattori che li misero in difficoltà e alla fine li spinsero a
tornare al lavoro, ma uno dei fattori fu che noi mobilitammo alcune dozzine di macchinisti ebrei e le
mettemmo a dipsozione del governo, pronti a colmare i vuoti di personale…Questo fu uno dei fattori
che permisero di scongiurare il pericolo in questi giorni67.
Shertok chiese che gli ebrei arrivassero a costituire il 30 – 33% della forza lavoro nei settori
governativi. Ma il management delle ferrovie continuò a rifiutarsi di dare la precedenza agli ebrei,
temendo con ciò di esasperare ulteriormente i lavoratori arabi. Anzi la percentuale di lavoratori ebrei nelle
ferrovie diminuì leggermente nel corso della rivolta.
La principale preoccupazione della IU durante la rivolta fu l’incolumità dei ferrovieri ebrei, dei
quali otto persero la vita nel corso dei tre anni di combattimenti. Tutti apparentemente furono vittima di
incursioni di arabi non appartenenti al personale delle ferrovie. Quando la rivolta raggiunse un nuovo
apice nel settembre 1938 e due impiegati ebrei furono uccisi a Lydda, i loro colleghi di quella linea si
rifutarono di presentarsi al lavoro per due settimane. Alla fine il personale ebraico di Lydda fu trasferito a
Tel Aviv, così come i lavoratori ebrei delle poste di Jaffa. Gli inglesi formarono anche unità speciali di
ausiliari ebrei per pattugliare le linee e le installazioni ferroviarie, attaccate con frequenza dagli insorti
arabi, e fu messa una guardia militare permanente inglese alle officine ferroviarie di Haifa. Per dissuadere
gli insorti arabi dal collocare mine sui binari per far saltare i treni, le forze di sicurezza inglesi sovente
costringevano un ostaggio arabo a occupare una piattaforma su ruote collocata davanti alla locomotiva.
Anche i ferrovieri arabi patirono le conseguenze della rivolta. I funzionari inglesi alla fine del
1938 notavano che
…i dipendenti arabi sono trattati molto male, e lavorano con grande difficoltà. Sono attaccati da
entrambe le parti. Per la loro fedeltà al governo mandatario essi sono così malvisti che ci sono casi in
cui viene loro negata la vendita di cibo e altri beni necessari, e qualunque altra forma di aiuto.
Dall’altro lato, essi sono trattati con molto sospetto da polizia ed esercito68.
I funzionari citavano molti casi in cui le forze di sicurezza avevano arrestato, picchiato o preso a
colpi di arma da fuoco dipendenti arabi delle ferrovie, soltanto per la nazionalità. Questi episodi
provocarono un breve sciopero di protesta a Lydda nell’ottobre 1938.
La rivolta colpì economicamente sia i lavoratori arabi che quelli ebrei. I sabotaggi alle ferrovie da
parte della guerriglia portarono al licenziamento di una parte degli addetti e alla riduzione di orario per
un’altra parte. Ma su pressione di Ben-Tzvi il governo mandatario evitò di fare licenziamenti su larga
scala, per evitare che i neo-disoccupati arabi andassero a ingrossare le fila dei rivoltosi.
In generale la rivolta ebbe un forte impatto sulle forme di interazione tra i ferrovieri anche al di
fuori del posto di lavoro. Crebbe la segregazione sociale e abitativa, con gli ebrei che si spostarono dai
quartieri a prevalenza araba verso “zone ebraiche” più sicure. L’interazione in caffè, teatri, ambulatori e
ogni altro luogo pubblico divenne sempre più rara. Ciononostante vennero mantenuti i contatti personali.
67
Verbali della commissione Peel
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Central Zionist Archives
59
Vi furono anche episodi in cui ferrovieri arabi protessero i loro colleghi ebrei, come racconta ad esempio
Efrayyim Schvartzmann, tecnico dei locomotori:
Anche durante i disordini vi furono numerosi casi in cui ferrovieri arabi trassero in salvo gli ebrei
da situazioni molto difficili. Io stesso fui salvato due volte da arabi, quando fui a un passo dalla
morte…Ricordo uno di questi episodi. Un giorno due o tre arabi entrarono nel capannone delle
locomotive di Lydda e uccisero due ebrei in un ufficio. Io corsi nella direzione degli spari, non
rendendomi conto da dove provenissero. Un arabo mi vide e corse verso di me, e grazie a lui me la
cavai…Molte volte gli arabi avvertivano gli ebrei di non viaggiare sul treno riservato al personale,
poiché nel villaggio di Safariyya…stavano preparandosi ad attaccarlo con granate e pistole…C’era
un arabo che era mio assistente, e oggi è tecnico dei locomotori. Ricordo che durante i disordini
quando guidavamo i treni e c’erano spesso mine sui binari, egli voleva viaggiare con me come mio
assistente e voleva sempre controllare in ogni stazione se fosse tutto ok, e molte volte mi fece da
scorta69.
69
Intervista a Efrayyim Schvartzmann, 20 marzo 1972
60
risposero all’appello dell’Histadrut per rimediare al declino del lavoro ebraico nelle ferrovie inviando
Krisher a lavorare alle officine ferroviarie di Haifa. Krisher formalmente fu considerato membro del
kibbutz Ein Hamifratz fino al 1941, ma in realtà rimase sempre in città come ferroviere e sindacalista,
fino agli anni ’70.
Sin dal 1934 Krisher divenne una figura popolare della sezione di Haifa della IU, che era una
roccaforte della sinistra e in particolare di Poalei Zion Smol. Grazie a Krisher la sinistra si rafforzò
ulteriormente e aumentò la pressione sulla direzione a proposito della cooperazione e anche dell’unità
arabo-ebraica. Nel gennaio 1937 egli fu eletto col più alto numero di voti nel direttivo della sezione di
Haifa della IU, il quale lo scelse come segretario della sezione.
Questo fatto fu molto sgradito al MAPAI, che tentò di far invalidare l’elezione di Krisher presso
l’Histadrut, ma la sinistra ebbe successo anche perché i salari e le condizioni di lavoro erano sempre fonte
di malcontento, e la base non si sentiva rappresentata da una dirigenza passiva e inefficiente. Quando
dopo ben 8 anni nel 1939 si tenne finalmente il nuovo congresso dell’IU, per tre voti Hashomer Hatzair
non fu il primo partito nella sezione di Haifa, e alle officine ferroviarie prese la maggioranza assoluta. Il
MAPAI mantenne un ampio margine in altre sezioni, e quindi potè conservare il controllo del sindacato
nel suo complesso, tuttavia alla vigilia della Seconda guerra mondiale la IU non era messa bene: aveva
soltanto 401 iscritti paganti, di cui 186 ferrovieri e 215 post-telegrafonici, e a dispetto del nome
“internazionale” nessun arabo da anni ne era membro. Gli ebrei erano l’8% della forza lavoro nelle
ferrovie.
Di tutte le classi lavoratrici della Palestina mandataria, quella dei ferrovieri probabilmente vide le
maggiori e più complesse dinamiche di interazione tra proletari arabi ed ebrei. Il sogno unitario fu sempre
presente nel corso degli anni anche se, nelle occasioni in cui sembrava poter diventare realtà, fu impedito
dall’intervento del sionismo, che anche negli anni ’40 avrebbe irrimediabilmente sabotato la solidarietà di
classe arabo-ebraica, fino alla catastrofe del 1948 che eliminò virtualmente i lavoratori arabi dalla scena.
61
5
IL PROLETARIATO ARABO
NEL MIRINO DELL’HISTADRUT
(1929 – 1936)
Alla fine degli anni ’20 l’Histadrut aveva di fatto abbandonato l’idea che il successo dell’impresa
sionista in Palestina fosse strettamente legato alla solidarietà di classe arabo-ebraica. I sanguinosi
avvenimenti dell’agosto 1929 e le loro conseguenze spinsero tutti i sionisti a prestare maggiore attenzione
a quello che veniva ora definito “il problema arabo”. Ben-Gurion e alcuni suoi seguaci iniziarono a dire
che c’era bisogno di un accordo con i leader della comunità araba, dopo che per tutti gli anni ’20 li
avevano attaccati in quanto reazionari coi quali il sionismo laburista non poteva fare alcun compromesso.
Allo stesso tempo, gli eventi del 1929 e i loro sviluppi indussero la direzione dell’Histadrut a rinnovare
l’impegno per relazionarsi con i lavoratori arabi, sebbene in maniera decisamente strumentale.
70
Central Zionist Archives
71
ibidem
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due organizzazione per il medesimo scopo, i due gruppi si fusero assumendo il nome di uno di essi,
Ahavat Poalim (Fratellanza Operaia).
Nei successivi due mesi, Ahavat Poalim cercò di spingere l’Histadrut ad assumere un
atteggiamento più attivo riguardo ai lavoratori arabi. Esso affermava che gli eventi dell’anno passato
avevano dimostrato l’importanza di un’organizzazione che combattesse i tentativi sia degli effendi arabi
che della borghesia ebraica di seminare l’odio etnico, e che promuovesse la causa dei lavoratori arabi ed
ebrei. Emersero subito le stesse contraddizioni che avevano a lungo accompagnato la storia di Poalei Zion
Smol. Infatti il primo incontro degli iscritti all’organizzazione si concluse con una risoluzione che
riconosceva sia il pieno diritto delle masse operaie arabe all’autodeterminazione nazionale in Palestina,
sia il diritto a un’immigrazione ebraica illimitata e allo sviluppo in senso nazionale di quest’ultima.
Le fila di coloro che non erano soddisfatti della scarsa attività dell’Histadrut verso i lavoratori
arabi furono ampliate allorchè Hakibbutz Haartzi – Hashomer Hatzair si affermò nell’Histadrut e
nell’Yishuv come significativa forza nascente alla sinistra del MAPAI, e iniziò a lavorare per
un’organizzazione congiunta. La leadership di Hakibbutz Haartzi era indecisa se aderire o no a Ahavat
Poalim, e la questione divenne molto dibattuta, ma in ogni caso alla metà di luglio del 1930 Ahavat
Poalim fu sciolta dal governo mandatario, che non era mai entusiasta di iniziative che favorissero la
solidarietà operaia arabo-ebraica, e specialmente di quelle appoggiate da Poalei Zion Smol, che le autorità
consideravano alla stregua di bolscevichi e radicalmente anti-imperialisti.
Nella sua riunione del maggio 1930 il consiglio dell'Histadrut dichiarò che i lavoratori ebrei
organizzati in Palestina erano obbligati dalla solidarietà di classe a provare ad aiutare gli arabi a
migliorare le loro condizioni di vita e a soddisfare i loro "bisogni economici e culturali", ma aggiunse che
"ogni passo in questa direzione faciliterà la lotta per l'esistenza del lavoro ebraico e dell'economia
ebraica costruita su questo lavoro"72. Nello stesso tempo, il consiglio respinse la reiterata richiesta di
Poale Zion Smol, ora fatta propria da Ahavat Poalim, che l'Histadrut diventasse un'organizzazione su base
territoriale aperta sia agli ebrei che agli arabi, e si accontentò di approvare le misure già discusse in
precedenza, ovvero l'apertura di sedi per i lavoratori arabi e la pubblicazione di un periodico in arabo.
Alla fine del 1930 l'Histadrut compì un altro passo istituendo un'apposita segreteria o dipartimento
per gli affari arabi, sotto la supervisione del suo esecutivo. Questo dipartimento aveva un membro a
tempo pieno, Yehuda Burla, che dal suo ufficio nel quartier generale dell'Histadrut a Tel Aviv provò a
programmare e coordinare il lavoro del piccolo numero di attivisti che nelle varie città erano interessati al
coinvolgimento dei lavoratori arabi. Burla (1886 - 1969) era nato a Gerusalemme da una famiglia
trasferitasi in Palestina da Smirne nel XVII secolo. Divenuto insegnante, lavorò per la maggior parte della
sua vita nelle scuole ebraiche, a Damasco e quindi in Palestina. Egli è noto soprattutto come scrittore: fu
il primo autore ebreo moderno i cui romanzi parlassero della vita degli ebrei di origine mediorientale,
sebbene alcuni suoi personaggi fossero beduini. Dopo la sua parentesi all'Histadrut (1930 - 32) ritornò
all'insegnamento, quindi lavorò per il Keren Hayesod (uno dei bracci finanziari dell'Organizzazione
Sionista) e dopo la fondazione dello stato di Israele svolse incarichi governativi di medio livello.
Come “segretario arabo” dell’Histadrut, Burla lavorò sotto la supervisione di alcuni dirigenti, tra i
quali vi era Yitzhak Ben-Tzvi. Sebbene alle prese con i suoi incarichi al Vaad Leumi, l’organismo
rappresentativo dell’Yishuv nel quale entrò nel 1931, Ben-Tzvi qualche volta partecipò alle discussioni
nell’Histadrut sulle questioni arabe. Un altro dirigente dell’Histadrut e del MAPAI coinvolto in
quest’ambito fu Dov Hoz (1894 – 1940). Hoz era giunto in Palestina nel 1906 e svolse varie funzioni nel
movimento sionista laburista, fino alla morte prematura dovuta a un incidente automobilistico. Un'altra
figura che all’epoca iniziò a svolgere un ruolo sempre più importante nel’attività araba dell’Histadrut,
soprattutto ad Haifa ma anche a livello nazionale, fu un giovane che prese il nome ebraico di Abba Hushi
(1898 – 1969). Nato in Galizia, Hushi giunse in Palestina nel 1920 come membro di Hashomer Hatzair.
Dopo un’esperienza in un kibbutz si stabilì ad Haifa nel 1927 e fece carriera nella gerarchia locale
dell’Histadrut e del MAPAI, assumendo l’importante carica di segretario del Consiglio operaio di Haifa
nel 1931. La sua personalità piuttosto aspra e autoritaria rendeva difficile lavorare con lui. Hushi divenne
in pratica il capo operaio di una città portuale cosmopolita, mettendo lo zampino in tutti gli affari più
sordidi; si diceva che fosse in buoni rapporti con membri della malavita ebraica di Haifa. Gli sforzi di
Hushi di imparare l’arabo e organizzare i lavoratori arabi di Haifa, soprattutto i portuali, erano legati alla
72
Histadrut Archives
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sua intenzione di diventare il boss di Haifa. Dopo diciannove anni alla guida dell’Histadrut ad Haifa,
Hushi divenne sindaco della città, ruolo che svolse fino alla morte.
La prima e principale preoccupazione del nuovo dipartimento arabo dell’Histadrut furono i fondi.
Il dipartimento era sempre a corto di denaro e in cerca di finanziamenti, dall’Esecutivo Sionista
palestinese (che sosteneva anche altri programmi dell’Histadrut) e poi dalla neonata Agenzia Ebraica,
istituita nel 1929 come strumento attraverso il quale gli ebrei non-sionisti potevano contribuire allo
sviluppo della “casa nazionale” ebraica in Palestina. Nei loro appelli ai sionisti per ottenere dei fondi,
Burla e i suoi soci di solito usavano due argomenti. Da un lato dicevano che i lavoratori arabi ed ebrei
avevano interessi economici comuni i quali potevano servire come base per costruire relazioni
amichevoli. Dall’altro lato, come Burla affermò nel 1931, “Se non capiamo cosa ci aspetta e non ci
diamo da fare, altri arriveranno e organizzeranno le masse contro di noi, per sconfiggerci. E allora, se le
masse arabe saranno organizzate contro di noi, la nostra situazione in Palestina sarà cento volte più
difficile di quanto non sia oggi”73.
Come all’inizio degli anni ’20, l’attività araba dell’Histadrut era in questo periodo pressoché
limitata ad Haifa, dove nonostante la mancanza di fondi la sede per i lavoratori arabi nel febbraio 1931
contava 138 iscritti. Quasi tutti costoro erano lavoratori qualificati, per lo più carpentieri, scalpellini e
fabbri, e lavoravano nella maggiori imprese della città, guadagnando dalle 15 alle 40 piastre al giorno. La
prevalenza di lavoratori qualificati non era casuale: con l’assenso dei funzionari dell’Histadrut, il
segretario della sezione Philip Hassun mirava deliberatamente a escludere i disoccupati o i precari, per
paura che la sede acquisisse la fama di agenzia di collocamento degli arabi nelle imprese ebraiche. In più,
la sezione ospitava i membri arabi dell’Unione Internazionale dei Lavoratori di Ferrovie, Poste e
Telegrafi, affiliata all’Histadrut. Sebbene la maggior parte degli iscritti sapesse leggere e scrivere, pochi
leggevano libri o giornali. La sezione organizzò corsi di ebraico, inglese e (per i lavoratori ebrei) arabo,
mise a disposizione libri e giornali, promosse conferenze e dibattiti, e aveva una squadra di calcio. Ma
probabilmente ciò che più attraeva i suoi membri erano i servizi offerti: l’accesso alla rete sanitaria
“Kupat Holim” dell’Histadrut per la modica cifra di 15 piastre al mese, e un fondo creditizio il cui
capitale iniziale era stato fornito dall’Agenzia Ebraica e da una cooperativa dell’Histadrut, e dal quale
circa 50 lavoratori avevano preso in prestito somme fino a 5 sterline a partire dal febbraio 1931.
Ma gli scarsi fondi non bastavano a sostenere tutte queste attività. Hassun ripeteva costantemente
ai suoi superiori che le attività della sezione erano state sospese per mancanza di denaro, mentre Burla
interpellava di continuo l’Agenzia Ebraica per fondi addizionali. Nello stesso tempo Burla dovette
allontanare i sospetti dei funzionari conservatori dell’Agenzia che l’Histadrut utilizzasse i finanziamenti
sionisti per inculcare idee socialiste nei lavoratori arabi. Nelle sue richieste di denaro e nelle discussioni
sull’attività araba, i funzionari dell’Histadrut non persero mai di vista le implicazioni politiche di questo
settore di lavoro: la possibilità di avvantaggiare il sionismo e di indebolire il movimento nazionalista
arabo-palestinese.
73
Frederick Kish, Palestine Diary, 1938
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e come tali entrarono a far parte della cultura popolare araba. Questa rappresentazione può avere favorito
la simpatia nei confronti della loro lotta.
Il trasporto su ruote si era sviluppato molto rapidamente in Palestina tra la fine degli anni ’20 e
l’inizio degli anni ’30, con la costruzione di nuove strade e il miglioramento di quelle esistenti da parte
del governo. Un consistente numero di arabi ed ebrei acquistarono automobili, autobus o camion e si
misero in affari trasportando passeggeri o carichi, o entrambi. La maggioranza di costoro erano singoli
individui che possedevano e utilizzavano un singolo veicolo, ma alcuni uomini d’affari arabi crearono
compagnie più grandi che assumevano autisti per creare servizi di taxi o linee di autobus più o meno
regolari tra le città e i villaggi palestinesi, insieme a servizi per turisti o il trasporto di spedizioni. Erano
stati fatti tentativi di ridurre la concorrenza tra i proprietari ebrei assegnando determinate linee a ciascuno
di essi, e l’Histadrut aveva cercato attraverso il suo Consorzio Cooperative di costituire una cooperativa
di autisti ebrei. Ma queste iniziative ebbero ben poco successo, e il settore rimase largamente
deregolamentato, con troppi proprietari e autisti in competizione per troppo pochi passeggeri e carichi.
Nel 1930 tutte e tre le categorie che vivevano del trasporto su ruote – i proprietari, gli autisti loro
dipendenti e i proprietari-autisti di un singolo veicolo – erano giunte a condividere una serie di
rivendicazioni, per lo più dirette al governo. Essi lamentavano che i prezzi del carburante, già mantenuti
alti dalle due compagnie (Shell e Vacuum Oil) che controllavano il mercato palestinese, venivano
aumentati ancora di più dalle tasse governative. Una latta di carburante in Palestina costava 405 millesimi
(di cui 205 millesimi di tasse), mentre in Siria, Iraq ed Egitto costava solo 240 – 260 millesimi. Il governo
mandatario imponeva anche una licenza annuale di 10 – 12 sterline, mentre in Egitto e Siria le licenze
erano gratis. I dazi doganali sui pneumatici erano anche elevati, così come le multe per le violazioni del
codice della strada, che secondo gli autisti erano imposte arbitrariamente. “E poichè il governo non era
soddisfatto che con tutti questi guai ci rimanesse ancora un briciolo di fiato per respirare – dichiarava un
documento pubblico siglato da autisti e proprietari nel giugno 1931 – esso nel 1929 ha varato una nuova
legge chiamata Road Transport Act, aggiungendo regole e condizioni che ci porteranno alla rovina e ci
lasceranno senza speranza”74.
Alla fine del 1930 un gruppo di proprietari e autisti arabi chiese a Hasan Sidqi al-Dajani, un
giovane avvocato proveniente da una facoltosa famiglia araba, di farsi portavoce delle loro richieste di
abbassamento di prezzi, tasse e licenze alle compagnie petrolifere e al governo. Poichè le trattative non
portarono a risultati, il malcontento crebbe tra sia tra gli arabi che tra gli ebrei, e al-Dajani cominciò a
lavorare insieme a Shraga Gorokhovskij (poi Goren), direttore del Consorzio Cooperative dell’Histadrut,
che si poneva in rappresentanza dei proprietari ebrei. Nel giugno 1931 vi era da parte del settore la
crescente volontà di uno sciopero dei trasporti su ruote per spingere il governo mandatario ad accogliere
le proprie richieste. Il 29 giugno al-Dajani annunciò la costituzione di un comitato di agitazione composto
sia da arabi che da ebrei e dichiarò che il 1 luglio avrebbe avuto inizio uno sciopero generale nazionale di
tutti i veicoli su ruote, accompagnato da carovane pacifiche di protesta nelle strade di Gerusalemme,
Jaffa, Tel Aviv e Haifa. Gli obiettivi dello sciopero erano il 50% di tagli a tasse e dazi sui pneumatici,
l’abolizione dei costi delle licenze e la revisione del Road Transport Act. Il comitato di agitazione fece
appello a tutti i proprietari di autoveicoli di aderire allo sciopero, promettendo di mantenere nelle città
principali dei mezzi per il trasporto dei malati in casi di emergenza.
Nelle discussioni interne la dirigenza dell’Histadrut era contraria allo sciopero in quanto temeva
che potesse andare fuori controllo, sfociare nella violenza o assumere dimensioni politiche; in tutti questi
casi gli insediamenti ebraici e le loro attività economiche sarebbero state messe a repentaglio. Alcuni
funzionari dell’Histadrut confessarono di vedere la mano del nazionalismo arabo o dei comunisti dietro
l’attivismo degli autisti. L’Histadrut spinse i proprietari e autisti ebrei ad opporsi allo sciopero, ma non vi
riuscì: gli autisti arabi erano decisi all’azione e molti autisti ebrei li appoggiavano.
L’Histadrut non era sola nel guardare con sospetto allo sciopero. L’Esecutivo Arabo, la leadership
formale del movimento nazionalista arabo in Palestina, non gradiva l’emergere di un’alleanza arabo-
ebraica di tal fatta. Da una parte essa tendeva ad allentare le divisioni tra gli arabi e gli ebrei, mettendo in
secondo piano le rivendicazioni del nazionalismo arabo. In secondo luogo l’agitazione era diretta in primo
luogo contro le politiche del governo mandatario, e l’Esecutivo Arabo all’epoca riteneva ancora che vi
sarebbe potuto essere un cambiamento nella politica inglese, nel senso di porre fine al progetto sionista.
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Histadrut Archives
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Infine l’Esecutivo Arabo era controllato dalla fazione dominante nel movimento nazionalista, capeggiata
dalla famiglia Husseini, mentre Hasan Sidqi al-Dajani era discendente di una facoltosa famiglia
avversaria degli Husseini, quella dei Nashashibi. I Nashashibi erano visti come filo-inglesi e amici del
fantoccio britannico Abdallah, governatore della Transgiordania, che aveva ambizioni di lunga data sulla
Palestina. Può essere apparso agli Husseini che organizzando gli autisti i loro rivali nella leadership sulla
comunità araba avrebbero acquisito una considerevole importanza economica e politica. Ma come
l’Histadrut l’Esecutivo Arabo non osò andare contro l’opinione pubblica, che simpatizzava ampiamente
con gli autisti. Il 29 giugno uscì una dichiarazione del suo presidente, Musa Kazim al-Husseini, che
esprimeva sostegno per gli autisti e la speranza che le loro richieste venissero accolte senza lo sciopero.
La dichiarazione non parlava di arabi o ebrei ma di “proprietari di veicoli e autisti”.
Una concessione dell’ultimo momento del governo – il posticipo di un mese del pagamento delle
licenze – fece rinviare lo sciopero. Nelle settimane che seguirono gli autisti si organizzarono formalmente
in una Associazione dei Proprietari e Autisti di Autoveicoli, con l’elezione di un comitato esecutivo
comprendente un uguale numero di arabi ed ebrei e presieduto da al-Dajani, con Gorokhovskij come vice.
Il comitato entrò in trattativa col governo, che offrì concessioni che soddisfacevano poche delle richieste
degli autisti. Sebbene al-Dajani fosse esistante e Gorokhovskij (sostenuto dallHistadrut) fosse
decisamente contrario allo sciopero, gli altri membri del comitato, pressati dalla base, spinsero per una
nuova indizione, che fu fissata per il 7 agosto. Dopo forti appelli da parte delle camere di commercio
araba ed ebraica e dei leader dell’Yishuv, ansiosi di evitare qualunque limitazione ai trasporti, il governo
propose una commissione per investigare sulle rivendicazioni e redigere un rapporto entro la fine di
ottobre. L’Associazione dei Proprietari e Autisti accettò l’offerta, annullò lo sciopero a oltranza e
organizzò un’agitazione di 24 ore. Lo sciopero si svolse pacificamente e fu salutato come un successo
dall’Associazione.
Nei mesi che seguirono Hasan Sidqi al-Dajani fu duramente attaccato dalla stampa araba per la
sua collaborazione con gli ebrei. Sorprendentemente l’attacco venne innanzitutto dal Filastin, giornale
legato alla fazione dei Nashashibi. Il 18 settembre 1931 Filastin pubblicò un editoriale chiaramente
rivolto a al-Dajani: esso ammoniva “chiunque abbia collaborato con gli ingannatori sionisti a smetterla e
a creare un’associazione araba nella quale i non arabi non abbiano alcun ruolo, e Dio dimenticherà
quanto fatto in passato”. Nello stesso tempo un opuscolo firmato da tre autisti arabi ma probabilmente
ispirato da attivisti filo-Husseini accusò al-Dajani di essere un fantoccio sionista:
Non c’è dubbio che chi conosce gli affari dell’Associazione sa che Hasan Sidqi al-Dajani è
legittimato soltanto dagli ebrei. Egli tutti i giorni è a Tel Aviv, e lì tutti i giorni incontra gli ebrei. E’
pensabile che egli possa attuare una qualunque politica che vada contro gli interessi degli ebrei? E
con non faccia nell’associazione quello che gli dicono gli ebrei?75
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Questa volta la minaccia fu posta in atto, e circa 2.000 autisti scioperarono per nove giorni, fino
alla mezzanotte dell’11 novembre. Lo sciopero fu molto efficace: i giornali riportarono che a parte i
mezzi di esercito e polizia difficilmente si poteva vedere un’auto, un autobus o un camion sulle strade
della Palestina, e al loro posto si vedevano carretti trainati da asini. Nei primi giorni lo scioperò sembrò
guadagnare la simpatia dell’opinione pubblica araba ed ebraica; anche Filastin si schierò a favore.
