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Dai kibbutz alla Nakba

sionismo laburista,
movimento operaio
e pulizia etnica della Palestina
(1881 – 1948)
In copertina:
- manifesto propagandistico del MAPAI (dal 1968 Partito Laburista Israeliano), 1955
- attivisti dei kibbutz appartenenti al movimento Hashomer Hatzair
- Nakba palestinese del 1948
2
indice
nota introduttiva……………………………………………………………………………p.5

principali fonti citate………….…………………………………………………………..p.6

principali organizzazioni citate………………………………………………………….p.7

1. La fondazione del sionismo laburista…………………………………………p.9


La nascita del sionismo……………………………………………p.9
Il sionismo e l’idea coloniale……………………………………...p.10
Il primo sionismo e gli arabi palestinesi………………………….p.10
Il sionismo socialista e gli arabi palestinesi: Syrkin………………p.11
Borokhov e il borokhovismo……………………………………...p.12
Primi passi in Palestina……………………………………………p.15
La “conquista del lavoro”…………………………………………p.16
La lotta per il “lavoro ebraico”……………………………………p.17
Separatismo economico e formazione del proletariato……………p.17

2. Il sionismo laburista e la classe operaia araba (1920 – 29)…………………p.19


Sviluppi del sionismo laburista: Ben-Tzvi……………………….p.19
Nascita dell’Histadrut…………………………………………….p.22
“E’ chiaro che dobbiamo organizzarli, ma…”…………………...p.23
Le rivolte antisioniste del 1920 – 21……………………………..p.24
Ben-Gurion e la classe operaia araba…………………………….p.24
Affermazione della linea di Ben-Gurion…………………………p.27
La controversia con Poalei Zion Smol……………………………p.28
Le lotte a Nesher, 1924 – 25……………………………………..p.29
L’intervento sul proletariato arabo e la Quarta Aliyah………..…p.31
Lo sciopero dei falegnami e dei sarti…………………………….p.33
Hapoel Hatzair e il “buon esempio” dell’apartheid sudafricana…p.34
Dalla “missione storica” alla “non interferenza”………………...p.36

3. I ferrovieri in Palestina I (1919 – 25): lotta per l’unità arabo-ebraica…….p.39


I primi salariati delle ferrovie……………………………………p.40
Primi contatti tra ferrovieri arabi ed ebrei……………………….p.41
Ricerca dell’unità e sabotaggio sionista…………………………p.42
Lotta per l’unità e campagna anticomunista dell’Histadrut……..p.44
Apice dell’unità arabo-ebraica…………………………………..p.46
Motivazioni della scissione……………………………………...p.48
Nascita della PAWS…………………………………………….p.50

4. I ferrovieri in Palestina II (1925 – 39): cooperazione e conflitto……………p.52


Una classe operaia, due sindacati………………………………p.52
Rivalità e dialogo………………………………………………p.54
Competizione e cooperazione nei primi anni ’30………………p.55
Le agitazioni del 1935………………………………………….p.57
I ferrovieri durante la rivolta araba…………………………….p.58
Hashomer Hatzair e i ferrovieri………………………………..p.60

3
5. Il proletariato arabo nel mirino dell’Histadrut (1925 – 39)………………...p.62
Nascita del MAPAI e ripresa della “attività araba”……………...p.62
Gli scioperi degli autisti………………………………………….p.65
Crisi della “attività araba”……………………………………….p.68
I portuali di Haifa e la nascita della PLL………………………..p.69
Problemi del lavoro ebraico……………………………………..p.71
La PLL e la PAWS si contendono i salariati arabi………………p.73
I cavatori di Nesher……………………………………………..p.74
Difficoltà della PLL ad Haifa……………………………………p.76
Lavoratori arabi e lavoro ebraico nei moshavot…………………p.77
I portuali di Jaffa e i tessitori di Al-Majdan…………………….p.79
Organizzazione del lavoro e spionaggio sionista………………..p.80
Nascita dell’AWS e campagna contro l’Histadrut………………p.81
I portuali di Jaffa abbandonano la PLL…………………………p.82
L’affare “Even Vesid” e lo sciopero all’IPC…………………….p.82
La guerriglia di al-Qassam e atri prodromi della rivolta…………p.84

6. La Grande Rivolta Araba e il sionismo laburista (1936 – 39)…..……………p.86


Lo sciopero generale e il lavoro ebraico……………..……………..p.87
La PLL durante la rivolta…………………………………..……….p.89
La commissione Peel e il lavoro in Palestina……………………....p.92
“Il nocciolo della questione”…………….…………………………p.93
La soppressione della rivolta………………….……………………p.95
Ideologia della fratellanza e realtà della segregazione…………..….p.97

7. Movimento operaio e sinistra negli anni della guerra (1939 – 45)………….p.98


Gli anni della guerra: mutamento economico e politico……………p.98
I ferrovieri: dall’alienazione alla lotta comune……………………..p.100
L’Histadrut, Hashomer Hatzair e l’attività araba...............................p.101
La ripresa del movimento operaio arabo…………………………….p.103
Hashomer Hatzair verso la sinistra araba……………………………p.105
La rinascita della PLL………………………………………………..p.106
I campi militari, i lavoratori dei campi e la lotta tra i sindacati……...p.107
La scissione del PCP e la formazione della NLL……………………p.111
Sconfitta della PLL…………………………………………………..p.112
Lotte di classe e movimento operaio arabo…………………………..p.115

8. Verso la Catastrofe (1945 – 48)……………………………………..……… .p.117


Prospettive di cooperazione……………………………………….…p.117
Il settore petrolifero 1943 – 48………………....……………………p.119
Lo sciopero generale dell’aprile 1946…………………....………….p.121
Le basi militari inglesi 1945 – 48……………………………………p.122
La disintegrazione del movimento operaio arabo…………….……...p.123
L’ultimo servigio della PLL al sionismo…………………………….p.125
Hashomer Hatzair e la fine del sogno binazionale…………………...p.125
La Nakba ad Haifa…………………………………….……………..p.127

4
nota introduttiva

Il presente testo affronta un aspetto specifico fondamentale della storia del


sionismo: come questa ideologia si sia declinata nel movimento socialista della prima
metà del Novecento, al fine di cooptare strati di proletari ebrei, in larga parte
dell’Europa orientale, nel progetto di colonizzazione della Palestina.
La componente socialista (o laburista) del sionismo fu altrettanto importante
quanto la componente borghese-liberale, e anzi dall’inizio degli anni ’30 sotto la
guida di David Ben-Gurion (futuro primo premier di Israele) divenne la fazione
egemone nel movimento sionista mondiale. Si può dire che il sionismo, mentre nella
versione liberale originaria acquisì dalla borghesia ebraica il capitale, nella sua veste
laburista prelevò dalle masse ebraiche impoverite dell’Europa orientale gli uomini e
le braccia per l’insediamento in Palestina. La corrente laburista inoltre contese alla
corrente sionista di destra (o revisionista) l’organizzazione militare delle colonie.
La migrazione di centinaia di migliaia di proletari ebrei in Palestina suscitò nel
paese numerose lotte di classe unitarie con il nascente proletariato arabo, ma tra i
dirigenti sionisti laburisti prevalse sempre la linea che privilegiava la “conquista del
lavoro ebraico” e la segregazione nazionale, sabotando la lotta internazionalista per
convogliarla nella lotta per lo stato ebraico. L’epilogo tragico di questa parabola,
nella quale furono implicate anche le fazioni più progressiste della sinistra sionista,
compreso il movimento dei kibbutz, fu la pulizia etnica della Palestina del 1948.
La fonte principale del testo è il libro di Zackary Lochman Comrades and
Enemies: Arab and Jewish Workers in Palestine, 1906 – 1948 (1996).

marzo 2017

5
principali fonti citate

Bulitin, bollettino della federazione dei kibbutz di Hashomer Hatzair


Davar, quotidiano dell’Histadrut
Filastin giornale palestinese nazionalista
Haaretz, quotidiano sionista socialista, fondato nel 1919 e ancor oggi esistente
Haifa, giornale del Partito Comunista Palestinese
Haqiqat al-Amr, periodico della PLL
Al-Ittihad, giornale della NLL
Al-Karmil, giornale arabo di Haifa
Jewish Frontier, mensile del movimento sionista laburista
Kuntres, periodico di Ahdut Haavoda

Central Zionist Archives


Foreign Office papers (ministero degli esteri inglese)
Hashomer Hatzair Archives
Histadrut Archives
Labour Party Archives (archivi del partito laburista inglese)
MAPAI Archives
Trade Unions Congress Archives

Joel Beinin, Was the Red Flag Flying There?, 1990


Joel Beinin, Knowing your Enemy, Knowing your Ally: the Arabists of Hashomer Hatzair,
1991
Yitzhak Ben-Tzvi, Il movimento arabo, 1921
Edwin Black, The Transfer Agreement, 1984
Ian Black, Zionism and the Arabs 1936 – 39, 1986
Ber Borochov, La questione nazionale e la lotta di classe, 1905
Ber Bochorov, On the Question of Zionism and Territory, 1905
Ber Borochov, La nostra piattaforma, 1906
Musa al-Budayri, Development of the Arab Movement in Palestine, 1981
Paul Cotterell, The Railways of Palestine and Israel, 1984
Shmuel Dothan, Reds: The Communist Party in the Land of Israel, 1991
Bulus Farah, Min al-'uthmaniyya ila al-dawla al-'ibriyya, 1984
Ilan Greilsammer, Les Communistes Israéliens, 1978
David Hachoen, Time to Tell: an Israeli Life 1908 – 1984, 1985
David Horowitz, Rita Hinden, Economic Survey of Palestine, 1938
Simha Kaplan, Zionism and the Palestinians, 1979
Issa Khalaf, Politics in Palestine: Arab Factionalism and Social Disintegration, 1939-1948,
1991
Walid Khalidi, All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated in
1948, 1992
Walid Khalidi, From Haven to Conquest: Readings in Zionism and the Palestine Problem,
1987
Frederick Kish, Palestine Diary, 1938
Neville Mandel, The Arabs and Zionism before World War I, 1976
George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937
Ann Mosely Lesch, Arab politics in Palestine, 1917-1939, 1979
Mordechai Orenstein, Jews, Arabs and British in Palestine: A Left Socialist View, 1936
Yehoshua Porath, The Palestinian Arab National Movement, from Riots to Rebellion, 1977

6
Derek Penslar, Zionism and Technocracy: The Engineering of Jewish Settlement in Palestine,
1991
Yonathan Shapiro, The formative years of the Israeli Labour Party, 1919-30, 1976
Barbara Smith, The Roots of Separatism in Palestine: British Economic Policy, 1920-1929,
1993
Marie Syrkin, Nachman Syrkin, Socialist Zionist: A Biographical Memoir and Selected
Essays, 1960
Nachman Syrkin, La questione ebraica e lo stato socialista ebraico, 1898
Rachelle Taqqu, Arab Labor in Mandatory Palestine, 1920-1948, 1977
Shabtai Teveth, Ben-Gurion and the Palestinian Arabs: from Peace to War, 1985
Shabtai Teveth, Ben Gurion: The Burning Ground, 1886-1948, 1988

NB Per alcune citazioni da documenti ebraici ci si limita semplicemente a indicare “fonte


ebraica”. Per il dettaglio del documento consultare il testo in inglese del libro di Lockman,
reperibile su internet

principali organizzazioni citate

Agenzia Ebraica. Fondata nel 1929 dall’Organizzazione Sionista Mondiale, con un nome
appositamente scelto per coinvolgere tutti gli ebrei del mondo nel progetto di colonizzazione della
Palestina. Di fatto fu l’organismo dirigente della comunità ebraica in Palestina (Yishuv).

AHC. Arab Higher Committee (Alto Comitato Arabo). Organismo nazionalista arabo creato nel
1936 in occasione della Grande Rivolta e presieduto dal Mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini.

Ahdut Haavoda (Unità del Lavoro). Principale partito politico sionista laburista degli anni’20, nel
1930 fu il nucleo fondatore del MAPAI. Nel 1944 si riformò come scissione dal MAPAI e insieme ad
altri gruppi della sinistra sionista nel 1948 costituì il MAPAM.

AURW. Arab Union of Raiway Workers (Unione dei Ferrovieri Arabi). Sindacato arabo dei
ferrovieri.

AWC. Arab Workers’ Congress (Congresso dei Lavoratori Arabi). Creato nel 1944 come fronte
sindacale unitario dei lavoratori arabi.

AWS. Arab Workers’ Society (Società dei Lavoratori Arabi). Fondata nel 1934, sciolta nel 1936
dopo l’assassinio del suo segretario Michael Mitri.

Consiglio operaio di Haifa. Sezione territoriale dell’Histadrut nella città di Haifa.

FATULS. Federation of Arab Trade Unions and Labor Societies (Federazione dei Sindacati e
delle Società Operaie Arabe). Associazione sindacale araba creata ad Haifa nel 1942 da un gruppo di
comunisti fuoriusciti dalla PAWS, guidati da Bulus Farah.

Hapoel Hatzair (il Giovane Lavoratore). Partito politico sionista laburista degli anni ’20, nel 1930 si
fuse con Ahdut Haavoda creando il MAPAI.

Hashomer Hatzair (la Giovane Sentinella). Movimento giovanile sionista laburista, ispirato agli
scout inglesi di Baden Powell. Dal 1919 in avanti promosse la formazione di comunità agricole
ebraiche (kibbutz) in Palestina. Fino al 1947 sostenne la soluzione dello stato binazionale, ma quando
questa fu messa ai margini entrò nel primo governo israeliano.

7
Hibbat Zion (o Hovevei Zion, Amanti di Sion). La prima manifestazione politica organizzata del
sionismo, negli anni ’80 dell’Ottocento.

Histadrut. In ebraico “organizzazione”, la parola indica l’Organizzazione Generale dei Lavoratori


Ebrei della Terra di Israele. Fondata nel 1920, principale istituzione operaia del movimento sionista
in Palestina, dal 1930 controllata politicamente dal MAPAI.

IU. International Union of Railway, Postal and Telegraph Workers of Eretz Israel. Denominazione
assunta dal 1931 dal sindacato dei lavoratori di ferrovie, poste e telegrafi dopo il colpo di mano
sionista che escluse gli attivisti comunisti e arabi.

MAPAI. Acronimo ebraico di Partito dei Lavoratori della Terra di Israele. Partito politico sionista
laburista fondato nel 1930 dalla fusione di Ahdut Haavoda e Hapoel Hatzair e diretto da David Ben-
Gurion. Fu lo strumento principale dell’affermazione del sionismo laburista in Palestina e nel
movimento sionista mondiale.

MAPAM. Acronimo ebraico di Partito Unificato dei Lavoratori. Nato nel 1948 dalla fusione di
Ahdut Havoda, Hashomer Hatzair e Poalei Zion Smol, entrò nel primo governo israeliano.

NLL. National Liberation League (Lega per la Liberazione Nazionale). Fondata nel 1944 dai
comunisti arabi fuoriusciti dal PCP, anti-sionista. Distrutta dalla guerra del 1948.

NURPTW. National Union of Railway, Postal and Telegraph Workers, denominazione del
sindacato dei ferrovieri dal 1928 al 1931.

PAWS. Palestinian Arab Workers’ Society (Associazione dei Lavoratori Arabo Palestinesi).
Fondata nel 1925, principale sindacato arabo-palestinese.

PCP. Partito Comunista di Palestina. Formatosi nel 1921, dal 1924 aderente alla Terza
Internazionale. Composto da militanti arabi ed ebrei, antisionista fino al 1943 quando andò incontro a
una scissione su base etnica e la componente araba formò la NLL.

PLL. Palestine Labor League (Lega Palestinese del Lavoro). Organismo creato dall’Histadrut per
organizzare i lavoratori arabi sotto la propria tutela. Fu sempre diretta da ebrei.

Poalei Zion (Lavoratori di Sion). Principale organizzazione operaia sionista di inizio Novecento,
animata dalle teorie di Ber Borokhov.

Poalei Zion Smol (Lavoratori di Sion di Sinistra). Piccolo partito sionista socialista formatosi nel
1919 dalla divisione del SWP, che oltre a Poalei Zion Smol produsse il PCP.

RWA. (Jewish) Railway Workers’ Association. Prima denominazione dell’Associazione dei


Ferrovieri ebrei, fondata nel 1919.

Socialist League. Organizzazione di lavoratori urbani facente riferimento a Hashomer Hatzair.

SWP. Socialist Workers Party (Partito Socialista dei Lavoratori). Formatosi nel 1919 dalla
scissione dell’ala sinistra di Poalei Zion (l’ala destra costituì Ahdut Haavoda). A sua volta si divise nel
1921 in Poalei Zion Smol e PCP.

URPTW. Union of Railway, Postal and Telegraph Workers, denominazione del sindacato dei
ferrovieri dal 1922 al 1928.

Yishuv. In ebraico “insediamento”. Termine usato per indicare la popolazione ebraica in Palestina.

8
1

LA FONDAZIONE
DEL SIONISMO LABURISTA

LA NASCITA DEL SIONISMO


La prima manifestazione politica organizzata del sionismo fu il piccolo movimento Hibbat Zion,
(o Hovevei Zion, Amanti di Sion), che prese forma dopo l’ondata di pogrom del 1881 nell’Europa
orientale, come una rete di associazioni aventi lo scopo di promuovere l'immigrazione e l'insediamento in
Palestina, e la rinascita laggiù di una vita nazionale ebraica.
Tuttavia in questo primo periodo furono relativamente pochi gli ebrei che risposero a questa
chiamata. Il proto-sionismo di Hibbat Zion e poi il sionismo politico di Theodor Herzl rimasero a lungo
minoritari all'interno delle comunità ebraiche dell'Europa, e dell'Europa orientale in particolare. Dei circa
2,4 milioni di ebrei che lasciarono l'Europa orientale nel periodo compreso tra il 1881 e la Prima guerra
mondiale, circa l'85% andarono negli Stati Uniti, e un altro 12% in altri paesi dell'emisfero occidentale
(Canada e Argentina in particolare), in Europa occidentale, o in Sud Africa. Meno del 3%
dell'emigrazione ebraica andò in Palestina, e per molti la permanenza laggiù fu solo temporanea, prima di
ripartire verso ovest.
Nonostante le scarse risorse umane e materiali, il movimento degli Amanti di Sion riuscì a
stabilire un certo numero di insediamenti agricoli ebraici in Palestina, chiamati in ebraico moshavot
(“colonie” o “insediamenti” appunto). In pochi anni però molti moshavot finirono sull’orlo del fallimento
economico, e furono salvati dal barone Edmond de Rothschild, un ebreo francese assimilato che aveva
poco interesse al nazionalismo romantico di Hibbat Zion ma fu forse mosso a compassione dalle
9
condizioni delle masse ebraiche dell’Europa orientale. Rothschild e in seguito altri ebrei filantropi europei
assunsero il controllo di molti insediamenti e fornirono loro supporto finanziario e assitenza tecnica, oltre
a un’ampia dose di paternalismo.
Nel 1900 vi erano 22 moshavot con una popolazione totale di circa 5.000 abitanti. La maggior
parte era organizzata sul modello coloniale algerino, prediletto da Rothschild, con soprastanti ebrei
europei che assumevano i contadini arabi locali per badare a vigneti, agrumeti e campi. La grande
maggioranza degli ebrei che arrivarono in Palestina in questo periodo che fu poi chiamato Prima Aliyah
(1881 – 1903) preferivano abitare nei centri urbani, e non avevano né la visione di rinascita nazional-
culturale ebraica di Hibbat Zion, nè ancor meno l’idea di stato ebraico che Herzl e il movimento politico
sionista andavano delineando.

IL SIONISMO E L’IDEA COLONIALE


All’inizio del Novecento le analogie tra il sionismo e gli altri progetti di colonizzazione non erano
fonte di imbarazzo o vergogna per la maggior parte degli aderenti al movimento; anzi spesso le
consideravano un punto di forza. I leader sionisti studiarono e cercarono di trarre insegnamento dalle
imprese coloniali europee in luoghi come l’Algeria, la Rhodesia e il Kenya, e molti immaginavano la
propria missione come qualcosa di analogo. Per di più il movimento utilizzava puntualmente termini
quali “colonia”, “coloniale” e “colonizzazione” in riferimento alle proprie attività; così, per esempio, la
prima denominazione del braccio finanziario del sionismo fu Jewish Colonial Trust. Fu solo più tardi,
dopo la Prima guerra mondiale (e le rivoluzioni socialiste), che l’idea di colonialismo acquisì una
connotazione fortemente negativa per molti europei. Come conseguenza il movimento sionista cercò di
dissociarsi da altri progetti europei di colonizzazione e insediamento, iniziò a sottolineare l’unicità e il
carattere non coloniale della propria missione e smise di usare quei termini, almeno nelle lingue diverse
dall’ebraico1.

IL PRIMO SIONISMO E GLI ARABI PALESTINESI


Si può dire che il sionismo nella sua prima fase spesso veicolò una concezione della popolazione
araba della Palestina come caratterizzata dalla invisibilità. Dalla maggior parte dei primi scritti sionisti –
incluso Lo stato ebraico di Herzl, pubblicato nel 1896 – è difficile, se non impossibile, desumere che la
Palestina fosse all’epoca qualcosa di diverso da una landa vuota. Gli arabi semplicemente non erano
mezionati, come se non esistessero. E quando divenne fuori questione che invece il paese non era
realmente vuoto, gli arabi di Palestina vennero rappresentati come qualcosa di essenzialmente marginale
rispetto al destino di quel territorio.
La Palestina era considerata dal sionismo come terra ebraica per definizione: nessun altro popolo
vi poteva vantare una presenza storica o attuale altrettanto autentica. Mentre visitava il paese nel 1898,
Herzl definì i suoi abitanti non-ebrei come una “moltitudine mista”, un assortimento di differenti tipi
razziali ed etnici che ovviamente non potevano avere le caratteristiche di una nazione omogenea. Essendo
per lui una popolazione difficilmente visibile, per Herzl fu facile immaginare l’eventualità che si
spostasse altrove o che fosse subissata da una maggioranza ebraica. Nel suo diario Herzl propungava –
senza alcuna apparente remora morale – l’espropriazione della popolazione indigena contadina.
L’invisibilità o al massimo la marginalità degli arabi palestinesi è anche evidente nel romanzo
utopico di Herzl Altneuland (Antico Mondo Nuovo), pubblicato nel 1902. Ambientato in un ipotetico
1922, il romanzo rappresenta la Palestina come densamente popolata da ebrei, mentre i vecchi abitanti
arabi sono pressoché assenti dalla scena. Nel testo Herzl afferma che gli arabi hanno beneficiato del
sionismo, e che la prosperità economica li ha più che compensati per la trasformazione in una piccola
minoranza all’interno di una società prevalentemente ebraica.
Che la rappresentazione di Herzl non fosse frutto di ignoranza lo dimostra un episodio che ebbe
luogo nel 1899, un anno dopo la prima visita di Herzl in Palestina. Il rabbino capo di Francia inoltrò a
Herzl una lettera che aveva ricevuto da Yusuf al-Khalidi (1842 – 1906), un notabile di Gerusalemme che
era stato sindaco della città e membro del parlamento ottomano dal 1876 al 1878, e svolgeva vari
incarichi nell’amministrazione locale ottomana. Nella sua lettera al-Khalidi esprimeva simpatia per lo

1
Derek Penslar, Zionism and Technocracy: The Engineering of Jewish Settlement in Palestine, 1991

10
scopo dichiarato del sionismo, l’alleviamente delle sofferenze degli ebrei. Ma, aggiungeva, un
insediamento ebraico su vasta scala in Palestina poteva essere ottenuto solo con la forza e la violenza di
fronte alla strenua resistenza della popolazione locale, e implorava i sionisti di trovare un altro territorio
nel quale creare lo stato ebraico2.
Nella sua risposta Herzl affermò che gli ebrei avevano soltanto intenzioni pacifiche e sottolineò
che i proprietari terrieri arabi si sarebbero arricchiti in quanto l’immigrazione ebraica avrebbe fatto salire
il prezzo dei terreni. “Questo deve capire la popolazione indigena, che acquisirà degli ottimi vicini e il
sultano potrà contare su grandi opere che renderanno prospera questa provincia – provincia che è la
loro patria ancestrale”3. “Loro”, ovvero gli ebrei.
D’altra parte Herzl fu perfettamente in grado di comprendere le aspirazioni degli indigeni quando
queste riguardavano altri paesi che non fossero la Palestina. Per esempio fu colpito dai giovani e istruiti
egiziani che incontrò attraversando il Cairo nel 1902, definendoli le “future guide” del paese e
chiedendosi come mai i funzionari inglesi che controllavano l’Egitto non lo capissero: “Pensano che
avranno sempre a che fare con dei fellahin (contadini)”. In Palestina, invece, per Herzl non vi era un
intellighentsia araba né tantomeno dei contadini.
La rappresentazione della Palestina fornita da Herzl e dai suoi seguaci non fu completamente
sottoscritta da tutti. Asher Ginsberg (1856 – 1927), meglio conosciuto con lo pseudonimo di Ahad Haam
(in ebraico “uno del popolo”) era un noto saggista e il principale pubblicista di Hibbat Zion. Dopo aver
visitato la Palestina nel 1891, egli pubblicò un articolo caustico (provocatoriamente intitolato La verità da
Eretz Israel) in cui spiegava ai suoi lettori che la Palestina non era vuota e desolata ma densamente
abitata e coltivata dagli arabi, che non erano selvaggi ignoranti ma un popolo intelligente e creativo.
Mentre alcuni funzionari ottomani erano senza dubbio corrotti e incompetenti, i governanti dell’impero
erano dei patrioti che non avrebbero concesso la Palestina senza lottare. Ahad Haam arrivò ad accusare
alcuni coloni ebrei in Palestina di trattare gli arabi in modo ingiusto e crudele. Dopo un’altra visita nel
1911 avvertì i suoi lettori che tra molti arabi di Palestina stava emergendo una coscienza nazionale, il che
avrebbe reso l’immigrazione e colonizzazione ebraiche ancora più difficili.
Negli anni ’90 dell’Ottocento Ahad Haam criticò il modello di insediamento di Hibbat Zion, e
successivamente attaccò Herzl per la sua idea di uno stato sovrano che includesse tutti o quasi gli ebrei
del mondo, garantito dall’appoggio di una o più potenze europee. In alternativa Ahad Haam auspicava un
programma di immigrazione su piccola scala e graduale, per insediare in Palestina una piccola ma vivace
comunità che fungesse da “centro spirituale” per la rigenerazione della cultura nazionale ebraica nella
Diaspora.
Ma la nuova sintesi del sionismo che prese forma durante la Seconda Aliyah (1903 – 14)
tendenzialmente ignorò o rifiutò la posizione di Ahad Haam sugli arabi di Palestina, assorbendo invece
quella dominante che considerava questi ultimi un qualcosa di marginale o irrilevante. Questa visione fu
ulteriormente condizionata da due fattori: da un lato la necessità di conciliare il sionismo con i principi
universali del socialismo, che erano sempre più presenti nel mondo ebraico attraverso forze politiche
organizzate, e dall’altro le concrete condizioni incontrate dagli immigrati ebrei giunti in Palestina nel
decennio precedente la Prima guerra mondiale.

IL SIONISMO SOCIALISTA E GLI ARABI PALESTINESI: SYRKIN


Come tendenza specifica, il sionismo socialista fu quasi contemporaneo al sionismo liberale di
Herzl, sebbene potesse fare riferimento anche su alcuni precursori come Moses Hess (1812 – 75), sodale
di Karl Marx negli anni ‘40 e in seguito autore del saggio proto-sionista Roma e Gerusalemme (1862). Il
primo grande teorico del sionismo socialista, Nachman Syrkin (1868 – 1924), pubblicò il suo saggio La
questione ebraica e lo stato socialista ebraico nel 1898, solo un anno dopo il Primo Congresso sionista,
al quale fu delegato. Syrkin cercò di sintetizzare la sua concezione del socialismo (etica e utopica
piuttosto che marxista) con la sua forte adesione al sionismo, sostenendo in contrasto con i sionisti
borghesi come Herzl che solo le masse ebraiche proletarizzate potessero realizzare il sionismo (che

2
Neville Mandel, The Arabs and Zionism before World War I, 1976
3
Walid Khalidi, From Haven to Conquest: Readings in Zionism and the Palestine Problem until 1948, 1987

11
dunque doveva essere socialista nella sua essenza) e, in contrasto con i socialisti ebrei antisionisti, che
non vi sarebbe stata soluzione alla questione ebraica senza la costituzione di uno stato ebraico.
Syrkin non era sempre stato convinto che lo stato ebraico dovesse sorgere in Palestina: per alcuni
anni dopo il Settimo Congresso sionista (1905) abbandonò la WZO e fu a capo dell’ala socialista russa
del movimento territorialista, che considerava la Palestina come solo uno dei possibili luoghi per
l’insediamento ebraico. Dal 1909, tuttavia, egli rientrò nell’alveo della corrente pro-Palestina aderendo a
Poalei Zion (Lavoratori di Sion), la più forte tendenza socialista all’interno del movimento sionista. Più
tardi, dal 1930 in poi, Syrkin divenne una sorta di grande vecchio del sionismo laburista nella versione
non marxista, socialdemocratica incarnata dal MAPAI (Partito dei Lavoratori della Terra di Israele)4.
E’ degno di nota che Syrkin apparentemente non sentì la necessità di giustificare in termini di
principi socialisti l’aspirazione del sionismo per la Palestina o il probabile impatto del sionismo sulla
popolazione indigena palestinese. Infatti, nessuno dei suoi testi teorici o programmatici precedenti la
Prima guerra mondiale fa menzione implicita o esplicita degli arabi o di un “problema arabo”. Ne La
questione ebraica e lo stato socialista ebraico Syrkin propone che il sionismo acquisisca la Palestina dal
governo ottomano con una trattativa economica o diplomatica o mobilitando l’opinione pubblica
democratica e proletaria europea per spingere gli ottomani a concedere il paese agli ebrei. L’opzione
migliore per il sionismo, diceva Syrkin, era sostenere i popoli cristiani oppressi dell’impero ottomano –
egli cita i macedoni, gli armeni e i greci – nelle loro lotte indipendentiste. Dopo la vittoria ogni popolo
avrebbe avuto il suo stato negli ex territori ottomani ove esso costituiva la maggioranza, mentre nei
territori a popolazione mista avrebbe avuto luogo una spartizione e uno scambio pacifico di abitanti. Per il
loro ruolo nella lotta anti-ottomana gli ebrei avrebbero ricevuto la Palestina: “Erez Israel, che è
scarsamente abitata e nella quale oggi gli ebrei sono il 10% della popolazione, dovrebbe essere ceduta
agli ebrei”5.
La facilità con cui Syrkin sorvolava sul fatto che la Palestina avesse una consistente popolazione
araba e il suo non vedere alcunché di problematico nella trasformazione di una piccola minoranza ebraica
in uno stato e una società (pur socialisti) esclusivamente ebraici, apparentemente rimuovendo la
popolazione indigena, suggeriscono che nonostante le forti differenze con Herzl sul carattere sociale del
nuovo stato, egli condividesse l’idea sionista dominante degli arabi palestinesi come invisibili, o
marginali. Per Syrkin come per Herzl la popolazione indigena della Palestina era semplice oggetto di una
politica di potenza, da spostare altrove per soddisfare bisogni e aspirazioni degli europei, e non godeva
certo del diritto all’autodeterminazione nazionale al pari di quello che si presumeva possedessero gli
ebrei.

BOROKHOV E IL BOROKHOVISMO
Il lavoro dell’altro principale pensatore del primo sionismo socialista, Ber Borokhov (1881 –
1917) mostra una concezione più complessa ma non dissimile nella sostanza. Fu Borokhov a gettare le
basi teoriche per la sintesi tra marxismo e sionismo prodotta da Poalei Zion, il più grosso partito sionista-
socialista in Europa orientale e Palestina prima della Grande Guerra. Ne La questione nazionale e la lotta
di classe (1905) Borokhov cercò di elaborare una teoria marxista della nazione e del nazionalismo. Egli
aggiunse ai concetti marxisti di “rapporti di produzione” e “forze produttive” il suo concetto di
“condizioni di produzione”, che includeva il territorio nazionale e altri fattori. Cercò di dimostrare che il
raggiungimento da parte di un popolo oppresso di “normali” condizioni di produzione (ovvero un proprio
stato indipendente) fosse un pre-requisito, piuttosto che un ostacolo, per lo sviluppo della lotta di classe e
successivamente per la rivoluzione socialista.
Nel lavoro di Borokhov i suoi metodi e schemi erano intrisi di quel marxismo molto positivista,
economicista e meccanicista tipico dei partiti della Seconda Internazionale, con la loro fede nelle “leggi
ferree” e negli inesorabili processi storici operanti indipendentemente dall’azione o dalla volontà umane.
L’utilità del lavoro di Borokhov fu immediatamente chiara ai suoi discepoli: esso forniva uno schema
marxista all’apparenza rigoroso per risolvere la contraddizione (assai profonda per molti sionisti socialisti
est-europei) tra socialismo e sionismo, facendo del secondo un pre-requisito essenziale per la
realizzazione del primo, un obiettivo necessario e inaggirabile invece che una pericolosa deviazione.

4
Marie Syrkin, Nachman Syrkin, Socialist Zionist: A Biographical Memoir and Selected Essays, 1960
5
Nachman Syrkin, La questione ebraica e lo stato socialista ebraico, 1898
12
L’analisi di Borokhov aiutò i sionisti socialisti a respingere le critiche dei socialisti anti-sionisti, incluse
quasi tutte le fazioni dei socialdemocratici russi ma anche il Bund, il partito socialista ebraico
indipendente che aveva un forte seguito tra le masse ebraiche impoverite dell’Europa orientale. Sia i
socialdemocratici panrussi che i bundisti denunciarono il sionismo in tutte le sue forme come reazionario,
poiché chiamando gli ebrei a emigrare in Palestina esso distoglieva l’attenzione dei lavoratori ebrei dalla
lotta contro il capitalismo e l’antisemitismo nei paesi in cui essi vivevano, poiché implicitamente o
esplicitamente esso accettava l’assunto antisemita dell’impossibilità della convivenza alla pari tra ebrei e
non ebrei, e infine prometteva una soluzione illusoria e utopica ai reali problemi delle masse ebraiche.
Nel 1906 Borokhov pubblicò La nostra piattaforma, che applicava la sua analisi generale del
nazionalismo alla questione ebraica e forniva al giovane movimento di Poalei Zion una prospettiva
teorica definita e un programma politico. Nel pensiero di Borokhov, gli ebrei erano non assimilabili e
perciò perseguitati ovunque vivessero a causa della loro struttura sociale “anomala”: essi erano
concentrati soprattutto negli interstizi e ai margini della vita economica nazionale, nel piccolo commercio,
nelle piccole imprese dei servizi, nel prestito del denaro e simili, piuttosto che nell’agricoltura e
nell’industria di base. Incapaci di competere in società dominate economicamente da non-ebrei e
generando antisemitismo ovunque andassero, le masse ebraiche piccolo-borghesi alla fine sarebbero state
inesorabilmente costrette ad emigrare in Palestina, il solo territorio in cui potessero acquisire la
“normalità” economica diventando operai e contadini. Qui questo nuovo proletariato ebraico avrebbe
finalmente potuto sviluppare la lotta di classe e infine raggiungere una società socialista ebraica.
Ma perché era proprio la Palestina il territorio nel quale le masse ebraiche avrebbero
inevitabilmente dovuto stabilirsi e nel quale avrebbero ottenuto sia il socialismo che lo stato? Borokhov
diede un prezioso contributo al sionismo socialista fornendo una giustificazione apparente, formulata in
termini marxisti, della scelta della Palestina, diversa dalle giustificazioni emotive, religose o storiche
fornite da altri sionisti. La Palestina era unica per un aspetto cruciale: solo laggiù gli immigrati ebrei in
viaggio intorno al mondo in cerca del paradiso avrebbero potuto

non andare incontro a una resistenza organizzata e unitaria. In tutti gli altri paesi le restrizioni e i
divieti di ingresso legale sono un’espressione dei bisogni della popolazione locale, che non vuole
concorrenti stranieri. Di conseguenza nessuna democratizzazione del governo o delle relazioni
internazionali all’interno della società borghese può rimuovere queste restrizioni. Invece, i divieti di
ingresso in Eretz Israel nei confronti degli ebrei provenienti da Russia e Austria sono solo una
manifestazione degli arbitri del sultano, senza alcun legame con i reali bisogni della popolazione
stessa di Eretz Israel6.

Borokhov quindi sapeva che la Palestina non era disabitata. Ma come la maggior parte dei primi
sionisti egli era sicuro che i suoi abitanti non costituissero, né in futuro avrebbero costituito una comunità
definita e coesa che potesse opporsi all’immigrazione ebraica. Di fatto le sue analisi e previsioni erano
rese plausibili soltanto da questa assai opinabile premessa. Quella premessa era sua volta sostenuta dalla
concezione di Borokhov della popolazione palestinese. Sebbene un ignorante li potesse definire “arabi” o
“turchi”, egli scrisse, “Essi di fatto non hanno nulla in comune con gli arabi o i turchi, e il loro
atteggiamento verso entrambi è freddo e anche ostile”7. Egli sosteneva che

I nativi di Eretz Israel non hanno un carattere economico o culturale indipendente; essi sono divisi e
disgregati non solo dalla struttura territoriale del paese e dalla diversità delle religioni, ma anche per
le sue caratteristiche, una specie di ostello internazionale…I nativi di Eretz Israel non sono un’unica
nazione, né costituiranno un’unica nazione per lungo tempo. Essi si adattano molto facilmente e
rapidamente ad ogni modello culturale superiore al loro introdotto dall’estero; non sono in grado di
unirsi e organizzare atti di resistenza alle influenze esterne; sono inadatti alla competitività tra
nazioni, e la loro competitività ha un carattere individuale e anarchico.

6
B.Borochov, La nostra piattaforma, 1906
7
B.Bochorov, On the Question of Zionism and Territory, 1905
13
Prediceva Borokhov: “Saranno gli immigrati ebrei a sostenere lo sviluppo delle forze produttive
di Eretz Israel, e la popolazione locale di Eretz Israel sarà presto assimilata economicamente e
culturalmente agli ebrei”8.
Per sostenere le sue argomentazioni Borochov ricorreva anche alle classificazioni razziali in voga
all’epoca in Europa. “La popolazione locale di Eretz Israel” affermava “è più simile agli ebrei per
composizione razziale che ad ogni altro dei popoli “semitici”…In tutti i casi tutti i viaggiatori
confermano che a parte l’uso della lingua araba è impossibile distinguere in alcun modo un facchino
sefardita e un semplice lavoratore o contadino arabo”9. Borokhov doveva fidarsi dei resoconti dei
viaggiatori perché egli stesso non mise mai piede in Palestina.
Curiosamente, nonostante la scarsa comprensione della goegrafia, della cultura e della storia della
regione, Borokhov sapeva qualcosa della comparsa di un movimento nazionalista arabo. In una nota a piè
di pagina de La nostra piattaforma egli riconobbe che i nazionalisti arabi includevano la Palestina nei
loro progetti e che “i nostri nemici di Sion10 vedono gli arabi come una terribile minaccia al sionismo”.
Ma egli liquidò il nazionalismo arabo come irrilevante poiché era certo che pur condividendo la stessa
lingua e religione i contadini palestinesi non avessero nulla in comune con gli arabi.
La pre-condizione per un massiccio afflusso di immigrati ebrei in Palestina e il loro eventuale
assorbimento della popolazione indigena era, naturalmente, la rimozione delle restrizioni del governo
ottomano alla libertà di ingresso per gli ebrei. Ma come raggiungere ciò? Come Syrkin, Borochov
riteneva che i governi antisemiti dei paesi europei abitati dalle masse ebraiche avrebbero spinto il governo
ottomano a concedere la libertà di ingresso degli ebrei, per facilitare la loro emigrazione e quindi liberarsi
di tali elementi indesiderati. Nel lungo periodo, la lotta di classe del proletariato ebraico avrebbe
contribuito al rovesciamento di quei regimi reazionari, e i nuovi governi democratici, insediatisi con
l’aiuto degli ebrei, avrebbero ricompensato questi ultimi costringendo il sultano ottomano a dare loro
libero accesso in Palestina11.
I bisogni della popolazione palestinese indigena non rientravano nella visione presente o futura di
Borokhov. Di fatto il suo edificio teorico poggiava sulla negazione dell’esistenza di una società araba
coesa in Palestina, e sulla rappresentazione della popolazione indigena come nient’altro che una massa di
contadini arretrati, eterogenei e senza radici. In questo senso il teorico socialista-sionista fu davvero un
uomo del suo tempo. Sicuramente vi era all’epoca molto dibattito nel movimento socialdemocratico
europeo sulle relazioni tra l’internazionalismo proletario e i diritti nazionali dei popoli oppressi (inclusi
gli ebrei) entro gli imperi multietnici d’Europa, specialmente la Russia zarista e l’Austria-Ungheria degli
Asburgo. I socialdemocratici europei erano anche impegnati a mitigare gli aspetti più feroci del
colonialismo europeo e a renderlo più benigno, contrastando il militarismo e lo sciovinismo che essi ben
conoscevano e che le forze reazionarie in Europa impiegavano contro lo stesso movimento
socialdemocratico. Prima della Prima guerra mondiale, ben pochi socialisti rifiutavano in toto il
colonialismo o criticavano i suoi assunti di fondo, e molti condividevano con i loro nemici di classe la
ferma convinzione della superiorità della civiltà europea e il conseguente diritto (se non dovere) degli
europei di governare sui popoli meno avanzati. Il principio dell’autodeterminazione nazionale, che molti
socialisti europei erano pronti ad accettare riguardo ai popoli europei, non era applicato per i popoli non-
europei, che erano visti più o meno come bambini bisognosi della benevola tutela occidentale. Si riteneva
che i futuri governi socialisti in Europa avrebbero di certo esercitato una tutela più benigna di quella dei
regimi borghesi, e non avrebbero esercitato un dominio coloniale tale da suscitare l’irredentismo
nazionale. Ma il diritto degli europei di condividere o imporre ai non-europei il proprio superiore
modello, incluso il socialismo, era dato largamente per scontato.
Sia Syrkin che Borokhov ritenevano che la Palestina alla fine sarebbe stata assegnata agli ebrei dai
governi europei, reazionari, antisemiti, democratici o socialisti che fossero. I bisogni della popolazione
indigena semplicemente erano qualcosa di cui neanche i sionisti socialisti dovevano tener conto. Mentre
Syrikin s’immaginava l’emigrazione di quella popolazione per far posto agli ebrei, Borokhov
semplicemente pensava che gli abitanti arabi della Palestina sarebbero scomparsi attraverso
l’assimilazione agli ebrei economicamente e culturalmente più avanzati. Nelle previsioni di Borokhov
8
B.Borochov, La nostra piattaforma, 1906
9
B.Bochorov, On the Question of Zionism and Territory, 1905
10
Per “nemici di Sion” Borokhov intende i socialisti antisionisti o i sionisti territorialisti.
11
B.Borochov, La nostra piattaforma, 1906
14
vediamo la sintesi di concezioni sui popoli non-europei che erano al centro del pensiero colonialista, e
una versione del marxismo assai simile al più crudo determinismo economico.
Negli anni che seguirono la pubblicazione dei suoi principali lavori teorici e programmatici,
Borokhov avrebbe soltanto accennato alla popolazione indigena della Palestina. Nei suoi ultimi scritti egli
occasionalmente usò il termine “arabi”, ma non abbandonò mai l’idea che non questi ultimi costituissero
un’entità nazionale distinta, e che non avessero alcun diritto sulla Palestina. Nonostante alcune
espressioni di riconoscimento per la resistenza ottomana all’invasione straniera nei primi anni della Prima
guerra mondiale, egli e il suo movimento ricollegarono sempre all’antisemitismo ogni opposizione araba
e ottomana al sionismo. Così nell’estate 1911 il terzo congresso mondiale dei Lavoratori di Sion, che
riuniva partiti socialisti-sionisti di vari paesi, nella risoluzione finale affermò nell’estate 1911 che “vi sono
state recentemente alcune manifestazioni di antisemitismo tra alcuni segmenti della comunità araba di
Eretz Israel e anche in alcuni elementi della società turca, manifestazioni che causano conflitti e scontri e
creano ostacoli politico-legali all’immigrazione e insediamento degli ebrei in Palestina”.
In questa risoluzione vi sono anche altri elementi centrali per la concezione sionista-laburista della
Palestina e dei suoi abitanti. In primo luogo, proclamando il supporto di Poalei Zion all’integrità
territoriale dell’impero ottomano e la sua solidarietà con le forze progressiste e democratiche di
quell’impero, essa dichiarava anche che “le nostre aspirazioni viaggiano di pari passo con lo sviluppo
delle forze produttive in Eretz Israel e con gli interessi della democrazia ottomana”. Questa formulazione
rispecchia l’autorappresentazione del borokhovismo come applicazione fedele della necessità storica,
un’immagine legata alla sua intepretazione meccanicistica del marxismo. Con lo sviluppo delle forze
produttive il proletariato ebraico sarebbe cresciuto in ampiezza e forza, incrementando la propria lotta di
classe che avrebbe contribuito anche a quella per la democrazia ottomana. Di qui il carattere benefico e
necessario del sionismo borokhoviano. In questa concezione vi era ben poco spazio per le aspirazioni
della popolazione arabo-palestinese, che come abbiamo visto era stata definita più o meno inesistente.
La risoluzione del 1911 conteneva anche quella che sarebbe divenuta la principale giustificazione
addotta per difendere il sionismo laburista dalla critica che i diritti nazionali della maggioranza indigena
erano violati. L’argomento consisteva nel fatto che il paese dovesse appartenere a coloro che lo avevano
reso produttivo. Gli immigrati ebrei si erano insediati quando la Palestina era un luogo sterile, tramite il
loro appassionato lavoro l’avevano resa fertile e produttiva, e questo atto di redenzione quasi sacro aveva
loro conferito i diritti sul paese. Implicita in questa rappresentazione vi era un’accusa verso gli arabi,
dipinti come se avessero abbandonato, ignorato e rovinato quel luogo, e dunque non ne avessero diritto.
Un’altra parte di questa risoluzione mostra un altro tema di grande rilevanza nella concezione
sionista laburista delle relazioni con gli arabi palestinesi, in particolare con i proletari. Da un lato essa
dipingeva l’opposizione araba al sionismo come puro e semplice antisemitismo, paragonando
implicitamente i contadini palestinesi ai pogromisti russi o ucraini, esaltati dall’alcool, che gli ebrei
dell’Europa orientale ben conoscevano. Dall’altro lato la risoluzione invitava alla riconciliazione e alla
comprensione reciproca con “gli elementi popolari tra gli abitanti arabi di Eretz Israel”. Come vedremo,
con questa formulazione si marcava la distinzione tra “elementi popolari” potenzialmente amichevoli
della popolazione araba e altri presumibilmente ostili. La distinzione sionista laburista tra masse operaie
arabe benevole (se arretrate) e un’elìte pericolosa (perché nazionalista e antisionista) avrebbe rafforzato
non solo la convinzione di un’oggettiva propensione al sionismo dei lavoratori arabi ma anche un
duraturo rifiuto dell’autenticità, della legittimità e del radicamento di massa del nazionalismo arabo-
palestinese.

PRIMI PASSI IN PALESTINA


Non è sorprendente il fatto che dei leader teorici sionisti che non avevano mai messo piede in
Palestina, come Borokhov, o vi avevano fatto solo brevi visite, come Herzl, sviluppassero certi giudizi sul
paese e i suoi nativi arabi. Costoro erano preoccupati innanzitutto per la situazione degli ebrei in Europa e
avevano poco tempo per considerare quella della Palestina. Tuttavia i resoconti sul nascente movimento
operaio ebraico di laggiù rendono impossibile sostenere l’argomentazione che queste percezioni fossero
frutto della lontananza o dell’ignoranza.
Per un certo periodo, i compagni e i seguaci di Borokhov che si recavano in Palestina durante la
Seconda Aliyah rimasero legati alla visione dei palestinesi propugnata dal loro mentore. Nel 1906 un
gruppo di attivisti della neonata sezione palestinese di Poalei Zion, denominatasi ufficialmente “Partito
15
Operaio Socialdemocratico Ebraico nella Terra d’Israele”, si incontrò nella città araba di Ramle per
redigere il programma del partito. Quel programma si apriva con una parafrasi borokhovista delle prime
righe del Manifesto Comunista: “Tutta la storia umana è storia di lotte nazionali e di classe”. L’unico
riferimento alla popolazione indigena appariva nel quadro di una ripetizione dell’ortodossia borokhovista:
poiché lo sviluppo capitalistico in Palestina richiedeva “lavoratori istruiti e forti, e poiché il lavoratore
indigeno è a un livello più basso, lo sviluppo capitalistico della Palestina dipende dall’immigrazione
dall’estero di lavoratori di livello più alto” – ovvero gli ebrei.
Ciò non vuol dire che la questione non fosse dibattuta. Nel 1906 a un meeting di Poalei Zion a
Jaffa alcuni membri del partito chiesero ai dirigenti di cominciare a organizzare i lavoratori arabi. Un
partecipante riportò che nella discussione “si sfiorò la scissione, che fu evitata solo dalla proposta della
maggioranza di rinviare il tentativo come partito di organizzare gli arabi, ma di permettere ai singoli
militanti di prendere iniziative”12. Pochi mesi dopo, al secondo congresso del partito, alcuni delegati
chiesero che fosse istituita un’organizzazione arabo-ebraica, ma la proposta non ebbe seguito.
Come conseguenza della rivoluzione costituzionale del 1908 (detta dei “Giovani Turchi”),
l’intensificazione del conflitto arabo-ebraico in Palestina e l’emergere di un movimento autonomista
arabo entro l’impero ottomano spinsero l’Yishuv e il movimento sionista a prestare più attenzione alle
relazioni con gli arabi di Palestina. Le proteste arabe erano segno di una potenziale, seria minaccia al
progetto sionista; di qui i moniti di Ahad Haam dopo la sua visita nel 1911. Tuttavia in questa fase la
questione non modificò sostanzialmente l’agenda del movimento sionista.

LA “CONQUISTA DEL LAVORO”


Le sintesi di sionismo e socialismo elaborate da Syrkin, Borokhov e altri nei primi anni del
Novecento furono presto messe alla prova. La maggioranza degli ebrei che arrivarono in Palestina durante
la Seconda Aliyah si stabilirono nei centri urbani (inclusa la nuova città esclusivamente ebraica di Tel
Aviv, fondata nel 1909 nelle vicinanze di Jaffa), ma questa nuova ondata di immigrati includeva alcune
migliaia di giovani della piccola borghesia che si consideravano l’avanguardia della trasformazione
sociale del popolo ebraico. Alcuni, aderenti a Poalei Zion, volevano applicare la concezione
borokhoviana trasformandosi in lavoratori salariati agricoli o industriali, andando a costituire un
proletariato ebraico. Altri facevano riferimento a un altro partito sionista di sinistra, Hapoel Hatzair (Il
Giovane Lavoratore), che rifiutava l’idea della lotta di classe ma, ispirato da concezioni tolstojane,
individuava nel lavoro manuale, nell’autodisciplina e nell’insediamento i mezzi per una sorta di
“redenzione”. Entrambi condividevano l’obiettivo del radicamento in Palestina di un’ampia e consolidata
classe di contadini e operai ebrei.
In quest’ottica il termine “conquista del lavoro” da un punto di vista individuale può essere inteso
come la lotta per superare la propria condizione borghese o piccolo borghese e la propria mancanza di
esperienza, trasformandosi con il lavoro manuale in un autentico proletario ebreo. In senso più collettivo
il termine denota l’idea del sionismo che gli ebrei in Palestina dovessero dedicarsi a quei lavori
(specialmente in agricoltura) che pochi svolgevano nella Diaspora e che soli potevano permettere al
popolo ebraico di riappropriarsi della sua terra ancestrale. Come vedremo, il termine assumerà poi un
terzo significato più rivolto nei confronti degli arabi.
Divenne subito chiaro, comunque, che questo processo non sarebbe stato né rapido né semplice.
Né il capitale ebraico né quello non ebraico riuscirono subito ad affermarsi in Palestina, che era un paese
povero e poco sviluppato, con prospettive economiche apparentemente limitate. Il “capitale nazionale”
raccolto a livello mondiale dalle istituzioni fondiarie e finanziarie dell’Organizzazione Sionista all’inizio
non bastava a provvedere all’insediamento su larga scala di nuovi immigrati. E per il lavoro nei moshavot
(le piantagioni e fattorie di proprietà ebraica), al quale i nuovi arrivati aspiravano in particolare, presto si
manifestò la concorrenza da parte di un’abbondante manodopera araba, che essendo a buon mercato era
preferita dai proprietari. Gli immigrati ebrei non potevano accontentarsi dei salari pagati agli arabi, erano
inadatti al duro lavoro fisico e troppo inclini al parlare di rivoluzione e socialismo per i gusti dei loro
padroni. Essi si trovarono di fronte a prospettive di insediamento piuttosto ridotte, sia nei terreni di
proprietà del movimento sionista che nei terreni dei proprietari ebrei privati. Fu così che molti degli

12
Le citazioni provengono dalle opere complete di Borokhov in ebraico.
16
immigrati della Seconda Aliyah presto lasciarono la Palestina, o rientrando in Europa o (più spesso)
proseguendo il viaggio verso un’altra più ricca e attraente “terra promessa”: gli Stati Uniti d’America.

LA LOTTA PER IL “LAVORO EBRAICO”


Fu in questo contesto che il processo di “conquista del lavoro” fu trasformato da lotta per la
proletarizzazione individuale e collettiva a campagna per sostituire con lavoratori ebrei i lavoratori arabi
che erano impiegati nei settori a capitale ebraico dell’economia palestinese. Di qui la dottrina del “lavoro
ebraico”, che nel decennio precedente la Prima guerra mondiale occupò un posto centrale nella teoria e
pratica del progetto sionista.
Per gli aderenti ad Hapoel Hatzair l’adozione della strategia del lavoro ebraico fu relativamente
facile, poiché non consideravano i principi dell’internazionalismo proletario e insistevano che la priorità
andasse comunque agli ebrei e al sionismo. Per loro il disinteresse per quelli che potevano essere i bisogni
o le opinioni dei goyim (non ebrei) era considerato un segno della rottura del sionismo laburista con la
“mentalità del galuth (esilio)”, servile e ossequiosa.
Per i membri e i simpatizzanti di Poalei Zion la questione comportava più difficoltà. Come potevano dei
socialisti acconsentire a una lotta per privare dei loro compagni del sostentamento solo perché si trattava
di arabi e non di ebrei? Non era proprio questa la discriminazione che gli stessi ebrei avevano subito nella
Diaspora?
Fu Yitzhak Ben-Tzvi (1884 – 1963) a formulare con più sottigliezza le argomentazioni che
permettessero a Poalei Zion di adottare una linea che inizialmente aveva denunciato come scorretta.
Amico d’infanzia e precoce discepolo di Borokhov, Ben-Tzvi era arrivato in Palestina nel 1907 con già
alle spalle alcuni anni di lavoro legale e illegale per Poalei Zion in Russia, e nella “terra promessa”
divenne presto uno dei leader del nascente movimento operaio ebraico.
In un saggio in due parti pubblicato nel 1912, Ben-Tzvi cercò di risolvere i problemi sui quali i
suoi compagni si arrovellavano dimostrando che in certe condizioni storiche gli interessi nazionali
avevano la precedenza sulla solidarietà di classe. A quell’epoca, sosteneva, i lavoratori ebrei coscienti e
organizzati avevano il diritto di chiedere che il lavoro arabo, sottopagato e disorganizzato, fosse escluso
dai moshavot e più in generale dal settore ebraico dell’economia palestinese. Solo dopo, quando lo
sviluppo capitalistico avesse creato opportunità di impiego per tutti, vi sarebbe stata la base materiale per
la solidarietà tra lavoratori arabi ed ebrei.
Diversi membri di Poalei Zion inizialmente non furono convinti da queste argomentazioni. Al
secondo congresso del partito, un delegato propose che “invece dello slogan della conquista del lavoro
attraverso la dismissione dei lavoratori arabi, l’obiettivo del lavoratore ebreo è di organizzare il
lavoratore arabo e di ridurre l’influenza (dei padroni arabi) nei suoi confronti”13. Non fu adottata nessuna
linea ufficiale, ma pare che nel 1907 alcuni membri di Poalei Zion di loro iniziativa organizzarono uno
sciopero dei lavoratori arabi impiegati nelle piantagioni di agrumi del moshava di Petah Tikva.
L’agitazione fu repressa dalla polizia ottomana, che arrestò e malmenò gli scioperanti, mentre i
proprietari ebrei minacciavano di importare forza lavoro dall’Egitto. Tuttavia col passare del tempo e con
l’incremento della disoccupazione i dubbi e gli scrupoli passarono e la linea del lavoro ebraico fu
apertamente accettata. L’opposizione all’interno del partito fu tacitata, anche se come vedremo trovò in
seguito espressione in altri segmenti del movimento operaio ebraico.

SEPARATISMO ECONOMICO E FORMAZIONE DEL PROLETARIATO


Vari mezzi furono usati per indurre i proprietari ebrei, specialmente terrieri, a mettere l’interesse
“nazionale” (ovvero sionista) al di sopra dei loro interessi di classe escludendo la forza lavoro araba, più
economica, per assumere la più costosa forza lavoro ebraica. Tuttavia il successo inizialmente fu limitato.
L’economia dell’Yishuv era ancora debole e gli investimenti di capitale privato troppo scarsi per dare un
“lavoro ebraico” al gran numero di immigrati necessari alla realizzazione del progetto sionista. La
leadership sionista mondiale all’inizio non vedeva di buon occhio il sionismo socialista e l’idea di
quest’ultimo che il movimento operaio fosse l’avanguardia del movimento sionista. Ma alla fine divenne
sempre più evidente che era il sionismo socialista che portava immigrati in Palestina, li collocava e li
rendeva utili allo sviluppo dell’Yishuv. Da parte sua il movimento sionista laburista, sebbene inizialmente

13
Fonte ebraica.
17
intendesse costruire una Palestina socialista con le sue sole forze, fu spinto dalle circostanze a cercare
l’appoggio della borghesia sionista per realizzare l’obiettivo di creare una classe operaia ebraica nella
“terra promessa”. Il sociologo Michael Shalev ha descritto questa relazione come “un’alleanza di fatto tra
un movimento coloniale senza coloni e un movimento operaio senza operai”14.
Fu soltanto dopo la Prima guerra mondiale che il movimento sionista laburista – unificato dal
1920 nella Organizzazione generale dei Lavoratori Ebrei della Terra d’Israele (meglio nota come
Histadrut, “organizzazione” in ebraico) – fu in grado di creare un suo sviluppo economico autonomo, con
l’aiuto e i fondi del movimento sionista. Questo nuovo sviluppo inzialmente fu lento, ma alla fine
l’Histadrut stessa divenne una delle più grandi aziende dell’Yishuv (e poi di Israele), fornendo numerosi
servizi sociali e culturali e molti nuovi posti di lavoro. Alle imprese urbane controllate dall’Histadrut si
aggiunsero nuove forme di insediamento agricolo, massicciamente sostenute dalle istituzioni del
movimento sionista: si trattava del kibbutz, una fattoria collettiva i cui primi esempi risalgono a prima
della Prima guerra mondiale, e del villaggio cooperativo di piccoli proprietari, il primo dei quali fu creato
nel 1920. Questi nuovi tipi di insediamento, garantendo un maggiore assorbimento di immigrati e un
migliore uso del loro lavoro, sembravano superare i problemi del moshava di più grandi dimensioni che
aveva caratterizzato la Prima Aliyah.
La creazione di un settore economico separato e di livello superiore, insieme all’enfasi sulla lotta
per il lavoro ebraico, portarono all’abbandono del borokhovismo ortodosso e alla comparsa di una nuova
dottrina talvolta indicata con il termine “costruttivismo”. Questo nuovo sviluppo teorico poneva la classe
operaia ebraica in Palestina nel ruolo di soggetto storico deputato alla realizzazione del progetto sionista.
Si passò dunque dall’idea della lotta di classe in un’economia dominata dai capitalisti ebrei all’obiettivo
di costruire in Palestina un’economia ebraica autonoma, fondata sul lavoro e con il supporto di elementi
non proletari del movimento sionista e anche di capitalisti. Questo obiettivo richiedeva la mobilitazione
delle energie della classe operaia attraverso un apparato molto centralizzato e burocratico, incessanti
appelli al sacrificio e al duro lavoro, e l’insistenza sulla costruzione della nazione. La dedizione dei
lavoratori ebrei verso la propria nazione veniva ora indicata come il fattore decisivo nella lotta per la
realizzazione del sionismo.
Facendo leva sul controllo di un ampio insieme di istituzioni politiche, economiche, sociali e
culturali che coinvolgevano una larga parte della popolazione dell’Yishuv, il sionismo laburista riuscì
infine ad assumere una posizione egemone entro il movimento sionista, sancita dalla nomina nel 1935 di
David Ben-Gurion a capo dell’esecutivo dell’Agenzia Ebraica, l’effettivo organo di direzione politica
dell’Yishuv.
Un altro evento significativo per il sionismo in questo periodo fu l’impegno del governo inglese,
attraverso la Dichiarazione Balfour del novembre 1917, a sostenere il progetto di creazione di una “casa
nazionale” ebraica in Palestina. Il governo inglese in questo modo intendeva assicurarsi l’appoggio alla
causa alleata da parte degli ebrei in Russia e negli Stati Uniti, e pianificare un nuovo Medio Oriente post-
bellico. Il sionismo dal canto suo aveva finalmente acquisito quel grande alleato che cercava sin dai tempi
di Herzl. Dopo la guerra, la Gran Bretagna creò in Palestina un’entità distinta, insediò un proprio governo
(sottoforma di “mandato” della Società delle Nazioni) e facilitò in vari modi il progetto sionista.
L’alleanza anglo-sionista non fu priva di tensioni, e iniziò a rompersi appena prima dell’inizio
della Seconda guerra mondiale, quando gli interessi delle due parti andarono in direzioni opposte.
Ciononostante è chiaro che il governo coloniale inglese in Palestina, di fronte alla crescente opposizione
nazionalista arabo-palestinese al sionismo, aprì la strada all’immigrazione ebraica e allo sviluppo
dell’Yishuv in una maniera che sarebbe stata inimmaginabile con la prosecuzione del governo ottomano o
la creazione di un governo arabo indipendente. Il successo della strategia sionista laburista sarebbe stato
impossibile senza l’aiuto di un governo coloniale amico che contenne la maggioranza indigena (che nel
1947 ammontava ancora a due terzi della popolazione totale del paese) fino a che l’Yishuv non fu in
grado di “cavarsela da solo”.

14
Gershon Shafir, Land, Labor and the Origins of the Israeli-Palestinian Conflict, 1882-1914, 1989

18
2

IL SIONISMO LABURISTA
E LA CLASSE OPERAIA ARABA
(1920 – 1929)

Tel Aviv 1920

Sebbene il periodo della Seconda Aliyah (1903 – 14) avesse visto alcuni episodi di conflitto
arabo-ebraico, allora era ancora possibile per molti sionisti ignorare la questione delle relazioni tra arabi
ed ebrei in Palestina, o considerarla un tema di marginale importanza. Pochi anni dopo tale atteggiamento
divenne pressoché impossibile. La conquista della Palestina da parte inglese durante la Prima guerra
mondiale, la crescita sotto la leadership hashemita di un movimento nazionalista arabo il cui obiettivo era
la creazione di uno stato arabo indipendente che includesse la Palestina, la Dichiarazione Balfour del
novembre 1917, l’istituzione del Mandato inglese, l’evidente sviluppo in Palestina di un’opposizione
nazionalista araba organizzata al sionismo e al governo inglese – tutti questi elementi obbligarono il
movimento sionista laburista durante la Terza Aliyah (1918 – 23) ad affrontare la questione araba molto
più seriamente e direttamente. L’urgenza del tema divenne ancor più chiara dopo lo scoppio di violenze
arabe contro gli ebrei a Gerusalemme (1920) e Jaffa (1921).
Durante i primi anni del Mandato furono compiuti numerosi tentativi di venire a capo dei dilemmi
teorici e pratici che l’autodeterminazione araba poneva al sionismo di sinistra. Questi tentativi
includevano elementi della concezione sionista-socialista prebellica sviluppandoli in uno schema più
coerente e sistematico, anche rispetto alle esigenze politiche immediate. Uno dei più seri e autorevoli di
tali tentativi fu il saggio del 1921 intitolato Il movimento arabo, di Yitzhak Ben-Tzvi. Questo saggio
contiene molti degli elementi costitutivi della concezione sionista-laburista sugli arabi nei decenni a
venire, e perciò merita un’attenta lettura.

SVILUPPI DEL SIONISMO LABURISTA: BEN TZVI


Già dirigente di prestigio del partito socialista Poalei Zion prima della guerra, nel 1919 Yitzhak
Ben-Tzvi fu uno dei fondatori di una nuova forza politica, Ahdut Havoda (Unità del Lavoro). Subito dopo
la guerra il movimento internazionale dei Lavoratori di Sion e le sue sezioni in Palestina si divisero sulla
questione dell’adesione all’Internazionale Comunista o all’Organizzazione Sionista. Ahdut Havoda era la
sezione palestinese dell’ala destra di Poalei Zion, e rifutò l’adesione al Comintern preferendo continuare
19
la collaborazione coi sionisti borghesi della WZO. Negli anni ’20 e oltre Ben-Tzvi svolse un ruolo
centrale nel riciclare la sintesi borokhovista tra sionismo e marxismo nell’ideologia socialdemocratica alla
base del MAPAI, il partito formato all’inizio del 1930 da Ahdut Havoda insieme ad Hapoel Hatzair, suo
rivale minore all’interno del movimento sionista laburista. Ben-Tzvi fu anche, sin dalla fondazione nel
1920, “capogruppo” sionista laburista nel Vaad Leumi (“Comitato Nazionale”), l’organo esecutivo
dell’assemblea elettiva dell’Yishuv. Era inoltre un prolifico giornalista e un rispettato studioso. La sua
esperienza nel movimento sionista laburista e la sua conoscenza della lingua araba, fatto raro tra i sionisti
anche in Palestina, diede al suo saggio del 1921 sulla questione araba un peso rilevante.
Ben-Tzvi iniziava il suo saggio ammettendo che solo pochi anni prima l’oggetto della discussione
era stato “nascosto”, mentre ora la stampa ebraica in Palestina e all’estero era piena di storie sensazionali
su di esso e ognuno ne discuteva.

E se si giudica da questi resoconti sembra che vi sia un forte movimento arabo in Palestina rivolto
contro di noi. E paragonandolo ad altri movimenti nazionali a noi noti presso altri popoli e paesi,
sorgerà facilmente l’illusoria impressione che questo movimento arabo poggi su una solida base
popolare, che sia nell’interesse delle masse proletarie arabe e che dunque possegga il carattere di un
movimento per la liberazione e il progresso dell’uomo. E non solo, ma abbiamo già ebrei di
“orientamento arabo”, così come ne abbiamo troppi con orientamenti polacchi, ucraini, russi etc.
Costoro diffamano il movimento di liberazione nazionale ebraico, e il sionismo in genere, con la falsa
accusa che esso esiste solo come agente dell’imperialismo europeo per soffocare il movimento di
liberazione del popolo arabo, e che il suo scopo è sfruttare e schiavizzare le masse proletarie arabe15.

Era necessario a questo punto dimostrare esplicitamente che non vi era contraddizione tra il
sionismo e gli interessi obiettivi della popolazione indigena della Palestina. Uno o due decenni prima la
questione aveva avuto un peso minore nella teoria e nella pratica sionista socialista; ora assumeva un
ruolo centrale e Ben-Tzvi affermò non era corretto parlare di una singola nazione araba, data l’assenza di
condizioni sociali, economiche e politiche per l’unità del popoli di lingua araba. Il nazionalismo arabo-
palestinese essenzialmente non era un qualcosa di genuino. Le sue rivendicazioni – opposizione
all’immigrazione ebraica, all’insediamento e alla Dichiarazione Balfour – erano del tutto negative,
riflesso del fatto che non fosse un vero movimento popolare radicato nella masse proletarie arabe.
Piuttosto, era una creazione artificiale destinata a fare gli interessi dei grandi proprietari terrieri arabo-
palestinesi, degli speculatori finanziari e dei religiosi, che volevano perpetuare il loro dominio e
sfruttamento sui contadini e operai arabi.
Nell’analisi di Ben-Tzvi, fondata sul marxismo economicista che egli condivideva col suo amico e
mentore Borokhov, erano gli interessi economici dell’elite terriera araba a generare l’ostilità al sionismo.
I proprietari e i loro lacchè temevano che “gli immigrati arriveranno e si insedieranno e impediranno per
sempre agli effendi16 di impadronirsi dei terreni incolti per sfruttarli e speculare, mettendo così a
repentaglio il futuro stesso di questa classe”. Costoro si opponevano al sionismo anche perché sapevano
che l’immigrazione ebraica avrebbe minato il loro dominio sui contadini, che traevano beneficio dalla
presenza degli ebrei e dalle opportunità di ricchezza e sviluppo che essi portavano. Ben-Tzvi ribadiva che
il contadino arabo in Palestina

non subisce l’immigrazione ebraica, ma il dominio del suo effendi e lo sfruttamento da parte del
cittadino di medesima razza e religione che fa da tramite tra lui e l’effendi…ha interesse per il nuovo
regime17 che gli assicura pace e sicurezza da ladri e banditi, specialmente dai beduini che compiono
scorrerie dal deserto alle terre abitate devastandole senza sosta; il contadino ha interesse per un
regime che eleva il livello culturale e garantisce giustizia e protezione dalle estorsioni. Il contadino ha
anche interesse nell’espansione dello sviluppo industriale e nell’aumento del numero dei proletari, il
che necessariamente deriva dall’immigrazione ebraica. Dunque il contadino non si oppone
all’immigrazione…

15
Y. Ben-Tzvi, Il movimento arabo, 1921. Tutte le citazioni del paragrafo vengono da questa fonte.
16
“Signori”, termine nobiliare o di cortesia in uso in Turchia e nelle province orientali dell’impero ottomano.
17
quello inglese
20
Il sionismo dunque era considerato al servizio degli interessi – definiti in termini rigorosamente
economici – della maggior parte della popolazione palestinese. Questo era un vecchio argomento,
risalente a Herzl. Ma da quando fu innegabile l’esistenza di un movimento nazionalista palestinese
dichiaratamente anti-sionista, Ben-Tzvi dovette ampliare il suo ragionamento, e rifiutò di legittimare
l’antisionismo e il nazionalismo indigeni dipingendoli come strumenti, se non creazioni artificiose, di
un’elite reazionaria ansiosa di preservare i suoi privilegi e averi. Questo era un argomento relativamente
nuovo.
Ma le circostanze in cui Ben-Tzvi e il suo movimento agivano richiesero di allargare ulteriormente
il discorso, riesumando un altro vecchio tema per riadattarlo in termini socialisti. L’opinione pubblica
socialista e liberal-democratica cui Ben-Tzvi si rivolgeva tendeva ad accogliere il principio di
autodeterminazione dei popoli. Un compito centrale per il sionismo era dunque risolvere l’apparente
contraddizione tra il suo obiettivo di lungo termine – la creazione di una maggioranza ebraica e uno stato
in Palestina – e il fatto che per il momento la stragrande maggioranza della popolazione palestinese fosse
araba. Era necessario dimostrare che in questo contesto non vi era alcuna violazione del principio di
autodeterminazione dei popoli.
Per fare ciò Ben-Tzvi sviluppò un elemento della concezione sionista già presente nelle allusioni di
Herzl agli abitanti della Palestina come una “moltitudine mista”, e nell’ipotesi di Borokhov
sull’assimilazione. Ben-Tzvi trasformò queste caratterizzazioni piuttosto grossolane in una coerente
negazione dell’esistenza di un vero popolo palestinese. Solo i beduini erano di pura razza araba, affermò;
la restante popolazione non-ebrea era costituita da contadini e cittadini che

sono arabi per lingua e cultura ma per origine e razza sono misti e composti di diversi
elementi…Come dimostrato dalla composizione nazionale, religiosa e razziale, la popolazione di
questo paese non ha un carattere nazionale e non costituisce un’unica nazione ostile alla nuova
nazione nel paese, cioè Israele. Al contrario, questa popolazione è composta da gruppi religiosi e
nazionali differenti ciascuno dei quali ha un carattere più o meno definito.

Usando dei criteri da lui definiti assolutamente oggettivi, Ben-Tzvi stabilì che gli abitanti della
Palestina erano divisi in undici distinte comunità. La più grande di queste, i musulmani sunniti,
comprendeva la maggioranza della popolazione del paese e un domani avrebbe forse potuto costituire un
distinto gruppo nazionale, ma non allo stato attuale a causa delle divisioni razziali, economiche e di
classe, e inoltre perché la nazionalità non era una categoria identitaria legittima per l’Islam. Gli altri
settori della popolazione erano molto meno numerosi, e di essi solo i non musulmani erano da
considerarsi possessori di caratteri nazionali.
La rappresentazione di Ben-Tzvi della popolazione palestinese, oltre a eliminare le basi per un
legittimo nazionalismo arabo palestinese, aveva il vantaggio supplementare di sovrastimare il peso
demografico e l’importanza politica dell’Yishuv. Al tempo in cui scriveva, gli ebrei costituivano circa il
10% della popolazione totale, ma nella rappresentazione di Ben-Tzvi venivano a costituire il secondo
gruppo per numerosità, e il primo per coesione nazionale. Gli ebrei erano inoltre la comunità più attiva,
energica e creativa del paese.
La conclusione di questa analisi era che “Non c’è ancora traccia di un movimento arabo unitario
tra gli abitanti di Eretz Israel. Il movimento arabo che pretende di essere nazionale non è altro che il
movimento di alcuni strati di possidenti di beni e terre, le famiglie abbienti del vecchio regime. Questo
movimento è diretto non contro gli ebrei, ma piuttosto contro i lavoratori della propria stessa etnia e
contro le altre etnie e comunità”. Quale doveva essere dunque l’atteggiamento della classe operaia
ebraica nei confronti “non dell’odierno movimento arabo, che non è nazionale e non ha contenuto
sociale, ma verso i vari elementi non ebraici che vivono a Sion?”. Ben-Tzvi riconosceva che in passato
erano stati compiuti molti errori e che la questione non era stata affrontata con la dovuta attenzione, ma
non offriva alcuna chiara soluzione. Concludeva in modo piuttosto vago:

Se prendiamo come punto di partenza gli interessi comuni dei lavoratori, e teniamo a mente gli
interessi di prosperità, progresso e giustizia sociale del nostro paese, allora troveremo facilmente la
strada per risolvere la nostra questione nazionale, e con essa la soluzione della questione delle
relazioni internazionali dal punto vista della classe operaia di Eretz Israel. Quale forma concreta
questa soluzione avrà, e quale sarà il programma pratico per raggiungere l’equilibrio nei rapporti tra
21
la classe operaia ebraica e i lavoratori di altri popoli che vivono nel nostro paese – questo è oggetto
di un’altra discussione, che va al di là dei limiti di questo studio.

NASCITA DELL’HISTADRUT
Negli anni ’20 la questione delle relazioni del movimento sionista laburista con la maggioranza
arabo-palestinese, e specialmente con la sua classe operaia, divenne persistente e complessa, non solo dal
punto di vista teorico ma anche come problema pratico. La cosa suscitò un ampio dibattito tra i vari partiti
che si contendevano l’influenza sui lavoratori ebrei di Palestina, e fu all’ordine del giorno all’inizio di
dicembre 1920 al congresso di fondazione di quella che sarebbe diventata la principale istituzione del
movimento sionista laburista in Palestina, l’Histadrut.
Dopo la guerra i sionisti laburisti in Palestina avvertivano come urgente necessità la creazione di
uno strumento organizzativo unitario al di sopra dei singoli partiti per dare maggior peso politico e sociale
al movimento nell’Yishuv. Dopo lunghi negoziati nel novembre 1920 si tennero le elezioni per i delegati
a un congresso dei lavoratori ebrei in Palestina. I votanti furono meno di 4.500 su una popolazione totale
ebraica di 80.000 – un chiaro segno della debolezza del movimento operaio ebraico cui la creazione del
nuovo organismo doveva rimediare18. Ahdut Haavoda fu l’organizzazione più forte rappresentata al
congresso che si riunì ad Haifa dopo le elezioni, e pur non avendo la maggioranza assoluta controllò
largamente i lavori in collaborazione con Hapoel Hatzair. La sede centrale dell’organizzazione fu fissata a
Tel Aviv, ma Haifa era i centro propulsore dell’industria, e il consiglio operaio di Haifa, controllato da
Ahdut Haavoda e negli anni ’30 dal MAPAI, fu una sorta di sezione locale dell’Histadrut in quell’area di
fondamentale importanza.
Ahdut Haavoda e Hapoel Hatzair consideravano la nuova Histadrut non come una federazione
sindacale sul modello europeo, ma piuttosto come uno strumento per favorire l’insediamento dei
lavoratori ebrei in Palestina e la costituzione di un “benessere comune” (commonwealth) ebraico. Questo
implicava ovviamente che l’Histadrut fosse un’organizzazione esclusivamente ebraica e non aperta a tutti
i lavoratori presenti in Palestina. Di qui l’aggettivo posto accanto al termine “lavoratori” nel nome
ufficiale: Organizzazione Generale dei Lavoratori Ebrei della Terra di Israele.
Questa concezione sulla struttura dell’Histadrut fu contrastata al congresso fondativo da un
piccolo ma battagliero gruppo del Partito Socialista dei Lavoratori (SWP), che insisteva anche sulla
necessità di affrontare la questione delle relazioni coi lavoratori arabi. L’SWP si era formato nell’autunno
del 1919 come ala sinistra del movimento dei Lavoratori di Sion (Poalei Zion), mentre Ahdut Haavoda ne
rappresentava l’ala destra. All’epoca era ancora possibile per i leader e attivisti dell’SWP insistere sul
fatto che non vi fosse contraddizione tra il supporto alla rivoluzione bolscevica e al Comintern da un lato
e l’impegno a costruire una patria ebraica in Palestina dall’altro. Il SWP denunciava Ahdut Haavoda per
la rinuncia alla lotta di classe, i legami con la risorta Seconda Internazionale, la cooperazione con
l’imperialismo inglese, l’alleanza con la borghesia ebraica, il tutto provato dall’adesione
all’Organizzazione Sionista Mondiale. Per contro il SWP si considerava un’alternativa rivoluzionaria ma
anche ebraica ad Ahdut Haavoda, una posizione che si potrebbe definire “bolscevico-sionista”. Questa
posizione sarebbe divenuta insostenibile, e in capo a un anno il SWP si divise in fazioni rivali19. Ma nel
particolare periodo 1919 – 21, quando la rivoluzione socialista mondiale sembrava imminente, queste
contraddizioni sembravano sanabili. Alcuni membri del partito immaginavano una marcia trionfale
dell’Armata Rossa fino in Palestina per liberarla dall’imperialismo inglese e trasformarla in una
repubblica sovietica ebraica.
Nel periodo prima e durante la fondazione dell’Histadrut, la posizione del SWP attirò significativo
supporto dai lavoratori ebrei in Palestina, specialmente dai nuovi arrivati dall’Europa orientale tra i quali
l’impatto galvanizzante della rivoluzione bolscevica era molto forte. L’opposizione a quanto era vissuto
da molti come un atteggiamento dominante e centralizzatore da parte di Ahdut Havoda, recava loro molta
simpatia.
La lotta per l’influenza sul proletariato ebraico avveniva anche nel campo culturale, sulla
questione della lingua. L’yiddish era la lingua madre delle masse ebraiche dell’Europa orientale, e molti

18
Yonathan Shapiro, The formative years of the Israeli Labour Party: the organization of power, 1919-1930, 1976.
19
Nel 1921 di fronte all’aut aut sulla questione dell’adesione al Comintern il SWP andò incontro a una scissione dalla quale
nacquero il Partito Comunista Palestinese, antisionista (che divenne la sezione della Terza Internazionale in Palestina), e il
gruppo Poalei Zion Smol (Lavoratori di Sion di Sinistra), sionista.
22
nuovi immigrati in Palestina rimanevano attaccati ad essa anche se iniziavano ad usare l’ebraico. Gli
attivisti del SWP usavano orgogliosamente l’yiddish nella propaganda e agitazione scritta e orale. Invece
Ahdut Haavoda vedeva l’yiddish come il linguaggio della vituperata Diaspora, e cercò di fare sì che
venisse parlato solo l’ebraico, la cui prevalenza nell’Yishuv era ritenuta essenziale per il progetto sionista
di edificazione di una nuova società ebraica. Coloro che parlavano yiddish erano sovente zittiti nei
meeting pubblici. Tuttavia nei primissimi anni ’20 la politica “solo lingua ebraica” impedì i tentativi di
Ahdut Haavoda di collegarsi a molti nuovi immigrati ebrei, favorendo indirettamente il SWP.
Nei dibattiti al congresso fondativo dell’Histadrut, i delegati del SWP criticarono la linea di Ahdut
Haavoda e Hapoel Hatzair per cui la nuova organizzazione dovesse essere esplicitamente sionista e aperta
esclusivamente ai lavoratori ebrei. Essi invece proposero che fossero istituite due organizzazioni: “una
federazione sindacale non partitica di tutti i lavoratori di Eretz Israel, senza limitazioni dovute alla
nazionalità o alle opinioni politiche” e “un’organizzazione di insediamento di tutti i lavoratori ebrei
impegnati nella costruzione di un centro socialista ebraico in Eretz Israel”. A completare questi due enti
occorreva “un consiglio operaio internazionale come organo politico dell’intera classe operaia del
paese, per tenere le redini del governo” – ovvero un soviet. Il SWP non rifiutava l’immigrazione e
l’insediamento, ma voleva che questi obiettivi fossero perseguiti da un’organismo apposito di lavoratori
ebrei, mentre la lotta di classe sarebbe stata condotta da un’organizzazione congiunta arabo-ebraica,
seppure in sezioni etnicamente separate.
La proposta del SWP ricevette un sostegno molto limitato. Lo statuto della neonata Histadrut non
faceva menzione esplicita dei lavoratori arabi, e venne varata una risoluzione che diceva che l’Histadrut
avrebbe “unito tutti i lavoratori del paese che vivono del proprio lavoro senza sfruttare il lavoro altrui,
per provvedere all’insediamento, ai problemi economici e anche culturali di tutti i lavoratori del paese,
per costruire una società del lavoro ebraico in Eretz Israel”. Va da sé che “tutti i lavoratori del paese” di
fatto significava solo i lavoratori ebrei.

“E’ CHIARO CHE DOBBIAMO ORGANIZZARLI, MA…”


La questione delle relazioni tra lavoratori arabi ed ebrei ormai non poteva più essere elusa, e
riapparve nell’agenda dell’Histadrut nell’ambito di una discussione sulla situazione nelle ferrovie
all’esecutivo dell’organizzazione del 30 dicembre 1920, poche settimane dopo il congresso di fondazione.
Il tema specifico in agenda era l’imminente congresso della Jewish Railway Workers’ Association
(RWA), un organismo esclusivamente ebraico, ma poiché nel settore la forza lavoro araba era in
maggioranza schiacciante la discussione sulle relazioni interetniche fu inevitabile. Berl Katznelson (1887
– 1944), uno dei leader di Ahdut Haavoda (e poi del MAPAI) esordì affermando di non vedere alcun
pericolo nel fatto che i lavoratori arabi si organizzassero e cooperassero coi loro colleghi ebrei. Memore
della proposta del SWP al congresso di fondazione si disse preoccupato che i lavoratori arabi potessero
aderire alla RWA, che avrebbe così perso il suo carattere ebraico e sionista. Altri membri dell’esecutivo
concordarono con Kaznelson che arabi ed ebrei dovessero appartenere ad organizzazioni separate.
Alcuni però espressero forti dubbi sull’idea stessa di aiutare gli arabi ad organizzarsi, temendo che
questi si sarebbero poi rivolti contro il sionismo. “Dal punto di vista umanitario è chiaro che dobbiamo
organizzarli – disse Eliezer Shohat di Hapoel Hatzair – ma dal punto di vista nazionale, se li
organizziamo li aizzeremo contro di noi”20. Un altro intervento segnalò che in Egitto i sindacati erano
influenzati dai nazionalisti. Fu ben chiaro fin da questa prima discussione che l’organizzazione dei
lavoratori arabi poteva entrare in conflitto con l’obiettivo della conquista del lavoro ebraico nelle ferrovie:
paghe più alte e migliori condizioni di lavoro potevano attrarre il lavoro ebraico, ma anche quello arabo,
rendendo più difficile ottenere una percentuale più alta di posti per gli ebrei.
Alla fine l’esecutivo lasciò in sospeso la questione, che tuttavia divenne ormai un punto fisso per
l’agenda dell’Histadrut. Il problema più immediato era ciò che i sionisti socialisti chiamavano la
questione dell’ “organizzazione congiunta” (irgun meshutaf): in quale modo i lavoratori arabi ed ebrei
che operavano nel medesimo luogo di lavoro dovevano organizzarsi ed eventualmente cooperare? La
questione si sovrapponeva contraddittoriamente a quella della difesa del lavoro ebraico, fermamente
sostenuta da tutti i partiti sionisti per tutti gli anni ’20, e nel contesto di un significativo incremento

20
Verbali dell’esecutivo dell’Histadrut 30 dicembre 1920.
23
numerico della classe operaia araba, legato allo sviluppo economico attraversato dalla Palestina nel corso
del decennio.
La società arabo-palestinese era ancora per lo più rurale, ma il naturale sviluppo demografico, una
crisi agraria e nuove opportunità di impiego nei centri urbani generarono una consistente immigrazione
dalla campagna, specialmente nelle città costiere in espansione di Jaffa e Haifa. Tra il 1922 e il 1931
secondo i censimenti la popolazione araba aumentò del 40% circa, ma la popolazione di Jaffa passò da
27.429 a 44.638 (+63%) e quella di Haifa da 18.240 a 34.148 (+87%). Alcuni immigrati erano stagionali
o temporanei, mentre altri si inurbarono stabilmente. In entrambi i casi, molti mantevano stretti legami
con i villaggi natii e la vita rurale. Questi nuovi arrivi accrebbero gli strati poveri nelle città e
aumentarono la competizione per il lavoro nell’edilizia, nei lavori pubblici, nei vari impieghi qualificati e
semiqualificati che venivano creati in particolare ad Haifa, principale porto e centro industriale della
Palestina. Molti membri del nuovo proletariato arabo si avvicinavano al sindacalismo.
Questo fenomeno era sotto gli occhi dei leader dell’Histadrut, e specialmente di coloro che erano
in contatto con lavoratori più avanzati come i ferrovieri. Fermo restando che a essere oggetto di maggiore
interesse e discussione era sempre il suo significato rispetto al progetto sionista, il fenomeno fu
interpretato anche in altre forme. All’epoca vi era in Palestina una significativa componente comunista,
negli anni ’20 ancora prevalentemente ebraica, che vedeva la classe operaia araba come campione
dell’indipendenza nazionale e del socialismo. Ma, come vedremo, nei primi anni ’20 anche tra molti
sionisti si fece strada una nuova concezione del lavoratore arabo, visto non più come una minaccia per il
lavoro ebraico ma come un potenziale alleato del sionismo, per cui venne proposta una strategia di
solidarietà di classe arabo-ebraica in forme che, si credeva, avrebbero avvantaggiato il sionismo.
Infine, negli anni ’20 divenne sempre più forte la voce degli stessi lavoratori arabi, con le loro
proprie prospettive e la loro presa di coscienza di bisogni e interessi. Quale che fosse la visione che la
controparte ebraica avesse di loro, i proletari arabi furono protagonisti autonomi di questo periodo.

LE RIVOLTE ANTISIONISTE DEL 1920 – 21


Negli anni 1920 – 21, nel pieno della fase immigratoria ebraica passata alla storia come Terza
Aliyah (1918 – 23) ebbero luogo le prime rivolte anti-sioniste guidate dai nazionalisti arabi-palestinesi,
esaperati dalla dichiarazione Balfour e dal tradimento inglese delle loro aspirazioni indipendentiste dopo
la Prima guerra mondiale.
Preceduta da episodi sporadici nel mese precedente, la prima rivolta ebbe luogo tra il 4 e il 7 aprile
1920 a Gerusalemme in occasione di una celebrazione religiosa araba. I manifestanti, convenuti nella
Città Vecchia per l’annuale processione islamica in onore del profeta Mosè (Nabi Musa), saccheggiarono
il quartiere ebraico, bastonando i residenti e svaligiando negozi e abitazioni. I disordini proseguirono per
4 giorni, finchè la polizia inglese non vi pose fine con l’aiuto di unità paramilitari ebraiche guidate da
Vladimir Jabotinskij, futuro capo del sionismo di destra (o revisionismo). Il bilancio fu di 5 ebrei uccisi e
oltre 200 feriti, mentre da parte araba si contarono 4 morti e alcune decine di feriti.
L’anno successivo il teatro della rivolta fu Jaffa, e in questo caso la scintilla venne da uno scontro
tra fazioni interne al movimento laburista ebraico. La sera del 30 aprile alcuni attivisti comunisti ebrei
diffusero volantini che invocavano la fine del governo inglese e la nascita di una “Palestina sovietica”.
Nonostante i divieti della polizia inglese, l’indomani mattina, Primo maggio, alcune decine di
manifestanti sfilarono da Jaffa in direzione di Tel Aviv, dove era in programma un altro raduno, questa
volta autorizzato, di Ahdut Haavoda, attraversando il quartiere misto arabo-ebraico di Manshiyya, che
collegava le due città. Quando la manifestazione raggiunse il raduno di Tel Aviv scoppiarono tafferugli
coi sostenitori di Ahdut Haavoda, e la polizia inglese ne approfittò per disperdere i comunisti. La
popolazione palestinese, avendo notizia degli scontri e credendo che fossero gli arabi ad essere attaccati,
scese in strada e diede inizio alla rivolta. Gli scontri durarono fino al 7 maggio e furono soffocati
dall’esercito inglese, che fece ricorso anche a bombardamenti aerei per proteggere gli insediamenti
ebraici dall’assedio arabo. Il bilancio della rivolta fu di 47 ebrei uccisi e 173 feriti, mentre tra gli arabi si
contarono 48 morti e 73 feriti.

BEN-GURION E LA CLASSE OPERAIA ARABA


La linea di organizzazione congiunta che alla fine Ahdut Haavoda e l’Histadrut avrebbero adottato
fu delineata per la prima volta da David Ben-Gurion nell’estate del 1921. Ben-Gurion (1886 – 1973) era
24
emigrato dalla Russia alla Palestina nel 1906, e presto emerse come figura leader in Poalei Zion prima
della guerra e poi nel suo partito successore, Ahdut Haavoda. Egli quando fu creata l’Histadrut era
all’estero per conto del suo partito, ma al suo ritorno alla fine del 1921 fu eletto segretario
dell’organizzazione, e come tale si impose come principale esponente del movimento sionista-laburista.
Sotto la sua guida l’Histadrut divenne un organismo molto forte e centralizzato, e fu la base di partenza
che avrebbe consentito al partito politico fondato nel 1930 da Ben Gurion, il MAPAI, di conquistare
l’egemonia nell’Yishuv e nel movimento sionista mondiale. Come presidente dell’esecutivo dell’Agenzia
Ebraica, Ben-Gurion di fatto fu il leader dell’Yishuv dal 1935 al 1948, e poi primo ministro di Israele dal
1948 al 1953 e dal 1955 al 1963. Egli possedeva una tremenda forza di volontà, un’abilità organizzativa
di prim’ordine, e una grande capacità di combinare la duttilità tattica con l’incrollabile determinazione nel
perseguire gli obiettivi a lungo termine del sionismo. I suoi critici di destra e di sinistra lo descrissero
come prepotente, moralista e testardo, ma queste caratteristiche spesso ne rafforzarono le doti di leader
anziché danneggiarlo.
Ben-Gurion mise a punto le sue tesi sulle relazioni tra lavoratori arabi ed ebrei nell’agosto 1921,
in un indirizzo all’imminente congresso di Ahdut Haavoda. Iniziò affermando che la base di queste
relazioni doveva essere “un lavoro economico, politico e culturale congiunto, che è il prerequisito
necessario per la nostra redenzione come proletariato libero e per l’emancipazione del proletariato
arabo dalla schiavitù dei suoi oppressori, i grandi proprietari di terre e di ricchezza”. Era “il proletario
ebreo cosciente e istruito, la cui missione storica è la costruzione di una libera comunità di produttori in
Eretz Israel, che deve guidare il movimento di liberazione e rinascita dei popoli del Vicino Oriente” e
“educare il proletario arabo a vivere una vita di lavoro, disciplina e mutua responsabilità”.
Partendo da queste premesse, che suggerivano una sorta di missione civilizzatrice nei confronti dei
lavoratori arabi, Ben-Gurion propose che “in tutte le aziende che impiegano lavoratori arabi ed ebrei
(come le ferrovie, la lavorazione dei metalli e così via) i sindacati ebraici dovrebbero organizzare i
lavoratori arabi in sindacati legati ai sindacati ebraici. I sindacati uniti prederanno iniziative per
migliorare le condizioni di lavoro e per approntare attività culturali e assistenza sanitaria per i
lavoratori arabi”. Egli suggeriva anche che l’Histadrut impiegasse lavoratori arabi al pari degli ebrei per
ottenere appalti dal governo mandatario, e proponeva la creazione di circoli operai che organizzassero
conferenze, attività sociali, e lezioni di arabo ed ebraico. I kibbutz avrebbero dovuto stabilire contatti coi
villaggi arabi per l’assistenza reciproca, inclusa la protezione dai “banditi”21.
Ben-Gurion e i suoi seguaci erano spinti a queste proposte soprattutto avendo constatato le spinte
alla cooperazione arabo-ebraica nel settore dei ferrovieri. Ma la questione era emersa anche in altri settori.
Per esempio, nel 1921 la neonata unione dei carpentieri ebrei di Jaffa e Tel Aviv aveva cercato senza
successo di contattare i falegnami arabi, molti dei quali erano impiegati in piccole botteghe e per i bassi
salari erano visti dagli ebrei come concorrenti. Nello stesso anno nelle fornerie e pasticcerie di proprietà
ebraica di Jaffa e Tel Aviv si trovò terreno più fertile: i lavoratori arabi collaborarono coi lavoratori ebrei
quando questi ultimi formarono un sindacato (i fornai arabi delle fornerie arabe invece rimasero inattivi).
Alcuni fornai ebrei “radicali” nel 1922 arrivarono a dichiarare il loro sindacato “internazionale”, ovvero
aperto ad arabi ed ebrei, e iscrissero alcuni membri arabi. La direzione dell’Histadrut si affrettò a far
annullare questo atto di insubordinazione.
Per Ben-Gurion, la linea del sionismo laburista sull’organizzazione congiunta era largamente
definita dalla concreta situazione economica dei lavoratori ebrei in Palestina. Nel gennaio 1922 egli
affermò al consiglio dell’Histadrut:

Fino a pochi anni fa l’attività del proletario ebreo nel paese era quasi esclusivamente limitata a una
difficile e disperata lotta per il diritto a lavorare nelle poche imprese della comunità ebraica. Senza
saperlo e senza volerlo il lavoratore arabo, a causa del suo stato degradato, dei suoi bisogni limitati,
della sua cultura primitiva, ostacolava la possibilità di esistenza del lavoratore ebreo nella stessa
sfera del lavoro salariato…Ora le condizioni sono mutate. Ora il lavoratore ebreo e il lavoratore
arabo lavorano insieme nelle imprese del governo mandatario, ovvero in tutto il paese, e alla pari.
Ma le caratteristiche di questa “uguaglianza” sono ora determinate dal lavoratore con cultura e
bisogni più limitati; le paghe e le condizioni di lavoro sono determinate in base alle esigenze del
lavoratore arabo, una situazione negativa per il lavoratore ebreo. Il miglioramento delle condizioni di

21
Kuntres (periodico di Ahdut Haavoda), agosto 1921
25
lavoro degli ebrei in queste imprese non può essere immaginato senza la partecipazione attiva dei
lavoratori arabi. E la creazione di una forte organizzazione di classe di arabi ed ebrei è la condizione
necessaria per la sopravvivenza del lavoratore istruito in queste occupazioni.

Ben-Gurion concluse che “la creazione di un singolo fronte comune di tutti i lavoratori del paese
per soddisfare i propri interessi è diritto e dovere dei pionieri della cultura laburista in Palestina – è la
missione dei lavoratori ebrei. Non una missione metafisica o teologica, ma una missione che deriva ed è
condizionata dalla nostra situazione di vita e di lavoro in Palestina”22.
Mentre insisteva sul fatto che la cooperazione fosse vitale per i lavoratori arabi ed ebrei, Ben-
Gurion fu anche inflessibile nell’affermare che ciascun proletariato aveva propri obiettivi specifici che
richiedevano un certo grado di separazione organizzativa. In un discorso a un’assemblea del sindacato dei
ferrovieri nel 1924, egli affermò che

L’unità tra lavoratori di differenti nazioni può esistere solo sulla base della libertà e uguaglianza
delle nazioni. Per i lavoratori ci sono ambiti di interesse comune nei quali non vi è differenza tra
ebreo e arabo, o tra inglese e francese. Sono le cose che riguardano il lavoro: orari, salari, rapporti
col padrone, tutela dagli infortuni, diritto a organizzarsi eccetera. In tutti questi ambiti noi lavoriamo
insieme. E vi sono interessi che sono specifici dei lavoratori di ogni nazione, interessi specifici ma non
contraddittori che riguardano la cultura, la lingua, la libertà del popolo etc. In tutti questi ambiti ci
deve essere la completa autonomia e uguaglianza per i lavoratori di ciascuna nazione23.

Nello schema di Ben-Gurion e del suo partito, sindacati separati in luoghi di lavoro misti, o
almeno sezioni nazionali autonome all’interno di sindacati unitari, erano necessarie per assicurare il
perseguimento dei bisogni specifici dei lavoratori ebrei e arabi. La versione di organizzazione congiunta
da loro concepita avrebbe permesso ai lavoratori ebrei impiegati in luoghi di lavoro misti di migliorare la
loro situazione attraverso la cooperazione coi colleghi arabi mantenendo il carattere esclusivamente
ebraico dell’Histadrut e dei suoi sindacati, che avrebbero potuto quindi condurre i loro obiettivi sionisti
(“nazionali”), inclusa la lotta per il lavoro ebraico. Su questa base Ahdut Haavoda insisteva affinchè i
lavoratori arabi non fossero ammessi a far parte dell’Histadrut.
Questa concezione aveva anche un’importante dimensione politica. Con la rappresentazione del
proletariato araba che vi era sostenuta, poteva essere letta come una risposta all’emergere in Palestina di
un battagliero movimento nazionalista arabo che chiedeva la cessazione dell’immigrazione ebraica e
dell’acquisizione delle terre, la fine del mandato inglese e l’indipendenza della Palestina come stato
arabo. Nelle varie formulazioni di Ben-Gurion e del suo partito a metà degli anni ’20 si può evincere lo
sforzo di ridefinire con il linguaggio della solidarietà di classe il rifiuto sionista della autenticità e
legittimazione del nazionalismo arabo-palestinese, con i lavoratori arabi curiosamente eletti a potenziali
decisivi alleati del sionismo.
Ben-Gurion sviluppò queste argomentazioni affermando che il vero conflitto in Palestina non era
tra la maggioranza araba e il progetto sionista, come sostenuto dal nazionalismo arabo-palestinese, ma
piuttosto tra i lavoratori arabi e i loro oppressori arabi. Al falso nazionalismo arabo propagandato da
quegli oppressori, Ben-Gurion contrapponeva un’alleanza di classe tra lavoratori arabi ed ebrei fondata
sui loro interessi economici comuni. Questa alleanza secondo Ben-Gurion avrebbe giovato agli interessi
di entrambi i proletariati. I lavoratori ebrei, più avanzati, avrebbero aiutato i loro fratelli arabi schiavizzati
e ignoranti a liberarsi dai loro veri nemici, i loro compatrioti oppressori. In questa dinamica gli arabi si
sarebbero innalzati e trasformati in veri proletari, e avrebbero colto il carattere benefico e progressista del
progetto sionista. Allo stesso tempo, la solidarietà di classe arabo-ebraica (limitata ad alcuni ambiti)
avrebbe permesso di raggiungere l’obiettivo sionista della redenzione nazionale ebraica. A metà degli
anni ’20 Ben-Gurion sosteneva che senza una tale alleanza tra lavoratori arabi ed ebrei, il sionismo non
avrebbe potuto avere successo.

22
Kuntres, gennaio 1922
23
Kuntres, 14 marzo 1924
26
AFFERMAZIONE DELLA LINEA DI BEN-GURION
I significati politici ed economici della concezione di Ben-Gurion furono discussi in Ahdut
Haavoda nel corso del 1924. Il British Colonial Office e il governo mandatario avevano iniziato negoziati
con le leadership araba ed ebraica per costituire un consiglio legislativo, con poteri limitati. Ciò mise
l’Yishuv e il sionismo in una posizione difficile. Da un lato, la leadership sionista formalmente approvava
i principi di autogoverno e democrazia rappresentativa, e voleva giocare un ruolo governativo in
Palestina. Dall’altro non poteva accettare forme di rappresentanza in un paese in cui l’ampia maggioranza
della popolazione era araba (e quindi antisionista), da questo punto di vista era meglio l’amministrazione
coloniale inglese.
La questione del consiglio legislativo e quella delle relazioni tra lavoratori ebrei e arabi furono
dibattute al terzo congresso di Ahdut Haavoda, tenutosi a Ein Harod nel maggio 1924. Shlomo
Kaplanskij, veterano della Seconda Aliyah che guidava l’ala sinistra del partito, propose che Ahdut
Haavoda chiedesse l’immediata costituzione di un parlamento eletto democraticamente e con pieni poteri.
Kaplanskij riconobbe che questo parlamento sarebbe inevitabilmente stato a maggioranza araba, ma
riteneva che gli interessi dell’Yishuv sarebbero stati garantiti, e gli obiettivi di lungo termine del sionismo
raggiunti attraverso un accordo con la leadership nazionalista arabo-palestinese.
Ben-Gurion si oppose fermamente alla proposta di Kaplanskij. Sottolineando che il sionismo era
essenzialmente un progetto statale, chiese che tutte le proposte di organismo rappresentativo, anche se in
astratto democratico, fossero giudicate in base al vantaggio arrecato a quel progetto. In questo dibattito
Ben-Gurion indicò di nuovo il movimento nazionale arabo-palestinese come un giocattolo finto nelle
mani degli effendi: “Non dobbiamo temere di proclamare apertamente che tra noi, i lavoratori ebrei, e
gli attuali leader del movimento arabo, gli effendi, non c’è possibilità di dialogo”24. E proseguì:

Certamente la comunità araba nel paese ha il diritto all’autodeterminazione, all’autogoverno. Non


dobbiamo limitare o minimizzare quel diritto. L’autonomia nazionale che noi domandiamo per noi
stessi la domandiamo anche per gli arabi. Ma non ammettiamo il loro diritto di governare il paese,
dal momento che il paese non è edificato da loro e aspetta ancora coloro che lo edifichino. Essi non
hanno alcun diritto di proibire o gestire l’edificazione del paese, la restaurazione delle sue rovine,
l’utilizzo delle sue risorse, l’espansione delle aree coltivate, lo sviluppo della sua cultura, la crescita
della sua comunità operaia.

E dunque, chiese con enfasi Ben-Gurion, con chi si deve accordare il sionismo, se con la leadership
araba non è possibile? “Dobbiamo percorrere la via più lunga e difficile – la via verso il lavoratore
arabo. C’è una piattaforma comune tra noi e i lavoratori arabi, anche se questa piattaforma esiste solo
come possibilità e non ancora come realtà”. E ancora: “Il lavoratore arabo è un elemento organico,
inseparabile del paese, come lo sono le sue montagne e le sue valli”. Era compito dei lavoratori ebrei
elevare i lavoratori arabi al di sopra della povertà e dell’ignoranza, non per carità ma nel proprio interesse.

Il destino del lavoratore ebreo è legato al destino del lavoratore arabo. Insieme vinceremo, o
insieme perderemo. Il lavoratore ebreo non lavorerà 8 ore al giorno se il lavoratore arabo sarà
costretto a lavorare 10 – 12 ore. Il lavoratore ebreo non prenderà 30 piastre al giorno se il lavoratore
arabo ne prende 15 o meno…Dobbiamo cercare accordo e intesa con il popolo arabo soltanto
attraverso il lavoratore arabo, e solo un alleanza tra lavoratori ebrei e arabi permetterà l’alleanza tra
popolo ebraico e arabo in Palestina.

Dunque la classe operaia araba in questo periodo aveva un ruolo significativo nella concezione di
Ben-Gurion. Essa rappresentava per il pensiero sionista laburista una sorta di deus ex machina per
compensare l’oggettiva debolezza del movimento operaio ebraico, un alleato per il successo finale del
progetto sionista laburista in una fase in cui una maggioranza ebraica in Palestina sembrava qualcosa di
molto lontano e difficilmente raggiungibile. Questa concezione affermava l’autenticità della classe
operaia araba della Palestina (“come le sue montagne e le sue valli”), ma nel contempo l’inautenticità del
movimento nazionalista palestinese. Il diritto all’autodeterminazione degli arabi era riconosciuto in linea
di principio, ma per essere immediatamente subordinato ai diritti, bisogni e interessi degli ebrei in

24
Le citazioni di Ben-Gurion provengono dal resoconto in ebraico del congresso.
27
Palestina. L’opposizione araba su base nazionalista all’immigrazione ebraica, e al sionismo in generale,
era per definizione illegittima, e il movimento nazionalista arabo andava combattuto non solo
nell’interesse degli ebrei ma anche nell’interesse delle masse arabe oppresse.
Il congresso di Ahdut Haavoda a Ein Harod approvò a larga maggioranza la linea di Ben-Gurion
contro quella di Kaplanskij. Nel gennaio 1922 l’Histadrut aveva già dato il via libera all’idea di
organizzazione congiunta tra i ferrovieri, dove il problema era più urgente, con una risoluzione per cui
tale organizzazione doveva essere “sulla base di sezioni nazionali” e mantenendo “la Jewish Railway
Workers’ Association come parte dell’Histadrut”. Dal punto di vista dell’ideologia sionista laburista
questa politica di “separazione e uguaglianza” aveva apparentemente la funzione di riconciliare il
conflitto tra sionismo e internazionalismo proletario. Allo stesso tempo, essa eliminava la minaccia per il
sionismo a per il lavoro ebraico insita nell’idea di un sindacato arabo-ebraico completamente interetnico,
e attraverso l’organizzazione sotto la tutela ebraica dei lavoratori arabi forniva uno strumento per cercare
di isolare questi ultimi dalla perniciosa infuenza degli attivisti nazionalisti e antisionisti arabi.

LA CONTROVERSIA CON POALEI ZION SMOL


Benchè l’Histadrut avesse formalmente scelto una politica di organizzazione congiunta tra i
ferrovieri, nella pratica le cose stavano diversamente. Durante il 1922 e il 1923 l’esecutivo
sporadicamente cercò qualcuno che potesse organizzare i lavoratori arabi. Ma gli uomini insieme
affidabili e esperti di lingua araba erano molto rari, i fondi scarsi, e molti dirigenti dell’Histadrut erano
comunque dubbiosi sul progetto. Ben Gurion continuò a sollecitare i suoi colleghi a non trascurare la
questione, ma nella pratica l’Histadrut non si muoveva.
Ancora una volta furono gli sviluppi nel settore delle ferrovie che costrinsero l’Histadrut a
ritornare seriamente sull’argomento. Verso la fine del 1923 i membri di un piccolo ma vivace partito alla
sinistra di Ahdut Havoda presero il controllo del sindacato dei ferrovieri, ancora totalmente ebraico, ora
denominato Unione dei Lavoratori di Poste, Ferrovie e Telegrafi (URPTW). Questo partito era Poalei
Zion Smol (Lavoratori di Sion di Sinistra), da non confondere con il Poalei Zion unificato pre-1919.
Poalei Zion Smol si era formato principalmente dalla dissoluzione nel 1921 del SWP.
Tra il 1919 e il 1921 dirigenti della sinistra di Poalei Zion in Europa, con cui il SWP in Palestina
era legato, intavolarono lunghi negoziati con l’Internazionale Comunista sui criteri di ammissione dei
partiti sionisti di sinistra. L’ostacolo principale era naturalmente il legame tra Poalei Zion e il sionismo,
che il Comintern (come la maggior parte dei movimenti social-democratici prima della guerra) rigettava
decisamente. Quando il Comintern dichiarò nel 1921 che comunismo e sionismo erano assolutamente
incompatibili e chiese la totale accettazione delle sue condizioni di ammissione, inclusa la dissoluzione
delle sezioni di Poalei Zion nei partiti comunisti territoriali, il SWP in Palestina si divise in varie fazioni.
Dalla scissione emersero diverse tendenze politiche che alla fine si coagularono in due partiti. Uno
fu il Partito Comunista di Palestina, che nel 1924 fu riconosciuto dal Comintern come sua sezione
palestinese. Durante gli anni ’20 i membri e i dirigenti del PCP furono soprattutto ebrei. In questo periodo
il partito fu spesso identificato con il nome di Fazione Operaia, l’appellativo col quale operava nel
movimento operaio ebraico. I comunisti appariranno spesso in queste pagine, ma per ora focalizzeremo
l’attenzione sul secondo partito scaturito dalla scissione del SWP. Si tratta appunto di Poalei Zion Smol,
ovvero della frazione sionista del defunto SWP.
Poalei Zion Smol occupava l’estrema sinistra dello schieramento sionista. Nonostante il rifiuto di
Mosca, continuò a considerarsi un autentico partito comunista, legato alla causa della rivoluzione
mondiale e fedele al bolscevismo, all’Unione Sovietica e al Comintern. Fino ai tardi anni ’30 Poalei Zion
Smol si rifiutò di partecipare alle istituzioni dell’Organizzazione Sionista, considerandola uno strumento
della borghesia ebraica, con la quale non avrebbe mai collaborato. Esso faceva propria un’ortodossia
borokhovista pura, sostenendo che i lavoratori ebrei in Palestina dovessero organizzarsi autonomamente
per condurre la lotta di classe. Come Borokhov, i teorici del partito erano convinti che il capitalismo si
sarebbe sviluppato inesorabilmente in Palestina, portando allo sviluppo del proletariato e aprendo la
strada al trionfo del socialismo. Essi rigettavano la strategia di Ahdut Havoda di costruire un’economia
ebraica separata sotto gli auspici dell’Histadrut, perchè ciò avrebbe significato la collaborazione con la
borghesia ebraica, che attraverso l’Organizzazione Sionista controllava le attività e gli insediamenti
dell’Histadrut. Nello stesso tempo Poalei Zion Smol si considerava profondamente sionista: incoraggiava
l’immigrazione in Palestina e riteneva quel territorio la sede del futuro stato ebraico socialista.
28
Poalei Zion Smol non riuscì mai a creare una solida base di consenso in Palestina. Nei primi anni
’20 la maggior parte dei suoi membri erano lavoratori urbani appena arrivati. Ma col passare del tempo
costoro vedevano il partito come un’entità rigida, dottrinaria e settaria, slegata da ciò che accadeva
concretamente nell’Yishuv. Dal 1930 in poi il posto nella sinistra dello schieramento sionista sarebbe
stato preso da un’altra fazione maggiormente radicata nella comunità ebraica palestinese.
Come partito, Poalei Zion Smol inizialmente ebbe poco da dire sul conto della maggioranza
arabo-palestinese. Tale silenzio era in parte un prodotto della sua adesione all’ortodossia borokhovista,
dal momento che lo stesso Borokhov aveva previsto la scomparsa della popolazione indigena attraverso la
progressiva assimilazione alla popolazione ebraica. In qualche modo il partito era ancora meno propenso
di Ahdut Havoda a riconoscere che gli arabi potessero avere un diritto sulla Palestina come nazione, e
insisteva che lo sviluppo capitalistico e la lotta di classe avrebbero risolto il problema.
Tuttavia nei luoghi di lavoro dove i militanti erano attivi le cose andavano diversamente, poiché
essi erano molto propensi all’unità di classe su obiettivi comuni. Poalei Zion Smol per esempio acquisì un
considerevole supporto tra i ferrovieri ebrei nel 1923 – 24, soprattutto perché la sua opposizione alla
costituzione di due sezioni sindacali separate per nazionalità tra arabi ed ebrei sembrava aprire la
possibilità alla costituzione di un unico e più forte sindacato per tutti i ferrovieri della Palestina. Quando
l’organizzazione nel 1924 si assicurò il controllo di quel settore, suscitando l’orrore dell’Histadrut non
solo annunciò la creazione di un sindacato interetnico, ma tentò di trasformare la stessa Histadrut in un
sindacato territoriale aperto alla pari ad arabi ed ebrei.
Ben-Gurion e altri dirigenti di Ahdut Havoda erano estremamente contrariati per la supremazia di
Poalei Zion Smol in un settore chiave come quello dei ferrovieri. In questo periodo inoltre una nuova
ondata di immigrazione ebraica (Quarta Aliyah, 1924 – 26), proveniente per lo più dalla Polonia e
caratterizzata da molta piccola borghesia fornita di capitale proprio, portò una certa prosperità economica
nell’Yishuv ma rafforzò il peso politico e sociale dei non salariati. I sostenitori di Ahdut Havoda
accusavano i dirigenti sindacali dei ferrovieri, influenzati da Poale Zion Smol, di venir meno alle loro
responsabilità nazionali: i lavoratori arabi avrebbero dovuto essere organizzati sotto la tutela
dell’Histadrut ma separatamente, con proprie strutture e sezioni, e questo secondo Ahdut Havoda era
quanto gli stessi arabi volevano. Invece i sostenitori di Poale Zion Smol ritenevano che sezioni separate
fossero un ostacolo all’organizzazione congiunta, che molti arabi fossero pronti a entrare nell’Histadrut e
nei sindacati, e che il solo ostacolo alla solidarietà di classe arabo-ebraica fosse l’ostruzionismo della
dirigenza.
Nonostante le differenze, tuttavia, entrambi gli schieramenti condividevano una premessa comune:
l’inesistenza o l’illegittimità del nazionalismo arabo-palestinese, specialmente riguardo ai lavoratori arabi.
Di fatto si può ritenere che il rigido borokhovismo di Poalei Zion Smol delegittimasse il nazionalismo
arabo-palestinese ancor più del pragmatismo socialdemocratico di Ahdut Havoda. E comunque in questo
periodo entrambi questi partiti escludevano la possibilità che gli arabi potessero considerarsi membri di
una comunità nazionale con interessi e bisogni in conflitto con quelli dei lavoratori ebrei, i cui scopi
sionisti erano dati per scontati.

LE LOTTE A NESHER, 1924 – 25


Sebbene i ferrovieri fossero il settore più dinamico (vedi capitoli 3 e 4), dalla metà degli anni ’20
altri luoghi di lavoro furono testimoni delle prime manifestazioni di organizzazione e azione da parte dei
lavoratori arabi, per lo più nell’area di Haifa. Haifa a quell’epoca conosceva una rapida crescita: la sua
popolazione nel 1922 era di quasi 25.000 abitanti (circa un quarto ebrei), e raddoppiò entro il 1931. Nel
periodo tra le due guerre la città divenne il principale porto e il principale centro industriale di Palestina.
Le Palestine Railways allestirono qui le loro principali officine di riparazione e manutenzione, venne
creata una nuova darsena, e successivamente sarebbero arrivati l’oleodotto dell’Iraq Petroleum Company
e la raffineria. In città e nei suoi dintorni sorsero numerose aziende, per lo più di proprietà ebraica. Haifa
la rossa divenne non solo bastione del movimento operaio ebraico, e base dei suoi elementi più radicali,
ma anche la culla della nascente classe lavoratrice araba e del suo movimento sindacale.
La fabbrica di cemento di Nesher, ubicata non lontano da Haifa, fu in questo periodo sede di
alcune importanti e controverse lotte. La fabbrica fu fatta costruire nel 1924 – 25 da Michael Pollack, un
ebreo che era nato nella Georgia zarista, aveva fatto fortuna nei campi petroliferi di Baku e poi aveva
lasciato la Russia dopo la rivoluzione, stabilendosi a Parigi. Il luogo prescelto per la fabbrica era nei
29
pressi del villaggio arabo di Yajur, sulle pendici occidentali del Monte Carmelo. Nel 1872 il governo
ottomano aveva venduto le terre intorno a Yajur ai fratelli Sursuq e a Salim al-Khuri, uomo d’affari
libanese che poi a sua volta le vendette alle istituzioni sioniste preposte all’acquisto di terreni. Nel 1922
su una parte di quelle terre fu allestito l’insediamento ebraico di Yagur, ma il terreno su cui sorse la
fabbrica pare tradizionalmente appartenesse al villaggio arabo di Balad al-Sheyk, verso nord. Nel 1925
nacque lì vicino un altro insediamento ebraico, chiamato Nesher come la fabbrica25.
Il lavoro di costruzione dello stabilimento fu compiuto da operai ebrei sostenuti dall’Histadrut e
lavoratori egiziani assunti da un intermediario arabo locale. Il primi, membri dell’Histadrut, venivano
pagati 20 piastre al giorno per 8 ore di lavoro, mentre gli egiziani ricevevano solo 10 piastre per nove-
dieci ore. Era la prima volta che questi operai ebrei lavoravano a fianco di arabi. Poiché pochi o nessuno
degli ebrei di Nesher conosceva l’arabo, e nessuno degli egiziani aveva mai parlato l’yiddish o l’ebraico,
probabilmente le possibilità di conversazione erano molto limitate. Ma dal 1924 tra i due gruppi, 200
ebrei e 80 egiziani, sembra che si fossero stabilite relazioni soddisfacenti.
Non si sa nulla dei lavoratori egiziani, mentre del gruppo ebraico sembra che molti fossero arrivati
in Palestina di recente. La grande maggioranza erano simpatizzanti di un partito sionista laburista (Ahdut
Haavoda, Hapoel Hatzair o Poalei Zion Smol), ma vi erano anche alcuni membri e simpatizzanti del
Partito Comunista Palestinese. Questi ultimi non ebbero esitazioni a svolgere attività politica tra gli
operai. A Nesher e altrove i comunisti accusavano il movimento sionista di cacciare i contadini
palestinesi, affermando che il terreno su cui la fabbrica di Nesher veniva costruita era stato espropriato. In
questo caso essi probabilmente si sbagliavano poiché sembra che il sito della fabbrica fosse disabitato, ma
l’insediamento ebraico di Yagur vicino al villaggio arabo di Yajur fu sicuramente un esempio di
passaggio di terra da un villaggio arabo a mani escusivamente ebraiche.
Verso la fine dei lavori di costruzione tra il management e i dipendente ebrei sorsero problemi.
Questi ultimi videro rifiutare nettamente il riconoscimento del loro comitato o dell’Histadrut, alla quale
appartenevano. Inoltre volevano l’aumento a 25 piastre della paga giornaliera e la riduzione di un’ora
dell’orario. Alla fine i lavoratori ebrei scesero in sciopero. Si resero subito conto di avere bisogno del
supporto dei lavoratori egiziani, ma l’Histadrut e il Consiglio operaio di Haifa si opposero al
coinvolgimento di questi ultimi, perché non volevano mettere a repentaglio l’obiettivo di arrivare al 100%
di lavoro ebraico nella fabbrica. Ma i lavoratori ebrei decisero di rivolgersi lo stesso agli egiziani, le cui
condizioni salariali e di lavoro erano molto peggiori, e questi ultimi subito si unirono allo sciopero, con lo
sbigottimento dell’intermediario arabo. Lo sciopero durò per due mesi, finchè lo stesso Pollack non inviò
l’ordine di arrivare a un accordo. Fu raggiunta un’intesa tra il management e il Consiglio operaio di Haifa,
che soddisfaceva alcune richieste degli operai ebrei. L’intesa tuttavia non riguardava i lavoratori egiziani,
e l’Histadrut se ne lavò le mani. I lavoratori ebrei disobbedirono ai loro leader e decisero per 170 voti a 30
di non ritornare al lavoro se non venivano riammessi anche gli egiziani, cosa che il management non fece.
L’Histadrut insistette affinchè i lavoratori ebrei tornassero al lavoro. La maggior parte degli egiziani fu
deportata nel paese di origine dal governo mandatario.
Dopo che Nesher ebbe iniziato la produzione nel 1925, nacque un’altra lotta in cui gli ebrei furono
posti contro gli egiziani. Mentre al cementificio erano impiegati solo ebrei, il proprietario di Nesher aveva
dato l’appalto per la cava che forniva la materia prima a Musbah al-Shafiqi, un intermediario arabo-
palestinese che assumeva egiziani. Michael Pollack non cedette alle pressioni dell’Histadrut affinchè
soppiantasse questi ultimi con altri ebrei, spiegando che poiché Nesher era l’unico cementificio di tutta la
Palestina e vendeva il suo prodotto sia ad arabi che a ebrei, doveva impiegare anche una quota di arabi.
Per protesta l’Histadrut ordinò ai suoi membri di scioperare contro l’uso di lavoro “coolie” (asiatico),
come lo chiamava, ed essi obbedirono. Il contrasto con quanto avvenuto l’anno precedente è lampante.
Probabilmente i lavoratori solidali con gli egiziani che l’anno prima avevano lavorato alla costruzione del
cementificio, non erano stati confermati all’interno dello stabilimento, o forse l’Histadrut aveva operato
una stretta sulla forza lavoro in altro modo. In ogni caso questo secondo sciopero, classica espressione
della linea del lavoro ebraico, non ebbe successo e fino alla rivolta del 1936 – 39 la cava di Nesher rimase
un bastione di lavoro arabo, anche se gli egiziani furono rimpiazzati da palestinesi provenienti dai villaggi
vicini.

25
Walid Khalidi, All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated in 1948, 1992

30
Curiosamente, mentre l’Histadrut cercava di allontanare i non ebrei dalla cava di Nesher, essa
sostenne lo sciopero per l’aumento dei salari iniziato da 25 egiziani, 2 palestinesi e 7 ebrei impiegati in
un’altra cava a Yajur, diretta da un intermediario belga collegato a Nesher. In questo caso i lavoratori
ebrei di Nesher aiutarono gli scioperanti, e l’Histadrut intervenne in difesa degli egiziani quando si
paventava la loro deportazione. La contraddizione tra le due situazioni è solo apparente. Per l’Histadrut,
Nesher era lavoro ebraico: i posti di lavoro nel settore ebraico dell’economia palestinese dovevano andare
solo agli ebrei. Si riteneva che il movimento operaio ebraico fosse in una lotta vitale con il lavoro arabo
più a buon mercato, e avesse il diritto di difendere il proprio standard, e la propria stessa esistenza.
Commentando lo sciopero di Nesher, David Ben-Gurion ammise che la lotta dell’Histadrut per
allontanare i lavoratori arabi poteva “andare contro l’interesse personale dei lavoratori arabi assunti alla
cava”26. Ma aggiunse che la lotta degli ebrei per il lavoro e le paghe più alte avrebbe alla fine migliorato
la situazione economica di tutta la Palestina, creato nuovi e migliori impieghi anche nel settore arabo, e
dunque avvantaggiato i lavoratori arabi in quanto classe. Per Ben-Gurion non vi era stata alcuna
discriminazione etnica o nazionale: “Non è a causa del suo essere arabo che il lavoratore arabo mette a
repentaglio le opportunità di impiego dei lavoratori ebrei, ma a causa del suo essere non organizzato e in
competizione con altri”. Quale miglior prova di ciò del fatto che l’Histadrut supportava scioperi di
lavoratori non-ebrei ove la questione del lavoro ebraico non era in discussione? Di qui l’enfasi nella
pubblicazione su Kuntres di due lettere degli scioperanti egiziani di Yajur che ringraziavano l’Histadrut e
i lavoratori del cementificio di Nesher per il loro sostegno.

L’INTERVENTO SUL PROLETARIATO ARABO E LA QUARTA ALIYAH (1924 – 26)


Gli eventi a Nesher e altri segni di agitazione nel nascente proletariato arabo indussero infine
l’Histadrut a prendere l’iniziativa nella primavera del 1925, soprattutto per evitare che il movimento
prendesse altre forme più autonome o radicali. Alcuni sindacati (per esempio quello dei carpentieri di
Haifa) avevano già iniziato ad ammettere informalmente degli arabi, che così automaticamente
diventavano membri dell’Histadrut. Da Haifa e Tel Aviv giungevano resoconti di lavoratori arabi che
chiedevano di iscriversi all’Histadrut, attirati da ampiezza, risorse, servizi e apparente efficacia
dell’organizzazione. I leader dell’Histadrut erano anche preoccupati dell’attivismo dei loro rivali politici a
sinistra, come Poalei Zion Smol tra i ferrovieri.
Anche il PCP aveva già raccolto un certo seguito tra i ferrovieri ebrei di Haifa, e su questa base si
andava rivolgendo ai ferrovieri arabi per la costituzione di un sindacato unitario. Alla fine del 1924 il
partito aveva iniziato a pubblicare un giornale in lingua araba, con il nome di Haifa. I suoi tentativi di
trovare seguito nella comunità araba erano facilitati dalla sua chiara posizione antisionista, che si
manifestò ad esempio nella campagna per sostenere i contadini arabi che resistevano all’espulsione dalle
terre presso Afula, nella valle di Jezreel, che i latifondisti arabi avevano venduto al Jewish National Fund.
Il partito stava anche cercando di coinvolgere i lavoratori ebrei nella linea dell’ “unità operaia” (“ihud” in
ebraico) disposta dal Comintern per far uscire i partiti comunisti dall’isolamento cercando la
cooperazione con i socialdemocratici nei movimenti sindacali. Nonostante i comunisti fossero stati
espulsi dall’Histadrut l’anno precedente, in questo periodo essi acquisirono un certo seguito tra i
lavoratori ebrei, e nelle elezioni dell’Yishuv del dicembre 1925 presero circa l’8% dei voti (più del 10%
nelle grandi città).
Nello stesso tempo emergeva un movimento operaio arabo-palestinese indipendente, sottoforma
della Palestinian Arab Workers’ Society (PAWS), fondata ad Haifa nella primavera del 1925. Per quindici
anni la PAWS, la cui componente più forte fu sempre rappresentata dai ferrovieri, ambì ad essere la
controparte araba dell’Histadrut, un’organizzazione operaia nazionale su tutta la Palestina.
Questi sviluppi avvenivano in un contesto economico e sociale in rapido mutamento. A metà del
1924 la popolazione ebraica in Palestina era stimata in 94.945 individui; un anno dopo aveva raggiunto
121.725 e a metà del 1926 149.500. Questa Quarta Aliyah, la più ampia fino ad allora, aveva contribuito a
un boom economico, poiché molti dei nuovi numerosi immigrati portavano con sé del capitale. Essi si
insediarono per lo più nelle città, soprattutto Tel Aviv, la cui popolazione crebbe da 22.000 abitanti nel
1924 a 40.000 alla fine dell’anno seguente. In particolare il settore ebraico dell’edilizia crebbe
enormemente.

26
I commenti di Ben-Gurion provengono da fonte ebraica.
31
Nel marzo 1925 il Consiglio operaio di Haifa, in cui Ahdut Haavoda era il partito più forte, era
molto preoccupato del crescente peso di Poalei Zion Smol tra i ferrovieri e della sua intenzione di
collaborare con i salariati arabi. Per prevenire ciò il consiglio creò un comitato per reclutare lavoratori
arabi in un’organizzazione separata, che doveva avere un suo proprio ufficio di collocamento. Quando i
funzionari di Haifa si rivolsero alla sede centrale di Tel Aviv per reperire i fondi necessari al progetto,
ricevettero finalmente una risposta affermativa. Durante il 1925 furono così lanciate due iniziative: un
giornale in lingua araba (il primo del movimento sionista) e un “circolo” ad Haifa con la funzione di
coinvolgere e organizzare lavoratori arabi.
Il nuovo giornale, che iniziò a uscire in aprile, fu chiamato Ittihad al-Ummal (Unità operaia),
come (probabilmente per caso, un giornale operaio pubblicato l’anno precedente da un sindacato egiziano
legato al partito nazionalista Wafd). All’inizio l’editore fu lo stesso Ben-Tzvi; poi subentrò il dottor
Nissim Malul, giornalista di Gerusalemme. Quando Malul si trasferì a Baghdad, fu la volta della moglie
di questi, e poi di un altro ebreo arabofono.
Ittihad al-Ummal aveva un obiettivo politico ben preciso: come puntualizzò un funzionario
dell’Histadrut, esso cercava “di fornire al lavoratore arabo i concetti generali dell’internazionalismo
proletario, di fargli capire le attività e posizioni dell’Histadrut in Palestina, e di sviluppare la sua
coscienza di classe”27. Vi erano diversi articoli sulla storia, l’ideologia e i successi del movimento
sionista laburista e sulla struttura e funzioni dell’Histadrut e delle sue varie componenti. Il giornale
cercava anche di presentare il socialismo ai suoi lettori pubblicando una serie di classici, da Ferdinand
Lassalle ad altri, e la letteratura europea con la traduzione di scrittori come Maksim Gorkij e Oscar Wilde.
L’impatto di Ittihad al-Ummal sembra essere stato poco rilevante, poiché molti dei suoi destinatari
erano analfabeti e quelli che sapevano leggere erano per lo più nazionalisti ostili al sionismo. In ogni caso
la tiratura del giornale fu di circa 500 copie, che venivano distribuite gratuitamente soprattutto ai
lavoratori di Haifa: i fondi venivano dall’Histadrut e dall’esecutivo sionista. Su pressione dei sionisti
liberali che allargavano i cordoni della borsa, dal 1926 il giornale prestò meno attenzione al movimento
sionista laburista e di più all’Yishuv in generale.
Mentre lanciava la pubblicazione del giornale, l’Histadrut assunse un ebreo part-time come responsabile
per i lavoratori arabi ad Haifa, e un assistente arabo full-time, entrambi sotto la supervisione del Consiglio
operaio di Haifa. Il primo era Avraham Khalfon, nato a Tiberiade da una famiglia ebraica da tempo
stanziata in Palestina. Cresciuto ad Haifa, parlava un arabo fluente e aveva molti contatti con gli arabi
della città. Fedele sionista laburista e ben conosciuto da Ben-Tzvi, che era responsabile dell’attività araba
per il segretariato dell’Histadrut, Khalfon fu la logica scelta per ricoprire il nuovo ruolo. Il secondo era un
giovane arabo di nome Philip Hassun, a quanto pare originario della Transgiordania e figlio di un pastore
protestante. Hassun cercò di organizzare i lavoratori di Haifa soprattutto al porto, e aveva preso contatti
con militanti di Poalei Zion Smol al circolo dei ferrovieri. Buon oratore, con uno spiccato senso
dell’umorismo, Hassun acconsentì a lavorare come assistente di Khalfon dietro il notevole compenso di 8
sterline al mese. Negli anni, l’entusiasmo di Hassun per il sionismo socialista lo avrebbe reso ridicolo
anche agli occhi dei suoi colleghi ebrei. Nelle sue memorie Berl Repetur, che decenni dopo sarebbe
diventato segretario generale dell’Histadrut ma che all’epoca era un giovane operaio al porto di Haifa,
scrive che invitò Hassun a un incontro con due visitatori ebrei provenienti dall’Unione Sovietica, e che in
quella sede Hassun lo mise in imbarazzo con le sue celebrazioni di tutto ciò che il sionismo aveva fatto
per gli arabi di Palestina. Repetur afferma che tra gli ebrei Hassun era soprannominato per scherzo “il
gentile dell’Histadrut”28.
Nel luglio 1925, con un piccolo budget fornito dall’Histadrut, Khalfon e Hassun aprirono il
“General Workers’ Club” in un affollato rione arabo della parte vecchia di Haifa. Il circolo attirò subito
l’attenzione di parecchi artigiani qualificati, soprattutto falegnami e sarti. Esso offriva lezioni serali di
ebraico e letteratura araba, conferenze di vari esponenti sionisti laburisti, e giornali arabi di Palestina e
altrove. Attraverso il circolo alcuni lavoratori potevano anche accedere a un apposito corso di lingua al
Technion, l’istituto tecnico ebraico fondato ad Haifa poco prima della guerra. L’obiettivo principale del
circolo era comunque organizzare i lavoratori, e il primo risultato fu la creazione di un sindacato di
falegnami e sarti.