L’associazione dei commercianti arabi chiamò un sciopero di solidarietà di tre giorni, per spingere il
governo ad accettare le richieste dei dimostranti e tornare dunque agli affari, ma lo annullò dopo che il
governo ebbe annunciato un rinvio di un mese del pagamento delle licenze. Quando lo sciopero cominciò
a mettere in difficoltà l’andamento delle attività economiche, iniziarono le pressione per indurre gli autisti
a tornare al lavoro. I delegati dei dimostranti tennero duro per un po’, ma alla fine accondiscesero a porre
fine alla protesta dopo la promessa della camera di commercio araba di cooperare per il raggiungimento
delle rivendicazioni. Pochi mesi dopo i lavoratori ottennero una parziale vittoria quando il governo
ridusse il costo delle licenze, sebbene per compenso aumentò il costo dei pezzi di ricambio.
Come conseguenza dello sciopero al-Dajani accarezzò l’idea di trasformare la sua preminenza tra
gli autisti arabi in un’organizzazione politica. In colloqui riservati con funzionari del dipartimento politico
dell’Agenzia Ebraica, cercò finanziamenti sionisti per l’istituzione di un “Palestine Arab Workers’ Party”,
apparentemente una via di mezzo tra un partito e un sindacato. Moshe Shertok e altri funzionari
dell’Agenzia erano piuttosto interessati, e così alcuni dirigenti dell’Histadrut. Tuttavia non se ne fece
nulla. In quanto presidente dell’Associazione dei Proprietari e Autisti di Autoveicoli, al-Dajani si occupò
di politica araba come dirigente del Partito di Difesa Nazionale, fondato nel 1934 dai Nashashibi e dai
loro alleati dopo la dissoluzione dell’Esecutivo Arabo e la frammentazione dell’elite araba palestinese in
diverse fazioni rivali.
Gli scioperi dei trasporti del 1931 non produssero un’organizzazione arabo-ebraica durevole. Essi
portarono invece a una molto maggiore regolamentazione del settore, e a una ristrutturazione. Furono
istituite linee di autobus fisse, e fu più difficile ottenere le licenze, con conseguente indebolimento dei
piccoli proprietari individuali e rafforzamento dei grandi. Ciò avvantaggiò i titolari di compagnie di
autobus arabi ma anche l’Histadrut, che con Gorokhovskij organizzò gli autisti ebrei in cooperative.
Come altri settori dell’economia palestinese, il settore dei trasporti sarebbe diventato sempre più
segregato, con compagnie di autobus e camion affiliate all’Histadrut che servivano le città e gli
insediamenti ebraici, e le compagnie arabe nelle città e nei villaggi arabi.
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Una nuova darsena era in costruzione ma non sarebbe stata completata prima della fine del 1933.
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ebrei avessero un nemico comune rappresentato proprio dagli immigrati hawrani, e dovessero unirsi
appositamente per fronteggiare tale minaccia.
Nei primi anni ’30, di fronte all’ampia disoccupazione nell’Yishuv, l’Histadrut intensificò i suoi
sforzi per aumentare il numero degli ebrei assunti al porto. Riuscì nell’intento per quanto riguarda la
costruzione della nuova darsena. Ma al vecchio porto la sua attività di lobbying diede risultati inferiori:
nel maggio 1932 solo 28 ebrei lavoravano al vecchio porto, come stivatori, facchini o addetti all’allibo.
Gli stivatori, che caricavano e scaricavano le navi, erano “l’elite” dei portuali; i facchini portavano le
merci dalla ferrovia fin sulla banchina del porto; e gli addetti all’allibo lavoravano sui barche (“allibi”
appunto) che trasportavano le merci alle e dalle navi, che erano ancorate a circa un miglio dalla banchina.
In queste circostanze era chiaro che, come per le ferrovie, gli ebrei avrebbero potuto essere inseriti
negli impieghi al porto di Haifa solo se per gli arabi le paghe fossero notevolmente aumentate e le
condizioni di lavoro migliorate. Ecco perché Abba Hushi non esitò a cogliere l’occasione allorchè,
nell’aprile 1932, alcuni addetti all’allibo arabi scesero improvvisamente in sciopero, apparentemente per
protestare contro la decisione degli intermediari di assumerli a giornata anziché mese per mese e di
congedare alcuni lavoratori negando loro il riconoscimento dell’anzianità. Gli addetti all’allibo ebrei coi
quali gli scioperanti arabi avevano lavorato fianco a fianco per un anno si rifiutarono di fare i crumiri;
molti di loro erano membri di Hashomer Hatzair in attesa di stabilirsi in un kibbutz, e videro lo sciopero
come un’opportunità di dare prova dell’internazionalismo proletario che era parte dei loro slogan.
All’inizio alcuni degli scioperanti arabi proposero di rivolgersi alla PAWS per ricevere sostegno, ma
quando questa diede prova di scarso impegno furono d’accordo nell’autorizzare Abba Hushi a negoziare
per loro conto.
Sebbene Hushi fosse in buoni rapporti con gli intermediari, non riuscì a ottenere molto per gli
scioperanti: dopo quattro giorni essi tornarono al lavoro solo con la promessa a parole che in capo a due
settimane sarebbero stati impiegati di nuovo su base mensile. Gli addetti all'allibo tuttavia furono ben
impressionati dall'aiuto ricevuto dai colleghi ebrei, dal consiglio operaio di Haifa e dall'Histadrut. Era
iniziata la bassa stagione, e senza questo aiuto probabilmente essi avrebbero perso il lavoro. Dopo la fine
dello sciopero gli addetti all'allibo e altri lavoratori arabi del porto entrarono nella neonata Unione dei
Portuali, fondata dall'Histadrut e aperta a lavoratori sia arabi che ebrei. Benchè i lavoratori ebrei di
Hashomer Hatzair volessero un'organismo pienamente internazionale senza divisioni interne, Hushi e i
suoi del MAPAI insistettero affinchè l'Unione avesse sezioni nazionali separate.
I membri arabi dell'Unione dei Portuali dovevano costituire la prima cellula di una nuova
organizzazione che fu creata nel 1932 per coordinare i lavoratori arabi sotto la direzione dell'Histadrut. In
ebraico la nuova organizzazione fu chiamata "Lega dei lavoratori della Terra di Israele", in arabo "Unione
dei Lavoratori di Palestina". D'ora in poi ci si riferira ad essa con il nome ufficiale inglese, Palestine
Labor League (PLL). Come spiegato nel capitolo 2, dopo anni di dibattito il terzo congresso dell'Histadrut
nel 1927 aveva adottato una risoluzione per la creazione di una "lega internazionale dei lavoratori della
terra d'Israele" che includesse l'Histadrut e la sua ancora inesistente complementare araba. Nessuna lega o
alleanza di tal fatta fu mai creata. Invece, a quella che era di fatto una piccola organizzazione funzionale
agli obiettivi dell'Histadrut fu attribuito il nome roboante originariamente riservato all'ipotetica
federazione binazionale. Lo statuto della PLL fu approvato dall'Histadrut e ratificato dal comitato
esecutivo nel maggio 1932, e sebbene quest'ultimo si richiamasse alla risoluzione del 1927 era chiaro che
non si trattava di quanto progettato cinque anni prima.
Con la creazione della PLL la dirigenza dell'Histadrut pose fine alla possibilità che ai lavoratori
arabi fosse permesso di diventare membri a pieno titolo di un'Histadrut rinnovata in senso non-sionista,
come chiedeva Poalei Zion Smol. Questa svolta rendeva altresì irrilevante anche l'appello all'unità arabo-
ebraica lanciato da Hashomer Hatzair. Per il restante periodo mandatario, di fatto fino al 1959 quando
l'Histadrut decise di far entrare gli arabi come membri a pieno titolo, la PLL (ribattezzata Israel Labor
League dopo il 1948), fu l'organizzazione cui erano indirizzati i lavoratori arabi organizzati sotto la tutela
dell'Histadrut. Fu diretta esclusivamente da funzionari ebrei dell'Histadrut, il suo budget proveniva
dall'Histadrut e da altre fonti sioniste, e dipendeva esclusivamente dalle indicazioni dell'Histadrut - quindi
del MAPAI - per tutte le questioni.
Per il lavoro quotidiano di reclutamento fu ingaggiato un nuovo organizzatore a tempo pieno,
Eliyahu Agassi, che per più di quattro decenni avrebbe svolto un importante ruolo nell'attività araba
dell'Histadrut. Agassi era nato a Baghdad nel 1909 e aveva seguito la famiglia in Palestina nel 1928.
70
Dopo il diploma alla prestigiosa scuola secondaria di Herzliya, dove si unì al movimento giovanile
sionista laburista, si iscrisse all'Università Ebraica di Gerusalemme. Nell'estate del 1932 accettò l'offerta
di Dov Hoz e Abba Hushi di trasferirsi ad Haifa per organizzare i lavoratori arabi, prendendo il posto di
Philip Hassun. Per Hushi e soci Agassi era l'uomo ideale: era ebreo, fedele al MAPAI, parlava bene sia
l'arabo che l'inglese, aveva una buona cultura araba e mostrò subito dedizione al suo compito di
organizzare i lavoratori arabi, sia per convinzioni socialiste che per ottemperanza agli obiettivi del
sionismo. A questo è da aggiungere che aveva le qualità personali adatte. Come molti suoi colleghi
dell'Histadrut, che però erano per di più di origine est europea, era gentile, forbito e di buone maniere, e
rispettato anche dagli arabi. Queste qualità gli permisero di ingraziarsi molti degli arabi coi quali veniva
in contatto, anche coloro che erano estremamente contrari agli scopi della sua attività politica.
78
Intervista a Eliyahu Agassi, 6 maggio 1987
79
Shabtai Teveth, Ben-Gurion and the Palestinian Arabs: from Peace to War, 1985
71
Tali ammonimenti non servirono a distogliere l’Histadrut dal continuare la sua campagna per il
lavoro ebraico, soprattutto nei moshavot ma anche nelle città. Sebbene questa aggressiva propaganda
provocasse un forte risentimento tra gli arabi e rafforzasse la predominanza del sionismo laburista
nell’Yishuv, essa non raggiunse gli obiettivi prefissati. All’inizio del 1936 gli arabi costituivano circa il
35% della forza lavoro nelle aziende agricole ebraiche, il 20% nei trasporti e il 12% nelle imprese di
costruzioni di proprietà di ebrei. Per di più, come vedremo, dal 1934 la campagna dell’Histadrut aveva
iniziato a provocare una resistenza araba organizzata. Ma una causa più significativa del fallimento della
propaganda per il lavoro ebraico fu l’inedita espansione economica che la Palestina iniziò a vedere nel
1932 e che durò fino al 1935.
Il boom economico ebbe diverse cause, di cui la più importante fu il grande incremento
dell’immigrazione ebraica tra il 1932 e il 1935. Durante gli anni ’20 l’immigrazione ebraica si era
aggirata sulle 10.000 unità all’anno, al di sotto del naturale incremento della popolazione araba di
Palestina. Di conseguenza nel 1931 i 174.000 ebrei in Palestina rappresentavano solo il 17% della
popolazione del paese. Quell’anno solo 4.000 ebrei erano arrivati in Palestina. Nel 1932 tuttavia ne
arrivarono più del doppio, e l’anno successivo più del triplo. Nel 1934 immigrarono più di 42.000 ebrei, e
nel 1935, il punto più alto dell’ondata, quasi 62.000. Quindi, anche senza contare le migliaia di immigrati
in più entrati illegalmente, la popolazione ebraica della Palestina più o meno raddoppiò tra il 1932 e il
1935, arrivando a 375.000, il 27% del totale. Circa il 60% dei nuovi immigrati veniva dalla Polonia e
dalla Germania, paesi in cui gli ebrei avevano a che fare con una marea montante di antisemitismo, dalle
forme anche violente. I nuovi immigrati si ammassarono nelle città della costa, che crebbero molto
rapidamente: Tel Aviv e dintorni contava il 26,5% della popolazione dell’Yishuv nel 1931 e il 36,7% nel
1936, mentre ad Haifa i numeri corrispondenti erano 9,2% e 13,6%.
Questo afflusso di immigrati ebrei fu accompagnato da un inedito afflusso di capitali ebraici, che
stimolarono l’economia palestinese. Parte dei capitali giungeva con gli stessi emigranti; un’altra parte era
investita dagli ebrei all’estero; e un’altra ancora era incanalata in Palestina tramite il controverso Transfer
Agreement che l’Agenzia Ebraica negoziò con il nuovo regime nazista in Germania nel 1933 e che rimase
in vigore fino all’inizio della Seconda guerra mondiale. Questo accordo, che fu criticato aspramente da
molti ebrei e altri antifascisti che stavano cercando di organizzare un boicottaggio economico della
Germania nazista, permise a parte del capitale degli ebrei tedeschi emigranti di essere trasferito
nell’Yishuv sottoforma di beni tedeschi80. In alcune città della Palestina l’afflusso di immigrati e capitali
ebrei suscitò la reazione aperta della popolazione araba: in particolare a Jaffa alla fine di ottobre 1933
scoppiò una rivolta che fu soffocata nel sangue dalla polizia inglese.
La maggior parte del nuovo capitale ebraico andò nell’edilizia residenziale, specialmente a Tel
Aviv e nei quartieri ebraici di Haifa. Una larga frazione finì nel settore degli agrumi, che rappresentava i
quattro quinti dell’export palestinese e crebbe enormemente in questo periodo. Il valore delle esportazioni
di agrumi dalla Palestina (dirette soprattutto nel Regno Unito) crebbe da 727 sterline nel 1930-31 a più di
tre milioni di sterline nel 1934-35. Vi fu anche un notevole incremento della manifattura, soprattutto per
la crescita del mercato interno: il capitale investito nelle imprese ebraiche passò da 2,2 milioni di sterline
nel 1929 a 5,4 milioni nel 1933 e 12,7 milioni nel 1937. Nell’insieme, nei quattro anni 1932 – 35 la
produzione industriale in Palestina crebbe del 61%, l’import del 130%, l’export del 77%, e il consumo
locale di elettricità del 335%.
Questo afflusso di capitale e immigrati ovviamente favorì innanzitutto i settori ebraici di attività.
Ma la rapida crescita di questi ultimi stimolò anche la crescita nei settori arabi, e parte della prosperità
dell’Yishuv si riversò sugli arabi sottoforma di un aumento dei posti di lavoro e dei salari, e di un
ampliamento del mercato e della domanda di servizi. Molti contadini arabi, in difficoltà per gli scarsi
mezzi di sussistenza forniti dall’agricoltura, furono attratti dalla campagna della Palestina e della regione
siriana dell’Hawran agli impieghi nelle piantagioni di agrumi, nei porti, nelle costruzioni e nei servizi
pubblici.
La prosperità di cui godette l’Yishuv tra il 1932 e il 1935 mise in secondo piano la lotta
dell’Histadrut per il lavoro ebraico. Una gran quantità di lavoratori arabi si accontentavano di salari bassi
e ciò rendeva difficile l’impiego di lavoratori ebrei negli impieghi non qualificati in agricoltura, ferrovie,
80
Edwin Black, The Transfer Agreement, 1984
72
porti e edilizia. L’occupazione araba nelle piantagioni ebraiche e nei cantieri edili crebbe a dismisura nel
periodo 1932 – 35. Alla fine degli anni ’20 un’ampia disoccupazione ebraica nelle città aveva fornito
all’Histadrut un’arma concreta nella lotta per il lavoro ebraico. Per contro, l’espansione economica dei
primi anni ’30 rese la conquista del lavoro ebraico molto più ardua.
81
Histadrut Archives
73
La PAWS cercò di controbilanciare le maggiori risorse economiche, politiche, sociali e culturali
fornite dall’Histadrut alla PLL attraverso il coinvolgimento di intellettuali, in particolare avvocati, che
potessero tutelare i lavoratori da posizioni di relativa impunità. Uno di questi avvocati fu Hanna Asfur,
che fu consulente legale della PAWS negli anni ’30 e ’40. Nato a Shafa Amr (pochi chilometri a est di
Haifa) nel 1902, Asfur studiò in Palestina e in Libano, fu impiegato nelle Palestine Railways e traduttore
al tribunale di Haifa. Si laureò in quella città e nel 1929 aprì un proprio studio. Altri avvocati furono come
lui vicini al movimento peraio arabo. L’Histadrut spesso denunciò questi avvocati come opportunisti e
interessati alla carriera, stigmatizzando il loro ruolo in alcuni sindacati arabi rispetto ai sindacati ebraici
diretti da “veri lavoratori”. Questa rappresentazione non era completamente falsa: alcuni di costoro, come
Hasan Sidqi al-Dajani nel 1931 o Fakhri al-Nashashibi pochi anni dopo, provarono a usare il movimento
operaio arabo come trampolino di lancio per portare avanti le proprie ambizioni politiche. Ma dal punto di
vista della base del movimento, essi furono spesso dei preziosi alleati.
Mentre i contatti con gli edili non si tradussero in una relazione stabile, la PLL nell’estate del 1932
sviluppò legami con altri gruppi di lavoratori arabi. Ci fu il caso di sette lavoratori di una forneria di
Haifa, che avvicinarono il loro padrone, un membro della piccola comunità tedesca della città, chiedendo
la riduzione della settimana lavorativa da 80 – 85 ore a 60, un aumento della paga da 3 a 3,5 sterline al
mese, e il libero accesso al pane, consuetudine di molte fornerie. Quando il padrone respinse le richieste,
essi si rivolsero alla PLL unendosi al neonato sindacato dei dipendenti delle fornerie “occidentali”.
Nonostante la cautela della PLL, l’intransigenza del padrone li spinse a scendere in sciopero. Hushi e
Agassi scrissero all’Histadrut insistendo che “in questa occasione, il primo caso di uno sciopero
organizzato da lavoratori arabi collegati all’Histadrut, quest’ultima deve mostrare la sua forza
organizzativa, la solidarietà dei suoi membri, la prontezza a stare al fianco del lavoratore arabo
aiutandolo materialmente e moralmente”82. Il consiglio operaio di Haifa venne in soccorso con una cassa
di resistenza e stampò un opuscolo in ebraico per far conoscere la lotta. Ma il padrone della forneria fece
venire dei crumiri, la comunità tedesca di Haifa lo sostenne acquistando i suoi prodotti, e lo sciopero alla
fine fallì. Poiché i lavoratori erano disoccupati, il consiglio operaio di Haifa li aiutò a formare una
forneria cooperativa. In capo a pochi mesi tuttavia i conflitti interni portarono alla trasformazione della
cooperativa in un’impresa privata. Il piccolo sindacato dei fornai affiliato alla PLL sopravvisse a fatica.
Nell’ottobre 1932 il General Workers’ Club di Haifa riaprì i battenti dopo una pausa di sei mesi,
come luogo di ritrovo dei lavoratori arabi organizzati sotto gli auspici della PLL. In un resoconto alla
direzione dell’Histadrut sullo stato dell’attività araba ad Haifa veniva sottolineata in particolare la
mancanza di un periodico in lingua araba che potesse propagandare efficacemente il ruolo della PLL. Nel
circolo di Haifa c’era una sala di lettura con riviste illustrate egiziane e anche il quotidiano del Cairo al-
Ahram; ma “la stampa araba palestinese assolutamente no, perché essa è qualcosa di simile al veleno
per le menti degli arabi”83. La PLL costituì anche una cellula tra i lavoratori della Vacuum Oil Company
di Haifa ed entrò in contatto con gruppi di salariati di Jaffa e Tel Aviv. Tra questi ultimi vi erano degli
autisti che si erano coordinati al di fuori dell’organizzazione di Hasan Sidqi al-Dajani.
I CAVATORI DI NESHER
La più importante e nota lotta nella quale la PLL fu coinvolta in questo periodo fu quella alla cava
adiacente alla fabbrica di cemento Nesher, nei dintorni di Haifa. Come discusso nel capitolo 2, Nesher era
stata teatro di una serie di importanti lotte nel 1924 – 25. Nella fabbrica vera e propria, ancora l’unico sito
di produzione di cemento Portland in Palestina, il principio del lavoro ebraico era strettamente osservato,
e i lavoratori ebrei guadagnavano 30-35 piastre per una giornata lavorativa di otto ore. La concessione
alla cava, invece, era nelle mani di un intermediario arabo, Musbah al-Shaqifi, che assumeva solo arabi;
dal 1930 in poi essi provenivano per lo più dai villaggi circostanti. L’Histadrut non aveva mai gradito
questa situazione ma non era stata finora in grado di modificarla. I cavatori ricevevano da 8 a 12 piastre al
giorno per dodici o tredici ore di lavoro, una paga ancor più bassa del peggior lavoro disponibile in
Palestina a quel tempo. Vivevano in baracche di proprietà della compagnia nei pressi della cava, mentre
le famiglie rimanevano a casa nei villaggi, ed erano costretti a fare acquisti a prezzi maggiorati in un
negozio di proprietà dell’intermediario.
82
Histadrut Archives
83
Central Zionist Archives
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Alla fine di settembre 1932 al-Shaqifi annunciò un taglio dei salari e circa 150 cavatori, giunti al
limite della sopportazione, scesero in sciopero. Le loro rivendicazioni erano la giornata lavorativa di nove
ore, una paga giornaliera di 15 piastre e la chiusura del negozio dell’intermediario. Gli scioperanti
contattarono innanzitutto il consiglio operaio di Nesher-Yagur, che non aveva mai cercato di organizzarli
e anzi all’inizio era contrario alla loro assunzione, chiedendo che negoziasse per loro conto. Quando al-
Shafiqi si rifiutò di fare qualsiasi concessione, i funzionari dell’Histadrut organizzarono dei picchetti,
tennero riunioni quotidiane, e inviarono gli scioperanti nei villaggi per spiegare la situazione e
scoraggiare i potenziali crumiri. Sebbene credessero che questo sciopero dovesse avere successo, i
funzionari dell’Histadrut ammisero che esso aveva creato “confusione” tra i lavoratori ebrei della
fabbrica. Per alcuni di costoro lo sciopero alla cava sembrava un’occasione d’oro per introdurvi
manodopera ebraica, e non era chiaro se i lavoratori ebrei della fabbrica avrebbero o no accettato
materiale proveniente dal lavoro di eventuali crumiri. In aiuto all’Histadrut comunque venne la direzione
del sito, che chiuse per ferie la fabbrica di cemento proprio quattro giorni dopo l’inizio dello sciopero,
dunque evitando il conflitto tra lavoratori ebrei e arabi.
La PAWS replicò al coinvolgimento dell’Histadrut inviando propri rappresentanti da Haifa per
chiedere agli scioperanti di interrompere i contatti con l’organizzazione ebraica, ma questi non furono
ascoltati. Quando l’intermediario inviò un proprio dipendente per offrire un lieve aumento di paga, fu
assalito dagli scioperanti e solo l’intervento dei funzionari dell’Histadrut lo salvò da un pestaggio. Dopo
diciotto giorni al-Shaqifi fu costretto a offrire condizioni molto diverse per porre fine allo sciopero:
riduzione della giornata lavorativa a nove ore, aumento della paga a 12,5 piastre con un ulteriore
incremento a 15 dopo tre mesi, e libertà per i dipendenti di fare acquisti ovunque volessero. Al-Shaqifi fu
inoltre costretto ad accettare l’istituzione di un comitato composto di rappresentanti della manodopera e
della proprietà per risolvere le future dispute. Dallo sciopero scaturì un insieme di circa 140 cavatori
legati all’Histadrut.
In realtà la vittoria fu di breve durata: al-Shaqifi non aveva intenzione di rispettare l’accordo che
era stato costretto a firmare e cercò di riprendere il sopravvento. Nel tentativo di limitare l’influenza
dell’Histadrut, egli assunse un gran numero di nuovi dipendenti e li fece iscrivere alla PAWS. Non è noto
se la PAWS fosse così ben disposta a fare questa parte, ma di certo essa era ansiosa di eliminare la base di
consenso della PLL tra i cavatori di Nesher. Nei mesi successivi al-Shaqifi privilegiò i nuovi assunti della
PAWS, vessando i vecchi che appartenevano alla PLL. Questa campagna raggiunse l’apice nell’aprile
1933: quando i 130 aderenti alla PLL rientrarono al lavoro dopo un periodo di vacanza, scoprirono che al-
Shaqifi li aveva rimpiazzati. Egli offrì loro di riprenderli se avessero pagato di tasca propria gli attrezzi e
una visita medica preliminare. Quando rifiutarono, al-Shaqifi lì licenziò. Si formarono dei picchetti, ma
con l’aiuto della polizia e dei lavoratori affiliati alla PAWS al-Shaqifi fu in grado di mantenere la cava in
funzione.
L’Histadrut intervenne a favore della PLL autorizzando i 70 lavoratori ebrei impiegati in un
settore della fabbrica di cemento collegato alla cava a rifiutarsi di lavorare materiale fornito da quelli che
definiva crumiri. In una dichiarazione in difesa della loro causa, pubblicata su Filastin, gli scioperanti
arabi denunciarono gli abusi di al-Shaqifi ed espressero apprezzamento per la solidarietà operaia ebraica.
Date le circostanze, l’azione dell’Histadrut probabilmente non era ispirata solo dalla solidarietà. La lotta
di Nesher ora si configurava come i lavoratori della PLL contro al-Shaqifi e i lavoratori della PAWS. Era
in gioco l’influenza della PLL e dell’Histadrut in un sito lavorativo grande e importante, e non sarebbe
stato un bene per la reputazione di questi organismi se un intermediario arabo insieme al più forte
sindacato arabo fossero riusciti a estromettere la PLL.
La lotta si protrasse senza sviluppi per circa sei settimane. Per quasi tutto il periodo al-Shaqifi si
rifiutò di negoziare, e per un po’ si nascose a Nazareth per sfuggire alle pressioni. La direzione di Nesher
inizialmente negò che lo sciopero la riguardasse, ma a un certo punto costrinse al-Shaqifi a negoziare
minacciando di cancellare il suo contratto per la cava. La polizia sembra avere appoggiato al-Shaqifi
proteggendo i crumiri e reprimendo i picchetti e i capi dello sciopero. A un certo punto la polizia arrestò
anche Eliyahu Agassi, dopo che un informatore rivelò di avere ricevuto una pistola da lui; Agassi fu in
grado di fornire un alibi credibile e fu rilasciato. All’inizio del maggio 1933 l’Histadrut acconsentì a porre
termine allo sciopero rinviando tutte le questioni a un arbitrato presso le autorità inglesi. L’arbitro ordinò
che l’intermediario riassumesse quasi tutti gli scioperanti e successivamente accolse alcune delle loro
richieste economiche, ma non richiese che al-Shaqifi riconoscesse la PLL come interlocutore.