27
Fonte ebraica.
28
Fonte ebraica
32
LO SCIOPERO DEI FALEGNAMI E DEI SARTI
Il malcontento di entrambe le categorie per le paghe basse, la giornata lavorativa lunga e gli abusi
dei padroni durava già prima della presa di contatto con l’Histadrut, e furono gli stessi lavoratori che
chiesero a Khalfon e Hassun di aiutarli a organizzare uno sciopero. Dopo un periodo di titubanza
Khalfon, con l’avallo dell’esecutivo dell’Histadrut, nell’ottobre del 1925 decise che era giunto il
momento. A nome del General Workers’ Club Khalfon inviò lettere ai proprietari delle dodici manifatture
in cui i circa 100 falegnami erano impiegati, esponendo le rivendicazioni e chiedendo una risposta entro
dieci giorni. I padroni, che avevano a che fare per la prima volta con un’iniziativa di questo tipo,
semplicemente ignorarono le lettere. I falegnami, insieme a circa 30 sarti, scesero in sciopero sotto la
direzione di Khalfon e Hassun e con il sostegno dell’Histadrut.
Inizialmente lo sciopero fu pacifico, ma si arrivò allo scontro quando i padroni provarono a far
venire dei crumiri dalla vicina città di Acri. La polizia intervenne e arrestò alcuni scioperanti, ma l’abile
Khalfon riuscì a liberarli versando una cauzione e inviando all’ispettore capo della polizia inglese una
fornitura del suo whisky preferito. Ma nel prosieguo dello sciopero apparve chiaro che nonostante il
contributo finanziario dell’Histadrut e del sindacato dei ferrovieri gli scontri e gli arresti stavano
indebolendo la posizione dei lavoratori. Vi erano anche crescenti pressioni sui lavoratori da parte della
stampa araba locale e dei religiosi. Il più vecchio giornale di Haifa, al-Karmil, era fortemente antisionista,
e pur esprimendo simpatia per i lavoratori si diceva preoccupato che lo sciopero avrebbe giovato agli
interessi sionisti piuttosto che a quelli arabi palestinesi. “Temiamo” dichiarava al-Karmil “che l’obiettivo
di far scioperare gli arabi sia: 1) incitarli alla ribellione 2) creare problemi economici alle imprese
arabe 3) far lievitare i prezzi, cosicchè sia più facile la vendita per i prodotti ebrei e così l’aumento dei
posti di lavoro per loro. Avvertiamo i leader di questo movimento affinchè non cadano in trappola, anche
se apprezziamo la mobilitazione dei lavoratori”29.
Alcuni religiosi cristiani ripresero al-Karmil e altri giornali arabi. Il leader spirituale della
comunità cristiana maronita, padre Francesco, convocò venti scioperanti, chiese loro di non cooperare con
gli ebrei che diffondevano il bolscevismo in Palestina, e li esortò a formare il loro sindacato cristiano-
musulmano, libero da influenze ebraiche. Secondo quanto concordato con l’Histadrut, gli arabi
replicarono che l’Internazionale Socialista aveva delegato l’Histadrut a organizzare i lavoratori in Medio
Oriente, e dunque essi dovevano fare riferimento ad essa. Ovviamente l’Internazionale non aveva fatto
una simile delega. Pare che gli scioperanti dissero anche al religioso che non c’era nulla da temere dai
lavoratori ebrei perché questi ultimi non avrebbero accettato le misere paghe dei lavoratori arabi. Ciò
probabilmente era vero in quei settori, ma naturalmente uno dei motivi per cui l’Histadrut aiutava gli
arabi a ottenere salari migliori era per far diventare quei posti di lavoro appetibili per gli ebrei.
Dopo un incontro con alcuni scioperanti Najib Nassar, editore di al-Karmil, invitò le parti in causa
presso la direzione del giornale per trovare un accordo. Gli scioperanti volevano che Khalfon e Hassun li
accompagnassero. Nassar non gradì l’arrivo dei funzionari di quella che il suo giornale definiva
“l’associazione dei lavoratori sionisti”, ma alla fine i due poterono rimanere come osservatori. Dopo
alcune ore di negoziato fu raggiunto un accordo in seguito al quale due settimane dopo lo sciopero
terminò. Se si pensa alle condizioni da cui partivano, lavoratori ottennero risultati non da poco: giornata
lavorativa di nove ore, pausa pranzo di mezzora, e il pagamento di sette giorni di malattia all’anno.
Nel suo resoconto dell’accordo, al-Karmil espresse la speranza che d’ora in avanti in ogni azienda
si formasse una “corporazione” di imprenditori e lavoratori per risolvere le varie questioni e quindi
“bloccare il coinvolgimento dei sionisti in ciò che riguarda i lavoratori arabi”30. I fatti dell’ottobre 1925
indussero Nassar e altri elementi della borghesia araba di Haifa a prestare più attenzione alle questioni
sociali relative al nascente movimento operaio arabo, soprattutto per timore che i sionisti (che loro
credevano anche portatori del virus del bolscevismo) potessero promuovere e sfruttare la lotta di classe
all’interno della comunità araba. Fu così che al-Karmil e altri giornali arabi conservatori iniziarono a
pubblicare notizie sulla PAWS, nata ad Haifa alcuni mesi prima, e più in generale a interessarsi al lavoro
arabo e a promuovere la formazione di sindacati arabi. Nell’estate 1927 Filastin, giornale di Jaffa,
esprimeva soddisfazione perché i lavoratori arabi finalmente sembravano ascoltare i suoi frequenti
ammonimenti che “i sindacati ebraici si interessano del lavoro arabo soltanto per i loro interessi, gli

29
Al-Karmil, 10 ottobre 1925
30
Al-Karmil, 21 ottobre 1925
33
interessi dei lavoratori ebrei, mentre il lavoratore arabo è soltanto uno strumento da usare per
minacciare il governo mandatario se questo non fornisce lavoro ben pagato agli ebrei”31. Il giornale
chiamava i lavoratori arabi ad abbandonare i sindacati ebraici e a formare le loro organizzazioni
autonome.
La leadership dell’Histadrut fu chiara nel ribadire la sua idea sull’organizzazione del lavoro arabo.
In visita ad Haifa durante lo sciopero dei falegnami e dei sarti, Ben-Gurion si congratulò con Khalfon: lo
sciopero era un ottimo risultato per il quale il sionismo laburista aveva lavorato molti anni. Ma, lo
ammonì, “Non andare troppo oltre. Tu sei il loro maestro, tu hai insegnato loro a scioperare. Hanno già
fatto passi importanti. Verrà un giorno, tra non molto, in cui Haji Amin al-Husseini verrà e si rivolgerà
ai lavoratori che tu hai allevato, per usarli contro di noi adoperando gli stessi mezzi che tu hai loro
insegnato”32. Ben-Gurion raccomandò a Khalfon di accettare la proposta di negoziato di Najib Nassar e di
far cessare in fretta lo sciopero.
Lo sciopero dell’ottobre 1925 in realtà non fu l’inizio, ma il punto più alto raggiunto
dall’Histadrut nell’organizzazione dei lavoratori arabi di Haifa. Alcuni lavoratori arabi parteciparono al
corteo e all’aduntata del Primo maggio 1926 organizzate dal Consiglio operaio di Haifa, ma in quel
periodo l’nfluenza del General Workers’ Club declinò rapidamente. In parte ciò fu dovuto al clima
economico deteriorato. Gli ultimi mesi del 1925 videro l’inizio di una depressione che in Palestina
sarebbe durata fino al 1929, con disoccupazione e calo dei salari sia per i lavoratori arabi che per gli ebrei.
La situazione nelle attvità edilizie di Haifa era complicata dalla presenza di un gran numero di falegnami
e altri artigiani provenienti dalla Siria, dove una rivolta nazionalista e la conseguente repressione di massa
da parte del governo coloniale francese aveva sconvolto la normale vita economica. L’altra causa del
declino del circolo di Haifa fu la crescente ostilità nei suoi confronti sia da parte dei nazionalisti arabi che
dei comunisti ebrei del PCP. Entrambi questi gruppi per ragioni diverse vedevano il circolo come uno
strumento dei sionisti per infiltrare e controllare la classe operaia araba. Philip Hassun era il principale
bersaglio dei nazionalisti, ed era additato come lacchè degli ebrei e traditore del suo popolo. Nel 1927 il
circolo era sull’orlo della chiusura, e al di fuori di Haifa gli sforzi dell’Histadrut di contattare i lavoratori
arabi erano senza esito.
Nel febbraio 1927 il tasso di disoccupazione nell’Yishuv raggiunse il 40% a Tel Aviv, e quattro
mesi dopo la compagnia consortile dell’Histadrut, la Solel Boneh, andò in bancarotta. Sia l’Histadrut che
l’esecutivo sionista dovettero tagliare i propri fondi, e quell’anno furono di più gli ebrei che lasciarono la
Palestina di quelli che vi entrarono. In conseguenza di questi tagli nella primavera del 1927 Khalfon
lasciò il General Workers’ Club e andò a fare il delegato ebraico alla segreteria del comune di Haifa, dove
l’Histadrut sperava che avrebbe potuto promuovere l’assunzione di ebrei da parte della municipalità. Nel
successivo quarto di secolo Khalfon fece carriera nell’amministrazione e divenne infine segretario
comunale. Hassun rimase al General Workers’ Club, ma il circolo era pieno di debiti e anche il suo posto
era in forse. Ittihad al-Ummal non uscì più regolarmente e dopo alcune sospensioni cessò le pubblicazioni
all’inizio del 1928, a causa del taglio dei fondi da parte dell’esecutivo sionista.

HAPOEL HATZAIR E IL “BUON ESEMPIO” DELL’APARTHEID SUDAFRICANA


Poalei Zion Smol criticava Ahdut Haavoda per il fatto che non volesse ammettere i lavoratori
arabi nell’Histadrut, e sosteneva che i circoli separati come il General Workers Club fossero una forma di
discriminazione. In alternativa essa aveva sviluppato stretti legami alla pari con un gruppo di lavoratori
arabi di Jaffa, guidati da un falegname, George Nassar, che aveva aderito entusiasticamente a Poalei Zion
Smol ed era entrato nelle grazie di uno dei leader di quel partito, Moshe Erem.
Ma per Ahdut Haavoda le critiche da sinistra erano politicamente meno significative di quelle
provenienti da destra, da parte del partito suo rivale e alleato Hapoel Hatzair. Quest’ultimo era più
chiaramente nazionalista di Ahdut Havoda, e dunque non faceva uso come quest’ultima o come Poalei
Zion Smol di argomenti socialisti per giustificare le proprie posizioni sioniste. Dal punto di vista di
Hapoel Hatzair, l’obiettivo principale dell’Histadrut era la realizzazione del progetto sionista attraverso
l’edificazione in Palestina di una società ed economia ebraica separata, e questo era il fondamento della
politica del lavoro ebraico. Come partito Hapoel Hatzair era profondamente scettico se non ostile rispetto

31
Filastin, 19 agosto 1927
32
Histadrut Archives
34
alla questione dell’organizzazione congiunta. Troppe preoccupazioni sul benessere degli arabi, o senso di
colpa per le possibili violazioni dei loro diritti erano considerate manifestazioni di un’insana “mentalità
galuth”, della Diaspora, inadeguata al progetto di ricostruzione nazionale ebraica.
L’analisi del problema da parte di Hapoel Hatzair fu sviluppata da Chaim Arlosoroff in un saggio
del 1927 intitolato Sulla questione dell’organizzazione congiunta, pubblicato come contributo al dibattito
sulla questione che precedette il terzo congresso dell’Histadrut. Nato in Ucraina nel 1899 ed emigrato in
Germania, dove studiò economia, Arlosoroff si stabilì in Palestina nel 1924 e divenne un alto dirigente di
Hapoel Hatzair. Quando nel 1930 fu fondato il MAPAI dalla fusione di Ahdut Havoda e Hapoel Hatzair,
egli ne divenne uno dei principali esponenti. Un anno dopo fu scelto per dirigere il dipartimento politico
dell’Agenzia Ebraica, che era stata costituita nel 1929 per coinvolgere ebrei sionisti e non-sionisti nello
sviluppo della “casa nazionale” in Palestina. L’esecutivo dell’Agenzia fu di fatto la leadership
dell’Yishuv, e la chiamata di Arlosoroff alla direzione del dipartimento politico, così come la presidenza
dell’esecutivo poi affidata a Ben-Gurion, segnarono l’ascesa del sionismo laburista nell’Yishuv e
nell’Organizzazione Sionista.
Nel suo saggio Arlosoroff dichiarava di basarsi su un’analisi economica strettamente realistica e
razionale, priva delle considerazioni ideologiche che a suo dire avevano fuorviato i leader di Ahdut
Havoda come Ben-Gurion. Arlosoroff accusava Ben-Gurion di non considerare la realtà obiettiva del
conflitto essenzialmente nazionale tra il più costoso lavoro ebraico e il meno costoso lavoro arabo. Egli
rifiutava l’idea che l’organizzazione congiunta potesse elevare il livello generale dei salari in Palestina e
dunque favorire il lavoro ebraico. Era convinto che la rappresentazione di Ben-Gurion di una nascente
classe operaia araba potenzialmente alleata al sionismo fosse solo fantasia. Secondo lui anche nella forma
prevista da Ahdut Havoda l’organizzazione congiunta avrebbe significato il disastro del progetto sionista.
Per corroborare la sua tesi Arlosoroff citava il caso del Sud Africa, dove vedeva condizioni simili
a quelle sperimentate dagli ebrei in Palestina. I lavoratori bianchi non erano in grado di competere in un
mercato del lavoro dominato da una massa di operai africani e indiani a basso costo. Essi si erano dunque
organizzati per assicurare l’imposizione di una “discriminazione razziale” che escludeva i non bianchi dai
lavori qualificati e ben pagati. Se i lavoratori arabi ed ebrei fossero stati in concorrenza nello stesso
mercato del lavoro, il risultato non solo sarebbe stato la cessazione dell’immigrazione ebraica in Palestina
ma anche la fuga dal paese. L’unica via d’uscita secondo Arlosoroff era costituire un’area economica
separata con altri salari, alta produttività e solo lavoro ebraico. Ciò è quanto già stava accadendo, ma
Arlosoroff voleva che il movimento fosse più chiaro sui suoi scopi e metodi.
Oltre all’edificazione di un’enclave economica ebraica separata, il movimento sionista laburista
cercava anche con mezzi politici di evitare i disagi di un mercato della forza lavoro nel quale i lavoratori
ebrei erano poco competitivi. Per esempio nella seconda metà degli anni ’20 l’Histadrut fece pressioni
sull’Ufficio Coloniale e il governo mandatario per introdurre un salario minimo del lavoro non
qualificato. Ciò avrebbe permesso di ridurre la competitività del lavoro arabo nei confronti di quello
ebraico. Le autorità inglesi non accolsero questa richiesta. L’Organizzazione Sionista e l’Histadrut
cercarono anche di far sì che dopo la crisi economica del 1925 le paghe dei lavoratori ebrei impiegati nei
lavori pubblici fossero più alte dei loro omologhi arabi. I funzionari inglesi si opposero anche a questa
richiesta, perché discriminava il lavoro arabo e perché alzava il costo del lavoro in generale. Tuttavia nel
1928 una commissione governativa documentava quattro diversi livelli di paghe per i lavoratori non
qualificati: lavoro arabo rurale 12 – 15 piastre, lavoro arabo urbano 14 – 17 piastre, lavoro ebraico
sindacalizzato 28 – 30 piastre, lavoro arabo non sindacalizzato 15 – 30 piastre33.
Allo stesso tempo, come vedremo, i funzionari sionisti pressavano incessantemente le autorità
britanniche a Gerusalemme e Londra per fare sì che agli ebrei fossero assegnati quanti più lavori e
contratti pubblici possibile. Per esempio, l’Organizzazione Sionista richiese che gli ebrei avessero il 50%
dei posti di lavoro creati dalla costruzione della nuova darsena del porto di Haifa, con paghe adeguate agli
standard dell’Histadrut. I sionisti giustificavano questa richiesta per il fatto che i contributi degli ebrei alla
tassazione governativa erano in proporzione più elevati della percentuale degli ebrei della popolazione
della Palestina. Ma i funzionari inglesi, specialmente in Palestina, non accolsero queste richieste perchè
esse avrebbero sostanzialmente elevato i costi di realizzazione del nuovo porto di Haifa.

33
Barbara Smith, The Roots of Separatism in Palestine: British Economic Policy, 1920-1929, 1993

35
DALLA “MISSIONE STORICA” ALLA “NON INTERFERENZA”
A partire dalla seconda metà degli anni ’20, la linea dominante del movimento sionista laburista di
fatto fu fermamente orientata alla lotta per il lavoro ebraico e allo sviluppo di un settore economico
ebraico separato. Ben-Gurion e il suo partito faticavano ad accettare questa realtà, che significava la
messa da parte dell’idea di solidarietà arabo-ebraica e di organizzazione congiunta. Nell’ottobre 1926, al
quinto congresso di Ahdut Haavoda, Ben-Gurion riconobbe che la difficile situazione del movimento
sionista laburista non consentiva di affrontare adeguatamente la questione dell’organizzazione congiunta,
ma chiese che da un punto di vista morale il partito continuasse a considerare il destino della classe
operaia ebraica in Palestina come indissolubilmente legato a quello della sua corrispondente araba. “E’
impossibile” disse Ben-Gurion “che noi possiamo avere successo nell’insediarci in Palestina…mentre il
lavoratore arabo resta disastrato e disorganizzato, ci fa concorrenza e ci vede come suo nemico”34.
In vista del congresso dell’Histadrut del 1927 sia Ben-Gurion che Ben-Tzvi formularono proposte
di mantenere attiva l’attività di coinvolgimento degli arabi in organismi contigui all’Histadrut ma
separati. Tuttavia di fatto i leader di Ahdut Haavoda non ponevano più la stessa enfasi di prima alla
“missione storica” dell’alleanza tra lavoratori arabi ed ebrei, in ciò avvicinandosi alle posizioni di Hapoel
Hatzair. La graduale convergenza ideologica dei due partiti avrebbe portato in capo a pochi anni alla
fondazione del MAPAI.
La diminuzione dell’interesse dell’Histadrut nell’organizzare i lavoratori arabi, e il suo
spostamento verso una linea che si potrebbe definire della “non interferenza”, coincise con il lancio di una
campagna per spingere i proprietari ebrei di agrumeti a mandare via i lavoratori arabi e ad assumere al
loro posto degli ebrei. La motivazione di questa ripresa della lotta per il lavoro ebraico risiedeva
nell’urgente necessità di alleviare la grave disoccupazione sopraggiunta nelle città, e anche per incanalare
il malcontento dei lavoratori ebrei nei confronti degli arabi, visti in questa fase come dei concorrenti che
toglievano loro il pane dalla bocca.
Il nuovo orientamento di Ahdut Haavoda dipendeva anche dal peso sociale comunque raggiunto
del movimento operaio ebraico in Palestina. L’Histadrut era passata da 4.433 iscritti al momento della
fondazione nel 1920 a circa 25.000 iscritti nel 1928. L’opposizione araba al sionismo c’era, ma alla fine
degli anni ’20 era divisa e inefficace, e il sostegno inglese alla casa nazionale ebraica sembrava saldo.
Tutti questi fattori facevano sì che l’enfasi sulla solidarietà arabo-ebraica fosse in netta diminuzione.
La tendenza emerse chiaramente al terzo congresso dell’Histadrut, svoltosi nel luglio 1927. Tra le
altre cose, il congresso doveva finalmente decidere su quale forma di organizzazione puntare nei luoghi di
lavoro misti. Nonostante il tema fosse secondario rispetto ad altri, salì ugualmente alla ribalta sin
dall’apertura, quando vari osservatori e ospiti presentarono i loro saluti ai delegati. Uno di questi fu Philip
Hassun, che affermò di parlare a nome dei lavoratori arabi organizzati dall’Histadrut ad Haifa. Hassun
elogiò l’organizzazione in termini ossequiosi e dichiarò che “il lavoratore arabo non dipende da altri che
dal lavoratore ebreo”. Detto da lui, impiegato dell’Histadrut, era vero.
L’oratore che intervenne dopo Hassun usò toni molti diversi. Era Ahmad Hamdi, e disse che
salutava il congresso da parte di un gruppo di circa 600 lavoratori arabi. Non sappiamo nulla di lui, ma
sembra che la sua partecipazione sia stata voluta da Poalei Zion Smol, e che i lavoratori da lui
rappresentati fossero quelli che volevano aderire all’Histadrut. Hamdi chiese ai lavoratori ebrei di aiutare
i lavoratori arabi a liberarsi dalla loro condizione degradata. Ma perché, domandò, i lavoratori ebrei si
vogliono isolare nella loro organizzazione separata?

Le organizzazioni separate sono pericolose. Non lasciamo che l’est e l’ovest, il sionismo e
l’arabismo, la Torah e il Corano creino divisioni tra noi. Quando i lavoratori arabi si avvicinano agli
ebrei, i loro nemici dicono “sionisti!” e altri dicono “comunisti!”. Dunque il lavoratore arabo è
confuso. Dobbiamo unirci e presentare rivendicazioni comuni al governo, che ignora i suoi doveri
verso gli operai e invece chiama la polizia e li fa mettere in prigione35.

Quello che Hamdi diceva era che il movimento operaio ebraico come tale non era sionista, e che la
distinzione doveva essere chiarita per non creare divisioni tra lavoratori ebrei e arabi.
34
Fonte ebraica
35
Histadrut Archives
36
Pare che queste affermazioni abbiano suscitato l’ira di Ben-Gurion, tanto che gli rispose
immediatamente. Il segretario dell’Histadrut dichiarò che mentre apprezzava ogni segno di vitalità da
parte dei lavoratori arabi, voleva che questi ultimi e gli intellettuali loro connazionali, almeno queste due
categorie, mettessero da parte “l’ostilità che gli effendi diffondevano nei confronti dell’impresa sionista”,
e capissero che “i lavoratori ebrei in Palestina sono i sionisti”, al che i delegati applaudirono. Aggiunse
Ben-Gurion:

Essi sono arrivati in Palestina solo grazie al sionismo. Non fosse stato per il sionismo, non ci
sarebbero 30.000 lavoratori organizzati in Palestina, non ci sarebbe questo congresso, né l’Histadrut
né il movimento che solleverà il lavoratore arabo dal degrado. E voglio dirti, compagno Hamdi, che
cos’è il sionismo. Tu dici che il lavoratore arabo è oppresso e la sua situazione degradante. Ma la
nostra situazione è anche peggiore. Se il lavoratore arabo lavora in condizioni difficili, le masse
ebraiche non hanno l’opportunità di lavorare. E il sionismo vuole portare le masse ebraiche in Eretz
Israel a lavorare, trasformare qui le masse ebraiche in lavoratori che porteranno al rafforzamento
delle masse arabe in Eretz Israel e nei paesi vicini…Questo è il sionismo: il ritorno delle masse
ebraiche in Eretz Israel e la loro trasformazione in forza lavoro produttiva, sulla quale si baserà il
futuro governo del paese36.

Ecco perché, disse Ben-Gurion, gli effendi combattevano il sionismo: questa nuova forza avrebbe
posto fine al loro arricchimento e ai loro soprusi: “Voi, i lavoratori arabi, non dovete salire sul carro
degli effendi nella loro guerra contro il sionismo. Noi crediamo che se la nostra forza cresce, cresce la
forza della classe operaia che libererà il paese, come Hamdi e i suoi compagni sperano”.
La principale proposta sull’organizzazione congiunta fu presentata da Ben-Tzvi, che criticò sia
l’insistenza di Hapoel Hatzair sulla completa separazione che la richiesta di Poalei Zion Smol di
ammettere gli arabi nell’Histadrut, ipotizzando invece “un’alleanza operaia internazionale” composta da
un’Histadrut di soli ebrei, alcuni sindacati esclusivamente arabi e sindacati “internazionali” con sezioni
separate nei luoghi di lavoro misti. Ci fu anche un’altra risoluzione, presentata dal “movimento dei
kibbutz”, costituito da nuove forze politiche provenienti dalla Terza Aliyah (1918 – 23) che organizzate
in Hashomer Hatzair avrebbero in seguito soppiantato Poalei Zion Smol all’ala sinistra dello
schieramento sionista.
Alla fine il congresso adottò una risoluzione alquanto vaga, che in sostanza era un compromesso
tra la posizione di Ahdut Haavoda e quella di Hapoel Hatzair. Essa affermava che il congresso
riconosceva la necessità di “cooperazione tra lavoratori arabi ed ebrei negli interessi vitali di entrambi”
ma subito precisava che “la base per l’azione comune è il riconoscimento dell’essenziale validità del
diritto all’immigrazione ebraica in Palestina”. Proseguiva proclamando la formazione di “un’alleanza
internazionale dei lavoratori di Palestina” sulla base di sindacati nazionali autonomi, ma aggiungeva in
una clausola che la struttura e gli obiettivi dell’Histadrut non sarebbero per nulla cambiati.
Sebbene le risoluzioni del 1927 fossero il culmine di anni di dibattito in seno al movimento
sionista, esse non portarono ad alcun effetto immediato. Stante gli obiettivi limitati, la crisi economica e
l’attenzione dell’Histadrut verso altri problemi, non furono assegnate nuove risorse all’organizzazione
dell’attività araba. Ittihad al-Ummal cessò le pubblicazioni pochi mesi dopo il congresso, mentre il
General Workers’ Club di Haifa chiuse i battenti nel 1928 o nel 1929. Poalei Zion Smol mantenne i
contatti con gli arabi di George Nassar a Jaffa, ma il loro gruppo era piccolo e isolato, e non aveva
influenza sulla crescente classe operaia araba della città.
Nel maggio 1929 David Hacohen, dirigente dell’Histadrut esperto di questioni economiche,
avvisò il segretariato che il dipartimento dei lavori pubblici del governo mandatario tendeva ad assumere
lavoratori arabi a basso salario, il che avrebbe reso impossibile per l’Histadrut ottenere appalti a livelli di
paga che andassero bene per gli ebrei. Egli propose che l’Histadrut riprendesse a organizzare i lavoratori
arabi, per mostrare al governo che “la strada della compressione dei salari arabi non sarebbe stata rose e
fiori”37. L’idea fu condivisa ma non ebbe un seguito pratico.
A complicare la situazione intervennero le crescenti tensioni politiche tra arabi ed ebrei a
proposito del diritto di accesso e culto al complesso del Monte del Tempio (al-Haram al-Sharif per gli

36
Fonte ebraica
37
Histadrut Archives
37
arabi) e del suo Muro Occidentale a Gerusalemme. Nell’agosto del 1929 queste tensioni sfociarono in una
settimana di violenza di massa in tutto il paese: 133 ebrei furono uccisi da dimostranti arabi, e 116 arabi
perirono per lo più per mano della polizia e dell’esercito inglese. La violenza e le uccisioni produssero un
vero e proprio “shock” nell’Yishuv e nel movimento sionista, e una varietà di reazioni. Ben-Gurion fu
spinto a rivalutare il suo atteggiamento verso il nazionalismo arabo-palestinese, fino ad allora da lui
liquidato come una frode degli effendi. Mostrando la sua caratteristica duttilità tattica, Ben-Gurion ora
iniziò a sostenere che era un errore ignorare o sottovalutare la profondità del sentimento nazionalista tra i
palestinesi. Il sionismo avrebbe dovuto fare un accordo con il movimento nazionalista arabo, anche con
quegli effendi che egli aveva criticato per dieci anni come sfruttatori che non avevano nulla in comune coi
lavoratori ebrei.
Questa nuova linea implicava anche una diminuzione dell’enfasi sulla classe operaia araba come
naturale alleato del progetto sionista, e dunque una diminuzione dell’investimento di risorse
nell’organizzazione dei lavoratori arabi sotto la tutela dell’Histadrut. In realtà negli anni ’30 i tentativi
sionisti laburisti di organizzare i lavoratori arabi non diminuirono, anzi in alcune fasi furono intensi, ma
vennero motivati in base a nuovi obiettivi e ragionamenti, diversi da quelli portati avanti nella decade
precedente.

38
3

I FERROVIERI IN PALESTINA I
(1919 – 1925)
lotta per l’unità arabo-ebraica

Anche se al giorno d’oggi sono ampiamente soppiantate dal trasporto su gomma, le ferrovie
palestinesi hanno una storia lunga e significativa. I primi progetti europei di costruzione di una strada
ferrata nel paese risalgono alla metà dell’Ottocento. Ma fu solo nel 1888 che Yosef Navon (1858 – 1934),
un ricco dignitario ebreo di Gerusalemme, ottenne dal sultano ottomano Abd al-Hamid la concessione per
costruire e gestire una ferrovia tra Jaffa, la più grande città e maggiore porto palestinese, e Gerusalemme,
fino alle colline. Navon poi vendette la concessione a una compagnia francese nata appositamente per
quel progetto. La ferrovia Jaffa – Gerusalemme fu completata nell’estate del 1892, e negli anni che
seguirono favorì la crescita economica del paese facilitando l’esportazione di agrumi e il turismo.
Il governo ottomano sviluppò a sua volta il sistema ferroviario palestinese collegandolo con la
Ferrovia dell’Hijaz. Quest’ultima, realizzata tra il 1900 e il 1908 con il sostegno finanziario ed economico
tedesco, aveva lo scopo di rafforzare il controllo ottomano sulla regione dell’Hijaz e le sue città sante, e di
favorire il pellegrinaggio musulmano annuale collegando Damasco alla Mecca; la linea tuttavia si fermò a
Medina. Nel 1905 fu completata una diramazione che collegava la Ferrovia dell’Hijaz nel sud della Siria
con Haifa sul Mediterraneo, passando per Daraa, Samakh, Beisan e Afula; nel 1913 venne aperto un
prolungamento da Haifa verso nord, fino ad Acri.
La Prima guerra mondiale vide la rapida espansione del sistema ferroviario palestinese, per lo più
per scopi militari. Con l’assistenza tecnica tedesca e la forza lavoro locale, per lo più contadini arabi ma
anche artigiani ebrei o di altre nazioni, gli ottomani costruirono linee a scartamento ridotto attraverso le
colline della Palestina centrale, da Afula a Jenin, Nablus, Tulkarem, per raggiungere infine Lydda, nella
39
piana costiera a sud-est di Jaffa. L’esercito prolungò la strada ferrata fino a Gaza e attraverso il Sinai, per
facilitare un’invasione ottomana dell’Egitto. Furono le forze armate inglesi, che a loro volta strapparono
la Palestina agli ottomani, a completare una linea permanente lungo la costa mediterranea, che correva da
al-Qantara, sul canale di Suez, fino ad Haifa passando per Gaza e Lydda. Quest’ultima città, che faceva
parte anche della Jaffa – Gerusalemme, divenne il corcevia principale del paese.
Dopo la fine della guerra il controllo delle ferrovie – comprese quella del Sinai e dell’Hijaz -
passò in mano alle Palestine Railways, Telegraph and Telephone, un’agenzia del nuovo governo
mandatario inglese in Palestina. La nuova amministrazione chiuse alcune linee sottoutilizzate ma negli
anni ne sviluppò altre già esistenti e ne costruì di nuove. La principale fu il prolungamento a nord della
linea costiera, da Haifa a Beirut e Tripoli in Libano. Alla fine del periodo mandatario vi erano in Palestina
290 miglia di ferrovia, che nel 1946 – 47 trasportarono 1,9 milioni di tonnellate di merci e circa 900.000
passeggeri.
Durante il periodo mandatario, le Palestine Railways furono una delle più grandi imprese di lavoro
salariato nel paese. Il numero degli addetti variava, ma in tempo di guerra esso arrivò nel 1943 al picco di
7.800. La maggior parte di questi erano contadini arabi non qualificati assunti per la costruzione e
manutenzione dei binari e dei vagoni, ma una consistente minoranza – più di 1.200 nel 1943 – erano
lavoratori qualificati e stabili, concentrati nelle officine ferroviarie alla periferia nord di Haifa e diffusi in
varie altre località del paese38.

I PRIMI SALARIATI DELLE FERROVIE


Sappiamo molto poco dei ferrovieri in Palestina prima e durante la Prima guerra mondiale. La
maggioranza di essi era certamente composta da arabi, musulmani o cristiani, con alcune minoranze tra
cui gli armeni e anche pochi ebrei, questi ultimi specialmente durante il periodo bellico. L’estensione
della Ferrovia dell’Hijaz verso Haifa nel 1905 e l’allestimento in quella città di uffici e infrastrutture
portò alcuni ferrovieri siriani musulmani a stabilirsi in quella città nel rione Wadi Salib. Come vedremo,
tra essi vi furono i principali fondatori del movimento sindacale arabo alla metà degli anni ’20.
Sappiamo di più sul periodo immediatamente successivo alla guerra. In quegli anni le ferrovie
furono trasferite dal controllo militare a quello civile, e fu necessario assumere lavoratori, sia qualificati
che non, per rimpiazzare i soldati prima impiegati nel settore. Furono presi alcuni lavoratori europei non
ebrei per le posizioni di supervisione: non pochi capisquadra alle officine, per esempio, erano greci della
numerosa comunità greca residente in Egitto, mentre i funzionari erano inglesi. Ma il grosso della forza
lavoro nel periodo mandatario continuò ad essere formata da arabi, soprattutto di Palestina ma anche di
Siria ed Egitto. Molti lavoratori manuali non qualificati erano assunti in Egitto dagli inglesi e trasportati
in Palestina per svolgere le loro mansioni.
Una rudimentale società di mutuo soccorso sembra essersi formata tra i ferrovieri arabi già nel
1920, quando ad Haifa essi cominciarono a raccogliere fondi per sostenere i lavoratori malati o le
famiglie dei deceduti.
Dal 1919 in avanti, il settore dei ferrovieri includeva anche un piccolo ma crescente numero di
ebrei arrivati di recente in Palestina. Alcuni erano soldati smobilitati che avevano servito nell’esercito
inglese, ma la maggior parte erano giunti durante la Terza Aliyah (1918 – 23). Essi inizialmente furono
indirizzati verso il lavoro nelle ferrovie dalla Commissione Sionista, inviata in Palestina
dall’Organizzazione Sionista Mondiale nell’aprile 1918 per preparare l’immigrazione su vasta scala che
la Dichiarazione Balfour aveva finalmente reso possibile. Gli ebrei erano anche assunti attraverso gli
uffici di collocamento di Ahdut Haavoda e Hapoel Hatzair.
Per la Commissione Sionista e i partiti laburisti la collocazione dei nuovi arrivati nelle ferrovie era
naturalmente un mezzo per garantire loro il sostentamento, data la scarsità di impieghi in generale. Ma nel
quadro della campagna per la conquista del lavoro e del lavoro ebraico, la creazione di un forte nucleo di
ferrovieri ebrei era vista anche come la via per trasformare costoro in veri proletari, in grado di svolgere
anche il duro lavoro fisico. Inoltre si trattava di un settore percepito come strategico dal punto di vista
economico. Non stupisce quindi che il principale obiettivo attribuito alla Railway Workers’ Association
(RWA), costituita dai ferrovieri ebrei nel 1919, fosse la conquista del lavoro nelle ferrovie.

38
Paul Cotterell, The Railways of Palestine and Israel, 1984

40
La prima ondata di immigrati ebrei incanalati nel settore ferroviario non durò a lungo. Guardando
retrospettivamente a quel periodo nel gennaio 1921, la leadership della RWA affermò che per i funzionari
sionisti essenzialmente si trattava di

…provvedere a un’occupazione per i giovani appena arrivati, che cercavano invano un impiego.
Volevano liberarsi di loro, e li inviarono nelle ferrovie. Ma in realtà non era materiale umano adatto
a conseguire la conquista del lavoro, e coloro che li dirigevano non erano realmente interessati a
creare le condizioni per facilitare loro l’accesso a quel settore. Dunque di quelli che furono assunti,
poche centinaia in tutto, solo alcuni rimasero, quelli che – per la loro determinazione a garantire agli
ebrei un posto di ferroviere – avevano pazienza sufficiente per sopportare le difficilissime
condizioni39.

Pochi ebrei erano disposti a tollerare a lungo le paghe basse, gli orari lunghi, le condizioni dure e le
vessazioni padronali caratteristiche del lavoro del ferroviere in Palestina, e appena trovavano un altro
lavoro andavano altrove. La leadership sionista labursita fu sempre in conflitto tra l’interesse materiale
dei singoli lavoratori e l’obiettivo strategico di introdurre il lavoro ebraico in questa infrastruttura vitale.
Soltanto migliorando i salari e le condizioni di lavoro essa poteva sperare di portare un certo numero di
ebrei a lavorare nelle ferrovie. Ma queste migliorie si potevano avere soltanto attraverso la cooperazione
coi lavoratori arabi, e tale cooperazione avrebbe potuto in realtà rafforzare la posizione degli arabi nel
settore, visto che erano la stragrande maggioranza. Il movimento sionista non riuscì mai a risolvere i
maniera soddisfacente questa contraddizione.

PRIMI CONTATTI TRA FERROVIERI ARABI ED EBREI


Dai pochi ebrei che rimasero per un tempo durevole a lavorare nelle ferrovie venne creato il primo
sindacato ebraico del settore. La RWA, il cui congresso fondativo si tenne a Jaffa nel novembre-dicembre
1919 (un anno prima della nascita dell’Histadrut) sin dall’inizio ebbe delle difficoltà. Oltre al già citato
problema del turnover, vi erano anche le lotte tra i partiti per il controllo del neonato sindacato. Nel 1919
– 21 il Socialist Workers’ Party trovò notevole supporto tra i ferrovieri, ed entrò in conflitto con Ahdut
Haavoda. Vi furono contrasti anche tra il comitato centrale della RWA eletto dai lavoratori e il
funzionario incaricato dalla Commissione Sionista di controllarlo e di seguire la campagna per
l’assunzione di lavoratori ebrei. Nei primi tempi la RWA dipendeva economicamente dalla Comissione
Sionista, che forniva fondi per un banco alimentare, per lezioni di ebraico e inglese, libri e riviste.
Anche a questo primo stadio ridotto sorse la questione di come relazionarsi coi lavoratori arabi. La
questione era presente a livello più generale in tutto il movimento laburista, e come abbiamo visto il
primo esecutivo della neonata Histadrut il 30 dicembre 1920 la discusse a sua volta, decidendo di
procrastinarla. Di conseguenza anche i circa 30 delegati presenti al terzo congresso della RWA, che
rappresentavano circa 600 ferrovieri ebrei, non vi dedicarono troppo tempo. Decisero di entrare
all’Histadrut come blocco unico, e discussero di come far assumere più ebrei nelle ferrovie e migliorare le
condizioni di quelli che vi lavoravano.
Le cose però erano destinate a procedere. Nell’estate del 1921 i ferrovieri arabi di Haifa, dove
erano state trasferite le principali officine di riparazione, iniziarono ad avvicinare i loro colleghi ebrei
sindacalizzati. Le officine di Haifa all’epoca consituivano la più grande concentrazione di lavoro salariato
industriale di tutta la Palestina, con centinaia di ebrei, arabi e altri operai e tecnici uno a fianco all’altro.
Bulus Farah, che nel 1925 ancora quindicenne andò a lavorare lì come apprendista e poi divenne un
leader del movimento operaio arabo, ha lasciato un vivido resoconto di quel suo primo ambiente di
lavoro:

Le officine ferroviarie erano un misto di ogni nazionalità, ma i lavoratori arabi ed ebrei erano la
grande maggioranza. Una sorta di mutua comprensione prevaleva tra loro, a dispetto delle differenze
di lingua, costumi, tradizioni e livello di civiltà. La maggior parte degli ebrei veniva dall’Europa
orientale, soprattutto la Polonia, ed essi volevano impare l’arabo dai loro colleghi. La lingua comune
era l’arabo. C’erano alcuni ebrei europei che avevano fatto parte di movimenti socialisti, e quando il
sionismo interveniva direttamente negli affari dei lavoratori ebrei, arrivavano le risposte degli ebrei

39
Kuntres, 21 gennaio 1921
41
socialisti. C’erano violente discussioni tra i sostenitori della sinistra e quelli dell’Histadrut, aderenti
alla Seconda Internazionale; non erano discussioni astratte, ma relative all’atteggiamento verso il
movimento sionista, l’imperialismo inglese, il movimento nazionale arabo, la rivoluzione comunista in
Russia…i lavoratori ebrei guardavano ai loro colleghi arabi con il dovuto rispetto, poiché
riconoscevano che questi ultimi possedevano un alto livello di qualifica, sebbene non fossero
all’altezza degli ebrei in quanto a cultura40.

Forse la descrizione di Farah delle relazioni di ebrei e arabi è troppo rosea, ma sembra che
effettivamente le officine ferroviarie di Haifa fossero un luogo di lavoro particolare, per certi versi unico
in tutta la Palestina.
Nell’estate e autunno 1921 si tenne una serie di incontri nelle abitazioni dei ferrovieri arabi, in cui
questi ultimi espressero ai leader sindacali ebrei la volontà di creare un’organizzazione congiunta di tutti i
ferrovieri della Palestina, e anche di unirsi all’Histadrut. I membri della RWA, piuttosto confusi, si
rivolsero all’Histadrut per sapere cosa rispondere. In quel periodo la questione della “organizzazione
congiunta” era nel pieno del dibattito. Nel gennaio 1922, dovendo dare qualche indicazione ai ferrovieri,
il consiglio dell’Histadrut approvò la proposta di Ben-Gurion che un’organizzazione congiunta tra i
ferrovieri implicasse “organizzazione dei lavoratori sulla base di sezioni nazionali” e “mantenimento
della Jewish Railway Workers’ Association come parte dell’Histadrut”. Ogni lavoratore arabo che avesse
aderito alla RWA sarebbe dunque entrato in una sezione separata, mentre la sezione dei ferrovieri ebrei
sarebbe stata direttamente legata all’Histadrut.
Questa concezione venne criticata dalle forze della sinistra dentro l’Histadrut e tra i ferrovieri
ebrei, soprattutto quelli delle officine di Haifa dove Poalei Zion Smol e i comunisti avevano una notevole
presenza. Occorre tenere presente che i ferrovieri delle officine erano salariati urbani, lavoravano in un
ambiente etnicamente misto e in una città portuale che si avviava ad essere il principale centro industriale
della Palestina; per loro lo stato coloniale – il governo mandatario e le Palestine Railways da esso
dipendenti – era il diretto responsabile dello sfruttamento che subivano, il che li rendeva sensibili alle
posizioni più radicali delle forze politiche di sinistra.

RICERCA DELL’UNITA’ E SABOTAGGIO SIONISTA


Nel febbraio 1922, circa un mese dopo che l’Histadrut aveva avallato la politica delle sezioni
nazionali, si riunì ad Haifa il quarto congresso della RWA. Tutti i delegati concordarono sull’urgente
necessità di un’organizzazione congiunta coi lavoratori arabi, e una consistente minoranza rifiutò le
direttive dell’Histadrut su quale forma detta organizzazione dovesse assumere. Il congresso, in cui Ahdut
Haavoda e Hapoel Hatzair avevano la maggioranza, alla fine approvò l’indicazione dell’Histadrut di
creare delle sezioni nazionali, ma con la precisazione, gradita alla sinistra, che finchè non vi fossero stati
abbastanza lavoratori per creare una sezione araba, la RWA avrebbe accolto gli arabi come membri
effettivi.
Nei mesi che seguirono, alcuni lavoratori arabi di Haifa iniziarono a lavorare a stretto contatto con
il sindacato ebraico, nel frattempo ribattezzato Union of Railway, Postal and Telegraph Workers
(URPTW), sebbene nessuno di loro pagasse la quota in quanto membro effettivo. Sembra che uno dei
fattori dell’avvicinamento degli arabi sia stato anche la serie di licenziamenti che investirono le ferrovie
nel 1922 e aumentarono il malumore degli addetti, già elevato per le paghe e le condizioni di lavoro.
Per la prima volta, il sindacato e l’Histadrut provarono a intervenire presso il management e il
governo in supporto dei lavoratori arabi e non solo degli ebrei che avevano perso il lavoro. Sebbene
soltanto alcuni lavoratori fossero reintegrati, l’attivismo del sindacato aumentò il suo prestigio presso i
lavoratori arabi. Nell’autunno del 1922 vi era una forte pressione da parte dei dipendenti sia arabi che
ebrei per uno sciopero contro i licenziamenti e gli abusi dei capisquadra, ma l’esecutivo dell’Histadrut
non fu d’accordo, soprattutto per considerazioni politiche. Disse Ben-Tzvi a una riunione:

Supponiamo che abbia successo, che accada il miracolo e che tutti gli arabi scendano in sciopero.
Diciamo che le cose andranno bene, e allora cosa chiederemo? Che Moshlin41 venga licenziato! E al
suo posto arriverà un arabo, o un inglese. Pochi giorni fa i ferrovieri ebrei hanno chiesto l’assunzione

40
Bulus Farah, Min al-'uthmaniyya ila al-dawla al-'ibriyya, 1984
41
Si trattava di un funzionario ebreo che l’Histadrut aveva fatto assumere nelle ferrovie ma che era assai malvisto.
42
di un funzionario ebreo, e ora sciopereranno per chiedere il licenziamento di un funzionario ebreo?
Tutte le decisioni riguardo a uno sciopero sono errate, la cosa non è fattibile da alcun punto di vista42.

Ben-Tzvi disse ai sindacalisti, che erano convinti attraverso lo sciopero di poter paralizzare le
ferrovie, di tenere calmi i lavoratori.
Ciononostante, il 1923 vide una nuova fase di attività politica e organizzativa da parte dei
ferrovieri. Il malcontento crebbe ulteriormente in seguito a una serie di licenziamenti senza preavviso e
senza indennità di licenziamento, all’incremento della giornata lavorativa fino a un massimo di sedici ore,
alla revoca del diritto a scegliere il giorno di riposo in base alla confessione religiosa, e alle vessazioni
continuate da parte di manager e capisquadra. Quando nel gennaio 1923 un gruppo di licenziati ebrei e
arabi autorizzarono formalmente due ebrei a chiedere alla direzione l’indennità di licenziamento, il
General Manager delle Palestine Railways, R.B.H. Holmes, rispose con sarcasmo:

A quanto mi risulta non vi è stata nessuna offerta da parte di questa Ferrovia che vi inducesse a
lasciare le vostre case in Europa per cercare lavoro in Palestina…Presumibilmente i lavoratori che
rappresentate sono venuti in Palestina sotto l’egida della Commissione Sionista e dunque
quell’organismo provvederà alla ricerca per loro di un nuovo impiego, dunque siete in una condizione
migliore dei vostri fratelli che abitano in Palestina da sempre e non hanno una Commissione che li
tuteli. Purtroppo è impossibile corrispondere l’indennità di licenziamento a personale che ha lavorato
in azienda per un periodo troppo breve43.

Questa lettera sprezzante, tipica dell’atteggiamento della direzione verso i sottoposti, servì solo a
esacerbare gli animi. Nei mesi successivi crebbe il numero degli arabi che partecipavano a incontri di
protesta promossi dalla URPTW e lavoravano a stretto contatto con quel sindacato. Venne chiesto
all’Histadrut di fornire un interprete arabo per facilitare le discussioni, e questa alla fine mise a
disposizione Avraham Khalfon. Le discussioni si svolgevano alla sede della URPTW e poi anche in un
vicino caffè arabo. Uno dei primi arabi a entrare in contatto in questo modo fu Ibrahim al-Asmar, un
caposquadra della sezione carri merci. Al-Asmar coinvolse un altro caposquadra, Ali al-Batal, calderaio.
Alla sede della URPTW iniziarono a tenersi conferenze sul sindacalismo, tradotte in arabo, e lezioni di
arabo ed ebraico, oltre a eventi sociali e culturali.
Il crescente coinvolgimento degli arabi rafforzò le posizioni e l’attività delle forze alla sinistra di
Ahdut Haavoda. Nel giugno del 1923 Ben-Tzvi venne a sapere che i comunisti del PCP stavano cercando
di convincere i ferrovieri a mettere il sindacato fuori dall’Histadrut. A luglio Ben-Tzvi e Ben-Gurion
intervennero personalmente per far cancellare la minaccia di sciopero dalla versione araba di un
documento di protesta redatto da lavoratori dell’area di Jaffa – Lydda.
Il confronto politico giunse al culmine in occasione del quinto congresso della URPTW, tenutosi
ad Haifa nel settembre 1923, al quale parteciparono 21 delegati ebrei in rappresentanza di 200 – 250
lavoratori sindacalizzati. Di questi circa 130 lavoravano ad Haifa, circa 50 a Gerusalemme e gli altri in
altre stazioni e linee. La forza lavoro totale nelle ferrovie all’epoca era di circa 2.000 addetti. La scarsa
percentuale di lavoratori ebrei faceva rendeva più necessaria che mai l’unità arabo-ebraica, e favorì le
posizioni di Poalei Zion Smol e del PCP. Per la prima volta due arabi – Ibrahim al-Asmar e Ali al-Batal –
presenziarono al congresso, in qualità di osservatori. Alcuni alti dirigenti dell’Histadrut, tra cui Ben Tzvi,
parteciparono al dibattito.
Fu presentata la richiesta della sinistra di cancellare la decisione del quarto congresso sulle sezioni
sindacali separate, e i comunisti chiesero l’uscita della URPTW dall’Histadrut. Quest’ultima richiesta
ricevette un sostegno limitato, e il congresso alla fine adottò una risoluzione di Poalei Zion Smol che
riaffermava l’affiliazione all’Histadrut ma chiedeva al successivo congresso di quest’ultima di
organizzare la propria attività sindacale su base interetnica (ovvero ammettendo gli arabi). Se l’Histadrut
non avesse fatto ciò, i ferrovieri avrebbero tenuto un referendum per decidere il distacco.
Il quinto congresso segnò dunque un’avanzata delle posizioni della sinistra rispetto a quelle di
Ahdut Haavoda. Questo fu chiaro nel nuovo statuto dell’URPTW, nel quale non si parlava di sezioni
nazionali ma si dichiarava che alla base del sindacato vi era “la lotta di classe”. Tuttavia Ahdut Haavoda

42
Verbali dell’esecutivo dell’Histadrut
43
Histadrut Archives
43
non rimase certo ai margini. Il più forte partito sionista laburista manteneva un consistente supprto tra i
ferrovieri ebrei, alcuni dei quali segretamente erano anche membri dell’Haganah, l’organizzazione
militare clandestina controllata dall’Histadrut (e in particolare da Ahdut Haavoda).

LOTTA PER L’UNITA’ E CAMPAGNA ANTICOMUNISTA DELL’HISTADRUT


La successiva tappa del conflitto tra internazionalismo e sionismo all’interno del sindacato dei
ferrovieri fu il consiglio dell’URPTW tenutosi nel marzo 1924. Sia Ben-Gurion che Ben-Tzvi erano
presenti come rappresentanti dell’Histadrut, a indicare l’importanza attribuita dalla leadership alla
questione. Erano presenti anche sei rappresentanti dei lavoratori arabi, non come osservatori silenziosi ma
come partecipanti attivi. Uno di loro, Ilyas Asad, presentò chiaramente il loro punto di vista nel suo
indirizzo al consiglio:

Sto cercando di stabilire legami tra lavoratori ebrei e arabi perché sono certo che se siamo uniti
possiamo aiutarci l’un l’altro, senza distinzione di religione e nazionalità. Molti lavoratori arabi non
vogliono unirsi alle organizzazioni nazionaliste perché comprendono i loro scopi e non vogliono
essere presi in giro. Hanno visto sulla tessera le parole “Federazione dei Lavoratori Ebrei” e non
capiscono a cosa serve questo. Chiedo a tutti i compagni di rimuovere la parola “ebrei”, e sono
sicuro che se essi saranno d’accordo si creerà uno stretto legame tra loro e noi. Io sono il primo a
non voler aderire a un’organizzazione operaia nazionalista. Ci sono molte organizzazioni nazionaliste
arabe, e noi non vogliamo unirci a loro…Le migliaia di iscritti che hanno formato l’Histadrut non
hanno fatto nulla in favore dei lavoratori, e il motivo è che sulle loro tessere c’è scritta la parola
“ebrei”, e ciò comporta divisioni e gelosie. Se si toglie quella parola potremo unirci e lavorare
insieme44.

Gli altri delegati arabi ripresero le parole di Asad, e molti delegati ebrei si mostrarono d’accordo
con le loro vedute. Un allarmato e adirato Ben-Gurion rispose difendendo strenuamente la posizione di
Ahdut Haavoda, come abbiamo già visto nel cap.2.

Per i lavoratori ci sono ambiti di interesse comune nei quali non vi è differenza tra ebreo e arabo, o
tra inglese e francese. Sono le cose che riguardano il lavoro: orari, salari, rapporti col padrone,
tutela dagli infortuni, diritto a organizzarsi eccetera. In tutti questi ambiti noi lavoriamo insieme. E vi
sono interessi che sono specifici dei lavoratori di ogni nazione, interessi specifici ma non
contraddittori che riguardano la cultura, la lingua, la libertà del popolo etc. In tutti questi ambiti ci
deve essere la completa autonomia e uguaglianza per i lavoratori di ciascuna nazione.
Il compagno Ilyas ha detto correttamente che gli arabi non vogliono entrare in organizzazioni
nazionaliste i cui obiettivi suonerebbero falsi per gli interessi dei lavoratori. E noi non stiamo
chedendo ai lavoratori arabi di unirsi a un’organizzazione nazionalista, ma di collegarsi
all’Histadrut. Non vogliamo che il lavoratore arabo sia alieno dal suo popolo e dalla sua lingua…45

Proseguì dicendo che se avesse lasciato l’Histadrut la URPTW sarebbe stata debole e senza
influenza.
Il consiglio decise innanzitutto di chiedere all’Histadrut di creare una cooperativa di consumo e un
fondo di credito, di fornire insegnanti di lingua ebraica, araba e inglese, di sovvenzionare le pubblicazioni
dei ferrovieri e di trovare un lavoro ai licenziati. Poi richiese all’esecutivo dell’Histadrut di fissare un
incontro in cui i sindacati ad essa aderenti gettassero le basi di una confederazione separata – una variante
della linea della separazione delle funzioni proposta da Poalei Zion Smol. Infine deliberò la creazione di
una comissione speciale, formata da membri del comitato centrale della URPTW e da capi operai arabi,
per negoziare un accordo sull’organizzazione congiunta. Dal punto di vista della leadership
dell’Histadrut, le cose andavano molto male. Dopo queste deliberazioni il segretario del consiglio operaio
di Haifa scrisse al quartier generale a Tel Aviv che “Sarà necessario spaccare il sindacato dei
ferrovieri”46.

44
Kuntres, 14 marzo 1924
45
Kuntres, 14 marzo 1924
46
Fonte ebraica
44
Nella primavera del 1924 40 arabi avevano aderito formalmente alla sezione di Jaffa – Lydda della
URPTW, ed era stata riattivata la sezione di Al-Qantara, composta soprattutto da lavoratori egiziani.
Molti ferrovieri arabi ed ebrei fecero sciopero il giorno del Primo maggio, nonostante le minacce del
management di taglio della paga. Ma ad Haifa i decisivi negoziati tra i sindacalisti ebrei e i capi operai
arabi andavano a rilento. In una lettera ai loro colleghi ebrei, gli arabi insistevano di non potersi aggregare
a un sindacato i cui scopi non erano quelli della lotta di classe ma erano in realtà quelli del sionismo. In
alternativa proponevano la formazione di un nuovo sindacato “slegato da ogni federazione o
organizzazione e le cui attività, posizioni e idee fossero libere da ogni influenza esterna”47. La direzione
della URPTW respinse la proposta, e il segretario (aderente ad Ahdut Haavoda) disse privatamente che il
sindacato avrebbe dovuto smettere di negoziare e iniziare a reclutare membri arabi direttamente.
In questa situazione di stallo i membri comunisti della URTPW decisero di fare pressione sulla
direzione affinchè accettasse la richiesta araba che il sindacato fosse non-sionista, indipendente e
internazionale. Proprio nel contempo, nell’aprile del 1924, l’Histadrut aveva dichiarato i comunisti
“nemici del popolo ebraico” e della classe operaia ebraica in Palestina e aveva lanciato una campagna per
espellerli dall’Histadrut. Nel febbraio il PCP era stato formalmente accettato come sezione palestinese
della Terza Internazionale. I comunisti in Palestina, che erano pressoché tutti ebrei, a questo punto
chiedevano apertamente la fine dell’immigrazione ebraica in Palestina, la rottura col sionismo e la
formazione di un’allenza rivoluzionaria coi lavoratori e contadini arabi. Nell’autunno dello stesso anno il
PCP animò la resistenza all’espulsione dei contadini palestinesi di Afula, contro l’agenzia sionista che
aveva acquistato la loro terra dai latifondisti arabi. In Unione Sovietica nel contempo montava una
campagna contro gli attivisti sionisti laburisti, con arresti e soppressione delle loro organizzazioni48.
La campagna dell’Histadrut contro il PCP si intrecciò quindi con i tentativi della URPTW di
creare l’unità coi lavoratori arabi. Nel maggio 1924 degli attivisti comunisti del sindacato invitarono
alcuni lavoratori arabi a un incontro, dichiarando che loro accettavano le proposte arabe di unità. Di certo
Moshe Ungerfeld, comunista e membro sia del comitato centrale della URPTW che della commissione
speciale per l’organizzazione congiunta, fu presente a quell’incontro. La leadership del sindacato si offese
per questa apparente insubordinazione, e per punizione una sua commissione disciplinare decretò
l’espulsione per un anno di sette sindacalisti del PCP che avevano organizzato l’incontro.
Tuttavia la direzione della URPTW a sua volta non obbedì all’ordine dell’Histadrut di espellere
tutti i comunisti dal sindacato, rifiutando ad esempio di cacciare, come chiesto dal Consiglio operaio di
Haifa, altri due membri del PCP. Moshe Ungerfeld respinse le accuse che gli venivano mosse di aver
“avvelenato la mente degli arabi” parlando loro male del sindacato dei ferrovieri e dell’Histadrut:

La situazione non è così negativa come viene descritta, e non è la Frazione49 che è responsabile
della situazione attuale; la Frazione è interessata più di altri ad avere gli arabi nel sindacato. Non
siamo noi che abbiamo parlato loro dell’Histadrut, sono loro che hanno visto ciò che era scritto sulle
tessere, e dunque si sono posti la questione di aderire a un’organizzazione ebraica…C’è un problema
fra voi, non sapete come risolverlo, e ve la prendete con altri50.

La tendenza a prendersela con gli “agitatori esterni” era in realtà tipica dell’atteggiamento sionista
laburista verso gli arabi. Questi ultimi erano spesso percepiti come soggetti passivi, suscettibili di
manipolazione da parte di attori esterni senza scrupoli (i comunisti, gli effendi, i religiosi etc.) e illuminati
invece dai sionisti laburisti che portavano loro la coscienza di classe e la vera cultura proletaria. Era
difficile per loro considerare gli arabi come esseri umani ragionevoli e in grado di risolvere da soli i
problemi relativi all’organizzazione congiunta.
Vi era anche un’altra importante dimensione culturale nella percezione sionista laburista degli
arabi. Pochissimi ebrei in Palestina si sforzavano di imparare l’arabo, di prendere confidenza con le
usanze della popolazione indigena e di sviluppare relazioni personali con loro. Yehezkel Avramov,
fedelissimo di Ahdut Haavoda che fu per anni segretario del sindacato del ferrovieri, si lamentava
dell’impossibilità di insegnare ai lavoratori ebrei a riferirsi agli arabi chiamandoli per nome. Al contrario,

47
Histadrut Archives
48
Ilan Greilsammer, Les Communistes Israéliens, 1978
49
La frazione comunista in seno alla URPTW
50
Histadrut Archives
45
sia in pubblico che in privato essi erano indicati generalemente con l’appellativo yiddish “der araber”.
Nonostante le esortazioni di Abramov a “sedersi vicino ai goyim” durante le pause, i suoi colleghi ebrei
spesso se ne stavano tra di loro.
Alla fine la leadership dell’Histadrut ebbe buon gioco nella purga dei comunisti. Quando questi
ultimi organizzarono un incontro di ferrovieri per protestare contro l’espulsione dei sette attivisti del PCP,
la direzione della URPTW votò la sospensione del proprio membro aderente quel partito. Questo episodio
segnò la fine di un’influenza effettiva del PCP nella direzione del sindacato dei ferrovieri, e presto si
arrivò al punto che la propaganda comunista nel settore significava il rischio di espulsione e di perdita del
posto di lavoro. Questo spinse il PCP a intensificare gli sforzi di collaborazione con gli arabi, per trovare
in loro il sostegno all’opposizione al sionismo.

APICE DELL’UNITA’ ARABO-EBRAICA


Nonostante la rimozione dei comunisti da alcuni posti chiave nella URPTW, nella seconda metà
del 1924 l’attenzione alla questione dell’organizzazione congiunta fu più viva che mai. Nella riunione del
comitato centrale del giugno 1924 si decise di sciogliere la inutile commissione speciale creata pochi mesi
prima e di occuparsi direttamente del tema. Furono stampati opuscoli e altro materiale in arabo, i membri
del comitato centrale organizzarono incontri nelle varie sezioni nel paese, e i lavoratori ebrei furono
incoraggiati a sviluppare legami coi loro colleghi arabi, privatamente o in pubblico, e a creare comitati
locali che proponessero piani di reclutamento dei lavoratori arabi.
Non abbiamo traccia in questo periodo di un accordo scritto tra ferrovieri arabi ed ebrei. E’
probabile tuttavia che le due parti siano giunte a un’intesa per cui l’organizzazione doveva essere
interetnica, senza sezioni nazionali separate e con la cooptazione degli arabi nella direzione, su base
paritaria. Il sindacato avrebbe dovuto chiedere all’Histadrut di riorganizzarsi in senso non-sionista, come
federazione di sindacati misti arabo-ebraici, e in caso di risposta negativa sarebbe uscito dall’Histadrut.
Alcuni leader ferrovieri arabi si opposero all’unità su queste basi, insistendo invece sull’idea della
creazione di una nuova organizzazione sindacale completamente indipendente. Essi non vollero lavorare
per l’unità prima che la questione dell’Histadrut e del sionismo venisse affrontata definitivamente,
tuttavia salutarono con favore l’afflusso di un consistente numero lavoratori arabi.
Alla fine del 1924 infatti alcune centinaia di arabi si erano iscritti all’URTPW. Se le cifre non
sono errate il sindacato contava all’epoca 529 iscritti, su un totale di ferrovieri di circa 2.400. Quasi tutti i
ferrovieri ebrei erano membri della URPTW, mentre lo erano solo il 10 – 15% degli addetti arabi. Nelle
sezioni di Gerusalemme e di Jaffa – Lydda la composizione era circa metà ebrei e metà arabi; ad Al-
Qantara quasi tutti gli iscritti erano egiziani; ad Haifa due terzi erano ebrei e un terzo arabi. Al di là dei
numeri precisi si trattava senza dubbio di un sindacato arabo-ebraico alla pari.
Nell’ottobre 1924 la leadership del sindacato, ancora tutta ebraica, come concordato coi colleghi
arabi lanciò una campagna per la ristrutturazione dell’Histadrut. In una circolare inviata a tutte le sezioni
il comitato centrale annunciò di iniziare una lotta per separare le attività di insediamento sionista
dell’Histadrut dalle attività sindacali, strutturando queste ultime su base territoriale e interetnica.

Data l’attuale struttura dell’Histadrut, non vi è alcuna possibilità per il lavoratore arabo di aderire
a un’organizzazione di “lavoratori ebrei” finchè non siano compiute le modifiche necessarie…Anche
oggi un gran numero di lavoratori arabi rifiutano di entrare nel nostro sindacato pochè esso è
affiliato all’Histadrut. Finchè il nostro sindacato non aveva un ampio numero di lavoratori
arabi…questa questione non poteva essere posta chiaramente e noi non avevamo il diritto di chiedere
cambiamenti. Ora ci troviamo di fronte al dato di fatto che il nostro sindacato è interetnico, ed è
impossibile per esso far parte dell’Histadrut. Perciò, per conseguire l’unità con i lavoratori arabi in
ogni settore di lavoro, noi riteniamo opportuno che innanzitutto il nome dell’Histadrut debba essere
modificato51.

Questa circolare suscitò un acceso dibattito nell’Histadrut sulla questione dell’organizzazione


congiunta e sulla separazione delle funzioni come via per arrivarci. I sostenitori di Ahdut Haavoda
accusarono la direzione della URTPW di essere così accecati dalla prospettiva dell’unità arabo-ebraica da

51
Histadrut Archives
46
avere dimenticato i loro obiettivi nazionali (ovvero sionisti). Un membro di Ahdut Haavoda diede una
spiegazione sociologica del radicamento delle forze di sinistra tra i ferrovieri:

Questi posti di lavoro sono stati quasi totalmente abbandonati dagli elementi con aspirazioni
pionieristiche. L’elemento prevalente ora è influenzato da partiti che non hanno sostegno nelle
officine e nelle imprese del lavoro ebraico, perché l’idea pionieristica per loro è perniciosa52.

La direzione sindacale e i suoi sostenitori risposero alle critiche con argomenti pragmatici,
insistendo che “senza organizzazione congiunta non possiamo sopravvivere” e che l’idea delle sezioni
nazionali separate semplicemente si era rivelata impercorribile.
Dentro il sindacato l’influenza del membri arabi portò a una ristrutturazione. Nel novembre 1924
fu formalmente deciso che gli organi eletti sarebbero stati metà arabi e metà ebrei, e gli arabi furono
cooptati nel comitato centrale. Tuttavia il percorso verso l’unità non fu del tutto lineare poiché la
questione del sionismo riaffiorò nuovamente. Alla prima riunione del comitato centrale unitario uno dei
membri arabi, Hasanayn Fahmi, un impiegato egiziano, fece due domande ai suoi colleghi ebrei: chiese se
vi era un legame tra il sindacato dei ferrovieri e il movimento sionista e se i membri ebrei del comitato
centrale fossero essi stessi sionisti.
Dopo un consulto tra loro, i membri ebrei del comitato risposero che il sindacato aveva obiettivi
economici e non politici, senza legami col sionismo; chiunque avesse voluto introdurre questioni politiche
sarebbe stato espulso. Alla seconda domanda di Fahmi risposero: “Come noi non ti chiediamo chi sei, a
che partito appartieni, quali opinioni politiche hai, così tu non hai diritto di chiederci queste cose…”. Gli
ebrei pensavano che le loro risposte fossero adeguate, ma di fatto erano piuttosto evasive, dal momento
che la URTPW era affiliata all’Histadrut, che era un’ente chiave per il progetto sionista in Palestina.
Pochi giorni dopo Hasanayn Fahmi, evidentemente assai poco soddisfatto delle risposte ricevute,
pubblicò una lettera sul giornale in lingua araba al-Nafir in cui riproponeva le domande e chiedeva ai
ferrovieri arabi di lasciare il sindacato perché esso in realtà era un’organizzazione sionista. Solo pochi
iscritti pare abbiano seguito le sue indicazioni, ma la questione era chiaramente aperta e influenzò le
deliberazioni del consiglio sindacale nel gennaio 1925.
I 25 delegati che parteciparono a questo consiglio, tenutosi ad Haifa, erano composti dai 9 membri
del comitato centrale più 9 ebrei e 7 arabi in rappresentanza delle varie sezioni territoriali. Anche tre alti
dirigenti dell’Histadrut – Ben-Gurion e Ben Tzvi per Ahdut Haavoda e Chaim Arlosoroff per Hapoel
Hatzair – vi presero parte, sperando di bilanciare l’influenza di Poalei Zion Smol e dei suoi alleati arabi.
La discussione fu dominata dalla questione della relazione del sindacato con l’Histadrut, con la
maggioranza dei delegati ebrei a chiedere la separazione delle funzioni.
I dirigenti dell’Histadrut furono costernati dal radicalismo di alcuni delegati ebrei, uno dei quali
arrivò a distinguere i “proletari sionisti” dai “borghesi sionisti” che “espropriavano gli arabi”53. Uno dei
delegati arabi, Ahmad al-Nimr, dichiarò che “le promesse dell’esecutivo dell’Histadrut
sull’organizzazione congiunta sono come le promesse di Balfour”. In risposta, Ben-Gurion si rivolse
innanzitutto ai delegati ebrei. Il suo discorso venne tradotto in arabo da Avraham Khalfon, che 50 anni
dopo avrebbe ammesso che la sua traduzione “alterò completamente il discorso di Ben-Gurion”.

Perché se io avessi tradotto ciò che egli diceva, sono sicuro che quasi tutti gli arabi se ne sarebbero
andati. Egli fu molto duro. Da un punto di vista ebraico fu eccellente, ma se fosse convincente o no
per gli arabi è un’altra questione. Così edulcorai i contenuti del suo discorso. Vidi per quanto tempo
parlava e poi parlai anch’io per circa mezzora. Nella pausa successiva Ben-Tzvi venne da me e mi
baciò: “Bravo, grazie!”. Né Ben-Gurion né Arlosoroff pensavano che avessi cambiato qualcosa, ma
lui lo sapeva54.

In realtà il discorso di Ben-Gurion non fu particolarmente duro: era una chiara esposizione della
linea dell’Histadrut a favore delle sezioni nazionali separate nei luoghi di lavoro e sindacati misti. Forse
Khalfon pensò che fosse troppo duro il riferimento esplicito di Ben-Gurion all’immigrazione,

52
Kuntres, 7 novembre 1924
53
Kuntres, 16 gennaio 1925
54
Histadrut Archives
47
all’insediamento e alla lingua ebraica come argomenti per cui l’Histadrut doveva rimanere essenzialmente
ebraica.
Il consiglio comunque non diede retta alla dirigenza dell’Histadrut e con una maggioranza di 18
voti contro 7 proclamò la formazione di un sindacato territoriale e interetnico di tutti i lavoratori di
ferrovie, poste e telegrafi, senza distinzione di razza, religione o nazionalità. Una seconda risoluzione
chiedeva che l’imminente congresso dell’Histadrut provvedesse a rendere interetniche tutte le federazioni
sindacali. La maggioranza dei 18 votanti fu composta dai 9 del comitato centrale, i 7 arabi e 2 dei delegati
ebrei delle sezioni. Per Ben-Gurion e i suoi questo voto rappresentò un oltraggio; i leader dell’Histadrut
gridarono che solo gli ebrei avevano il diritto di votare sulla relazione tra il sindacato e l’Histadrut e
respinsero i risultati come non validi. Ma Yehezkel Abramov fece presente a Ben-Gurion che non era
corretto permettere dapprima agli arabi di votare e poi non riconoscere le decisioni del consiglio perchè
scaturite da una maggioranza ottenuta con l’appoggio decisivo degli arabi.
Comunque Ahdut Haavoda poteva ancora contare sul fatto che la sinistra non aveva una
maggioranza consistente tra i ferrovieri ebrei fuori Haifa (infatti 5 su 7 delegati ebrei delle sezioni
avevano votato contro), e inoltre una consistente minoranza dei lavoratori ebrei delle poste e dei telegrafi
non era soddisfatta delle decisioni e ipotizzava una scissione dal sindacato. Il consiglio votò una
risoluzione che riconosceva queste posizioni e intendeva aumentare gli sforzi per rinsaldare i rapporti con
la minoranza all’interno del sindacato. Infine, su una questione ci fu poco disaccordo: i delegati, inclusi
tutti gli arabi, votarono a favore della conferma dell’espulsione di Moshe Ungerfeld del PCP. Alla fine
dei lavori sette arabi (cinque di Haifa tra cui Ibrahim al-Asmar e Alì al-Batal, uno di Jaffa – Lydda e uno
di Al-Qantara), furono ufficialmente eletti nel comitato centrale del sindacato.

MOTIVAZIONI DELLA SCISSIONE


Retrospettivamente, il consiglio della URPTW del gennaio 1925 fu il più alto grado di unità
sindacale arabo-ebraica raggiunto dai ferrovieri. Nei mesi successivi buona parte degli arabi che avevano
aderito se ne andarono, e ad Haifa prese forma un nuovo sindacato esclusivamente arabo. Le circostanze
in cui maturarono questi sviluppi sono poco chiare, ma è molto probabile che la ragioni principale
dell’accaduto sia stata ancora il legame della URPTW col movimento sionista.
Ci sono diverse versioni di ciò che accadde nella prima metà del 1925, la maggior parte delle quali
riflette il punto di vista e l’appartenenza di chi la fornisce. La maggior parte dei dirigenti sindacali ebrei
accusarono i comunisti del PCP di avere sabotato l’unità dicendo agli arabi che la URPTW era un
sindacato “sionista – sciovinista”. Nell’agosto del 1925 il sindacato espulse trenta iscritti comunisti
sostenendo che la propria tolleranza nei loro confronti era stata ripagata con il tradimento e la
sovversione.
A questo riguardo, non c’è dubbio che il PCP avesse aspramente denunciato la dirigenza sindacale
e la sua fedeltà al sionismo e all’Histadrut. Ciononostante è evidente che l’abbandono degli arabi non
possa essere attribuito innanzitutto all’agitazione comunista, se non altro perché la critica al sionismo da
parte del PCP andava avanti da lungo tempo, ben prima del 1925. Questa idea presente tra i dirigenti
sindacali è ancora una volta frutto della percezione degli arabi come soggetti passivi e facilmente
manipolabili, e incapaci di prendere decisioni autonome.
Inoltre questa spiegazione, ricorrente nella letteratura sionista laburista sull’episodio, è
ulteriormente ridimensionata dal fatto che tra la fine del 1924 e l’inizio del 1925 i comunisti in realtà non
chiesero agli arabi di lasciare il sindacato. Al contrario: essi ripetutamente invitarono i lavoratori arabi a
restarvi, o a iscriversi se non l’avessero ancora fatto, per lottare contro la leadership sionista. Per esempio,
nel dicembre 1924 alcuni articoli del bisettimanale in arabo del PCP, Haifa, scrivevano che sia i sionisti
che gli effendi erano contrariati per il fatto che i ferrovieri arabi si iscrivessero alla URPTW. Le due
fazioni, scriveva Haifa, erano “perfettamente d’accordo nella campagna contro l’unità e la solidarietà
operaia e la grande organizzazione che ha sconfitto le vecchie inimicizie e divisioni, ora completamente
sparite”55. Un mese dopo, nel gennaio 1925, un articolo firmato da “un ferroviere” respingeva
esplicitamente l’appello di Hasanayn Fahmi affinchè i lavoratori arabi lasciassero la URPTW.

55
Haifa, 1 dicembre 1924
48
Abbandonando il sindacato noi rafforziamo la posizione dei sionisti al suo interno; essi sono
contenti dell’abbandono perché così non hanno più un’opposizione interna per le loro attività
politiche…Dobbiamo tentare di assumere la leadership del sindacato per renderlo un’organizzazione
che faccia gli interessi di tutti i lavoratori, sia arabi che ebrei. Vi è un ampio numero di compagni
ebrei che sono pronti ad aiutarci con lealtà e sincerità56.

Pochi mesi dopo, dopo che molti arabi avevano abbandonato e dopo che Haifa aveva espresso
parere favorevole alla costituzione di un sindacato arabo separato, il giornale pubblicò una lettera di
Moshe Ungerfeld contro il separatismo, che affermava che era scorretto chiamare la URPTW “sionista”
solo perché la dirigenza era sionista, e chiamava gli arabi a unirsi agli ebrei progressisti nel lotta per il
controllo di quel sindacato.
Secondo vari storici ebrei, inoltre, il management delle Palestine Railways, che aveva
sottovalutato il pericolo della costituzione di un sindacato interetnico, decise dalla fine del 1924 di
adottare una strategia sofisticata per distruggerlo. Invece di mostrare totale ostilità nei suoi confronti,
acconsentì a incontrare i suoi rappresentanti e per la prima volta riconobbe che molte delle richieste dei
ferrovieri erano giustificate. Allo stesso tempo, però, fece in modo di dividere i lavoratori ed emarginare
il sindacato. Ad esempio, concesse aumenti di paga a quei lavoratori che erano maggiormente graditi ai
capisquadra. Gli impiegati come categoria ricevettero un aumento a condizione che non facessero causa
comune con gli altri addetti. I lavoratori arabi non iscritti al sindacato furono a loro volta compensati con
paghe più alte e tutela dai licenziamenti. Anche il ruolo del management comunque non può essere
indicato come il principale fattore che determinò la fuoriuscita degli arabi dalla URTPW.
Sarebbe importante andare a vedere che cosa i lavoratori e i sindacalisti arabi dissero e scrissero in
queste circostanze, ma le fonti da questo punto di vista sono scarse, almeno quelle del movimento sionista
laburista. Sembra comunque che le questioni sollevate da Hasanayn Fahmi su al-Nafir nel novembre
1924 abbiano toccato un punto dolente, che le decisioni del consiglio sindacale del gennaio successivo
non riuscirono a risolvere. Come scrisse Haifa, probabilmente i dirigenti arabi sentivano che “i principi
fondativi di questo sindacato non erano basati sugli interessi dei lavoratori e il miglioramento delle loro
esistenze, ma piuttosto sulla diffusione tra i lavoratori degli obiettivi del sionismo”57.
Resoconti arabi della scissione parlano di “prevaricazioni” e “doppiezza” da parte dei dirigenti
sindacali ebrei. Un articolo su Haifa pubblicato alla fine di aprile 1925 fa esplicito riferimento a Avraham
Khalfon, che come abbiamo visto aveva falsato il discorso di Ben-Gurion almeno in un’occasione,
suggerendo che i sindacalisti arabi si sentivano spesso ingannati dai loro colleghi ebrei. La differenza
nella lingua tra gli arabi e gli ebrei, notava Haifa, implicava “necessariamente un interprete per risolvere
le questioni; ma questo incaricato, non un ferroviere, era dalla parte del sionismo…ne favoriva
l’influenza e lo faceva entrare nelle questioni sindacali”. “Più in generale”, proseguiva l’articolo,
“ogniqualvolta gli arabi facevano proposte all’insegna dell’unità, incontravano soltanto opposizione e
contraddittorio da parte dei sionisti…a proposito di qualunque cosa portasse al conseguimento di
risultati per la classe operaia sfruttata”58.
La questione che più di ogni altra sembra avere concretamente segnato il contrasto tra il sionismo
e gli arabi fu quella del lavoro ebraico. L’assunzione di un maggior numero di ebrei nelle ferrovie era
stata uno degli obiettivi della URPTW fin dalla fondazione, e i comunisti avevano avvertito gli arabi che
questo obiettivo non era mutato, checché ne dicessero i sindacalisti ebrei. Secondo Bulus Farah un
sovrintendente chiamato Moshlin, che come abbiamo visto prima era un caposquadra sgradito ai
lavoratori mentre l’Histadrut lo difendeva in quanto ebreo, assegnava

…ogni nuovo posto di lavoro a un lavoratore ebreo, senza badare all’anzianità o al livello di
qualifica, o assumeva nuovi lavoratori ebrei a paghe più alte anche se non erano competenti…I
lavoratori arabi non si iscrivevano all’Histadrut, e quelli che lo fecero se ne andarono di lì a poco
avendo visto che il sindacalismo dell’Histadrut era all’insegna della discriminazione dei lavoratori
arabi. Essi in primo luogo sperimentarono il furto di impieghi dai lavoratori arabi e l’assegnazione
agli ebrei, e in secondo l’utilizzo degli arabi per legittimare l’ebraicità dell’Histadrut nel movimento

56
Haifa, 1 gennaio 1925
57
Haifa, 30 aprile 1925
58
ibidem
49
operaio internazionale…i lavoratori arabi sentirono la necessità di un nuovo sindacato poiché
l’internazionalismo professato dall’Histadrut in realtà era utilizzato dal sionismo59.

E’ accertato che in tutto questo periodo l’Histadrut continuò a usare la sua influenza sui
capisquadra ebrei affinchè un maggior numero di ebrei fosse assunto nelle ferrovie.

NASCITA DELLA PAWS


La disillusione dei sindacalisti arabi che avevano aderito alla URPTW coincise con un nuovo
sviluppo che probabilmente contribuì a sua volta a far loro lasciare il sindacato congiunto. All’inizio del
1925 si formò un nuovo gruppo alle officine ferroviarie di Haifa, guidato da alcuni lavoratori qualificati
che anni prima avevano contribuito alla formazione della società di mutuo soccorso e non avevano mai
mostrato interesse per un sindacato unitario con gli ebrei.
I capi di questo gruppo includevano alcuni giovani originari di quello che dopo la Prima guerra
mondiale era diventato uno stato coloniale francese, la Siria. Abd al-Hamid Haymur, calderaio, era un
arabo fervente musulmano e nazionalista, con un viso magro e una lunga barba che portava insieme ad
altri segni tradizionali del suo paese: una lunga veste sopra i pantaloni e un orologio con decorazioni in
stile shami (siriano). Uomo di poche parole, che preferiva evitare la ribalta, Abd al-Hamid Haymur lavorò
per anni dietro le quinte come uno dei più importanti esponenti del giovane movimento operaio arabo.
Suo fratello, Id Salim Haymur, lavorava nel reparto carri merci delle Palestine Railways. Il loro collega
Said Qawwas era un tornitore, piccolo ed esile, che vestiva all’occidentale con un fez, in voga tra giovani
intellettuali dell’epoca. Sia Abd al-Hamid Haymur che Qawwas erano stati impiegati nella Ferrovia
dell’Hijaz.
I fratelli Haymur e Qawwas trovarono alle officine ferroviarie di Haifa un certo numero di addetti
arabi scontenti per quelle che percepivano come discriminazioni in favore degli ebrei e interessati all’idea
di un sindacato autonomo. Alla fine del febbraio 1925 essi organizzarono un incontro con circa 200
ferrovieri di Haifa, che nominò un comitato che rappresentasse i propri interessi. Questo nuovo
movimento dal basso, promosso da lavoratori qualificati che non avevano mai fatto parte di un sindacato,
probabilmente indusse molti arabi che avevano aderito alla URPTW a guida ebraica a lasciare, insieme ad
alcuni capisquadra. I due gruppi presto si fusero in un unico movimento di varie centinaia di ferrovieri
arabi di Haifa, dal quale emerse la prima organizzazione operaia araba di Palestina.
Dall’estate 1925 l’organizzazione prese il nome di Palestinian Arab Workers Society (PAWS), e
con quel nome si registrò formalmente presso le autorità inglesi. Essa era formata quasi esclusivamente
da ferrovieri arabi Haifa, ma il nome e il programma indicavano l’ambizione a rappresentare la
controparte araba dell’Histadrut, un’organizzazione che includesse tutti i lavoratori arabi della Palestina e
che ne facesse gli interessi. La leadership della nuova PAWS comprendeva uomini provenienti da
entrambi i gruppi originari: Ilyas Asad, Ali al-Batal e Farid Kamil (quest’ultimo ingegnere delle
locomotive) avevano partecipato ai negoziati con i sindacalisti ebrei, e al-Batal e Kamil avevano fatto per
breve tempo parte del comitato centrale interetnico dell’URPTW, mentre Qawwas e i fratelli Haymur
provenivano dalla società di mutuo soccorso.
Data la situazione in Palestina, la nascita di un sindacato autonomo di ferrovieri arabi fu
probabilmente inevitabile. Le relazioni tra gli addetti arabi ed ebrei del settore non potevano non essere
condizionate dal conflitto tra il sionismo e il movimento nazionale arabo, recentemente manifestatosi con
la resistenza di Afula e altri episodi. Tra il personale arabo si stava formando uno strato di lavoratori
qualificati relativamente istruiti e intraprendenti. Quando costoro persero la fiducia nelle possibilità di
partecipare a un sindacato controllato dai loro colleghi ebrei a causa dell’affiliazione al sionismo, la
creazione di un sindacato autonomo sembrò loro l’unica strada percorribile. La sopravvivenza della
URPTW come sindacato arabo-ebraico sarebbe stata possibile solo con la trasformazione in
un’organizzazione completamente interetnica, sciogliendo i legami con l’Histadrut e il movimento
sionista, rinunciando alla lotta per il lavoro ebraico e accettando che l’organizzazione fosse a prevalenza
araba, come iscritti, direzione e orientamento. Questa era l’idea dei comunisti, ma andava ben oltre quello
che i più radicali esponenti di Poalei Zion Smol potessero accettare. Quando i leader ferrovieri arabi lo

59
Bulus Farah, Min al-'uthmaniyya ila al-dawla al-'ibriyya, 1984

50
capirono, la maggior parte di loro lasciò la URPTW e si unì ai connazionali che non avevano mai avuto
interesse a un sindacato unitario.
Di conseguenza, dal 1925 fino alla fine del mandato inglese nelle ferrovie furono attivi due
sindacati: uno esclusivamente arabo e uno largamente ebraico come iscritti e sionista come orientamento
politico. Ciononostante, come vedremo, non solo le condizioni oggettive dei ferrovieri spinsero i due
sindacati uno verso l’altro, ma anche il sogno dell’unità rimase tale per molti arabi ed ebrei negli anni a
venire. Nello stesso tempo varie dinamiche intervennero a produrre alienazione e conflitto. Le complicate
relazioni tra i due sindacati rappresentano un paradigma della complessità delle relazioni tra lavoratori
arabi ed ebrei in Palestina nel periodo mandatario.

51
4

I FERROVIERI IN PALESTINA II
(1925 – 1939)
cooperazione e conflitto

UNA CLASSE OPERAIA, DUE SINDACATI


Gli eventi della primavera – estate del 1925 non portarono immediatamente alla formazione di due
sindacati organizzati lungo linee esclusivamente etniche. Invece vi fu un periodo di confusione,
caratterizzato da ulteriori iniziative alla ricerca dell’unità, momenti di competizione e un flusso di
lavoratori dall’una all’altra parte.
Al momento della fondazione la PAWS aveva soltanto 150 iscritti e ben poche risorse. I suoi
membri si sentivano minacciati dalla più grande e consolidata URPTW che, tramite l’Histadrut, poteva
offrire ai propri iscritti ben più consistenti aiuti materiali. Nei primi mesi molti dei lavoratori che erano
passati alla PAWS fecero marcia indietro e tornarono al sindacato a guida ebraica. Per consolidare le
proprie posizioni, la PAWS inizialmente cercò di sottolineare il proprio carattere arabo e patriottico. Su
questa base, quando alcuni ebrei chiesero di aderire assicurando di non essere sionisti, furono respinti. La
PAWS cercò anche il supporto di alcuni arabi facoltosi di Haifa per garantire un’assistenza medica e
legale ai propri iscritti.
Non tutti i membri in vista della PAWS furono d’accordo con questa impostazione. Farid Kamil
ad esempio voleva lo stesso tipo di impostazione apolitica e interetnica per cui si era battuto nella
URPTW, e chiese l’ammissione degli ebrei a pieno titolo. Tuttavia la sua proposta non fu accolta, ed egli
pare che ritornò alla URPTW e poi di nuovo alla PAWS, ove rimase. In realtà negli anni a venire la
PAWS avrebbe adottato proprio la linea di Kamil, ripromettendosi a più riprese di sciogliersi in un
sindacato interetnico di tutti i ferrovieri, se questo fosse stato separato dall’Histadrut.
Da parte sua la URPTW, pur avendo perso quasi tutti i membri arabi, continuò a vedersi come
l’unica rappresentante di tutti i ferrovieri, arabi ed ebrei, e l’unico vero sindacato nelle Palestine
Railways. Nel 1926 essa dichiarò di avere 780 membri, di cui 422 arabi. Il numero degli arabi era assai
52
gonfiato, e così pure quello degli ebrei. Si può stimare una cifra reale di 300 – 400 iscritti complessivi nel
1926, la maggioranza ebrei e non tutti in regola col pagamento della quota. Almeno un membro arabo del
vecchio comitato centrale unitario, Ibrahim al-Asmar, rimase nella URPTW. Sia essa che l’Histadrut
attaccarono la neonata PAWS tacciandola di separatismo ed esclusivismo, e di voler sabotare l’unità dei
lavoratori. Dichiararono anche che la PAWS era un sindacato solo di nome, ma in realtà era un fantoccio
dei ricchi effendi arabi e degli imam musulmani reazionari, un prodotto dell’agitazione comunista
eccetera.
In particolare il persistere dei tentativi da parte della URPTW di reclutare ferrovieri arabi fece
infuriare gli attivisti arabi, che temevano per la sopravvivenza del loro giovane sindacato. Il loro
risentimento fu espresso in un lungo articolo del segretario, Id Salim Haymur, pubblicato su Filastin il 4
giugno 1926. Intitolato I lavoratori indigeni tra sionismo e comunismo, esso descriveva l’unione dei
ferrovieri arabi come bersaglio di incessanti attacchi sia da parte del “sindacato sionista” che dei
comunisti ebrei. Alcune accuse di Haymur sono plausibili, ma altre appaiono effettivamente esagerate.
Per esempio l’affermazione che i sindacalisti ebrei avevano cercato di attirare i lavoratori arabi
consentendo loro di non pagare le quote mensili probabilmente è vera. Invece che i “traditori” Ibrahim al-
Asmar e Philip Hassun fossero pagati 15 piastre per ogni arabo iscritto, sembra falso. Id Salim Haymur
inoltre sosteneva che i sionisti provassero ad accalappiare gli innocenti lavoratori arabi offrendo loro del
vino alle riunioni e fornendo donne ebree con cui ballare. A causa di questi stratagemmi, lamentava
Haymur, la PAWS non aveva più di 90 iscritti a un anno dalla sua nascita.
Se la PAWS a metà del 1926 era in difficoltà, la URPTW non era messa meglio. All’epoca la
forza lavoro ebraica nelle ferrovie ammontava a 405 addetti su 3.182, solo il 12,7%, sebbene la
percentuale salisse al 30% alle officine ferroviarie di Haifa, dove lavoravano 408 musulmani, 264 ebrei e
228 cristiani; alcuni di questi ultimi probabilmente non erano arabi. La maggioranza dei ferrovieri ebrei
avevano sei o sette anni di esperienza. Erano stati assunti come “apprendisti” nel 1919 – 20, erano
diventati “assistenti” dopo quattro anni nel 1923, ed erano stati promossi come “operai” a pieno titolo nel
1925. Le loro paghe, 28 – 30 piastre al giorno, non erano ancora soddisfacenti, così come le condizioni di
lavoro. Le prospettive del lavoro ebraico nelle ferrovie non erano rosee. I nuovi apprendisti, costretti a
lavorare per sei mesi in prova senza paga, erano tutti arabi, così come la maggioranza dei capisquadra, e il
management non era dell’idea di assumere un maggior numero di ebrei, che sembravano essere teste più
calde. Alcuni lavoratori ebrei reagirono alla situazione negativa abbandonando il settore, e l’Histadrut
cercò di rimediare chiedendo all’Esecutivo Sionista di promuovere l’assunzione da parte delle Palestine
Railways di altri ebrei al loro posto. Poalei Zion Smol, dopo aver contribuito a cacciare i comunisti, vide
il suo stesso sostegno diminuire o perché i ferrovieri cambiavano lavoro o perché si orientavano verso le
posizioni di Ahdut Haavoda.
L’arretramento delle posizioni interetniche adottate l’anno precedente e il rafforzamento di Ahdut
Haavoda furono tangibili in occasione del consiglio sindacale del gennaio 1926. Ibrahim Suwaylih, un
ferroviere arabo di Gerusalemme che era rimasto nella URPTW, propose che il sindacato tornasse al
vecchio modello delle sezioni nazionali separate, come l’Histadrut aveva chiesto ripetutamente. Il
consiglio respinse la proposta, tuttavia decise che la questione della forma organizzativa dovesse essere
decisa dall’Histadrut nel suo successivo congresso. Il consiglio inoltre avallò la posizone di Ahdut
Haavoda sull’organizzazione congiunta dichiarando che l’internazionalismo “richiede l’unità sindacale e
la garanzia del libero sviluppo di ciascun popolo sulla base dell’uguaglianza e dell’autonomia”. Questa
formulazione era un implicito riconoscimento del primato degli obiettivi del sionismo, e rappresentava
una rottura con le precedenti posizioni sostenute da Poalei Zion Smol60.
Nel luglio del 1926 la direzione del sindacato fu ricevuta dal segretariato dell’Histadrut, e qui
lamentò la propria debolezza e la mancanza dei fondi promessi. In questo colloquio emerse ancora di più
il mutamento di orientamento, poiché la causa del sindacato venne perorata definendo quest’ultimo come
strumento per eccellenza nella lotta per il lavoro ebraico. Un sindacalista disse a Ben-Gurion e ai suoi
colleghi che: “L’importanza del sindacato risiede nell’acquisizione di impieghi per gli ebrei nei settori
governativi”, mentre un altro addusse come spiegazione della debolezza del momento la scarsa
assunzione di ebrei nelle ferrovie. L’esecutivo sionista si risolse anche a intensificare la propria attività di

60
Kuntres, 29 gennaio 1926
53
pressione presso i funzionari inglesi affinchè una maggiore percentuale di posti di lavoro governativi
andasse agli ebrei61.
Un ulteriore, significativo aspetto dell’incontro di luglio è rappresentato dal fatto che alla
discussione era presente anche un sindacalista arabo dell’URPTW, Ibrahim al-Asmar, il quale
probabilmente non capì una parola di quanto veniva detto. Egli fu portato per ragioni propagandistiche,
per poter dire che il sindacato aveva degli arabi tra i proprii dirigenti e accreditarsi così presso gli arabi: la
presenza e il silenzio di al-Asmar sono una chiara esemplificazione del ruolo assegnato agli arabi
all’interno della URPTW.

RIVALITA’ E DIALOGO
Sebbene la sinistra della URPTW fosse indebolita, ciononostante rimaneva una forza significativa,
soprattutto ad Haifa, e continuò a portare avanti la linea della cooperazione tra arabi ed ebrei come unica
strada per ottenere qualcosa di fronte alla rigidità dei padroni. Fu così che nel giugno 1926 dirigenti della
PAWS e della URPTW si incontrarono ad Haifa e concordarono di unirsi per chiedere al governo
mandatario una legge in materia di diritti dei lavoratori.
La URPTW aveva cercato a lungo di essere riconosciuta come rappresentante di tutti i ferrovieri
presso il governo, ma il management delle Palestine Railways dapprima aveva tergiversato e poi aveva
imposto condizioni durissime per il riconoscimento, tra cui la pubblicazione della lista degli iscritti al
sindacato, cosa che quest’ultimo accettò nonostante l’opposizione della sinistra. Ma alla fine del luglio
1926 il capo della segreteria del governo mandatario informò l’Histadrut che la URPTW non sarebbe
stata riconosciuta, per di più poco dopo il varo di un decreto che revocava il diritto dei lavoratori a sette
giorni di ferie annue e otto giorni di festività.
Questo ennesimo arbitrio indignò i ferrovieri e spinse entrambi i sindacati a promuovere insieme
una campagna di opposizione. La campagna avrebbe dovuto essere lanciata in un assemblea generale al
cinema Eden di Haifa, ma subito nacquero i problemi quando il sindacato arabo chiese che la
pubblicazione che presentava lo sciopero non portasse il nome di alcuna delle due sigle, per scoprire poco
dopo che l’indizione dell’assemblea era stata firmata dalla sola URPTW. La PAWS pubblicò allora un
opuscolo spiegando la situazione e accusando la URPTW di sabotare l’unità arabo-ebraica.
Nonostante tutto la cooperazione non poteva essere elusa, date le condizioni di debolezza di
entrambi e l’offensiva padronale. Dalla fine del 1926 alla primavera del 1927 a causa della crisi le
officine ferroviarie di Haifa lavorarono solo cinque giorni a settimana, sotto la minaccia di continui
licenziamenti. Nell’estate 1927 si tenne il sesto congresso della URPTW, alla cui sessione di apertura
furono invitati Id Salim Haymur e Ali al-Batal. Al-Batal portò il saluto della PAWS dicendo di essersi
unito al sindacato arabo “per trovare la migliore forma di organizzazione congiunta di tutti i lavoratori.
Tutti i lavoratori arabi cercano la pace, e ciò che promettono, lo fanno…”62.
Questo congresso come i precedenti dedicò ampio spazio alla questione dell’organizzazione
congiunta. Si ricorderà che nel luglio 1927 l’Histadrut aveva appena ratificato la proposta di Ben-Gurion
di creare un’organzzazione araba separata da affiliare all’Histadrut. Tra i ferrovieri il dibattito vide la
leggera prevalenza della linea delle sezioni nazionali di Ahdut Haavoda su quella del sindacato
interetnico, rappresentata da Poalei Zion Smol. Un membro di quest’ultima, Naftali Panini di
Gerusalemme, nel difendere il sindacato interetnico evocò un timore certamente presente in Ahdut
Haavoda: “Se creiamo una sezione speciale per gli arabi, potremmo perderne il controllo. Gli arabi
prenderanno le distanze da noi e chissà cosa potrà derivare da ciò”63.
Con uno stretto margine il sesto congresso adottò il principio dell’organizzazione congiunta con
sezioni nazionali separate. Nel febbraio 1928 il nuovo statuto fissò formalmente questa nuova struttura,
modificando quella definita nel gennaio 1925. L’organizzazione cambiò anche il proprio nome in
National Union of Railway, Postal and Telegraph Workers (NURTPW). Il termine “nazionale” sembra
essere stato scelto per sottolineare l’apertura a membri sia arabi che ebrei con l’adozione però di sezioni
separate.

61
Frederick Kish, Palestine Diary, 1938
62
Davar, 4 settembre 1927
63
Histadrut Archives
54
Alla fine del 1927 ci fu un altro tentativo di cooperazione con la PAWS, allorchè il management
delle ferrovie si rifiutò di compensare la perdita di salario legata all’introduzione di una nuova moneta
palestinese al posto di quella egiziana usata fino ad allora. Fu formato un comitato congiunto tra i due
sindacati, ma presto fu sciolto poiché la NURPTW temeva che esso rafforzasse troppo la PAWS. Il
sindacato a guida ebraica diramò una circolare in cui accusava gli arabi di avere ancora una volta sabotato
l’unità, e decise di reclutare i lavoratori arabi direttamente. Da parte sua il movimento nazionalista arabo
attaccò la NURPTW attraverso il giornale Filastin, accusandola di sfruttare i lavoratori arabi per i propri
scopi sionisti.
Nell’estate del 1928 le Palestine Railways ridussero l’orario lavorativo a cinque giorni alla
settimana in tutti i comparti di Haifa, e fecero nuovi licenziamenti a causa della diminuzione del traffico.
Nel settembre allora fu organizzato un nuovo meeting congiunto dei due sindacati per protestare su questi
due aspetti. Ma anche questo incontro fallì, in quanto gli arabi rifiutarono di sottoscrivere un
memorandum rivolto al management, e ne seguì un nuovo profluvio di dichiarazioni e opuscoli contenenti
accuse reciproche. Nella sua critica la PAWS distingueva sempre tra i dirigenti della NURPTW e i
semplici iscritti, incoraggiando questi ultimi a prendere le distanze dal comportamento dei primi, avvezzi
a frequenti sotterfugi e manipolazioni.
Nel frattempo si accumulavano le tensioni politiche che sarebbero esplose nell’agosto 1929.
All’inizio di quell’anno la NURPTW era riuscita ad attrarre un certo numero di lavoratori arabi, e il suo
prestigio parve aumentare quando nel marzo, per la prima volta da quattro anni, il management acconsentì
a incontrare dei delegati, non per riconoscere ufficialmente il sindacato ma per ascoltare le loro
rivendicazioni: settimana lavorativa di 48 ore, stop alle salatissime multe per le presunte intemperanze dei
lavoratori, miglioramento delle condizioni igieniche nelle officine e dell’assistenza medica, e un giorno di
riposo alla settimana per gli addetti di alcuni dipartimenti. In particolare la NURPTW acquisì un certo
seguito nell’area di Jaffa – Lydda, dove aprì una sezione araba che dichiarava di avere oltre 100 iscritti
paganti. La sezione tuttavia restò attiva solo pochi mesi: secondo i sindacalisti ebrei, perchè il
management fece trasferire in altri siti gli iscritti arabi più in vista, e gli altri ebbero paura e lasciarono il
sindacato. Ad Haifa il radicamento della NURTPW tra gli arabi sembrava ancora più difficile, e
comunque in tutto il paese intervenne la sollevazione araba di agosto a causare un brusco stop al
processo, che non riprese se non con il volgere del decennio.

COMPETIZIONE E COOPERAZIONE NEI PRIMI ANNI ‘30


I moti antisionisti della tarda estate 1929, scoppiati in seguito alla provocatoria marcia della destra
sionista del 15 agosto a Gerusalemme, si estesero fino alle strade di Haifa ma non nelle officine
ferroviarie, dove i legami tra operai sviluppati in anni di lavoro fianco a fianco fecero sì che la tensione
non andasse oltre il limite. Negli anni ’30 i tentativi di cooperazione continuarono, anche se il sogno del
sindacato unitario dei ferrovieri, soprattutto dal 1936 in poi, andò tramontando per far posto all’idea della
collaborazione tra organismi etnicamente separati.
Nel gennaio 1930 la PAWS, sperando di gettare le basi per un movimento operaio arabo su scala
più ampia, organizzò ad Haifa un congresso dei lavoratori arabi di Palestina, il primo in assoluto. Dopo
quel convegno la PAWS volle rendere più evidente la distinzione tra i vari settori occupazionali, e perciò
i ferrovieri e in particolare quelli di Haifa iniziarono a denominarsi come Arab Union of Railway Workers
(AURW). Da un punto di vista pratico in realtà confini tra la PAWS e l’AURW non furono mai ben
definiti, e quest’ultima a volte venne indicata con altri appellativi ancora, soprattutto nelle pubblicazioni
in inglese.
Dal lato della NURPTW, nel 1930 riprese il reclutamento di lavoratori, e furono aperte sezioni
arabe ad Haifa e a Gerusalemme. Un buon numero di impiegati delle ferrovie non-ebrei furono iscritti da
un attivista greco, Michael Qyubik, e alla fine del 1930 rappresentanti dei nuovi arrivati furono cooptati
nel comitato centrale. Mentre i veterani arabi del sindacato, come Ibrahim Suwaylih, erano allineati alla
leadership ebraica e avevano solo un ruolo decorativo, alcuni dei nuovi volevano invece prendere parte ai
processi decisionali.
Nel periodo precedente il settimo congresso, in programma nel maggio 1931, Qyubik e alcuni suoi
colleghi arabi chiesero che le sezioni nazionali fossero abolite, e al congresso fu da loro di nuovo
proposto il distacco dall’Histadrut. Queste richieste trovarono scarso appoggio nella leadership ebraica,
spalleggiata da Ben-Gurion e Ben-Tzvi, che ancora una volta erano presenti all’assise. Il congresso
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deliberò di mantenere il legame con l’Histadrut, e che i membri non ebrei del sindacato potessero unirsi
nei “general workers’ club” che l’Histadrut stava allestendo, finchè non fosse creata una “unione
internazionale” di tutti i lavoratori di Palestina senza distinzione di razza e religione. Per sottolineare
queste buone intenzioni il congresso decise anche di cambiare nome al sindacato, che divenne la
International Union of Railway, Postal and Telegraph Workers of Eretz Israel (IU).
Subito dopo il congresso, insoddisfatto per quelle decisioni puramente simboliche, Qyubik lasciò
la IU insieme a 80 impiegati delle ferrovie e altri addetti arabi. All’inizio del 1932 la IU dichiarava
dunque 657 membri, di cui 253 arabi. Ancora una volta si trattava di dati esagerati: quelli dell’Ufficio
Coloniale inglese, più plausibili, indicano per il 1932 circa 300 ebrei e 210 arabi.
A prescindere dal numero reale, gli iscritti arabi alla IU erano troppi per non impensierire sempre
di più l’AURW. Tra l’altro la IU attraverso l’Histadrut poteva contare sull’appoggio del partito laburista e
dei sindacati in Gran Bretagna per essere riconosciuta come unica rappresentante di tutti i ferrovieri di
Palestina. E inoltre dal 1932 l’Histadrut aveva creato la Palestine Labor League (PLL) per reclutare i
lavoratori arabi degli altri settori. Per tutte queste ragioni l’AURW si pose l’obiettivo di far recedere la IU
dall’idea di rappresentare i lavoratori arabi, e quindi volle partecipare a negoziati congiunti solo quando
essa stessa era riconosciuta come unica rappresentante dei lavoratori arabi. I dirigenti dell’AURW si
rifutarono d’ora innanzi di partecipare a colloqui coi rappresentanti arabi della IU, considerandoli traditori
e pupazzi della dirigenza ebraica.
Il principale luogo di confronto-scontro tra l’AURW e la IU nel 1932 fu il dipartimento del
personale di macchina, che includeva i macchinisti, i fuochisti, i meccanici e i pulitori. Questo
dipartimento aveva subito un taglio dei salari del 28% e molti abbassamenti di livello. La IU organizzò
una riunione del personale di macchina a Jaffa. Rappresentanti dell’AURW vi parteciparono ed ebbero
buon gioco nel bloccare l’elezione di un comitato di lavoratori che i sindacalisti dell’IU volevano con un
numero eguale di arabi ed ebrei. Questa disputa fu ricorrente: mentre la IU voleva una rappresentanza di
50 e 50 per equiparare i due status nazionali, l’AURW voleva che le rappresentanze fossero scelte in
proporzione al numero degli addetti (e i non ebrei erano la grande maggioranza). la lotta per il controllo
sul personale di macchina andò avanti per settimane, ma senza che un sindacato riuscisse ad avere il
sopravvento sull’altro.
Tra la fine del 1932 e l’inizio del 1933 le ferrovie furono ancora colpite da un’ondata di
licenziamenti. Nel corso del 1933 invece iniziò un periodo di espansione economica, e il management
ricominciò ad assumere. Il numero totale dei lavoratori salì da 2.765 nel marzo 1933 a 3.749 un anno
dopo. Nel 1934 – 35 ci fu una leggera discesa ma nel marzo 1936 gli addetti erano diventati 4.138. Le
paghe e le condizioni di lavoro restavano molto peggiori che in altri settori occupazionali.
L’aumento della forza lavoro attirò molti operai arabi non qualificati, mentre la possibilità di
ottenere altri lavori qualificati spinse molti ebrei a lasciare le ferrovie, non essendo più disposti a
sacrificarsi per la causa del lavoro ebraico nel settore. Nell’agosto 1934 i ferrovieri ebrei erano solo 184,
il 6% della forza lavoro totale. Allo stesso tempo l’Histadrut stava riducendo i fondi da destinare alla IU.
Questa condizione indusse l’AURW a considerare con più fiducia la possibilità di una cooperazione,
incoraggiata anche da una circolare del governo mandatario che sembrava promettere alcuni
miglioramenti nei settori governativi; dunque fu creato ad Haifa un nuovo comitato congiunto per
mobilitare i lavoratori.
Questo comitato, i cui principali rappresentanti erano Id Salim Haymur e Michael Dana, segretari
rispettivamente della PAWS e dell’IU, parve lavorare abbastanza bene e produsse una serie di memorie
per la direzione delle Palestine Railways e l’Alto Commissario governativo, contenenti le rivendicazioni
dei ferrovieri. Per coinvolgere la base a sostegno delle rivendicazioni, Haymur e Dana organizzarono
alcune grandi assemblee in uno dei grandi caffè arabi di Haifa, e stamparono opuscoli e ebraico e arabo.
Come già capitato, la cooperazione creò una spinta alla maggiore unità, di fronte alla quale l’IU si
trovò in difficoltà. Nel maggio 1934 Salim Haymur propose la fusione dei due sindacati in un unico
organismo, e anche dalla base la richiesta era la stessa. Il comitato centrale dell’IU paventando
l’unificazione scrisse all’Histadrut che “è chiaro che è ora di prendere delle decisioni e che dobbiamo
darci da fare, altrimenti le cose finiranno in mani altrui”64. Nell’agosto 1934 la stessa IU fu costretta ad

64
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accettare suo malgrado l’idea di una fusione, sebbene continuò a insistere che essa doveva avvenire sulla
base di una rappresentanza di 50 e 50 negli organi direttivi.
A togliere le castagne dal fuoco per l’IU intervenne alla fine del 1934 lo stallo nelle trattative con
il management delle Palestine Railways, per cui il comitato congiunto cominciò a litigare dando ai
dirigenti ebrei il pretesto per la rottura. Michael Dana nel gennaio del 1935 in privato scrisse all’Histadrut
che “tutti i nostri compagni sono dell’opinione che ora abbiamo l’opportunità di assestare un colpo al
sindacato arabo presentandoci davanti ai lavoratori a dire che le attività del comitato erano portate
avanti solo da noi mentre il sindacato arabo aveva smesso di collaborare per ambizione e desiderio di
potere…”65. Dana riteneva che con “un po’ di audacia” e qualche soldo dall’Histadrut fosse possibile
spaccare l’AURW e far passare all’IU parecchi iscritti, e anche lavoratori arabi non sindacalizzati. Il suo
piano di sciogliere il comitato congiunto dando la colpa all’AURW tuttavia fu vanificato da
un’inaspettata ondata di mobilitazioni in tutta Haifa, che coinvolsero anche i ferrovieri e finalmente
permisero loro di ottenere alcune vittorie.

LE AGITAZIONI DEL 1935


Alla fine del febbraio 1935 centinaia di lavoratori arabi ed ebrei delle infrastrutture dell’Iraq
Petroleum Company ad Haifa scesero in sciopero per l’aumento del salario, la riduzione di orario e
migliori condizioni di lavoro. La loro lotta fu da stimolo per altri settori, e la primavera del 1935 vide
molte agitazioni operaie. I ferrovieri dell’area di Haifa furono particolarmente coinvolti, forse perché
erano da tempo in contatto coi dipendenti dell’IPC, molti dei quali andavano al lavoro in treno. Il
comitato congiunto IU-AURW pubblicò subito un opuscolo che esprimeva solidarietà ai dipendenti
dell’IPC, e il 4 marzo 1935 un migliaio di ferrovieri euforici si riunirono nel loro luogo abituale per i
raduni di massa, il Cafè Centrale, e deliberarono di scioperare se tutte le loro richieste non fossero state
accolte; alle officine ferroviarie vi fu una serie di scioperi spontanei. Il governo, sorpreso dall’improvvisa
agitazione e temendo le conseguenze economiche e politiche di uno sciopero dei ferrovieri, rispose tre
giorni dopo annunciando la costituzione di una commissione speciale per giudicare le rivendicazioni
operaie, presieduta dal maggiore Campbell, commissario governativo del distretto di Gerusalemme.
Passarono settimane di discussioni, e il malcontento della base operaia crebbe di fronte
all’atteggiamento cauto del comitato congiunto, che evitava di indire lo sciopero. Attivisti di Hashomer
Hatzair, nuova forza alla sinistra dello schieramento sionista, criticarono il proprio sindacato, l’IU, per la
scarsa determinazione. Il crescente malumore trovò espressione nella grande partecipazione dei ferrovieri
di Haifa al tradizionale sciopero del Primo maggio: più di 700 addetti, di cui oltre 100 ebrei, aderirono
allo sciopero e si riunirono al Cafè Centrale per un’assemblea al termine della quale venne cantato un
travolgente inno composto da uno di loro. Il management non osò punire nessuno degli scioperanti. A
metà maggio il comitato congiunto fu spinto dalla pressione della base a fissare una deadline oltre la
quale sarebbe stato indetto lo sciopero del settore.
Di fronte a questo aut – aut, l’Alto Commissario in persona diramò un comunicato ufficiale, datato
17 maggio 1935, che specificava quali interventi sarebbero stati fatti nel settore delle ferrovie. Il
comunicato fu accolto con grande disappunto dai lavoratori perché accoglieva soltanto una piccola parte
delle loro rivendicazioni, e risposero con uno sciopero parziale alle officine ferroviarie di Haifa, altre
agitazioni sparse e la richiesta di incontrare l’Alto Commissario. Nello sforzo di mantenere la calma,
quest’ultimo acconsentì a incontrare i lavoratori, fatto senza precedenti. La delegazione, formata da
quattro arabi (tra cui Id Salim Haymur e Farid Kamil) e tre ebrei (tra cui Menachem Diner della IU di
Haifa e Yehezkel Abramov di Lydda), fece il viaggio verso Gerusalemme in treno, accompagnata lungo il
tragitto da una folla acclamante. Nell’incontro con l’Alto Commissario, il 17 giugno 1935, i delegati
criticarono l’inadeguatezza del comunicato del mese precedente. L’Alto Commissario annunciò alcune
concessioni in più, ma aggiunse che non poteva dimenticare gli interessi dei contribuenti.
L’incontro con l’Alto Commissario fu il più alto grado di cooperazione raggiunto dai due
sindacati. Ancora una volta, la priorità data dall’Histadrut al lavoro ebraico fu il principale fattore di
tensione. In un incontro con i funzionari dell’Histadrut a Tel Aviv nel maggio del 1935, nel pieno della
mobilitazione, i dirigenti della IU espressero il timore che molti vecchi ferrovieri ebrei stessero per
lasciare il posto di lavoro, ma che potevano essere indotti a restare se l’Agenzia Ebraica avesse fornito 50

65
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certificati di immigrazione in Palestina per i loro familiari ancora in Europa. Allo stesso tempo il
sindacato riportò che “vi è attualmente una straordinaria opportunità di far assumere molti ebrei nelle
ferrovie” perché un caposquadra ebreo alle officine di Haifa era pronto a collaborare.
Il problema era che in realtà ben pochi ebrei erano disposti a lavorare nelle ferrovie. L’Histadrut
aveva anche fatto preparare elenchi di ferrovieri ebrei impiegati in Iraq per farli trasferire in Palestina, ma
nessuno di loro aveva accettato. A questo punto diramò una circolare nella quale si avvertiva che gli ebrei
che avessero lasciato le ferrovie sarebbero andati incontro a sanzioni: “Un lavoratore che lascia il suo
posto nelle ferrovie non verrà assunto da nessun’altra parte a meno che non abbia una lettera di
autorizzazione firmata dalla IU”66. Nel lungo periodo gli sforzi dell’Histadrut ebbero un parziale
successo. Nel periodo 1934 – 36 nelle ferrovie furono assunti 120 – 150 ebrei, e al netto degli abbandoni
la proporzione di addetti ebrei nel settore passò dall’8,2% alla fine del 1934 a quasi il 10% nel 1937. Alla
fine del 1935 le Palestine Railways impiegavano 3.171 arabi, 345 ebrei e 1.307 altre nazionalità,
soprattutto egiziani nella linea del Sinai ma anche turchi, greci, armeni, siriani e (come sovrintendenti)
inglesi. Gli ebrei erano concentrati nelle officine ferroviarie di Haifa e Lydda, dove occupavano buona
parte dei posti qualificati.
Questa limitatissima crescita sembra avere rafforzato l’intento dei dirigenti della IU che volevano
rompere con l’AURW per riprendere il reclutamento di arabi. Il segretario della IU Michael Dana
premeva per lo scioglimento del comitato congiunto, proprio mentre quest’ultimo, dopo le concessioni
ottenute nel maggio-giugno 1935, veniva sollecitato dai lavoratori a continuare la pressione sull’Alto
Commissario per ottenere altre migliorie. A luglio scoppiò uno sciopero spontaneo del personale di
macchina, che non aveva ancora ottenuto nulla, ma entrambi i sindacati si opposero all’agitazione
temendo che questa limitasse il loro ruolo e le trattative con il management, e la fecero rientrare
rapidamente.
La rottura tra l’IU e l’AURW fu rinviata di altri sei mesi perché nessun sindacato si sentiva in
grado di tener testa al management da solo. Alla fine nel febbraio del 1936 fu l’AURW a dichiarare
formalmente sciolto il comitato congiunto, in primo luogo per la persistente tendenza della IU a reclutare
arabi, e poi per un’altra serie di motivi che furono esplicitati in un lungo e aspro documento pubblicato in
arabo in marzo, per spiegare agli arabi i motivi della scissione. Tra le altre cose l’AURW accusava la IU
di cattiva fede, di violare ripetutamente le regole di funzionamento del comitato congiunto, e di
sabotaggio dello sciopero del personale di macchina. Ciò che maggiormente indisponeva i sindacalisti
arabi, tuttavia, era la costante tendenza della IU a togliere il lavoro agli arabi per assegnarlo agli ebrei; il
tentativo di attirare gli arabi offrendo loro credito, assistenza sanitaria e altri benefici che l’AURW non
poteva permettersi; e il dichiararsi la sola rappresentante di tutti i ferrovieri di Palestina. Il documento
attribuiva questi atteggiamenti al carattere sionista della IU, al suo porre l’istituzione della “casa
nazionale ebraica” davanti agli interessi dei lavoratori. Alcune delle accuse dell’AURW erano esagerate,
ma come abbiamo visto molte erano vere.
Nonostante l’aspra rottura del febbraio 1936 la tendenza alla cooperazione tra i ferrovieri non
venne meno. Poche settimane dopo un gruppo di addetti arabi ed ebrei delle officine di Haifa si riunirono
per discutere la ricostituzione del comitato congiunto, e all’inizio di aprile l’AURW propose formalmente
alla IU che entrambi i sindacati fossero sciolti e rimpiazzati da un’organizzazione unitaria. La IU non osò
rifutare recisamente la proposta, ma insistette subito che l’unità fosse basata su una proporzione di 50 e
50 negli organismi dirgenti del nuovo sindacato, e che i membri ebrei potessero essere iscritti
all’Histadrut. Si trattava di stratagemmi per far fallire in partenza le trattative, che in ogni caso si
interruppero a causa dello scoppio della Grande Rivolta Araba alla metà di aprile 1936.

I FERROVIERI DURANTE LA RIVOLTA ARABA


Durante la rivolta araba anti-sionista e anti-inglese del 1936 – 39, i ferrovieri arabi ed ebrei si
trovarono in campi opposti. La cooperazione in questa fase non fu possibile e anzi si verificarono
momenti di tensione e alcuni episodi di violenza.
I membri arabi abbandonarono la IU, che rimase un sindacato esclusivamente ebraico e anche in
seguito non sarebbe più riuscita a reclutare lavoratori arabi. Molti degli esponenti più in vista dell’AURW

66
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e della PAWS furono arrestati e detenuti per lungo tempo, lasciando le organizzazioni nella paralisi e la
base senza una rappresentanza.
Nonostante le pressioni della leadership nazionalista araba, i ferrovieri arabi (come la maggior
parte dei dipendenti governativi) non aderirono allo sciopero generale che iniziò nell’aprile 1936 e si
protrasse fino a ottobre. Solo in agosto molti di loro si astennero dal lavoro, e solo per dieci giorni. A
differenza degli arabi che lavoravano per un padrone arabo, i dipendenti delle ferrovie che avessero
scioperato avrebbero rischiato il posto di lavoro, ed essi erano ben consapevoli che i loro posti potevano
essere presi dagli ebrei. La leadership sionista era infatti pronta ad approfittare della situazione da questo
punto di vista. Nel 1937, rivolgendosi alla commissione di inchiesta inviata dal governo inglese, il
direttore del dipartimento politico dell’Agenzia Ebraica, Moshe Shertok (poi Sharett) sostenne che

La presenza di un consistente numero di ebrei sarebbe stata un buon deterrente. Non vi sarebbero
state spinte all’agitazione e gli organizzatori dei disordini non sarebbero stati incoraggiati dalla
prospettiva di bloccare le ferrovie. Quando scoppiò la crisi – il 9 agosto – e centinaia di ferrovieri
arabi scesero in sciopero, vi furono molti fattori che li misero in difficoltà e alla fine li spinsero a
tornare al lavoro, ma uno dei fattori fu che noi mobilitammo alcune dozzine di macchinisti ebrei e le
mettemmo a dipsozione del governo, pronti a colmare i vuoti di personale…Questo fu uno dei fattori
che permisero di scongiurare il pericolo in questi giorni67.

Shertok chiese che gli ebrei arrivassero a costituire il 30 – 33% della forza lavoro nei settori
governativi. Ma il management delle ferrovie continuò a rifiutarsi di dare la precedenza agli ebrei,
temendo con ciò di esasperare ulteriormente i lavoratori arabi. Anzi la percentuale di lavoratori ebrei nelle
ferrovie diminuì leggermente nel corso della rivolta.
La principale preoccupazione della IU durante la rivolta fu l’incolumità dei ferrovieri ebrei, dei
quali otto persero la vita nel corso dei tre anni di combattimenti. Tutti apparentemente furono vittima di
incursioni di arabi non appartenenti al personale delle ferrovie. Quando la rivolta raggiunse un nuovo
apice nel settembre 1938 e due impiegati ebrei furono uccisi a Lydda, i loro colleghi di quella linea si
rifutarono di presentarsi al lavoro per due settimane. Alla fine il personale ebraico di Lydda fu trasferito a
Tel Aviv, così come i lavoratori ebrei delle poste di Jaffa. Gli inglesi formarono anche unità speciali di
ausiliari ebrei per pattugliare le linee e le installazioni ferroviarie, attaccate con frequenza dagli insorti
arabi, e fu messa una guardia militare permanente inglese alle officine ferroviarie di Haifa. Per dissuadere
gli insorti arabi dal collocare mine sui binari per far saltare i treni, le forze di sicurezza inglesi sovente
costringevano un ostaggio arabo a occupare una piattaforma su ruote collocata davanti alla locomotiva.
Anche i ferrovieri arabi patirono le conseguenze della rivolta. I funzionari inglesi alla fine del
1938 notavano che

…i dipendenti arabi sono trattati molto male, e lavorano con grande difficoltà. Sono attaccati da
entrambe le parti. Per la loro fedeltà al governo mandatario essi sono così malvisti che ci sono casi in
cui viene loro negata la vendita di cibo e altri beni necessari, e qualunque altra forma di aiuto.
Dall’altro lato, essi sono trattati con molto sospetto da polizia ed esercito68.

I funzionari citavano molti casi in cui le forze di sicurezza avevano arrestato, picchiato o preso a
colpi di arma da fuoco dipendenti arabi delle ferrovie, soltanto per la nazionalità. Questi episodi
provocarono un breve sciopero di protesta a Lydda nell’ottobre 1938.
La rivolta colpì economicamente sia i lavoratori arabi che quelli ebrei. I sabotaggi alle ferrovie da
parte della guerriglia portarono al licenziamento di una parte degli addetti e alla riduzione di orario per
un’altra parte. Ma su pressione di Ben-Tzvi il governo mandatario evitò di fare licenziamenti su larga
scala, per evitare che i neo-disoccupati arabi andassero a ingrossare le fila dei rivoltosi.
In generale la rivolta ebbe un forte impatto sulle forme di interazione tra i ferrovieri anche al di
fuori del posto di lavoro. Crebbe la segregazione sociale e abitativa, con gli ebrei che si spostarono dai
quartieri a prevalenza araba verso “zone ebraiche” più sicure. L’interazione in caffè, teatri, ambulatori e
ogni altro luogo pubblico divenne sempre più rara. Ciononostante vennero mantenuti i contatti personali.

67
Verbali della commissione Peel
68
Central Zionist Archives
59
Vi furono anche episodi in cui ferrovieri arabi protessero i loro colleghi ebrei, come racconta ad esempio
Efrayyim Schvartzmann, tecnico dei locomotori:

Anche durante i disordini vi furono numerosi casi in cui ferrovieri arabi trassero in salvo gli ebrei
da situazioni molto difficili. Io stesso fui salvato due volte da arabi, quando fui a un passo dalla
morte…Ricordo uno di questi episodi. Un giorno due o tre arabi entrarono nel capannone delle
locomotive di Lydda e uccisero due ebrei in un ufficio. Io corsi nella direzione degli spari, non
rendendomi conto da dove provenissero. Un arabo mi vide e corse verso di me, e grazie a lui me la
cavai…Molte volte gli arabi avvertivano gli ebrei di non viaggiare sul treno riservato al personale,
poiché nel villaggio di Safariyya…stavano preparandosi ad attaccarlo con granate e pistole…C’era
un arabo che era mio assistente, e oggi è tecnico dei locomotori. Ricordo che durante i disordini
quando guidavamo i treni e c’erano spesso mine sui binari, egli voleva viaggiare con me come mio
assistente e voleva sempre controllare in ogni stazione se fosse tutto ok, e molte volte mi fece da
scorta69.

HASHOMER HATZAIR E I FERROVIERI


Nei primi anni ’30 emerse un nuovo movimento politico alla sinistra del partito sionista laburista
allora dominante (il MAPAI). Si trattava di Hashomer Hatzair (La Giovane Sentinella), che nella seconda
metà del decennio ottenne un supporto significativo tra i ferrovieri ebrei, soprattutto ad Haifa, e arrivò a
giocare un certo ruolo nel movimento sionista laburista.
Hashomer Hatzair (HH) nacque come movimento giovanile sionista nel 1913 in Galizia, regione
asburgica che dopo la Prima guerra mondiale divenne polacca. I membri del movimento che immigrarono
in Palestina negli anni ’20 alla fine fondarono i propri kibbutz, i quali nel 1927 si federarono nel
Hakibbutz Haartzi (Kibbutz Nazionale), con la sua rete di istituzioni economiche, politiche, sociali,
culturali ed educative. Tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30 Hashomer Hatzair – Hakibbutz
Haartzi (in questa fase i due soggetti erano per molti versi sovrapponibili) erano piuttosto ripegati su se
stessi, e impegnati a sviluppare i propri kibbutz e con essi una propria particolare ideologia sionista
socialista. Questa consisteva di una sorta di “sionismo dei pionieri” mescolato col socialismo
rivoluzionario, e faceva sì che Hashomer Hatzair nello schieramento sionista fosse collocabile tra il
MAPAI e Poalei Zion Smol. Nel corso degli anni ’30 tuttavia Hashomer Hatzair si rafforzò ed estese
anche dentro l’Histadrut fino a emarginare quasi completamente Poalei Zion Smol, il quale negli anni ’40
fu poi assorbito da altri partiti.
A differenza di Poalei Zion Smol, Hashomer Hatzair predeva parte a pieno titolo alle istituzioni e
attività dell’Organizzazione Sionista Mondiale, e nell’Histadrut fungeva da opposizione di sinistra al
MAPAI. Non fece propria la posizione di Poalei Zion Smol sulla separazione delle funzioni sindacali
dall’Histadrut, e abbandonando il borkhovismo ortodosso considerava primaria non la lotta di classe ma
ma la creazione di kibbutzim di immigrati ebrei, veri e propri nuclei del futuro “commonwealth” ebraico
socialista in Palestina. Allo stesso tempo HH criticava il MAPAI per la sua stretta vicinanza ai sionisti
borghesi, per il suo predominio burocratico nell’Histadrut e per il suo scarso interesse all’organizzazione
congiunta arabo-ebraica nei luoghi di lavoro misti. Criticò sia la campagna del MAPAI per il “100% di
lavoro ebraico” sia l’opposizione di Poalei Zion Smol a tale campagna, appoggiando la conquista ebraica
del lavoro ma secondo un principio (teorico) in virtù del quale arabi ed ebrei si dividessero il paese in
maniera equa, a prescindere dalle rispettive proporzioni numeriche.
Dalla metà degli anni ’30 la presenza di membri di HH nei centri urbani si fece più numerosa, e il
movimento cominciò a influenzare la classe operaia ebraica. I militanti di HH tendevano a rivolgersi ai
settori lavorativi meno remunerati, come le ferrovie e i porti, sia per vocazione alla conquista del lavoro
in tali settori sia perché il MAPAI tendeva a egemonizzare i settori migliori per i suoi fedelissimi. Nel
1936 l’attività del movimento nelle città trovò una formalizzazione nella creazione di una Socialist
League nella quale gli ebrei che non erano membri dei kibbutz potessero organizzarsi.
Esemplificativa di questi sviluppi fu la carriera di Efrayyim Krisher, che divenne un dirigente
della sinistra ebraica tra i ferrovieri di Haifa. Nato in Galizia nel 1909, Krisher si unì ad HH ed emigrò in
Palestina nel 1934. Apparteneneva a un gruppo che aveva il compito di fondare il kibbutz di Ein
Hamifratz, che nacque poi vicino ad Haifa nel 1938. Subito dopo il suo arrivo i membri di quel gruppo

69
Intervista a Efrayyim Schvartzmann, 20 marzo 1972
60
risposero all’appello dell’Histadrut per rimediare al declino del lavoro ebraico nelle ferrovie inviando
Krisher a lavorare alle officine ferroviarie di Haifa. Krisher formalmente fu considerato membro del
kibbutz Ein Hamifratz fino al 1941, ma in realtà rimase sempre in città come ferroviere e sindacalista,
fino agli anni ’70.
Sin dal 1934 Krisher divenne una figura popolare della sezione di Haifa della IU, che era una
roccaforte della sinistra e in particolare di Poalei Zion Smol. Grazie a Krisher la sinistra si rafforzò
ulteriormente e aumentò la pressione sulla direzione a proposito della cooperazione e anche dell’unità
arabo-ebraica. Nel gennaio 1937 egli fu eletto col più alto numero di voti nel direttivo della sezione di
Haifa della IU, il quale lo scelse come segretario della sezione.
Questo fatto fu molto sgradito al MAPAI, che tentò di far invalidare l’elezione di Krisher presso
l’Histadrut, ma la sinistra ebbe successo anche perché i salari e le condizioni di lavoro erano sempre fonte
di malcontento, e la base non si sentiva rappresentata da una dirigenza passiva e inefficiente. Quando
dopo ben 8 anni nel 1939 si tenne finalmente il nuovo congresso dell’IU, per tre voti Hashomer Hatzair
non fu il primo partito nella sezione di Haifa, e alle officine ferroviarie prese la maggioranza assoluta. Il
MAPAI mantenne un ampio margine in altre sezioni, e quindi potè conservare il controllo del sindacato
nel suo complesso, tuttavia alla vigilia della Seconda guerra mondiale la IU non era messa bene: aveva
soltanto 401 iscritti paganti, di cui 186 ferrovieri e 215 post-telegrafonici, e a dispetto del nome
“internazionale” nessun arabo da anni ne era membro. Gli ebrei erano l’8% della forza lavoro nelle
ferrovie.

Di tutte le classi lavoratrici della Palestina mandataria, quella dei ferrovieri probabilmente vide le
maggiori e più complesse dinamiche di interazione tra proletari arabi ed ebrei. Il sogno unitario fu sempre
presente nel corso degli anni anche se, nelle occasioni in cui sembrava poter diventare realtà, fu impedito
dall’intervento del sionismo, che anche negli anni ’40 avrebbe irrimediabilmente sabotato la solidarietà di
classe arabo-ebraica, fino alla catastrofe del 1948 che eliminò virtualmente i lavoratori arabi dalla scena.

61
5

IL PROLETARIATO ARABO
NEL MIRINO DELL’HISTADRUT
(1929 – 1936)

1933 - la polizia inglese reprime una rivolta araba a Jaffa

Alla fine degli anni ’20 l’Histadrut aveva di fatto abbandonato l’idea che il successo dell’impresa
sionista in Palestina fosse strettamente legato alla solidarietà di classe arabo-ebraica. I sanguinosi
avvenimenti dell’agosto 1929 e le loro conseguenze spinsero tutti i sionisti a prestare maggiore attenzione
a quello che veniva ora definito “il problema arabo”. Ben-Gurion e alcuni suoi seguaci iniziarono a dire
che c’era bisogno di un accordo con i leader della comunità araba, dopo che per tutti gli anni ’20 li
avevano attaccati in quanto reazionari coi quali il sionismo laburista non poteva fare alcun compromesso.
Allo stesso tempo, gli eventi del 1929 e i loro sviluppi indussero la direzione dell’Histadrut a rinnovare
l’impegno per relazionarsi con i lavoratori arabi, sebbene in maniera decisamente strumentale.