75
Durante lo sciopero l’Histadrut fu attaccata sia dal Partito Comunista Palestinese che da Poalei
Zion Smol. Il primo affermava nei suoi opuscoli che i sionisti dell’Histadrut ancora una volta tradivano i
lavoratori arabi ed ebrei e chiedeva un comitato di sciopero indipendente per guidare una lotta che
equiparasse i salari degli arabi e degli ebrei. Gli scritti di Poalei Zion Smol rimproveravano all’Histadrut
la scarsa intraprendenza: invece di concentrarsi sui salari e sulle condizioni di lavoro, si era limitata
all’obiettivo del reinsediamento dei lavoratori licenziati. E’ chiaro che all’Histadrut interessava molto
mettere radici alla cava di Nesher, ma sembra che il suo comportamento sia stato anche dettato
dall’eccessiva prudenza. In ogni caso, lo sciopero di marzo-aprile 1933 segnò l’inizio della fine
dell’influenza della PLL a Nesher. Nei mesi successivi le pressioni di al-Shaqifi e della PAWS
logorarono la base di consenso della PLL tra i cavatori, e la sua organizzazione presso di loro fu azzerata.
La PAWS non fece molto meglio. Nel gennaio 1936 essa guidò un sciopero di una settimana dei
cavatori contro lo stesso avido intermediario, Musaf al-Shaqifi, chiedendo che le paghe aumentassero a
16 piastre per una giornata lavorativa di otto ore. Al-Shaqifi siglò un accordo ma come nelle altre
occasioni non lo rispettò. Un altro breve sciopero si svolse a metà febbraio, e un altro alla fine del mese,
sempre per l’aumento delle paghe e la riduzione della giornata lavorativa. Quest’ultimo durò fino a metà
marzo ma anch’esso si concluse senza esito.
Come vedremo nel capitolo 6, lo sciopero generale che esplose nell’aprile 1936 avrebbe
finalmente reso possibile la realizzazione dell’obbiettivo a lungo termine dell’Histadrut, ovvero introdurre
il lavoro ebraico nella cava di Nesher, così come al porto di Haifa.
Dopo aver soffocato gli scioperi dei lavoratori arabi, i leader dell’Histadrut cercano di inserire un
piccolo numero di arabi in un’organizzazione dell’Histadrut. Lo scopo della PLL, che è stata messa in
piedi ad Haifa, così come dell’Unione Internazionale dei Ferrovieri, è di organizzare una parte dei
lavoratori arabi in un’ente la cui funzione è dare una maschera internazionalista ai tentativi di
conquista dell’Histadrut e distogliere il lavoratore arabo dall’idea di costruire la propria
organizzazione di classe, legandolo al carro dello sciovinismo e del sionismo85.
La leadership dell’Histadrut era avvezza a tali attacchi, che il predominio del MAPAI sul
movimento sionista laburista permetteva di ignorare quasi del tutto. Ma l’apparente incapacità della PLL
a creare una propria base stabile ad Haifa fece scemare l’entusiasmo per quel lavoro nell’estate del 1932.
Nella primavera del 1933 i fondi per l’attività araba erano di nuovo pressoché terminati; Yehuda Burla
aveva lasciato il suo posto di segretario del dipartimento arabo dell’Histadrut; e a novembre Abba Hushi
fu ridotto a minacciare l’esecutivo dell’Histadrut di abbandonare a sua volta se non otteneva adeguati
finanziamenti e attenzione. L’affitto della sede di Haifa non fu pagato per tre mesi, e il proprietario del
locale fu sul punto di chiudere. Pare che l’Histadrut a quel punto intervenne con una somma di denaro,
ma la PLL continuò ad arrancare durante il 1934, contando su non più di 200 iscritti dispersi in piccole
unità lavorative dentro e intorno ad Haifa.
84
Halohem, 2 marzo 1933
85
MAKI Archive (l’archivio del Partito Comunista d’Israele)
77
Tziyona, pubblicando un opuscolo e raccogliendo fondi; queste decisioni tuttavia non sembra siano state
messe in pratica. Ciò portò Hashomer Hatzair e Poalei Tzion Smol ad accusare il MAPAI, che controllava
l’apparato dell’Histadrut così come il consiglio operaio di Nes Tziyona, di avere ancora una volta
disonorato la promessa di sostenere uno sciopero di lavoratori arabi. Lo sciopero sembra si sia
impantanato in un esito disordinato dopo circa una settimana, con alcuni braccianti che ottennero un
aumento di paga e altri che andarono a lavorare altrove. Un certo numero di lavoratori arabi di Nes
Tziyona formarono una propria organizzazione, che si rivolse alternatamente all’Histadrut e ai sindacati
arabi legati al movimento nazionalista, segno ancora una volta che i proletari arabi erano abbastanza in
grado di perseguire autonomamente i propri interessi.
Gli scioperi nei moshavot posero nuovamente all’ordine del giorno per l’Histadrut la questione
della politica dell’organiazzazione verso i salariati agricoli arabi. La cosa venne ampiamente discussa al
consiglio dell’Histadrut nell’agosto 1934. Dov Hoz, portavoce della maggioranza legata al MAPAI,
difese l’idea del suo partito di organizzazione unitaria. “Dobbiamo – disse – evitare di compiere
un’attività missionaria”.
E’ molto facile scaldare gli animi degli arabi. Nel loro entusiasmo, privo di conoscenza ed
esperienza, essi sono pronti ad abbracciare ogni bandiera e dopo a saltare nel campo opposto. A
questo riguardo l’esperienza dello sciopero di Nes Tziyona è istruttiva. Là gli scioperanti si sono
accordati con noi. Poi hanno pubblicato una lettera sui giornali arabi dicendo che avevano rotto con
noi. E sono venuti da noi precisando che la lettera era solo “politica”. Nel frattempo è nato un circolo
legato all’Esecutivo Arabo86.
Sottolineando che la maggior parte degli scioperanti a Nes Tziyona erano immigrati, Hoz affermò
che tali salariati rappresentavano una minaccia non solo nella lotta per il lavoro ebraico ma anche per i
lavoratori arabo-palestinesi. Egli insistette che la priorità doveva andare al lavoro ebraico, pur
riconoscendo che si dovesse intensificare l’attività araba dell’Histadrut e a tal proposito propose la
costituzione di un comitato permanente.
Hashomer Hatzair cercò di distanziarsi sia dalla posizione “100% lavoro ebraico” del MAPAI che
dal rifiuto di lottare per quest’ultimo da parte di Poalei Zion Smol. Propose che l’Histadrut si impegnasse
non solo a preservare il lavoro dei lavoratori arabi “stabili” nei moshavot, intendendo con ciò quelli di
origine palestinese che erano impiegati da almeno due anni in un posto, ma anche a organizzarli insieme
ai lavoratori delle città. Poalei Zion Smol ridicolizzò la proposta di Hashomer Hatzair, affermando che era
impossibile imporre una distinzione tra lavoratori “stabili” e “a tempo”, organizzando i primi per
allontanare i secondi ed espellere gli hawrani dal paese. Ribadì la richiesta di un’Histadrut aperta a tutti i
lavoratori di Palestina, inclusi anche i migranti dell’Hawran, e notò che se i lavoratori arabi stavano
volgendosi al nazionalismo, era solo in seguito all’esempio del MAPAI: “Volete che il lavoratore arabo
vi permetta di collaborare con il Vaad Leumi (nel quale vi sono rappresentanti di partiti borghesi),
mentre gli è vietato collaborare con l’Esecutivo Arabo?”87.
Sia Poalei Zion Smol che Hashomer Hatzair minacciarono che se l’Histadrut non avesse preso sul
serio l’attività araba, loro stessi avrebbero preso l’iniziativa. Forse per questo la risoluzione varata dalla
maggioranza del MAPAI al consiglio dichiarava che l’attività araba dovesse essere intensificata. Il
consiglio affermava anche che solo l’Histadrut aveva il diritto di condurla, anche se non vi era un
esplicito riferimento ai moshavot. Un mese dopo, nel settembre 1934, l’esecutivo dell’Histadrut varò
formalmente un comitato per gli affari arabi. Nonostante l’obiezione di Hashomer Hatzair, Poalei Zion
Smol fu esclusa dalla partecipazione, e di Hashomer Hatzair vi entrò solo un membro, Yaakov Riftin. Gli
altri erano membri del MAPAI: Dov Hoz, Abba Hushi, David Hacohen, Nata Harpaz, e Reuven Zaslani,
un nuovo arrivo di cui parleremo a breve. Riftin propose un ambizioso programma di intervento che
includeva l’organizzazione nella PLL dei lavoratori arabi “stabili” dei moshavot. Ma i suoi nuovi
collaboratori del MAPAI si opposero perché, come disse Hacohen, nei moshavot “Io lotto per la mia vita
contro il lavoratore arabo” – ovvero per la conquista del lavoro ebraico. Fu subito chiaro che l’attività
araba dell’Histadrut doveva indirizzarsi strettamente nelle città.
86
Histadrut Archives
87
Verbali dell’esecutivo dell’Histadrut
78
I PORTUALI DI JAFFA E I TESSITORI DI AL-MAJDAN
Il porto di Jaffa rimase importante anche dopo l’apertura della nuova darsena di Haifa nel 1933,
specialmente come punto di imbarco per l’esportazione degli agrumi. Gli stivatori e gli addetti all’allibo
arabi che vi lavoravano, assunti da intermediari arabi erano sempre più malcontenti e decisi ad
organizzarsi. Sebbene pagati un fisso al giorno, nella stagione piena degli agrumi gli stivatori potevano
essere costretti a lavorare fino a 18 ore al giorno; dunque erano interessati non solo a un aumento di paga
ma anche allo straordinario. Gli addetti all’allibo non ricevevano un fisso al giorno ma una parte del
ricavato dalla barca sulla quale lavoravano, il che dava al proprietario della barca o all’intermediario la
possibilità di rifarsi su di loro in caso di basso guadagno. Entrambe le categorie svolgevano mansioni
pericolose e subivano numerosi infortuni per i quali solo raramente venivano indennizzati dai proprietari.
Allo stesso tempo questi lavoratori, per lo più palestinesi di Jaffa e dintorni, si sentivano
minacciati dalla concorrenza dei migranti provenienti dall’Hawran, attirati in Palestina dalla relativa
prosperità del paese e disposti a lavorare al porto. Gli stivatori e gli addetti all’allibo organzzandosi in
sindacato pensavano anche di difendersi dalla concorrenza dei migranti, facendo leva sul principio della
“precedenza agli autoctoni”. Ciò non valeva solo per il porto di Jaffa: ad Haifa la PAWS inviò una
petizione al governo mandatario per protestare contro ciò che riteneva un ingolfamento del mercato del
lavoro, provocato dagli hawrani.
L’Histadrut condivideva l’obiettivo di escludere i non-palestinesi, perché questa esclusione
avrebbe facilitato la lotta per il lavoro ebraico, legata al mantenimento dei salari al di sopra di un certo
livello. Solo Poalei Zion Smol sosteneva la necessità di estendere il principio dell’internazionalismo
proletario e dell’organizzazione congiunta includendovi gli hawrani e gli egiziani. Il MAPAI e Hashomer
Hatzair, pur dibattendo se il lavoro ebraico dovesse essere totale o coinvolgere anche i “lavoratori arabi
permanenti”, si trovarono d’accordo nell’idea che i migranti hawrani ed egiziani dovessero essere banditi
dalla Palestina. L’Histadrut, che aveva sempre negato l’identità nazionale degli arabi-palestinesi dicendo
che facevano parte di una più ampia nazione araba indeterminata, ora la chiamava in causa l’identità
nazionale per mettere i palestinesi contro gli hawrani e gli egiziani.
Per attirare gli stivatori e gli addetti all’allibo, la PLL aprì un circolo a Jaffa vicino al porto, con
un ambulatorio Kupat Holim al suo interno. Esso forniva anche credito e altri servizi, tra cui assitenza
legale. Il primo caso in cui degli avvocati dell’Histadrut citarono in giudizio degli imprenditori portuali
per il mancato risarcimento di infortuni occorsi agli stivatori, destò grande impressione nella PLL e
nell’Histadrut. Alla fine del 1934 la PLL dichiarava circa 100 stivatori di Jaffa tra i propri iscritti, e dopo
alcun negoziati anche gli addetti all’allibo iniziavano ad aderire. Tuttavia il fatto che con l’incedere della
bassa stagione dell’export molti lavoratori tornassero nei villaggi di provenienza rese difficile mantenere
in piedi il sindacato degli stivatori. Ma per i funzionari dell’Histadrut la PLL a Jaffa aveva avuto grande
successo nell’organizzare quei lavoratori, tanto da ritenere, come disse uno di loro, che “noi
comanderemo al porto di Haifa e potremo fare grandi cose, sia economicamente che politicamente”88.
Agassi iniziò a recarsi a Jaffa una volta alla settimana per lavorare con gli stivatori e gli addetti
all’allibo, mentre il funzionario dell’Histadrut Dov Hoz intervenne in loro difesa presso i funzionari
inglesi che facevano visita al porto e cercò la solidarietà dei portuali inglesi. Nel 1934 Agassi ebbe
contatti anche coi lavoratori della manifattura tabacchi di Jaffa, e con dei tessitori della città di Al-Majdal,
sulla costa nord di Gaza (oggi è la città 100% ebraica di Ashkelon). All’epoca Al-Majdal era uno dei
maggiori centri della produzione tessile; un corrispondente esagerando la definì il “Lancashire della
Palestina”. Circa 1.000 uomini e 500 donne erano impiegate in piccole fabbriche gestite da circa 60
proprietari di telai. Nell’agosto 1933 circa 800 di questi lavoratori e lavoratrici erano scesi in sciopero per
un miglioramento della tariffa a cottimo, che ammontava a una sola piastra aggiuntiva al giorno. Sembra
che solo i lavoratori uomini abbiano ottenuto l’aumento, a condizione di togliere l’appoggio alla
medesima rivendicazione delle donne. Fu durante questo sciopero che i tessitori cercarono di prendere
contatto con l’Histadrut. Una delegazione si recò a Tel Aviv ma qui incontrò esponenti di Poalei Zion
Smol; è possibile che questi utlimi si siano qualificati come rappresentanti dell’Histadrut. Un anno dopo
Agassi, temendo l’influenza di Poalei Zion Smol, pretese che questi contatti fossero interrotti e che i
tessitori si rivolgessero direttamente all’Histadrut. Dopo alcuni viaggi ad Al-Majdal, Agassi e i suoi
88
Central Zionist Archives
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decidero che tutto ciò che potevano offrire era l’aiuto nel formare una cooperativa di tessitori. Ma non se
ne fece nulla, e le trattative alla fine terminarono senza altro esito.
89
George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937
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Israel State Archives
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resto che l’organizzazione a volte svolgeva e per la quale spesso gli arabi si avvicinavano
spontaneamente. Ma un fatto verificatosi in questo periodo mostra come la proposta di Hacohen fosse in
una contraddizione troppo aperta con altri aspetti dell’attività sionista dell’Histadrut.
La cava di pietra (con annesso forno da calce) di Even Vesid, aperta nel 1929 presso Haifa, era
qualcosa di particolare perché i proprietari erano congiuntamente l’ufficio contratti dell’Histadrut e un
grosso affarista arabo di Haifa, Tahir Qaraman. La cava impiegava un numero pressoché uguale di arabi e
di ebrei, ma il fatto che tra i dipendenti vi fossero degli arabi era fonte di imbarazzo per l’Histadrut a
causa della sua strenua linea in difesa del lavoro ebraico. La paga dei dipendenti arabi ammontava a 12
piastre al giorno, non solo sotto lo standard ma meno della metà della paga dei dipendenti ebrei (25
piastre) più o meno per le stesse mansioni. La questione divenne di pubblico dominio nell’aprile del 1935
quando alcuni lavoratori arabi di Even Vesid scesero in sciopero. Le loro richieste includevano una paga
di 15 piastre al giorno, la giornata di 8 ore, un giorno alla settimana di riposo e l’allontanamento di un
caposquadra a loro inviso. La direzione dello sciopero fu subito assunta dalla PAWS. L’Histadrut
denunciò l’agitazione come tutta politica, dichiarò che gli scioperanti erano strumentalizzati da Hanna
Asfur e da altri nazionalisti arabi, e provò a sostituirli con lavoratori ebrei e crumiri arabi. Nonostante gli
scontri e gli arresti gli scioperanti tennero duro e alla fine l’Histadrut dovette concedere l’aumento di
paga.
Hashomer Hatzair criticò la leadership dell’Histadrut perché non era stata in grado di organizzare i
lavoratori arabi di Even vesid attraverso la PLL. L’altra questione che emerse fu sul perché degli arabi
fossero impiegati lì, al che David Hacohen spiegò che l’esistenza di Even Vesid dipendeva dalla
collaborazione con Tahir Qaraman e per esigenze di profitto era necessario l’impiego di manodopera
araba a basso costo. In altre parole, i posti di lavoro ben remunerati degli ebrei erano mantenuti da quelli
sottopagati degli arabi. A complicare le cose si aggiunse un proprietario di una cava ebreo che protestò
presso l’Yishuv perché a suo dire la cava di Even Vesid sabotava la campagna “comprate ebraico” poiché
le sue pietre erano vendute a prezzi più bassi.
L’episodio narrato mostra come la proposta di David Hacohen sulla PLL come agenzia di
collocamento non potè suscitare l’entusiasmo dell’Histadrut, perché ostacolava l’obiettivo a lungo
termine dell’introduzione del lavoro ebraico in quanti più luoghi di lavoro possibile.
Pochi mesi prima dell’affare “Even Vesid”, un altro sciopero aveva attirato l’attenzione di tutto il
paese, quello alle infrastrutture dell’Iraq Petroleum Company ad Haifa. Lo sciopero all’IPC, diretto
contro una compagnia ricca, potente e nota in tutto il Medioriente come rappresentante diretta degli
interessi imperialistici inglesi, fu uno dei più grossi che ebbero luogo in assoluto in Palestina.
Le infrastrutture dell’IPC di Haifa erano state da poco completate quando il 9 febbraio 1935 circa
50 lavoratori impiegati da un intermediario avevano scioperato, ottenendo un aumento di paga. Il loro
esempio probabilmente fece scuola, perché quando la compagnia annunciò tagli al personale e tagli agli
stipendi, fu subito sciopero. L’agitazione partita il 22 febbraio, inizialmente coinvolse circa 150 lavoratori
qualificati, che formarono un comitato e chiesero non solo l’annullamento dei tagli ma anche un salario
minimo di 15 piastre al giorno, giornata di 8 ore e settimana di 6 giorni, pagamento degli straordinari e
varie altre cose. In capo a una settimana lo sciopero arrivò a coinvolgere circa 600 degli 800 addetti
dell’IPC, quasi tutti arabi; ma anche gli americani impiegati nel sito sembra che abbiano aderito.
Sia la PAWS che l’Histadrut furono presto coinvolte. La PAWS aveva il sostegno della maggior
parte dei lavoratori e chiamò Hanna Asfur per negoziare con la compagnia, mentre la PLL rappresentava
un centinaio di autisti, sempre dipendenti IPC. Inizialmente la PLL cercò di condurre una trattativa
separata per gli autisti, ma quando questa fallì Eliyahu Agassi si unì ad Hanna Asfur e al comitato degli
scioperanti. A un certo punto il management tentò di escludere Agassi da un incontro con i vari
rappresentanti operai, ma questi ultimi non vollero e alla fine l’incontro si svolse con tutti presenti. Dopo
un’esitazione iniziale, l’Histadrut decise di appoggiare lo sciopero e fece un appello agli iscritti per creare
una cassa di resistenza.
L’Histadrut e la PAWS chiesero al governo mandatario di intervenire. Sotto quella pressione,
l’IPC fece alcune concessioni, ma Asfur non riuscì a convincere gli scioperanti ad accontentarsi e a
tornare al lavoro. Col passare dei giorni la PAWS, che rappresentava i lavoratori qualificati, vedeva che le
richieste di questi ultimi erano state per lo più accolte, mentre i non qualificati erano a bocca asciutta.
Inoltre cresceva nel sindacato arabo il sospetto nei confronti dell’Histadrut, che sembrava voler prendere
il controllo della situazione utilizzando gli autisti e la cassa di resistenza.
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Fu a questo punto, dopo più di due settimane dall’inizio della mobilitazione, che Fakhri al-
Nashashibi, “leader dei lavoratori” sui generis, comparve improvvisamente ad Haifa e iniziò a mediare tra
la compagnia e il comitato degli scioperanti. Non è chiaro se fu la PAWS a invitarlo, fatto sta che egli per
lo più ignorò i sindacalisti arabi, conducendo negoziati personali con la direzione dell’IPC. Dopo tre
giorni al-Nashashibi annunciò che era stato raggiunto un accordo, e persuase il comitato degli scioperanti
ad approvarlo. La maggior parte degli addetti riprese il lavoro l’11 marzo, tranne alcuni che di malumore
rientrarono pochi giorni dopo.
L’Histadrut fu molto contrariata dall’intervent di al-Nashashibi e lo attaccò come reazionario
nazionalista, che aveva venduto i lavoratori spingendoli ad accettare molto meno di quello che avrebbero
conseguito proseguendo lo sciopero e formando un vero sindacato nell’IPC. I comunisti definirono a loro
volta al-Nashashibi un opportunista borghese ma affermarono che Hushi, Agassi e l’Histadrut non erano
da meno. Per contro Filastin salutò l’esito dello sciopero come una grande vittoria dei lavoratori,
specialmente perché esso aveva “posto fine ai tentativi dell’Histadrut di utilizzare lo sciopero”. In ogni
caso il management dell’IPC nei mesi che seguirono si rimangiò molte delle concessioni e in buona parte
distrusse la base della PAWS tra i lavoratori.
Sebbene si fosse concluso con una vittoria parziale, lo sciopero all’IPC per gli obiettivi e la durata
fece molta impressione sul proletariato arabo in tutta la Palestina. Numerosi sindacati arabi inviarono
messaggi di solidarietà, e vari gruppi di salariati, dai portuali di Jaffa ai i ferrovieri di Haifa, trassero
esempio dalla lotta dei loro compagni. Per anni, lo sciopero del 1935 all’IPC venne preceduto
dall’aggettivo “grande” nei resoconti pubblicati dalle più disparate forze di sinistra, e anche autori
contemporanei, sia arabi che ebrei, lo considerano un punto di svolta nella formazione della coscienza di
classe del proletariato arabo in Palestina.
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George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937
92
ibidem
93
Quella in cui al-Qassam aveva trovato la morte, il 19 novembre 1935. Histadrut Archives
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6
Il 15 aprile 1936 membri della brigata guerrigliera fondata dallo sceicco al-Qassam fermarono
degli autobus nei pressi di Nablus, uccidendo due passeggeri ebrei. Due giorni dopo un gruppo
paramilitare ebraico di destra si vendicò uccidendo due arabi. Le proteste arabe presto dilagarono in tutto
il paese, assumendo gradualmente la forma di una grande rivolta popolare anticoloniale e antisionista. Per
contenere la violenza e sviluppare la rivolta dal basso, gli attivisti nazionalisti arabi lanciarono uno
sciopero generale. Lo sciopero si diffuse rapidamente, così come nacquero nuovi “comitati nazionali” per
portare avanti la lotta nelle grandi città. Colte di sorpresa, le elites politiche tentarono di cavalcare l’onda
popolare appoggiando lo sciopero e formando un Alto Comitato Arabo (AHC), con tutti i maggiori partiti
presenti, e Amin al-Husseini come presidente.
Lo andò avanti per sei mesi, fino all’ottobre 1936, diventando uno degli scioperi generali più
lunghi della storia. Esso fu il primo stadio di una rivolta nazionalista araba contro gli inglesi e contro i
sionisti, che terminò solo nell’estate 1939. Lo sciopero fu accompagnato da numerosi attacchi agli ebrei e
alle proprietà ebraiche, condotti per lo più dai numerosi gruppi guerriglieri che nacquero nei villaggi di
tutto il paese durante la primavera e l’estate del 1936 e diedero alla rivolta un carattere sempre più
violentemente e apertamente insurrezionale.
Molti settori della popolazione palestinese urbana parteciparono allo sciopero generale, e i
lavoratori ebbero un ruolo centrale. Il sindacato degli autisti di Hasan Sidqi al-Dajani paralizzò i trasporti
arabi, e i portuali di Jaffa bloccarono le banchine. Per sostenere le sciopero i comitati nazionali raccolsero
donazioni dai palestinesi abbienti e dai simpatizzanti dei paesi vicini, e crearono casse di resistenza per
sostenere i lavoratori in sciopero, inclusi i portuali di Jaffa. A parte Jaffa, che era un caso particolare, lo
sciopero generale distrusse gran parte di ciò che restava dell’influenza della PLL e le rese impossibile
l’attività pubblica tra i lavoratori arabi. E’ da notare che gli stivatori e i chiattaioli di Jaffa, che alla fine
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del 1934 avevano collaborato con la PLL e la cui organizzazione sembrava stesse per mettere il porto di
Jaffa sotto il controllo dell’Histadrut, erano ora in prima linea nello sciopero generale. I sindacati arabi
che prima avevano cooperato coi laburisti ebrei aderirono rapidamente alla causa nazionalista. L’adunata
del 1 maggio 1936 organizzata dalla PAWS ad Haifa e composta per la gran parte da ferrovieri inviò un
messaggio all’Alto Comissario denunciando il governo per aver tollerato “la giudaizzazione di questo
paese arabo, che priva il lavoratore del suo lavoro e il contadino della sua terra”. Il messaggio
dichiarava poi che la propaganda sionista sulla cooperazione tra lavoratori arabi ed ebrei era “una
sfacciata bugia, di cui noi siamo innocenti”94.
94
Filastin, 2 maggio 1936
95
Regione della Siria meridionale.
96
Ian Black, Zionism and the Arabs 1936 – 39, 1986
87
vantaggio degli ebrei li spinse a tornare quasi tutti al lavoro dopo dieci giorni. Né il porto né altri
importanti siti lavorativi di Haifa subirono altri blocchi per tutta la durata della rivolta.
Questa congiuntura senza precedenti permise all’Histadrut di raggiungere altri obiettivi di lungo
periodo. Ad esempio alla fine del 1936 l’Agenzia Ebraica persuase le autorità del porto di Haifa ad
assumere gli ebrei direttamente anziché attraverso gli appaltatori com’era avvenuto fino ad allora,
emarginando così i lavoratori arabi e rafforzando il lavoro ebraico. Nel 1933 alcuni leader del MAPAI
avevano espresso il timore che Abba Hushi, funzionario dell’Histadrut e allo segretario del consiglio
operaio di Haifa, stesse spendendo troppo tempo ed energie nell’organizzare i lavoratori arabi: “Egli
dovrebbe ricordarsi – lo ammonirono – di essere il segretario del consiglio dei lavoratori ebrei di
Haifa”. Dal momento che i successi dell’Histadrut nel 1936 furono dovuti alla dedizione di Hushi sia al
lavoro ebraico che ai lavoratori arabi, sembra i timori del 1933 fossero infondati.
Prima della rivolta, il governo mandatario in Palestina era stato per lo più insensibile o anche
ostile all’aggressiva campagna dell’Histadrut per il lavoro ebraico, per paura che essa avrebbe minato le
relazioni arabo-ebraiche e l’ordine pubblico, rafforzato il movimento sionista e gravato sulle casse
governative a causa dell’aumento dei salari e del valore dei contratti di lavoro. Ora però la rivolta araba
aveva creato delle circostanze in cui il governo aveva forte interesse a sostenere la linea dell’Histadrut per
il lavoro ebraico, per tenere in funzione le aziende più importanti e indebolire la sollevazione nazionalista.