NASCITA DEL MAPAI E RIPRESA DELLA “ATTIVITA’ ARABA”


L’Histadrut era ora saldamente nelle mani del MAPAI (Partito dei Lavoratori di Eretz Israel),
formatosi nel 1930 dalla fusione di Ahdut Havoda e Hapoel Hatzair. La piattaforma del MAPAI
approcciava la questione dei lavoratori arabi affermando solamente che “il partito tutto…stabilisce
rapporti solidali con il lavoratore arabo e persegue relazioni di pace e comprensione tra il popolo
ebraico e il popolo arabo”. Questa formulazione vaga e poco compromettente era più simile alla linea di
Hapoel Hatzair che a quella di Ahdut Havoda. D’altro canto nella definizione dei propri obiettivi la
leadership del MAPAI continuò a usare i criteri di Ahdut Havoda per organizzare i lavoratori arabi. Per
esempio, in una lettera del 1929 che chiedeva all’Esecutivo Sionista in Palestina fondi per la propaganda
tra gli arabi e verso l’opinione pubblica inglese, l’Histadrut dichiarava che “un accordo con gli abitanti
arabi non può essere ottenuto attraverso compromessi politici con chi aspira a distruggere le nostre
conquiste in Palestina, ma piuttosto attraverso una sistematica attività economico-culturale tra le masse
62
arabe nei villaggi e nelle città, che nel corso del tempo ci renda appetibili per quelle masse, sulla base
dei benefici che l’insediamento ebraico recherà loro”70.
Nel gennaio 1930 l’Esecutivo Sionista approvò in linea di principio il sostegno alle attività
dell’Histadrut rivolte ai lavoratori arabi. Ma il reperimento dei fondi necessari fu una questione molto più
complicata, poiché essi dovettero essere reperiti al di fuori del budget ordinario, dalle ricche donazioni
estere. Nel frattempo, l’Histadrut decise di destinare una piccola parte del proprio budget - 20 sterline al
mese – per riaprire il “general workers’ club” di Haifa. Philip Hassun, che durante la prima fase di
esistenza della sede, tra il 1925 e il 1928-29, aveva svolto la funzione di assistente di Avraham Khalfon,
sembrò la sola persona in grado di rilanciare l’attività. Ma data la situazione di tensione politica, Hassun
insistette affinchè il legame con l’Histadrut rimanesse segreto. L’Histadrut accolse la richiesta di Hassun,
poiché era chiaro che per il momento pochi se non nessuno tra gli arabi si sarebbero recati in un circolo
operaio fondato e diretto dall’Histadrut. Il circolo alla fine aprì nell’autunno 1930.
A spingere l’Histadrut a riprendere la cosiddetta “attività araba” fu anche il fatto che nel gennaio
1930, dopo anni di inattività, la PAWS avesse organizzato con successo il primo congresso generale del
lavoratori arabi. 61 delegati si riunirono ad Haifa, dichiarando di rappresentare circa 3.000 lavoratori.
Circa metà dei delegati venivano proprio da Haifa, e circa la metà di questi rappresentavano i ferrovieri,
che costituivano il principale settore della PAWS. Ma vi erano anche delegazioni più piccole da
Gerusalemme, Jaffa e altre città, che rappresentavano lavoratori di vari settori. Sebbene alcuni sindacalisti
appartenenti o simpatizzanti del PCP aiutassero a organizzare il congresso, esso fu soprattutto gestito dei
sindacalisti più conservatori e non comunisti che avevano fondato la PAWS nel 1925. Il congresso decise
di strutturare un movimento operaio su scala nazionale che avrebbe diretto la lotta per il salario, per le
condizioni di lavoro e per i diritti dei lavoratori arabi. Esso dichiarò anche la propria opposizione
all’immigrazione ebraica e al sionismo e il suo sostegno all’indipendenza della Palestina in quanto stato
arabo. In risposta ai tentativi sionisti di assicurare una larga parte di impieghi governativi agli ebrei sulla
base del fatto che gli ebrei pagavano un eccessivo ammontare di tasse, il congresso chiese al governo
della Palestina di riservare ai lavoratori arabi una quantità di posti proporzionale alla percentuale della
popolazione araba totale.
I dirigenti dell’Histadrut erano ben al corrente del congresso di Haifa e temevano che esso potesse
portare alla crescita di un movimento operaio arabo legato al movimento nazionalista anti-sionista. Prima
del congresso, Philip Hassun aveva incontrato alcuni degli organizzatori e aveva chiesto loro di evitare
riferimenti politici e attacchi all’Histadrut e al sionismo. Per controbilanciare l’effetto del congresso
presso i lavoratori di Haifa, il consiglio operaio di Haifa pubblicò un opuscolo in arabo, con il nome
fittizio di “Consulta dei Lavoratori di Haifa”, salutando il congresso ma anche esprimendo la speranza
che i lavoratori arabi fossero protetti “dalle grinfie dei corrotti e dalle idee ingannevoli”71. Poalei Zion
Smol provò a influenzare direttamente il congresso: George Nassar, il giovane carpentiere arabo che negli
anni ’20 era entrato in stretto contatto con il partito, comparve all’assise e chiese di poter esprimere un
messaggio, spiegando la propria posizione filo-sionista. Gli organizzatori gli vietarono di parlare e lo
allontanarono come agente sionista. Sempre più isolato all’interno della sua comunità, Nassar trovò un
impiego all’Etziyon, un’azienda di lavorazione del legno di proprietà dell’Histadrut, dove rimase per
diversi anni continuando a essere un fedele sostenitore di Poalei Zion Smol.
Questo primo congresso operaio arabo non si rivelò un nuovo inizio del movimento bensì un fatto
isolato. La PAWS non riuscì a darvi seguito e a porre le basi per un movimento effettivamente nazionale,
e durante gli anni successivi rimase un’organizzazione con una base limitata ad Haifa e ai ferrovieri.
Ciononostante, il congresso convinse i leader dell’Histadrut del fatto che un programma di attività presso
i lavoratori arabi fosse urgente e necessario.
La spinta in tal senso venne nella tarda primavera del 1930 da Poalei Zion Smol, che dal 1928 si
era divisa in due fazioni: una più ortodossa, borokhovista, europeista e yiddish capeggiata da Moshe
Erem, e una più orientata sulla Palestina e l’ebraismo diretta da Zev Abramovich e Yitzhak Yitzhaki. Il
Primo Maggio 1930 ciascuna fazione, con la collaborazione di personalità non appartenenti al partito
inclusi alcuni intellettuali e accademici, annunciò la creazione di un organismo separato per promuovere
la solidarietà operaia arabo-ebraica. Una settimana dopo, riconoscendo che non aveva senso mantenere

70
Central Zionist Archives
71
ibidem
63
due organizzazione per il medesimo scopo, i due gruppi si fusero assumendo il nome di uno di essi,
Ahavat Poalim (Fratellanza Operaia).
Nei successivi due mesi, Ahavat Poalim cercò di spingere l’Histadrut ad assumere un
atteggiamento più attivo riguardo ai lavoratori arabi. Esso affermava che gli eventi dell’anno passato
avevano dimostrato l’importanza di un’organizzazione che combattesse i tentativi sia degli effendi arabi
che della borghesia ebraica di seminare l’odio etnico, e che promuovesse la causa dei lavoratori arabi ed
ebrei. Emersero subito le stesse contraddizioni che avevano a lungo accompagnato la storia di Poalei Zion
Smol. Infatti il primo incontro degli iscritti all’organizzazione si concluse con una risoluzione che
riconosceva sia il pieno diritto delle masse operaie arabe all’autodeterminazione nazionale in Palestina,
sia il diritto a un’immigrazione ebraica illimitata e allo sviluppo in senso nazionale di quest’ultima.
Le fila di coloro che non erano soddisfatti della scarsa attività dell’Histadrut verso i lavoratori
arabi furono ampliate allorchè Hakibbutz Haartzi – Hashomer Hatzair si affermò nell’Histadrut e
nell’Yishuv come significativa forza nascente alla sinistra del MAPAI, e iniziò a lavorare per
un’organizzazione congiunta. La leadership di Hakibbutz Haartzi era indecisa se aderire o no a Ahavat
Poalim, e la questione divenne molto dibattuta, ma in ogni caso alla metà di luglio del 1930 Ahavat
Poalim fu sciolta dal governo mandatario, che non era mai entusiasta di iniziative che favorissero la
solidarietà operaia arabo-ebraica, e specialmente di quelle appoggiate da Poalei Zion Smol, che le autorità
consideravano alla stregua di bolscevichi e radicalmente anti-imperialisti.
Nella sua riunione del maggio 1930 il consiglio dell'Histadrut dichiarò che i lavoratori ebrei
organizzati in Palestina erano obbligati dalla solidarietà di classe a provare ad aiutare gli arabi a
migliorare le loro condizioni di vita e a soddisfare i loro "bisogni economici e culturali", ma aggiunse che
"ogni passo in questa direzione faciliterà la lotta per l'esistenza del lavoro ebraico e dell'economia
ebraica costruita su questo lavoro"72. Nello stesso tempo, il consiglio respinse la reiterata richiesta di
Poale Zion Smol, ora fatta propria da Ahavat Poalim, che l'Histadrut diventasse un'organizzazione su base
territoriale aperta sia agli ebrei che agli arabi, e si accontentò di approvare le misure già discusse in
precedenza, ovvero l'apertura di sedi per i lavoratori arabi e la pubblicazione di un periodico in arabo.
Alla fine del 1930 l'Histadrut compì un altro passo istituendo un'apposita segreteria o dipartimento
per gli affari arabi, sotto la supervisione del suo esecutivo. Questo dipartimento aveva un membro a
tempo pieno, Yehuda Burla, che dal suo ufficio nel quartier generale dell'Histadrut a Tel Aviv provò a
programmare e coordinare il lavoro del piccolo numero di attivisti che nelle varie città erano interessati al
coinvolgimento dei lavoratori arabi. Burla (1886 - 1969) era nato a Gerusalemme da una famiglia
trasferitasi in Palestina da Smirne nel XVII secolo. Divenuto insegnante, lavorò per la maggior parte della
sua vita nelle scuole ebraiche, a Damasco e quindi in Palestina. Egli è noto soprattutto come scrittore: fu
il primo autore ebreo moderno i cui romanzi parlassero della vita degli ebrei di origine mediorientale,
sebbene alcuni suoi personaggi fossero beduini. Dopo la sua parentesi all'Histadrut (1930 - 32) ritornò
all'insegnamento, quindi lavorò per il Keren Hayesod (uno dei bracci finanziari dell'Organizzazione
Sionista) e dopo la fondazione dello stato di Israele svolse incarichi governativi di medio livello.
Come “segretario arabo” dell’Histadrut, Burla lavorò sotto la supervisione di alcuni dirigenti, tra i
quali vi era Yitzhak Ben-Tzvi. Sebbene alle prese con i suoi incarichi al Vaad Leumi, l’organismo
rappresentativo dell’Yishuv nel quale entrò nel 1931, Ben-Tzvi qualche volta partecipò alle discussioni
nell’Histadrut sulle questioni arabe. Un altro dirigente dell’Histadrut e del MAPAI coinvolto in
quest’ambito fu Dov Hoz (1894 – 1940). Hoz era giunto in Palestina nel 1906 e svolse varie funzioni nel
movimento sionista laburista, fino alla morte prematura dovuta a un incidente automobilistico. Un'altra
figura che all’epoca iniziò a svolgere un ruolo sempre più importante nel’attività araba dell’Histadrut,
soprattutto ad Haifa ma anche a livello nazionale, fu un giovane che prese il nome ebraico di Abba Hushi
(1898 – 1969). Nato in Galizia, Hushi giunse in Palestina nel 1920 come membro di Hashomer Hatzair.
Dopo un’esperienza in un kibbutz si stabilì ad Haifa nel 1927 e fece carriera nella gerarchia locale
dell’Histadrut e del MAPAI, assumendo l’importante carica di segretario del Consiglio operaio di Haifa
nel 1931. La sua personalità piuttosto aspra e autoritaria rendeva difficile lavorare con lui. Hushi divenne
in pratica il capo operaio di una città portuale cosmopolita, mettendo lo zampino in tutti gli affari più
sordidi; si diceva che fosse in buoni rapporti con membri della malavita ebraica di Haifa. Gli sforzi di
Hushi di imparare l’arabo e organizzare i lavoratori arabi di Haifa, soprattutto i portuali, erano legati alla

72
Histadrut Archives
64
sua intenzione di diventare il boss di Haifa. Dopo diciannove anni alla guida dell’Histadrut ad Haifa,
Hushi divenne sindaco della città, ruolo che svolse fino alla morte.
La prima e principale preoccupazione del nuovo dipartimento arabo dell’Histadrut furono i fondi.
Il dipartimento era sempre a corto di denaro e in cerca di finanziamenti, dall’Esecutivo Sionista
palestinese (che sosteneva anche altri programmi dell’Histadrut) e poi dalla neonata Agenzia Ebraica,
istituita nel 1929 come strumento attraverso il quale gli ebrei non-sionisti potevano contribuire allo
sviluppo della “casa nazionale” ebraica in Palestina. Nei loro appelli ai sionisti per ottenere dei fondi,
Burla e i suoi soci di solito usavano due argomenti. Da un lato dicevano che i lavoratori arabi ed ebrei
avevano interessi economici comuni i quali potevano servire come base per costruire relazioni
amichevoli. Dall’altro lato, come Burla affermò nel 1931, “Se non capiamo cosa ci aspetta e non ci
diamo da fare, altri arriveranno e organizzeranno le masse contro di noi, per sconfiggerci. E allora, se le
masse arabe saranno organizzate contro di noi, la nostra situazione in Palestina sarà cento volte più
difficile di quanto non sia oggi”73.
Come all’inizio degli anni ’20, l’attività araba dell’Histadrut era in questo periodo pressoché
limitata ad Haifa, dove nonostante la mancanza di fondi la sede per i lavoratori arabi nel febbraio 1931
contava 138 iscritti. Quasi tutti costoro erano lavoratori qualificati, per lo più carpentieri, scalpellini e
fabbri, e lavoravano nella maggiori imprese della città, guadagnando dalle 15 alle 40 piastre al giorno. La
prevalenza di lavoratori qualificati non era casuale: con l’assenso dei funzionari dell’Histadrut, il
segretario della sezione Philip Hassun mirava deliberatamente a escludere i disoccupati o i precari, per
paura che la sede acquisisse la fama di agenzia di collocamento degli arabi nelle imprese ebraiche. In più,
la sezione ospitava i membri arabi dell’Unione Internazionale dei Lavoratori di Ferrovie, Poste e
Telegrafi, affiliata all’Histadrut. Sebbene la maggior parte degli iscritti sapesse leggere e scrivere, pochi
leggevano libri o giornali. La sezione organizzò corsi di ebraico, inglese e (per i lavoratori ebrei) arabo,
mise a disposizione libri e giornali, promosse conferenze e dibattiti, e aveva una squadra di calcio. Ma
probabilmente ciò che più attraeva i suoi membri erano i servizi offerti: l’accesso alla rete sanitaria
“Kupat Holim” dell’Histadrut per la modica cifra di 15 piastre al mese, e un fondo creditizio il cui
capitale iniziale era stato fornito dall’Agenzia Ebraica e da una cooperativa dell’Histadrut, e dal quale
circa 50 lavoratori avevano preso in prestito somme fino a 5 sterline a partire dal febbraio 1931.
Ma gli scarsi fondi non bastavano a sostenere tutte queste attività. Hassun ripeteva costantemente
ai suoi superiori che le attività della sezione erano state sospese per mancanza di denaro, mentre Burla
interpellava di continuo l’Agenzia Ebraica per fondi addizionali. Nello stesso tempo Burla dovette
allontanare i sospetti dei funzionari conservatori dell’Agenzia che l’Histadrut utilizzasse i finanziamenti
sionisti per inculcare idee socialiste nei lavoratori arabi. Nelle sue richieste di denaro e nelle discussioni
sull’attività araba, i funzionari dell’Histadrut non persero mai di vista le implicazioni politiche di questo
settore di lavoro: la possibilità di avvantaggiare il sionismo e di indebolire il movimento nazionalista
arabo-palestinese.

GLI SCIOPERI DEGLI AUTISTI


Mentre il dipartimento arabo dell’Histadrut provava a mettere in piedi la sua limitata attività, arabi
ed ebrei cooperavano in un’inedita unità d’azione in difesa dei loro interessi economici. Nel luglio 1931 e
di nuovo in novembre gli autisti di taxi, autobus e camion arabi ed ebrei lanciarono uno sciopero unitario
che paralizzò il trasporto su ruote in Palestina. Non si trattò di vere istanze di solidarietà operaia: la
maggioranza dei partecipanti non erano salariati ma piccoli proprietari, un intero settore mobilitato per
dare corpo alle proprie rivendicazioni nei confronti del governo mandatario. In ogni caso questi scioperi
catalizzarono l’attenzione e la simpatia dell’opinione pubblica, e per un momento sembrò delinearsi la
possibilità di una cooperazione arabo-ebraica nel perseguimento di comuni interessi economici.
Gli autisti dei veicoli a motore costituivano una nuova categoria sociale nella società palestinese.
Essi coi loro mezzi modificavano i viaggi e il trasporto locale e implementavano nuovi modi per mettere
in comunicazione anche luoghi lontani uno dall’altro. Come altrove, gli autisti in Palestina acquisirono la
fama di uomini indipendenti e solitari, tipi tosti in grado di affrontare gli ostacoli della vita e della strada,

73
Frederick Kish, Palestine Diary, 1938

65
e come tali entrarono a far parte della cultura popolare araba. Questa rappresentazione può avere favorito
la simpatia nei confronti della loro lotta.
Il trasporto su ruote si era sviluppato molto rapidamente in Palestina tra la fine degli anni ’20 e
l’inizio degli anni ’30, con la costruzione di nuove strade e il miglioramento di quelle esistenti da parte
del governo. Un consistente numero di arabi ed ebrei acquistarono automobili, autobus o camion e si
misero in affari trasportando passeggeri o carichi, o entrambi. La maggioranza di costoro erano singoli
individui che possedevano e utilizzavano un singolo veicolo, ma alcuni uomini d’affari arabi crearono
compagnie più grandi che assumevano autisti per creare servizi di taxi o linee di autobus più o meno
regolari tra le città e i villaggi palestinesi, insieme a servizi per turisti o il trasporto di spedizioni. Erano
stati fatti tentativi di ridurre la concorrenza tra i proprietari ebrei assegnando determinate linee a ciascuno
di essi, e l’Histadrut aveva cercato attraverso il suo Consorzio Cooperative di costituire una cooperativa
di autisti ebrei. Ma queste iniziative ebbero ben poco successo, e il settore rimase largamente
deregolamentato, con troppi proprietari e autisti in competizione per troppo pochi passeggeri e carichi.
Nel 1930 tutte e tre le categorie che vivevano del trasporto su ruote – i proprietari, gli autisti loro
dipendenti e i proprietari-autisti di un singolo veicolo – erano giunte a condividere una serie di
rivendicazioni, per lo più dirette al governo. Essi lamentavano che i prezzi del carburante, già mantenuti
alti dalle due compagnie (Shell e Vacuum Oil) che controllavano il mercato palestinese, venivano
aumentati ancora di più dalle tasse governative. Una latta di carburante in Palestina costava 405 millesimi
(di cui 205 millesimi di tasse), mentre in Siria, Iraq ed Egitto costava solo 240 – 260 millesimi. Il governo
mandatario imponeva anche una licenza annuale di 10 – 12 sterline, mentre in Egitto e Siria le licenze
erano gratis. I dazi doganali sui pneumatici erano anche elevati, così come le multe per le violazioni del
codice della strada, che secondo gli autisti erano imposte arbitrariamente. “E poichè il governo non era
soddisfatto che con tutti questi guai ci rimanesse ancora un briciolo di fiato per respirare – dichiarava un
documento pubblico siglato da autisti e proprietari nel giugno 1931 – esso nel 1929 ha varato una nuova
legge chiamata Road Transport Act, aggiungendo regole e condizioni che ci porteranno alla rovina e ci
lasceranno senza speranza”74.
Alla fine del 1930 un gruppo di proprietari e autisti arabi chiese a Hasan Sidqi al-Dajani, un
giovane avvocato proveniente da una facoltosa famiglia araba, di farsi portavoce delle loro richieste di
abbassamento di prezzi, tasse e licenze alle compagnie petrolifere e al governo. Poichè le trattative non
portarono a risultati, il malcontento crebbe tra sia tra gli arabi che tra gli ebrei, e al-Dajani cominciò a
lavorare insieme a Shraga Gorokhovskij (poi Goren), direttore del Consorzio Cooperative dell’Histadrut,
che si poneva in rappresentanza dei proprietari ebrei. Nel giugno 1931 vi era da parte del settore la
crescente volontà di uno sciopero dei trasporti su ruote per spingere il governo mandatario ad accogliere
le proprie richieste. Il 29 giugno al-Dajani annunciò la costituzione di un comitato di agitazione composto
sia da arabi che da ebrei e dichiarò che il 1 luglio avrebbe avuto inizio uno sciopero generale nazionale di
tutti i veicoli su ruote, accompagnato da carovane pacifiche di protesta nelle strade di Gerusalemme,
Jaffa, Tel Aviv e Haifa. Gli obiettivi dello sciopero erano il 50% di tagli a tasse e dazi sui pneumatici,
l’abolizione dei costi delle licenze e la revisione del Road Transport Act. Il comitato di agitazione fece
appello a tutti i proprietari di autoveicoli di aderire allo sciopero, promettendo di mantenere nelle città
principali dei mezzi per il trasporto dei malati in casi di emergenza.
Nelle discussioni interne la dirigenza dell’Histadrut era contraria allo sciopero in quanto temeva
che potesse andare fuori controllo, sfociare nella violenza o assumere dimensioni politiche; in tutti questi
casi gli insediamenti ebraici e le loro attività economiche sarebbero state messe a repentaglio. Alcuni
funzionari dell’Histadrut confessarono di vedere la mano del nazionalismo arabo o dei comunisti dietro
l’attivismo degli autisti. L’Histadrut spinse i proprietari e autisti ebrei ad opporsi allo sciopero, ma non vi
riuscì: gli autisti arabi erano decisi all’azione e molti autisti ebrei li appoggiavano.
L’Histadrut non era sola nel guardare con sospetto allo sciopero. L’Esecutivo Arabo, la leadership
formale del movimento nazionalista arabo in Palestina, non gradiva l’emergere di un’alleanza arabo-
ebraica di tal fatta. Da una parte essa tendeva ad allentare le divisioni tra gli arabi e gli ebrei, mettendo in
secondo piano le rivendicazioni del nazionalismo arabo. In secondo luogo l’agitazione era diretta in primo
luogo contro le politiche del governo mandatario, e l’Esecutivo Arabo all’epoca riteneva ancora che vi
sarebbe potuto essere un cambiamento nella politica inglese, nel senso di porre fine al progetto sionista.

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Histadrut Archives
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Infine l’Esecutivo Arabo era controllato dalla fazione dominante nel movimento nazionalista, capeggiata
dalla famiglia Husseini, mentre Hasan Sidqi al-Dajani era discendente di una facoltosa famiglia
avversaria degli Husseini, quella dei Nashashibi. I Nashashibi erano visti come filo-inglesi e amici del
fantoccio britannico Abdallah, governatore della Transgiordania, che aveva ambizioni di lunga data sulla
Palestina. Può essere apparso agli Husseini che organizzando gli autisti i loro rivali nella leadership sulla
comunità araba avrebbero acquisito una considerevole importanza economica e politica. Ma come
l’Histadrut l’Esecutivo Arabo non osò andare contro l’opinione pubblica, che simpatizzava ampiamente
con gli autisti. Il 29 giugno uscì una dichiarazione del suo presidente, Musa Kazim al-Husseini, che
esprimeva sostegno per gli autisti e la speranza che le loro richieste venissero accolte senza lo sciopero.
La dichiarazione non parlava di arabi o ebrei ma di “proprietari di veicoli e autisti”.
Una concessione dell’ultimo momento del governo – il posticipo di un mese del pagamento delle
licenze – fece rinviare lo sciopero. Nelle settimane che seguirono gli autisti si organizzarono formalmente
in una Associazione dei Proprietari e Autisti di Autoveicoli, con l’elezione di un comitato esecutivo
comprendente un uguale numero di arabi ed ebrei e presieduto da al-Dajani, con Gorokhovskij come vice.
Il comitato entrò in trattativa col governo, che offrì concessioni che soddisfacevano poche delle richieste
degli autisti. Sebbene al-Dajani fosse esistante e Gorokhovskij (sostenuto dallHistadrut) fosse
decisamente contrario allo sciopero, gli altri membri del comitato, pressati dalla base, spinsero per una
nuova indizione, che fu fissata per il 7 agosto. Dopo forti appelli da parte delle camere di commercio
araba ed ebraica e dei leader dell’Yishuv, ansiosi di evitare qualunque limitazione ai trasporti, il governo
propose una commissione per investigare sulle rivendicazioni e redigere un rapporto entro la fine di
ottobre. L’Associazione dei Proprietari e Autisti accettò l’offerta, annullò lo sciopero a oltranza e
organizzò un’agitazione di 24 ore. Lo sciopero si svolse pacificamente e fu salutato come un successo
dall’Associazione.
Nei mesi che seguirono Hasan Sidqi al-Dajani fu duramente attaccato dalla stampa araba per la
sua collaborazione con gli ebrei. Sorprendentemente l’attacco venne innanzitutto dal Filastin, giornale
legato alla fazione dei Nashashibi. Il 18 settembre 1931 Filastin pubblicò un editoriale chiaramente
rivolto a al-Dajani: esso ammoniva “chiunque abbia collaborato con gli ingannatori sionisti a smetterla e
a creare un’associazione araba nella quale i non arabi non abbiano alcun ruolo, e Dio dimenticherà
quanto fatto in passato”. Nello stesso tempo un opuscolo firmato da tre autisti arabi ma probabilmente
ispirato da attivisti filo-Husseini accusò al-Dajani di essere un fantoccio sionista:

Non c’è dubbio che chi conosce gli affari dell’Associazione sa che Hasan Sidqi al-Dajani è
legittimato soltanto dagli ebrei. Egli tutti i giorni è a Tel Aviv, e lì tutti i giorni incontra gli ebrei. E’
pensabile che egli possa attuare una qualunque politica che vada contro gli interessi degli ebrei? E
con non faccia nell’associazione quello che gli dicono gli ebrei?75

L’opuscolo chiedeva la destituzione di al-Dajani e lo scioglimento dell’associazione unitaria, una


richiesta appoggiata da diverse lettere firmate da autisti e inviate al Filastin.
La risposta di al-Dajani, pubblicata su Filastin due giorni dopo, era basata sul falso. Egli affermò
che un’associazione di autisti e proprietari solamente arabi era stata fondata alcuni anni prima. Ma,
aggiungeva, “abbiamo visto che non potevamo condurre uno sciopero efficace per spingere il governo ad
accettare le nostre richieste se questo sciopero non fosse stato generale e totale in ogni parte del paese,
così ci siamo messi d’accordo su alcune condizioni base – ma non ci siamo uniti”. Contrariamente alla
realtà, al-Dajani ribadiva che non vi era alcuna associazione unitaria, ma piuttosto un’alleanza tra due
organizzazioni interamente separate, una araba e una ebraica. In ogni caso, non sembra che questi attacchi
abbiano indebolito più di tanto la posizione di al-Dajani; quando la mobilitazione riprese alla fine di
ottobre, egli ne era ancora a capo e arabi ed ebrei continuavano a collaborare strettamente. La
commissione di inchiesta aveva raccomandato alcuni provvedimenti, incluso l’abolizione delle licenze a
pagamento, ma il governo mandatario non lì recepì e dichiarò di aver bisogno di altri mesi per giungere a
una decisione definitiva. Gli autisti indispettiti organizzarono un altro congresso nazionale e decisero per
lo sciopero a partire dalla mezzanotte tra il 2 e il 3 novembre 1931.

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Central Zionist Archives
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Questa volta la minaccia fu posta in atto, e circa 2.000 autisti scioperarono per nove giorni, fino
alla mezzanotte dell’11 novembre. Lo sciopero fu molto efficace: i giornali riportarono che a parte i
mezzi di esercito e polizia difficilmente si poteva vedere un’auto, un autobus o un camion sulle strade
della Palestina, e al loro posto si vedevano carretti trainati da asini. Nei primi giorni lo scioperò sembrò
guadagnare la simpatia dell’opinione pubblica araba ed ebraica; anche Filastin si schierò a favore.
L’associazione dei commercianti arabi chiamò un sciopero di solidarietà di tre giorni, per spingere il
governo ad accettare le richieste dei dimostranti e tornare dunque agli affari, ma lo annullò dopo che il
governo ebbe annunciato un rinvio di un mese del pagamento delle licenze. Quando lo sciopero cominciò
a mettere in difficoltà l’andamento delle attività economiche, iniziarono le pressione per indurre gli autisti
a tornare al lavoro. I delegati dei dimostranti tennero duro per un po’, ma alla fine accondiscesero a porre
fine alla protesta dopo la promessa della camera di commercio araba di cooperare per il raggiungimento
delle rivendicazioni. Pochi mesi dopo i lavoratori ottennero una parziale vittoria quando il governo
ridusse il costo delle licenze, sebbene per compenso aumentò il costo dei pezzi di ricambio.
Come conseguenza dello sciopero al-Dajani accarezzò l’idea di trasformare la sua preminenza tra
gli autisti arabi in un’organizzazione politica. In colloqui riservati con funzionari del dipartimento politico
dell’Agenzia Ebraica, cercò finanziamenti sionisti per l’istituzione di un “Palestine Arab Workers’ Party”,
apparentemente una via di mezzo tra un partito e un sindacato. Moshe Shertok e altri funzionari
dell’Agenzia erano piuttosto interessati, e così alcuni dirigenti dell’Histadrut. Tuttavia non se ne fece
nulla. In quanto presidente dell’Associazione dei Proprietari e Autisti di Autoveicoli, al-Dajani si occupò
di politica araba come dirigente del Partito di Difesa Nazionale, fondato nel 1934 dai Nashashibi e dai
loro alleati dopo la dissoluzione dell’Esecutivo Arabo e la frammentazione dell’elite araba palestinese in
diverse fazioni rivali.
Gli scioperi dei trasporti del 1931 non produssero un’organizzazione arabo-ebraica durevole. Essi
portarono invece a una molto maggiore regolamentazione del settore, e a una ristrutturazione. Furono
istituite linee di autobus fisse, e fu più difficile ottenere le licenze, con conseguente indebolimento dei
piccoli proprietari individuali e rafforzamento dei grandi. Ciò avvantaggiò i titolari di compagnie di
autobus arabi ma anche l’Histadrut, che con Gorokhovskij organizzò gli autisti ebrei in cooperative.
Come altri settori dell’economia palestinese, il settore dei trasporti sarebbe diventato sempre più
segregato, con compagnie di autobus e camion affiliate all’Histadrut che servivano le città e gli
insediamenti ebraici, e le compagnie arabe nelle città e nei villaggi arabi.

CRISI DELLA “ATTIVITA’ ARABA”


L’ambivalenza dell’Histadrut verso l’attivismo degli autisti andava di pari passo con
l’ambivalenza verso i tentativi di organizzare i lavoratori arabi impiegati in imprese ebraiche. Ciò emerse
nel settembre 1931, quando una trentina di lavoratori arabi alle dipendenze di agricoltori ebrei nel
moshava di Benyamina scesero in sciopero in risposta al taglio dei salari e chiesero la collaborazione dei
loro colleghi ebrei. Formalmente lo sciopero ebbe l’avallo sia di un’assemblea generale dei lavoratori
ebrei, sia dell’esecutivo dell’Histadrut, che promise che gli ebrei non avrebbero approfittato dello
sciopero per soppiantare il lavoro arabo e che i lavoratori ebrei si sarebbero uniti ai picchetti. In privato,
tuttavia, l’Histadrut e il consiglio operaio di Benyamina erano tutt’altro che entusiasti dello sciopero.
Questo era un periodo di grave disoccupazione nell’Yishuv, e il MAPAI non apprezzava che l’Histadrut
difendesse lavoratori arabi in un moshavot nel quale avrebbe volentieri inserito lavoratori ebrei. I
disoccupati ebrei già sfogavano la loro frustrazione sugli arabi: ad Afula in giugno un gruppo di ebrei
senza lavoro aveva attaccato e cacciato gli arabi assunti dal governo per la costruzione di una strada. Gli
aderenti al MAPAI che controllavano il consiglio operaio di Benyamina decisero di ritirare ogni appoggio
allo sciopero, e questo fallì rapidamente. Mentre gli attivisti di Hashomer Hatzair nel moshava
denunciavano il consiglio e l’Histadrut per il loro comportamento, i sostenitori del MAPAI chiamarono in
causa la mancanza di coinvolgimento e organizzazione degli arabi.
Nello stesso tempo la fase in cui sembrava che l’Histadrut si sforzasse di organizzare i lavoratori
arabi, a cavallo tra il 1930 e il 1931, stava terminando. In un memorandum del dicembre 1931 Yehuda
Burla richiamò l’urgenza di intensificare le iniziative rivolte agli arabi per scongiurare la crescente ostilità
tra questi ultimi e gli ebrei e chiese alle istituzioni coinvolte - Histadrut, Agenzia Ebraica e Vaad Leumi
– di lavorare insieme. Egli immaginava l’apertura di sedi per i lavoratori arabi nelle principali città,
l’estensione del lavoro ai villaggi arabi, la creazione di un cospicuo fondo di credito con il sostegno di
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tutte le banche ebraiche in Palestina, e un periodico in arabo. Ma i suoi progetti erano lontani dalla realtà:
all’inizio del 1932 questo settore di attività dell’Histadrut era pressoché al palo. A corto di finanziamenti,
l’Histadrut sospese l’apertura di sezioni per lavoratori arabi a Jaffa, Gerusalemme e Lydda, così come i
corsi di arabo e altre attività. La sezione di Haifa continuò ad operare ma solo parzialmente.
Abba Hushi, segretario del consiglio operaio di Haifa, giocava un ruolo sempre più centrale in
queste discussioni e nelle conseguenti relazioni dell’Histadrut coi lavoratori arabi. Hushi riteneva che la
sezione di Haifa dovesse essere soltanto uno strumento temporaneo, un mezzo per un fine: lo scopo
ultimo era la mobilitazione dei lavoratori arabi su temi economici e la loro organizzazione in sindacati
legati all’Histadrut. Hushi vedeva l’attuale segretario della sezione di Haifa, Philip Hassun, come una
costosa e inutile “eredità” della passata gestione, uno che sarebbe mai stato in grado di creare una
cospicua base tra i lavoratori arabi.
Di fatto Hassun era quasi alla fine del suo mandato. In frequenti lettere all’Histadrut egli
lamentava di non aver ricevuto fondi per mesi e di non poter pagare l’affitto della sede, i costi
dell’elettricità o il salario del custode. Nella primavera del 1932, quando i suoi rapporti con Abba Hushi
giunsero al punto di rottura, le lettere di Hassun assunsero un tono sempre più amaro e disperato. In una
missiva al suo vecchio mentore Yitzhak Ben-Tzvi, Hassun affermò che Abba Hushi lo aveva
pubblicamente minacciato di percosse se avesse ancora insistito nel voler vedere i conti della sezione.
“Dunque caro fratello – scriveva a Ben-Tzvi – questa è la nostra ricompensa per dieci anni di lavoro, e
dopo aver sacrificato la giovinezza e la famiglia sull’altare dell’Histadrut; dopo tutto questo tempo salta
fuori un pazzo dell’Histadrut che minaccia di picchiarci e rovinarci”76. Hassun pregava Ben-Tzvi e Ben-
Gurion di venire ad Haifa per tirare fuori la sezione dal fango in cui era finita, e salvarlo dagli abusi di
Hushi.
Ma Ben-Gurion e Ben-Tzvi stavano con Abba Hushi e non con Philip Hassun, la cui carriera
nell’Histadrut terminò poco dopo. Nel giugno 1932 egli fu destituito da segretario della sezione di Haifa;
cosa gli accade dopo non è noto. La sua uscita di scena fu un trionfo per Abba Hushi, che aveva già
iniziato a gettare le basi del nuovo approccio e potè ora assumere il controllo dell’attività araba
dell’Histadrut ad Haifa. In questo fu aiutato dall’arrivo più o meno in quel periodo di nuovi finanziamenti
raccolti in Inghilterra da Israel Sieff, un ricco sionista che a Londra aveva fondato un’associazione per
cercare di migliorare le relazioni arabo-ebraiche.

I PORTUALI DI HAIFA E LA NASCITA DELLA PLL


Il primo scenario nel quale la linea di Hushi per rilanciare l’attività araba dell’Histadrut diede dei
frutti fu il vecchio porto di Haifa77. I leader dell’Histadrut si erano interessati al porto fin dai primi anni
’20 a causa della sua rilevanza economica (e potenzialmente politica), e avevano cercato di introdurvi
lavoratori ebrei. L’Esecutivo Sionista e l’Histadrut premevano incessantemente sul governo mandatario e
l’Ufficio Coloniale affinchè inducessero le autorità portuali e gli intermediari arabi che assegnavano gli
impieghi ad assumere ebrei, ma senza molto successo. Il governo mandatario, appoggiato dall’Ufficio
Coloniale, in generale si opponeva a queste pressioni per ragioni politiche ma anche perché gli ebrei
avrebbero chiesto paghe più alte e migliori condizioni di lavoro. Nello stesso tempo, come per le ferrovie,
non era facile per l’Histadrut spingere gli ebrei ad accontentarsi del duro lavoro del portuale, sottopagato
e in difficili condizioni.
In varie occasioni durante gli anni ’20 il consiglio operaio di Haifa aveva inviato alcuni abitanti
dei nascenti kibbutz a lavorare al porto, ma costoro raramente si fermavano a lungo Dunque il numero di
ebrei impiegati al porto di Haifa rimaneva ridotto: alla fine del 1929 vi erano circa due dozzine di ebrei,
quasi tutti specializzati, a fronte di circa 450 arabi. Di questi ultimi, molti erano della regione siriana
dell’Hawran, controllata dalla Francia. Durante il periodo mandatario, e specialmente durante i primi anni
’30, migliaia di contadini poveri giunsero in Palestina dall’Hawran in cerca di lavoro. Il termine hawrani
sarebbe entrato nella lingua ebraica colloquiale palestinese (e poi israeliana) come sinonimo di “povero”
o “cencioso”. Come vedremo, alcuni sionisti di sinistra teorizzarono che i lavoratori arabi palestinesi ed

76
Histadrut Archives
77
Una nuova darsena era in costruzione ma non sarebbe stata completata prima della fine del 1933.

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ebrei avessero un nemico comune rappresentato proprio dagli immigrati hawrani, e dovessero unirsi
appositamente per fronteggiare tale minaccia.
Nei primi anni ’30, di fronte all’ampia disoccupazione nell’Yishuv, l’Histadrut intensificò i suoi
sforzi per aumentare il numero degli ebrei assunti al porto. Riuscì nell’intento per quanto riguarda la
costruzione della nuova darsena. Ma al vecchio porto la sua attività di lobbying diede risultati inferiori:
nel maggio 1932 solo 28 ebrei lavoravano al vecchio porto, come stivatori, facchini o addetti all’allibo.
Gli stivatori, che caricavano e scaricavano le navi, erano “l’elite” dei portuali; i facchini portavano le
merci dalla ferrovia fin sulla banchina del porto; e gli addetti all’allibo lavoravano sui barche (“allibi”
appunto) che trasportavano le merci alle e dalle navi, che erano ancorate a circa un miglio dalla banchina.
In queste circostanze era chiaro che, come per le ferrovie, gli ebrei avrebbero potuto essere inseriti
negli impieghi al porto di Haifa solo se per gli arabi le paghe fossero notevolmente aumentate e le
condizioni di lavoro migliorate. Ecco perché Abba Hushi non esitò a cogliere l’occasione allorchè,
nell’aprile 1932, alcuni addetti all’allibo arabi scesero improvvisamente in sciopero, apparentemente per
protestare contro la decisione degli intermediari di assumerli a giornata anziché mese per mese e di
congedare alcuni lavoratori negando loro il riconoscimento dell’anzianità. Gli addetti all’allibo ebrei coi
quali gli scioperanti arabi avevano lavorato fianco a fianco per un anno si rifiutarono di fare i crumiri;
molti di loro erano membri di Hashomer Hatzair in attesa di stabilirsi in un kibbutz, e videro lo sciopero
come un’opportunità di dare prova dell’internazionalismo proletario che era parte dei loro slogan.
All’inizio alcuni degli scioperanti arabi proposero di rivolgersi alla PAWS per ricevere sostegno, ma
quando questa diede prova di scarso impegno furono d’accordo nell’autorizzare Abba Hushi a negoziare
per loro conto.
Sebbene Hushi fosse in buoni rapporti con gli intermediari, non riuscì a ottenere molto per gli
scioperanti: dopo quattro giorni essi tornarono al lavoro solo con la promessa a parole che in capo a due
settimane sarebbero stati impiegati di nuovo su base mensile. Gli addetti all'allibo tuttavia furono ben
impressionati dall'aiuto ricevuto dai colleghi ebrei, dal consiglio operaio di Haifa e dall'Histadrut. Era
iniziata la bassa stagione, e senza questo aiuto probabilmente essi avrebbero perso il lavoro. Dopo la fine
dello sciopero gli addetti all'allibo e altri lavoratori arabi del porto entrarono nella neonata Unione dei
Portuali, fondata dall'Histadrut e aperta a lavoratori sia arabi che ebrei. Benchè i lavoratori ebrei di
Hashomer Hatzair volessero un'organismo pienamente internazionale senza divisioni interne, Hushi e i
suoi del MAPAI insistettero affinchè l'Unione avesse sezioni nazionali separate.
I membri arabi dell'Unione dei Portuali dovevano costituire la prima cellula di una nuova
organizzazione che fu creata nel 1932 per coordinare i lavoratori arabi sotto la direzione dell'Histadrut. In
ebraico la nuova organizzazione fu chiamata "Lega dei lavoratori della Terra di Israele", in arabo "Unione
dei Lavoratori di Palestina". D'ora in poi ci si riferira ad essa con il nome ufficiale inglese, Palestine
Labor League (PLL). Come spiegato nel capitolo 2, dopo anni di dibattito il terzo congresso dell'Histadrut
nel 1927 aveva adottato una risoluzione per la creazione di una "lega internazionale dei lavoratori della
terra d'Israele" che includesse l'Histadrut e la sua ancora inesistente complementare araba. Nessuna lega o
alleanza di tal fatta fu mai creata. Invece, a quella che era di fatto una piccola organizzazione funzionale
agli obiettivi dell'Histadrut fu attribuito il nome roboante originariamente riservato all'ipotetica
federazione binazionale. Lo statuto della PLL fu approvato dall'Histadrut e ratificato dal comitato
esecutivo nel maggio 1932, e sebbene quest'ultimo si richiamasse alla risoluzione del 1927 era chiaro che
non si trattava di quanto progettato cinque anni prima.
Con la creazione della PLL la dirigenza dell'Histadrut pose fine alla possibilità che ai lavoratori
arabi fosse permesso di diventare membri a pieno titolo di un'Histadrut rinnovata in senso non-sionista,
come chiedeva Poalei Zion Smol. Questa svolta rendeva altresì irrilevante anche l'appello all'unità arabo-
ebraica lanciato da Hashomer Hatzair. Per il restante periodo mandatario, di fatto fino al 1959 quando
l'Histadrut decise di far entrare gli arabi come membri a pieno titolo, la PLL (ribattezzata Israel Labor
League dopo il 1948), fu l'organizzazione cui erano indirizzati i lavoratori arabi organizzati sotto la tutela
dell'Histadrut. Fu diretta esclusivamente da funzionari ebrei dell'Histadrut, il suo budget proveniva
dall'Histadrut e da altre fonti sioniste, e dipendeva esclusivamente dalle indicazioni dell'Histadrut - quindi
del MAPAI - per tutte le questioni.
Per il lavoro quotidiano di reclutamento fu ingaggiato un nuovo organizzatore a tempo pieno,
Eliyahu Agassi, che per più di quattro decenni avrebbe svolto un importante ruolo nell'attività araba
dell'Histadrut. Agassi era nato a Baghdad nel 1909 e aveva seguito la famiglia in Palestina nel 1928.
70
Dopo il diploma alla prestigiosa scuola secondaria di Herzliya, dove si unì al movimento giovanile
sionista laburista, si iscrisse all'Università Ebraica di Gerusalemme. Nell'estate del 1932 accettò l'offerta
di Dov Hoz e Abba Hushi di trasferirsi ad Haifa per organizzare i lavoratori arabi, prendendo il posto di
Philip Hassun. Per Hushi e soci Agassi era l'uomo ideale: era ebreo, fedele al MAPAI, parlava bene sia
l'arabo che l'inglese, aveva una buona cultura araba e mostrò subito dedizione al suo compito di
organizzare i lavoratori arabi, sia per convinzioni socialiste che per ottemperanza agli obiettivi del
sionismo. A questo è da aggiungere che aveva le qualità personali adatte. Come molti suoi colleghi
dell'Histadrut, che però erano per di più di origine est europea, era gentile, forbito e di buone maniere, e
rispettato anche dagli arabi. Queste qualità gli permisero di ingraziarsi molti degli arabi coi quali veniva
in contatto, anche coloro che erano estremamente contrari agli scopi della sua attività politica.

PROBLEMI DEL LAVORO EBRAICO


Per Agassi, Hushi e i loro colleghi dell’Histadrut l’organizzazione dei lavoratori arabi era intesa
come indissolubilmente legata alla lotta per il lavoro ebraico. Nessuno di loro vedeva i due scopi in
contraddizione; di fatto, la concezione sionista-laburista li poneva in un rapporto di complementarietà.
Decenni dopo, quando gli fu chiesto come mai Abba Hushi ci tenesse tanto a organizzare i lavoratori
arabi, Agassi avrebbe spiegato che “Haifa era una città mista. Vi erano luoghi di lavoro in cui gli ebrei
non erano presenti, come il porto. Per lui questa era un’opportunità di organizzare i lavoratori arabi e
anche di introdurre lavoratori ebrei nel porto”. Ben-Gurion fece un ragionamento simile a una riunione
dell’esecutivo dell’Histadrut subito dopo lo sciopero degli addetti all’allibo: “Da quel che mi han detto i
compagni di Haifa, circa 50 ebrei potrebbero iniziare a lavorare al porto, e così aiutare i lavoratori
arabi impiegati lì…Abbiamo la possibilità di introdurre lavoratori ebrei in un settore importante e di
organizzare i lavoratori arabi”78.
Accadde così che l’Histadrut mentre lavorava per crearsi una base d’appoggio tra i lavoratori del
porto, provasse anche ad ottenere più impieghi per gli ebrei, il che significava estromettere i lavoratori
arabi. In aggiunta ai volontari provenienti dai kibbutz, Abba Hushi (con sostegno e il finanziamento
dell’Histadrut) nel 1933 iniziò a organizzare l’immigrazione in Palestina di gruppi di portuali ebrei
provenienti da Salonicco, nella speranza che questi tipi tosti ed esperti riuscissero a soppiantare gli arabi,
ottenendo una presenza permanente di lavoratori ebrei nel porto di Haifa. Un anno dopo Hushi giunse a
un accordo con la compagnia Pardes per cui quest’ultima avrebbe stipulato un contratto con l’Histadrut
per posti di facchinaggio nelle sue piantagioni di agrumi, assumendo un maggior numero di lavoratori
ebrei ma comunque anche alcuni arabi. Quando la nuova darsena di Haifa entrò in funzione l’Histadrut
formò una propria compagnia, la Manof, per fornire lavoro agli ebrei, soprattutto quelli di Salonicco,
anche se in quell’intenso periodo la Manof assunse anche arabi. Nell’aprile 1936, alla vigilia dello
sciopero generale che lanciò la rivolta araba, circa 200 ebrei avevano un regolare impiego al porto di
Haifa. Come vedremo, lo sciopero creò le condizioni per cui il lavoro ebraico potè mettere radici sempre
più solide in questo settore di vitale importanza.
Negli anni ’30 il lavoro ebraico sarebbe diventato un tema sempre più importante per i sionisti
laburisti. Nel 1929 – 30 la campagna dell’Histadrut per spingere i proprietari ebrei di agrumeti nei
moshavot ad assumere soltanto manodopera ebraica non aveva avuto molto successo, nonostante la
disponibilità di numerosi ebrei disoccupati nelle città. Il MAPAI e l’Histadrut presentarono la campagna
come una lotta vitale per il “diritto al lavoro”, ma essa sollevò varie comprensibili critiche, dalla sinistra
del MAPAI ad altre forze politiche dell’Yishuv ma anche da partiti e organizzazioni operaie sioniste
europee. Il primo ministro britannico Ramsey MacDonald rimproverò Ben-Gurion sulla questione alla
Empire Labor Conference del luglio 1930, sebbene le preoccupazioni di MacDonald fossero più per la
stabilità dell’impero che per i principi del socialismo. “I musulmani del Bengala ci dicono che dobbiamo
tutelare gli arabi di Palestina – disse MacDonald a Ben-Gurion – L’Agenzia Ebraica con la sua politica
impedisce il lavoro agli arabi. Fino ad ora ciò non è stato sottolineato, ma ora la cosa è nota agli
indiani. Io ho anche chiesto una copia di un contratto dell’Agenzia Ebraica, per vedere coi miei occhi se
esiste davvero un favoreggiamento del lavoro ebraico…Voi ci state causando un tremendo problema”79.

78
Intervista a Eliyahu Agassi, 6 maggio 1987
79
Shabtai Teveth, Ben-Gurion and the Palestinian Arabs: from Peace to War, 1985

71
Tali ammonimenti non servirono a distogliere l’Histadrut dal continuare la sua campagna per il
lavoro ebraico, soprattutto nei moshavot ma anche nelle città. Sebbene questa aggressiva propaganda
provocasse un forte risentimento tra gli arabi e rafforzasse la predominanza del sionismo laburista
nell’Yishuv, essa non raggiunse gli obiettivi prefissati. All’inizio del 1936 gli arabi costituivano circa il
35% della forza lavoro nelle aziende agricole ebraiche, il 20% nei trasporti e il 12% nelle imprese di
costruzioni di proprietà di ebrei. Per di più, come vedremo, dal 1934 la campagna dell’Histadrut aveva
iniziato a provocare una resistenza araba organizzata. Ma una causa più significativa del fallimento della
propaganda per il lavoro ebraico fu l’inedita espansione economica che la Palestina iniziò a vedere nel
1932 e che durò fino al 1935.
Il boom economico ebbe diverse cause, di cui la più importante fu il grande incremento
dell’immigrazione ebraica tra il 1932 e il 1935. Durante gli anni ’20 l’immigrazione ebraica si era
aggirata sulle 10.000 unità all’anno, al di sotto del naturale incremento della popolazione araba di
Palestina. Di conseguenza nel 1931 i 174.000 ebrei in Palestina rappresentavano solo il 17% della
popolazione del paese. Quell’anno solo 4.000 ebrei erano arrivati in Palestina. Nel 1932 tuttavia ne
arrivarono più del doppio, e l’anno successivo più del triplo. Nel 1934 immigrarono più di 42.000 ebrei, e
nel 1935, il punto più alto dell’ondata, quasi 62.000. Quindi, anche senza contare le migliaia di immigrati
in più entrati illegalmente, la popolazione ebraica della Palestina più o meno raddoppiò tra il 1932 e il
1935, arrivando a 375.000, il 27% del totale. Circa il 60% dei nuovi immigrati veniva dalla Polonia e
dalla Germania, paesi in cui gli ebrei avevano a che fare con una marea montante di antisemitismo, dalle
forme anche violente. I nuovi immigrati si ammassarono nelle città della costa, che crebbero molto
rapidamente: Tel Aviv e dintorni contava il 26,5% della popolazione dell’Yishuv nel 1931 e il 36,7% nel
1936, mentre ad Haifa i numeri corrispondenti erano 9,2% e 13,6%.
Questo afflusso di immigrati ebrei fu accompagnato da un inedito afflusso di capitali ebraici, che
stimolarono l’economia palestinese. Parte dei capitali giungeva con gli stessi emigranti; un’altra parte era
investita dagli ebrei all’estero; e un’altra ancora era incanalata in Palestina tramite il controverso Transfer
Agreement che l’Agenzia Ebraica negoziò con il nuovo regime nazista in Germania nel 1933 e che rimase
in vigore fino all’inizio della Seconda guerra mondiale. Questo accordo, che fu criticato aspramente da
molti ebrei e altri antifascisti che stavano cercando di organizzare un boicottaggio economico della
Germania nazista, permise a parte del capitale degli ebrei tedeschi emigranti di essere trasferito
nell’Yishuv sottoforma di beni tedeschi80. In alcune città della Palestina l’afflusso di immigrati e capitali
ebrei suscitò la reazione aperta della popolazione araba: in particolare a Jaffa alla fine di ottobre 1933
scoppiò una rivolta che fu soffocata nel sangue dalla polizia inglese.
La maggior parte del nuovo capitale ebraico andò nell’edilizia residenziale, specialmente a Tel
Aviv e nei quartieri ebraici di Haifa. Una larga frazione finì nel settore degli agrumi, che rappresentava i
quattro quinti dell’export palestinese e crebbe enormemente in questo periodo. Il valore delle esportazioni
di agrumi dalla Palestina (dirette soprattutto nel Regno Unito) crebbe da 727 sterline nel 1930-31 a più di
tre milioni di sterline nel 1934-35. Vi fu anche un notevole incremento della manifattura, soprattutto per
la crescita del mercato interno: il capitale investito nelle imprese ebraiche passò da 2,2 milioni di sterline
nel 1929 a 5,4 milioni nel 1933 e 12,7 milioni nel 1937. Nell’insieme, nei quattro anni 1932 – 35 la
produzione industriale in Palestina crebbe del 61%, l’import del 130%, l’export del 77%, e il consumo
locale di elettricità del 335%.
Questo afflusso di capitale e immigrati ovviamente favorì innanzitutto i settori ebraici di attività.
Ma la rapida crescita di questi ultimi stimolò anche la crescita nei settori arabi, e parte della prosperità
dell’Yishuv si riversò sugli arabi sottoforma di un aumento dei posti di lavoro e dei salari, e di un
ampliamento del mercato e della domanda di servizi. Molti contadini arabi, in difficoltà per gli scarsi
mezzi di sussistenza forniti dall’agricoltura, furono attratti dalla campagna della Palestina e della regione
siriana dell’Hawran agli impieghi nelle piantagioni di agrumi, nei porti, nelle costruzioni e nei servizi
pubblici.
La prosperità di cui godette l’Yishuv tra il 1932 e il 1935 mise in secondo piano la lotta
dell’Histadrut per il lavoro ebraico. Una gran quantità di lavoratori arabi si accontentavano di salari bassi
e ciò rendeva difficile l’impiego di lavoratori ebrei negli impieghi non qualificati in agricoltura, ferrovie,

80
Edwin Black, The Transfer Agreement, 1984

72
porti e edilizia. L’occupazione araba nelle piantagioni ebraiche e nei cantieri edili crebbe a dismisura nel
periodo 1932 – 35. Alla fine degli anni ’20 un’ampia disoccupazione ebraica nelle città aveva fornito
all’Histadrut un’arma concreta nella lotta per il lavoro ebraico. Per contro, l’espansione economica dei
primi anni ’30 rese la conquista del lavoro ebraico molto più ardua.

LA PLL E LA PAWS SI CONTENDONO I SALARIATI ARABI


Quando Agassi giunse ad Haifa nell’estate del 1932 per assumere il suo nuovo incarico di
organizzatore dei lavoratori arabi per conto dell’Histadrut, il Consiglio operaio di Haifa aveva già preso
sotto la sua tutela un gruppo di circa 80 portuali arabi. Altri gruppi di lavoratori, impressionati
dall’intervento dell’Histadrut per gli addetti all’allibo, si avvicinarono ad Agassi e Hushi in cerca di
assitenza. Un episodio in particolare può illustrare le complesse dinamiche di interazione tra lavoratori
arabi, Histadrut e PAWS.
Nel luglio del 1932 si rivolse al Consiglio operaio di Haifa una delegazione di edili arabi
qualificati, assunti dall’intermediario Aziz Khayyat in un grosso progetto nel sito dell’Iraq Petroleum
Company e nei vicini uffici doganali. I 150 lavoratori, qualificati e non, rappresentati dalla delegazione
lavoravano 12 ore e mezza al giorno, compreso un’ora di pausa pranzo. Esasperati dall’orario durissimo, i
circa 40 scalpellini si erano rivolti alla PAWS, e su suo suggerimento avevano informato a Khayyat di
non voler lavorare più di 8 ore al giorno. Khayyat aveva risposto che non aveva lavoro se non per chi
fosse disposto alla giornata di 12 ore e mezza. Gli scalpellini abbandonarono il lavoro, di fatto scendendo
in sciopero, ma invece di organizzare picchetti e promuovere la lotta cercarono e trovarono altri impieghi
altrove, cosicchè Khayyat li potè rimpiazzare facilmente.
I montatori dei ponteggi a loro volta dichiararono che non volevano lavorare più di otto ore al
giorno e scelsero uno di loro, un uomo di nome Jurij, come rappresentante. Ma quando Khayyat licenziò
Jurij e minacciò gli altri dello stesso trattamento, essi chinarono la testa. Fu a quel punto che i montatori
di ponteggi accettarono l’invito dell’unico ebreo loro collega, membro dell’Histadrut, a rivolgersi al
Consiglio operaio di Haifa. Hushi disse loro che gli scalpellini e la PAWS avevano sbagliato, che non si
può dichiarare uno sciopero senza un’adeguata preparazione. Propose che il lavoratore ebreo avvicinasse
Kahyyat minacciando lo sciopero in caso di mancato reintegro di Jurij, e che gli altri contattassero la
PAWS facendo presente la disponibilità del consiglio operaio di Haifa alla cooperazione.
Tre giorni dopo la delegazione ritornò e disse a Hushi che i dirigenti della PAWS si rifutavano di
collaborare con l’Histadrut perché quest’ultima era “un’organizzazione sionista che vuole scioperare in
modo da rimpiazzare i lavoratori arabi con lavoratori ebrei, proprio come è stato fatto con gli addetti
all’allibo al porto di Haifa”81. Per fortuna dell’Histadrut un lavoratore arabo del porto lì presente respinse
le accuse, anche se come abbiamo visto esse non erano del tutto fuori luogo. Hushi e Agassi presero
l’iniziativa e inviarono due lettere direttamente alla PAWS, suggerendo che fosse la PAWS a dichiarare
lo sciopero, col sostegno dell’Histadrut, o che le due organizzazioni si incontrassero per programmare
uno sciopero congiunto. Ma non ci fu risposta.
L’Histadrut a questo punto non potè trarre vantaggio dalla situazione poiché nel frattempo i
lavoratori arabi si erano rivolti anche alle autorità britanniche, nella persona del commissario distrettuale.
Questi rifiutò la richiesta della giornata di otto ore perché, spiegò, la Palestina non era come l’Inghilterra
o l’Europa, ma assicurò che Khayyat e gli altri intermediari avrebbero ridotto l’orario di un’ora,
portandolo a 11 ore e mezza. Alcuni lavoratori erano per accettare la proposta, mentre altri non lo erano.
Non sappiamo di preciso come andarono le cose, ma poiché non ci sono resoconti di ulteriori agitazioni
da parte di questi lavoratori, si presume che la maggior parte o tutti accettarono l’abbassamento di orario
di un’ora, e chi era contrario cercò lavoro altrove.
L’episodio innanzitutto dimostra una certa capacità di contrattazione autonoma da parte dei
lavoratori arabi, cosa che i sindacalisti soprattutto dell’Histadrut tendevano strumentalmente a
misconoscere. In secondo luogo si vede come la PAWS fosse altamente prevenuta nei confronti
dell’Histadrut dopo aver esperito più volte la tendenza di quest’ultima a privilegiare sempre l’obiettivo
sionista della conquista di lavoro ebraico, e dopo l’istituzione nel 1932 della PLL come strumento di
penetrazione del sionismo tra i lavoratori arabi.

81
Histadrut Archives
73
La PAWS cercò di controbilanciare le maggiori risorse economiche, politiche, sociali e culturali
fornite dall’Histadrut alla PLL attraverso il coinvolgimento di intellettuali, in particolare avvocati, che
potessero tutelare i lavoratori da posizioni di relativa impunità. Uno di questi avvocati fu Hanna Asfur,
che fu consulente legale della PAWS negli anni ’30 e ’40. Nato a Shafa Amr (pochi chilometri a est di
Haifa) nel 1902, Asfur studiò in Palestina e in Libano, fu impiegato nelle Palestine Railways e traduttore
al tribunale di Haifa. Si laureò in quella città e nel 1929 aprì un proprio studio. Altri avvocati furono come
lui vicini al movimento peraio arabo. L’Histadrut spesso denunciò questi avvocati come opportunisti e
interessati alla carriera, stigmatizzando il loro ruolo in alcuni sindacati arabi rispetto ai sindacati ebraici
diretti da “veri lavoratori”. Questa rappresentazione non era completamente falsa: alcuni di costoro, come
Hasan Sidqi al-Dajani nel 1931 o Fakhri al-Nashashibi pochi anni dopo, provarono a usare il movimento
operaio arabo come trampolino di lancio per portare avanti le proprie ambizioni politiche. Ma dal punto di
vista della base del movimento, essi furono spesso dei preziosi alleati.
Mentre i contatti con gli edili non si tradussero in una relazione stabile, la PLL nell’estate del 1932
sviluppò legami con altri gruppi di lavoratori arabi. Ci fu il caso di sette lavoratori di una forneria di
Haifa, che avvicinarono il loro padrone, un membro della piccola comunità tedesca della città, chiedendo
la riduzione della settimana lavorativa da 80 – 85 ore a 60, un aumento della paga da 3 a 3,5 sterline al
mese, e il libero accesso al pane, consuetudine di molte fornerie. Quando il padrone respinse le richieste,
essi si rivolsero alla PLL unendosi al neonato sindacato dei dipendenti delle fornerie “occidentali”.
Nonostante la cautela della PLL, l’intransigenza del padrone li spinse a scendere in sciopero. Hushi e
Agassi scrissero all’Histadrut insistendo che “in questa occasione, il primo caso di uno sciopero
organizzato da lavoratori arabi collegati all’Histadrut, quest’ultima deve mostrare la sua forza
organizzativa, la solidarietà dei suoi membri, la prontezza a stare al fianco del lavoratore arabo
aiutandolo materialmente e moralmente”82. Il consiglio operaio di Haifa venne in soccorso con una cassa
di resistenza e stampò un opuscolo in ebraico per far conoscere la lotta. Ma il padrone della forneria fece
venire dei crumiri, la comunità tedesca di Haifa lo sostenne acquistando i suoi prodotti, e lo sciopero alla
fine fallì. Poiché i lavoratori erano disoccupati, il consiglio operaio di Haifa li aiutò a formare una
forneria cooperativa. In capo a pochi mesi tuttavia i conflitti interni portarono alla trasformazione della
cooperativa in un’impresa privata. Il piccolo sindacato dei fornai affiliato alla PLL sopravvisse a fatica.
Nell’ottobre 1932 il General Workers’ Club di Haifa riaprì i battenti dopo una pausa di sei mesi,
come luogo di ritrovo dei lavoratori arabi organizzati sotto gli auspici della PLL. In un resoconto alla
direzione dell’Histadrut sullo stato dell’attività araba ad Haifa veniva sottolineata in particolare la
mancanza di un periodico in lingua araba che potesse propagandare efficacemente il ruolo della PLL. Nel
circolo di Haifa c’era una sala di lettura con riviste illustrate egiziane e anche il quotidiano del Cairo al-
Ahram; ma “la stampa araba palestinese assolutamente no, perché essa è qualcosa di simile al veleno
per le menti degli arabi”83. La PLL costituì anche una cellula tra i lavoratori della Vacuum Oil Company
di Haifa ed entrò in contatto con gruppi di salariati di Jaffa e Tel Aviv. Tra questi ultimi vi erano degli
autisti che si erano coordinati al di fuori dell’organizzazione di Hasan Sidqi al-Dajani.

I CAVATORI DI NESHER
La più importante e nota lotta nella quale la PLL fu coinvolta in questo periodo fu quella alla cava
adiacente alla fabbrica di cemento Nesher, nei dintorni di Haifa. Come discusso nel capitolo 2, Nesher era
stata teatro di una serie di importanti lotte nel 1924 – 25. Nella fabbrica vera e propria, ancora l’unico sito
di produzione di cemento Portland in Palestina, il principio del lavoro ebraico era strettamente osservato,
e i lavoratori ebrei guadagnavano 30-35 piastre per una giornata lavorativa di otto ore. La concessione
alla cava, invece, era nelle mani di un intermediario arabo, Musbah al-Shaqifi, che assumeva solo arabi;
dal 1930 in poi essi provenivano per lo più dai villaggi circostanti. L’Histadrut non aveva mai gradito
questa situazione ma non era stata finora in grado di modificarla. I cavatori ricevevano da 8 a 12 piastre al
giorno per dodici o tredici ore di lavoro, una paga ancor più bassa del peggior lavoro disponibile in
Palestina a quel tempo. Vivevano in baracche di proprietà della compagnia nei pressi della cava, mentre
le famiglie rimanevano a casa nei villaggi, ed erano costretti a fare acquisti a prezzi maggiorati in un
negozio di proprietà dell’intermediario.

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Histadrut Archives
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Central Zionist Archives
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Alla fine di settembre 1932 al-Shaqifi annunciò un taglio dei salari e circa 150 cavatori, giunti al
limite della sopportazione, scesero in sciopero. Le loro rivendicazioni erano la giornata lavorativa di nove
ore, una paga giornaliera di 15 piastre e la chiusura del negozio dell’intermediario. Gli scioperanti
contattarono innanzitutto il consiglio operaio di Nesher-Yagur, che non aveva mai cercato di organizzarli
e anzi all’inizio era contrario alla loro assunzione, chiedendo che negoziasse per loro conto. Quando al-
Shafiqi si rifiutò di fare qualsiasi concessione, i funzionari dell’Histadrut organizzarono dei picchetti,
tennero riunioni quotidiane, e inviarono gli scioperanti nei villaggi per spiegare la situazione e
scoraggiare i potenziali crumiri. Sebbene credessero che questo sciopero dovesse avere successo, i
funzionari dell’Histadrut ammisero che esso aveva creato “confusione” tra i lavoratori ebrei della
fabbrica. Per alcuni di costoro lo sciopero alla cava sembrava un’occasione d’oro per introdurvi
manodopera ebraica, e non era chiaro se i lavoratori ebrei della fabbrica avrebbero o no accettato
materiale proveniente dal lavoro di eventuali crumiri. In aiuto all’Histadrut comunque venne la direzione
del sito, che chiuse per ferie la fabbrica di cemento proprio quattro giorni dopo l’inizio dello sciopero,
dunque evitando il conflitto tra lavoratori ebrei e arabi.
La PAWS replicò al coinvolgimento dell’Histadrut inviando propri rappresentanti da Haifa per
chiedere agli scioperanti di interrompere i contatti con l’organizzazione ebraica, ma questi non furono
ascoltati. Quando l’intermediario inviò un proprio dipendente per offrire un lieve aumento di paga, fu
assalito dagli scioperanti e solo l’intervento dei funzionari dell’Histadrut lo salvò da un pestaggio. Dopo
diciotto giorni al-Shaqifi fu costretto a offrire condizioni molto diverse per porre fine allo sciopero:
riduzione della giornata lavorativa a nove ore, aumento della paga a 12,5 piastre con un ulteriore
incremento a 15 dopo tre mesi, e libertà per i dipendenti di fare acquisti ovunque volessero. Al-Shaqifi fu
inoltre costretto ad accettare l’istituzione di un comitato composto di rappresentanti della manodopera e
della proprietà per risolvere le future dispute. Dallo sciopero scaturì un insieme di circa 140 cavatori
legati all’Histadrut.
In realtà la vittoria fu di breve durata: al-Shaqifi non aveva intenzione di rispettare l’accordo che
era stato costretto a firmare e cercò di riprendere il sopravvento. Nel tentativo di limitare l’influenza
dell’Histadrut, egli assunse un gran numero di nuovi dipendenti e li fece iscrivere alla PAWS. Non è noto
se la PAWS fosse così ben disposta a fare questa parte, ma di certo essa era ansiosa di eliminare la base di
consenso della PLL tra i cavatori di Nesher. Nei mesi successivi al-Shaqifi privilegiò i nuovi assunti della
PAWS, vessando i vecchi che appartenevano alla PLL. Questa campagna raggiunse l’apice nell’aprile
1933: quando i 130 aderenti alla PLL rientrarono al lavoro dopo un periodo di vacanza, scoprirono che al-
Shaqifi li aveva rimpiazzati. Egli offrì loro di riprenderli se avessero pagato di tasca propria gli attrezzi e
una visita medica preliminare. Quando rifiutarono, al-Shaqifi lì licenziò. Si formarono dei picchetti, ma
con l’aiuto della polizia e dei lavoratori affiliati alla PAWS al-Shaqifi fu in grado di mantenere la cava in
funzione.
L’Histadrut intervenne a favore della PLL autorizzando i 70 lavoratori ebrei impiegati in un
settore della fabbrica di cemento collegato alla cava a rifiutarsi di lavorare materiale fornito da quelli che
definiva crumiri. In una dichiarazione in difesa della loro causa, pubblicata su Filastin, gli scioperanti
arabi denunciarono gli abusi di al-Shaqifi ed espressero apprezzamento per la solidarietà operaia ebraica.
Date le circostanze, l’azione dell’Histadrut probabilmente non era ispirata solo dalla solidarietà. La lotta
di Nesher ora si configurava come i lavoratori della PLL contro al-Shaqifi e i lavoratori della PAWS. Era
in gioco l’influenza della PLL e dell’Histadrut in un sito lavorativo grande e importante, e non sarebbe
stato un bene per la reputazione di questi organismi se un intermediario arabo insieme al più forte
sindacato arabo fossero riusciti a estromettere la PLL.
La lotta si protrasse senza sviluppi per circa sei settimane. Per quasi tutto il periodo al-Shaqifi si
rifiutò di negoziare, e per un po’ si nascose a Nazareth per sfuggire alle pressioni. La direzione di Nesher
inizialmente negò che lo sciopero la riguardasse, ma a un certo punto costrinse al-Shaqifi a negoziare
minacciando di cancellare il suo contratto per la cava. La polizia sembra avere appoggiato al-Shaqifi
proteggendo i crumiri e reprimendo i picchetti e i capi dello sciopero. A un certo punto la polizia arrestò
anche Eliyahu Agassi, dopo che un informatore rivelò di avere ricevuto una pistola da lui; Agassi fu in
grado di fornire un alibi credibile e fu rilasciato. All’inizio del maggio 1933 l’Histadrut acconsentì a porre
termine allo sciopero rinviando tutte le questioni a un arbitrato presso le autorità inglesi. L’arbitro ordinò
che l’intermediario riassumesse quasi tutti gli scioperanti e successivamente accolse alcune delle loro
richieste economiche, ma non richiese che al-Shaqifi riconoscesse la PLL come interlocutore.
75
Durante lo sciopero l’Histadrut fu attaccata sia dal Partito Comunista Palestinese che da Poalei
Zion Smol. Il primo affermava nei suoi opuscoli che i sionisti dell’Histadrut ancora una volta tradivano i
lavoratori arabi ed ebrei e chiedeva un comitato di sciopero indipendente per guidare una lotta che
equiparasse i salari degli arabi e degli ebrei. Gli scritti di Poalei Zion Smol rimproveravano all’Histadrut
la scarsa intraprendenza: invece di concentrarsi sui salari e sulle condizioni di lavoro, si era limitata
all’obiettivo del reinsediamento dei lavoratori licenziati. E’ chiaro che all’Histadrut interessava molto
mettere radici alla cava di Nesher, ma sembra che il suo comportamento sia stato anche dettato
dall’eccessiva prudenza. In ogni caso, lo sciopero di marzo-aprile 1933 segnò l’inizio della fine
dell’influenza della PLL a Nesher. Nei mesi successivi le pressioni di al-Shaqifi e della PAWS
logorarono la base di consenso della PLL tra i cavatori, e la sua organizzazione presso di loro fu azzerata.
La PAWS non fece molto meglio. Nel gennaio 1936 essa guidò un sciopero di una settimana dei
cavatori contro lo stesso avido intermediario, Musaf al-Shaqifi, chiedendo che le paghe aumentassero a
16 piastre per una giornata lavorativa di otto ore. Al-Shaqifi siglò un accordo ma come nelle altre
occasioni non lo rispettò. Un altro breve sciopero si svolse a metà febbraio, e un altro alla fine del mese,
sempre per l’aumento delle paghe e la riduzione della giornata lavorativa. Quest’ultimo durò fino a metà
marzo ma anch’esso si concluse senza esito.
Come vedremo nel capitolo 6, lo sciopero generale che esplose nell’aprile 1936 avrebbe
finalmente reso possibile la realizzazione dell’obbiettivo a lungo termine dell’Histadrut, ovvero introdurre
il lavoro ebraico nella cava di Nesher, così come al porto di Haifa.

DIFFICOLTA’ DELLA PLL AD HAIFA


Durante lo stesso periodo la PLL prese contatti anche con altri gruppi di lavoratori dentro e
intorno ad Haifa, inclusi gli stivatori del porto e i bottai della Shell Oil, e con lavoratori di Acri e
Nazareth. Queste relazioni furono tutte di breve durata e né l’Unione dei Portuali né altri nuclei creati nel
1932 riuscirono a trasformarsi in organizzazioni sindacali stabili. Di fatto la PLL non riuscì mai a
consolidare una base di sostegno stabile tra i lavoratori arabi; la continuità dell’organizzazione ad Haifa
era data dal lavoro di Eliyahu Agassi e Abba Hushi.
Come abbiamo visto, le azioni della PLL ad Haifa erano spesso ostacolate o limitate dalla PAWS,
che sebbene poco attiva faceva del suo meglio per intervenire ovunque la PLL si mostrasse per
allontanarla dai lavoratori arabi, che riteneva un proprio ambito esclusivo. In queste operazioni, talvolta
(come a Nesher) condotte in temporanea alleanza con datori di lavoro arabi, la PAWS poteva utilizzare
l’argomento concreto che l’Histadrut in realtà voleva allontanare i lavoratori arabi dagli impieghi e
sostituirli con gli ebrei. I funzionari dell’Histadrut se la prendevano anche con i comunisti ebrei per la
mancanza di successi della PLL, vedendoli come traditori sempre alla ricerca di occasioni per seminare
veleno anti-sionista tra i lavoratori arabi. Forse i comunisti limitavano i tentativi dell’Histadrut di
ostacolare gli arabi, ma la debolezza del partito e la diffidenza con la quale i lavoratori arabi
consideravano il comunismo suggeriscono che le difficoltà della PLL non fossero dovute solo a questo.
Un altro motivo infatti risiedeva nelle caratteristiche e condizioni della classe operaia araba in
Palestina in quegli anni, che ostacolavano anche la PAWS e gli altri sindacati arabi. Molti se non tutti i
lavoratori coi quali la PLL entrò in contatto nel 1932-33 erano da poco entrati a far parte della categoria
dei salariati, essendo contadini che nei villaggi faticavano a mantenere la famiglia ed erano attratti dalla
rapida crescita delle città e dalle opportunità di trovarvi un impiego. Erano per lo più analfabeti o
semianalfabeti, e mantenevano stretti legami con il villaggio di provenienza e l’economia agricola. Al
porto di Haifa e a Nesher, per esempio, la maggior parte del lavoro era stagionale, e a fine stagione i
lavoratori tornavano nei villaggi. Il lavoro non qualificato faceva sì che vi fosse molta turnazione, e
quindi non era facile costruire organizzazioni stabili. L’abbondanza di lavoro non qualificato e
sottopagato permetteva inoltre ai padroni di allontanare le teste calde, contrastare la nascita dei sindacati e
trovare dei crumiri quando necessario. Inoltre, mentre questi lavoratori spesso non esitavano a scioperare,
erano molto meno interessati al pagamento delle quote, alle riunioni, o alla disciplina organizzativa.
Come nel caso di Aziz Khayyat del giugno 1932 e di altri lavoratori qualificati, durante i periodi in cui le
loro mansioni erano richieste essi preferivano semplicemente lasciare un impiego non soddisfacente e
farsi assumere altrove piuttosto che correre il rischio di iscriversi a un sindacato.
Ma la mancanza di successo della PLL è anche da attribuire alla reiterata scarsa priorità assegnata
all’attività araba dalla leadership dell’Histadrut. I partiti alla sinistra del MAPAI non esitavano a criticare
76
i dirigenti dell’Histadrut per la loro scarsa dedizione alla PLL. Nel marzo 1933 Poalei Zion Smol ammonì
sulle conseguenze di tale condotta: “Migliaia di lavoratori arabi nel settore governativo, nelle
piantagioni, nelle costruzioni e nelle manifatture si sveglieranno e si organizzeranno nonostante tutto.
Con noi, se li condurremo da noi come nostri pari; senza di noi e contro di noi, se restiamo inerti o
impediamo loro di organizzarsi”84. Mentre Hashomer Hatzair denunciava la linea di Poalei Zion Smol
come un “serio pericolo per la realizzazione del sionismo proletario”, criticava anche l’insistenza del
MAPAI per il lavoro esclusivamente ebraico, il suo controllo burocratico sull’Histadrut e la mancanza di
serietà nel perseguire l’obiettivo di un’organizzazione unitaria. Il PCP andò molto oltre nel denunciare
l’Histadrut:

Dopo aver soffocato gli scioperi dei lavoratori arabi, i leader dell’Histadrut cercano di inserire un
piccolo numero di arabi in un’organizzazione dell’Histadrut. Lo scopo della PLL, che è stata messa in
piedi ad Haifa, così come dell’Unione Internazionale dei Ferrovieri, è di organizzare una parte dei
lavoratori arabi in un’ente la cui funzione è dare una maschera internazionalista ai tentativi di
conquista dell’Histadrut e distogliere il lavoratore arabo dall’idea di costruire la propria
organizzazione di classe, legandolo al carro dello sciovinismo e del sionismo85.

La leadership dell’Histadrut era avvezza a tali attacchi, che il predominio del MAPAI sul
movimento sionista laburista permetteva di ignorare quasi del tutto. Ma l’apparente incapacità della PLL
a creare una propria base stabile ad Haifa fece scemare l’entusiasmo per quel lavoro nell’estate del 1932.
Nella primavera del 1933 i fondi per l’attività araba erano di nuovo pressoché terminati; Yehuda Burla
aveva lasciato il suo posto di segretario del dipartimento arabo dell’Histadrut; e a novembre Abba Hushi
fu ridotto a minacciare l’esecutivo dell’Histadrut di abbandonare a sua volta se non otteneva adeguati
finanziamenti e attenzione. L’affitto della sede di Haifa non fu pagato per tre mesi, e il proprietario del
locale fu sul punto di chiudere. Pare che l’Histadrut a quel punto intervenne con una somma di denaro,
ma la PLL continuò ad arrancare durante il 1934, contando su non più di 200 iscritti dispersi in piccole
unità lavorative dentro e intorno ad Haifa.

LAVORATORI ARABI E LAVORO EBRAICO NEI MOSHAVOT


Come vedremo, la PLL avrebbe presto messo radici in un altro centro urbano, Jaffa. Ma prima di
ciò uno sciopero di operai agricoli arabi attirò l’attenzione dell’opinione pubblica e suscitò un intenso
dibattito nel movimento sionista laburista. Ai primi di giugno del 1934 circa 250 arabi negli agrumeti del
moshava di Nes Tziyona, nella pianura costiera a ovest di Ramle, scesero in sciopero contro i proprietari
sia arabi che ebrei per conseguire un aumento di paga giornaliera da 12 a 17 piastre. Alcuni degli
scioperanti erano palestinesi, ma molti erano immigrati provenienti dall’Egitto e dall’Hawran, attirati in
Palestina dalla relativa prosperità del paese e dai livelli salariali più alti. Gli attivisti di Poalei Zion Smol
presenti nel moshava contattarono gli scioperanti e offrirono sostegno. Ansiosa di scavalcare i suoi rivali
di sinistra, la leadership dell’Histadrut presto inviò Eliyahu Agassi e altri fedelissimi del MAPAI per
vedere come intervenire.
Lo sciopero di Nes Tziyona, al pari di altri scioperi simili che ebbero luogo di lì a poco a Petah
Tikva e in altri moshavot, mise l’Histadrut di fronte a un dilemma. Quella primavera l’Histadrut aveva
lanciato una nuova fase della campagna per spingere gli imprenditori agricoli ebrei ad assumere solo
lavoratori ebrei, in particolare negli agrumeti di Kfar Saba. Questa campagna fu in seguito sostituita da
nuovi tentativi di introdurre il lavoro ebraico nelle città, specialmente nell’edilizia. L’Histadrut giustificò
questo cambio di linea affermando che il boom degli agrumeti aveva portato nelle campagne molti
immigrati dall’Egitto e dall’Hawran, ma esso fu dovuto anche alle lotte politiche tra il MAPAI e i suoi
avversari nell’Yishuv.
In questo contesto, i leader dell’Histadrut temevano che il sostegno allo sciopero di Nes Tziyona
potesse implicitamente significare il diritto degli arabi a lavorare nei possedimenti ebraici, ostacolando la
lotta per il lavoro ebraico. D’altro canto, un’aperta opposizione allo sciopero avrebbe danneggiato la
reputazione dell’Histadrut, rafforzando l’opposizione a sinistra del MAPAI e anche il movimento
nazionalista arabo. Come risultato l’esecutivo dell’Histadrut decise di appoggiare lo sciopero di Nes

84
Halohem, 2 marzo 1933
85
MAKI Archive (l’archivio del Partito Comunista d’Israele)
77
Tziyona, pubblicando un opuscolo e raccogliendo fondi; queste decisioni tuttavia non sembra siano state
messe in pratica. Ciò portò Hashomer Hatzair e Poalei Tzion Smol ad accusare il MAPAI, che controllava
l’apparato dell’Histadrut così come il consiglio operaio di Nes Tziyona, di avere ancora una volta
disonorato la promessa di sostenere uno sciopero di lavoratori arabi. Lo sciopero sembra si sia
impantanato in un esito disordinato dopo circa una settimana, con alcuni braccianti che ottennero un
aumento di paga e altri che andarono a lavorare altrove. Un certo numero di lavoratori arabi di Nes
Tziyona formarono una propria organizzazione, che si rivolse alternatamente all’Histadrut e ai sindacati
arabi legati al movimento nazionalista, segno ancora una volta che i proletari arabi erano abbastanza in
grado di perseguire autonomamente i propri interessi.
Gli scioperi nei moshavot posero nuovamente all’ordine del giorno per l’Histadrut la questione
della politica dell’organiazzazione verso i salariati agricoli arabi. La cosa venne ampiamente discussa al
consiglio dell’Histadrut nell’agosto 1934. Dov Hoz, portavoce della maggioranza legata al MAPAI,
difese l’idea del suo partito di organizzazione unitaria. “Dobbiamo – disse – evitare di compiere
un’attività missionaria”.

E’ molto facile scaldare gli animi degli arabi. Nel loro entusiasmo, privo di conoscenza ed
esperienza, essi sono pronti ad abbracciare ogni bandiera e dopo a saltare nel campo opposto. A
questo riguardo l’esperienza dello sciopero di Nes Tziyona è istruttiva. Là gli scioperanti si sono
accordati con noi. Poi hanno pubblicato una lettera sui giornali arabi dicendo che avevano rotto con
noi. E sono venuti da noi precisando che la lettera era solo “politica”. Nel frattempo è nato un circolo
legato all’Esecutivo Arabo86.

Sottolineando che la maggior parte degli scioperanti a Nes Tziyona erano immigrati, Hoz affermò
che tali salariati rappresentavano una minaccia non solo nella lotta per il lavoro ebraico ma anche per i
lavoratori arabo-palestinesi. Egli insistette che la priorità doveva andare al lavoro ebraico, pur
riconoscendo che si dovesse intensificare l’attività araba dell’Histadrut e a tal proposito propose la
costituzione di un comitato permanente.
Hashomer Hatzair cercò di distanziarsi sia dalla posizione “100% lavoro ebraico” del MAPAI che
dal rifiuto di lottare per quest’ultimo da parte di Poalei Zion Smol. Propose che l’Histadrut si impegnasse
non solo a preservare il lavoro dei lavoratori arabi “stabili” nei moshavot, intendendo con ciò quelli di
origine palestinese che erano impiegati da almeno due anni in un posto, ma anche a organizzarli insieme
ai lavoratori delle città. Poalei Zion Smol ridicolizzò la proposta di Hashomer Hatzair, affermando che era
impossibile imporre una distinzione tra lavoratori “stabili” e “a tempo”, organizzando i primi per
allontanare i secondi ed espellere gli hawrani dal paese. Ribadì la richiesta di un’Histadrut aperta a tutti i
lavoratori di Palestina, inclusi anche i migranti dell’Hawran, e notò che se i lavoratori arabi stavano
volgendosi al nazionalismo, era solo in seguito all’esempio del MAPAI: “Volete che il lavoratore arabo
vi permetta di collaborare con il Vaad Leumi (nel quale vi sono rappresentanti di partiti borghesi),
mentre gli è vietato collaborare con l’Esecutivo Arabo?”87.
Sia Poalei Zion Smol che Hashomer Hatzair minacciarono che se l’Histadrut non avesse preso sul
serio l’attività araba, loro stessi avrebbero preso l’iniziativa. Forse per questo la risoluzione varata dalla
maggioranza del MAPAI al consiglio dichiarava che l’attività araba dovesse essere intensificata. Il
consiglio affermava anche che solo l’Histadrut aveva il diritto di condurla, anche se non vi era un
esplicito riferimento ai moshavot. Un mese dopo, nel settembre 1934, l’esecutivo dell’Histadrut varò
formalmente un comitato per gli affari arabi. Nonostante l’obiezione di Hashomer Hatzair, Poalei Zion
Smol fu esclusa dalla partecipazione, e di Hashomer Hatzair vi entrò solo un membro, Yaakov Riftin. Gli
altri erano membri del MAPAI: Dov Hoz, Abba Hushi, David Hacohen, Nata Harpaz, e Reuven Zaslani,
un nuovo arrivo di cui parleremo a breve. Riftin propose un ambizioso programma di intervento che
includeva l’organizzazione nella PLL dei lavoratori arabi “stabili” dei moshavot. Ma i suoi nuovi
collaboratori del MAPAI si opposero perché, come disse Hacohen, nei moshavot “Io lotto per la mia vita
contro il lavoratore arabo” – ovvero per la conquista del lavoro ebraico. Fu subito chiaro che l’attività
araba dell’Histadrut doveva indirizzarsi strettamente nelle città.

86
Histadrut Archives
87
Verbali dell’esecutivo dell’Histadrut
78
I PORTUALI DI JAFFA E I TESSITORI DI AL-MAJDAN
Il porto di Jaffa rimase importante anche dopo l’apertura della nuova darsena di Haifa nel 1933,
specialmente come punto di imbarco per l’esportazione degli agrumi. Gli stivatori e gli addetti all’allibo
arabi che vi lavoravano, assunti da intermediari arabi erano sempre più malcontenti e decisi ad
organizzarsi. Sebbene pagati un fisso al giorno, nella stagione piena degli agrumi gli stivatori potevano
essere costretti a lavorare fino a 18 ore al giorno; dunque erano interessati non solo a un aumento di paga
ma anche allo straordinario. Gli addetti all’allibo non ricevevano un fisso al giorno ma una parte del
ricavato dalla barca sulla quale lavoravano, il che dava al proprietario della barca o all’intermediario la
possibilità di rifarsi su di loro in caso di basso guadagno. Entrambe le categorie svolgevano mansioni
pericolose e subivano numerosi infortuni per i quali solo raramente venivano indennizzati dai proprietari.
Allo stesso tempo questi lavoratori, per lo più palestinesi di Jaffa e dintorni, si sentivano
minacciati dalla concorrenza dei migranti provenienti dall’Hawran, attirati in Palestina dalla relativa
prosperità del paese e disposti a lavorare al porto. Gli stivatori e gli addetti all’allibo organzzandosi in
sindacato pensavano anche di difendersi dalla concorrenza dei migranti, facendo leva sul principio della
“precedenza agli autoctoni”. Ciò non valeva solo per il porto di Jaffa: ad Haifa la PAWS inviò una
petizione al governo mandatario per protestare contro ciò che riteneva un ingolfamento del mercato del
lavoro, provocato dagli hawrani.
L’Histadrut condivideva l’obiettivo di escludere i non-palestinesi, perché questa esclusione
avrebbe facilitato la lotta per il lavoro ebraico, legata al mantenimento dei salari al di sopra di un certo
livello. Solo Poalei Zion Smol sosteneva la necessità di estendere il principio dell’internazionalismo
proletario e dell’organizzazione congiunta includendovi gli hawrani e gli egiziani. Il MAPAI e Hashomer
Hatzair, pur dibattendo se il lavoro ebraico dovesse essere totale o coinvolgere anche i “lavoratori arabi
permanenti”, si trovarono d’accordo nell’idea che i migranti hawrani ed egiziani dovessero essere banditi
dalla Palestina. L’Histadrut, che aveva sempre negato l’identità nazionale degli arabi-palestinesi dicendo
che facevano parte di una più ampia nazione araba indeterminata, ora la chiamava in causa l’identità
nazionale per mettere i palestinesi contro gli hawrani e gli egiziani.
Per attirare gli stivatori e gli addetti all’allibo, la PLL aprì un circolo a Jaffa vicino al porto, con
un ambulatorio Kupat Holim al suo interno. Esso forniva anche credito e altri servizi, tra cui assitenza
legale. Il primo caso in cui degli avvocati dell’Histadrut citarono in giudizio degli imprenditori portuali
per il mancato risarcimento di infortuni occorsi agli stivatori, destò grande impressione nella PLL e
nell’Histadrut. Alla fine del 1934 la PLL dichiarava circa 100 stivatori di Jaffa tra i propri iscritti, e dopo
alcun negoziati anche gli addetti all’allibo iniziavano ad aderire. Tuttavia il fatto che con l’incedere della
bassa stagione dell’export molti lavoratori tornassero nei villaggi di provenienza rese difficile mantenere
in piedi il sindacato degli stivatori. Ma per i funzionari dell’Histadrut la PLL a Jaffa aveva avuto grande
successo nell’organizzare quei lavoratori, tanto da ritenere, come disse uno di loro, che “noi
comanderemo al porto di Haifa e potremo fare grandi cose, sia economicamente che politicamente”88.
Agassi iniziò a recarsi a Jaffa una volta alla settimana per lavorare con gli stivatori e gli addetti
all’allibo, mentre il funzionario dell’Histadrut Dov Hoz intervenne in loro difesa presso i funzionari
inglesi che facevano visita al porto e cercò la solidarietà dei portuali inglesi. Nel 1934 Agassi ebbe
contatti anche coi lavoratori della manifattura tabacchi di Jaffa, e con dei tessitori della città di Al-Majdal,
sulla costa nord di Gaza (oggi è la città 100% ebraica di Ashkelon). All’epoca Al-Majdal era uno dei
maggiori centri della produzione tessile; un corrispondente esagerando la definì il “Lancashire della
Palestina”. Circa 1.000 uomini e 500 donne erano impiegate in piccole fabbriche gestite da circa 60
proprietari di telai. Nell’agosto 1933 circa 800 di questi lavoratori e lavoratrici erano scesi in sciopero per
un miglioramento della tariffa a cottimo, che ammontava a una sola piastra aggiuntiva al giorno. Sembra
che solo i lavoratori uomini abbiano ottenuto l’aumento, a condizione di togliere l’appoggio alla
medesima rivendicazione delle donne. Fu durante questo sciopero che i tessitori cercarono di prendere
contatto con l’Histadrut. Una delegazione si recò a Tel Aviv ma qui incontrò esponenti di Poalei Zion
Smol; è possibile che questi utlimi si siano qualificati come rappresentanti dell’Histadrut. Un anno dopo
Agassi, temendo l’influenza di Poalei Zion Smol, pretese che questi contatti fossero interrotti e che i
tessitori si rivolgessero direttamente all’Histadrut. Dopo alcuni viaggi ad Al-Majdal, Agassi e i suoi

88
Central Zionist Archives
79
decidero che tutto ciò che potevano offrire era l’aiuto nel formare una cooperativa di tessitori. Ma non se
ne fece nulla, e le trattative alla fine terminarono senza altro esito.

ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO E SPIONAGGIO SIONISTA


Poichè il lavoro della PLL a Jaffa ebbe un incremento nell’estate 1934, l’Histadrut assunse un
nuovo impiegato a tempo pieno per il suo dipartimento arabo, da affiancare ad Agassi. Costui era Reuven
Zaslani, menzionato prima tra i membri del neonato comitato arabo dell’Histadrut e forse più conosciuto
col nome che avrebbe adottato in seguito, Reuven Shiloah. Egli era nato a Gerusalemme nel 1909, figlio
di un rabbino insieme ortodosso e sionista – caso raro a Gersualemme a quel tempo. Da giovane egli
ruppe con l’ortodossia del padre, studiò drammaturgia e si unì all’Haganah, la principale organizzazione
paramilitare dell’Yishuv. Tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30 Zaslani fu cooptato nell’elite
sionista laburista, sviluppando stretti legami personali con Yitzhak Ben-Tzvi, sua moglie Rahel Yanait, e
tre loro giovani protegè: Dov Hoz; Moshe Shertok (poi Sharett), che nel 1933 avrebbe sostituito il
defunto Chaim Arlosoroff a capo del dipartimento politico dell’Agenzia Ebraica, e poi divenne ministro
degli esteri di Israele (1948 – 56) e primo ministro (1953 – 55); e Eliyahu Golomb (1893 – 1945), uno dei
fondatori e comandanti dell’Haganah. I tre uomini sarebbero diventati parenti quando Hoz e Golomb
sposarono le sorelle di Shertok. Nel 1928 Zaslani si iscrisse all’Università Ebraica, concentrandosi su ciò
che in Israele ancora oggi viene definito madaei hamizrah (gli studi orientali) – inclusa la lingua araba.
Ma rimase dentro l’Haganah, mettendo la propria crescente padronanza dell’arabo al servizio del neonato
settore dell’intelligence. Zaslani non terminò mai l’università, bensì su raccomandazione di Ben Tzvi non
ancora ventiduenne fu inviato a lavorare come insegnante in una scuola ebraica di Baghdad. Questa era
una copertura, in quanto mentre insegnava egli aiutava anche un movimento sionista cladestino e
svolgeva lavoro di intelligence per l’Agenzia Ebraica. In quest’ultima veste Zaslani, sotto la supervisione
di Shertok, sviluppò legami con vari politici iracheni cercando appoggi per il sionismo in questo paese
arabo chiave, e almeno in un’occasione consegnò un comunista iracheno alle autorità del paese.
Il soggiorno di Zaslani in Iraq tra l’estate 1931 e l’ottobre 1932 fu uno dei primi tentativi di
sviluppare un lavoro di spionaggio e propaganda sionista nel mondo arabo. Già all’inizio del 1930 Ben
Tzvi parlava di “comitati” che erano stati fondati in Egitto e Siria per influenzare la stampa locale, un
obiettivo che l’Histadrut e l’Agenzia Ebraica continuavano a perseguire. Pochi anni dopo, nel 1934,
l’Agenzia Ebraica finanziò la creazione di un’Agenzia d’Oriente, un servizio informazioni con sede al
Cairo, come mezzo per influenzare l’opinione pubblica araba. La missione di Zaslani a Baghdad era parte
dello stesso progetto.
Il tentativo di Zaslani di avviare un’attività di spionaggio nel mondo arabo fu compiuto in
cooperazione con l’intelligence inglese. Infatti dopo il suo ritorno da Baghdad Zaslani, con
l’approvazione dei suoi superiori, andò a lavorare come traduttore e segretario dell’ufficiale della
divisione spionaggio della Royal Air Force, fungendo così da collegamento tra l’intelligence britannica da
un lato e l’Haganah e l’Yishuv dall’altro. In questo periodo, al di là di sporadiche tensioni, l’Inghilterra e
il movimento sionista si consideravano alleati nella lotta contro nemici comuni: il nazionalismo arabo in
Palestina e altrove, e il movimento comunista che era antimperialista e antisionista. Apparentemente fu
nell’interesse di entrambi che Zaslani fu inviato di nuovo in Iraq nel 1934, come giornalista di un
periodico palestinese di lingua inglese. Durante la sua visita si recò nelle regioni curde dell’Iraq. Il suo
scopo principale sembra essere stato quello di documentare la situazione delle comunità ebraiche nel nord
dell’Iraq. Ma si può vedere in questo viaggio un elemento di quella che sarebbe stata una costante nella
strategia regionale sionista e israeliana: il sostegno e l’allenza con le minoranze etniche o religiose in
conflitto con il nazionalismo arabo, inclusi in curdi in Iraq, i sudanesi del sud, e i maroniti in Libano.
Nel luglio del 1934 le autorità irachene, insospettite da questo “giornalista” ebreo girovago
proveniente dalla Palestina, espulsero Zaslani dal paese. Dopo il ritorno a Tel Aviv egli fu nominato
coordinatore dello spionaggio arabo dell’Haganah; nello stesso tempo il suo mentore Dov Hoz lo fece
entrare nell’apparato dell’Histadrut come segretario del dipartimento arabo. In questo contesto nell’estate
1934 Zaslani iniziò a lavorare con Eliyahu Agassi nello sviluppo di relazioni con gli stivatori e gli addetti
all’allibo di Jaffa e altri gruppi di salariati arabi.
La successiva carriera di Zaslani fu tutta nell’ambito dell’intelligence: egli continuò ad avere un
importante ruolo negli apparati dell’Haganah e dell’Yishuv e dopo il 1948, col nuovo nome ebraico di
Reuven Shiloah, riorganizzò e presiedette per diversi anni il complesso di agenzie di spionaggio interno
80
ed estero del nuovo stato di Israele. Rimase una figura fondamentale nel settore fino alla sua morte, nel
1959. L’università di Tel Aviv gli intitolò il suo centro studi sul Medioriente: il “Shiloah Institute” fu poi
incorporato nel Dayan Center for Middle Eastern and African Studies.

NASCITA DELL’AWS E CAMPAGNA CONTRO L’HISTADRUT


I risultati della PLL nell’organizzare i lavoratori arabi a Jaffa nel 1934, specialmente i portuali,
allarmarono i sindacalisti arabi e i loro alleati nazionalisti, stimolando un maggiore impegno da parte loro
nel contrastare l’Histadrut. L’estate del 1934 vide l’emergere di una nuova organizzazione operaia araba a
Jaffa. Essa mosse i primi passi sotto la guida di Fakhri al-Nashashibi, nipote e devoto collaboratore di
Raghib al-Nashashibi, sindaco di Gerusalemme fin dal 1920 e capo dell’opposizone agli Husseini
nell’elite arabo-palestinese.
I Nashashibi guidavano la fazione filo-inglese e filo-hashemita di quell’elite, mentre gli Husseini e
i loro alleati, con a capo Amin al-Husseini Mufti di Gerusalemme, avevano una posizione decisamente
anti-sionista, anti-inglese e nazionalista palestinese. Entrambe le fazioni comunque ritenevano di poter
bloccare il progetto sionista attraverso negoziati con gli inglesi. Le relazioni tra i due schieramenti si
erano recentemente deteriorate. L’esecutivo arabo, in cui tutte le principali famiglie palestinesi erano
rappresentate, fu formalmente sciolto nell’agosto 1934, e vennero creati singoli partiti politici ciascuno
legato a una determinata fazione. Inoltre nell’estate del 1934 Raghib al-Nashashibi era in corsa per la
rielezione a sindaco di Gerusalemme contro Husayn al-Khalidi, sostenuto sia dalla fazione del Mufti che
dalla maggior parte degli ebrei della città, che non volevano più al-Nashashibi.
Fu in questo contesto che Fakhri al-Nashashibi pensò di assicurarsi un appoggio locale creando
un’organizzazione operaia araba, visto anche che a differenza di Haifa a Gerusalemme il campo era
pressoché libero. Alla fine del luglio 1934 annunciò la nascita della Arab Workers’ Society (AWS), con lui
stesso come presidente. In settembre tuttavia Raghib al-Nashashibi non fu rieletto sindaco. Nell’agosto
1934 fu aperta una sezione dell’AWS fuori Gerusalemme, nel villaggio di Bayt Dajan, cinque miglia a
sud-est di Jaffa. In ottobre un’altra sezione fu aperta proprio a Jaffa, sotto la guida di Michael Mitri, un
giovane ingegnere cresciuto ed educato in Sudamerica. L’AWS veniva sostenuta fortemente dal giornale
Filastin, pro-Nashashibi, che definiva Fakhri “protettore dei lavoratori” e iniziò a dedicare molta
attenzone alle questioni operaie. Nel dicembre dello stesso anno i Nashashibi avrebbero fondato il proprio
organismo politico, il National Defense Party, con Hasan Sidqi al-Dajani come uno dei segretari.
Per radicarsi, l’AWS si concentrò subito su un tema scottante per molti arabi: la campagna
dell’Histadrut per il lavoro ebraico. Dopo gli insuccessi nei moshavot, nel 1934 gli sforzi dell’Histadrut
per imporre il lavoro ebraico si erano concentrati nelle città, con picchetti nei luoghi di lavoro che spesso
davano luogo a tafferugli tra lavoratori, e intervento della polizia che arrestava gli ebrei per disturbo della
quiete pubblica. A ciò si aggiungevano opuscoli, articoli, incontri eccetera. La propaganda dell’Histadrut
non solo denunciava il lavoro arabo come “a basso costo”, “non organizzato”, “alieno”, ma chiedeva ai
consumatori ebrei di boicottare i prodotti arabi e di “comprare ebraico” quanto più possibile.
Fakhri al-Nashashibi e la neonata AWS cercarono di capitalizzare le preoccupazioni dei lavoratori
arabi chiedendo pubblicamente che le autorità inglesi ponessero fine con la forza ai picchetti ebraici.
L’AWS chiese anche ai lavoratori arabi di contrastare l’Histadrut sul suo stesso terreno, organizzando a
loro volta picchetti e boicottando i prodotti ebraici. Nel dicembre del 1934 si svolse a Gerusalemme ciò
che Filastin definì “il primo picchetto arabo”. In realtà non si trattò di un vero e proprio picchetto ma di
una sorta di marcia di al-Nashashibi e dei suoi sostenitori per le vie della città, nel corso della quale si
andava a protestare nelle case degli intermediari arabi che impiegavano lavoratori ebrei. In questo periodo
non sembra che la tattica abbia sortito grandi effetti, anche se come vedremo le cose andranno
diversamente nella primavera 1936. Tuttavia l’AWS diresse i tentativi di contrastare la campagna
dell’Histadrut per il lavoro ebraico nella cava di Majdal Yaba, un villaggio arabo vicino a Tel Aviv.
All’epoca Tel Aviv stava vivendo un nuovo boom edilizio, e molta della pietra e della ghiaia usate nelle
costruzioni provenivano da quella cava, un terreno arabo venduto a imprenditori ebrei ancor prima
dell’occupazione inglese. La forza lavoro alla cava era esclusivamente araba, formata da 30 uomini di
Majdal Yaba e altri 400 dei dintorni.
Alla fine del 1934 il consiglio operaio di Tel Aviv, che sosteneva che i cavatori non fossero
palestinesi ma “beduini” o hawrani, fece un accordo coi gestori della cava per introdurre personale
ebraico e quindi rifornire Tel Aviv di “pietra ebraica”. Gli edili ebrei di Tel Aviv furono invitati a non
81
accettare pietra prodotta da lavoro non-ebraico, riconoscibile per l’assenza di uno speciale segno. Per
applicare l’accordo i gestori dissero ai lavoratori arabi di tornare ai loro villaggi con la scusa che si
doveva fare un inventario del materiale, mentre avevano l’intenzione di sostituirli con ebrei. L’AWS a
Jaffa venne a conoscenza del piano, presumibilmente per merito del PCP, e avvisò i lavoratori arabi i
quali rimasero a vigilare alla cava per 17 giorni consecutivi, tanto che alla fine i gestori rinunciarono a far
venire gli ebrei. Come vedremo, l’Histadrut fece altri tentativi di entrare alla cava di Majdal Yaba nel
1936 e nel 194789.

I PORTUALI DI JAFFA ABBANDONANO LA PLL


Agassi, Zaslani e i suoi colleghi impegnati nell’attività araba dell’Histadrut non potevano evitare
di confrontarsi con il tema del lavoro ebraico e delle sue conseguenze, soprattutto nel 1934. Essi erano
pienamente consapevoli del fatto che la campagna dell’Histadrut per il lavoro ebraico allontanasse i
lavoratori arabi dalla PLL. Tuttavia erano innanzitutto fedeli membri del MAPAI e si uniformarono alle
sue direttive.
A Jaffa i portuali erano al corrente della linea dell’Histadrut e quindi del ruolo della PLL, alla
quale si erano legati nel corso del 1934. Essi in questo periodo mantennero una condotta autonoma, non
escludendo di servirsi di Agassi e soci e delle loro risorse, ma senza farsi strumentalizzare da questi
ultimi. Il comportamento degli stivatori di Jaffa è a suffragio della tesi che i proletari arabi non fossero
quei soggetti manipolabili e incapaci di iniziativa propria come erano considerati dai dirigenti
dell’Histadrut, e in misura minore anche dai dirigenti dei sindacati arabi.
Le condizioni di lavoro degli stivatori erano sempre molto dure. Il direttore generale del porto di
Jaffa, L.K.Pope, a parole esortava gli intermediari a incontrare i rappresentanti operai, ma non era certo
per appoggiarne le rivendicazioni bensì la sua unica preoccupazione era di mantenere lo status quo fino
alla fine della stagione degli agrumi. In una lettera al direttore commerciale Pope dichiarava che “Io non
sono a favore della giornata lavorativa di 8 ore. I lavoratori in realtà sono più contenti quando lavorano
che quando devono spendere il loro tempo libero a pancia all’aria nei caffè e nei mercati della città”90.
A dispetto del direttore la tensione tra i portuali crebbe oltre il limite. Alla fine del febbraio 1935
circa 60 lavoratori impiegati nel progetto di ampliamento del porto scesero in sciopero, inizialmente per
protestare contro l’allontanamento di un compagno che aveva avuto una disputa con un caposquadra, e
poi per la giornata di 8 ore, la settimana lavorativa di 6 giorni e un aumento del salario. Il leader
dell’AWS, Michael Mitri, comparve subito sulla scena e cercò di trattare in rappresentanza dei lavoratori.
Lo sciopero fallì, ma fu comunque un segno del malcontento perdurante tra i portuali. Per allentare la
tensione le autorità inglesi formarono una commissione di inchiesta per indagare sulle condizioni di
lavoro al porto di Jaffa, presieduta dall’ineffabile Pope: la commissione concluse che gli stivatori non
avevano rivendicazioni così pregnanti e dunque il governo non aveva motivo di prendere provvedimenti.
Nella seconda parte del 1935 la PLL perse la sua base di sostegno al porto di Jaffa. Da una parte
gli intermediari fecero pressioni sul sindacato escludendo dal lavoro alcuni iscritti e altri “agitatori”,
dall’altra si aggiunsero l’offensiva dei sindacati arabi e le tensioni politiche legate alla campagna
dell’Histadrut per il lavoro ebraico. Nell’ottobre del 1935 poi una botte che presumibilmente conteneva
una spedizione di cemento si ruppe durante le operazioni di scarico a Jaffa, e fu scoperto che invece era
piena di armi e munizioni contrabbandate in Palestina per l’Haganah. La scoperta provocò un tumulto tra
gli arabi e distrusse ciò che rimaneva dei contatti della PLL al porto. La PLL tentò l’ultima carta
costituendo una cooperativa arabo-ebraica con l’obiettivo di far assumere ebrei al porto, ma lo sciopero
generale anti-inglese e anti-sionista scoppiato nell’aprile 1936 fece fallire l’iniziativa. I portuali di Jaffa si
unirono in massa allo sciopero generale, per tutta la sua durata.

L’AFFARE “EVEN VESID” E LO SCIOPERO ALL’IPC


Alla fine del 1934 i dirigenti della PLL lamentavano l’esiguità dei fondi loro destinata
dall’Histadrut e lo scarso appeal che i sindacato aveva presso gli arabi, per i vari motivi legati alle vicende
esaminate in precedenza. David Hacohen, che era il direttore dell’ufficio contratti dell’Histadrut, propose
allora che la PLL si trasformasse esplicitamente in una sorta di agenzia di collocamento, una funzione del

89
George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937
90
Israel State Archives
82
resto che l’organizzazione a volte svolgeva e per la quale spesso gli arabi si avvicinavano
spontaneamente. Ma un fatto verificatosi in questo periodo mostra come la proposta di Hacohen fosse in
una contraddizione troppo aperta con altri aspetti dell’attività sionista dell’Histadrut.
La cava di pietra (con annesso forno da calce) di Even Vesid, aperta nel 1929 presso Haifa, era
qualcosa di particolare perché i proprietari erano congiuntamente l’ufficio contratti dell’Histadrut e un
grosso affarista arabo di Haifa, Tahir Qaraman. La cava impiegava un numero pressoché uguale di arabi e
di ebrei, ma il fatto che tra i dipendenti vi fossero degli arabi era fonte di imbarazzo per l’Histadrut a
causa della sua strenua linea in difesa del lavoro ebraico. La paga dei dipendenti arabi ammontava a 12
piastre al giorno, non solo sotto lo standard ma meno della metà della paga dei dipendenti ebrei (25
piastre) più o meno per le stesse mansioni. La questione divenne di pubblico dominio nell’aprile del 1935
quando alcuni lavoratori arabi di Even Vesid scesero in sciopero. Le loro richieste includevano una paga
di 15 piastre al giorno, la giornata di 8 ore, un giorno alla settimana di riposo e l’allontanamento di un
caposquadra a loro inviso. La direzione dello sciopero fu subito assunta dalla PAWS. L’Histadrut
denunciò l’agitazione come tutta politica, dichiarò che gli scioperanti erano strumentalizzati da Hanna
Asfur e da altri nazionalisti arabi, e provò a sostituirli con lavoratori ebrei e crumiri arabi. Nonostante gli
scontri e gli arresti gli scioperanti tennero duro e alla fine l’Histadrut dovette concedere l’aumento di
paga.
Hashomer Hatzair criticò la leadership dell’Histadrut perché non era stata in grado di organizzare i
lavoratori arabi di Even vesid attraverso la PLL. L’altra questione che emerse fu sul perché degli arabi
fossero impiegati lì, al che David Hacohen spiegò che l’esistenza di Even Vesid dipendeva dalla
collaborazione con Tahir Qaraman e per esigenze di profitto era necessario l’impiego di manodopera
araba a basso costo. In altre parole, i posti di lavoro ben remunerati degli ebrei erano mantenuti da quelli
sottopagati degli arabi. A complicare le cose si aggiunse un proprietario di una cava ebreo che protestò
presso l’Yishuv perché a suo dire la cava di Even Vesid sabotava la campagna “comprate ebraico” poiché
le sue pietre erano vendute a prezzi più bassi.
L’episodio narrato mostra come la proposta di David Hacohen sulla PLL come agenzia di
collocamento non potè suscitare l’entusiasmo dell’Histadrut, perché ostacolava l’obiettivo a lungo
termine dell’introduzione del lavoro ebraico in quanti più luoghi di lavoro possibile.
Pochi mesi prima dell’affare “Even Vesid”, un altro sciopero aveva attirato l’attenzione di tutto il
paese, quello alle infrastrutture dell’Iraq Petroleum Company ad Haifa. Lo sciopero all’IPC, diretto
contro una compagnia ricca, potente e nota in tutto il Medioriente come rappresentante diretta degli
interessi imperialistici inglesi, fu uno dei più grossi che ebbero luogo in assoluto in Palestina.
Le infrastrutture dell’IPC di Haifa erano state da poco completate quando il 9 febbraio 1935 circa
50 lavoratori impiegati da un intermediario avevano scioperato, ottenendo un aumento di paga. Il loro
esempio probabilmente fece scuola, perché quando la compagnia annunciò tagli al personale e tagli agli
stipendi, fu subito sciopero. L’agitazione partita il 22 febbraio, inizialmente coinvolse circa 150 lavoratori
qualificati, che formarono un comitato e chiesero non solo l’annullamento dei tagli ma anche un salario
minimo di 15 piastre al giorno, giornata di 8 ore e settimana di 6 giorni, pagamento degli straordinari e
varie altre cose. In capo a una settimana lo sciopero arrivò a coinvolgere circa 600 degli 800 addetti
dell’IPC, quasi tutti arabi; ma anche gli americani impiegati nel sito sembra che abbiano aderito.
Sia la PAWS che l’Histadrut furono presto coinvolte. La PAWS aveva il sostegno della maggior
parte dei lavoratori e chiamò Hanna Asfur per negoziare con la compagnia, mentre la PLL rappresentava
un centinaio di autisti, sempre dipendenti IPC. Inizialmente la PLL cercò di condurre una trattativa
separata per gli autisti, ma quando questa fallì Eliyahu Agassi si unì ad Hanna Asfur e al comitato degli
scioperanti. A un certo punto il management tentò di escludere Agassi da un incontro con i vari
rappresentanti operai, ma questi ultimi non vollero e alla fine l’incontro si svolse con tutti presenti. Dopo
un’esitazione iniziale, l’Histadrut decise di appoggiare lo sciopero e fece un appello agli iscritti per creare
una cassa di resistenza.
L’Histadrut e la PAWS chiesero al governo mandatario di intervenire. Sotto quella pressione,
l’IPC fece alcune concessioni, ma Asfur non riuscì a convincere gli scioperanti ad accontentarsi e a
tornare al lavoro. Col passare dei giorni la PAWS, che rappresentava i lavoratori qualificati, vedeva che le
richieste di questi ultimi erano state per lo più accolte, mentre i non qualificati erano a bocca asciutta.
Inoltre cresceva nel sindacato arabo il sospetto nei confronti dell’Histadrut, che sembrava voler prendere
il controllo della situazione utilizzando gli autisti e la cassa di resistenza.
83
Fu a questo punto, dopo più di due settimane dall’inizio della mobilitazione, che Fakhri al-
Nashashibi, “leader dei lavoratori” sui generis, comparve improvvisamente ad Haifa e iniziò a mediare tra
la compagnia e il comitato degli scioperanti. Non è chiaro se fu la PAWS a invitarlo, fatto sta che egli per
lo più ignorò i sindacalisti arabi, conducendo negoziati personali con la direzione dell’IPC. Dopo tre
giorni al-Nashashibi annunciò che era stato raggiunto un accordo, e persuase il comitato degli scioperanti
ad approvarlo. La maggior parte degli addetti riprese il lavoro l’11 marzo, tranne alcuni che di malumore
rientrarono pochi giorni dopo.
L’Histadrut fu molto contrariata dall’intervent di al-Nashashibi e lo attaccò come reazionario
nazionalista, che aveva venduto i lavoratori spingendoli ad accettare molto meno di quello che avrebbero
conseguito proseguendo lo sciopero e formando un vero sindacato nell’IPC. I comunisti definirono a loro
volta al-Nashashibi un opportunista borghese ma affermarono che Hushi, Agassi e l’Histadrut non erano
da meno. Per contro Filastin salutò l’esito dello sciopero come una grande vittoria dei lavoratori,
specialmente perché esso aveva “posto fine ai tentativi dell’Histadrut di utilizzare lo sciopero”. In ogni
caso il management dell’IPC nei mesi che seguirono si rimangiò molte delle concessioni e in buona parte
distrusse la base della PAWS tra i lavoratori.
Sebbene si fosse concluso con una vittoria parziale, lo sciopero all’IPC per gli obiettivi e la durata
fece molta impressione sul proletariato arabo in tutta la Palestina. Numerosi sindacati arabi inviarono
messaggi di solidarietà, e vari gruppi di salariati, dai portuali di Jaffa ai i ferrovieri di Haifa, trassero
esempio dalla lotta dei loro compagni. Per anni, lo sciopero del 1935 all’IPC venne preceduto
dall’aggettivo “grande” nei resoconti pubblicati dalle più disparate forze di sinistra, e anche autori
contemporanei, sia arabi che ebrei, lo considerano un punto di svolta nella formazione della coscienza di
classe del proletariato arabo in Palestina.

LA GUERRIGLIA DI AL-QASSAM E ALTRI PRODROMI DELLA RIVOLTA


Nell’ultima parte del 1935 in Palestina si registrò una crescente tensione politica e una
radicalizzazione della comunità araba, compresa la classe operaia non più disposta a collaborare in alcun
modo con le organizzazioni sioniste come la PLL. La rapida crescita dell’Yishuv aveva aumentato i
timori degli arabi: per la prima volta una maggioranza ebraica e uno stato ebraico sembravano
realizzabili, forse anche imminenti. La scoperta di armi e munizioni contrabbandate in Palestina per
l’Haganah sembravano confermare l’idea che i sionisti volessero acquisire il paese con la forza. La
politica pro-sionista del governo mandatario esacerbava ulteriormente gli animi degli arabi.
Per di più, la fase di prosperità degli ultimi anni terminò nel 1935, portando disoccupazione e
malcontento nella comunità araba. Intorno a Jaffa e Haifa sorsero baraccopoli abitate da migliaia di
indigenti provenienti dalla campagne, serbatoio di reclutamento per i nazionalisti radicali come il
popolare predicatore musulmano di Haifa Shaykh Izz al-Din al-Qassam, che invocava un rinnovamento
morale e attaccava le divisioni e l’inettitudine dell’elite politica. Al-Qassam aveva dato vita a una brigata
guerrigliera, che nel 1935 si attestò sulle colline nella speranza di suscitare una rivolta armata contro il
governo inglese e il sionismo. Nel novembre di quell’anno al-Qassam fu ucciso in uno scontro a fuoco
con la polizia vicino a Jenin, ma la sua morte e il suo funerale destarono forti sentimenti nazionalisti e
religiosi tra le masse arabe, spingendo i politici a mettere da parte le divisioni e ad assumere un
atteggiamento più aggressivo nei confronti dei padroni inglesi.
Gli arabi palestinesi erano inoltre ben al corrente delle rivolte nazionaliste nei paesi vicini. Nel
novembre 1935 l’Egitto era stato scosso da manifestazioni che chiedevano il ripristino dei diritti
costituzionali e la piena indipendenza. Queste manifestazioni portarono a nuove elezioni vinte dal partito
nazionalista Wafd e all’apertura di nuovi negoziati tra Egitto e Inghilterra. In Siria le agitazioni
nazionaliste culminarono in uno sciopero generale contro il mandato francese nel gennaio del 1936. Lo
sciopero durò 50 giorni e costrinse il governo francese a invitare una delegazione siriana a Parigi per
negoziare una road map verso l’indipendenza. I palestinesi erano incoraggiati da tutti questi esempi e si
preparavano a una lotta popolare di massa per fare altrettanto.
Per contro l’Histadrut valutava di affrontare la crescita della disoccupazione nell’Yishuv alla fine
del 1935 con l’intensificazione della campagna per il lavoro ebraico. Ma date le circostanze appena
descritte ciò provocò un’aspra reazione dei militanti arabi, in particolare dell’AWS di Jaffa guidata
dall’instancabile Michael Mitri. Mitri aveva preso in mano l’organizzazione dopo il progressivo
disimpegno di Fakhri al-Nashashibi nel corso del 1935, e a Jaffa e dintorni dichiarava di avere 4.700
84
iscritti. Egli aveva la lungimiranza di collaborare con i nazionalisti radicali e con le forze della sinistra
araba, inclusi membri dell’ala sinistra del partito nazionalista panarabo Istiqlal (Indipendenza) o i membri
arabi del PCP. Strumentalmente l’Histadrut lo avvicinò nel settembre 1935 e gli offrì dei finanziamenti
per l’AWS in cambio di una sua presa di distanza dal movimento nazionalista arabo.
Mitri rifiutò recisamente e anzi di lì a poco inviò una lettera al commissario distrettuale chiedendo
il permesso per una manifestazione operaia araba “contro la disoccupazione e per protestare contro i
picchetti in difesa del lavoro ebraico, la giudaizzazione del porto e le politiche di immigrazione in
relazione alle capacità di assorbimento del paese”91. Il commissario distrettuale proibì la marcia, ma
Mitri e i suoi colleghi proseguirono la campagna contro il lavoro ebraico. Nel febbraio 1936 convocarono
a Jaffa una conferenza dei sindacalisti arabi per protestare contro l’assegnazione all’Histadrut da parte del
governo degli appalti per la costruzione di tre scuole nella città. I lavoratori arabi iniziarono a fare dei
picchetti nei luoghi dove vi era un maggiore impiego di ebrei, in particolare le tre scuole in costruzione.
Ne scaturirono scontri con la polizia e arresti di diversi dimostranti.
Uno degli arrestati di fronte al giudice dichiarò senza mezzi termini che “Noi, lavoratori arabi,
siamo disoccupati. Abbiamo chiesto al governo di togliere i lavoratori ebrei dalle imprese rivolte agli
arabi ma esso non ha accolto le nostre richieste. Così siamo andati sul luogo di lavoro e abbiamo
provato a cacciare gli ebrei da attività alle quali noi abbiamo diritto più di ogni altro, e la polizia ci ha
arrestato”92. Alla fine il governo mandatario accettò di riservare agli arabi il 50% dei posti di lavoro per
le tre scuole, ma Mitri emulò il MAPAI e chiese il 100% di lavoro arabo.
Vi fu anche un altro conflitto alla cava di Majdal Yaba, dove il management complice
dell’Histadrut cercò di licenziare i dipendenti arabi e di rimpiazzarli con gli ebrei. Con il sostegno
dell’AWS, gli arabi reagirono vigorosamente organizzando dei picchetti e come nel 1934 respinsero
l’offensiva dell’Histadrut. L’azione di Majdal Yaba mise in imbarazzo gli stessi fedelissimi del MAPAI
che facevano parte del dipartimento arabo dell’Histadrut. Yakov Riftin, il rappresentante di Hahsomer
Hatzair nel dipartimento, andò oltre in un articolo pubblicato il 1 aprile 1936, accusando il MAPAI di
aver dato, con il suo comportamento, un’arma in più a Michael Mitri per la sua campagna contro il lavoro
ebraico. Riftin temeva che se il movimento sionista laburista non avesse modificato la sua linea vi
sarebbero stati tempi molto difficili: “sta nascendo la leggenda della ‘eroica battaglia’ di Jenin”93.
Se Riftin avesse scritto il suo articolo due settimane dopo, avrebbe probabilmente citato un altro
avvenimento per lui increscioso. Il 10 aprile rappresentanti dei vari segmenti del movimento operaio
arabo palestinese si riunirono ad Haifa per gettare le basi di una federazione unitaria. Tra i partecipanti
alla conferenza vi furono Abdelhamid Haymur, veterano alle ferrovie e segretario della PAWS; Sami
Taha, futuro leader della medesima organizzazione; Michael Mitri e George Mansur dell'AWS; Khalil
Shanir del PCP; Hamdi al-Husseini, giovane giornalista di Gaza membro di Istiqlal e legato ad alcuni
gruppi armati clandestini arabi; e Akram Zuaytar di Nablus, altro membro di Istiqlal in contatto coi
guerriglieri di al-Qassam. La riunione segnò la convergenza tra il movimento sindacale, la parte più
radicale del movimento nazionalista e i comunisti arabi: al movimento operaio nel suo complesso era
attribuito un ruolo importante nell'imminente lotta nazionale.
La conferenza di Haifa dimostra che la rivolta di massa contro gli inglesi e i sionisti esplosa alla
metà di aprile 1936 non fu interamente spontanea, anche se probabilmente iniziò prima che i suoi stessi
fautori avessero avuto il tempo di consolidare i nuovi legami tra le componenti del movimento operaio
arabo. Come vedremo, le conseguenze della rivolta furono complesse e paradossali: da una parte essa
provò la indiscutibile opposizione al sionismo da parte della comunità araba, dall'altra per i suoi difetti di
preparazione permise all'Histadrut di avanzare nella lotta per il lavoro ebraico, appoggiandosi
all'imperialismo inglese. Per alcuni suoi caratteri e conseguenze, la rivolta rappresentò anche
un'anticipazione della battaglia finale del 1948.

91
George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937
92
ibidem
93
Quella in cui al-Qassam aveva trovato la morte, il 19 novembre 1935. Histadrut Archives
85
6

LA GRANDE RIVOLTA ARABA


E IL SIONISMO LABURISTA
(1936 – 39)

Il 15 aprile 1936 membri della brigata guerrigliera fondata dallo sceicco al-Qassam fermarono
degli autobus nei pressi di Nablus, uccidendo due passeggeri ebrei. Due giorni dopo un gruppo
paramilitare ebraico di destra si vendicò uccidendo due arabi. Le proteste arabe presto dilagarono in tutto
il paese, assumendo gradualmente la forma di una grande rivolta popolare anticoloniale e antisionista. Per
contenere la violenza e sviluppare la rivolta dal basso, gli attivisti nazionalisti arabi lanciarono uno
sciopero generale. Lo sciopero si diffuse rapidamente, così come nacquero nuovi “comitati nazionali” per
portare avanti la lotta nelle grandi città. Colte di sorpresa, le elites politiche tentarono di cavalcare l’onda
popolare appoggiando lo sciopero e formando un Alto Comitato Arabo (AHC), con tutti i maggiori partiti
presenti, e Amin al-Husseini come presidente.
Lo andò avanti per sei mesi, fino all’ottobre 1936, diventando uno degli scioperi generali più
lunghi della storia. Esso fu il primo stadio di una rivolta nazionalista araba contro gli inglesi e contro i
sionisti, che terminò solo nell’estate 1939. Lo sciopero fu accompagnato da numerosi attacchi agli ebrei e
alle proprietà ebraiche, condotti per lo più dai numerosi gruppi guerriglieri che nacquero nei villaggi di
tutto il paese durante la primavera e l’estate del 1936 e diedero alla rivolta un carattere sempre più
violentemente e apertamente insurrezionale.
Molti settori della popolazione palestinese urbana parteciparono allo sciopero generale, e i
lavoratori ebbero un ruolo centrale. Il sindacato degli autisti di Hasan Sidqi al-Dajani paralizzò i trasporti
arabi, e i portuali di Jaffa bloccarono le banchine. Per sostenere le sciopero i comitati nazionali raccolsero
donazioni dai palestinesi abbienti e dai simpatizzanti dei paesi vicini, e crearono casse di resistenza per
sostenere i lavoratori in sciopero, inclusi i portuali di Jaffa. A parte Jaffa, che era un caso particolare, lo
sciopero generale distrusse gran parte di ciò che restava dell’influenza della PLL e le rese impossibile
l’attività pubblica tra i lavoratori arabi. E’ da notare che gli stivatori e i chiattaioli di Jaffa, che alla fine
86
del 1934 avevano collaborato con la PLL e la cui organizzazione sembrava stesse per mettere il porto di
Jaffa sotto il controllo dell’Histadrut, erano ora in prima linea nello sciopero generale. I sindacati arabi
che prima avevano cooperato coi laburisti ebrei aderirono rapidamente alla causa nazionalista. L’adunata
del 1 maggio 1936 organizzata dalla PAWS ad Haifa e composta per la gran parte da ferrovieri inviò un
messaggio all’Alto Comissario denunciando il governo per aver tollerato “la giudaizzazione di questo
paese arabo, che priva il lavoratore del suo lavoro e il contadino della sua terra”. Il messaggio
dichiarava poi che la propaganda sionista sulla cooperazione tra lavoratori arabi ed ebrei era “una
sfacciata bugia, di cui noi siamo innocenti”94.

LO SCIOPERO GENERALE E IL LAVORO EBRAICO


Nonostante il successo in molte parti del paese, lo sciopero generale non fu mai totale, e
l’incapacità del movimento nazionalista di renderlo tale ne minò l’efficacia. Questo fallimento può essere
attribuito in parte a specifici fattori locali, come la posizione filo-inglese e filo-sionista del sindaco di
Haifa Hassan Shoukri e dei suoi alleati locali, che si opposero allo sciopero, e poi alle profonde e a volte
violente divisioni all’interno della leadership araba. Ma a un certo livello almeno esso è anche attribuibile
agli anni di paziente e continuo lavoro che l’Histadrut aveva svolto per mettere i lavoratori ebrei in settori
economicamente e politicamente importanti che prima erano appannaggio soltanto degli arabi, un
progetto al quale certamente contribuì la PLL cercando di organizzare i lavoratori arabi di quei settori
negli anni 1932 – 35. Le posizioni acquisite dall’Histadrut in questi settori favorirono molto le autorità
inglesi nell’impedire ai nazionalisti arabi di estendere lo sciopero generale e di paralizzare completamente
l’economia del paese. Nello stesso tempo l’intervento della forza militare e poliziesca inglese rese
possibile per l’Histadrut rafforzare alcune di queste posizioni trasformandole in solidi bastioni del lavoro
ebraico.
Gli avvenimenti al porto di Haifa forniscono l’esempio migliore. Il comitato nazionale locale e la
leadership araba nazionalista al completo volevano assolutamente bloccare il più grande porto della
Palestina. Circa 100 dei 250 portuali scioperarono alla fine di aprile ma diversamente da Jaffa, dove tutti i
portuali avevano rapidamente aderito allo sciopero, la gran parte degli appaltatori e dei portuali di Haifa
rimasero al lavoro, nonostante l’offerta di casse di resistenza e le intense pressioni del comitato nazionale.
Amin al-Husseini e altri leader nazionalisti vennero più volte ad Haifa e provarono a persuadere Abdallah
Abu Zayid, l’appaltatore che aveva più dipendenti, a bloccare le banchine. Ma Abu Zayid sosteneva che
la situazione ad Haifa era molto diversa rispetto a Jaffa. In quest’ultima città tutti i portuali erano arabi,
mentre al porto di Haifa circa 200 ebrei lavoravano tramite gli appaltatori. I portuali che avevano
interrotto il lavoro in aprile erano stati rapidamente rimpiazzati da ebrei e uomini provenienti
dall’Hawran95, e i portuali che non scioperavano erano alloggiati nel porto stesso sotto stretta
sorveglianza. Se i suoi lavoratori avessero scioperato, diceva Abu Zayid, immediatamente i loro posti
sarebbero stati presi dai lavoratori ebrei già impiegati, da altri ebrei in aggiunta e dagli immigrati
provenienti dall’Hawran, e così il porto di Haifa sarebbe stato definitivamente perduto per gli arabi di
Palestina. Questa comunque non era la sola motivazione a disposizione di Abu Zayid: egli aveva legami
di lunga data con ebrei, specialmente funzionari locali dell’Histadrut, e ci sono indizi che l’Agenzia
Ebraica abbia sborsato considerevoli somme a lui e ad altri per tenere aperto il porto di Haifa96.
In agosto, dopo una lunga serie di pressioni e minacce, alcuni dei lavoratori arabi del porto di
Haifa scesero finalmente in sciopero, insieme a lavoratori delle Ferrovie Palestinesi, dell’Iraq Petroleum
Company, della Shell, del comune e del dipartimento dei lavori pubblici. Abu Zayid fuggì in Libano per
sottrarsi alle minacce di morte dei nazionalisti. Decisi a impedire che queste importantissime imprese
venissero bloccate, le autorità inglesi inviarono prontamente contingenti militari per proteggere i crumiri
al porto e negli altri siti interessati, e impiegarono gli ingegneri della Marina per far funzionare i treni. Il
consiglio operaio di Haifa collaborò mobilitando membri dei kibbutz e altri per sostituire i portuali arabi
in sciopero, mentre la PLL di Agassi fece la sua parte approntando un gruppo di crumiri arabi tra i suoi
membri e contatti. Questo atto di forza combinato delle autorità inglesi e dell’Histadrut mantenne in
funzione il porto e le ferrovie di Haifa, e il timore degli scioperanti di perdere definitivamente il lavoro a

94
Filastin, 2 maggio 1936
95
Regione della Siria meridionale.
96
Ian Black, Zionism and the Arabs 1936 – 39, 1986
87
vantaggio degli ebrei li spinse a tornare quasi tutti al lavoro dopo dieci giorni. Né il porto né altri
importanti siti lavorativi di Haifa subirono altri blocchi per tutta la durata della rivolta.
Questa congiuntura senza precedenti permise all’Histadrut di raggiungere altri obiettivi di lungo
periodo. Ad esempio alla fine del 1936 l’Agenzia Ebraica persuase le autorità del porto di Haifa ad
assumere gli ebrei direttamente anziché attraverso gli appaltatori com’era avvenuto fino ad allora,
emarginando così i lavoratori arabi e rafforzando il lavoro ebraico. Nel 1933 alcuni leader del MAPAI
avevano espresso il timore che Abba Hushi, funzionario dell’Histadrut e allo segretario del consiglio
operaio di Haifa, stesse spendendo troppo tempo ed energie nell’organizzare i lavoratori arabi: “Egli
dovrebbe ricordarsi – lo ammonirono – di essere il segretario del consiglio dei lavoratori ebrei di
Haifa”. Dal momento che i successi dell’Histadrut nel 1936 furono dovuti alla dedizione di Hushi sia al
lavoro ebraico che ai lavoratori arabi, sembra i timori del 1933 fossero infondati.
Prima della rivolta, il governo mandatario in Palestina era stato per lo più insensibile o anche
ostile all’aggressiva campagna dell’Histadrut per il lavoro ebraico, per paura che essa avrebbe minato le
relazioni arabo-ebraiche e l’ordine pubblico, rafforzato il movimento sionista e gravato sulle casse
governative a causa dell’aumento dei salari e del valore dei contratti di lavoro. Ora però la rivolta araba
aveva creato delle circostanze in cui il governo aveva forte interesse a sostenere la linea dell’Histadrut per
il lavoro ebraico, per tenere in funzione le aziende più importanti e indebolire la sollevazione nazionalista.
Ad Haifa il governo inglese e il movimento sionista videro una chiara convergenza di interessi nel
sabotare lo sciopero di agosto, e vi riuscirono combinando forza militare (gli inglesi) e gruppi di crumiri
fortemente motivati (sostenuti dall’Histadrut).
Anche alla cava di Nesher lo sciopero generale e l’interesse del governo nel bloccarlo rese
possibile la realizzazione di uno dei sogni dell’Histadrut: l’introduzione di lavoratori ebrei. Nel marzo
1936 i cavatori di Nesher, rappresentati esclusivamente dalla PAWS, avevano concluso l’ultimo di una
serie di infruttuosi scioperi contro il concessionario, quello stesso Musbah al-Shaqifi che negli anni
precedenti aveva ripetutamente siglato e poi rotto gli accordi. Quando iniziò lo sciopero generale in
aprile, Shafiqi fu spinto a fuggire in Libano dalle minacce di morte dei nazionalisti. I cavatori si unirono
allo sciopero e i villaggi dei dintorni divennero focolai di attività nazionalista. Le autorità inglesi e il
movimento sionista avevano interessi comune nel bloccare lo sciopero; come disse Moshe Shertok, capo
del dipartimento politico dell’Agenzia Ebraica, se lo sciopero alla cava fosse andato avanti fino a
bloccare, per mancanza di materia prima, la fabbrica di cemento da essa rifornita “i leader arabi
sarebbero nella condizione di affermare di essere riusciti a bloccare la più grande fabbrica ebraica, e ciò
rafforzerebbe il loro status di fronte all’opinione pubblica”97. I direttori della cava alla fine si convinsero
che la produzione e la disciplina potevano essere ristabiliti solo se almeno una parte del lavoro fosse
andato agli ebrei, e quindi accolsero le richieste dell’Histadrut cancellando la concessione di al-Shafiqi e
trasferendola all’Ufficio Contrattazioni dell’Histadrut, diretto da David Hacohen.
Hacohen e soci temevano che i cavatori arabi si sarebbero opposti violentemente all’impiego di
ebrei. Perciò pianificarono le loro mosse in stretta coordinazione con gli inglesi. Hacohen parlò anche con
Sami Taha, segretario della PAWS, che rappresentava la maggior parte dei cavatori. Taha aveva
intenzione di cooperare con Hacohen, apparentemente perché voleva mantenere qualche impiego per i
suoi iscritti, e forse anche perché nel movimento nazionalista faceva parte della fazione anti-Husseini. Il 4
maggio 1936 Hacohen, accompagnato da Taha e da funzionari di polizia, condusse alla cava una
cinquantina di lavoratori ebrei, membri del vicino kibbutz Yagur. Dopo aver ricevuto da Hacohen
l’assicurazione che i loro impieghi erano al sicuro e i loro compensi sarebbero aumentati, i lavoratori
arabi accettarono l’ingresso degli ebrei senza opporre resistenza. L’influenza della PAWS nella cava fu
presto eliminata e i lavoratori arabi confluirono nella PLL. I lavoratori ebrei furono contrariati per questo,
poiché temevano che la semplice iscrizione alla PLL avrebbe permesso agli arabi di occupare impieghi
che potevano far gola agli ebrei. Negli anni successivi, nei quali la cava sviluppò metodi di produzione
più intensiva (più macchinari, un sistema di quote, il lavoro a cottimo), la forza lavoro si ridusse e
divenne più ebraica: nel 1939 essa contava 60 ebrei e 50 arabi, con i primi pagati 37 piastre al giorno e i
secondi 16 piastre. La fabbrica e la cava di Nesher furono vendute a una nuova compagnia posseduta
congiuntamente dall’Histadrut e da un gruppo di imprenditori ebrei del cemento98.

97
Yehoshua Porath, The Palestinian Arab National Movement, from Riots to Rebellion, 1977
98
David Hachoen, Time to Tell: an Israeli Life 1908 – 1984, 1985
88
La rivolta permise anche all’Histadrut di avere successo nella sua lotta per imporre il lavoro
ebraico alla cava di Majdal Yaba, dove precedenti tentativi nel 1934 e poi nell’aprile 1936 erano stati
respinti dalla vigorosa resistenza dei lavoratori arabi. Come al porto di Haifa e a Nesher, fu il supporto
ufficiale britannico che questa volta fece la differenza. Alla fine del 1936, su pressione dell’Histadrut,
tutti i lavoratori arabi a Majdal Yaba furono licenziati e subentrarono dei lavoratori ebrei. Come avevano
fatto altre due volte, i lavoratori arabi licenziati diedero luogo a una forte protesta, ma questa volta le
autorità britanniche si schierarono direttamente dalla parte dell’Histadrut e un ampio contingente di
polizia e numerosi arresti spezzarono la resistenza araba. Questa sconfitta, che cosò circa 400 posti di
lavoro, lasciò molta amarezza. “Non c’è da stupirsi – scrisse un cronista arabo l’anno successivo – se gli
abitanti dei villaggi vicini parteciparono al deragliamento di un treno vicino alla stazione di Ras-el-Ain il
14 ottobre 1937…venivano da…villaggi che avevano toccato con mano quel che i sionisti intendono per
“conquista del lavoro”99.
Il successo dell’Histadrut a Majdal Yaba fu solo temporaneo: durante la guerra i lavoratori ebrei
andarono in cerca di lavori migliori altrove e alla fine della guerra la forza lavoro alla cava era di nuovo
almeno parzialmente araba, il che determinò un nuovo tentativo di imporre lavoro ebraico nel 1947.
Qualcosa si simile accadde nelle piantagioni di agrumi dei moshavot100. Durante lo sciopero quasi
tutti i lavoratori arabi si astennero dal lavoro e i loro posti furono presi dai lavoratori ebrei mobilitati
dall’Histadrut. Una volta terminato lo sciopero, tuttavia, i lavoratori arabi rientrarono e recuperarono
molto del terreno perduto. La marea montò di nuovo nell’estate e autunno 1938, quando la rivolta giunse
al massimo livello e i lavoratori ebrei di nuovo occuparono i posti di lavoro nelle piantagioni di proprietà
ebraica. Ma quando la rivolta fu soppressa nel 1939, e specialmente dopo che con l’inizio della guerra si
erano creati posti di lavoro altrove, gli ebrei abbandonarono in massa i moshavot e i lavoratori arabi
ripresero i loro posti nella produzione ebraica di agrumi. Poi la questione restò in sospeso fino al 1948,
dopodiché la fuga o l’espulsione della maggior parte degli arabi che vivevano nella parte di Palestina che
divenne Israele “risolse” il problema. Quella soluzione si dimostrò a sua volta provvisoria: dopo il 1967
la forza lavoro nelle piantagioni di agrumi israeliane sarebbe stata largamente composta da lavoratori
palestinesi di Gaza.
Per acquisire credito presso le autorità inglesi e assicurare più lavoro agli ebrei, i leader sionisti
fecero del loro meglio per sottolineare il ruolo avuto dai lavoratori ebrei nell’indebolire lo sciopero
generale. Nella sua testimonianza del dicembre 1936 davanti alla commissione istituita per indagare sulle
cause dei “disordini” in Palestina e guidata da lord Peel, Moshe Shertok affermò che

Questo è un paese con due razze ed è molto importante rendere i servizi pubblici immuni dalle
agitazioni razziali (Interruzione di un membro della commissione: “Immuni contro il virus, si può
dire?”). Sì, contro i disservizi nel caso di agitazioni razziali, e a questo riguardo l’esperienza degli
ultimi disordini, disordini causati da uno sciopero razziale, ci hanno fornito una buona lezione.
Abbiamo rilevato che quando il servizio era esclusivamente in mani arabe, come al porto di Jaffa, è
stato paralizzato completamente, e ciò ha contribuito all’estendersi dello sciopero e dei disordini, che
si sono rafforzati l’un l’altro. Dove vi erano gli ebrei il servizio è rimasto attivo e noi sottolineiamo
che è fondamentale che la composizione razziale della popolazione sia rappresentata nel personale
dei servizi pubblici in questo paese101.

Per fare un esempio, Shertok disse alla commissione che quando in agosto era scoppiato lo sciopero
al porto di Haifa, “il lavoro ebraico continuò e lo sciopero fu stroncato sul nascere, poiché il lavoro
ebraico fu in grado di garantire gli alleggi e gli stivaggi. Erano là e lo poterono fare. A Jaffa non
c’erano, e non lo poterono fare”102.