Ad Haifa il governo inglese e il movimento sionista videro una chiara convergenza di interessi nel
sabotare lo sciopero di agosto, e vi riuscirono combinando forza militare (gli inglesi) e gruppi di crumiri
fortemente motivati (sostenuti dall’Histadrut).
Anche alla cava di Nesher lo sciopero generale e l’interesse del governo nel bloccarlo rese
possibile la realizzazione di uno dei sogni dell’Histadrut: l’introduzione di lavoratori ebrei. Nel marzo
1936 i cavatori di Nesher, rappresentati esclusivamente dalla PAWS, avevano concluso l’ultimo di una
serie di infruttuosi scioperi contro il concessionario, quello stesso Musbah al-Shaqifi che negli anni
precedenti aveva ripetutamente siglato e poi rotto gli accordi. Quando iniziò lo sciopero generale in
aprile, Shafiqi fu spinto a fuggire in Libano dalle minacce di morte dei nazionalisti. I cavatori si unirono
allo sciopero e i villaggi dei dintorni divennero focolai di attività nazionalista. Le autorità inglesi e il
movimento sionista avevano interessi comune nel bloccare lo sciopero; come disse Moshe Shertok, capo
del dipartimento politico dell’Agenzia Ebraica, se lo sciopero alla cava fosse andato avanti fino a
bloccare, per mancanza di materia prima, la fabbrica di cemento da essa rifornita “i leader arabi
sarebbero nella condizione di affermare di essere riusciti a bloccare la più grande fabbrica ebraica, e ciò
rafforzerebbe il loro status di fronte all’opinione pubblica”97. I direttori della cava alla fine si convinsero
che la produzione e la disciplina potevano essere ristabiliti solo se almeno una parte del lavoro fosse
andato agli ebrei, e quindi accolsero le richieste dell’Histadrut cancellando la concessione di al-Shafiqi e
trasferendola all’Ufficio Contrattazioni dell’Histadrut, diretto da David Hacohen.
Hacohen e soci temevano che i cavatori arabi si sarebbero opposti violentemente all’impiego di
ebrei. Perciò pianificarono le loro mosse in stretta coordinazione con gli inglesi. Hacohen parlò anche con
Sami Taha, segretario della PAWS, che rappresentava la maggior parte dei cavatori. Taha aveva
intenzione di cooperare con Hacohen, apparentemente perché voleva mantenere qualche impiego per i
suoi iscritti, e forse anche perché nel movimento nazionalista faceva parte della fazione anti-Husseini. Il 4
maggio 1936 Hacohen, accompagnato da Taha e da funzionari di polizia, condusse alla cava una
cinquantina di lavoratori ebrei, membri del vicino kibbutz Yagur. Dopo aver ricevuto da Hacohen
l’assicurazione che i loro impieghi erano al sicuro e i loro compensi sarebbero aumentati, i lavoratori
arabi accettarono l’ingresso degli ebrei senza opporre resistenza. L’influenza della PAWS nella cava fu
presto eliminata e i lavoratori arabi confluirono nella PLL. I lavoratori ebrei furono contrariati per questo,
poiché temevano che la semplice iscrizione alla PLL avrebbe permesso agli arabi di occupare impieghi
che potevano far gola agli ebrei. Negli anni successivi, nei quali la cava sviluppò metodi di produzione
più intensiva (più macchinari, un sistema di quote, il lavoro a cottimo), la forza lavoro si ridusse e
divenne più ebraica: nel 1939 essa contava 60 ebrei e 50 arabi, con i primi pagati 37 piastre al giorno e i
secondi 16 piastre. La fabbrica e la cava di Nesher furono vendute a una nuova compagnia posseduta
congiuntamente dall’Histadrut e da un gruppo di imprenditori ebrei del cemento98.
97
Yehoshua Porath, The Palestinian Arab National Movement, from Riots to Rebellion, 1977
98
David Hachoen, Time to Tell: an Israeli Life 1908 – 1984, 1985
88
La rivolta permise anche all’Histadrut di avere successo nella sua lotta per imporre il lavoro
ebraico alla cava di Majdal Yaba, dove precedenti tentativi nel 1934 e poi nell’aprile 1936 erano stati
respinti dalla vigorosa resistenza dei lavoratori arabi. Come al porto di Haifa e a Nesher, fu il supporto
ufficiale britannico che questa volta fece la differenza. Alla fine del 1936, su pressione dell’Histadrut,
tutti i lavoratori arabi a Majdal Yaba furono licenziati e subentrarono dei lavoratori ebrei. Come avevano
fatto altre due volte, i lavoratori arabi licenziati diedero luogo a una forte protesta, ma questa volta le
autorità britanniche si schierarono direttamente dalla parte dell’Histadrut e un ampio contingente di
polizia e numerosi arresti spezzarono la resistenza araba. Questa sconfitta, che cosò circa 400 posti di
lavoro, lasciò molta amarezza. “Non c’è da stupirsi – scrisse un cronista arabo l’anno successivo – se gli
abitanti dei villaggi vicini parteciparono al deragliamento di un treno vicino alla stazione di Ras-el-Ain il
14 ottobre 1937…venivano da…villaggi che avevano toccato con mano quel che i sionisti intendono per
“conquista del lavoro”99.
Il successo dell’Histadrut a Majdal Yaba fu solo temporaneo: durante la guerra i lavoratori ebrei
andarono in cerca di lavori migliori altrove e alla fine della guerra la forza lavoro alla cava era di nuovo
almeno parzialmente araba, il che determinò un nuovo tentativo di imporre lavoro ebraico nel 1947.
Qualcosa si simile accadde nelle piantagioni di agrumi dei moshavot100. Durante lo sciopero quasi
tutti i lavoratori arabi si astennero dal lavoro e i loro posti furono presi dai lavoratori ebrei mobilitati
dall’Histadrut. Una volta terminato lo sciopero, tuttavia, i lavoratori arabi rientrarono e recuperarono
molto del terreno perduto. La marea montò di nuovo nell’estate e autunno 1938, quando la rivolta giunse
al massimo livello e i lavoratori ebrei di nuovo occuparono i posti di lavoro nelle piantagioni di proprietà
ebraica. Ma quando la rivolta fu soppressa nel 1939, e specialmente dopo che con l’inizio della guerra si
erano creati posti di lavoro altrove, gli ebrei abbandonarono in massa i moshavot e i lavoratori arabi
ripresero i loro posti nella produzione ebraica di agrumi. Poi la questione restò in sospeso fino al 1948,
dopodiché la fuga o l’espulsione della maggior parte degli arabi che vivevano nella parte di Palestina che
divenne Israele “risolse” il problema. Quella soluzione si dimostrò a sua volta provvisoria: dopo il 1967
la forza lavoro nelle piantagioni di agrumi israeliane sarebbe stata largamente composta da lavoratori
palestinesi di Gaza.
Per acquisire credito presso le autorità inglesi e assicurare più lavoro agli ebrei, i leader sionisti
fecero del loro meglio per sottolineare il ruolo avuto dai lavoratori ebrei nell’indebolire lo sciopero
generale. Nella sua testimonianza del dicembre 1936 davanti alla commissione istituita per indagare sulle
cause dei “disordini” in Palestina e guidata da lord Peel, Moshe Shertok affermò che
Questo è un paese con due razze ed è molto importante rendere i servizi pubblici immuni dalle
agitazioni razziali (Interruzione di un membro della commissione: “Immuni contro il virus, si può
dire?”). Sì, contro i disservizi nel caso di agitazioni razziali, e a questo riguardo l’esperienza degli
ultimi disordini, disordini causati da uno sciopero razziale, ci hanno fornito una buona lezione.
Abbiamo rilevato che quando il servizio era esclusivamente in mani arabe, come al porto di Jaffa, è
stato paralizzato completamente, e ciò ha contribuito all’estendersi dello sciopero e dei disordini, che
si sono rafforzati l’un l’altro. Dove vi erano gli ebrei il servizio è rimasto attivo e noi sottolineiamo
che è fondamentale che la composizione razziale della popolazione sia rappresentata nel personale
dei servizi pubblici in questo paese101.
Per fare un esempio, Shertok disse alla commissione che quando in agosto era scoppiato lo sciopero
al porto di Haifa, “il lavoro ebraico continuò e lo sciopero fu stroncato sul nascere, poiché il lavoro
ebraico fu in grado di garantire gli alleggi e gli stivaggi. Erano là e lo poterono fare. A Jaffa non
c’erano, e non lo poterono fare”102.
99
George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937
100
Termine ebraico per indicare gli insediamenti agricoli di proprietà ebraica (singolare: moshava)
101
Palestine Royal Commission: Minutes of Evidence Heard at Public Sessions, 1937
102
ibidem
89
arabi. A una riunione del comitato centrale del MAPAI nel gennaio 1937, Agassi disse ai suoi colleghi
che dal 1932 la PLL era stata in contatto con circa 2.500 lavoratori arabi, aveva raccolto 1.100 iscrizioni,
organizzato 13 sindacati e diretto alcuni scioperi. Ora, disse Agassi, non vi erano più di 15 lavoratori
arabi ancora completamente fedeli alla PLL e in contatto con essa tra Haifa e Jaffa, e altri 50 o 60 nei
dintorni, mentre tutti i sindacati sostenuti dalla PLL erano defunti. La sua sede ad Haifa rimaneva aperta
grazie alla dedizione del solo Mahmud Abu Dabus, la cui reputazione di “tipo tosto” offriva una certa
garanzia ai pochi arabi pubblicamente riconosciuti come membri della PLL103. Il fatto che la PLL
continuasse a esistere è prova della relativa debolezza del movimento nazionalista arabo in Haifa, e degli
anni di paziente e continuo lavoro di Eliyahu Agassi nello sviluppo di buone relazioni con i lavoratori
arabi della città. Ma qualcos’altro spinse comunque dei lavoratori arabi alla PLL, anche in questo periodo:
la reputazione dell’organizzazione come fonte di impiego per i lavoratori arabi, per i quali la rivolta aveva
significato un aumento della disoccupazione. Le annotazioni di Agassi dal 1936 al 1937 riportano
numerosi casi in cui lavoratori arabi di Haifa e dei villaggi intorno lo avvicinavano durante i suoi viaggi o
si recavano alla sede di Haifa e chiedevano di iscriversi alla PLL, nella convinzione che ciò avrebbe
portato loro un impiego sicuro e ben pagato presso un’impresa ebraica104.
Come regola Agassi respingeva le richieste individuali, rispettando la linea della PLL di accettare
solo gruppi di occupati nel medesimo posto di lavoro. Ma di fatto la PLL durante gli anni della rivolta
fece la funzione di ufficio di collocamento, supportando i lavoratori arabi ritenuti affidabili dall’Ufficio
Contrattazioni dell’Histadrut (che poi divenne la compagnia Solel Boneh) e destinandoli a vari progetti di
lavori pubblici, o alla cava e alla fornace di calce di Even Vesid, posseduta congiuntamente dall’Histadrut
e dall’affarista di Haifa Tahir Qaraman, dove nel 1936 vi furono solo pochi giorni di sciopero. Tuttavia
l’impiego di lavoratori arabi che erano anche membri della PLL creò dei problemi all’Histadrut. Nel
1937, per esempio, la Solel Boneh vinse un appalto per la costruzione di un ospedale governativo ad
Haifa. Poiché il contratto specificava che il 50 per cento del monte stipendi dovesse andare agli arabi,
l’Histadrut si rivolse a un intermediario arabo e chiese che i suoi lavoratori fossero iscritti alla PLL.
Tuttavia i rapporti tra la Solel Boneh e questo intermediario si guastarono presto, l’accordo fu sciolto e i
lavoratori licenziati, mettendo in imbarazzo l’Histadrut e la PLL quando i lavoratori chiesero la
restituzione delle quote di iscrizione. Lo stesso progetto dell’ospedale divenne una controversia pubblica:
i sindacalisti arabi contestarono la concessione del contratto alla Solel Boneh e il fatto che i lavoratori
arabi non ricevessero la giusta parte del monte stipendi, e aggiunsero che i lavoratori arabi di un certo
livello non ricevevano la stessa paga dei loro pari grado ebrei105.
Le differenze di paga tra lavoratori arabi ed ebrei, anche lavoratori qualificati, rimasero marcate e
continuarono ad essere fonte di malcontento tra i lavoratori e i sindacalisti arabi. Uno studio pubblicato
nel 1938 dall’Istituto Economico di Ricerca dell’Agenzia Ebraica rilevò profonde differenze tra le paghe
arabe ed ebraiche. Per esempio nel 1936 – 37 i carpentieri ebrei ricevevano 37 piastre al giorno, mentre i
carpentieri arabi ne guadagnavano 27. Per i tornitori le paghe erano rispettivamente 39 e 35 piastre; per i
muratori 54 e 43; per gli intonacatori 53 e 33; per i piastrellisti 54 e 38. Alcune differenze possono essere
dovute ai gradi di qualifica e produttività, ma certamente non fu così in molti casi. Lo studio dell’Agenzia
Ebraica rilevò anche che le paghe di alcuni lavoratori arabi qualificati, per esempio nelle imprese edili, e
forse anche dei lavoratori non qualificati, erano spesso più alte che nei paesi arabi circostanti o anche nei
paesi meno sviluppati d’Europa. In questo senso l’argomento sionista che l’afflusso di immigrati e
capitali ebraici aveva contribuito ad aumentare i salari in Palestina non era senza fondamento. Ma il
paragone che i lavoratori arabi ritenevano importante non era con i lavoratori più poveri dell’Egitto o
dell’Hawran, bensì con i lavoratori ebrei che erano pagati di più per le stesse mansioni e la cui
organizzazione, l’Histadrut, sembrava appetire i posti di lavoro degli arabi106.
Oltre alla fornitura di forza lavoro, la PLL contribuì alla lotta dell’Yishuv contro la rivolta araba in
altri modi. Soldi forniti dall’Agenzia Ebraica furono segretamente girati ai portuali arabi e agli
intermediari per tenere aperto il porto di Haifa, e Shmuel Alafiya, un ebreo di Damasco che aveva
sostituito Agassi come responsabile della PLL ad Haifa quando quest’ultimo iniziò ad operare per lo più a
Tel Aviv e Jaffa, pagò i portantini arabi affinchè non si unissero allo sciopero generale. Le prime navi per
103
MAPAI Archives
104
Histadrut Archives
105
George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937
106
David Horowitz, Rita Hinden, Economic Survey of Palestine, 1938
90
il nuovo porto ebraico di Tel Aviv furono acquistate da arabi di Haifa tramite le conoscenze della PLL. La
PLL fu anche un’importante strumento di spionaggio per l’Haganah e le autorità ebraiche. Agassi e
Alafiya passavano regolarmente le informazioni ricevute dai loro contatti arabi sulla situazione in varie
città e villaggi e sulle mosse di specifici individui e gruppi. George Nassar sembra avere fatto altrettanto:
gli archivi dell’Histadrut contengono numerose lettere che egli spedì al suo mentore Moshe Erem e ad
altri leader di Poale Zion Smol sulla situazione a Jaffa durante lo sciopero generale107.
Agassi e Alafiya usarono anche la loro conoscenza dell’arabo – privilegio piuttosto raro
nell’Yishuv – per condurre propaganda anti-nazionalista. Durante il 1936 la PLL produsse propri opuscoli
contro lo sciopero e ne distribuì altri preparati dal dipartimento arabo dell’Agenzia Ebraica. La PLL
inoltre pagò Abd al-Rahman Uthman al-Husayni, un siriano che recentemente aveva abbandonato il suo
posto di impiegato governativo a Damasco per stabilirsi ad Haifa, affinchè scrivesse un pamphlet
(Appello all’umanità che soffre) contenente una miscela di socialismo e pacifismo, e lo distribuì. In quel
contesto, il pamphlet di al-Husayni poteva essere interpretato solo come una condanna della rivolta. Al-
Husayni inzialmente insistette nel mantenere segreto il suo legame con la PLL, ma era ben intenzionato a
lavorare come propagandista sionista. Nel 1937 la PLL lo inviò nel villaggio di Wadi ‘Ara in seguito a
una lettera ricevuta da parte di un residente, nella speranza di sviluppare una sezione dell’organizzazione.
Wadi ‘Ara, situato nella lunga e stretta vallata che collegava la fascia costiera alla Jezreel Valley, era in
una posizione strategicamente importante. Più in generale, l’Histadrut sperava che stabilendo, attraverso
la PLL, legami con i villaggi avrebbe contrastato l’influenza nazionalista nelle campagne e capitalizzato il
risentimento nei confronti del debole e inefficace Alto Comitato Arabo. Il momento sembrava propizio
per iniziative di tal fatta: durante la primavera-estate del 1937 la rivolta era in una fase di attesa mentre la
commissione Peel faceva la sua inchiesta. La PLL riuscì ad aprire una sede a Wadi ‘Ara (e poi una nel
vicino villaggio di Ar ‘Ara) con una radio e materiale informativo, e durante il 1937 mantenne contatti
regolari con i simpatizzanti nei due villaggi108.
Successivamente nel 1937 la relazione della PLL con al-Husayni si intensificò quando essa lo
ingaggiò per organizzare una rete di intellettuali e club filo-sionisti in varie città e villaggi, e gli allestì un
ufficio, con un investimento complessivo di 250 sterline. I funzionari dello spionaggio inglese si
associarono al piano, ebbero un colloquio con al-Huseyni e gli proposero di lavorare per loro come
infiltrato in un partito nazionalista arabo. Ciò diminuì l’utilità di al-Husayni per l’Histadrut, ma
comunque egli rese vari altri servigi ai suoi amici. Tra le altre cose fu autore dell’opuscolo Kash’f al Qina
(Giù la maschera), pubblicato nel gennaio 1937 dalla PLL, che condannava lo sciopero generale e la
rivolta nazionalista mentre applaudiva l’Histadrut per la sua attenzione ai lavoratori arabi.
Al-Husayni e un gruppo di arabi filo-sionisti furono anche estremamente utili per i tentativi del
sionismo di sviluppare relazioni diplomatiche. Quando per esempio due membri del parlamento inglese
appartenenti al Independent Labour Party (ILP) visitarono la Palestina in un viaggio pagato dalla fazione
di Poale Zion Smol facente capo a Yitzhaki Abramovitch, con la quale l’ILP aveva sviluppato stretti
legami, essi incontrarono soltanto ebrei e arabi scelti dall’Histadrut, incluso al-Husayni il cui
comportamento a detta di Alafiya fu molto efficace. George Mansur, che provò senza successo a
mantenere in piedi l’Arab Workers Society (AWS) dopo l’assassinio del suo segretario Michael Mitri da
parte di uno sconosciuto nel dicembre 1936, fece reiterate richieste di incontrare l’ILP ma non fu
accontentato109.
Hashomer Hatzair non aveva quadri arabi affidabili per accogliere i visitatori provenienti
dall’estero, tuttavia cercò anch’essa di trovare supporto presso la sinistra europea per la sua versione di
sionismo socialista e la sua idea di una Palestina binazionale110. Questo periodo vide anche i primi
tentativi di Hashomer Hatzair di condurre una propaganda diretta verso gli arabi. In occasione del Primo
Maggio 1937 il movimento pubblicò ciò che sembra essere stato il suo primo opuscolo in arabo, intitolato
La via dell’accordo tra gli ebrei e gli arabi di Palestina. L’opuscolo sosteneva che la solidarietà
reciproca avrebbe giovato sia ai lavoratori ebrei che ai quelli arabi, e distingueva nettamente Hashomer
Hatzair dalla maggioranza sionista sostenendo la costituzione di uno stato binazionale arabo-ebraico in
Palestina. Esso cercava anche di collocare la questione palestinese in un contesto internazionalista: i
107
Histadrut Archives
108
ibidem
109
George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937
110
Mordechai Orenstein, Jews, Arabs and British in Palestine: A Left Socialist View, 1936
91
lavoratori ebrei e arabi, affermava, non avrebbero potuto donare al mondo, alle vittime di Hitler e
Mussolini, ai lavoratori di Spagna in lotta per la libertà, la democrazia e il socialismo, null’altro che la
concordia e la solidarietà reciproca. D’altra parte l’opuscolo condannava decisamente la leadership araba,
evitando di prendere posizione sul nazionalismo arabo o sul sionismo. Esso inoltre non faceva esplicita
menzione del lavoro ebraico o delle differenze tra Hashomer Hatzair e il MAPAI, sebbene nelle riunioni
dell’Histadrut e nella stampa ebraica il movimento sovente sottolineasse tali differenze. Per di più, a
dispetto delle frequenti critiche di Hashomer Hatzair verso i fallimenti della PLL, l’opuscolo la indicava
come la migliore opzione per l’organizzazione dei lavoratori arabi.
I funzionari ebrei della PLL contribuirono anche a indebolire la rivolta araba favorendo i primi
contatti tra il movimento sionista e le comunità druse in Palestina e Siria. Nel 1936 i capi del grosso
villaggio druso di Usufiya, sul monte Carmelo, chiesero aiuto al consiglio operaio di Haifa per
proteggersi dalla guerriglia nazionalista che insidiava il villaggio a causa del suo rifiuto di supportare la
rivolta. Questi contatti, favoriti da Hushi, Agassi e Alafiya, condussero a incontri tra i leader dell’Yishuv
e della comunità drusa, inclusi alcuni leader drusi siriani in esilio in Palestina e Transgiordania.
Nell’ottobre 1937 Abba Hushi e Shmuel Alafiya, accompagnati da Shayk Hasan Abu Rukn, un capo
druso di Usufiya, si recarono in Libano e poi a Jabal al-Druz (“la Montagna dei Drusi”, cuore della
comunità nel sud della Siria) in missione segreta per conto dell’Agenzia Ebraica. Come riporta Agassi, il
loro scopo era “siglare un accordo ufficiale (sebbene segreto) tra noi e i leader della Montagna, cosicchè
essi inducessero il popolo della Montagna a ignorare i sobillatori palestinesi, e a fornire informazioni. In
tutte queste zone furono ottenuti preziosissimi benefici”111. Alcuni drusi palestinesi infatti erano attivi nel
movimento anti-sionista, e i leader sionisti speravano che un accordo con i capi drusi siriani avrebbe
ridotto il coinvolgimento dei drusi palestinesi nella rivolta. Un mese dopo ebbe luogo un’altra missione, a
Beirut e a Damasco.
Durante la rivolta del 1936 – 39 le buone relazioni coi drusi giovarono alla sicurezza degli
insediamenti ebraici e delle imprese nell’area del monte Carmelo, in particolare il kibbutz Yagur e la
fabbrica di cemento e la cava di Nesher, e indebolirono l’insurrezione nazionalista nelle campagne. Esse
furono anche alla base della posizione neutrale o pro-sionista assunta dalla maggioranza dei drusi
palestinesi durante le battaglie del 1947 – 49. Come nel caso dei curdi iracheni, avvicinati nel 1934 dal
funzionario dell’Histadrut Reuven Zaslani, questi nascenti rapporti conducevano verso quella che sarebbe
diventata un elemento centrale nella strategia sionista e poi israeliana: la ricerca nell’area di comunità non
arabe e non sunnite che potessero essere coinvolte in un’alleanza contro il nazionalismo arabo112.
…i lavoratori ebrei consideravano loro sacro dovere sollevare il lavoratore arabo dalla sua
condizione di sfruttamento e degrado di cui i suoi padroni, sostenuti dal governo e dai religiosi, erano
responsabili. Essi si sono imposti eticamente di abolire le condizioni di povertà e oppressione
ovunque esistessero nel paese; e non volevano neanche che in Palestina esistessero strati di lavoratori
le cui cattive condizioni di vita e lavoro rappresentassero un pericolo costante per le condizioni di vita
e lavoro dei lavoratori ebrei.
Nonostante fosse centrato sulle relazioni tra lavoratori ebrei e arabi, il memorandum non citava né
mai alludeva alla questione del lavoro ebraico, pur difendendo esplicitamente la politica di escludere gli
arabi dall’Histadrut. Esso inoltre attaccava la leadership della comunità araba in Palestina, che ostacolava
111
Histadrut Archives
112
Ian Black, Zionism and the Arabs 1936 – 39, 1986
92
“il sincero tentativo di elevare lo standard del lavoratore arabo, e anche la possibilità di una
comprensione tra lavoratori ebrei e arabi”.
Ma il vero colpevole, suggeriva l’Histadrut, era il governo mandatario, che aveva bloccato i
tentativi di cooperazione arabo-ebraica. Sebbene questa parte sembra avere infastidito lord Peel, nella sua
testimonianza Dov Hoz, portavoce dell’Histadrut, difese questo punto di vista. I membri della
commissione chiesero insistentemente ai leader dell’Histadrut se la politica del lavoro ebraico
dell’organizzazione non implicasse l’allontanamento dei lavoratori arabi, ma non ebbero risposte
chiare113.
Per contro George Mansur dell’AWS, quando comparve di fronte alla commissione nel gennaio
1937 per testimoniare delle condizioni e richieste dei lavoratori arabi in Palestina, sottolineò il ruolo del
lavoro ebraico, che secondo lui contributiva molto alla disoccupazione araba114. Tuttavia i filo-sionisti in
Inghilterra non lo presero sul serio: quando il rapporto della commissione Peel fu discusso in Parlamento
nel luglio 1937, uno dei membri dell’Indepenent Labour Party che non avevano incontrato Mansur
durante la loro visita a gennaio affermò che “Mansur non rappresenta altri che se stesso”. Frustrato dal
fallimento dei sindacalisti arabi nell’influenzare l’opinione pubblica inglese, Mansur pubblicò un
opuscolo in inglese “per dare al lettore inglese un’idea del perché il lavoro arabo è al fianco di tutta la
popolazione araba nell’opposizione all’immigrazione sionista…e per denunciare l’inadeguatezza del
modo con cui la commissione Peel sta affrontando le relazioni tra lavoro arabo ed ebraico in
Palestina”115. Il lavoratore arabo nella Palestina mandataria non ebbe l’impatto sperato dal suo autore.
Il movimento sionista laburista aveva stretti legami con il partito laburista inglese e il sostegno di molti
membri laburisti in Parlamento, mentre i conservatori anti-sionisti non avevano molto interesse o simpatia
per i lavoratori o i sindacati arabi. Se vi fu una battaglia per conquistare l’opinione pubblica inglese di
centro-sinistra e non comunista, questa fu vinta dai sionisti.
113
Central Zionist Archives
114
Filastin, 17 gennaio 1937
115
George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937
116
Esecutivo dell’Histadrut, minute e corrispondenze
117
Yonathan Shapiro, The formative years of the Israeli Labour Party: the organization of power, 1919-1930, 1976
93
in linea con l'intento dichiarato di combattere la propaganda anti-sionista. Haqiqat al-Amr conteneva
numerosi articoli di discussione sul sionismo (in particolare il sionismo laburista) e che provavano a
dimostrare che il progetto sionista avvantaggiava gli arabi di Palestina piuttosto che danneggiarli. Il primo
numero iniziava con un'affermazione (in un arabo piuttosto forbito) che in un modo o nell'altro sarebbe
stata ripetuta quasi settimanalmente:
A ogni persona intelligente non deve sfuggire la dedizione del popolo ebraico alla sua patria unica
ed eterna, le cui virtù si sono perdute nei secoli. Perciò gli ebrei hanno intrapreso grandiosi progetti
di civilizzazione in Palestina, che hanno migliorato tutto il paese e la situazione di tutti i suoi
abitanti...Il movimento operaio ebraico organizzato nell'Histadrut - l'ossatura del movimento sionista
- è stato e sarà sempre all'avanguardia di coloro che si impegnano per lo sviluppo della pace e del
progresso del paese, per il bene del popolo ebraico e il bene degli arabi che vi abitano. Questo è il
nocciolo della questione118.