LA PLL DURANTE LA RIVOLTA


Il fatto che la PLL potè portare crumiri arabi al lavoro nel porto di Haifa nell’agosto 1936 fu segno
non tanto della sua forza in quella città quanto della disperata situazione in cui versavano i disoccupati

99
George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937
100
Termine ebraico per indicare gli insediamenti agricoli di proprietà ebraica (singolare: moshava)
101
Palestine Royal Commission: Minutes of Evidence Heard at Public Sessions, 1937
102
ibidem
89
arabi. A una riunione del comitato centrale del MAPAI nel gennaio 1937, Agassi disse ai suoi colleghi
che dal 1932 la PLL era stata in contatto con circa 2.500 lavoratori arabi, aveva raccolto 1.100 iscrizioni,
organizzato 13 sindacati e diretto alcuni scioperi. Ora, disse Agassi, non vi erano più di 15 lavoratori
arabi ancora completamente fedeli alla PLL e in contatto con essa tra Haifa e Jaffa, e altri 50 o 60 nei
dintorni, mentre tutti i sindacati sostenuti dalla PLL erano defunti. La sua sede ad Haifa rimaneva aperta
grazie alla dedizione del solo Mahmud Abu Dabus, la cui reputazione di “tipo tosto” offriva una certa
garanzia ai pochi arabi pubblicamente riconosciuti come membri della PLL103. Il fatto che la PLL
continuasse a esistere è prova della relativa debolezza del movimento nazionalista arabo in Haifa, e degli
anni di paziente e continuo lavoro di Eliyahu Agassi nello sviluppo di buone relazioni con i lavoratori
arabi della città. Ma qualcos’altro spinse comunque dei lavoratori arabi alla PLL, anche in questo periodo:
la reputazione dell’organizzazione come fonte di impiego per i lavoratori arabi, per i quali la rivolta aveva
significato un aumento della disoccupazione. Le annotazioni di Agassi dal 1936 al 1937 riportano
numerosi casi in cui lavoratori arabi di Haifa e dei villaggi intorno lo avvicinavano durante i suoi viaggi o
si recavano alla sede di Haifa e chiedevano di iscriversi alla PLL, nella convinzione che ciò avrebbe
portato loro un impiego sicuro e ben pagato presso un’impresa ebraica104.
Come regola Agassi respingeva le richieste individuali, rispettando la linea della PLL di accettare
solo gruppi di occupati nel medesimo posto di lavoro. Ma di fatto la PLL durante gli anni della rivolta
fece la funzione di ufficio di collocamento, supportando i lavoratori arabi ritenuti affidabili dall’Ufficio
Contrattazioni dell’Histadrut (che poi divenne la compagnia Solel Boneh) e destinandoli a vari progetti di
lavori pubblici, o alla cava e alla fornace di calce di Even Vesid, posseduta congiuntamente dall’Histadrut
e dall’affarista di Haifa Tahir Qaraman, dove nel 1936 vi furono solo pochi giorni di sciopero. Tuttavia
l’impiego di lavoratori arabi che erano anche membri della PLL creò dei problemi all’Histadrut. Nel
1937, per esempio, la Solel Boneh vinse un appalto per la costruzione di un ospedale governativo ad
Haifa. Poiché il contratto specificava che il 50 per cento del monte stipendi dovesse andare agli arabi,
l’Histadrut si rivolse a un intermediario arabo e chiese che i suoi lavoratori fossero iscritti alla PLL.
Tuttavia i rapporti tra la Solel Boneh e questo intermediario si guastarono presto, l’accordo fu sciolto e i
lavoratori licenziati, mettendo in imbarazzo l’Histadrut e la PLL quando i lavoratori chiesero la
restituzione delle quote di iscrizione. Lo stesso progetto dell’ospedale divenne una controversia pubblica:
i sindacalisti arabi contestarono la concessione del contratto alla Solel Boneh e il fatto che i lavoratori
arabi non ricevessero la giusta parte del monte stipendi, e aggiunsero che i lavoratori arabi di un certo
livello non ricevevano la stessa paga dei loro pari grado ebrei105.
Le differenze di paga tra lavoratori arabi ed ebrei, anche lavoratori qualificati, rimasero marcate e
continuarono ad essere fonte di malcontento tra i lavoratori e i sindacalisti arabi. Uno studio pubblicato
nel 1938 dall’Istituto Economico di Ricerca dell’Agenzia Ebraica rilevò profonde differenze tra le paghe
arabe ed ebraiche. Per esempio nel 1936 – 37 i carpentieri ebrei ricevevano 37 piastre al giorno, mentre i
carpentieri arabi ne guadagnavano 27. Per i tornitori le paghe erano rispettivamente 39 e 35 piastre; per i
muratori 54 e 43; per gli intonacatori 53 e 33; per i piastrellisti 54 e 38. Alcune differenze possono essere
dovute ai gradi di qualifica e produttività, ma certamente non fu così in molti casi. Lo studio dell’Agenzia
Ebraica rilevò anche che le paghe di alcuni lavoratori arabi qualificati, per esempio nelle imprese edili, e
forse anche dei lavoratori non qualificati, erano spesso più alte che nei paesi arabi circostanti o anche nei
paesi meno sviluppati d’Europa. In questo senso l’argomento sionista che l’afflusso di immigrati e
capitali ebraici aveva contribuito ad aumentare i salari in Palestina non era senza fondamento. Ma il
paragone che i lavoratori arabi ritenevano importante non era con i lavoratori più poveri dell’Egitto o
dell’Hawran, bensì con i lavoratori ebrei che erano pagati di più per le stesse mansioni e la cui
organizzazione, l’Histadrut, sembrava appetire i posti di lavoro degli arabi106.
Oltre alla fornitura di forza lavoro, la PLL contribuì alla lotta dell’Yishuv contro la rivolta araba in
altri modi. Soldi forniti dall’Agenzia Ebraica furono segretamente girati ai portuali arabi e agli
intermediari per tenere aperto il porto di Haifa, e Shmuel Alafiya, un ebreo di Damasco che aveva
sostituito Agassi come responsabile della PLL ad Haifa quando quest’ultimo iniziò ad operare per lo più a
Tel Aviv e Jaffa, pagò i portantini arabi affinchè non si unissero allo sciopero generale. Le prime navi per
103
MAPAI Archives
104
Histadrut Archives
105
George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937
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David Horowitz, Rita Hinden, Economic Survey of Palestine, 1938
90
il nuovo porto ebraico di Tel Aviv furono acquistate da arabi di Haifa tramite le conoscenze della PLL. La
PLL fu anche un’importante strumento di spionaggio per l’Haganah e le autorità ebraiche. Agassi e
Alafiya passavano regolarmente le informazioni ricevute dai loro contatti arabi sulla situazione in varie
città e villaggi e sulle mosse di specifici individui e gruppi. George Nassar sembra avere fatto altrettanto:
gli archivi dell’Histadrut contengono numerose lettere che egli spedì al suo mentore Moshe Erem e ad
altri leader di Poale Zion Smol sulla situazione a Jaffa durante lo sciopero generale107.
Agassi e Alafiya usarono anche la loro conoscenza dell’arabo – privilegio piuttosto raro
nell’Yishuv – per condurre propaganda anti-nazionalista. Durante il 1936 la PLL produsse propri opuscoli
contro lo sciopero e ne distribuì altri preparati dal dipartimento arabo dell’Agenzia Ebraica. La PLL
inoltre pagò Abd al-Rahman Uthman al-Husayni, un siriano che recentemente aveva abbandonato il suo
posto di impiegato governativo a Damasco per stabilirsi ad Haifa, affinchè scrivesse un pamphlet
(Appello all’umanità che soffre) contenente una miscela di socialismo e pacifismo, e lo distribuì. In quel
contesto, il pamphlet di al-Husayni poteva essere interpretato solo come una condanna della rivolta. Al-
Husayni inzialmente insistette nel mantenere segreto il suo legame con la PLL, ma era ben intenzionato a
lavorare come propagandista sionista. Nel 1937 la PLL lo inviò nel villaggio di Wadi ‘Ara in seguito a
una lettera ricevuta da parte di un residente, nella speranza di sviluppare una sezione dell’organizzazione.
Wadi ‘Ara, situato nella lunga e stretta vallata che collegava la fascia costiera alla Jezreel Valley, era in
una posizione strategicamente importante. Più in generale, l’Histadrut sperava che stabilendo, attraverso
la PLL, legami con i villaggi avrebbe contrastato l’influenza nazionalista nelle campagne e capitalizzato il
risentimento nei confronti del debole e inefficace Alto Comitato Arabo. Il momento sembrava propizio
per iniziative di tal fatta: durante la primavera-estate del 1937 la rivolta era in una fase di attesa mentre la
commissione Peel faceva la sua inchiesta. La PLL riuscì ad aprire una sede a Wadi ‘Ara (e poi una nel
vicino villaggio di Ar ‘Ara) con una radio e materiale informativo, e durante il 1937 mantenne contatti
regolari con i simpatizzanti nei due villaggi108.
Successivamente nel 1937 la relazione della PLL con al-Husayni si intensificò quando essa lo
ingaggiò per organizzare una rete di intellettuali e club filo-sionisti in varie città e villaggi, e gli allestì un
ufficio, con un investimento complessivo di 250 sterline. I funzionari dello spionaggio inglese si
associarono al piano, ebbero un colloquio con al-Huseyni e gli proposero di lavorare per loro come
infiltrato in un partito nazionalista arabo. Ciò diminuì l’utilità di al-Husayni per l’Histadrut, ma
comunque egli rese vari altri servigi ai suoi amici. Tra le altre cose fu autore dell’opuscolo Kash’f al Qina
(Giù la maschera), pubblicato nel gennaio 1937 dalla PLL, che condannava lo sciopero generale e la
rivolta nazionalista mentre applaudiva l’Histadrut per la sua attenzione ai lavoratori arabi.
Al-Husayni e un gruppo di arabi filo-sionisti furono anche estremamente utili per i tentativi del
sionismo di sviluppare relazioni diplomatiche. Quando per esempio due membri del parlamento inglese
appartenenti al Independent Labour Party (ILP) visitarono la Palestina in un viaggio pagato dalla fazione
di Poale Zion Smol facente capo a Yitzhaki Abramovitch, con la quale l’ILP aveva sviluppato stretti
legami, essi incontrarono soltanto ebrei e arabi scelti dall’Histadrut, incluso al-Husayni il cui
comportamento a detta di Alafiya fu molto efficace. George Mansur, che provò senza successo a
mantenere in piedi l’Arab Workers Society (AWS) dopo l’assassinio del suo segretario Michael Mitri da
parte di uno sconosciuto nel dicembre 1936, fece reiterate richieste di incontrare l’ILP ma non fu
accontentato109.
Hashomer Hatzair non aveva quadri arabi affidabili per accogliere i visitatori provenienti
dall’estero, tuttavia cercò anch’essa di trovare supporto presso la sinistra europea per la sua versione di
sionismo socialista e la sua idea di una Palestina binazionale110. Questo periodo vide anche i primi
tentativi di Hashomer Hatzair di condurre una propaganda diretta verso gli arabi. In occasione del Primo
Maggio 1937 il movimento pubblicò ciò che sembra essere stato il suo primo opuscolo in arabo, intitolato
La via dell’accordo tra gli ebrei e gli arabi di Palestina. L’opuscolo sosteneva che la solidarietà
reciproca avrebbe giovato sia ai lavoratori ebrei che ai quelli arabi, e distingueva nettamente Hashomer
Hatzair dalla maggioranza sionista sostenendo la costituzione di uno stato binazionale arabo-ebraico in
Palestina. Esso cercava anche di collocare la questione palestinese in un contesto internazionalista: i
107
Histadrut Archives
108
ibidem
109
George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937
110
Mordechai Orenstein, Jews, Arabs and British in Palestine: A Left Socialist View, 1936
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lavoratori ebrei e arabi, affermava, non avrebbero potuto donare al mondo, alle vittime di Hitler e
Mussolini, ai lavoratori di Spagna in lotta per la libertà, la democrazia e il socialismo, null’altro che la
concordia e la solidarietà reciproca. D’altra parte l’opuscolo condannava decisamente la leadership araba,
evitando di prendere posizione sul nazionalismo arabo o sul sionismo. Esso inoltre non faceva esplicita
menzione del lavoro ebraico o delle differenze tra Hashomer Hatzair e il MAPAI, sebbene nelle riunioni
dell’Histadrut e nella stampa ebraica il movimento sovente sottolineasse tali differenze. Per di più, a
dispetto delle frequenti critiche di Hashomer Hatzair verso i fallimenti della PLL, l’opuscolo la indicava
come la migliore opzione per l’organizzazione dei lavoratori arabi.
I funzionari ebrei della PLL contribuirono anche a indebolire la rivolta araba favorendo i primi
contatti tra il movimento sionista e le comunità druse in Palestina e Siria. Nel 1936 i capi del grosso
villaggio druso di Usufiya, sul monte Carmelo, chiesero aiuto al consiglio operaio di Haifa per
proteggersi dalla guerriglia nazionalista che insidiava il villaggio a causa del suo rifiuto di supportare la
rivolta. Questi contatti, favoriti da Hushi, Agassi e Alafiya, condussero a incontri tra i leader dell’Yishuv
e della comunità drusa, inclusi alcuni leader drusi siriani in esilio in Palestina e Transgiordania.
Nell’ottobre 1937 Abba Hushi e Shmuel Alafiya, accompagnati da Shayk Hasan Abu Rukn, un capo
druso di Usufiya, si recarono in Libano e poi a Jabal al-Druz (“la Montagna dei Drusi”, cuore della
comunità nel sud della Siria) in missione segreta per conto dell’Agenzia Ebraica. Come riporta Agassi, il
loro scopo era “siglare un accordo ufficiale (sebbene segreto) tra noi e i leader della Montagna, cosicchè
essi inducessero il popolo della Montagna a ignorare i sobillatori palestinesi, e a fornire informazioni. In
tutte queste zone furono ottenuti preziosissimi benefici”111. Alcuni drusi palestinesi infatti erano attivi nel
movimento anti-sionista, e i leader sionisti speravano che un accordo con i capi drusi siriani avrebbe
ridotto il coinvolgimento dei drusi palestinesi nella rivolta. Un mese dopo ebbe luogo un’altra missione, a
Beirut e a Damasco.
Durante la rivolta del 1936 – 39 le buone relazioni coi drusi giovarono alla sicurezza degli
insediamenti ebraici e delle imprese nell’area del monte Carmelo, in particolare il kibbutz Yagur e la
fabbrica di cemento e la cava di Nesher, e indebolirono l’insurrezione nazionalista nelle campagne. Esse
furono anche alla base della posizione neutrale o pro-sionista assunta dalla maggioranza dei drusi
palestinesi durante le battaglie del 1947 – 49. Come nel caso dei curdi iracheni, avvicinati nel 1934 dal
funzionario dell’Histadrut Reuven Zaslani, questi nascenti rapporti conducevano verso quella che sarebbe
diventata un elemento centrale nella strategia sionista e poi israeliana: la ricerca nell’area di comunità non
arabe e non sunnite che potessero essere coinvolte in un’alleanza contro il nazionalismo arabo112.

LA COMMISSIONE PEEL E IL LAVORO IN PALESTINA


Le audizioni davanti alla Commissione Peel permisero ai sindacalisti ebrei e arabi di presentare le
loro vedute di fronte a un pubblico più ampio. I leader sionisti laburisti che testimoniarono insistettero sui
benefici che l’immigrazione e gli insediamenti ebraici in Palestina avevano portato agli arabi, citando il
caso delle paghe più alte rispetto ai paesi vicini. Un memorandum siglato dall’Histadrut affermava che “I
lavoratori di entrambe le comunità, gli ebrei consapevolmente e gli arabi istintivamente, si sono resi
conto che esiste una base reale per stabilire relazioni reciproche amichevoli”. Questa distinzione tra
“consapevolmente” e “istintivamente” stava a significare che erano i lavoratori ebrei che avevano preso
l’iniziativa:

…i lavoratori ebrei consideravano loro sacro dovere sollevare il lavoratore arabo dalla sua
condizione di sfruttamento e degrado di cui i suoi padroni, sostenuti dal governo e dai religiosi, erano
responsabili. Essi si sono imposti eticamente di abolire le condizioni di povertà e oppressione
ovunque esistessero nel paese; e non volevano neanche che in Palestina esistessero strati di lavoratori
le cui cattive condizioni di vita e lavoro rappresentassero un pericolo costante per le condizioni di vita
e lavoro dei lavoratori ebrei.

Nonostante fosse centrato sulle relazioni tra lavoratori ebrei e arabi, il memorandum non citava né
mai alludeva alla questione del lavoro ebraico, pur difendendo esplicitamente la politica di escludere gli
arabi dall’Histadrut. Esso inoltre attaccava la leadership della comunità araba in Palestina, che ostacolava

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Histadrut Archives
112
Ian Black, Zionism and the Arabs 1936 – 39, 1986
92
“il sincero tentativo di elevare lo standard del lavoratore arabo, e anche la possibilità di una
comprensione tra lavoratori ebrei e arabi”.
Ma il vero colpevole, suggeriva l’Histadrut, era il governo mandatario, che aveva bloccato i
tentativi di cooperazione arabo-ebraica. Sebbene questa parte sembra avere infastidito lord Peel, nella sua
testimonianza Dov Hoz, portavoce dell’Histadrut, difese questo punto di vista. I membri della
commissione chiesero insistentemente ai leader dell’Histadrut se la politica del lavoro ebraico
dell’organizzazione non implicasse l’allontanamento dei lavoratori arabi, ma non ebbero risposte
chiare113.
Per contro George Mansur dell’AWS, quando comparve di fronte alla commissione nel gennaio
1937 per testimoniare delle condizioni e richieste dei lavoratori arabi in Palestina, sottolineò il ruolo del
lavoro ebraico, che secondo lui contributiva molto alla disoccupazione araba114. Tuttavia i filo-sionisti in
Inghilterra non lo presero sul serio: quando il rapporto della commissione Peel fu discusso in Parlamento
nel luglio 1937, uno dei membri dell’Indepenent Labour Party che non avevano incontrato Mansur
durante la loro visita a gennaio affermò che “Mansur non rappresenta altri che se stesso”. Frustrato dal
fallimento dei sindacalisti arabi nell’influenzare l’opinione pubblica inglese, Mansur pubblicò un
opuscolo in inglese “per dare al lettore inglese un’idea del perché il lavoro arabo è al fianco di tutta la
popolazione araba nell’opposizione all’immigrazione sionista…e per denunciare l’inadeguatezza del
modo con cui la commissione Peel sta affrontando le relazioni tra lavoro arabo ed ebraico in
Palestina”115. Il lavoratore arabo nella Palestina mandataria non ebbe l’impatto sperato dal suo autore.
Il movimento sionista laburista aveva stretti legami con il partito laburista inglese e il sostegno di molti
membri laburisti in Parlamento, mentre i conservatori anti-sionisti non avevano molto interesse o simpatia
per i lavoratori o i sindacati arabi. Se vi fu una battaglia per conquistare l’opinione pubblica inglese di
centro-sinistra e non comunista, questa fu vinta dai sionisti.

“IL NOCCIOLO DELLA QUESTIONE”


Lo sciopero generale e l'insurrezione su vasta scala che ne derivò resero più evidente che mai la
mancanza nel movimento sionista di uno strumento di propaganda in lingua araba. Vi erano stati
sporadici tentativi di influenzare qualche giornale arabo in Palestina, ma nè l'Histadrut nè altre istituzioni
sioniste avevano creato una pubblicazione regolare in arabo dal tempo della chiusura di Ittihad al-Ummal
nel 1928. Dal 1935 i leader dell'Histadrut avevano ripetutamente affermato che non si poteva più rinviare
il lancio di una nuova pubblicazione.
I leader di Hashomer Hatzair incalzarono il MAPAI sulla questione: "Non capisco perchè
l'Histadrut non possa pubblicare un giornale in lingua araba", chiese Yakov Hazan a una riunione
dell'esecutivo dell'Histadrut nell'autunno 1936. "Non posso credere che tra i 10.000 membri del MAPAI
non vi siano tre redattori per un giornale in arabo". Eliyahu Golomb rispose ammettendo che il redattore
indicato dal partito, Michael Assaf, non era in grado di scrivere un articolo in arabo; infatti, aggiunse,
"non vi sono tra noi dieci compagni che conoscano l'arabo"116. La scelta del MAPAI di un redattore
come Assaf indica la scarsa priorità che il partito dava a questo progetto. Nato nella città polacca di Lodz
nel 1906, Assaf emigrò in Palestina nei primi anni '20 e presto ottenne un posto di secondo piano nella
direzione di Ahdut Haavoda. Tuttavia si dimostrò non interessato o non in grado di contribuire al
radicamento del partito, e dalla metà degli anni '20 era stato dirottato al lavoro culturale, diventando
giornalista del quotidiano dell'Histadrut Davar, fondato nel 1925. Nonostante la sua scarsa conoscenza
dell'arabo, all'inizio degli anni '30 Assaf aveva acquisito la fama di massimo esperto di questioni arabe nel
MAPAI117. Non trovando di meglio, i leader del MAPAI incaricarono Assaf di dirigere il nuovo
settimanale in arabo e gli affiancarono Eliyahu Agassi, che conosceva bene la lingua. Ciò lasciò il
dipartimento arabo dell'Histadrut senza un funzionario a tempo pieno a Tel Aviv e l'inesperto Alafiya da
solo ad Haifa, ma finalmente il progetto del giornale fu avviato.
Il primo numero di Haqiqat al-Amr (Il nocciolo della questione) fu pubblicato nel marzo del 1937.
Benchè il periodico venisse ufficialmente indicato come organo della PLL, i temi trattati andavano oltre,

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Central Zionist Archives
114
Filastin, 17 gennaio 1937
115
George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937
116
Esecutivo dell’Histadrut, minute e corrispondenze
117
Yonathan Shapiro, The formative years of the Israeli Labour Party: the organization of power, 1919-1930, 1976
93
in linea con l'intento dichiarato di combattere la propaganda anti-sionista. Haqiqat al-Amr conteneva
numerosi articoli di discussione sul sionismo (in particolare il sionismo laburista) e che provavano a
dimostrare che il progetto sionista avvantaggiava gli arabi di Palestina piuttosto che danneggiarli. Il primo
numero iniziava con un'affermazione (in un arabo piuttosto forbito) che in un modo o nell'altro sarebbe
stata ripetuta quasi settimanalmente:

A ogni persona intelligente non deve sfuggire la dedizione del popolo ebraico alla sua patria unica
ed eterna, le cui virtù si sono perdute nei secoli. Perciò gli ebrei hanno intrapreso grandiosi progetti
di civilizzazione in Palestina, che hanno migliorato tutto il paese e la situazione di tutti i suoi
abitanti...Il movimento operaio ebraico organizzato nell'Histadrut - l'ossatura del movimento sionista
- è stato e sarà sempre all'avanguardia di coloro che si impegnano per lo sviluppo della pace e del
progresso del paese, per il bene del popolo ebraico e il bene degli arabi che vi abitano. Questo è il
nocciolo della questione118.

Questa rappresentazione della Palestina come il paese del “popolo ebraico” e degli “arabi che vi
abitano” non era una sconfessione della posizione sionista laburista elaborata nei precedenti 15 anni, ma
solo un suo perfezionamento. I leader del MAPAI continuavano a credere in una sorta di diritto superiore
degli ebrei sulla Palestina, come si evince dalla frase sul “popolo ebraico” di cui la Palestina era “patria
unica ed eterna”, mentre agli arabi capitava semplicemente di “abitarvi”. L’insediamento e lo sviluppo
sionista in Palestina avevano rafforzato le pretese sul territorio. Questa formulazione corrispondeva alla
concezione sionista laburista degli arabi di Palestina non come una nazione distinta con i suoi propri
diritti, ma piuttosto come membri di una più ampia popolazione, quella araba, una parte della quale si
ritrovava a vivere in Palestina ma che poteva (e forse doveva) raggiungere la sua autodeterminazione
nazionale altrove, poiché in quel paese doveva realizzarsi la sovranità ebraica119.
Durante il periodo 1936 – 39, la forza e popolarità della rivolta araba indusse alcuni leader del
MAPAI a riconoscere (per lo più in riunioni di partito a porte chiuse) che gli arabi di Palestina avevano
rivendicazioni comprensibili, uno spirito nazionale autentico e legittimi diritti nel paese. Nel febbraio
1937, per esempio, Ben-Gurion dichiarò che “Il diritto che gli arabi di Palestina hanno è il diritto che gli
abitanti di un qualunque paese posseggono…perché vivono qui, e non perché sono arabi…gli abitanti
arabi della Palestina dovrebbero usufruire di tutti i diritti politici e di cittadinanza, non solo come
individui ma come comunità nazionale, proprio come gli ebrei”120. Anche questa formulazione era vaga e
ambigua: i diritti della maggioranza araba in Palestina erano ancora percepiti come di grado non pari a
quelli degli ebrei, e certamente non includevano il diritto all’autodeterminazione, mentre non erano
possibili compromessi sulla questione chiave dell’immigrazione ebraica.
In ogni caso tali affermazioni non rappresentavano una revisione degli obiettivi del sionismo;
piuttosto esse erano sintomo del pragmatismo di Ben-Gurion, della sua capacità di adattarsi alle
circostanze. Quando la commissione Peel nel luglio 1937 indicò che la Palestina fosse divisa in un
piccolo stato ebraico, uno stato arabo che comprendesse anche la Transgiordania e un’enclave controllata
dagli inglesi con Gerusalemme, Betlemme e un corridoio fino al mare, Ben-Gurion (insieme a Chaim
Weizmann, presidente dell’Organizzazione Sionista Mondiale) riuscì a convincere il movimento sionista
ad astenersi dal rifiutare il principio della partizione. Ciò non era in funzione dei diritti degli arabi, ma
perché Ben-Gurion riteneva che anche un piccolo stato ebraico in Palestina potesse rappresentare un
rifugio per gli ebrei europei, e che nuove circostanze ne avrebbero permesso in futuro l’espansione. In
cuor suo Ben-Gurion continuò a ipotizzare uno stato ebraico in tutta la Palestina, e a ritenere il
“trasferimento” degli arabi che vivevano in quel territorio come del tutto legittimo. Anche Weizmann
vedeva la partizione come una soluzione temporanea, della durata più o meno una generazione; alla fine,
secondo lui, lo stato ebraico avrebbe compreso tutta la Palestina121.

118
Haqiqat al-Amr, 24 marzo 1937
119
Ben Gurion espresse concisamente questa idea in una sua affermazione nell’ottobre 1936: “Non c’è alcun conflitto tra un
nazionalismo ebraico e un nazionalismo palestinese poiché la nazione ebraica non è in Palestina e i palestinesi non sono una
nazione”. In Simha Kaplan, Zionism and the Palestinians, 1979
120
Shabtai Teveth, Ben Gurion: The Burning Ground, 1886-1948, 1988
121
ibidem
94
Fu l’interpetazione più mite e flessibile dei diritti degli arabi da parte del sionismo laburista che
venne presentata al pubblico arabo attraverso le pagine di Haqiqat al-Amr. Il settimanale dedicava inoltre
ampio spazio a denunciare la rivolta araba, a condannare le affermazioni anti-sioniste della stampa araba
e a dimostrare la forza e continuità della presenza ebraica in Palestina. I leader nazionalisti arabi erano
messi sotto accusa in quanto manipolatori del proletariato arabo per scopi politici. Nello stesso tempo
Haqiqat al-Amr conteneva notizie internazionali, in particolare sul mondo ebraico e operaio, resoconti
delle attività della PLL e dell’Histadrut e traduzioni di opere letterarie. Queste ultime includevano
racconti dello scrittore ebreo (ed ex dipendente dell’Histadrut) Yehuda Burla, e scritti di Maxim Gorkij e
di altri autori europei. Nel 1940 Haqiqat al-Amr iniziò a tenere corsi di ebraico per i suoi lettori. I numeri
del periodico, circa 2.000, erano distribuiti quasi tutti gratuitamente attraverso vari canali: le istituzioni
ebraiche, che li consegnavano agli arabi con cui erano in contatto, la posta e la rete di contatti personali
che Agassi e i suoi collaboratori avevano sviluppato nel corso degli anni.
E’ difficile stabilire quale influenza Haqiqat al-Amr abbia avuto sull’uditorio a cui era destinato, ma
probabilmente essa fu minima. Esso raggiunse un numero relativamente ristretto di arabi e non potè
competere con la stampa araba, specialmente durante il periodo della rivolta. Ciononostante, con il
sostegno dell’Agenzia Ebraica e altre istituzioni dell’Yishuv, l’Histadrut continuò a pubblicare e
distribuire Haqiqat al-Amr fino al 1948 e anche dopo; il periodico continuò a uscire fino al 1960, quando
infine ne vennero cessate le pubblicazioni.

LA SOPPRESSIONE DELLA RIVOLTA


All’inizio del 1937 Ben-Gurion dichiarò al consiglio dell’Histadrut di essersi sbagliato quando, al
congresso di Ahdut Haavoda a Ein Harod 13 anni prima, aveva affermato che il sionismo non avrebbe
mai potuto scendere a patti con gli effendi, ma solo con la masse operaie arabe. “Ora - disse - dobbiamo
rivolgerci a tutto il popolo arabo…con contatti e negoziati con i suoi rappresentanti, chiunque essi
siano”. La nuova posizione di Ben-Gurion sottolineava implicitamente la scarsa priorità data dalla
leadership del MAPAI ai tentativi di organizzare i lavoratori arabi. Quei tentativi sarebbero proseguiti, ma
in maniera ridotta.
Tuttavia, nonostante la mancanza di entusiasmo del MAPAI per il lavoro della PLL, un minimo
investimento consentì ai pochi membri del dipartimento arabo di mantenere una sporadica attività rivolta
ai lavoratori. Durante l’anno di relativa calma tra l’ottobre 1936, quando finì lo sciopero generale, e
l’ottobre 1937, quando la rivolta riesplose e gli inglesi reagirono con una pesante repressione, vennero
presi dei contatti con i facchini della dogana di Jaffa. La PLL li sostenne con del denaro e li aiutò a
formulare ed esprimere le loro rivendicazioni nei confronti dei funzionari inglesi. Come sempre,
l’organizzazione dei lavoratori arabi aveva un motivo particolare: in una delle sue numerose lettere
all’Agenzia Ebraica per chiedere fondi per il dipartimento arabo dell’Histadrut, Agassi sottolineava che
“Dal nostro punto di vista vediamo nell’aiuto ai facchini della dogana di Jaffa una facile e irripetitibile
opportunità di indebolire la posizione del loro intermediario Salim al-Khuri, al quale a dispetto dei vostri
e nostri sforzi non siamo mai riusciti a far accettare di estendere il lavoro ebraico quanto noi vogliamo”.
Con il sostegno della PLL i facchini scesero in sciopero, ma furono sconfitti e la loro nascente
organizzazione venne distrutta122.
In netto contrasto con il 1934-36, quando la AWS e la stampa araba avevano combattuto
vigorosamente la PLL a Jaffa, i suoi rapporti più o meno ufficiali con i facchini nel 1937 non provocarono
reazioni. La mancanza di risposta da parte del movimento operaio arabo era un sintomo dalla virtuale
paralisi in cui esso era caduto. Dopo l’assassinio di Michael Mitri alla fine del 1936, fazioni rivali si
contesero il controllo dell’AWS, provocando il suo disfacimento. La piccola Unione dei Lavoratori dei
Trasporti, diretta dai comunisti, cessò la sua attività, e anche la PAWS in Haifa era pressoché immobile.
La forte disoccupazione certamente contribuì alla debolezza del movimento operaio, ma altrettanto fece la
repressione: molti dei principali leader e attivisti furono imprigionati e gli inglesi intervenirono
violentemente contro tutte le manifestazioni legate al movimento nazionalista. Per esempio Sami Taha,
che pochi anni prima era emerso come dirigente di punta della PAWS, fu detenuto senza processo per sei
mesi durante il 1937, sotto le leggi emergenziali che gli inglesi promulgarono per soffocare la rivolta, con
l’accusa di “presunto possesso di attrezzatura per la costruzione di mine”. Molti professori e intellettuali

122
Central Zionist Archives
95
che avevano legami coi sindacati erano stati coinvolti nella rivolta durante il 1936 e 1937, e quando la
lotta armata riprese alla fine del 1937 molti di loro vennero arrestati o costretti all’esilio.
Il Partito Comunista Palestinese (PCP), che aveva sperato di sostenere e guidare il movimento
operaio arabo, fu a sua volta diviso in conseguenza della rivolta. Alcuni dei suoi dirigenti e attivisti arabi
presero parte attiva nella lotta armata, mentre diversi membri ebrei abbandonarono il partito e molti di
quelli che rimasero si organizzarono in una “sezione ebraica” largamente autonoma che si distanziò
sempre più dalla leadership araba e si mostrò ansiosa di colmare l’isolamento dall’Yishuv assumendo una
posizione meno marcatamente anti-sionista. Alla fine della rivolta le componenti araba ed ebraica del
PCP risultarono profondamente distanti, andando incontro a una serie di divisioni e infine al collasso del
PCP come partito arabo-ebraico.
Per un breve periodo, dunque, gli ostacoli ai quali la PLL si era trovata di fronte nel 1935 furono
assenti. Ma le sue risorse limitate, e soprattutto l’esplosione della rivolta in una forma molto più violenta
durante il 1938, impedirono nuovi progressi. Nell’estate del 1938 gruppi di guerriglieri controllavano
vasti pezzi di campagna e molte città in tutto il territorio palestinese; come puntualizzò un funzionario
inglese, nel settembre del 1938 “la situazione era tale per cui l’attività amministrativa nel paese, da tutti i
punti di vista, era inesistente”123. Il governo inglese, preoccupato per la crisi dei Sudeti, non se la sentiva
di rafforzare massicciamente la sua presenza in Palestina mentre incombeva una guerra europea.
A Nesher, dove sia ai lavoratori arabi che a quelli ebrei erano imposte la riduzione di orario e
frequenti periodi di “ferie” a causa della crisi economica, i gruppi armati presenti nella zona facevano
sentire sempre più la loro presenza. Uno dei membri del comitato della PLL fu preso prigioniero e
detenuto per due settimane dalla guerriglia come monito per i lavoratori. La mossa ebbe successo: i
lavoratori chiesero alla direzione di dire ad Alafiya di non recarsi più laggiù. I lavoratori di altri siti
sospettati di collaborazione con l’Histadrut furono intimoriti e in qualche caso uccisi; tra di loro vi fu il
principale contatto della PLL nel villaggio di Wadi ‘Ara, giustiziato dalla guerriglia in quanto sospetto
informatore della polizia124. Durante il 1937 e all’inizio del 1938 i lavoratori arabi si recavano ancora alla
sede della PLL di Haifa per cercare lavoro, ma nell’autunno di quell’anno vi fu uno stop completo; come
sottolineò Agassi, “in questa situazione di terrorismo politico, declino economico e depressione morale
non c’è nulla di più arduo di una qualche possibilità di azione da parte della PLL”125.
L’accordo che le potenze europee raggiunsero a Monaco nel 1938 permise al governo britannico
di inviare un gran numero di militari in Palestina per schiacciare la rivolta araba; alla fine le forze inglesi
avrebbero soverchiato i ribelli nella proporzione di dieci a uno 126. La repressione di massa, incluse le
punizioni collettive e i bombardamenti aerei e di artiglieria sui villaggi ribelli, permisero la graduale
restaurazione del controllo inglese. Anche i dissensi e le divisioni nella comunità arabo-palestinese
indebolirono la rivolta. Le bande ribelli raramente riuscivano a coordinare le loro azioni, la maggioranza
della leadership nazionalista dall’autunno 1938 finì in carcere o in esilio, e crescenti settori di
popolazione si allontanarono sempre più dalla rivolta. Per di più i Nashashibi e alcuni dei loro alleati si
schierarono apertamente contro la rivolta e con l’aiuto britannico organizzarono le “Bande della Pace”,
che attaccavano i ribelli e i villaggi che li supportavano. Come i ribelli furono ricacciati indietro, iniziò
una serie di uccisioni da una parte e dall’altra, come regolamento di vecchi e nuovi conti. Tra coloro che
furono assassinati vi fu Hasan Sidqi al-Dajani, un leader dei Nashashibi, che fu ucciso a colpi di pistola a
Ramallah nell’ottobre 1938. Fakhri al-Nashashibi, che aveva fondato l’AWS a Gerusalemme nel 1934, fu
poi assassinato a Baghdad nel 1941.
Nella primavera del 1939 la rivolta stava per finire. Avendo avuto il sopravvento militarmente, gli
inglesi appoggiarono un'altra sessione di negoziati arabo-ebraici. Quando questi fallirono, il governo
britannico varò una nuovo documento politico per la Palestina, il Libro Bianco del maggio 1939. Il Libro
Bianco andava parzialmente incontro ad alcune richieste degli arabi annunciando la nascita di uno stato
palestinese indipendente entro dieci anni, limiti all’acquisizione di nuova terra ebraica e un tetto di 75.000
nuovi immigrati ebrei nell’arco dei cinque anni seguenti, dopodiché un ulteriore afflusso sarebbe stato
subordinato all’approvazione degli arabi. Con la guerra europea alle porte, i funzionari britannici

123
Yehoshua Porath, The Palestinian Arab National Movement, from Riots to Rebellion, 1977
124
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125
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126
Ann Mosely Lesch, Arab politics in Palestine, 1917-1939, 1979
96
speravano con il Libro Bianco di conciliarsi l’opinione pubblica araba e di assicurarsi l’appoggio bellico
degli arabi di Palestina e dei paesi circostanti.
Il movimento sionista accusò il Libro Bianco in quanto ripudiava l’impegno britannico,
rappresentato dalla Dichiarazione Balfour del 1917 e dallo stesso Mandato, a istituire una “casa
nazionale” ebraica in Palestina. La sua promulgazione di fatto rappresentò la fine dell’alleanza tra
l’Inghilterra e il movimento sionista. Quell’alleanza aveva fornito al movimento sionista il tempo, la
protezione e il sostegno necessari a creare la base demografica, economica, militare e politica per un
Yishuv forte e autosufficiente, nonostante la crescente resistenza da parte della maggioranza arabo-
palestinese. Come risultato, nel 1939 l’Yishuv era vicino a essere autonomo dal sostegno britannico,
mentre il movimento nazionalista arabo-palestinese aveva patito una cocente sconfitta, lasciando la
comunità araba demoralizzata, disorganizzata e senza una guida effettiva.
I leader sionisti, indignati, inizialmente chiamarono alla resistenza e alla lotta contro i
provvedimenti contenuti nel Libro Bianco. Ma pochi mesi dopo scoppiò la guerra in Europa, e l’Yishuv e
il movimento sionista misero da parte l’opposizione al Libro Bianco e si allearono con gli inglesi per
combattere la Germania nazista. Il confronto con l’alleato e protettore del passato, l’Inghilterra, venne
rinviato alla fine della guerra, quando l’Yishuv e il movimento sionista sarebbero stati in grado non solo
di ostacolare i provvedimenti del Libro Bianco ma anche di arrivare ad acquisire uno stato ebraico in
Palestina.

IDEOLOGIA DELLA FRATELLANZA E REALTA’ DELLA SEGREGAZIONE


Moshe Shamir, il noto romanziere israeliano che da giovane fu militante di Hashomer Hatzair ma
dopo il 1967 si spostò verso l’ala destra dello scenario politico israeliano, negli anni ’30 andò a scuola a
Mishmar Haemek, uno dei kibbutz del movimento nella valle di Jezreel. Nel suo libro La mia vita con
Ismaele Shamir descrisse così la distanza tra retorica e realtà:

Nella sala da pranzo i dirigenti parlavano di “fratellanza tra i popoli”. Nessuno di loro sapeva una
parola di arabo, e agli arabi non parlavano come un uomo parla ai suoi amici. Non avevano amici nei
villaggi circostanti, e non fecero mai neppure una semplice visita ai loro vicini. In quella eccellente e
moderna scuola – per lungo tempo forse la più avanzata del paese – l’arabo non lo si studiava…Così
abbiamo semplicemente vissuto con le nostre belle teorie da un lato e con la cruda realtà
dall’altro…Ci organizzavamo dietro la recinzione, ci preparavamo all’autodifesa, parlavamo di
fratellanza tra i popoli e di questa fratellanza non abbiamo mai messo in pratica un singolo atto127.

Questo senza dubbio è un giudizio duro, ma in gran parte veritiero. Infatti è lecito supporre che
per Hashomer Hatzair e per il sionismo laburista in generale il raggiungimento dei propri scopi
richiedesse un sostanziale divario tra l’ideologia e la realtà, tra intenzioni soggettive e conseguenze
pratiche.
La rivolta araba del 1936 – 39 portò a una crescente segregazione sociale e lavorativa tra arabi ed
ebrei; gli ebrei si spostarono dai quartieri arabi verso “zone ebraiche” più sicure. Arabi ed ebrei inoltre
iniziarono a frequentare con meno assiduità gli stessi spazi per gli affari, gli acquisti o il semplice svago,
e l’odio reciproco e la paura di attacchi contro i civili scomparvero a fatica. Sarebbero stati gli sviluppi
legati alla guerra a generare dinamiche nuove di controtendenza, e a permettere nuove forme di
interazione tra lavoratori arabi ed ebrei.

127
Tzvi Lavi, tesi di laurea non pubblicata, Università di Tel Aviv 1980
97
7

MOVIMENTO OPERAIO E SINISTRA


NEGLI ANNI DELLA GUERRA MONDIALE
(1939 – 45)

1944 - unità ebraica inquadrata nell’esercito inglese nel campo di Sarafand, presso Ramle

La promulgazione del Libro Bianco nel maggio 1939, la fine della rivolta araba un mese dopo e lo
scoppio della Seconda guerra mondiale nel settembre, crearono le condizioni per l’inizio di un nuovo
periodo nella storia della Palestina mandataria. La rovente atmosfera generata dalla guerra produsse un
rapido cambiamento sociale, economico e politico, influenzando profondamente le relazioni tra lavoratori
arabi ed ebrei.

GLI ANNI DELLA GUERRA: MUTAMENTO ECONOMICO E POLITICO


La guerra condizionò l’economia palestinese in diversi modi. Nei primi mesi, la chiusura delle
rotte navali mediterranee diede un duro colpo alle esportazioni degli agrumi. L’edilizia civile, un settore
molto importante dell’Yishuv, fu a sua volta danneggiata sia per la fine dell’immigrazione ebraica che per
la difficoltà nell’importazione dei materiali, che venivano poi dirottati a impieghi militari. Durante il 1940
la disoccupazione fu elevata sia per gli ebrei che per gli arabi. Con il protrarsi della guerra, tuttavia, il
declino delle importazioni creò nuove opportunità per la manifattura locale. E ancora più importante, la
Palestina divenne un punto d’appoggio per gli inglesi e le altre forze alleate, il che stimolò enormemente
la domanda di beni e prodotti agricoli. Per soddisfare questa domanda, le autorità inglesi incentivarono
l’industria locale in Palestina e nei paesi circostanti, aprendo nell’aprile 1941 il Middle East Supply
Center al Cairo.
Alcuni dati possono chiarire l’andamento del boom economico bellico. Tra il 1940 e il 1946 circa
12 milioni di sterline furono investite in imprese industriali di proprietà ebraica in Palestina, circa il
doppio rispetto a tutti gli anni ’30. Le spese di inglesi e alleati in abiti, cibo, munizioni, costruzioni e
servizi di manutenzione e riparazione ammontarono a 1 milione di sterline nel 1940; l’anno seguente
98
erano quadruplicate, quello dopo più che raddoppiate ancora, e nel 1943 raggiunsero i 12 milioni. Gli
ordini militari nel 1942 equivalevano all’intera produzione palestinese del 1939. L’export industriale salì
da 470.000 sterline nel 1940 a 11 milioni nel 1945.
Come conseguenza decine di migliaia di arabi ed ebrei trovarono lavoro in fabbriche e manifatture
vecchie e nuove, e nelle basi e installazioni militari inglesi e alleate che sorsero ovunque nel paese.
Dall’ampia disoccupazione che aveva afflitto il settore arabo negli anni ’30 si passò alla carenza di forza
lavoro, nonostante i tentativi del governo di indirizzare l’occupazione nei settori chiave e il divieto per i
lavoratori dell’industria e delle ferrovie di cambiare impiego. L’occupazione nell’agricoltura, sia ebraica
che araba, durante gli anni della guerra diminuì in favore degli impieghi meglio pagati nell’industria e nei
servizi.
L’estensione e la velocità della proletarizzazione nella comunità araba furono particolarmente
accentuate. Nel 1944 pare che la forza lavoro salariata araba abbia superato i 100.000 addetti a tempo
pieno esclusa l’agricoltura – circa un terzo dell’intera popolazione araba maschile in età lavorativa 128. Più
di un terzo di costoro erano impiegati in basi e installazioni militari inglesi, a fianco di 15.000 lavoratori
ebrei, mentre altre migliaia svolgevano lavori a contratto sempre legati alla sfera militare. I campi militari
divennero nuovi spazi sociali dove un gran numero di arabi ed ebrei lavoravano fianco a fianco,
sviluppando nuove forme e dinamiche di relazione.
L’espansione economica bellica fu accompagnata da una crescita dell’inflazione, dopo un lungo
periodo di stabilità dei prezzi. Come conseguenza i salari reali calarono nettamente nella prima parte della
guerra. A questo i lavoratori arabi ed ebrei risposero con un rinnovato attivismo e organizzazione. Molte
delle lotte ebbero successo, e alla fine della guerra i salari reali in Palestina erano saliti notevolmente.
Gli anni della guerra videro anche importanti cambiamenti nell’arena politica, con la nascita di
nuove forze politiche sia tra gli arabi che tra gli ebrei. La sconfitta della rivolta araba aveva lasciato il
movimento nazionalista arabo in condizioni di debolezza e arretramento. I suoi dirigenti erano in esilio, e
molti attivisti erano morti o in prigione. Era chiaro che la fine della guerra avrebbe portato a una ripresa
della lotta per il futuro della Palestina, ma per ora la situazione nel campo nazionalista era quiescente. La
debolezza del controllo delle fazioni di potere sulla comunità araba e l’intensa proletarizzazione portarono
invece alla nascita di una nuova sinistra araba, rappresentata dalla National Liberation League (NLL), che
si sviluppò dalla scissione del Partito Comunista di Palestina nel 1943. Questa organizzazione, formata da
veterani comunisti arabi ma anche da membri di una nuova generazione di intellettuali e attivisti operai,
acquisì un forte radicamento nel movimento sindacale arabo in espansione. Come vedremo, la NLL
sosteneva l’unità arabo-ebraica, nell’interesse di classe ma anche come strumento per una soluzione
“democratica” del problema palestinese.
Gli anni della guerra portarono a importanti cambiamenti anche nella politica del movimento
sionista e dell’Yishuv. L’opposizione sionista al Libro Bianco fu largamente sospesa e l’Yishuv si
mobilitò a sostegno dello sforzo bellico alleato, benché i tentativi di introdurre immigrati ebrei in
Palestina continuassero nonostante i divieti inglesi, così come continuava l’acquisizione delle terre. Gli
anni della guerra videro il consolidamento delle conquiste fatte dall’Yishuv negli anni ’30, che gli
consentirono per la prima volta di raggiungere il peso demografico, la capacità militare, lo sviluppo
sociale e l’unità economica e politica necessarie per gettare le basi di uno stato. Questo stato di cose fu
riconosciuto in occasione di una conferenza sionista internazionale svoltasi a New York nel 1942 (nota
come “Biltmore Conference”, dal nome dell’hotel che la ospitò), che approvò un programma presentato
da Ben-Gurion nel quale si dichiarava espressamente, per la prima volta, che l’obiettivo del sionismo era
la costituzione di un “commonwealth” ebraico su tutta la Palestina.
Benchè la richiesta di uno stato trovasse maggiore sostegno nel movimento sionista e nell’Yishuv,
essa ebbe degli oppositori. Nel 1939 un gruppo di intellettuali e professionisti liberali, insieme ad attivisti
di Poalei Zion Smol, avevano formato la Lega per la Riconciliazione e Cooperazione Arabo-Ebraica, alla
ricerca di un compromesso politico tra le fazioni. Nel 1942 Hashomer Hatzair aderì formalmente alla
Lega, portando il peso della propria federazione Hakibbutz Haartzi (che riuniva più di 40 kibbutz in varie
fasi di sviluppo con più di 7500 membri), e del proprio partito urbano, la Socialist League. Al quinto
congresso dell’Histadrut, svoltosi nell’aprile 1942, Hashomer Hatzair e la Socialist League insieme
presero il 19% dei voti su una piattaforma che sosteneva l’attivismo operaio, l’opposizione di massa non

128
Rachelle Taqqu, Arab Labor in Mandatory Palestine, 1920-1948, 1977
99
violenta al Libro Bianco del 1939, e un compromesso arabo-ebraico. Durante gli anni della guerra e fino
alla fine del 1947 Hashomer Hatzair fu fermamente contraria allo stato ebraico e a ogni forma di
partizione, sostenendo invece la costituzione in Palestina di uno stato binazionale in cui arabi ed ebrei
avrebbero avuto pari diritti politici indipendentemente dalla consistenza numerica delle due comunità.
Questa era una posizione molto minoritaria nell’Yishuv ma, come ha sottolineato Joel Beinin, all’epoca
era perfettamente legittimata nel dibattito politico129.
Il cambiamento politico nell’Yishuv fu anche facilitato dalle lotte di fazione all’interno del
MAPAI, che culminarono con una brusca scissione nel 1944 e il distacco dell’ala sinistra, che si costituì
come partito autonomo riprendendo la sigla Ahdut Haavoda (Unità del Lavoro), lo stesso nome posseduto
dal partito fondatore del MAPAI 14 anni prima. Sebbene il MAPAI restasse il primo partito, la scissione
lo indebolì e le altre forze poterono rivendicare maggiore spazio. Del clima politico generato dalla guerra
si giovarono anche i comunisti. Le organizzazioni comuniste ebraiche scaturite dalla scissione nel Partito
Comunista di Palestina erano molto deboli, ma i loro tentativi di trovare un terreno comune col sionismo
procurarono loro un crescente credito nell’Yishuv, così come il riferimento all’Unione Sovietica la cui
Armata Rossa acquistò grande prestigio tra gli ebrei in Palestina, resistendo all’assalto nazista e guidando
la distruzione della macchina bellica tedesca con l’avanzata verso Berlino.

I FERROVIERI: DALL’ALIENAZIONE ALLA LOTTA COMUNE


Fu in questo contesto di rapido cambiamento economico, sociale e politico che le relazioni tra
lavoratori arabi ed ebrei si intensificarono durante gli anni della guerra. Nel gennaio 1940 i proprietari di
agrumeti nell’area di Petah Tikva si riunirono per formare una delegazione congiunta che presentasse le
loro richieste al governo. Nel prosieguo dell’anno proprietari di case arabi ed ebrei, commercianti e altri
iniziarono a collaborare per i loro interessi economici in una maniera che poco tempo prima non sarebbe
stata possibile. Anche i ferrovieri arabi ed ebrei furono tra i primi gruppi a riprendere i contatti dopo la
rivolta.
Oltre all’aumento dei salari, i ferrovieri volevano anche la fine dell’orario ridotto in vigore durante
gli anni della rivolta, e la messa in atto delle promesse fatto dal governo nel 1935 e mai mantenute.
All’inizio del 1940 l’Unione Internazionale dei Lavoratori di Ferrovie, Poste e Telegrafi (IU), ora
costituita da soli ebrei, aveva ripreso i contatti con alcuni ferrovieri veterani arabi, specialmente ad Haifa.
Quando l’Unione Araba dei Ferrovieri (AURW), che durante la rivolta aveva pressoché cessato l’attività,
iniziò a reclutare nuovi iscritti, vi furono diversi colloqui informali tra membri di entrambe le
organizzazioni ad Haifa, Lydda e altrove. Come negli anni passati, l’AURW chiese che ogni delegazione
congiunta fosse costituita non su una base di parità – come chiedeva l’IU - ma in proporzione al numero
di ferrovieri arabi ed ebrei. Su pressione di chi non voleva pregiudicare la cooperazione con l’IU, alla fine
l’AURW rinunciò alla sua richiesta, e in agosto una delegazione congiunta incontrò il direttore generale
delle ferrovie per la prima volta dopo quattro anni130.
La mobilitazione dei lavoratori suscitata dalla guerra spinse ancora una volta i due sindacati ad
affrontare la questione delle relazioni reciproche. La leadership dell’IU sapeva che le condizioni dei
ferrovieri ebrei sarebbero migliorate solo attraverso la cooperazione con gli arabi, ma sapeva anche che
ciò avrebbe stimolato molti arabi ad aderire alla AURW. Da parte sua l’AURW, preoccupata dalle
critiche di marca nazionalista, di fatto collaborò con l’IU ma rifiutò sempre di ufficializzare legami
formali con il sindacato ebraico. La cooperazione avveniva di fatto a titolo individuale da parte dei suoi
attivisti, ma non come organizzazione131.
I due sindacati continuarono a cooperare su queste basi informali nel 1940 e nel 1941, incontrando
in delegazioni congiunte il management delle ferrovie. In questo periodo le Ferrovie Palestinesi si
espansero rapidamente per assistere le forze militari inglesi e alleate di stanza e di passaggio nel paese. Il
tonnellaggio totale passò da 858.995 nel 1940-41 a 2.194.848 nel 1943-44, e il numero di addetti arrivò
alla cifra record di 7.778 nel 1943132. Di conseguenza furono abolite le riduzioni di orario. Inoltre
aumentò la richiesta di lavoro qualificato, con conseguente diffusione dello straordinario (e aumento di
produttività), e migliaia di contadini arabi entrarono nella condizione di salariati come ferrovieri non
129
Joel Beinin, Was the Red Flag Flying There?, 1990
130
Histadrut Archives
131
ibidem
132
Palestine Railways, report of the General Manager for the Years 1942-43, 1943-44, 1944-45, 1945-46
100
qualificati. Ora dunque si poneva la questione dell’aumento dei salari, poiché l’indennità di contingenza
(Cost Of Living Allowance, COLA) garantita dal governo come supplemento al salario minimo dal 1941
non riusciva a far fronte all’aumento dei prezzi. La differenza tra i salari dei ferrovieri e quelli del settore
privato salì al 50% o più, una differenza che si fece ancor più gravosa in seguito a una legge marziale che
impediva ai ferrovieri di lasciare il lavoro in quanto essenziale agli scopi bellici.
Sotto la pressione della base, alla fine i leader dell’AURW nel gennaio 1942 decisero di
ufficializzare il legame con l’IU e condurre una campagna unitaria per le rivendicazioni dei ferrovieri. Fu
lanciata una petizione nazionale, e all’inizio del febbraio 1942 i due sindacati si riunirono in
un’assemblea generale nella sala riunioni della PAWS di Haifa. Questo evento ricordò agli osservatori la
grande giornata di solidarietà tra i ferrovieri del 1935133. Nei mesi che seguirono il malcontento operaio
aumentò per la carenza dei beni di prima necessità: dall’agosto 1942 la farina fu quasi introvabile in
alcune zone urbane e il pane scarseggiava, tanto da arrivare a costare quasi la metà della paga di un
ferroviere. Negli incontri con il management delle ferrovie i sindacalisti chiesero razioni regolari di
farina, riso, zucchero, burro chiarificato e altri beni di base, e anche che il governo creasse per loro una
cooperativa di consumatori per ridurre i prezzi. Le Ferrovie Palestinesi, preoccupate per l’efficienza del
personale e dunque delle ferrovie, effettivamente fecero sì che i beni primari arrivassero a prezzi adeguati.
Ma le trattative sul salario e sul COLA non diedero risultato, finchè il malcontento degli operai non sfociò
in uno sciopero di tre giorni di tutte le officine di Haifa nel dicembre 1942, nonostante fosse in vigore il
divieto di sciopero nei settori vitali dell’industria.
Inizialmente le Ferrovie Palestinesi rifiutarono di rispondere alle richieste dei lavoratori, ma pochi
giorni dopo il direttore generale, A.H. Kirby, fece alcune importanti concessioni, incluso un aumento
annuale del salario per tutti i lavoratori, scatti di anzianità e il pagamento degli straordinari. Kirby era
stato egli stesso ferroviere e sindacalista in Inghilterra. Gli ebrei coi quali trattò lo vedevano come
abbastanza favorevole al sionismo, a differenza di molti altri funzionari inglesi. Kirby era dell’idea di
cambiare l’approccio del management verso i sindacati, e che i metodi repressivi che avevano
contraddistinto il management precedente fossero superati. Cercò quindi di istituire un “comitato
permanente dei dipendenti” con esponenti della direzione, dei lavoratori e del governo.
Passarono alcuni mesi prima che l’IU e l’AURW riuscissero a decidere chi dovesse rappresentare i
ferrovieri nel comitato. Ancora una volta un punto fondamentale era quello della parità. Alla fine ogni
sindacato mise un proprio esponente nel comitato, e la proposta di una delegazione congiunta di tutti i
ferrovieri non andò mai in porto.
Come vedremo, il malcontento dei ferrovieri e la loro disponibilità all’azione assunsero forme più
radicali nei mesi e anni successivi.

L’HISTADRUT, HASHOMER HATZAIR E L’ATTIVITA’ ARABA


Durante il primo anno di guerra i funzionari dell’Histadrut si resero conto che le tensioni
dell’epoca della rivolta erano molto diminuite e che si aprivano nuove possibilità per sviluppare relazioni
con i lavoratori arabi. Nel luglio 1940, ad esempio, Eliyahu Agassi visitò la città di Safad, in Galilea,
dove un gruppo di circa 50 operai arabi aveva contattato il consiglio operaio locale chiedendo aiuto per
organizzarsi. Agassi fu colpito dal cambiamento di atmosfera: sebbene gli arabi di Safad, scrisse, fossero
noti per essere altrettanto “fanatici” quanto quelli di Nablus, egli trovò arabi ed ebrei mescolati nelle
strade e nei caffè.
Tuttavia, fu presto chiaro ad Agassi e ai suoi colleghi che un aspetto fondamentale era rimasto lo
stesso: i lavoratori arabi si avvicinavano all’Histadrut e alla PLL per lo più per trovare lavoro. In questo
caso la Solel Boneh, la compagnia di costruzioni dell’Histadrut, aveva vinto un appalto per la costruzione
di una nuova stazione di polizia vicino a Safad, a condizione che fosse impiegata manodopera araba
indigena. Questa stazione era una delle numerose piazzeforti che il governo aveva costruito per tenere
sotto controllo il territorio palestinese durante e dopo la rivolta; esse erano soprannominate “Tegart”, da
sir Charles Tegart, l’esperto di controinsurrezione del governo loro ideatore. I lavoratori arabi che
avevano contattato l’Histadrut volevano che la Solel Boneh li assumesse al posto dei lavoratori già
impiegati dalla compagnia tramite gli intermediari arabi locali. Prudente come sempre, Agassi non era
convinto dell’opportunità che la PLL facesse da intermediaria per le aziende dell’Histadrut, soprattutto

133
Haqiqat al-Amr, 17 febbraio 1942
101
perché così facendo avrebbe potuto interferire con l’impiego di più lavoratori ebrei nel medesimo
progetto. Agassi temeva anche che se avesse aiutato un sindacato arabo questo sarebbe sfuggito al
controllo, chiedendo non solo più posti di lavoro ma anche paghe e orari uguali a quelli dei lavoratori
ebrei. Ciononostante, concluse, era importante accontentare i lavoratori arabi per ragioni politiche, per
dimostrare a loro i benefici derivanti dalle buone relazioni con gli ebrei134.
In ogni caso il dipartimento arabo dell’Histadrut non era pronto ad approfittare delle nuove
circostanze. I suoi fondi erano a secco, la PLL esisteva solo ad Haifa, ogni suo settore funzionava a fatica,
Haqiqat al-Amr dopo tre anni rimaneva un’operazione a metà. La morte di Dov Hoz in un incidente
stradale nell’estate 1940 inoltre privò dalla scena uno dei leader dell’Histadrut che prendeva più sul serio
l’attività araba.
Dal canto suo, Hashomer Hatzair (HH) aveva criticato per anni l’atteggiamento cauto e riluttante
dell’Histadrut verso l’attività araba. Ma a dispetto di queste critiche essa stessa negli anni ’30 non aveva
fatto molto. Hashomer Hatzair era preoccupata innanzitutto dell’insediamento e consolidamento dei suoi
kibbutz, e della cristallizzazione di un movimento consolidato e stabile, perciò le sue roboanti risoluzioni
sulla solidarietà arabo-ebraica restarono senza conseguenze pratiche. Solo una volta, all’avvicinarsi del
Primo Maggio, il segretario del dipartimento politico di HH preparò un opuscolo che esortava i lavoratori
arabi alla solidarietà con i loro compagni ebrei, lo fece tradurre in arabo e lo inviò nei kibbutz perché
fosse distribuito nei villaggi arabi vicini.
Alla fine degli anni ’30, comunque, era cresciuta nel movimento la volontà di muoversi
autonomamente su questo terreno. La rivolta non solo aveva reso evidente la profondità dell’opposizione
araba al sionismo, ma aveva anche reso plausibile lo spettro della partizione, cui HH era profondamente
contraria. Perciò, per “vendere” la sua alternativa binazionalista al movimento operaio ebraico, all’Yishuv
e al movimento sionista, HH aveva bisogno di dimostrare che questa aveva dei sostenitori tra gli arabi.
Nel 1940 la direzione di HH decise così di selezionare un gruppo di attivisti che formulassero e
implementassero un programma sistematico di attività araba. Il ruolo principale in tal senso fu affidato ad
Aharon Cohen, che lo svolse per tutti gli anni ’40. Cohen era nato in Bessarabia (prima parte dell’impero
zarista e poi della Romania) nel 1910; era giunto in Palestina nel 1929 già da militante di HH, unendosi al
kibbutz Shaar Haamakim, non lontano da Haifa. Quattro anni dopo il suo movimento lo inviò di nuovo in
Romania come emissario sionista. Dopo il suo ritorno fu eletto nell’esecutivo dell’Hakibbutz Haartzi (la
federazione dei kibbutz che facevano riferimento ad Hashomer Hatzair), e sarebbe rimasto in tale ente
fino al 1954. Nel 1936-37 coordinò il lavoro politico di HH ad Haifa, mentre continuava le missioni
all’estero per favorire l’immigrazione illegale in Palestina.
Con la sua tipica energia, Cohen gettò le basi del dipartimento arabo dell’Hakibbutz Haartzi, che
avrebbe guidato nel decennio successivo. Pur riconoscendo la crescente importanza dell’intellighenzia
urbana e della classe operaia, egli inizialmente proposte di concentrarsi sulla campagna, anche per non
scontrarsi direttamente con l’Histadrut. La sua concezione su come sviluppare i rapporti con gli arabi,
almeno sulla carta, era molto più sistematica e pratica di quella del MAPAI. Cohen insisteva che per
avere una relazione alla pari con gli arabi bisognava innanzitutto conoscerli a fondo. Egli dunque
prevedeva la costituzione di una sorta di banca dati dei villaggi arabi e della comunità araba, da
raccogliere attraverso inchieste sistematiche. Le ricerche compiute da Cohen e dai suoi colleghi durante e
dopo gli anni della guerra, e le relazioni da essi sviluppate, portarono alla pubblicazione di alcuni dei più
notevoli e relativamente oggettivi studi sugli arabi di Palestina prodotti dai sionisti fino ad allora135. Come
Cohen probabilmente sapeva, anche il servizio di intelligence dell’Haganah all’epoca era coinvolto in una
propria raccolta dati su ogni città e villaggio arabo in Palestina.
Cohen iniziò anche a educare i membri del suo movimento a proposito dell’importanza dei buoni
rapporti con gli arabi. In numerose conferenze esortava i membri dei kibbutz a familiarizzare con gli arabi
creando ad esempio degli ambulatori o dei club sportivi vicino ai loro villaggi. Egli spinse la direzione di
HH ad aderire formalmente alla Lega Arabo-Ebraica per la Riconciliazione e Cooperazione; quando
finalmente HH lo fece, nel giugno 1942, Cohen ne divenne uno degli attivisti più impegnati. Allo stesso
tempo egli e i suoi seguaci continuarono a insistere affinchè l’Histadrut attivasse la PLL, e più in generale
a cogliere le occasioni per la cooperazione arabo-ebraica, da essi ritenuta essenziale per la realizzazione

134
Histadrut Archives
135
Joel Beinin, Knowing Your Enemy, Knowing Your Ally: The Arabists of Hashomer Hatzair, 1991
102
del sionismo136. I leader del MAPAI, più concentrati che mai sulla questione dello stato ebraico e scettici
sulla possibilità di un compromesso con gli arabi, si opposero alle richieste di HH per quanto riguardava
la linea dell’Histadrut. In una lettera alla Lega Arabo-Ebraica Moshe Shertok, direttore del dipartimento
politico dell’Agenzia Ebraica, dichiarò:

Il periodo cruciale per il sionismo è il passaggio da una minoranza ebraica a una maggioranza
ebraica. In questo periodo gli arabi non saranno il fattore decisivo, bensì gli inglesi e gli americani.
Non saranno gli arabi ad avere l’ultima parola, né nel mondo né qui; non fateci credere che
dobbiamo andare dagli arabi e metterci d’accordo con loro137.

Eliyahu Sassoon, capo dell’ufficio arabo del medesimo dipartimento politico, espresse
chiaramente l’atteggiamento della dirigenza in una lettera ad Aharon Cohen, nella quale rispondeva con
sarcasmo a un articolo di quest’ultimo sull’opportunità e l’importanza di un compromesso con gli arabi:

Le sarei molto grato se fosse così gentile da spiegarmi, in una lettera privata e non sulle pagine dei
giornali, quali sono le nuove possibilità per un negoziato politico e quali sono i “solidi ambiti” (tra
gli arabi) pronti in questa fase a discutere di un accordo arabo-ebraico che ci permetta la
realizzazione dei sionismo138.

A dispetto del disinteresse dei vertici, comunque, il gruppo degli attivisti dell’Histadrut ancora
dedito al progetto di organizzare i lavoratori arabi si arrovellava disperatamente per far rinascere la PLL.

LA RIPRESA DEL MOVIMENTO OPERAIO ARABO


Due fattori alla fine indussero la leadership dell’Histadrut a impostare sul serio la questione
dell’attività araba alla fine del 1942 e a prendere una maggiore iniziativa nel 1943: da una lato il crescente
attivismo su questo terreno di Hashomer Hatzair, e dall’altro ancora più importante la ripresa, dopo anni
di quiescenza, di un movimento sindacale arabo, legato a nuovo peso assunto in quest’ambito dalla
sinistra.
Dopo una fase di avanzata nel 1934 – 36 il movimento sindacale arabo conobbe un periodo di
paralisi negli anni della rivolta. L’ampia disoccupazione indebolì l’organizzazione, le energie furono
volte alla lotta contro gli inglesi e il sionismo, e la repressione di massa, inclusa la carcerazione di molti
sindacalisti, rese l’attività legale pressoché impossibile. Ma durante il 1940 e il 1941 l’AURW aveva
gradualmente ripreso l’attività, e alla fine del 1941 la PAWS sua affiliata stava a sua volta allargandosi
come iscritti e come influenza. Il cuore della PAWS era ancora formato dai ferrovieri arabi di Haifa, e
alcuni dei suoi fondatori del 1925 erano ancora in auge: tra essi Abd al-Hamid Haymur, suo fratello Salim
Haymur e Said Qawwas. Tuttavia questi veterani preferivano restare dietro le quinte, mentre l’uomo più
noto al pubblico in questo periodo era Sami Taha. Nato nel 1915 nel villaggio di Arraba, Taha aveva
iniziato la sua carriera nel 1930 come giovane impiegato alla sede centrale della PAWS. Fu detenuto sei
mesi senza processo durante la rivolta araba. Nonostante non fosse ancora trentenne, Sami Taha divenne
ora il principale portavoce dell’organizzazione.
La PAWS comunque era un’organizzazione a maglie piuttosto larghe e l’autorità della direzione
nazionale era limitata ad Haifa e dintorni. Perciò fu possibile per gli attivisti della sinistra (inclusi alcuni
vecchi militanti del PCP) assumere la guida di molte delle nuove sezioni della PAWS che andavano
sviluppandosi nel 1942. Ad esempio la forte nuova organizzazione operaia di Jaffa formalmente era una
branca della PAWS ma di fatto era guidata da Khalil Shanir, dirigente di lunga data del PCP. Questi
attivisti consideravano Sami Taha e la vecchia guardia di Haifa come conservatori e inefficienti, ma
preferivano restare dentro la PAWS, la piu vecchia e radicata organizzazione operaia palestinese, nella
speranza di cambiarla.
Un opuscolo pubblicato durante questo periodo dalla sezione di Jaffa getta luce sulla condotta
degli attivisti della PAWS di quella città. L’opuscolo esorta i lavoratori arabi a unirsi in difesa dei propri
comuni interessi economici, espone i principi della PAWS, e spiega le agevolazioni rivolte nei confronti

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Simha Kaplan, Zionism and the Palestinians, 1979
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degli iscritti. L’opuscolo è privo di contenuti politici. Gli ebrei sono menzionati, non come un elemento
alieno avente lo scopo di occupare la Palestina o privare gli arabi del lavoro (temi popolari fino al 1936),
ma anzi come un modello da imitare. “Davanti a voi ci sono gli ebrei” diceva l’opuscolo.