Questa rappresentazione della Palestina come il paese del “popolo ebraico” e degli “arabi che vi
abitano” non era una sconfessione della posizione sionista laburista elaborata nei precedenti 15 anni, ma
solo un suo perfezionamento. I leader del MAPAI continuavano a credere in una sorta di diritto superiore
degli ebrei sulla Palestina, come si evince dalla frase sul “popolo ebraico” di cui la Palestina era “patria
unica ed eterna”, mentre agli arabi capitava semplicemente di “abitarvi”. L’insediamento e lo sviluppo
sionista in Palestina avevano rafforzato le pretese sul territorio. Questa formulazione corrispondeva alla
concezione sionista laburista degli arabi di Palestina non come una nazione distinta con i suoi propri
diritti, ma piuttosto come membri di una più ampia popolazione, quella araba, una parte della quale si
ritrovava a vivere in Palestina ma che poteva (e forse doveva) raggiungere la sua autodeterminazione
nazionale altrove, poiché in quel paese doveva realizzarsi la sovranità ebraica119.
Durante il periodo 1936 – 39, la forza e popolarità della rivolta araba indusse alcuni leader del
MAPAI a riconoscere (per lo più in riunioni di partito a porte chiuse) che gli arabi di Palestina avevano
rivendicazioni comprensibili, uno spirito nazionale autentico e legittimi diritti nel paese. Nel febbraio
1937, per esempio, Ben-Gurion dichiarò che “Il diritto che gli arabi di Palestina hanno è il diritto che gli
abitanti di un qualunque paese posseggono…perché vivono qui, e non perché sono arabi…gli abitanti
arabi della Palestina dovrebbero usufruire di tutti i diritti politici e di cittadinanza, non solo come
individui ma come comunità nazionale, proprio come gli ebrei”120. Anche questa formulazione era vaga e
ambigua: i diritti della maggioranza araba in Palestina erano ancora percepiti come di grado non pari a
quelli degli ebrei, e certamente non includevano il diritto all’autodeterminazione, mentre non erano
possibili compromessi sulla questione chiave dell’immigrazione ebraica.
In ogni caso tali affermazioni non rappresentavano una revisione degli obiettivi del sionismo;
piuttosto esse erano sintomo del pragmatismo di Ben-Gurion, della sua capacità di adattarsi alle
circostanze. Quando la commissione Peel nel luglio 1937 indicò che la Palestina fosse divisa in un
piccolo stato ebraico, uno stato arabo che comprendesse anche la Transgiordania e un’enclave controllata
dagli inglesi con Gerusalemme, Betlemme e un corridoio fino al mare, Ben-Gurion (insieme a Chaim
Weizmann, presidente dell’Organizzazione Sionista Mondiale) riuscì a convincere il movimento sionista
ad astenersi dal rifiutare il principio della partizione. Ciò non era in funzione dei diritti degli arabi, ma
perché Ben-Gurion riteneva che anche un piccolo stato ebraico in Palestina potesse rappresentare un
rifugio per gli ebrei europei, e che nuove circostanze ne avrebbero permesso in futuro l’espansione. In
cuor suo Ben-Gurion continuò a ipotizzare uno stato ebraico in tutta la Palestina, e a ritenere il
“trasferimento” degli arabi che vivevano in quel territorio come del tutto legittimo. Anche Weizmann
vedeva la partizione come una soluzione temporanea, della durata più o meno una generazione; alla fine,
secondo lui, lo stato ebraico avrebbe compreso tutta la Palestina121.
118
Haqiqat al-Amr, 24 marzo 1937
119
Ben Gurion espresse concisamente questa idea in una sua affermazione nell’ottobre 1936: “Non c’è alcun conflitto tra un
nazionalismo ebraico e un nazionalismo palestinese poiché la nazione ebraica non è in Palestina e i palestinesi non sono una
nazione”. In Simha Kaplan, Zionism and the Palestinians, 1979
120
Shabtai Teveth, Ben Gurion: The Burning Ground, 1886-1948, 1988
121
ibidem
94
Fu l’interpetazione più mite e flessibile dei diritti degli arabi da parte del sionismo laburista che
venne presentata al pubblico arabo attraverso le pagine di Haqiqat al-Amr. Il settimanale dedicava inoltre
ampio spazio a denunciare la rivolta araba, a condannare le affermazioni anti-sioniste della stampa araba
e a dimostrare la forza e continuità della presenza ebraica in Palestina. I leader nazionalisti arabi erano
messi sotto accusa in quanto manipolatori del proletariato arabo per scopi politici. Nello stesso tempo
Haqiqat al-Amr conteneva notizie internazionali, in particolare sul mondo ebraico e operaio, resoconti
delle attività della PLL e dell’Histadrut e traduzioni di opere letterarie. Queste ultime includevano
racconti dello scrittore ebreo (ed ex dipendente dell’Histadrut) Yehuda Burla, e scritti di Maxim Gorkij e
di altri autori europei. Nel 1940 Haqiqat al-Amr iniziò a tenere corsi di ebraico per i suoi lettori. I numeri
del periodico, circa 2.000, erano distribuiti quasi tutti gratuitamente attraverso vari canali: le istituzioni
ebraiche, che li consegnavano agli arabi con cui erano in contatto, la posta e la rete di contatti personali
che Agassi e i suoi collaboratori avevano sviluppato nel corso degli anni.
E’ difficile stabilire quale influenza Haqiqat al-Amr abbia avuto sull’uditorio a cui era destinato, ma
probabilmente essa fu minima. Esso raggiunse un numero relativamente ristretto di arabi e non potè
competere con la stampa araba, specialmente durante il periodo della rivolta. Ciononostante, con il
sostegno dell’Agenzia Ebraica e altre istituzioni dell’Yishuv, l’Histadrut continuò a pubblicare e
distribuire Haqiqat al-Amr fino al 1948 e anche dopo; il periodico continuò a uscire fino al 1960, quando
infine ne vennero cessate le pubblicazioni.
122
Central Zionist Archives
95
che avevano legami coi sindacati erano stati coinvolti nella rivolta durante il 1936 e 1937, e quando la
lotta armata riprese alla fine del 1937 molti di loro vennero arrestati o costretti all’esilio.
Il Partito Comunista Palestinese (PCP), che aveva sperato di sostenere e guidare il movimento
operaio arabo, fu a sua volta diviso in conseguenza della rivolta. Alcuni dei suoi dirigenti e attivisti arabi
presero parte attiva nella lotta armata, mentre diversi membri ebrei abbandonarono il partito e molti di
quelli che rimasero si organizzarono in una “sezione ebraica” largamente autonoma che si distanziò
sempre più dalla leadership araba e si mostrò ansiosa di colmare l’isolamento dall’Yishuv assumendo una
posizione meno marcatamente anti-sionista. Alla fine della rivolta le componenti araba ed ebraica del
PCP risultarono profondamente distanti, andando incontro a una serie di divisioni e infine al collasso del
PCP come partito arabo-ebraico.
Per un breve periodo, dunque, gli ostacoli ai quali la PLL si era trovata di fronte nel 1935 furono
assenti. Ma le sue risorse limitate, e soprattutto l’esplosione della rivolta in una forma molto più violenta
durante il 1938, impedirono nuovi progressi. Nell’estate del 1938 gruppi di guerriglieri controllavano
vasti pezzi di campagna e molte città in tutto il territorio palestinese; come puntualizzò un funzionario
inglese, nel settembre del 1938 “la situazione era tale per cui l’attività amministrativa nel paese, da tutti i
punti di vista, era inesistente”123. Il governo inglese, preoccupato per la crisi dei Sudeti, non se la sentiva
di rafforzare massicciamente la sua presenza in Palestina mentre incombeva una guerra europea.
A Nesher, dove sia ai lavoratori arabi che a quelli ebrei erano imposte la riduzione di orario e
frequenti periodi di “ferie” a causa della crisi economica, i gruppi armati presenti nella zona facevano
sentire sempre più la loro presenza. Uno dei membri del comitato della PLL fu preso prigioniero e
detenuto per due settimane dalla guerriglia come monito per i lavoratori. La mossa ebbe successo: i
lavoratori chiesero alla direzione di dire ad Alafiya di non recarsi più laggiù. I lavoratori di altri siti
sospettati di collaborazione con l’Histadrut furono intimoriti e in qualche caso uccisi; tra di loro vi fu il
principale contatto della PLL nel villaggio di Wadi ‘Ara, giustiziato dalla guerriglia in quanto sospetto
informatore della polizia124. Durante il 1937 e all’inizio del 1938 i lavoratori arabi si recavano ancora alla
sede della PLL di Haifa per cercare lavoro, ma nell’autunno di quell’anno vi fu uno stop completo; come
sottolineò Agassi, “in questa situazione di terrorismo politico, declino economico e depressione morale
non c’è nulla di più arduo di una qualche possibilità di azione da parte della PLL”125.
L’accordo che le potenze europee raggiunsero a Monaco nel 1938 permise al governo britannico
di inviare un gran numero di militari in Palestina per schiacciare la rivolta araba; alla fine le forze inglesi
avrebbero soverchiato i ribelli nella proporzione di dieci a uno 126. La repressione di massa, incluse le
punizioni collettive e i bombardamenti aerei e di artiglieria sui villaggi ribelli, permisero la graduale
restaurazione del controllo inglese. Anche i dissensi e le divisioni nella comunità arabo-palestinese
indebolirono la rivolta. Le bande ribelli raramente riuscivano a coordinare le loro azioni, la maggioranza
della leadership nazionalista dall’autunno 1938 finì in carcere o in esilio, e crescenti settori di
popolazione si allontanarono sempre più dalla rivolta. Per di più i Nashashibi e alcuni dei loro alleati si
schierarono apertamente contro la rivolta e con l’aiuto britannico organizzarono le “Bande della Pace”,
che attaccavano i ribelli e i villaggi che li supportavano. Come i ribelli furono ricacciati indietro, iniziò
una serie di uccisioni da una parte e dall’altra, come regolamento di vecchi e nuovi conti. Tra coloro che
furono assassinati vi fu Hasan Sidqi al-Dajani, un leader dei Nashashibi, che fu ucciso a colpi di pistola a
Ramallah nell’ottobre 1938. Fakhri al-Nashashibi, che aveva fondato l’AWS a Gerusalemme nel 1934, fu
poi assassinato a Baghdad nel 1941.
Nella primavera del 1939 la rivolta stava per finire. Avendo avuto il sopravvento militarmente, gli
inglesi appoggiarono un'altra sessione di negoziati arabo-ebraici. Quando questi fallirono, il governo
britannico varò una nuovo documento politico per la Palestina, il Libro Bianco del maggio 1939. Il Libro
Bianco andava parzialmente incontro ad alcune richieste degli arabi annunciando la nascita di uno stato
palestinese indipendente entro dieci anni, limiti all’acquisizione di nuova terra ebraica e un tetto di 75.000
nuovi immigrati ebrei nell’arco dei cinque anni seguenti, dopodiché un ulteriore afflusso sarebbe stato
subordinato all’approvazione degli arabi. Con la guerra europea alle porte, i funzionari britannici
123
Yehoshua Porath, The Palestinian Arab National Movement, from Riots to Rebellion, 1977
124
Histadrut Archives
125
Central Zionist Archives
126
Ann Mosely Lesch, Arab politics in Palestine, 1917-1939, 1979
96
speravano con il Libro Bianco di conciliarsi l’opinione pubblica araba e di assicurarsi l’appoggio bellico
degli arabi di Palestina e dei paesi circostanti.
Il movimento sionista accusò il Libro Bianco in quanto ripudiava l’impegno britannico,
rappresentato dalla Dichiarazione Balfour del 1917 e dallo stesso Mandato, a istituire una “casa
nazionale” ebraica in Palestina. La sua promulgazione di fatto rappresentò la fine dell’alleanza tra
l’Inghilterra e il movimento sionista. Quell’alleanza aveva fornito al movimento sionista il tempo, la
protezione e il sostegno necessari a creare la base demografica, economica, militare e politica per un
Yishuv forte e autosufficiente, nonostante la crescente resistenza da parte della maggioranza arabo-
palestinese. Come risultato, nel 1939 l’Yishuv era vicino a essere autonomo dal sostegno britannico,
mentre il movimento nazionalista arabo-palestinese aveva patito una cocente sconfitta, lasciando la
comunità araba demoralizzata, disorganizzata e senza una guida effettiva.
I leader sionisti, indignati, inizialmente chiamarono alla resistenza e alla lotta contro i
provvedimenti contenuti nel Libro Bianco. Ma pochi mesi dopo scoppiò la guerra in Europa, e l’Yishuv e
il movimento sionista misero da parte l’opposizione al Libro Bianco e si allearono con gli inglesi per
combattere la Germania nazista. Il confronto con l’alleato e protettore del passato, l’Inghilterra, venne
rinviato alla fine della guerra, quando l’Yishuv e il movimento sionista sarebbero stati in grado non solo
di ostacolare i provvedimenti del Libro Bianco ma anche di arrivare ad acquisire uno stato ebraico in
Palestina.
Nella sala da pranzo i dirigenti parlavano di “fratellanza tra i popoli”. Nessuno di loro sapeva una
parola di arabo, e agli arabi non parlavano come un uomo parla ai suoi amici. Non avevano amici nei
villaggi circostanti, e non fecero mai neppure una semplice visita ai loro vicini. In quella eccellente e
moderna scuola – per lungo tempo forse la più avanzata del paese – l’arabo non lo si studiava…Così
abbiamo semplicemente vissuto con le nostre belle teorie da un lato e con la cruda realtà
dall’altro…Ci organizzavamo dietro la recinzione, ci preparavamo all’autodifesa, parlavamo di
fratellanza tra i popoli e di questa fratellanza non abbiamo mai messo in pratica un singolo atto127.
Questo senza dubbio è un giudizio duro, ma in gran parte veritiero. Infatti è lecito supporre che
per Hashomer Hatzair e per il sionismo laburista in generale il raggiungimento dei propri scopi
richiedesse un sostanziale divario tra l’ideologia e la realtà, tra intenzioni soggettive e conseguenze
pratiche.
La rivolta araba del 1936 – 39 portò a una crescente segregazione sociale e lavorativa tra arabi ed
ebrei; gli ebrei si spostarono dai quartieri arabi verso “zone ebraiche” più sicure. Arabi ed ebrei inoltre
iniziarono a frequentare con meno assiduità gli stessi spazi per gli affari, gli acquisti o il semplice svago,
e l’odio reciproco e la paura di attacchi contro i civili scomparvero a fatica. Sarebbero stati gli sviluppi
legati alla guerra a generare dinamiche nuove di controtendenza, e a permettere nuove forme di
interazione tra lavoratori arabi ed ebrei.
127
Tzvi Lavi, tesi di laurea non pubblicata, Università di Tel Aviv 1980
97
7
1944 - unità ebraica inquadrata nell’esercito inglese nel campo di Sarafand, presso Ramle
La promulgazione del Libro Bianco nel maggio 1939, la fine della rivolta araba un mese dopo e lo
scoppio della Seconda guerra mondiale nel settembre, crearono le condizioni per l’inizio di un nuovo
periodo nella storia della Palestina mandataria. La rovente atmosfera generata dalla guerra produsse un
rapido cambiamento sociale, economico e politico, influenzando profondamente le relazioni tra lavoratori
arabi ed ebrei.
128
Rachelle Taqqu, Arab Labor in Mandatory Palestine, 1920-1948, 1977
99
violenta al Libro Bianco del 1939, e un compromesso arabo-ebraico. Durante gli anni della guerra e fino
alla fine del 1947 Hashomer Hatzair fu fermamente contraria allo stato ebraico e a ogni forma di
partizione, sostenendo invece la costituzione in Palestina di uno stato binazionale in cui arabi ed ebrei
avrebbero avuto pari diritti politici indipendentemente dalla consistenza numerica delle due comunità.
Questa era una posizione molto minoritaria nell’Yishuv ma, come ha sottolineato Joel Beinin, all’epoca
era perfettamente legittimata nel dibattito politico129.
Il cambiamento politico nell’Yishuv fu anche facilitato dalle lotte di fazione all’interno del
MAPAI, che culminarono con una brusca scissione nel 1944 e il distacco dell’ala sinistra, che si costituì
come partito autonomo riprendendo la sigla Ahdut Haavoda (Unità del Lavoro), lo stesso nome posseduto
dal partito fondatore del MAPAI 14 anni prima. Sebbene il MAPAI restasse il primo partito, la scissione
lo indebolì e le altre forze poterono rivendicare maggiore spazio. Del clima politico generato dalla guerra
si giovarono anche i comunisti. Le organizzazioni comuniste ebraiche scaturite dalla scissione nel Partito
Comunista di Palestina erano molto deboli, ma i loro tentativi di trovare un terreno comune col sionismo
procurarono loro un crescente credito nell’Yishuv, così come il riferimento all’Unione Sovietica la cui
Armata Rossa acquistò grande prestigio tra gli ebrei in Palestina, resistendo all’assalto nazista e guidando
la distruzione della macchina bellica tedesca con l’avanzata verso Berlino.
133
Haqiqat al-Amr, 17 febbraio 1942
101
perché così facendo avrebbe potuto interferire con l’impiego di più lavoratori ebrei nel medesimo
progetto. Agassi temeva anche che se avesse aiutato un sindacato arabo questo sarebbe sfuggito al
controllo, chiedendo non solo più posti di lavoro ma anche paghe e orari uguali a quelli dei lavoratori
ebrei. Ciononostante, concluse, era importante accontentare i lavoratori arabi per ragioni politiche, per
dimostrare a loro i benefici derivanti dalle buone relazioni con gli ebrei134.
In ogni caso il dipartimento arabo dell’Histadrut non era pronto ad approfittare delle nuove
circostanze. I suoi fondi erano a secco, la PLL esisteva solo ad Haifa, ogni suo settore funzionava a fatica,
Haqiqat al-Amr dopo tre anni rimaneva un’operazione a metà. La morte di Dov Hoz in un incidente
stradale nell’estate 1940 inoltre privò dalla scena uno dei leader dell’Histadrut che prendeva più sul serio
l’attività araba.
Dal canto suo, Hashomer Hatzair (HH) aveva criticato per anni l’atteggiamento cauto e riluttante
dell’Histadrut verso l’attività araba. Ma a dispetto di queste critiche essa stessa negli anni ’30 non aveva
fatto molto. Hashomer Hatzair era preoccupata innanzitutto dell’insediamento e consolidamento dei suoi
kibbutz, e della cristallizzazione di un movimento consolidato e stabile, perciò le sue roboanti risoluzioni
sulla solidarietà arabo-ebraica restarono senza conseguenze pratiche. Solo una volta, all’avvicinarsi del
Primo Maggio, il segretario del dipartimento politico di HH preparò un opuscolo che esortava i lavoratori
arabi alla solidarietà con i loro compagni ebrei, lo fece tradurre in arabo e lo inviò nei kibbutz perché
fosse distribuito nei villaggi arabi vicini.
Alla fine degli anni ’30, comunque, era cresciuta nel movimento la volontà di muoversi
autonomamente su questo terreno. La rivolta non solo aveva reso evidente la profondità dell’opposizione
araba al sionismo, ma aveva anche reso plausibile lo spettro della partizione, cui HH era profondamente
contraria. Perciò, per “vendere” la sua alternativa binazionalista al movimento operaio ebraico, all’Yishuv
e al movimento sionista, HH aveva bisogno di dimostrare che questa aveva dei sostenitori tra gli arabi.
Nel 1940 la direzione di HH decise così di selezionare un gruppo di attivisti che formulassero e
implementassero un programma sistematico di attività araba. Il ruolo principale in tal senso fu affidato ad
Aharon Cohen, che lo svolse per tutti gli anni ’40. Cohen era nato in Bessarabia (prima parte dell’impero
zarista e poi della Romania) nel 1910; era giunto in Palestina nel 1929 già da militante di HH, unendosi al
kibbutz Shaar Haamakim, non lontano da Haifa. Quattro anni dopo il suo movimento lo inviò di nuovo in
Romania come emissario sionista. Dopo il suo ritorno fu eletto nell’esecutivo dell’Hakibbutz Haartzi (la
federazione dei kibbutz che facevano riferimento ad Hashomer Hatzair), e sarebbe rimasto in tale ente
fino al 1954. Nel 1936-37 coordinò il lavoro politico di HH ad Haifa, mentre continuava le missioni
all’estero per favorire l’immigrazione illegale in Palestina.
Con la sua tipica energia, Cohen gettò le basi del dipartimento arabo dell’Hakibbutz Haartzi, che
avrebbe guidato nel decennio successivo. Pur riconoscendo la crescente importanza dell’intellighenzia
urbana e della classe operaia, egli inizialmente proposte di concentrarsi sulla campagna, anche per non
scontrarsi direttamente con l’Histadrut. La sua concezione su come sviluppare i rapporti con gli arabi,
almeno sulla carta, era molto più sistematica e pratica di quella del MAPAI. Cohen insisteva che per
avere una relazione alla pari con gli arabi bisognava innanzitutto conoscerli a fondo. Egli dunque
prevedeva la costituzione di una sorta di banca dati dei villaggi arabi e della comunità araba, da
raccogliere attraverso inchieste sistematiche. Le ricerche compiute da Cohen e dai suoi colleghi durante e
dopo gli anni della guerra, e le relazioni da essi sviluppate, portarono alla pubblicazione di alcuni dei più
notevoli e relativamente oggettivi studi sugli arabi di Palestina prodotti dai sionisti fino ad allora135. Come
Cohen probabilmente sapeva, anche il servizio di intelligence dell’Haganah all’epoca era coinvolto in una
propria raccolta dati su ogni città e villaggio arabo in Palestina.
Cohen iniziò anche a educare i membri del suo movimento a proposito dell’importanza dei buoni
rapporti con gli arabi. In numerose conferenze esortava i membri dei kibbutz a familiarizzare con gli arabi
creando ad esempio degli ambulatori o dei club sportivi vicino ai loro villaggi. Egli spinse la direzione di
HH ad aderire formalmente alla Lega Arabo-Ebraica per la Riconciliazione e Cooperazione; quando
finalmente HH lo fece, nel giugno 1942, Cohen ne divenne uno degli attivisti più impegnati. Allo stesso
tempo egli e i suoi seguaci continuarono a insistere affinchè l’Histadrut attivasse la PLL, e più in generale
a cogliere le occasioni per la cooperazione arabo-ebraica, da essi ritenuta essenziale per la realizzazione
134
Histadrut Archives
135
Joel Beinin, Knowing Your Enemy, Knowing Your Ally: The Arabists of Hashomer Hatzair, 1991
102
del sionismo136. I leader del MAPAI, più concentrati che mai sulla questione dello stato ebraico e scettici
sulla possibilità di un compromesso con gli arabi, si opposero alle richieste di HH per quanto riguardava
la linea dell’Histadrut. In una lettera alla Lega Arabo-Ebraica Moshe Shertok, direttore del dipartimento
politico dell’Agenzia Ebraica, dichiarò:
Il periodo cruciale per il sionismo è il passaggio da una minoranza ebraica a una maggioranza
ebraica. In questo periodo gli arabi non saranno il fattore decisivo, bensì gli inglesi e gli americani.
Non saranno gli arabi ad avere l’ultima parola, né nel mondo né qui; non fateci credere che
dobbiamo andare dagli arabi e metterci d’accordo con loro137.
Eliyahu Sassoon, capo dell’ufficio arabo del medesimo dipartimento politico, espresse
chiaramente l’atteggiamento della dirigenza in una lettera ad Aharon Cohen, nella quale rispondeva con
sarcasmo a un articolo di quest’ultimo sull’opportunità e l’importanza di un compromesso con gli arabi:
Le sarei molto grato se fosse così gentile da spiegarmi, in una lettera privata e non sulle pagine dei
giornali, quali sono le nuove possibilità per un negoziato politico e quali sono i “solidi ambiti” (tra
gli arabi) pronti in questa fase a discutere di un accordo arabo-ebraico che ci permetta la
realizzazione dei sionismo138.
A dispetto del disinteresse dei vertici, comunque, il gruppo degli attivisti dell’Histadrut ancora
dedito al progetto di organizzare i lavoratori arabi si arrovellava disperatamente per far rinascere la PLL.
136
Hashomer Hatzair Archives
137
Simha Kaplan, Zionism and the Palestinians, 1979
138
Hashomer Hatzair Archives
103
degli iscritti. L’opuscolo è privo di contenuti politici. Gli ebrei sono menzionati, non come un elemento
alieno avente lo scopo di occupare la Palestina o privare gli arabi del lavoro (temi popolari fino al 1936),
ma anzi come un modello da imitare. “Davanti a voi ci sono gli ebrei” diceva l’opuscolo.
Potete vedere che ciascuno di loro non lavora più di otto ore al giorno, guadagna un salario elevato,
più del lavoratore arabo, e ha l’assistenza medica gratuita per sé e per i familiari. Cosa li ha portati a
questa situazione? Pensate che il padrone ebreo sia più generoso del padrone arabo? No, fratelli! I
lavoratori ebrei sanno come difendere i propri diritti, hanno formato un sindacato e tutti si sono
iscritti, e questo li ha portati nella situazione che voi vedete139.
La PAWS e anche altri sindacati rivali beneficiarono di un atteggiamento favorevole come non
mai da parte del governo mandatario. Alla fine degli anni ’30 l’Ufficio Coloniale aveva iniziato a rivedere
la sua condotta tradizionalmente ostile nei confronti dei sindacati nelle colonie dell’impero britannico,
anche per non esacerbare la lotta delle classi operaie autoctone in senso nazionalista. L’ingresso del
Partito Laburista nel gabinetto di guerra diede ulteriore impulso a questa linea. Nel 1940 il governo
mandatario insediò il suo primo consulente del lavoro, R.M. Graves, fratello del poeta e romanziere
Robert Graves. Egli raccomandò l’istituzione di un dipartimento governativo del lavoro con compiti di
inchiesta, elaborazione di leggi, regolarizzazione dei sindacati. Molti funzionari inglesi, ebrei e arabi
andarono a comporre lo staff del dipartimento, e tra questi H.E. Chudleigh, veterano del movimento
sindacale inglese, che dedicò molto tempo ed energie nel 1942 – 43 a favorire e monitorare lo sviluppo di
sindacati arabi in ogni parte della Palestina. Alcuni osservatori, specialmente funzionari dell’Histadrut,
notarono che Chudleigh era particolarmente propenso a sostenere il lavoro dei comunisti. Ciò è plausibile,
poiché Chudleigh pensava che i comunisti fossero i migliori organizzatori e in parte perché i comunisti
arabi in Palestina nel 1942 – 43 davano un forte aiuto allo sforzo bellico alleato140.
Il sostegno del governo mandatario indubbiamente favorì la sindacalizzazione dei lavoratori arabi.
Ma l’impulso maggiore venne da una serie di militanti comunisti esperti e di intellettuali radicali che
contribuirono a creare una nuova sinistra militante nel movimento operaio arabo. Come abbiamo già detto
alcuni di essi lavoravano all’interno della PAWS, ma altri riuniti intorno alla figura di Bulus Farah
stavano organizzando, sempre ad Haifa, un’organizzazione operaia interamente indipendente.
Farah era andato a lavorare nelle officine ferroviarie di Haifa nel 1925, all’età di 15 anni.
All’inizio del 1930 si era unito al Partito Comunista di Palestina e nel 1934 il partito l’aveva inviato
all’Università dei Lavoratori d’Oriente di Mosca, dove venivano formati gli attivisti provenienti dalle
colonie. Rientrò in Palestina nel 1938 e presto divenne il riferimento di quanti erano in disaccordo con il
vecchio segretario del partito, Radwan al-Hilw, detto Musa.
Il conflitto tra Farah e Musa non era legato solamente alle diverse caratteristiche personali; vi
erano importanti differenze politiche. Farah era più favorevole al nazionalismo arabo di altri suoi
compagni, e giocò un ruolo nella lotta ingaggiata dalla leadership araba del partito per riprendere il
controllo sulla sezione autonoma ebraica formatasi durante la rivolta. Mentre alcuni dei componenti della
sezione ebraica alla fine obbedirono all’autorità del comitato centrale, altri lasciarono il PCP nel 1940 e
formarono un gruppo comunista separato ed esclusivamente ebraico chiamato Emet (Verità). Ma proprio
Farah lo stesso anno fu espulso dal comitato centrale del PCP, dopo che altri dirigenti lo avevano
accusato di avere passato informazioni alla polizia durante un breve periodo di detenzione. Farah accusò i
suoi nemici nel partito di averlo raggirato e di avere infangato il suo nome.
Farah era dunque ai margini del partito e in aperta rottura con la leadership, che egli riteneva non
solo inefficiente ma anche colpita dal deviazionismo sionista; tra le altre cose era anche indignato per la
riammissione dei dissidenti di Emet nel partito nel 1942. Farah si mise in proprio e nel 1941 – 42 creò un
largo seguito in Haifa. Il gruppo comprendeva sia membri del PCP che una cerchia di giovani educati alle
idee di sinistra, per lo più diplomati e ora impiegati. Egli e i suoi seguaci svilupparono anche stretti
legami con un ampio strato di sindacalisti scontenti per la scarsa aggressività della PAWS di fronte alle
condizioni favorevoli create dalla guerra. Nel 1942 il gruppo di Farah aprì una sede in Haifa con il nome
di “Raggi di speranza” (Shua al-Amal), con un indirizzo democratico e antifascista. La leadership del
139
Histadrut Archives
140
Rachelle Taqqu, Arab labor in mandatory Palestine, 1920-1948, 1977
104
PCP replicò aprendo una “Casa del popolo” (Nadi al-Shab), ma sbagliò nel sottovalutare l’influenza del
gruppo dissidente di Farah.
Che queste organizzazioni potessero operare più o meno apertamente senza temere la repressione
poliziesca era dovuto al fatto che dopo l’invasione dell’URSS da parte della Germania nel giugno 1941 i
comunisti erano tra i principali sostenitori dello sforzo bellico alleato presso la comunità arabo-
palestinese. Gli inglesi sapevano che molti arabi palestinesi erano ambivalenti nei confronti della causa
alleata, o peggio si auguravano la vittoria dell’Asse, che avrebbe significato la fine del dominio britannico
e del progetto sionista. Alcuni dei leader del movimento nazionalista, come lo stesso Amin al-Husseini,
erano andati oltre abbracciando apertamente la causa dell’Asse dall’esilio. Dunque gli inglesi erano
disposti a tollerare e anche incoraggiare l’attività comunista, poiché una componente essenziale di tale
attività era la propaganda in favore degli alleati, che i comunisti consideravano come contributo alla
difesa dell’Unione Sovietica.
Nel novembre 1942 la coalizione di giovani intellettuali radicali e di attivisti operai organizzata
intorno al circolo “Raggi di speranza” costituì la Federazione dei Sindacati e delle Società Operaie Arabe
(FATULS). Questa nuova organizzazione presto ottenne l’adesione di sindacalisti attivi in tutte le
principali unità lavorative di Haifa, scontenti per il conservatorismo della PAWS, incluso l’Iraq
Petroleum Company, le raffinerie, la Shell, e in seguito i lavoratori del porto e dei campi militari. Alla
fine del 1942 secondo i dati del dipartimento del lavoro la FATULS contava 1000 – 1500 iscritti, mentre
quelli della PAWS in tutto il paese arrivavano a 5000, e gli aderenti paganti alla PLL erano stimati
generosamente in circa 500 unità141. La rivalità tra la PAWS e la FATULS, e poi tra queste e la PLL,
stimolò tutte queste organizzazioni a intensificare il loro lavoro sindacale. Bisogna tenere presente,
tuttavia, che molte sezioni della PAWS erano a guida comunista, cosicchè dal 1943 in poi una consistente
parte della classe operaia araba organizzata in Palestina era diretta da comunisti. Ma le relazioni tra le
varie organizzazioni erano caratterizzate da tensioni interne ed esterne, cui si aggiungevano gli attriti con
la sede nazionale della PAWS in Haifa, guidata dall’orientamento conservatore di Sami Taha.
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Rachelle Taqqu, Arab labor in mandatory Palestine, 1920-1948, 1977
142
Hashomer Hatzair Archives
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Uno storico israeliano del movimento comunista in Palestina ha recentemente definito Cohen un
ingannatore che mentì ad al-Bandaq, e anche ai suoi stessi compagni143. Più ragionevolmente, si può
supporre che egli fosse talmente convinto della possibilità di conciliare la cooperazione arabo-ebraica e il
sionismo, da vedere in al-Bandaq un effettivo alleato. Sembra dunque che Cohen non si sia reso conto che
negli anni ’40 non vi erano forze significative nella sinistra araba pronte a compromessi col sionismo, di
qualunque genere. Riconoscere questo avrebbe significato riconoscere la futilità della sua visione della
Palestina e del lavoro al quale aveva dedicato anni e anni della sua vita.
143
Shmuel Dothan, Reds: The Communist Party in the Land of Israel, 1991
144
Histadrut Archives
145
Riassunto ed estratti dell’opuscolo contenuti in Jewish Frontier, dicembre 1942
146
Alcuni mesi dopo H.E. Chudleigh del dipartimento governativo del lavoro fu spinto a replicare alle affermazioni di Hushi in
una lettera privata. Egli descrisse come totalmente scorretta le tesi di Hushi che i nuovi sindacati arabi fossero controllati da
“figli di ricchi effendi” o da comunisti. “Il fatto puro e semplice è” puntualizzò Chudleigh “che circa 10.000 arabi ora sono
sindacalizzati, ma solo il dieci per cento di loro è iscritto alla Palestine Labor League”.
147
Histadrut Archives
106
netturbini, di cui 250 erano arabi e 90 ebrei. Come molti altri lavoratori in Palestina, anche i dipendenti
comunali di Gerusalemme avevano sofferto un forte calo dei salari reali a causa dell’aumento
dell’inflazione; essi erano anche privi di alcuni benefici come il pagamento della malattia, delle ferie o
degli infortuni. I negoziati fallirono, e nel febbraio 1943 l’Histadrut e la PAWS lanciarono uno sciopero
di sei giorni che costrinse la municipalità e le autorità inglesi a garantire ai lavoratori un’indennità di
contingenza e altre loro richieste. Sembravano poste le basi per una buona cooperazione tra la PAWS e
l’Histadrut, come ebbe a dire un funzionario di quest’ultima coinvolto nei negoziati: “questo è l’inizio di
un’azione congiunta e noi continueremo a lavorare insieme per migliorare le condizioni dei salariati di
questo paese, ebrei e arabi”148.
In capo a poche settimane, tuttavia, apparve chiaro che l’Histadrut aveva invece deciso di sfruttare
il prestigio che la vittoria dei dipendenti comunali le aveva dato per creare una sezione della PLL a
Gerusalemme e reclutare lavoratori arabi, una linea che l’opuscolo di Hushi avrebbe di lì a poco
esplicitato. Questa svolta offese i sindacalisti arabi, ancor più per il fatto che il nucleo della nuova sezione
della PLL (formato per lo più da lavoratori arabi dei vicini campi militari) includesse alcuni ex membri
della PAWS. I funzionari dell’Histadrut fin dal settembre 1942 avevano lavorato in segreto con gli
anticomunisti che lottavano per il controllo della PAWS di Gerusalemme, e ora in primavera alcuni di
questi lasciarono la PAWS per unirsi alla PLL.
La stessa strategia fu presto applicata anche a Jaffa, dove l’Histadrut cercò di aprire un’altra
sezione della PLL. In questa città la PAWS aveva un buon radicamento ed era guidata da un veterano
comunista, Khalil Shanir. A Jaffa come altrove i leader della PAWS espressero la volontà di cooperare
con l’Histadrut, ma si opposero con forza alla linea dell’Histadrut di organizzare i lavoratori arabi
attraverso la PLL. L’Histadrut assunse in segreto Adib al-Disuqi, che era stato membro della defunta
Arab Workers’ Society, come suo responsabile locale. Al-Disuqi aprì un circolo sportivo che usò per
prendere contatti coi lavoratori della zona. Eliyahu Agassi gli diede una mano sfruttando i legami che
aveva costruito nel corso degli anni.
Nell’estate 1943 al-Disuqi e Agassi avevano iscritto più di 100 netturbini, alcuni ex-membri della
PAWS, che avevano apprezzato la vittoria dei loro colleghi a Gerusalemme ma erano delusi dalla scarsa
vena della PAWS nei loro confronti. A luglio Agassi e al-Disuqi iniziarono a trattare con il comune di
Jaffa, per conto sia dei lavoratori arabi che di quelli ebrei, e in agosto si sentirono forti abbastanza per
indire uno sciopero dei netturbini di quattro giorni. Nonostante le minacce del management e le
esortazioni della PAWS ad abbandonare la PLL, gli scioperanti tennero duro e ottennero salari più alti.
Questa vittoria permise alla PLL di consolidare la propria sezione di Jaffa che nel settembre 1943 contava
circa 200 iscritti, per lo più dipendenti comunali. Nel frattempo la PLL si era allargata ad Haifa, dove
(esagerando) affermava di avere 1200 iscritti, e aveva aperto sezioni a Acri, Tiberiade e nel villaggio di
Qalunya, presso Gerusalemme.
Le manovre dell’Histadrut a Gerusalemme e Jaffa furono segno della nuova politica e nel breve
periodo portarono a significativi successi, ma furono i 50.000 lavoratori arabi ed ebrei impiegati nelle basi
militari inglesi e alleate a costituire il principale ambito di scontro tra le organizzazioni sindacali sioniste
e arabe.
148
ibidem
107
massa dei disoccupati urbani. Molti dei loro colleghi ebrei erano immigrati di recente provenienza,
giovani, di origine mediorientale, individui che per una serie di ragioni non avevano trovato di meglio in
altri settori, e anche cercavano di evitare la mobilitazione per la guerra decretata dalle autorità
dell’Yishuv. Le condizioni di salario e di lavoro nei campi erano generalmente scadenti. Benchè i
lavoratori ebrei fossero meglio pagati degli arabi, l’ammontare in genere era più basso di quello dei
salariati ebrei dell’industria, e le autorità inglesi rifiutavano di concedere ai lavoratori dei campi
l’indennità di contingenza che era stata conquistata nell’industria. Mentre i campi più grandi erano in
genere collocati nelle vicinanze delle città, molti di quelli piccoli si trovavano in zone impervie, dove le
condizioni di vita erano precarie, i lavoratori erano sotto il diretto controllo dei militari che li trattavano
alla stregua di soldati, e lo sfruttamento e le vessazioni arbitrarie erano frequenti.
Sin dall’inizio del 1940 l’Histadrut si era rivolta al Congresso dei Sindacati in Inghilterra per un
aiuto nel miglioramento dei salari nei campi. L’anno seguente Haqiqat al-Amr riportò che i lavoratori
arabi ed ebrei avevano chiesto all’Histadrut di aiutarli a ottenere degli aumenti, e dopo lunghi negoziati
questi effettivamente arrivarono, anche se furono presto erosi dall’inflazione149. Ma l’Histadrut fece sforzi
relativamente scarsi di stabilire una propria presenza forte nei campi durante i primi due anni e mezzo di
guerra, tanto che alla fine del 1942 solo circa un quarto dei lavoratori ebrei dei campi pagavano le quote
all’associazione, un proporzione molto più bassa di quasi tutti gli altri settori che impiegavano lavoro
ebraico. Alcuni fattori sembrano legati a questa scelta. Primo, la dispersione dei campi in varie zone del
paese rendeva le cose difficili da un punto di vista organizzativo. Inoltre era chiaro che si trattava di posti
di lavoro temporanei, legati all’emergenza bellica. A quanto pare la direzione dell’Histadrut era anche
riluttante a confrontarsi con le autorità inglesi sulla situazione nei campi vista la minaccia di un’invasione
tedesca dell’Egitto e della Palestina; in questo senso il disimpegno da questo settore sarebbe stato un
segno dell’appoggio dell’Yishuv allo sforzo alleato.
Tuttavia, documenti dell’Histadrut di questo periodo suggeriscono che vi erano anche altre
ragioni. I laburisti tendevano a considerare i lavoratori dei campi alla stregua di “materiale umano” di
qualità piuttosto bassa, poco sensibili al progetto sionista. Erano visti come non corrispondenti
all’immagine sionista laburista del vero proletario ebreo in Palestina, l’esperto, ascetico e autodisciplinato
lavoratore dell’industria o membro del kibbutz. Questa immagine aveva anche una precisa componente
etnica, poiché una grossa parte dei lavoratori dei campi erano di origine mizrahi (orientale, nel senso del
Medioriente) invece che ashkenazi (Europa centro-orientale), e questo era un segno negativo agli occhi
della leadership quasi totalmente ashkenazita dell’Histadrut. Un resoconto del 1942 affermava che i
lavoratori ebrei dei campi erano “reclutati tra i venditori ambulanti del Shuk Hakarmel (il mercato
ebraico) di Tel Aviv. I ciabattini che si aggirano nelle strade di Tel Aviv si sono elevati al rango di mastri
costruttori”150. Notizie di furti e ricettazione delle proprietà governative nei campi conferirono ai salariati
del settore anche la nomea di criminali, o almeno di uomini privi della disciplina sionista – benché anche
l’Haganah prelevasse dai campi armi e altro materiale utile. L’Histadrut riteneva questa forza lavoro
particolarmente vulnerabile alla “penetrazione” e all’influenza dei suoi rivali politici, incluso i comunisti
a sinistra e i revisionisti a destra.
L’Histadrut qualche volta cercò di inviare emissari per prendere contatti coi lavoratori ebrei nei
siti più lontani, ma difficilmente ciò bastava a creare dei legami stabili col movimento sionista laburista.
Questo scarso attivismo fece sì che i partiti alla sinistra del MAPAI – Hashomer Hatzair e il PCP –
ottenessero un certo seguito tra i lavoratori ebrei dei campi, le cui condizioni salariali e di impiego erano
sempre precarie. Queste due organizzazioni fecero anche grossi tentativi di stabilire buone relazioni con i
salariati arabi del settore.
Nonostante l’interesse economico comune, la cooperazione arabo-ebraica spesso fu impedita dalla
sfiducia reciproca. Un episodio dell’estate 1941 può servire a illustrare la complessità della situazione.
Circa 150 arabi e 100 ebrei erano impiegati nel sito conosciuto come Wadi Sara, con paghe
rispettivamente di 12 e 20 piastre al giorno – una differenza non inusuale, legata solo in parte ai livelli di
qualifica. La rabbia si manifestò quando il comandante del campo annunciò che la giornata lavorativa
sarebbe passata da nove a dodici ore. Alcuni dei lavoratori arabi ed ebrei concordarono di protestare
presentandosi al lavoro con un’ora di ritardo rispetto al solito. Tuttavia la protesta fallì, in parte poiché i
149
Trade Unions Congress Archives
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Histadrut Archives
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lavoratori arabi temevano che i lavoratori ebrei avrebbero approfittato per ottenere i loro posti. Alla fine
furono circa 40 lavoratori ebrei ad essere licenziati, e i tentativi dell’Histadrut di farli riassumere non
ebbero esito.
Nel lungo periodo, i lavoratori dei campi erano un bacino troppo ampio e potenzialmente
importante da essere ignorato, sia dall’Histadrut che dal movimento operaio arabo in ripresa. Così,
nell’estate 1942 l’Histadrut istituì un nuovo dipartimento apposito, coordinato da Berl Repetur. I consigli
operai di alcune città crearono delle sezioni per i lavoratori dei campi limitrofi. Nello stesso tempo, la
PAWS e la FATULS intensificarono i loro sforzi di organizzare i lavoratori arabi dei campi in varie parti
del paese.
Nessuna di queste organizzazioni ottenne successi stratosferici. La PAWS (e in minor misura la
FATULS) fece nuovi iscritti in diversi campi, ma la grande maggioranza dei lavoratori arabi non fu
sindacalizzata. Allo stesso modo, nel marzo 1943 solo circa 8.000 dei 15.000 lavoratori ebrei erano iscritti
all’Histadrut, più 1.200 ad altre organizzazioni ebraiche, probabilmente revisioniste o religiose. Un
piccolo numero di lavoratori arabi dei campi aderì alla PLL.
All’inizio del 1943 vi furono anche segni di crescente malcontento, con una serie di piccoli
scioperi e altre azioni. Benchè le paghe giornaliere fossero salite a 21 piastre per gli arabi e 28 per gli
ebrei, i prezzi erano saliti molto più rapidamente. Il malcontento era anche generato dalla riluttanza delle
autorità militari a negoziare con i comitati di lavoratori o l’Histadrut stessa; la cosa sembra avere a che
fare con la raggiunta abbondanza di manodopera. Alla fine del marzo 1943 un comitato governativo per i
salari approvò una consistente indennità di contingenza per i lavoratori dell’industria e dei servizi, ma le
autorità militari si rifiutarono di estenderlo ai lavoratori dei campi. I lavoratori dunque mostravano una
nuova disponibilità a organizzarsi e lottare, che sia la PAWS che l’Histadrut dovevano cogliere. Era
chiaro che fosse giunto il momento di agire, e per entrambe si trattava di decidere quali forme di lotta
impiegare e come relazionarsi l’un l’altra per migliorare la situazione di questa così consistente forza
lavoro mista arabo-ebraica.
La PAWS rispose all’emergere del malcontento nei campi chiamando un raduno di circa 100
delegati operai a Jaffa il 4 aprile 1943. La situazione dei lavoratori dei campi fu il tema principale in
discussione, e la conferenza approvò una risoluzione che esortava il governo a concedere aumenti di
salari, il COLA, il pagamento degli straordinari e delle festività religiose, la limitazione della ferrea
disciplina e il riconoscimento dei rappresentanti dei lavoratori arabi. Un certo numero di delegati
denunciò anche ciò che riteneva la discriminazione in favore dei lavoratori ebrei. La PAWS manteneva la
volontà di cooperare con l’Histadrut nei negoziati, a condizione che quest’ultima si astenesse dal reclutare
gli arabi e si limitasse a rappresentare solo gli ebrei. I delegati della PAWS non ipotizzarono azioni di
sciopero.
L’Histadrut ora doveva decidere se cooperare o meno con la PAWS. Quando la direzione
dell’associazione si riunì il 13 aprile 1943, fu concordato da tutti che se l’esercito non avesse esteso entro
dieci giorni il COLA ai lavoratori dei campi, l’Histadrut avrebbe convocato una propria conferenza
operaia nazionale e anche messo in calendario una giornata di sciopero. La questione della cooperazione
con gli arabi fu delegata al nuovo organismo responsabile del lavoro nei campi militari, e al dipartimento
arabo di questo. A un incontro congiunto due giorni dopo fu deciso che l’Histadrut non avrebbe
collaborato con la PAWS nella vertenza sul COLA. Fu fissata una conferenza nazionale per il 2 maggio a
Tel Aviv, cui doveva seguire una giornata di sciopero.
La PAWS replicò stizzosamente a questa iniziativa unilaterale dell’Histadrut. In un opuscolo
datato 26 aprile esortava i lavoratori arabi a non partecipare al meeting del 2 maggio, che veniva descritto
come fatto apposta per sabotare la sua conferenza del 4 aprile precedente. Ciononostante l’Histadrut tenne
la conferenza, alla quale parteciparono 147 delegati da 99 siti di tutta la Palestina. Il resoconto ufficiale
non riporta quanti delegati arabi fossero presenti ma, apparentemente per un intento di equità, afferma che
un numero uguale di oratori arabi ed ebrei presero la parola. Dopo i discorsi conclusivi di Berl Repetur e
Golda Meir, allora a capo del dipartimento politico dell’Agenzia Ebraica, i delegati affermarono di
parlare a nome di tutti e 50.000 lavoratori dei campi e annunciarono una giornata di sciopero, la cui data
esatta sarebbe stata decisa dalla direzione dell’Histadrut. Un telegramma inviato dalla PAWS, che
affermava che la conferenza rappresentava solo i lavoratori ebrei e che gli arabi riconoscevano solo le
decisioni della conferenza del 4 aprile a Jaffa, non fu letto ai delegati. Pochi giorni dopo l’Histadrut
confermò lo sciopero fissandolo per il 10 maggio.
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La PAWS rispose di nuovo con un opuscolo che denunciava la decisione dell’Histadrut di
organizzare uno sciopero senza consultare il vero rappresentante dei lavoratori arabi, e iniziò un’intensa
campagna per convincere questi ultimi a non scioperare. Pubblicò anche un opuscolo in ebraico che
esortava gli ebrei a non fare uno sciopero “separatista” ma a cooperare coi loro compagni arabi e la
PAWS per gli interessi di tutti i lavoratori. Nello stesso tempo la PAWS inviò all’Histadrut una lettera
proponendo di discutere la cooperazione tra le due organizzazioni.
Nell’Histadrut vi fu un vivace dibattito se proseguire o meno con lo sciopero, ma alla fine
l’esecutivo decise di mantenere la decisione già presa. All’avvicinarsi della data la PAWS intensificò la
sua campagna per distogliere i lavoratori arabi dallo sciopero. Un nuovo opuscolo denunciava la diceria
propagandata dall’Histadrut che la PAWS era stata consultata sullo sciopero ed aveva acconsentito:
La verità è che l’Histadrut non ha riconosciuto e non riconosce i sindacati arabi…la PAWS a Jaffa
ha deciso che la data dello sciopero è prematura per gli arabi e ritiene che l’interesse dei lavoratori
sia aspettare l’esito degli imminenti negoziati…Lo sciopero è la sola arma dei lavoratori, ma
quest’arma deve essere usata nel momento in cui può condurre all’ottenimento delle proprie
rivendicazioni…151
Il giornale dell’Histadrut Davar affermò in seguito che le sue sincere proposte di cooperazione
con la PAWS erano state rifiutate e che quest’ultima si era opposta allo sciopero per motivi strettamente
politici. Ma l’esame della documentazione di quel periodo esclude entrambe queste affermazioni. Per di
più, sembra che gli appelli della PAWS abbiano colpito nel segno, specialmente nei campi più grandi
situati presso le città grandi. Un visitatore ebreo a Sarafand, una delle più grandi basi militari inglesi del
Medioriente, situata a poche miglia da Ramle, raccontò che i lavoratori arabi gli avevano chiesto: “Come
puoi chiederci di collaborare, quando non ci avete consultato e anzi ci avete informato che domani ci
sarà uno sciopero, e volete che vi partecipiamo?”152.
Nel giorno prefissato quasi tutti i lavoratori ebrei dei campi si unirono allo sciopero. La portata
della partecipazione araba è meno chiara. Un opuscolo della PAWS scrisse che “il 100% dei lavoratori”
aveva rifiutato di aderire. Il Davar al contrario affermò che la grande maggioranza di costoro vi aveva
preso parte. Sembra in realtà che alcune migliaia di arabi si siano uniti allo sciopero, ovvero una piccola
minoranza, il che dimostrò alla leadership dell’Histadrut che la campagna per escludere la PAWS era
impraticabile. Dal momento che le autorità inglesi non mostravano alcuna intenzione di estendere il
COLA ai lavoratori dei campi, l’Histadrut si trovò a che fare con continue pressioni dal basso: sia ebrei
che arabi tenevano meeting di protesta, davano vita a brevi scioperi e facevano appelli ai sindacalisti
affinchè lavorassero insieme.
Nelle settimane successive l’Histadrut finalmente rispose ai persistenti inviti della PAWS a
incontrarsi. Ma i colloqui erano destinati a fallire dal momento che essa insisteva nel pretendere il
riconoscimento della PLL e nell’organizzare i lavoratori dei campi in maniera esclusiva. Negli incontri
con i dirigenti della PAWS di Jaffa i funzionari dell’Histadrut (specialmente Berl Repetur) adottarono una
linea dura, criticando il sindacato arabo per la sua opposizione allo sciopero e rimproverandogli numerosi
errori e mancanze. Né Khalil Shanir né gli altri suoi colleghi apprezzarono questo atteggiamento, e
risposero per le rime. Ma ciò che più di tutto sabotò i colloqui fu l’insistenza dell’Hisadrut affinchè vi
partecipassero i membri della PLL e in particolare Adib al-Disuqi, suo esponente di Jaffa. Per i dirigenti
della PAWS questa fu una deliberata provocazione, se non un insulto, a riprova della cattiva fede
dell’Histadrut. Un incontro si trasformò in un tumulto quando al-Disuqi prese la parola per criticare la
PAWS. Shanir si infuriò: “Vai fuori di qui, sionista, paria, ti sei venduto agli ebrei, ti fai usare per 18
sterline al mese!” – riferendosi al salario di al-Disuqi come organizzatore della PLL a Jaffa153.
Vi furono colloqui anche ad Haifa all’inizio di giugno, al meeting dei lavoratori arabi dei campi
iscritti alla PAWS. Qui i toni furono meno accesi, e i militanti della PAWS accettarono che esponenti
della PLL partecipassero agli incontri, ma sul piano pratico non scaturì quasi nulla. Presto anzi la spinta
alla cooperazione venne meno.
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Histadrut Archives
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Hashomer Hatzair Archives
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Esecutivo dell’Histadrut, minute e corrispondenze
110
All’inizio del giugno 1943 il governo mandatario annunciò che i propri dipendenti avrebbero
ricevuto il COLA. Dopo alcune settimane apparve chiaro che esso sarebbe stato applicato anche ai
lavoratori dei campi, in un modo da avvicinarsi tangibilmente alle loro richieste. Sebbene nessuno dei due
sindacati sentisse la necessità di proseguire i negoziati, entrambi si rinfacciarono la volontà di
interrompere i negoziati venendo meno alla solidarietà di classe. Dal canto suo, Agassi continuò nel
tentativo di reclutare i lavoratori arabi nella PLL.
Ma sebbene egli, ottimista come sempre, riportasse ai suoi colleghi che molti arabi erano pronti a
unirsi alla PLL, l’Histadrut ora non era per nulla interessata a formare nuove sezioni della PLL in questo
settore. Uno dei motivi principali era ancora una volta quello della temporaneità del lavoro: con
l’approssimarsi della fine della guerra l’Histadrut sarebbe stata obbligata a trovare nuove occupazioni per
questa massa di operai, e questo non era nelle sue intenzioni.
Nel settembre del 1943 H.E. Chudleigh, del dipartimento del lavoro del governo, riassunse la
situazione in una relazione sul movimento operaio ebraico e arabo in Palestina:
Negli ultimi mesi la situazione per i sindacati arabi ed ebraici si è fatta più difficile. I comuni
interessi economici sono sovrastati dalle considerazioni politiche, che dominano ogni discussione.
“Cocciuta” è il termine adatto per definire la dirigenza da entrambe le parti. Si sono manifestate
possibilità di cooperazione nei campi e nelle officine militari, al comune di Jaffa e altrove. Ma solo al
comune di Gerusalemme è stata raggiunta una minima collaborazione concreta154.
112
I funzionari del dipartimento arabo dell’Histadrut erano incerti sul fatto che la PLL dovesse
rimanere a guida ebraica, senza un insieme di dirigenti arabi che la rendessero più “attraente”. D’altra
parte essi stessi avevano un’opinione piuttosto negativa degli arabi che a livello locale occupavano posti
di responsabilità, e affermavano che “quando non c’è un lavoratore ebreo in una sezione, l’arabo non
vale un granchè” e che “molti se non tutti (gli attivisti arabi della PLL) sono avidi” e dovevano essere
controllati dagli ebrei, soprattutto in caso di accesso ai fondi. Per discutere il futuro dell’attività araba,
membri del dipartimento si incontrarono con la segreteria del MAPAI nel novembre 1943. All’incontro
erano presenti alcuni dei massimi dirigenti del MAPAI, inclusi tre futuri primi ministri dello stato di
Israele (David Ben-Gurion, Moshe Shertok, Levi Eshkol), un futuro presidente (Zalman Rubashov) e
almeno due futuri ministri (Pinhas Lubianker e Eliezer Kaplan)156.
La discussione fu aperta da Shmuel Solomon, membro anziano del dipartimento arabo, che un
sindacalista inglese che lo conobbe descrisse in seguito come “un uomo gentile, un ebreo tedesco che
aveva fatto studi ebraici, classici e islamici”157. Solomon espresse ottimismo sul futuro della PLL ma
riconobbe che gli arabi la consideravano innanzitutto come un’agenzia di collocamento – una percezione
che avrebbe causato problemi alla fine della guerra, perché i lavoratori dei campi militari avrebbero
cercato impiego nelle fabbriche e imprese agricole di proprietà ebraica. “Tutte le nostre spiegazioni sul
fatto che essi non sono membri dell’Histadrut, che c’è una differenza, sono di utilità pari al suono di un
shofar158”. Solomon ammise anche che i lavoratori arabi erano scontenti del fatto che la PLL fosse diretta
dai funzionari ebrei dell’Histadrut, e in alcuni casi avevano chiesto di pagare le quote come membri
dell’Histadrut a tutti gli effetti, ricevendone i benefici corrispondenti.
I leader del MAPAI non diedero a Solomon e colleghi il sostegno che cercavano. Eliyahu Sasson
espresse scetticismo sull’attività araba. Criticando Solomon per le sue stime sulle prospettive di crescita
della PLL, ipotizzò un’organizzazione di 1000 – 1500 iscritti fedelissimi, grande abbastanza da ostacolare
i sindacati arabi e utile in occasioni come la rivolta araba del 1936 – 39. Ben-Gurion propose la creazione
di un piccolo partito arabo filo-sionista che potesse servire per le lotte politiche che si mostravano
all’orizzonte. Sembrò insomma che i leader del MAPAI avessero perso quel poco di interesse che
avevano precedentemente mostrato per l’attività araba.
Ma lo staff ebraico del dipartimento arabo non aveva ancora del tutto rinunciato. Nella prima metà
del 1944 provò a rilanciare il lavoro della PLL introducendovi qualche aspetto di vita organizzativa
autonoma. Tra le altre cose, venne creato un bollettino interno in arabo e si tenne, alla sede centrale
dell’Histadrut a Tel Aviv, il primo convegno degli attivisti arabi di tutte le sezioni della PLL. Ma nessuna
di queste mosse poteva alterare il fatto che la PLL fosse creata e diretta da ebrei, e questo ne ostacolava
obiettivamente l’attività araba.
La riprova definitiva delle difficili possibilità per la PLL si ebbe in occasione della lotta che
coinvolse l’organizzazione alla fabbrica metallurgica Wagner, nei primi mesi del 1944. Impiantata
inizialmente da un uomo d’affari tedesco, con l’avvento della guerra la fabbrica fu requisita dalle autorità
inglesi come proprietà nemica, i suoi proprietari incarcerati, e l’attività cessò. Fu riaperta nel 1941 sotto la
direzione di un imprenditore arabo, Stilo Awwad. L’atteggiamento dispotico di Awwad verso i suoi circa
160 dipendenti, quasi tutti arabi, e specialmente il suo rifiuto di pagare loro il COLA come decretato dal
governo mandatario, spinse un gruppo di operai a contattare la PLL. Con il disappunto del loro padrone e
della PAWS la grande maggioranza del lavoratori si iscrisse alla PLL. I funzionari del dipartimento arabo
dell’Histadrut credettero di essere giunti a una svolta, in quanto si trattava di lavoratori qualificati di una
zona urbana, “proletari autentici” coi quali avevano sognato a lungo di creare legami stabili.
Awwad espresse la volontà di soddisfare le richieste degli operai ma si rifiutò recisamente di
negoziare con la PLL. La disputa finì davanti a un arbitro del dipartimento governativo del lavoro, i cui
funzionari stabilirono che anche la PAWS dovesse essere inclusa nelle trattative. R.M. Graves, direttore
del dipartimento, disse: “Vogliamo l’organizzazione dei lavoratori arabi, ma non col metodo
dell’Histadrut”. H.E. Chudleigh aggiunse che “siamo interessati a sostenere organizzazioni di lavoratori
arabi dirette da loro stessi. Di più, siamo interessati a unire queste organizzazioni per creare un
movimento operaio arabo unitario. La PLL crea divisioni, divide invece che unire”159.
156
Labour Party Archives, appunti del segretariato del MAPAI
157
Trade Unions Congress Archives
158
Piccolo corno di montone utilizzato come strumento musicale durante alcune funzioni religiose ebraiche.
159
Davar, 24 gennaio 1944
113
La base della PLL alla Wagner si sfaldò nel corso del 1944. La direzione della fabbrica licenziò un
certo numero di lavoratori della PLL e ne emarginò altri, mentre la PAWS spingeva per isolare la PLL e
la stampa araba definiva i suoi aderenti lacchè dei sionisti. Quello che sembrava un punto di svolta nella
costruzione di un radicamento nella PLL a Jaffa, andò incontro al fallimento completo.
La controffensiva della PAWS contro la PLL giunse al culmine quando alcuni attivisti sabotarono
un meeting di quest’ultima organizzato per celebrare il Primo Maggio 1944 e inaugurare una nuova
sezione nel quartiere al-Manshiyya di Jaffa. Gridando, battendo le mani e facendo continue domande ai
funzionari dell’Histadrut sul podio, gli attivisti arabi fecero fallire il meeting e, ancora più importante,
intimidirono i membri della PLL e le loro potenziali reclute, che in seguito presero le distanze. La PLL fu
costretta a spostare la sede da al-Manshiyya a un quartiere ebraico di Tel Aviv, e alla fine del 1944 essa
praticamente aveva cessato di esistere a Jaffa.
Possiamo farci un’idea delle posizioni degli arabi che sabotarono la celebrazione della PLL da un
opuscolo intitolato Da lavoratori arabi a lavoratori ebrei, firmato da cinque attivisti arabi che l’Histadrut
aveva denunciato per disturbo della quiete pubblica dopo il fallimento del meeting. L’opuscolo, in
ebraico, respingeva le accuse dell’Histadrut che quel 30 aprile i disturbatori fossero agenti di polizia o di
Stilo Awwad. I firmatari affermavano di essere lavoratori della base che volevano sapere perché venivano
allontanati dal lavoro e dunque privati del pane.
Fratelli operai! Immaginate ciò che direste se questo capitasse a voi, se vi licenziassero soltanto
perché siete ebrei, e vedeste le vostre famiglie e i vostri figli piangere per la fame. Immaginate se
quelle stesse persone che ieri vi hanno cacciato dal lavoro oggi venissero da voi a parlare del Primo
Maggio, dichiarando che domani vi lasceranno a casa, se possono. Ebbene, proprio in questi giorni
l’Histadrut ha organizzato dei picchetti alla fabbrica di Rishon Letziyon per allontanare dal lavoro i
quattro arabi che vi sono assunti160.
La parabola della PLL a Gerusalemme fu simile a quella di Jaffa. All’inizio del 1944 la PLL riuscì
a tesserare più di 100 lavoratori arabo-palestinesi, egiziani e sudanesi impiegati al prestigioso King David
Hotel, e dopo una mediazione del dipartimento governativo del lavoro costoro ottennero un contratto
decente. Tuttavia questo successo spinse la PAWS a promuovere una campagna per far sì che i lavoratori
arabi all’hotel e altrove si staccassero dall’Histadrut. Come a Jaffa, la sezione locale della PAWS disturbò
la celebrazione del Primo Maggio della PLL, mentre i suoi opuscoli denunciavano i “mercenari del
sionismo” e attaccavano l’Histadrut per aver spinto il partito laburista inglese ad adottare una risoluzione
in favore dello stato ebraico in Palestina e del “trasferimento” degli arabi-palestinesi nei paesi vicini. La
PLL riuscì a mantenere la maggior parte degli iscritti tra i dipendenti del King David Hotel, ma nel luglio
1946 l’albergo (che era stato occupato dalle autorità inglesi per allestirvi uffici amministrativi) fu chiuso
dopo un attentato dinamitardo eseguito dall’organizzazione paramilitare sionista di destra Irgun, che
provocò quasi 100 morti tra cui diversi civili arabi ed ebrei.
Un’altra lotta che coinvolse dei dipendenti d’albergo durante questo periodo dimostrò le scarse
prospettive per la PLL tra i lavoratori arabi. Nel settembre 1944 alcune dozzine di arabi e arabe impiegate
all’hotel American Colony chiesero aiuto alla PLL. Fondato alla fine dell’Ottocento da una setta cristiana
americana i cui membri si erano stabiliti in Terrasanta, l’American Colony ora ospitava funzionari
governativi e vip stranieri. Quando in ottobre la direzione licenziò alcuni dipendenti identificati come
teste calde, i lavoratori scesero in sciopero, e vennero sommariamente cacciati dai loro alloggi presso la
colonia. Il conflitto assunse subito un carattere politico, data la frustrazione della PAWS per il mancato
allontanamento dei lavoratori arabi dal King David Hotel e la crescente tensione tra ebrei e arabi dovuta
ai nuovi tentativi di aumentare l’immigrazione da parte del movimento sionista. La PAWS e la stampa
araba denunciarono lo sciopero come complotto sionista e fecero forti pressioni perché i lavoratori lo
interrompessero. Fallito questo tentativo, la PAWS arrivò a fornire alla direzione dell’hotel dei nuovi
dipendenti per rimpiazzare gli scioperanti della PLL. L’Histadrut cercò senza successo di far intervenire il
dipartimento governativo, e lo scioperò fallì161.
Come per lo sciopero alla Wagner di Jaffa, la sconfitta all’American Colony segnò la fine delle
prospettive di organizzare lavoratori arabi per la sezione di Gerusalemme della PLL. In tale città negli
160
Histadrut Archives
161
Davar, 1 gennaio 1945
114
anni successivi la PLL guidò uno sciopero vittorioso degli arabi del villaggio di Qalunya, impiegati alla
fabbrica di piastrelle Steinberg, e rappresentò i dipendenti ebrei delle fornerie, ma furono risultati di
piccola scala. In privato, il dipartimento arabo dell’Histadrut ammise che il sabotaggio delle celebrazioni
del Primo Maggio aveva in effetti paralizzato l’organizzazione. La PLL aveva poche prospettive di andare
oltre la propria intrinseca debolezza, mentre il movimento operaio arabo, seppur frazionato, andava
incontro a una fase di vigorosa ripresa.
115
possibilità di azione congiunta in ogni luogo di lavoro”162. Come vedremo, nei tre anni successivi i
ferrovieri e i post-telegrafonici ebbero un ruolo preminente nel promuovere una serie di lotte economiche
arabo-ebraiche.
La spinta dal basso indusse la sinistra araba ad assumere la direzione del movimento operaio. La
rottura nel Partito Comunista di Palestina a metà del 1943 e la nascita della NLL aprirono la strada ad una
ricomposizione delle forze all’interno del movimento. Era ora possibile la creazione di una federazione
operaia unitaria, guidata dalla NLL, che includesse la FATULS di Haifa e le varie sezioni della PAWS
distribuite nel paese. Allo stesso tempo crebbero le tensioni tra i comunisti che operavano nella PAWS e
la leadership nazionale, rappresentata dal conservatore e autoritario Sami Taha. Un sindacalista inglese
che visitò la Palestina nel 1945 descrisse lo stile di Taha in questi termini:
La PAWS fu fondata nel 1925 e ha svolto una considerevole quantità di genuino lavoro sindacale.
Negli anni ha certamente superato molte difficoltà politiche, mantenendo alta la sua bandiera. Ma il
suo segretario, Sami Taha, sfuggente come una biscia, ha modificato la scena con un piglio
autoritario, ad esempio l’organizzazione è su base territoriale e non sindacale. Cioè, ogni sezione
elegge il comitato esecutivo, e ogni comitato invia un rappresentante al consiglio supremo ad Haifa;
ma il comitato esecutivo di tutta la PAWS è di fatto il comitato esecutivo della sezione di Haifa, e
questo non viene eletto da dieci anni. Non c’è nessuna democrazia, compagni.
Questo osservatore, comunque, notava che sebbene “Sami Taha sia un topo di fogna…non credo
che sia un topo di fogna completo”163.
Nell’estate del 1944 la sezione di Nazareth della PAWS, guidata dal comunista Fuad Nassar, si
staccò dall’organizzazione e con la FATULS costituì un “consiglio supremo dei lavoratori arabi”, che
tuttavia esisteva solo sulla carta. Ma la maggioranza dei comunisti della PAWS non vollero seguire
l’esempio della sezione di Nazareth. La loro fedeltà peraltro fu messa a dura prova dall’operazione con
cui Sami Taha riuscì a far nominare il suo sodale, l’avvocato di Haifa Hanna Asfur, come delegato al
congresso sindacale internazionale in programma a Londra nel febbraio 1945. Bulus Farah, capo della
FATULS ad Haifa, che insieme ai suoi colleghi della NLL considerava Asfur un reazionario borghese,
andò a Londra solo come osservatore, lo stesso status concesso a George Nassar della PLL.
La scelta di un conservatore e non operaio come Asfur, unitamente al fatto che la conferenza di
Londra adottò una risoluzione sulla Palestina tendenzialmente in favore del sionismo, spinse la sinistra
della PAWS a intensificare la sua campagna contro Sami Taha. In particolare la sinistra decise che i
delegati arabi-palestinesi al congresso fondativo della Federazione Mondiale dei Sindacati (WFTU), in
programma a Parigi alla fine di agosto 1945, dovessero essere scelti democraticamente e fossero dei
salariati. Dopo un meeting a Nablus nel quale Sami Taha e Hanna Asfur si erano autonominati delegati
della PAWS a Parigi, le sezioni di Jaffa, Gerusalemme e Gaza, insieme ad altre otto, si separarono e
formarono l’Arab Workers’ Congress (AWC), al quale presto aderì anche la FATULS. Questa nuova
federazione sindacale, d’accordo con la NLL, scelse Bulus Farah e Mukhlis al-Amr (capo della sezione
PAWS di Gerusalemme) come propri delegati a Parigi. Colà essi riuscirono a bloccare un’altra
risoluzione pro-sionista e aiutarono ad eleggere un comunista libanese, Mustafa al-Aris, come
rappresentante per il Medioriente nell’esecutivo della neonata WFTU, battendo un candidato
dell’Histadrut. Sami Taha e Hanna Asfur in quell’assise furono solo osservatori.
162
Al-Ittihad, 17 giugno 1945
163
Trade Unions Congress Archives
116
8
VERSO LA CATASTROFE
(1945 – 1948)
I cambiamenti politici, economici e sociali che gli anni della guerra avevano arrecato alla Palestina
contribuirono al nuovo scenario nel quale si sarebbe giocata la contesa decisiva tra il sionismo e i
palestinesi. Anche prima della fine della guerra, l’opposizione sionista alla politica inglese era cresciuta,
assumendo anche forme violente e insurrezionali. La campagna sionista stimolò la ripresa del movimento
nazionalista arabo-palestinese. Benchè non si fosse ancora ripreso del tutto dalla sconfitta della rivolta del
1936 – 39, esso era determinato come non mai a fermare l’immigrazione ebraica e a bloccare il progetto
sionista, ma anche a ottenere l’indipendenza della Palestina come stato arabo unitario. Era chiaro che, una
volta finita la guerra, sarebbe cominciata la fase decisiva della lotta per la Palestina.
Curiosamente questi anni, oltre alle crescenti tensioni tra arabi ed ebrei che sarebbero sfociate
nella nascita dello stato sionista, videro anche un livello inedito di cooperazione tra lavoratori arabi ed
ebrei per raggiungere comuni interessi economici, insieme a disperati sforzi di varie forze politche arabe
ed ebree di raggiungere una soluzione pacifica della crisi politica. Per molti arabi ed ebrei non era chiaro
che cosa il futuro avrebbe riservato: e molti di loro cercarono di disegnare questo futuro partecipando in
prima persona alle lotte politiche e socioeconomiche quotidiane.
PROSPETTIVE DI COOPERAZIONE
A differenza della leadership ufficiale del movimento nazionalista palestinese, che era ancora
guidata da Amin al-Husseini, i suoi parenti e i suoi alleati, e che spesso non faceva distinzione tra il
sionismo e l’Yishuv o gli ebrei in generale, la National Liberation League e il suo nuovo fronte sindacale
117
(Arab Workers Congress) continuavano a mantenere la separazione, ereditata dall’idea comunista, tra
sionismo e masse ebraiche in Palestina. Nel gennaio 1945 un articolo pubblicato su Al-Ittihad dichiarava
che i rappresentanti dei lavoratori arabo-palestinesi alla conferenza internazionale sindacale in corso a
Londra dovevano chiarire all’opinione pubblica mondiale che
Noi distinguiamo tra il movimento sionista in quanto movimento sfruttatore e gli ebrei (i lavoratori
ebrei in particolare) in quanto minoranza. Lottando per un governo nazionale autonomo, i lavoratori
arabi cercano di liberare le masse popolari, arabe ed ebraiche, dal giogo dello sfruttamento e del
sionismo, e dichiarano che l’indipendenza nazionale porterà i legittimi diritti nazionali agli ebrei e
alle altre minoranze residenti in Palestina164.
Un altro articolo di Al-Ittihad affermava che i reazionari, adottando una terminologia razzista e
non dichiarando il carattere democratico del movimento arabo-palestinese, avevano permesso al sionismo
di mantenere il controllo sulle masse ebraiche in Palestina, agitando lo spettro dello stato arabo e della
violenza araba. Benchè vi fossero disaccordi tra i dirigenti della NLL/AWC su questa questione, essi in
generale sostenevano non solo che grazie a una chiara posizione democratica e antifascista degli arabi le
masse ebraiche potessero essere liberate dall’influenza del sionismo, ma anche che la cooperazione arabo-
ebraica fosse la chiave per raggiungere l’indipendenza di una Palestina unitaria.
Per questo la sinistra araba venne attaccata dai nazionalisti conservatori arabi. Nel novembre 1945
la Lega Araba promosse la ricostituzione dell’Alto Comitato Arabo (AHC), originariamente creato allo
scoppio della rivolta araba ma defunto dopo la sconfitta della stessa. All’inizio del 1946 Jamal al-
Husseini tornò dall’esilio per assumerne la leadership, benché la presidenza fosse lasciata vacante per suo
cugino, l’esule Amin al-Husseini. Deciso a riaffermare l’egemonia dell’Alto Comitato Arabo sulla
comunità, Jamal al-Husseini denunciò pubblicamente l’AWC accusandolo di cercare l’unità con Ben-
Gurion e gli ebrei. Nella sua replica il dirigente della NLL/AWC Fuad Nassar respinse le critiche di al-
Husseini come prive di fondamento e difese il programma del movimento.
La distinzione della NLL tra sionismo e Yishuv era percepita da pochi o nessuno della gran parte
degli ebrei residenti in Palestina. Sebbene moltissimi ebrei fossero giunti laggiù non per convinzioni
sioniste ma per sfuggire alle persecuzioni in Europa, ciò che maggiormente desideravano era un’illimitata
immigrazione ebraica e uno stato ebraico pienamente sovrano su un territorio il più esteso possibile. Vi
erano comunque forze significative nell’Yishuv che consideravano tale progetto irrealizzabile a causa
dell’opposizione araba, che avrebbe violato i diritti degli arabi, o entrambe le cose. La più importante di
queste forze era Hashomer Hatzair insieme al suo partito urbano gemello, la Socialist League, che nel
1946 si fusero nel Hashomer Hatzair Workers’ Party. Come abbiamo già detto Hashomer Hatzair
rifiutava l’idea dello stato ebraico su parte o su tutta la Palestina, e proponeva al suo posto la costituzione
su tutto il territorio di uno stato binazionale. Allo stesso tempo Hashomer Hatzair riaffermava la libertà di
immigrazione per gli ebrei, senza restrizioni.
La posizione favorevole all’unità arabo-ebraica da parte della NLL/AWC contribuì al
miglioramento delle relazioni tra le rispettive organizzazioni operaie. Nell’agosto 1945 un articolo
nell’edizione in lingua inglese di al-Ittihad faceva appello ai lavoratori ebrei
che si mostravano volonterosi a coordinare le loro attività con gli operai arabi, a dispetto del tabù
osservato dall’Histadrut…Le condizioni per cooperare ci sono sempre state e ora dipende dalla
politica dell’Histadrut, che ha sempre promosso la cooperazione solo allo scopo di promuovere la
politica sciovinista del sionismo. In realtà, il futuro è nelle mani degli stessi lavoratori che si
impegneranno a costruire questa cooperazione per portare democrazia, pace e libertà in Palestina165.
Sebbene in misura minore, anche la PAWS in questo periodo cooperò con l’Histadrut in certi casi,
quando quest’ultima non ambiva a rappresentare i lavoratori arabi e trattava la PAWS alla pari.
Da parte dell’Histadrut, appunto, la paralisi pressoché totale in cui era caduta la PLL nel 1945
convinse molti dirigenti che per proteggere i numerosi ebrei impiegati nei luoghi di lavoro misti non vi
era alternativa alla cooperazione coi sindacati arabi. Abba Hushi sembra essere stato tra i primi a
164
Al-Ittihad, 14 gennaio 1945
165
Al-Ittihad (edizione inglese), 15 agosto 1945
118
inaugurare questo nuovo orientamento dell’Histadrut. Nell’agosto 1945 egli inviò una lettera
insolitamente gentile, quasi amichevole, a Sami Taha proponendo la cooperazione per il periodo post-
bellico a venire. Taha replicò che, pur sostenendo la cooperazione arabo-ebraica come principio, il
legame del movimento operaio ebraico col sionismo, reso evidente dalla continua campagna per il lavoro
ebraico, per il momento rendeva il lavoro congiunto impossibile. La riluttanza di Sami Taha
probabilmente era dovuta ai suoi nuovi legami con la leadership del movimento nazionalista. Quando
Jamal al-Husseini riorganizzò l’AHC nell’aprile 1946, per alcuni mesi vi inserì Sami Taha, e
successivamente questi mantenne contatti e incarichi e fu anche incluso nella delegazione dell’AHC ai
negoziati che si tennero senza esito a Londra nel 1947166.
Inserendo Taha nei suoi ranghi l’AHC cercava di isolare e indebolire la NLL/AWC, e di rendere più
difficile la cooperazione tra la PAWS e l’Histadrut. Ciononostante la PAWS e anche l’AWC
dimostrarono frequentemente la volontà di cooperare con l’Histadrut, sebbene le interazioni tra queste tre
organizzazioni non furono mai esenti da conflitti e sospetti. In questo periodo tre settori di particolare
importanza economica e politica videro delle occasioni di cooperazione tra lavoratori arabi ed ebrei: il
settore petrolifero; quello dei servizi, inclusi i ferrovieri; e le basi militari inglesi.
166
Issa Khalaf, Politics in Palestine: Arab Factionalism and Social Disintegration, 1939-1948, 1991
119
perché aveva dichiarato lo sciopero unilateralmente, mentre egli stava conducendo trattative con il
management; l’Histadrut denunciò la PAWS come complice delle compagnie petrolifere e facendo leva
sull’alleanza di fatto con l’AWC provò a escluderla dai negoziati. Pare che la maggioranza dei salariati
arabi abbia aderito allo sciopero tranne che ad Haifa, dove la PAWS ebbe buon gioco a dissuaderli. Lo
sciopero durò dodici giorni e portò ad alcuni risultati per i lavoratori. L’Histadrut e l’AWC provarono a
escludere la PAWS dal nuovo contratto, ma la direzione la volle includere e Sami Taha potè affermare
che la firma era il risultato delle sue trattative e non dello sciopero. Fu chiaro però che egli aveva subito
una sonora sconfitta.
Dopo lo sciopero del 1946 l’Histadrut ipotizzò ancora una volta di provare a scavalcare i sindacati
arabi e stabilire contatti diretti con i lavoratori, specialmente i colletti bianchi di quello che veniva
chiamato il “settore internazionale” (le compagnie straniere appunto). Ma non riuscì a prendere
l’iniziativa che già un’altra protesta dei lavoratori prendeva piede ad Haifa all’inizio del 1947.
All’inizio il fulcro dell’azione fu ancora la raffineria, ove l’80% dei 1.800 dipendenti erano arabi
ma gli ebrei costituivano il 44% dei colletti bianchi. Per la rivalità reciproca né la PAWS né l’Histadrut
erano ansiose di guidare un nuovo sciopero, ma i dipendenti iscritti all’AWC spingevano per l’azione, con
l’aiuto del comitato operaio ebraico animato da attivisti di Hashomer Hatzair, e a metà gennaio 1947
scoppiò uno sciopero spontaneo che coinvolse subito centinaia di salariati. La PAWS cercò di far finire lo
sciopero il prima possibile per non perdere posizioni di influenza nell’azienda, ma così facendo si alienò
ancor di più le simpatie degli altri sindacalisti, tanto che questi tennere alcune assemblee dei dipendenti
della raffineria non nella sede della PAWS ma in quella della sezione locale di Hashomer Hatzair, indice
del buon livello di cooperazione arabo-ebraica.
La sinistra sindacale araba era particolarmente furiosa con Sami Taha per il sabotaggio dello
sciopero. Al-Ittihad sarcasticamente denunciò gli “insigni sindacalisti” della PAWS che
Presi dal desiderio di preservare i loro fratello arabi dalle spire dei sionisti dell’Histadrut, hanno
pensato che l’unico modo per ostacolare i piani di quest’ultima e isolarla dalle masse operaie fosse
chiedere ai lavoratori di tornare al lavoro, con la scusa che lo sciopero era stato loro imposto dai
funzionari dell’Histadrut167.
Pochi mesi dopo il comitato dei lavoratori arabi della CRL denunciò pubblicamente la PAWS per
la sua condotta.
La PAWS finì sotto accusa anche quando all’inizio del marzo 1947 il malcontento all’Iraq
Petroleum Company sfociò in un altro sciopero. La compagnia impiegava circa 2.500 persone, e gli arabi
erano il 98% degli operai e l’84% degli impiegati. L’AWC era la forza dominante. Uno sciopero di circa
1.600 lavoratori (incluse alcune dozzine di ebrei), soprattutto per i salari, iniziò il 6 marzo e durò fino al
19, concludendosi con la soddisfazione di alcune richieste, anche se non certo tutte. Gli scioperanti
ricevettero la solidarietà di tutti lavoratori arabi della Palestina, ma l’AWC accusò Sami Taha di aver
provato a farlo fallire, e alla fine di aprile 1947 il sindacato alla CRL sciolse formalmente i suoi legami
con la PAWS.
Vi furono altre manifestazioni di dinamismo operaio in questo periodo nel settore petrolifero. Esse
riguardarono quasi esclusivamente lavoratori arabi, con l’eccezione della raffineria di Haifa. L’Histadrut
era preoccupata per il numero proporzionalmente basso di addetti ebrei nel settore, e i suoi funzionari ad
Haifa si rivolsero alla sede centrale a Tel Aviv per avere fondi per una campagna volta all’assunzione di
un maggior numero di ebrei. Abba Hushi disse all’esecutivo dell’Histadrut che si doveva “mettere
all’ordine del giorno la conquista del lavoro nelle città. Nei prossimi anni dobbiamo raggiungere i 5.000
nuovi assunti: alle poste, alle ferrovie, nei telegrafi. Oggi sono gli arabi ad avere quei lavori – ed è
questo che determinerà il destino di Haifa”168.
Ma Hushi aveva torto: sarebbe stata infatti la superiorità militare ebraica a decidere il destino di
Haifa nella primavera del 1948, portando alla fuga dalla città della grande maggioranza dei suoi abitanti
arabi. La raffineria, come vedremo, sarebbe stata teatro di uno dei più sanguinosi episodi del conflitto
arabo-ebraico successivo alla risoluzione di partizione dell’ONU del 29 novembre 1947.
167
Al-Ittihad, 2 febbraio 1947
168
Esecutivo dell’Histadrut, minute e corrispondenze
120
LO SCIOPERO GENERALE DELL’APRILE 1946
Il più vasto e significativo episodio di azione congiunta tra lavoratori arabi ed ebrei nella storia
della Palestina ebbe luogo nell’aprile 1946. I lavoratori di poste, telefoni e telegrafi furono protagonisti di
quello che divenne un vastissimo sciopero generale dei dipendenti pubblici. I funzionari delle poste
avevano a lungo ignorato le richieste dei dipendenti, guidati da Sami Taha della PAWS e Yehezkel
Abramov, segretario dell’Unione Internazionale dei Lavoratori di Ferrovie, Poste e Telegrafi (IU),
cosicchè venne indetto un piccolo sciopero dei lavoratori delle poste e telegrafi di Tel Aviv, per lo più
ebrei, in data 9 aprile 1946. Abramov aveva voluto che lo sciopero fosse rinviato a dopo la partenza dalla
Palestina della commissione di inchiesta anglo-americana, per paura che per mano dei nazionalisti arabi si
trasformasse in una protesta contro la commissione stessa. In questo settore i sindacalisti arabi ed ebrei
avevano molti anni di esperienza di lavoro comune alle spalle, e i rapporti erano per lo più amichevoli.
Il giorno prefissato i lavoratori, compresi 30 o 40 arabi impiegati all’ufficio postale di Tel Aviv,
scesero in sciopero. Il loro esempio risultò contagioso e il giorno seguente tutti i dipendenti delle poste in
Palestina non erano al lavoro. Nelle trattative seguenti i dirigenti delle poste fecero subito ampie
concessioni, e l’Histadrut raccomandò ai lavoratori di accettare e porre fine all’agitazione. Invece essi non
vollero fare compromessi e votarono per il rifiuto delle offerte padronali e la prosecuzione dello sciopero.
L’agitazione si allargò: il 14 aprile i ferrovieri arabi ed ebrei, membri sia dell’IU che dell’AURW, si
fermarono, paralizzando il settore.
Non vi era mai stato uno sciopero generale congiunto di ferrovieri e postelegrafonici in Palestina,
ma ciò che lo rese ancor più straordinario fu il fatto che i colletti bianchi di basso e medio livello
dipendenti del governo si unirono alla protesta. Il 15 aprile 1946, meno di una settimana dall’inizio
dell’agitazione dei postali di Tel Aviv, circa 23.000 dipendenti del governo mandatario erano in sciopero.
Per un po’ sembrò che anche le decine di migliaia di lavoratori delle basi militari inglesi e dei lavoratori
petroliferi si unissero allo sciopero. Questo certamente è quanto speravano i comunisti arabi ed ebrei. Un
opuscolo del 18 aprile firmato congiuntamente da NLL e PCP chiamava tutti i lavoratori a unirsi allo
sciopero generale, attaccando il “governo imperialista” mandatario che destinava più di un quinto del suo
budget annuale alla polizia e alle carceri e solo l’8% a salute, educazione e welfare messi assieme.
Tuttavia sia l’Histadrut che la PAWS si opposero allo sciopero nelle basi e nelle raffinerie. L’Histadrut
temeva che l’estensione dello sciopero mettesse in difficoltà la lotta dell’Yishuv per spingere gli inglesi
ad aumentare l’immigrazione ebraica, ma ciò non impedì ad Abba Hushi di attribuire a Sami Taha
l’iniziativa di ritirarsi dallo sciopero. Hushi affermò che all’inizio dello sciopero Taha aveva ricevuto una
telefonata dal quartier generale della Lega Araba al Cairo che gli diceva di non andare troppo oltre nella
cooperazione con gli ebrei. La versione di Hushi non fu mai confermata, ma è certamente possibile che
Taha abbia usato la sua influenza per impedire l’estensione dello sciopero.
Sebbene né i lavoratori delle raffinerie né quelli delle basi militari si unissero allo sciopero, esso di
fatto paralizzò l’amministrazione mandataria e costrinse il governo a cedere a molte delle richieste dei
suoi dipendenti, incluso l’aumento dei salari e del COLA e miglioramenti pensionistici. Le forze di
sinistra sia arabe che ebraiche salutarono lo sciopero di aprile come una grande vittoria, e la
dimostrazione evidente di ciò che si poteva ottenere con la solidarietà di classe. Avvisando di guardarsi
dagli “elementi disfattisti e reazionari, sia arabi che ebrei”, la NLL e il PCP definirono lo sciopero “un
colpo alla politica del ‘divide et impera’ dell’imperialismo, uno schiaffo in faccia ai portatori di
ideologie scioviniste e divisioni nazionali”. Mishmar, l’organo di Hashomer Hatzair, a sua volta applaudì
allo sciopero e affermò che esso dimostrava la possibilità e l’efficacia della cooperazione arabo-ebraica. Il
Davar, organo dell’Histadrut e fedele esponente della linea del MAPAI, espresse una posizione ambigua.
I giornali più conservatori erano quasi terrorizzati. Filastin criticò la PAWS per la sua adesione a un
movimento che giudicava ispirato dai sionisti e largamente funzionale ai loro interessi. Il quotidiano
ebraico di destra Maariv inizialmente approvò lo sciopero ma poi lo criticò in quanto dannoso per la
causa sionista169.
Qualunque cosa le varie forze politiche fecero dopo lo sciopero, esso si dimostrò essere un caso
isolato. Sebbene alcune categorie fossero ancora in agitazione nei mesi seguenti, non vi furono più
proteste degne di nota. La speranza di una cooperazione arabo-ebraica suscitata dallo sciopero generale si
dissipò presto con l’avanzata della crisi politica nella quale la Palestina finì l’anno successivo.
169
Histadrut Archives
121
LE BASI MILITARI INGLESI 1945 – 48
Le basi militari inglesi, che durante la guerra avevano rappresentato un importante luogo di
interazione tra lavoratori arabi ed ebrei, mantennero la loro rilevanza anche dopo la fine del conflitto.
Molti dei salariati dei campi e dei sindacati che li rappresentavano conservarono la coscienza degli
interessi comuni, maturata affrontando problemi comuni come la disciplina militare, le difficili condizioni
di lavoro, l’aumento dei prezzi etc.
Aumentò comunque anche la prospettiva della perdita del posto. Con l’avanzata degli alleati e dei
sovietici in Nord Africa e in Europa e la fine della minaccia tedesca sul Medioriente, le necessità
dell’esercito inglese di impiegare civili in Palestina diminuirono. Nell’ottobre del 1943 il dipartimento
della guerra impiegava circa 50.000 civili in Palestina, ma all’inizio del 1944 questo numero era sceso a
47.500 e a marzo sotto i 44.000. La fine della guerra in Europa portò a un numero molto più alto di
licenziamenti: durante i primi dieci mesi del 1945 quasi 20.000 lavoratori dei campi persero il posto.
L’ondata di licenziamenti quindi si arrestò, e nei sei mesi successivi il trasferimento in Palestina di forze
inglesi di stanza in Siria e l’espansione delle infrastrutture militari esistenti portarono all’assunzioni di
una quota supplementare di addetti. Nell’aprile 1946 un funzionario dell’Histadrut stimò che le forze
armate britanniche impiegassero in Palestina circa 22.000 arabi e 8-9.000 ebrei, anche se il dato reale
probabilmente era più alto. Era chiaro comunque che nel lungo periodo questo numero sarebbe sceso
drasticamente170.
La situazione critica dei lavoratori dei campi ricevette l’attenzione dei sindacati a partire dal 1945.
Al-Ittihad scrisse che i lavoratori della Palestina avevano sostenuto lo sforzo bellico alleato e ora
necessitavano del sostegno del governo mandatario per contenere la disoccupazione e aumentare i
salari171. L’Histadrut aveva preoccupazioni simili, e in aggiunta temeva per il destino della minoranza dei
lavoratori ebrei, che avrebbero potuto essere particolarmente colpiti dai licenziamenti. Data
l’impossibilità di rappresentare direttamente i lavoratori arabi, come visto in occasione dello sciopero del
1943, in tale situazione l’azione congiunta coi sindacati arabi era essenziale.
Uno dei primi luoghi in cui questo nuovo spirito collaborativo si manifestò furono le officine
allestite dall’esercito inglese sui terreni di quella che era stata la Fiera del Levante, nei dintorni di Tel
Aviv. Nel settembre 1945 l’AWC e l’Histadrut organizzarono e guidarono congiuntamente uno sciopero
di sette giorni di circa 1.300 lavoratori, per ottenere il riconoscimento del proprio comitato unitario, il
pagamento del COLA e la riassunzione di alcuni lavoratori licenziati ingiustamente. I lavoratori arabi ed
ebrei organizzarono picchetti davanti ai cancelli della fiera e organizzarono una marcia per le strade di
Tel Aviv, cantando nelle due lingue slogan come: “I lavoratori arabi ed ebrei sono fratelli”, “Lunga vita
all’Histadrut e all’Arab Workers’ Society (affiliata all’AWC)” Il quotidiano in lingua ebraica Haaretz
scrisse di “masse di persone affollate ai lati delle strade per vedere lo straordinario spettacolo di
lavoratori arabi ed ebrei che marciavano insieme nel cuore di Tel Aviv”172.
Tuttavia la cooperazione fu resa difficoltosa da alcuni fattori. Uno fu la divisione del movimento
operaio arabo in due fazioni ormai ostili tra loro, ognuna delle quali era radicata tra i lavoratori arabi dei
campi. L’AWC non aveva remore ideologiche alla collaborazione coi sionisti dell’Histadrut
limitatamente alla lotta di classe, a patto che questi ultimi si astenessero dal reclutamento dei lavoratori
arabi. Invece la direzione della PAWS in questo periodo era riluttante a collaborare con l’Histadrut per le
questioni di nazionalismo che abbiamo già visto. Sia i sindacalisti arabi che quelli ebrei sapevano che
senza l’apporto degli 8.000 lavoratori dei campi che sostenevano l’organizzazione di Sami Taha, sarebbe
stato molto difficile, se non impossibile, condurre una lotta vittoriosa.
Un altro fattore negativo era il malcontento tra i lavoratori arabi per le paghe più alte spesso
percepite dai lavoratori ebrei a parità di impiego, così come la loro migliore collocazione nei vari settori.
Sami Taha aveva sollevato la questione in un telegramma alle autorità nel 1944, e al-Ittihad la riprese
all’inizio del 1946 riportando che i lavoratori arabi della base di Beit Nabala, vcino a Lydda, chiedevano
non solo paghe più alte ma anche uguali a quelle degli ebrei, oltre all’assunzione di più capisquadra arabi
poiché i capisquadra ebrei davano l’impressione di fare discriminazioni nel trattamento dei dipendenti. Le
170
Foreign Office papers
171
Al-Ittihad, 17 giugno 1945
172
Haaretz, 25 settembre 1945
122
proteste arabe in questo caso culminarono con scontri e feriti. Secondo l’organo dell’AWC, i lavoratori
arabi volevano più capisquadra arabi “non perché odiano i capisquadra ebrei, ma perché questi ultimi
eseguono fedelmente i piani dei sionisti; come dice il detto, ‘non combattiamo il lupo per il suo aspetto
ma perché mangia le nostre pecore’”. Nella primavera del 1947 circa 1.500 lavoratori arabi delle basi
militari intorno ad Haifa parteciparono a uno sciopero di un’ora organizzato dalla PAWS per chiedere che
i capisquadra ebrei fossero rimpiazzati da arabi.
Ciononostante, nei primi mesi del 1947 l’Histadrut cercò di accordarsi sia con la PAWS che con
l’AWC, fungendo in questa fase anche da mediatore tra le due fazioni arabe. Quando nel maggio 1947 le
autorità inglesi diedero il via a una nuova serie di licenziamenti senza preavviso, i sindacalisti arabi
lanciarono una giornata di sciopero in tutti i campi, alla quale l’Histadrut aderì. Lo sciopero, fissato per il
20 maggio, coinvolse circa 40.000 lavoratori e si svolse senza incidenti. A partire da questo risultato la
PAWS avrebbe voluto condurre un’ulteriore azione di allargamento dello sciopero, ma i funzionari
dell’Histadrut si opposero poiché temevano che ciò avrebbe giovato alla causa nazionalista.
Con il volgere della primavera nell’estate, poiché le trattative tra i rappresentanti sindacali e le
autorità inglesi non procedevano come sperato, la PAWS e l’AWC iniziarono a spingere per uno sciopero
di durata indefinita. All’inizio di luglio la PAWS dichiarò che se non vi fossero stati progressi entro 25
giorni, avrebbe chiamato i lavoratori a scioperare. L’Histadrut si era convinta che Sami Taha e i suoi
fossero strumenti dei piani nazionalisti di Amin al-Husseini, che era ancora in esilio, e che uno sciopero
nei campi in questa fase avrebbe danneggiato la causa sionista in un momento politicamente significativo.
Come Berl Repetur successivamente affermò in un rapporto all’esecutivo dell’Histadrut, “temevamo uno
sciopero arabo-ebraico, uno sciopero che sarebbe stato anti-ebraico dal punto di vista politico”. Perciò
l’Histadrut rifiutò la proposta della PAWS e in alternativa propose uno sciopero di tre giorni.
Per un momento sembrò che sia l’AWC che la PAWS fossero d’accordo, ma all’inizio di agosto
quest’ultima annunciò unilateralmente che il 25 di quel mese i lavoratori dei campi sarebbero scesi in
sciopero. L’AWC denunciò questa decisione come dannosa per i lavoratori e accusò la PAWS di
collaborare in segreto con l’Histadrut per emarginare l’AWC. L’Histadrut e la PAWS in effetti si
incontrarono e decisero di astenersi da azioni unilaterali. Pochi giorni dopo le autorità inglesi
annunciarono l’accoglimento di alcune delle rivendicazioni dei lavoratori dei campi. Sebbene la richiesta
principale, ovvero un’indennità per i licenziati, non fosse accolta, questa piccola vittoria allentò la
tensione tra l’Histadrut, la PAWS e l’AWC. Subito dopo il dipartimento della guerra riconobbe i sindacati
arabi e l’Histadrut come legittimi rappresentanti dei lavoratori dei campi, lasciando intendere la
possibilità di ulteriori benefici per questi ultimi.
175
Histadrut Archives
176
ibidem
125
essere rafforzata trovando elementi della comunità araba che assumessero una linea analoga. Di tali
elementi ve ne erano ben pochi, e i pochi arabo-palestinesi disposti ad andare contro il parere della loro
comunità erano presto messi ai margini, se non liquidati. Ciononostante, fino alla fine del 1947 Hashomer
Hatzair fece grossi sforzi per creare situazioni favorevoli alla cooperazione e amicizia arabo-ebraica.
Quando per esempio unità della Legione Araba, una forza composta da transgiordani ma sotto comando
britannico, furono inviate in Palestina per mantenere l’ordine e reprimere la rivolta sionista, la leadership
dell’Yishuv protestò e proclamò la non fraternizzazione coi legionari. Alcuni membri di Hashomer
Hatzair disobbedirono a questa linea e presero contatti coi transgiordani, che con grande disappunto dei
loro ufficiali inglesi pare abbiano risposto calorosamente177.
I pochi membri di Hashomer Hatzair interessati alla cooperazione arabo-ebraica sapevano di
incontrare ostilità anche nel loro stesso movimento. Zyoma Ben-Artzi, membro del kibbutz Mazra,
raccontò che quando entrò in rapporti di amicizia coi legionari arabi stanziati nei dintorni alcuni membri
del suo kibbutz lo ammonirono dal fraternizzare con “quei negri”, termine dispregiativo che non
avrebbero mai usato coi legionari indiani o con gli inglesi. La gioventù del kibbutz (cui Ben-Artzi si
riferiva col termine arabo shabab) era da lui paragonata a un mucchio selvaggio per niente incline alle
relazioni arabo-ebraiche, e capace per divertimento di prendersela con “un povero pastore arabo” e di
rubargli una capra. Yosef Vashiz, che lavorava con Cohen nel dipartimento arabo del movimento, notò
tristemente che
C’è un atteggiamento più umano da parte degli arabi verso gli ebrei che non da parte degli ebrei
verso gli arabi. Per l’arabo l’ebreo è innanzitutto un essere umano, e solo dopo un ebreo; per un
ebreo, l’arabo è un arabo e solo dopo un essere umano. Nei nostri kibbutz solo pochi individui hanno
un atteggiamento umano verso i loro vicini arabi. Dobbiamo rimuovere la mentalità nazionalista dalle
nostre relazioni quotidiane e preoccuparci delle normali relazioni umane. Non dovremmo
comportarci da missionari o predicatori politici, ma cercare di costruire relazioni tra persone che
benché differenti l’una dall’altra sono sempre esseri umani178.
177
Bulitin (bollettino della federazione dei kibbutz di Hashomer Hatzair), 23 marzo 1947
178
ibidem
179
Joel Beinin, Was the Red Flag Flying There?, 1990
126
che sarebbe stato di appoggio al MAPAI nel governo provvisorio dello stato di Israele proclamato il 14
maggio 1948, e avrebbe fornito un gran numero di comandanti al nuovo esercito israeliano. Nelle prime
elezioni parlamentari israeliane, tenutesi nel gennaio 1949, il MAPAM risultò il secondo partito dopo il
MAPAI180.
LA NAKBA AD HAIFA
E’ tristemente ironico che il più sanguinoso episodio di violenza arabo-ebraica nel primo mese che
seguì la delibera di partizione all’ONU si svolse in un luogo dove non solo i lavoratori erano misti, ma vi
era anche una storia di cooperazione tra sindacalisti arabi ed ebrei. Questo fatto, uno dei primi massacri
del periodo 1947 – 49, contribuì fortemente a diffondere paura e odio reciproco tra arabi ed ebrei in
Palestina.
Il luogo in questione fu la raffineria di Haifa, che alla fine del 1947 impiegava circa 1700 operai
arabi e 270 ebrei, oltre a 190 impiegati ebrei, 110 arabi e 60 inglesi. I lavoratori della raffineria erano stati
coinvolti in importanti lotte negli anni 1946 – 47. In queste lotte i lavoratori e gli attivisti sindacali arabi
avevano avuto un ruolo primario, il che non deve sorprendere data la composizione della forza lavoro e il
suo alto grado di organizzazione. Ma le relazioni dei sindacalisti arabi con i lavoratori ebrei della
raffineria sembravano buone. Nell’estate 1947, ad esempio, i membri del comitato operaio ebraico furono
invitati ad assistere ad Acri al funerale di un operaio arabo della raffineria morto in un incidente sul
lavoro. Gli attivisti ebrei accettarono, e al cimitero uno di loro commemorò il defunto. La partecipazione
degli ebrei fece buona impressione sui lavoratori arabi della raffineria e di Acri in generale. I comitati
operai arabo ed ebraico collaborarono anche nell’organizzazione di un breve sciopero commemorativo
nel reparto del defunto, fecero insieme una colletta per i familiari, e insieme fecero pressioni sulla
direzione per un equo indennizzo181.
Per quanto vi fossero buoni rapporti essi sembrarono svanire durante la crisi, e dopo il voto
dell’Assemblea Generale dell’ONU i lavoratori ebrei alla raffineria cominciarono a temere per la loro
incolumità. All’indomani del voto la violenza esplose in varie parti del paese. Inizialmente assunse la
forma di attacchi casuali arabi contro gli ebrei e le loro proprietà e insediamenti, ma presto gli ebrei
risposero a loro volta. Ciò presto degenerò in una serie di atti di terrorismo reciproco, la prima fase di una
crescente guerra civile che avrebbe messo milizie arabe ed ebraiche le une contro le altre in una lotta
mortale per il controllo di strade e luoghi strategici, e di tutta la Palestina. Da parte ebraica il ruolo
principale nella lotta fu svolto dall’Haganah, la più ampia milizia dell’Yishuv, che era molto legata
all’Histadrut ed era sotto il controllo della leadership ufficiale dell’ebraismo in Palestina. Vi erano
tuttavia altre milizie che non accettavano l’autorità della leadership dell’Yishuv. La più importante di
queste (sebbene molto più piccola dell’Haganah) era l’Etzel, guidata da Menachem Begin e meglio
conosciuta negli Stati Uniti come Irgun. Fu l’Etzel (legata al partito revisionista, di destra, predecessore
dell’odierno Likud) a effettuare l’attentato dinamitardo al King David Hotel nel luglio 1946. E fu
un’azione pianificata ed eseguita da questa organizzazione che alla fine del 1947 provocò lo spargimento
di sangue alla raffineria di Haifa.
Il 29 dicembre 1947 l’Etzel aveva compiuto un attacco bomba alla porta di Nablus della Città
Vecchia di Gerusalemme, facendo 44 tra morti e feriti. Il mattino del giorno successivo, il 30 dicembre,
miliziani dell’Etzel lanciarono granate da una macchina in corsa contro una folla di alcune centinaia di
arabi che si trovavano all’ingresso principale della raffineria di Haifa nella speranza di trovare un impiego
a giornata; 6 persone furono uccise e 42 ferite. L’Etzel avrebbe in seguito annunciato che questi atti
terroristici a Gerusalemme e Haifa erano stati compiuti per vendicare recenti attacchi compiuti agli ebrei
in Palestina.
Poco dopo l’attacco bomba all’ingresso della raffineria, parte della folla di arabi fece irruzione nel
sito e insieme ad alcuni lavoratori arabi iniziò ad assalire i lavoratori ebrei. Passò un’ora prima dell’arrivo
dei soldati e poliziotti inglesi per sedare gli animi, durante la quale quasi cento ebrei furono uccisi o feriti.
Fu il più ampio massacro che la Palestina avesse visto dopo il voto dell’ONU, un mese prima. Una
commissione di inchiesta allestita dalla comunità ebraica di Haifa stabilì che il massacro degli ebrei non
era stato premeditato e che era stato provocato dall’attacco dell’Etzel ai lavoratori ai cancelli. L’Agenzia
180
ibidem
181
Bulitin, 18 agosto 1947
127
Ebraica, la leadership ufficiale dell’Yishuv, subito attaccò l’Etzel per l’ “atto di follia” che aveva portato
alla catastrofe della raffineria, ma nel contempo decise di comportarsi allo stesso modo autorizzando
segretamente l’Haganah a vendicarsi. Il giorno dopo la strage della raffineria la forza d’elite
dell’Haganah, il Palmach, attaccò il villaggio di Balad al-Sheik, non lontano da Haifa, dove abitavano
alcuni lavoratori arabi della raffineria, e Hawasa, il villaggio vicino. Gli assalitori ebrei uccisero circa 60
tra uomini, donne e bambini e distrussero dozzine di case. Il contrasto tra la posizione ufficiale
dell’Yishuv e la sua risposta concreta al massacro della raffineria fu chiaro a molti arabi182.
Quando la notizia dell’attacco bomba alla raffineria si diffuse, la tensione salì e i lavoratori arabi
più giovani e determinati smisero di lavorare, fermarono i macchinari e impugnarono qualsiasi arma
improvvisata capitasse loro tra le mani. Per un momento sembrò che il massacro della raffineria dovesse
ripetersi alle officine ferroviarie. Ma i sindacalisti arabi, inclusi vecchi attivisti della PAWS come Said
Qawwas e anche dell’AWC, intervennero prontamente per evitare violenze. Rischiando la propria
incolumità riuscirono a calmare i più facinorosi e a mantenere la calma finchè i lavoratori ebrei poterono
lasciare il lavoro e andarsene a casa. Un sindacalista ebreo delle officine dichiarò che “senza ombra di
dubbio fu grazie a quell’atto di coraggio se ciò che accadde ai lavoratori della raffineria non accadde
anche a noi quel giorno”183.
L’intervento dei sindacalisti arabi alle officine ferroviarie ricevette ben poca pubblicità. Non a
caso l’Yishuv si concentrò sul massacro degli ebrei alla raffineria, mentre la comunità araba preferì
soffermarsi sui precedenti attacchi-bomba per mano ebraica e sulla successiva rappresaglia dell’Haganah
che fece un numero di vittime arabe anche più elevato. L’idea di una solidarietà operaia arabo-ebraica e di
coesistenza pacifica che una volta era così diffusa tra la gente non sopravvisse alle atrocità e alla
reciproca deumanizzazione che attraversarono tutta la Palestina nei mesi successivi.
182
Walid Khalidi, All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948, 1992
183
Histadrut Archives. Probabilmente la dichiarazione fu di Efrayyim Krisher.
128