Potete vedere che ciascuno di loro non lavora più di otto ore al giorno, guadagna un salario elevato,
più del lavoratore arabo, e ha l’assistenza medica gratuita per sé e per i familiari. Cosa li ha portati a
questa situazione? Pensate che il padrone ebreo sia più generoso del padrone arabo? No, fratelli! I
lavoratori ebrei sanno come difendere i propri diritti, hanno formato un sindacato e tutti si sono
iscritti, e questo li ha portati nella situazione che voi vedete139.

La PAWS e anche altri sindacati rivali beneficiarono di un atteggiamento favorevole come non
mai da parte del governo mandatario. Alla fine degli anni ’30 l’Ufficio Coloniale aveva iniziato a rivedere
la sua condotta tradizionalmente ostile nei confronti dei sindacati nelle colonie dell’impero britannico,
anche per non esacerbare la lotta delle classi operaie autoctone in senso nazionalista. L’ingresso del
Partito Laburista nel gabinetto di guerra diede ulteriore impulso a questa linea. Nel 1940 il governo
mandatario insediò il suo primo consulente del lavoro, R.M. Graves, fratello del poeta e romanziere
Robert Graves. Egli raccomandò l’istituzione di un dipartimento governativo del lavoro con compiti di
inchiesta, elaborazione di leggi, regolarizzazione dei sindacati. Molti funzionari inglesi, ebrei e arabi
andarono a comporre lo staff del dipartimento, e tra questi H.E. Chudleigh, veterano del movimento
sindacale inglese, che dedicò molto tempo ed energie nel 1942 – 43 a favorire e monitorare lo sviluppo di
sindacati arabi in ogni parte della Palestina. Alcuni osservatori, specialmente funzionari dell’Histadrut,
notarono che Chudleigh era particolarmente propenso a sostenere il lavoro dei comunisti. Ciò è plausibile,
poiché Chudleigh pensava che i comunisti fossero i migliori organizzatori e in parte perché i comunisti
arabi in Palestina nel 1942 – 43 davano un forte aiuto allo sforzo bellico alleato140.
Il sostegno del governo mandatario indubbiamente favorì la sindacalizzazione dei lavoratori arabi.
Ma l’impulso maggiore venne da una serie di militanti comunisti esperti e di intellettuali radicali che
contribuirono a creare una nuova sinistra militante nel movimento operaio arabo. Come abbiamo già detto
alcuni di essi lavoravano all’interno della PAWS, ma altri riuniti intorno alla figura di Bulus Farah
stavano organizzando, sempre ad Haifa, un’organizzazione operaia interamente indipendente.
Farah era andato a lavorare nelle officine ferroviarie di Haifa nel 1925, all’età di 15 anni.
All’inizio del 1930 si era unito al Partito Comunista di Palestina e nel 1934 il partito l’aveva inviato
all’Università dei Lavoratori d’Oriente di Mosca, dove venivano formati gli attivisti provenienti dalle
colonie. Rientrò in Palestina nel 1938 e presto divenne il riferimento di quanti erano in disaccordo con il
vecchio segretario del partito, Radwan al-Hilw, detto Musa.
Il conflitto tra Farah e Musa non era legato solamente alle diverse caratteristiche personali; vi
erano importanti differenze politiche. Farah era più favorevole al nazionalismo arabo di altri suoi
compagni, e giocò un ruolo nella lotta ingaggiata dalla leadership araba del partito per riprendere il
controllo sulla sezione autonoma ebraica formatasi durante la rivolta. Mentre alcuni dei componenti della
sezione ebraica alla fine obbedirono all’autorità del comitato centrale, altri lasciarono il PCP nel 1940 e
formarono un gruppo comunista separato ed esclusivamente ebraico chiamato Emet (Verità). Ma proprio
Farah lo stesso anno fu espulso dal comitato centrale del PCP, dopo che altri dirigenti lo avevano
accusato di avere passato informazioni alla polizia durante un breve periodo di detenzione. Farah accusò i
suoi nemici nel partito di averlo raggirato e di avere infangato il suo nome.
Farah era dunque ai margini del partito e in aperta rottura con la leadership, che egli riteneva non
solo inefficiente ma anche colpita dal deviazionismo sionista; tra le altre cose era anche indignato per la
riammissione dei dissidenti di Emet nel partito nel 1942. Farah si mise in proprio e nel 1941 – 42 creò un
largo seguito in Haifa. Il gruppo comprendeva sia membri del PCP che una cerchia di giovani educati alle
idee di sinistra, per lo più diplomati e ora impiegati. Egli e i suoi seguaci svilupparono anche stretti
legami con un ampio strato di sindacalisti scontenti per la scarsa aggressività della PAWS di fronte alle
condizioni favorevoli create dalla guerra. Nel 1942 il gruppo di Farah aprì una sede in Haifa con il nome
di “Raggi di speranza” (Shua al-Amal), con un indirizzo democratico e antifascista. La leadership del

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Rachelle Taqqu, Arab labor in mandatory Palestine, 1920-1948, 1977
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PCP replicò aprendo una “Casa del popolo” (Nadi al-Shab), ma sbagliò nel sottovalutare l’influenza del
gruppo dissidente di Farah.
Che queste organizzazioni potessero operare più o meno apertamente senza temere la repressione
poliziesca era dovuto al fatto che dopo l’invasione dell’URSS da parte della Germania nel giugno 1941 i
comunisti erano tra i principali sostenitori dello sforzo bellico alleato presso la comunità arabo-
palestinese. Gli inglesi sapevano che molti arabi palestinesi erano ambivalenti nei confronti della causa
alleata, o peggio si auguravano la vittoria dell’Asse, che avrebbe significato la fine del dominio britannico
e del progetto sionista. Alcuni dei leader del movimento nazionalista, come lo stesso Amin al-Husseini,
erano andati oltre abbracciando apertamente la causa dell’Asse dall’esilio. Dunque gli inglesi erano
disposti a tollerare e anche incoraggiare l’attività comunista, poiché una componente essenziale di tale
attività era la propaganda in favore degli alleati, che i comunisti consideravano come contributo alla
difesa dell’Unione Sovietica.
Nel novembre 1942 la coalizione di giovani intellettuali radicali e di attivisti operai organizzata
intorno al circolo “Raggi di speranza” costituì la Federazione dei Sindacati e delle Società Operaie Arabe
(FATULS). Questa nuova organizzazione presto ottenne l’adesione di sindacalisti attivi in tutte le
principali unità lavorative di Haifa, scontenti per il conservatorismo della PAWS, incluso l’Iraq
Petroleum Company, le raffinerie, la Shell, e in seguito i lavoratori del porto e dei campi militari. Alla
fine del 1942 secondo i dati del dipartimento del lavoro la FATULS contava 1000 – 1500 iscritti, mentre
quelli della PAWS in tutto il paese arrivavano a 5000, e gli aderenti paganti alla PLL erano stimati
generosamente in circa 500 unità141. La rivalità tra la PAWS e la FATULS, e poi tra queste e la PLL,
stimolò tutte queste organizzazioni a intensificare il loro lavoro sindacale. Bisogna tenere presente,
tuttavia, che molte sezioni della PAWS erano a guida comunista, cosicchè dal 1943 in poi una consistente
parte della classe operaia araba organizzata in Palestina era diretta da comunisti. Ma le relazioni tra le
varie organizzazioni erano caratterizzate da tensioni interne ed esterne, cui si aggiungevano gli attriti con
la sede nazionale della PAWS in Haifa, guidata dall’orientamento conservatore di Sami Taha.

HASHOMER HATZAIR VERSO LA SINISTRA ARABA


Aharon Cohen e i suoi compagni di Hashomer Hatzair colsero rapidamente il significato di questi
sviluppi. “Stiamo assistendo a importanti novità nel mondo arabo, che aprono nuovi orizzonti e
incoraggiano la nostra attività”, scrisse Eliezer Bauer nel luglio 1942. “Sta nascendo un movimento
operaio, dei sindacati, gruppi di intellettuali, ed essi si avvicinano l’un l’altro sempre più”142. La loro
frustrazione per lo scarso impegno dell’Histadrut sulla questione crebbe sempre più, e lo riportarono sulla
stampa del movimento e nei meeting dell’Histadrut. Ma questi sviluppi spinsero anche Cohen e i suoi a
modificare il proprio orientamento, lasciando da parte l’intervento nelle campagne per concentrarsi su
quelle che loro definivano le “forze progressiste arabe” nelle città. Essi speravano che sviluppando stretti
legami con queste forze Hashomer Hatzair avrebbe contrastato efficacemente sia il nazionalismo arabo
che il comunismo anti-sionista, puntando su una sinistra araba favorevole a una Palestina socialista e
binazionale.
Questo riorientamento indusse il dipartimento arabo di Hashomer Hatzair a devolvere tempo e
risorse per relazionarsi con la sinistra araba. Durante il 1942 esso prese contatti con la Casa del popolo del
PCP ad Haifa, e specialmente con Abdallah al-Bandaq. Non era un segreto per Cohen che al-Bandaq, che
veniva da un’eminente famiglia cristiana di Betlemme, avesse stretti legami con il PCP, ed egli sapeva
bene che al-Bandaq era anche membro della direzione clandestina del partito. Ciononostante lo presentò
alla sua area come il prototipo di una nuova sinistra araba non comunista con la quale il sionismo di
sinistra poteva trovare un terreno comune. Egli discusse anche con al-Bandaq l’idea di destinare fondi
forniti da Hashomer Hatzair per lanciare un nuovo giornale per condurre la propaganda antifascista nella
comunità araba e per promuovere la cooperazione con gli ebrei sulla base dell’uguaglianza politica.
In retrospettiva, le relazioni di Cohen con al-Bandaq sembrano piuttosto bizzarre, visto che
quest’ultimo nonostante lo negasse non solo era membro del PCP ma anche del comitato centrale, sin dal
1936. Nel 1944 egli sarebbe diventato membro del comitato centrale della neonata National Liberation
League, un’organizzazione dichiaratamente anti-sionista.

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Uno storico israeliano del movimento comunista in Palestina ha recentemente definito Cohen un
ingannatore che mentì ad al-Bandaq, e anche ai suoi stessi compagni143. Più ragionevolmente, si può
supporre che egli fosse talmente convinto della possibilità di conciliare la cooperazione arabo-ebraica e il
sionismo, da vedere in al-Bandaq un effettivo alleato. Sembra dunque che Cohen non si sia reso conto che
negli anni ’40 non vi erano forze significative nella sinistra araba pronte a compromessi col sionismo, di
qualunque genere. Riconoscere questo avrebbe significato riconoscere la futilità della sua visione della
Palestina e del lavoro al quale aveva dedicato anni e anni della sua vita.

LA RINASCITA DELLA PLL


Di fronte alla rapida espansione del movimento operaio arabo e all’intervento di Hashomer
Hatzair, la leadership dell’Histadrut finalmente iniziò a dedicare più attenzione e fondi al suo
dipartimento arabo e alla PLL. Una serie di dirigenti del MAPAI vennero assegnati al dipartimento arabo
dell’Histadrut, aggiungendosi ad Aharon Cohen di Hashomer Hatzair e a Moshe Erem di Poalei Zion
Smol, e il budget fu incrementato notevolmente. Ciò rese possibile per la prima volta assumere
organizzatori arabi ed ebrei in più, riattivare le sezioni chiuse e aprirne di nuove144.
L’idea dell’Histadrut di cosa si stesse facendo e perché fu esposta in un opuscolo sulla PLL
pubblicato nell’aprile 1943 e firmato da Abba Hushi145. Il pamphlet si apriva con una citazione attribuita a
“un vecchio lavoratore arabo” che rende molto bene il modo in cui il sionismo laburista riteneva di essere
visto dagli arabi: “Come il sole, senza che gli venga chiesto, sprigiona luce e calore, così l’Histadrut
sprigiona luce a calore per i lavoratori arabi per il solo fatto della sua esistenza”. L’opuscolo di Hushi
ripercorreva la storia dei tentativi dell’Histadrut di organizzare i lavoratori arabi e l’attività della PLL fino
ad allora, sottolineando che la PLL ad Haifa aveva contribuito a impedire ai “terroristi” arabi di bloccare
il porto durante la rivolta. Come altri membri del MAPAI, Hushi attribuiva i fallimenti dei decenni
precedenti alle difficoltà insite nell’organizzazione dei lavoratori arabi, che appartenevano a un “popolo
povero, largamente denutrito, semi-feudale, che vive in una parte del mondo dove il fatalismo è molto
radicato, un popolo soggetto a una tradizione religiosa patriarcale che dura pressoché ininterrottamente
da più di tredici secoli”. I sindacati arabi sorti durante la guerra secondo Hushi erano organizzati da “figli
di ricchi effendi, dal passato assai discutibile, e da comunisti che vi partecipano o apertamente o sotto
mentite spoglie” e senza avere veramente a cuore gli interessi dei lavoratori. L’opuscolo esortava
l’Histadrut a tornare a organizzare i lavoratori arabi in sindacati sotto sua tutela (come la PLL) per
facilitare la realizzazione del progetto sionista. Una versione in inglese dell’opuscolo rimproverava al
governo mandatario di ostacolare le relazioni tra i lavoratori arabi ed ebrei – alludendo al favoritismo
verso i sindacati arabi e a danno della PLL da parte del dipartimento del lavoro146.
I dirigenti dell’Histadrut avevano presente che la riattivazione della PLL e una politica di
reclutamento di lavoratori arabi avrebbero reso impossibile la cooperazione con la PAWS e (ad Haifa)
con la FATULS, le quali avrebbero visto quei passi come delle provocazioni. Ma a un meeting del
dipartimento arabo dell’Histadrut Abba Hushi precisò, riprendendo la vecchia posizione del MAPAI, che
“l’Histadrut deve agire come se i sindacati arabi non esistessero…vogliamo che i lavoratori arabi
vengano organizzati solo da noi”. Questa posizione non fu condivisa da altri membri del dipartimento
arabo, ad esempio Aharon Cohen e Moshe Erem. Quest’ultimo citò un arabo di Haifa che gli aveva detto
che avrebbe aderito alla FATULS “perché lì gli arabi fanno tutto, è un organismo forte e attivo e non
un’agenzia di collocamento come la PLL”147. Ma come sempre la linea prevalente fu quella del MAPAI.
La strategia invocata da Hushi e avallata dall’Histadrut ebbe i suoi primi effetti a Gerusalemme e
Jaffa, ove i tentativi di cooperazione tra l’Histadrut e i sindacati arabi furono ostacolati. All’inizio del
1943 la sezione di Gerusalemme della PAWS e il locale consiglio operaio dell’Histadrut stavano
congiuntamente trattando con i funzionari comunali per conto di 340 dipendenti del comune, inclusi i

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Shmuel Dothan, Reds: The Communist Party in the Land of Israel, 1991
144
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145
Riassunto ed estratti dell’opuscolo contenuti in Jewish Frontier, dicembre 1942
146
Alcuni mesi dopo H.E. Chudleigh del dipartimento governativo del lavoro fu spinto a replicare alle affermazioni di Hushi in
una lettera privata. Egli descrisse come totalmente scorretta le tesi di Hushi che i nuovi sindacati arabi fossero controllati da
“figli di ricchi effendi” o da comunisti. “Il fatto puro e semplice è” puntualizzò Chudleigh “che circa 10.000 arabi ora sono
sindacalizzati, ma solo il dieci per cento di loro è iscritto alla Palestine Labor League”.
147
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netturbini, di cui 250 erano arabi e 90 ebrei. Come molti altri lavoratori in Palestina, anche i dipendenti
comunali di Gerusalemme avevano sofferto un forte calo dei salari reali a causa dell’aumento
dell’inflazione; essi erano anche privi di alcuni benefici come il pagamento della malattia, delle ferie o
degli infortuni. I negoziati fallirono, e nel febbraio 1943 l’Histadrut e la PAWS lanciarono uno sciopero
di sei giorni che costrinse la municipalità e le autorità inglesi a garantire ai lavoratori un’indennità di
contingenza e altre loro richieste. Sembravano poste le basi per una buona cooperazione tra la PAWS e
l’Histadrut, come ebbe a dire un funzionario di quest’ultima coinvolto nei negoziati: “questo è l’inizio di
un’azione congiunta e noi continueremo a lavorare insieme per migliorare le condizioni dei salariati di
questo paese, ebrei e arabi”148.
In capo a poche settimane, tuttavia, apparve chiaro che l’Histadrut aveva invece deciso di sfruttare
il prestigio che la vittoria dei dipendenti comunali le aveva dato per creare una sezione della PLL a
Gerusalemme e reclutare lavoratori arabi, una linea che l’opuscolo di Hushi avrebbe di lì a poco
esplicitato. Questa svolta offese i sindacalisti arabi, ancor più per il fatto che il nucleo della nuova sezione
della PLL (formato per lo più da lavoratori arabi dei vicini campi militari) includesse alcuni ex membri
della PAWS. I funzionari dell’Histadrut fin dal settembre 1942 avevano lavorato in segreto con gli
anticomunisti che lottavano per il controllo della PAWS di Gerusalemme, e ora in primavera alcuni di
questi lasciarono la PAWS per unirsi alla PLL.
La stessa strategia fu presto applicata anche a Jaffa, dove l’Histadrut cercò di aprire un’altra
sezione della PLL. In questa città la PAWS aveva un buon radicamento ed era guidata da un veterano
comunista, Khalil Shanir. A Jaffa come altrove i leader della PAWS espressero la volontà di cooperare
con l’Histadrut, ma si opposero con forza alla linea dell’Histadrut di organizzare i lavoratori arabi
attraverso la PLL. L’Histadrut assunse in segreto Adib al-Disuqi, che era stato membro della defunta
Arab Workers’ Society, come suo responsabile locale. Al-Disuqi aprì un circolo sportivo che usò per
prendere contatti coi lavoratori della zona. Eliyahu Agassi gli diede una mano sfruttando i legami che
aveva costruito nel corso degli anni.
Nell’estate 1943 al-Disuqi e Agassi avevano iscritto più di 100 netturbini, alcuni ex-membri della
PAWS, che avevano apprezzato la vittoria dei loro colleghi a Gerusalemme ma erano delusi dalla scarsa
vena della PAWS nei loro confronti. A luglio Agassi e al-Disuqi iniziarono a trattare con il comune di
Jaffa, per conto sia dei lavoratori arabi che di quelli ebrei, e in agosto si sentirono forti abbastanza per
indire uno sciopero dei netturbini di quattro giorni. Nonostante le minacce del management e le
esortazioni della PAWS ad abbandonare la PLL, gli scioperanti tennero duro e ottennero salari più alti.
Questa vittoria permise alla PLL di consolidare la propria sezione di Jaffa che nel settembre 1943 contava
circa 200 iscritti, per lo più dipendenti comunali. Nel frattempo la PLL si era allargata ad Haifa, dove
(esagerando) affermava di avere 1200 iscritti, e aveva aperto sezioni a Acri, Tiberiade e nel villaggio di
Qalunya, presso Gerusalemme.
Le manovre dell’Histadrut a Gerusalemme e Jaffa furono segno della nuova politica e nel breve
periodo portarono a significativi successi, ma furono i 50.000 lavoratori arabi ed ebrei impiegati nelle basi
militari inglesi e alleate a costituire il principale ambito di scontro tra le organizzazioni sindacali sioniste
e arabe.

I CAMPI MILITARI, I LAVORATORI DEI CAMPI E LA LOTTA TRA I SINDACATI


Le basi e installazioni militari inglesi che nacquero sul suolo palestinese durante il primo anno di
guerra crearono un nuovo spazio sociale in cui interagivano numeri mai visti di salariati arabi ed ebrei.
Dal 1943 circa 35.000 arabi (per lo più lavoratori manuali) e 15.000 ebrei (due terzi dei quali qualificati o
semiqualificati o impiegati) furono assunti direttamente dalle autorità militari inglesi in più di cento siti,
grandi e piccoli; altre migliaia furono messi sotto contratto da intermediari arabi ed ebrei, inclusa la
compagnia dell’Histadrut Solel Boneh, per costruire basi, stazioni di polizia, strade, ferrovie e altri
progetti. Nel linguaggio di ogni giorno gli ebrei in Palestina generalmente si riferivano a queste basi come
hakampim, i campi, ebraicizzazione del termine inglese. In arabo essi venivano chiamati al-muaskarat, i
campi militari.
Molti dei lavoratori arabi erano contadini, spesso di villaggi ubicati vicino al campo nel quale
erano assunti, alla prima esperienza di lavoro salariato o comunque non agricolo; altri provenivano dalla

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massa dei disoccupati urbani. Molti dei loro colleghi ebrei erano immigrati di recente provenienza,
giovani, di origine mediorientale, individui che per una serie di ragioni non avevano trovato di meglio in
altri settori, e anche cercavano di evitare la mobilitazione per la guerra decretata dalle autorità
dell’Yishuv. Le condizioni di salario e di lavoro nei campi erano generalmente scadenti. Benchè i
lavoratori ebrei fossero meglio pagati degli arabi, l’ammontare in genere era più basso di quello dei
salariati ebrei dell’industria, e le autorità inglesi rifiutavano di concedere ai lavoratori dei campi
l’indennità di contingenza che era stata conquistata nell’industria. Mentre i campi più grandi erano in
genere collocati nelle vicinanze delle città, molti di quelli piccoli si trovavano in zone impervie, dove le
condizioni di vita erano precarie, i lavoratori erano sotto il diretto controllo dei militari che li trattavano
alla stregua di soldati, e lo sfruttamento e le vessazioni arbitrarie erano frequenti.
Sin dall’inizio del 1940 l’Histadrut si era rivolta al Congresso dei Sindacati in Inghilterra per un
aiuto nel miglioramento dei salari nei campi. L’anno seguente Haqiqat al-Amr riportò che i lavoratori
arabi ed ebrei avevano chiesto all’Histadrut di aiutarli a ottenere degli aumenti, e dopo lunghi negoziati
questi effettivamente arrivarono, anche se furono presto erosi dall’inflazione149. Ma l’Histadrut fece sforzi
relativamente scarsi di stabilire una propria presenza forte nei campi durante i primi due anni e mezzo di
guerra, tanto che alla fine del 1942 solo circa un quarto dei lavoratori ebrei dei campi pagavano le quote
all’associazione, un proporzione molto più bassa di quasi tutti gli altri settori che impiegavano lavoro
ebraico. Alcuni fattori sembrano legati a questa scelta. Primo, la dispersione dei campi in varie zone del
paese rendeva le cose difficili da un punto di vista organizzativo. Inoltre era chiaro che si trattava di posti
di lavoro temporanei, legati all’emergenza bellica. A quanto pare la direzione dell’Histadrut era anche
riluttante a confrontarsi con le autorità inglesi sulla situazione nei campi vista la minaccia di un’invasione
tedesca dell’Egitto e della Palestina; in questo senso il disimpegno da questo settore sarebbe stato un
segno dell’appoggio dell’Yishuv allo sforzo alleato.
Tuttavia, documenti dell’Histadrut di questo periodo suggeriscono che vi erano anche altre
ragioni. I laburisti tendevano a considerare i lavoratori dei campi alla stregua di “materiale umano” di
qualità piuttosto bassa, poco sensibili al progetto sionista. Erano visti come non corrispondenti
all’immagine sionista laburista del vero proletario ebreo in Palestina, l’esperto, ascetico e autodisciplinato
lavoratore dell’industria o membro del kibbutz. Questa immagine aveva anche una precisa componente
etnica, poiché una grossa parte dei lavoratori dei campi erano di origine mizrahi (orientale, nel senso del
Medioriente) invece che ashkenazi (Europa centro-orientale), e questo era un segno negativo agli occhi
della leadership quasi totalmente ashkenazita dell’Histadrut. Un resoconto del 1942 affermava che i
lavoratori ebrei dei campi erano “reclutati tra i venditori ambulanti del Shuk Hakarmel (il mercato
ebraico) di Tel Aviv. I ciabattini che si aggirano nelle strade di Tel Aviv si sono elevati al rango di mastri
costruttori”150. Notizie di furti e ricettazione delle proprietà governative nei campi conferirono ai salariati
del settore anche la nomea di criminali, o almeno di uomini privi della disciplina sionista – benché anche
l’Haganah prelevasse dai campi armi e altro materiale utile. L’Histadrut riteneva questa forza lavoro
particolarmente vulnerabile alla “penetrazione” e all’influenza dei suoi rivali politici, incluso i comunisti
a sinistra e i revisionisti a destra.
L’Histadrut qualche volta cercò di inviare emissari per prendere contatti coi lavoratori ebrei nei
siti più lontani, ma difficilmente ciò bastava a creare dei legami stabili col movimento sionista laburista.
Questo scarso attivismo fece sì che i partiti alla sinistra del MAPAI – Hashomer Hatzair e il PCP –
ottenessero un certo seguito tra i lavoratori ebrei dei campi, le cui condizioni salariali e di impiego erano
sempre precarie. Queste due organizzazioni fecero anche grossi tentativi di stabilire buone relazioni con i
salariati arabi del settore.
Nonostante l’interesse economico comune, la cooperazione arabo-ebraica spesso fu impedita dalla
sfiducia reciproca. Un episodio dell’estate 1941 può servire a illustrare la complessità della situazione.
Circa 150 arabi e 100 ebrei erano impiegati nel sito conosciuto come Wadi Sara, con paghe
rispettivamente di 12 e 20 piastre al giorno – una differenza non inusuale, legata solo in parte ai livelli di
qualifica. La rabbia si manifestò quando il comandante del campo annunciò che la giornata lavorativa
sarebbe passata da nove a dodici ore. Alcuni dei lavoratori arabi ed ebrei concordarono di protestare
presentandosi al lavoro con un’ora di ritardo rispetto al solito. Tuttavia la protesta fallì, in parte poiché i

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lavoratori arabi temevano che i lavoratori ebrei avrebbero approfittato per ottenere i loro posti. Alla fine
furono circa 40 lavoratori ebrei ad essere licenziati, e i tentativi dell’Histadrut di farli riassumere non
ebbero esito.
Nel lungo periodo, i lavoratori dei campi erano un bacino troppo ampio e potenzialmente
importante da essere ignorato, sia dall’Histadrut che dal movimento operaio arabo in ripresa. Così,
nell’estate 1942 l’Histadrut istituì un nuovo dipartimento apposito, coordinato da Berl Repetur. I consigli
operai di alcune città crearono delle sezioni per i lavoratori dei campi limitrofi. Nello stesso tempo, la
PAWS e la FATULS intensificarono i loro sforzi di organizzare i lavoratori arabi dei campi in varie parti
del paese.
Nessuna di queste organizzazioni ottenne successi stratosferici. La PAWS (e in minor misura la
FATULS) fece nuovi iscritti in diversi campi, ma la grande maggioranza dei lavoratori arabi non fu
sindacalizzata. Allo stesso modo, nel marzo 1943 solo circa 8.000 dei 15.000 lavoratori ebrei erano iscritti
all’Histadrut, più 1.200 ad altre organizzazioni ebraiche, probabilmente revisioniste o religiose. Un
piccolo numero di lavoratori arabi dei campi aderì alla PLL.
All’inizio del 1943 vi furono anche segni di crescente malcontento, con una serie di piccoli
scioperi e altre azioni. Benchè le paghe giornaliere fossero salite a 21 piastre per gli arabi e 28 per gli
ebrei, i prezzi erano saliti molto più rapidamente. Il malcontento era anche generato dalla riluttanza delle
autorità militari a negoziare con i comitati di lavoratori o l’Histadrut stessa; la cosa sembra avere a che
fare con la raggiunta abbondanza di manodopera. Alla fine del marzo 1943 un comitato governativo per i
salari approvò una consistente indennità di contingenza per i lavoratori dell’industria e dei servizi, ma le
autorità militari si rifiutarono di estenderlo ai lavoratori dei campi. I lavoratori dunque mostravano una
nuova disponibilità a organizzarsi e lottare, che sia la PAWS che l’Histadrut dovevano cogliere. Era
chiaro che fosse giunto il momento di agire, e per entrambe si trattava di decidere quali forme di lotta
impiegare e come relazionarsi l’un l’altra per migliorare la situazione di questa così consistente forza
lavoro mista arabo-ebraica.
La PAWS rispose all’emergere del malcontento nei campi chiamando un raduno di circa 100
delegati operai a Jaffa il 4 aprile 1943. La situazione dei lavoratori dei campi fu il tema principale in
discussione, e la conferenza approvò una risoluzione che esortava il governo a concedere aumenti di
salari, il COLA, il pagamento degli straordinari e delle festività religiose, la limitazione della ferrea
disciplina e il riconoscimento dei rappresentanti dei lavoratori arabi. Un certo numero di delegati
denunciò anche ciò che riteneva la discriminazione in favore dei lavoratori ebrei. La PAWS manteneva la
volontà di cooperare con l’Histadrut nei negoziati, a condizione che quest’ultima si astenesse dal reclutare
gli arabi e si limitasse a rappresentare solo gli ebrei. I delegati della PAWS non ipotizzarono azioni di
sciopero.
L’Histadrut ora doveva decidere se cooperare o meno con la PAWS. Quando la direzione
dell’associazione si riunì il 13 aprile 1943, fu concordato da tutti che se l’esercito non avesse esteso entro
dieci giorni il COLA ai lavoratori dei campi, l’Histadrut avrebbe convocato una propria conferenza
operaia nazionale e anche messo in calendario una giornata di sciopero. La questione della cooperazione
con gli arabi fu delegata al nuovo organismo responsabile del lavoro nei campi militari, e al dipartimento
arabo di questo. A un incontro congiunto due giorni dopo fu deciso che l’Histadrut non avrebbe
collaborato con la PAWS nella vertenza sul COLA. Fu fissata una conferenza nazionale per il 2 maggio a
Tel Aviv, cui doveva seguire una giornata di sciopero.
La PAWS replicò stizzosamente a questa iniziativa unilaterale dell’Histadrut. In un opuscolo
datato 26 aprile esortava i lavoratori arabi a non partecipare al meeting del 2 maggio, che veniva descritto
come fatto apposta per sabotare la sua conferenza del 4 aprile precedente. Ciononostante l’Histadrut tenne
la conferenza, alla quale parteciparono 147 delegati da 99 siti di tutta la Palestina. Il resoconto ufficiale
non riporta quanti delegati arabi fossero presenti ma, apparentemente per un intento di equità, afferma che
un numero uguale di oratori arabi ed ebrei presero la parola. Dopo i discorsi conclusivi di Berl Repetur e
Golda Meir, allora a capo del dipartimento politico dell’Agenzia Ebraica, i delegati affermarono di
parlare a nome di tutti e 50.000 lavoratori dei campi e annunciarono una giornata di sciopero, la cui data
esatta sarebbe stata decisa dalla direzione dell’Histadrut. Un telegramma inviato dalla PAWS, che
affermava che la conferenza rappresentava solo i lavoratori ebrei e che gli arabi riconoscevano solo le
decisioni della conferenza del 4 aprile a Jaffa, non fu letto ai delegati. Pochi giorni dopo l’Histadrut
confermò lo sciopero fissandolo per il 10 maggio.
109
La PAWS rispose di nuovo con un opuscolo che denunciava la decisione dell’Histadrut di
organizzare uno sciopero senza consultare il vero rappresentante dei lavoratori arabi, e iniziò un’intensa
campagna per convincere questi ultimi a non scioperare. Pubblicò anche un opuscolo in ebraico che
esortava gli ebrei a non fare uno sciopero “separatista” ma a cooperare coi loro compagni arabi e la
PAWS per gli interessi di tutti i lavoratori. Nello stesso tempo la PAWS inviò all’Histadrut una lettera
proponendo di discutere la cooperazione tra le due organizzazioni.
Nell’Histadrut vi fu un vivace dibattito se proseguire o meno con lo sciopero, ma alla fine
l’esecutivo decise di mantenere la decisione già presa. All’avvicinarsi della data la PAWS intensificò la
sua campagna per distogliere i lavoratori arabi dallo sciopero. Un nuovo opuscolo denunciava la diceria
propagandata dall’Histadrut che la PAWS era stata consultata sullo sciopero ed aveva acconsentito:

La verità è che l’Histadrut non ha riconosciuto e non riconosce i sindacati arabi…la PAWS a Jaffa
ha deciso che la data dello sciopero è prematura per gli arabi e ritiene che l’interesse dei lavoratori
sia aspettare l’esito degli imminenti negoziati…Lo sciopero è la sola arma dei lavoratori, ma
quest’arma deve essere usata nel momento in cui può condurre all’ottenimento delle proprie
rivendicazioni…151

Il giornale dell’Histadrut Davar affermò in seguito che le sue sincere proposte di cooperazione
con la PAWS erano state rifiutate e che quest’ultima si era opposta allo sciopero per motivi strettamente
politici. Ma l’esame della documentazione di quel periodo esclude entrambe queste affermazioni. Per di
più, sembra che gli appelli della PAWS abbiano colpito nel segno, specialmente nei campi più grandi
situati presso le città grandi. Un visitatore ebreo a Sarafand, una delle più grandi basi militari inglesi del
Medioriente, situata a poche miglia da Ramle, raccontò che i lavoratori arabi gli avevano chiesto: “Come
puoi chiederci di collaborare, quando non ci avete consultato e anzi ci avete informato che domani ci
sarà uno sciopero, e volete che vi partecipiamo?”152.
Nel giorno prefissato quasi tutti i lavoratori ebrei dei campi si unirono allo sciopero. La portata
della partecipazione araba è meno chiara. Un opuscolo della PAWS scrisse che “il 100% dei lavoratori”
aveva rifiutato di aderire. Il Davar al contrario affermò che la grande maggioranza di costoro vi aveva
preso parte. Sembra in realtà che alcune migliaia di arabi si siano uniti allo sciopero, ovvero una piccola
minoranza, il che dimostrò alla leadership dell’Histadrut che la campagna per escludere la PAWS era
impraticabile. Dal momento che le autorità inglesi non mostravano alcuna intenzione di estendere il
COLA ai lavoratori dei campi, l’Histadrut si trovò a che fare con continue pressioni dal basso: sia ebrei
che arabi tenevano meeting di protesta, davano vita a brevi scioperi e facevano appelli ai sindacalisti
affinchè lavorassero insieme.
Nelle settimane successive l’Histadrut finalmente rispose ai persistenti inviti della PAWS a
incontrarsi. Ma i colloqui erano destinati a fallire dal momento che essa insisteva nel pretendere il
riconoscimento della PLL e nell’organizzare i lavoratori dei campi in maniera esclusiva. Negli incontri
con i dirigenti della PAWS di Jaffa i funzionari dell’Histadrut (specialmente Berl Repetur) adottarono una
linea dura, criticando il sindacato arabo per la sua opposizione allo sciopero e rimproverandogli numerosi
errori e mancanze. Né Khalil Shanir né gli altri suoi colleghi apprezzarono questo atteggiamento, e
risposero per le rime. Ma ciò che più di tutto sabotò i colloqui fu l’insistenza dell’Hisadrut affinchè vi
partecipassero i membri della PLL e in particolare Adib al-Disuqi, suo esponente di Jaffa. Per i dirigenti
della PAWS questa fu una deliberata provocazione, se non un insulto, a riprova della cattiva fede
dell’Histadrut. Un incontro si trasformò in un tumulto quando al-Disuqi prese la parola per criticare la
PAWS. Shanir si infuriò: “Vai fuori di qui, sionista, paria, ti sei venduto agli ebrei, ti fai usare per 18
sterline al mese!” – riferendosi al salario di al-Disuqi come organizzatore della PLL a Jaffa153.
Vi furono colloqui anche ad Haifa all’inizio di giugno, al meeting dei lavoratori arabi dei campi
iscritti alla PAWS. Qui i toni furono meno accesi, e i militanti della PAWS accettarono che esponenti
della PLL partecipassero agli incontri, ma sul piano pratico non scaturì quasi nulla. Presto anzi la spinta
alla cooperazione venne meno.

151
Histadrut Archives
152
Hashomer Hatzair Archives
153
Esecutivo dell’Histadrut, minute e corrispondenze
110
All’inizio del giugno 1943 il governo mandatario annunciò che i propri dipendenti avrebbero
ricevuto il COLA. Dopo alcune settimane apparve chiaro che esso sarebbe stato applicato anche ai
lavoratori dei campi, in un modo da avvicinarsi tangibilmente alle loro richieste. Sebbene nessuno dei due
sindacati sentisse la necessità di proseguire i negoziati, entrambi si rinfacciarono la volontà di
interrompere i negoziati venendo meno alla solidarietà di classe. Dal canto suo, Agassi continuò nel
tentativo di reclutare i lavoratori arabi nella PLL.
Ma sebbene egli, ottimista come sempre, riportasse ai suoi colleghi che molti arabi erano pronti a
unirsi alla PLL, l’Histadrut ora non era per nulla interessata a formare nuove sezioni della PLL in questo
settore. Uno dei motivi principali era ancora una volta quello della temporaneità del lavoro: con
l’approssimarsi della fine della guerra l’Histadrut sarebbe stata obbligata a trovare nuove occupazioni per
questa massa di operai, e questo non era nelle sue intenzioni.
Nel settembre del 1943 H.E. Chudleigh, del dipartimento del lavoro del governo, riassunse la
situazione in una relazione sul movimento operaio ebraico e arabo in Palestina:

Negli ultimi mesi la situazione per i sindacati arabi ed ebraici si è fatta più difficile. I comuni
interessi economici sono sovrastati dalle considerazioni politiche, che dominano ogni discussione.
“Cocciuta” è il termine adatto per definire la dirigenza da entrambe le parti. Si sono manifestate
possibilità di cooperazione nei campi e nelle officine militari, al comune di Jaffa e altrove. Ma solo al
comune di Gerusalemme è stata raggiunta una minima collaborazione concreta154.

LA SCISSIONE DEL PCP E LA FORMAZIONE DELLA NLL


Il conflitto tra la PAWS e l’Histadrut sullo sciopero dei lavoratori dei campi del maggio 1943 ebbe
un impatto anche in un altro ambito: accelerò la crisi e la successiva disintegrazione del Partito
Comunista di Palestina come organizzazione arabo-ebraica. Le tensioni dentro il partito erano in atto da
parecchio tempo. Molti membri ebrei erano giunti a ritenere che si doveva moderare l’ostilità verso il
sionismo e sfruttare la popolarità dell’Unione Sovietica nell’Yishuv per ampliare di nuovo la base di
consenso tra gli ebrei. La comunità ebraica in Palestina, secondo questo punto di vista, doveva essere
considerata non come un unico blocco reazionario, un “Ulster ebraico” coloniale impiantato
dall’imperialismo inglese, bensì come una società sempre più complessa, con solide e profonde radici nel
paese, che aveva acquisito molte delle caratteristiche di una nazione. Alcuni mettevano in discussione
anche l’opposizione del PCP all’immigrazione ebraica, e molti membri ebrei proponevano di rientrare
nell’Histadrut per fare una battaglia interna155.
La maggior parte dei membri arabi del PCP erano di tutt’altro parere. Essi credevano che il partito
dovesse superare la propria debolezza innanzitutto rivolgendosi alla maggioranza araba, per trasformarsi
in una forza politica importante. Consideravano la Palestina un paese arabo, e dunque il partito comunista
doveva dedicarsi alla maggioranza dei nativi arabi e al loro movimento nazionalista. Rifiutando ogni
concessione al sionismo, il partito avrebbe dovuto rivolgersi ai vari settori della comunità araba con un
programma che combinasse il nazionalismo arabo-palestinese con il riformismo social-democratico. Tra i
principali comunisti arabi di questo avviso vi erano Bulus Farah, che aveva creato un suo seguito ad Haifa
ed era convinto che la direzione del partito fosse ormai preda della deviazione sionista, e Abdallah al-
Bandaq, un veterano del partito che, ricordiamo, era il candidato di Aharon Cohen a guidare una sinistra
araba non comunista e filo-sionista.
Le tensioni nel partito giunsero all’apice all’inizio del 1943, quando il comitato centrale sciolse le
correnti ebraiche dissidenti ed espulse alcuni membri ebrei che avevano disobbedito alla leadership
partecipando alle celebrazioni del Primo Maggio organizzate dall’Histadrut. La crisi si inasprì quando fu
chiaro che i membri arabi ed ebrei del partito erano su posizioni opposte rispetto alla disputa tra PAWS e
Histadrut che precedette lo sciopero dei lavoratori dei campi del 10 maggio, indetto da quest’ultima.
Nonostante gli sforzi di alcuni membri di mantenere unito il partito, nei mesi seguenti si consumò
la scissione. Lo scioglimento del Comintern nel maggio 1943 da parte di Stalin, come gesto di buona
volontà verso i suoi alleati inglesi e americani, accentuò la divisione. L’eliminazione di questo organismo
formalmente internazionalista rafforzò le spinte nazionaliste in seno al PCP. Questa a quanto pare fu la
direzione intrapresa da alcuni militanti arabi (tra cui al-Bandaq e il suo giovane sodale Emile Habibi)
154
Colonial Office papers
155
Musa al-Budayri, Development of Arab Workers’ Movement in Palestine, 1981
111
quando, alla fine di maggio, dichiararono a nome del comitato centrale che il PCP si era finalmente
liberato di quei membri ebrei caduti nel deviazionismo sionista. La dichiarazione definiva il PCP come
“un partito arabo nazionale che include nei suoi ranghi gli ebrei che accettano il suo programma
nazionale”. Questa definizione era una rottura decisiva con quella storica del partito come formazione
arabo-ebraica e internazionalista, sebbene i suoi estensori probabilmente la vararono come una risposta al
sionismo dei loro ex compagni. Non tutti i comunisti arabi appoggiarono immediatamente tale posizione:
alcuni, come Khalil Shanir, speravano ancora in un recupero dell’unità arabo-ebraica. Ma alla fine
prevalse l’orientamento più nazionalista, difeso anche da Bulus Farah il cui seguito ad Haifa costituiva il
gruppo più coeso.
Dalla scissione del PCP scaturirono tre distinte organizzazioni, due interamente ebraiche e una
interamente araba. Il gruppo ebraico più accondiscendente col sionismo si ridenominò Associazione per
l’Educazione Comunista in Eretz Israel, seguendo l’esempio dei comunisti degli Stati Uniti guidati da
Earl Browder, e poi cambiò ancora in Partito Comunista Ebraico. Un secondo gruppo ebraico, più ampio,
insisteva nel considerarsi la continuazione del vecchio PCP e continuò a chiamarsi Partito Comunista di
Palestina, anche se era una formazione del tutto diversa, sia per la componente solo ebraica che per le
posizioni volte a ottenere maggiore accettabilità nell’Yishuv.
Molto più importante di queste due piccole e deboli fazioni ebraiche fu la nuova formazione
politica araba scaturita dalla scissione del PCP. Dopo alcun incontri alla fine del 1943, all’inizio del 1944
un gruppo di dirigenti arabi comunisti diede vita alla Usbat al-Taharrur al-Watani (Lega per la
Liberazione Nazionale, NLL), che aveva come organo il giornale al-Ittihad (L’Unità).
Benchè molti dei suoi membri fossero stati nel PCP, la NLL non si definiva come partito
comunista ma come un’organizzazione nazionalista progressista aperta a tutti gli arabo-palestinesi che ne
accettavano il programma, che prevedeva l’indipendenza della Palestina come stato arabo con un governo
democratico e fondamentali trasformazioni sociali. La NLL cercò di propagandare un nazionalismo
arabo-palestinese imbevuto di temi sociali progressisti. Essa chiedeva riforme per i lavoratori e contadini
arabi e sosteneva che solo un movimento nazionalista a base di massa poteva sfidare con successo il
colonialismo inglese e il sionismo.
Sin dalla nascita la NLL strinse forti legami con il movimento operaio, poiché poteva contare sui
leader dell’ala sinistra della PAWS e della FATULS di Haifa. Trovò ampio sostegno anche da parte di
molti giovani colti organizzati nella Lega degli Intellettuali Arabi. La NLL contava di porsi alla guida di
un movimento nazionale così come i comunisti stavano facendo in Cina, Vietnam, Jugoslavia e altrove.
Come dirigenza di un movimento nazionale, la NLL si opponeva al sionismo, all’immigrazione
ebraica e allo stato ebraico, e sosteneva che la maggioranza dei nativi arabo-palestinesi avesse diritto
all’autodeterminazione. Tuttavia, i suoi leader differivano dalla classica posizione nazionalista poiché
mantenevano la distinzione comunista tra masse ebraiche e sionismo: mentre quest’ultimo andava
estirpato in quanto forma di colonialismo, le masse ebraiche (e quelle operaie in particolare) dovevano e
potevano essere convinte che il loro interesse fosse nella solidarietà e unità con le masse arabe. Ciò
implicava che tutti gli ebrei in Palestina diventassero cittadini a tutti gli effetti, e forse potessero
beneficiare dello status di minoranza cultural-nazionale all’interno della futura Palestina Araba
indipendente. Da un punto di vista pratico i sindacalisti del movimento operaio arabo legati alla NLL
furono inclini alla cooperazione con i lavoratori e sindacati ebrei, e anche con l’Histadrut, nella misura in
cui quest’ultima non cercava di organizzare, reclutare o rappresentare i lavoratori arabi.

SCONFITTA DELLA PLL


Nell’ottobre del 1943 funzionari dell’Histadrut calcolarono che nel corso dell’anno erano state
spese circa 3.300 sterline per l’organizzazione dei lavoratori arabi, una somma mai impiegata prima; per
il 1944 il dipartimento arabo ne richiedeva 12.000, più dei costi di pubblicazione di Haqiqat al-Amr.
Questo grosso aumento dei fondi (forniti in larga parte dell’Agenzia Ebraica) aveva reso possibile
l’ampliamento dello staff del dipartimento a Tel Aviv, ma non sembra aver portato grandi benefici al
lavoro della PLL. Sulla carta, la PLL di Haifa rimaneva la più forte, con circa 400-500 membri che
pagavano la tessera. Ma gli iscritti erano per lo più impiegati in piccole officine sparse tra la città e i suoi
dintorni. L’organizzazione non era riuscita a radicarsi in nessuno dei più importanti luoghi di lavoro. Le
sezioni nelle altre città erano ancor meno radicate.

112
I funzionari del dipartimento arabo dell’Histadrut erano incerti sul fatto che la PLL dovesse
rimanere a guida ebraica, senza un insieme di dirigenti arabi che la rendessero più “attraente”. D’altra
parte essi stessi avevano un’opinione piuttosto negativa degli arabi che a livello locale occupavano posti
di responsabilità, e affermavano che “quando non c’è un lavoratore ebreo in una sezione, l’arabo non
vale un granchè” e che “molti se non tutti (gli attivisti arabi della PLL) sono avidi” e dovevano essere
controllati dagli ebrei, soprattutto in caso di accesso ai fondi. Per discutere il futuro dell’attività araba,
membri del dipartimento si incontrarono con la segreteria del MAPAI nel novembre 1943. All’incontro
erano presenti alcuni dei massimi dirigenti del MAPAI, inclusi tre futuri primi ministri dello stato di
Israele (David Ben-Gurion, Moshe Shertok, Levi Eshkol), un futuro presidente (Zalman Rubashov) e
almeno due futuri ministri (Pinhas Lubianker e Eliezer Kaplan)156.
La discussione fu aperta da Shmuel Solomon, membro anziano del dipartimento arabo, che un
sindacalista inglese che lo conobbe descrisse in seguito come “un uomo gentile, un ebreo tedesco che
aveva fatto studi ebraici, classici e islamici”157. Solomon espresse ottimismo sul futuro della PLL ma
riconobbe che gli arabi la consideravano innanzitutto come un’agenzia di collocamento – una percezione
che avrebbe causato problemi alla fine della guerra, perché i lavoratori dei campi militari avrebbero
cercato impiego nelle fabbriche e imprese agricole di proprietà ebraica. “Tutte le nostre spiegazioni sul
fatto che essi non sono membri dell’Histadrut, che c’è una differenza, sono di utilità pari al suono di un
shofar158”. Solomon ammise anche che i lavoratori arabi erano scontenti del fatto che la PLL fosse diretta
dai funzionari ebrei dell’Histadrut, e in alcuni casi avevano chiesto di pagare le quote come membri
dell’Histadrut a tutti gli effetti, ricevendone i benefici corrispondenti.
I leader del MAPAI non diedero a Solomon e colleghi il sostegno che cercavano. Eliyahu Sasson
espresse scetticismo sull’attività araba. Criticando Solomon per le sue stime sulle prospettive di crescita
della PLL, ipotizzò un’organizzazione di 1000 – 1500 iscritti fedelissimi, grande abbastanza da ostacolare
i sindacati arabi e utile in occasioni come la rivolta araba del 1936 – 39. Ben-Gurion propose la creazione
di un piccolo partito arabo filo-sionista che potesse servire per le lotte politiche che si mostravano
all’orizzonte. Sembrò insomma che i leader del MAPAI avessero perso quel poco di interesse che
avevano precedentemente mostrato per l’attività araba.
Ma lo staff ebraico del dipartimento arabo non aveva ancora del tutto rinunciato. Nella prima metà
del 1944 provò a rilanciare il lavoro della PLL introducendovi qualche aspetto di vita organizzativa
autonoma. Tra le altre cose, venne creato un bollettino interno in arabo e si tenne, alla sede centrale
dell’Histadrut a Tel Aviv, il primo convegno degli attivisti arabi di tutte le sezioni della PLL. Ma nessuna
di queste mosse poteva alterare il fatto che la PLL fosse creata e diretta da ebrei, e questo ne ostacolava
obiettivamente l’attività araba.
La riprova definitiva delle difficili possibilità per la PLL si ebbe in occasione della lotta che
coinvolse l’organizzazione alla fabbrica metallurgica Wagner, nei primi mesi del 1944. Impiantata
inizialmente da un uomo d’affari tedesco, con l’avvento della guerra la fabbrica fu requisita dalle autorità
inglesi come proprietà nemica, i suoi proprietari incarcerati, e l’attività cessò. Fu riaperta nel 1941 sotto la
direzione di un imprenditore arabo, Stilo Awwad. L’atteggiamento dispotico di Awwad verso i suoi circa
160 dipendenti, quasi tutti arabi, e specialmente il suo rifiuto di pagare loro il COLA come decretato dal
governo mandatario, spinse un gruppo di operai a contattare la PLL. Con il disappunto del loro padrone e
della PAWS la grande maggioranza del lavoratori si iscrisse alla PLL. I funzionari del dipartimento arabo
dell’Histadrut credettero di essere giunti a una svolta, in quanto si trattava di lavoratori qualificati di una
zona urbana, “proletari autentici” coi quali avevano sognato a lungo di creare legami stabili.
Awwad espresse la volontà di soddisfare le richieste degli operai ma si rifiutò recisamente di
negoziare con la PLL. La disputa finì davanti a un arbitro del dipartimento governativo del lavoro, i cui
funzionari stabilirono che anche la PAWS dovesse essere inclusa nelle trattative. R.M. Graves, direttore
del dipartimento, disse: “Vogliamo l’organizzazione dei lavoratori arabi, ma non col metodo
dell’Histadrut”. H.E. Chudleigh aggiunse che “siamo interessati a sostenere organizzazioni di lavoratori
arabi dirette da loro stessi. Di più, siamo interessati a unire queste organizzazioni per creare un
movimento operaio arabo unitario. La PLL crea divisioni, divide invece che unire”159.
156
Labour Party Archives, appunti del segretariato del MAPAI
157
Trade Unions Congress Archives
158
Piccolo corno di montone utilizzato come strumento musicale durante alcune funzioni religiose ebraiche.
159
Davar, 24 gennaio 1944
113
La base della PLL alla Wagner si sfaldò nel corso del 1944. La direzione della fabbrica licenziò un
certo numero di lavoratori della PLL e ne emarginò altri, mentre la PAWS spingeva per isolare la PLL e
la stampa araba definiva i suoi aderenti lacchè dei sionisti. Quello che sembrava un punto di svolta nella
costruzione di un radicamento nella PLL a Jaffa, andò incontro al fallimento completo.
La controffensiva della PAWS contro la PLL giunse al culmine quando alcuni attivisti sabotarono
un meeting di quest’ultima organizzato per celebrare il Primo Maggio 1944 e inaugurare una nuova
sezione nel quartiere al-Manshiyya di Jaffa. Gridando, battendo le mani e facendo continue domande ai
funzionari dell’Histadrut sul podio, gli attivisti arabi fecero fallire il meeting e, ancora più importante,
intimidirono i membri della PLL e le loro potenziali reclute, che in seguito presero le distanze. La PLL fu
costretta a spostare la sede da al-Manshiyya a un quartiere ebraico di Tel Aviv, e alla fine del 1944 essa
praticamente aveva cessato di esistere a Jaffa.
Possiamo farci un’idea delle posizioni degli arabi che sabotarono la celebrazione della PLL da un
opuscolo intitolato Da lavoratori arabi a lavoratori ebrei, firmato da cinque attivisti arabi che l’Histadrut
aveva denunciato per disturbo della quiete pubblica dopo il fallimento del meeting. L’opuscolo, in
ebraico, respingeva le accuse dell’Histadrut che quel 30 aprile i disturbatori fossero agenti di polizia o di
Stilo Awwad. I firmatari affermavano di essere lavoratori della base che volevano sapere perché venivano
allontanati dal lavoro e dunque privati del pane.

Fratelli operai! Immaginate ciò che direste se questo capitasse a voi, se vi licenziassero soltanto
perché siete ebrei, e vedeste le vostre famiglie e i vostri figli piangere per la fame. Immaginate se
quelle stesse persone che ieri vi hanno cacciato dal lavoro oggi venissero da voi a parlare del Primo
Maggio, dichiarando che domani vi lasceranno a casa, se possono. Ebbene, proprio in questi giorni
l’Histadrut ha organizzato dei picchetti alla fabbrica di Rishon Letziyon per allontanare dal lavoro i
quattro arabi che vi sono assunti160.

La parabola della PLL a Gerusalemme fu simile a quella di Jaffa. All’inizio del 1944 la PLL riuscì
a tesserare più di 100 lavoratori arabo-palestinesi, egiziani e sudanesi impiegati al prestigioso King David
Hotel, e dopo una mediazione del dipartimento governativo del lavoro costoro ottennero un contratto
decente. Tuttavia questo successo spinse la PAWS a promuovere una campagna per far sì che i lavoratori
arabi all’hotel e altrove si staccassero dall’Histadrut. Come a Jaffa, la sezione locale della PAWS disturbò
la celebrazione del Primo Maggio della PLL, mentre i suoi opuscoli denunciavano i “mercenari del
sionismo” e attaccavano l’Histadrut per aver spinto il partito laburista inglese ad adottare una risoluzione
in favore dello stato ebraico in Palestina e del “trasferimento” degli arabi-palestinesi nei paesi vicini. La
PLL riuscì a mantenere la maggior parte degli iscritti tra i dipendenti del King David Hotel, ma nel luglio
1946 l’albergo (che era stato occupato dalle autorità inglesi per allestirvi uffici amministrativi) fu chiuso
dopo un attentato dinamitardo eseguito dall’organizzazione paramilitare sionista di destra Irgun, che
provocò quasi 100 morti tra cui diversi civili arabi ed ebrei.
Un’altra lotta che coinvolse dei dipendenti d’albergo durante questo periodo dimostrò le scarse
prospettive per la PLL tra i lavoratori arabi. Nel settembre 1944 alcune dozzine di arabi e arabe impiegate
all’hotel American Colony chiesero aiuto alla PLL. Fondato alla fine dell’Ottocento da una setta cristiana
americana i cui membri si erano stabiliti in Terrasanta, l’American Colony ora ospitava funzionari
governativi e vip stranieri. Quando in ottobre la direzione licenziò alcuni dipendenti identificati come
teste calde, i lavoratori scesero in sciopero, e vennero sommariamente cacciati dai loro alloggi presso la
colonia. Il conflitto assunse subito un carattere politico, data la frustrazione della PAWS per il mancato
allontanamento dei lavoratori arabi dal King David Hotel e la crescente tensione tra ebrei e arabi dovuta
ai nuovi tentativi di aumentare l’immigrazione da parte del movimento sionista. La PAWS e la stampa
araba denunciarono lo sciopero come complotto sionista e fecero forti pressioni perché i lavoratori lo
interrompessero. Fallito questo tentativo, la PAWS arrivò a fornire alla direzione dell’hotel dei nuovi
dipendenti per rimpiazzare gli scioperanti della PLL. L’Histadrut cercò senza successo di far intervenire il
dipartimento governativo, e lo scioperò fallì161.
Come per lo sciopero alla Wagner di Jaffa, la sconfitta all’American Colony segnò la fine delle
prospettive di organizzare lavoratori arabi per la sezione di Gerusalemme della PLL. In tale città negli

160
Histadrut Archives
161
Davar, 1 gennaio 1945
114
anni successivi la PLL guidò uno sciopero vittorioso degli arabi del villaggio di Qalunya, impiegati alla
fabbrica di piastrelle Steinberg, e rappresentò i dipendenti ebrei delle fornerie, ma furono risultati di
piccola scala. In privato, il dipartimento arabo dell’Histadrut ammise che il sabotaggio delle celebrazioni
del Primo Maggio aveva in effetti paralizzato l’organizzazione. La PLL aveva poche prospettive di andare
oltre la propria intrinseca debolezza, mentre il movimento operaio arabo, seppur frazionato, andava
incontro a una fase di vigorosa ripresa.

LOTTE DI CLASSE E MOVIMENTO OPERAIO ARABO


Sia i lavoratori arabi che i lavoratori ebrei manifestarono un forte dinamismo negli ultimi due anni
di guerra. L’aumento dei salari conseguito in vari luoghi di lavoro nel 1943 non bastò a far fronte
all’ancor più rapido aumento dei prezzi, e il malcontento non cessò. All’inizio del 1944 la decisione del
governo mandatario di ridurre il COLA nelle officine ferroviarie di Haifa provocò forti proteste. Sospinto
dalla pressione della base, il comitato di sciopero della sezione dell’IU di Haifa contattò l’AURW per
discutere un’azione congiunta. I sindacalisti arabi erano incerti se cooperare o meno, quando un incidente
fece precipitare gli eventi.
Mercoledi 2 febbraio 1944 un lavoratore arabo delle officine ebbe un grave infortunio. Poiché non
vi erano medici sul posto e l’ambulanza era in riparazione, si dovette andare un prendere un medico alla
vicina fabbrica di gomma Vulcan, di proprietà dell’Histadrut. Quando arrivò egli non fu in grado di
suturare la ferita alla testa perché mancavano i materiali necessari. Il ferito alla fine fu portato in ospedale,
ma i lavoratori si infuriarono per le mancate cure da parte della direzione. Efrayyim Krisher di Hashomer
Hatzair e un dipendente veterano del MAPAI chiamarono immediatamente una manifestazione, e in capo
a un quarto d’ora tutti i 1.400 addetti – di cui 200 ebrei – erano riuniti davanti agli uffici. Essi furono
presto raggiunti da altri 170 provenienti dai vicini capannoni delle locomotive. Un comitato di sciopero di
tre arabi e due ebrei fu scelto per recarsi dai dirigenti e presentare una lunga serie di rivendicazioni,
incluso il mantenimento del COLA, un aumento del salario minimo, l’indennità di infortunio, l’estensione
del fondo pensione a tutti i lavoratori e la presenza fissa di un medico nelle officine. Il general manager
Kirby si rifiutò di negoziare finchè i dipendenti non fossero tornati al lavoro. Alla sera essi andarono a
casa, ma il giorno dopo tornarono in massa si rifiutarono di lasciare le officine senza che le richieste
fossero soddisfatte. Il morale dei lavoratori era molto alto e l’unità arabo-ebraica evidente. Quando la
PAWS fornì del cibo, gli arabi lo divisero coi loro compagni ebrei; e quando il consiglio operaio di Haifa
mandò (più tardi) delle scorte, i lavoratori ebrei le socializzarono. Il cibo da parte ebraica arrivò dopo
perché i dirigenti dell’Histadrut ad Haifa, e specialmente Abba Hushi, erano fortemente contrari allo
sciopero e si auguravano che finisse il prima possibile. Insieme al segretario nazionale dell’IU Yehetzkel
Abramov e alla leadership dell’Histadrut a Tel Aviv, Hushi temeva che lo sciopero avrebbe rafforzato
l’AURW e la PAWS.
Abramov fece del suo meglio per far finire lo sciopero. In questo fu aiutato da Sami Taha,
segretario generale della PAWS, a capo dell’ala più conservatrice del movimento sindacale arabo. Sotto
queste pressioni, i dirigenti sindacali ebrei di Haifa accettarono di chiamare la fine dello sciopero, anche
se Kirby non aveva concesso praticamente nulla. I sindacalisti arabi furono più risoluti, ma alla fine
cedettero anche loro alle pressioni di Sami Taha. La notte del venerdi, dopo tre giorni di sciopero e due di
occupazione delle officine, i lavoratori si ritirarono. Il giorno dopo tornarono al lavoro, avendo ottenuto
soltanto una lieve concessione sul fondo pensione e la promessa che il loro caso sarebbe stato esaminato
dal dipartimento governativo.
Pur non avendo ottenuto nulla di sostanziale, i lavoratori delle officine di Haifa uscirono da quelle
giornate con una forte consapevolezza della propria forza e del valore dell’unità arabo-ebraica, e il
malcontento continuò a manifestarsi attraverso brevi scioperi durante il 1945. In marzo ad esempio le
officine di Haifa furono chiuse per un’ora e mezza da uno sciopero di protesta per costringere la direzione
a sborsare le paghe prima del solito a causa delle imminenti feste musulmane ed ebraiche. Il mese
successivo circa 150 lavoratori delle poste del distretto di Jaffa – Tel Aviv, che non avevano la fama di
grande attivismo, fecero un breve sciopero. Durante l’estate i lavoratori delle poste tennero un congresso
nazionale ed elessero un comitato di sciopero composto da tre arabi e tre ebrei. L’ala sinistra del
movimento operaio arabo, guidata dalla neonata NLL, applaudì a questi sviluppi. Il giornale della NLL
al-Hittihad proclamò che “la cooperazione tra i post-telgrafonici arabi ed ebrei è la prova evidente della

115
possibilità di azione congiunta in ogni luogo di lavoro”162. Come vedremo, nei tre anni successivi i
ferrovieri e i post-telegrafonici ebbero un ruolo preminente nel promuovere una serie di lotte economiche
arabo-ebraiche.
La spinta dal basso indusse la sinistra araba ad assumere la direzione del movimento operaio. La
rottura nel Partito Comunista di Palestina a metà del 1943 e la nascita della NLL aprirono la strada ad una
ricomposizione delle forze all’interno del movimento. Era ora possibile la creazione di una federazione
operaia unitaria, guidata dalla NLL, che includesse la FATULS di Haifa e le varie sezioni della PAWS
distribuite nel paese. Allo stesso tempo crebbero le tensioni tra i comunisti che operavano nella PAWS e
la leadership nazionale, rappresentata dal conservatore e autoritario Sami Taha. Un sindacalista inglese
che visitò la Palestina nel 1945 descrisse lo stile di Taha in questi termini:

La PAWS fu fondata nel 1925 e ha svolto una considerevole quantità di genuino lavoro sindacale.
Negli anni ha certamente superato molte difficoltà politiche, mantenendo alta la sua bandiera. Ma il
suo segretario, Sami Taha, sfuggente come una biscia, ha modificato la scena con un piglio
autoritario, ad esempio l’organizzazione è su base territoriale e non sindacale. Cioè, ogni sezione
elegge il comitato esecutivo, e ogni comitato invia un rappresentante al consiglio supremo ad Haifa;
ma il comitato esecutivo di tutta la PAWS è di fatto il comitato esecutivo della sezione di Haifa, e
questo non viene eletto da dieci anni. Non c’è nessuna democrazia, compagni.

Questo osservatore, comunque, notava che sebbene “Sami Taha sia un topo di fogna…non credo
che sia un topo di fogna completo”163.
Nell’estate del 1944 la sezione di Nazareth della PAWS, guidata dal comunista Fuad Nassar, si
staccò dall’organizzazione e con la FATULS costituì un “consiglio supremo dei lavoratori arabi”, che
tuttavia esisteva solo sulla carta. Ma la maggioranza dei comunisti della PAWS non vollero seguire
l’esempio della sezione di Nazareth. La loro fedeltà peraltro fu messa a dura prova dall’operazione con
cui Sami Taha riuscì a far nominare il suo sodale, l’avvocato di Haifa Hanna Asfur, come delegato al
congresso sindacale internazionale in programma a Londra nel febbraio 1945. Bulus Farah, capo della
FATULS ad Haifa, che insieme ai suoi colleghi della NLL considerava Asfur un reazionario borghese,
andò a Londra solo come osservatore, lo stesso status concesso a George Nassar della PLL.
La scelta di un conservatore e non operaio come Asfur, unitamente al fatto che la conferenza di
Londra adottò una risoluzione sulla Palestina tendenzialmente in favore del sionismo, spinse la sinistra
della PAWS a intensificare la sua campagna contro Sami Taha. In particolare la sinistra decise che i
delegati arabi-palestinesi al congresso fondativo della Federazione Mondiale dei Sindacati (WFTU), in
programma a Parigi alla fine di agosto 1945, dovessero essere scelti democraticamente e fossero dei
salariati. Dopo un meeting a Nablus nel quale Sami Taha e Hanna Asfur si erano autonominati delegati
della PAWS a Parigi, le sezioni di Jaffa, Gerusalemme e Gaza, insieme ad altre otto, si separarono e
formarono l’Arab Workers’ Congress (AWC), al quale presto aderì anche la FATULS. Questa nuova
federazione sindacale, d’accordo con la NLL, scelse Bulus Farah e Mukhlis al-Amr (capo della sezione
PAWS di Gerusalemme) come propri delegati a Parigi. Colà essi riuscirono a bloccare un’altra
risoluzione pro-sionista e aiutarono ad eleggere un comunista libanese, Mustafa al-Aris, come
rappresentante per il Medioriente nell’esecutivo della neonata WFTU, battendo un candidato
dell’Histadrut. Sami Taha e Hanna Asfur in quell’assise furono solo osservatori.

162
Al-Ittihad, 17 giugno 1945
163
Trade Unions Congress Archives
116
8

VERSO LA CATASTROFE
(1945 – 1948)

Conferenza sionista internazionale all’Hotel Biltmore di New York, maggio 1942


Viene fissato l’obiettivo di porre fine al mandato inglese e di creare un Commonwealth ebraico su tutta la Palestina
Al centro il presidente dell’Organizzazione Sionista Mondiale Chaim Weizmann, alla sua sinistra David Ben-Gurion

I cambiamenti politici, economici e sociali che gli anni della guerra avevano arrecato alla Palestina
contribuirono al nuovo scenario nel quale si sarebbe giocata la contesa decisiva tra il sionismo e i
palestinesi. Anche prima della fine della guerra, l’opposizione sionista alla politica inglese era cresciuta,
assumendo anche forme violente e insurrezionali. La campagna sionista stimolò la ripresa del movimento
nazionalista arabo-palestinese. Benchè non si fosse ancora ripreso del tutto dalla sconfitta della rivolta del
1936 – 39, esso era determinato come non mai a fermare l’immigrazione ebraica e a bloccare il progetto
sionista, ma anche a ottenere l’indipendenza della Palestina come stato arabo unitario. Era chiaro che, una
volta finita la guerra, sarebbe cominciata la fase decisiva della lotta per la Palestina.
Curiosamente questi anni, oltre alle crescenti tensioni tra arabi ed ebrei che sarebbero sfociate
nella nascita dello stato sionista, videro anche un livello inedito di cooperazione tra lavoratori arabi ed
ebrei per raggiungere comuni interessi economici, insieme a disperati sforzi di varie forze politche arabe
ed ebree di raggiungere una soluzione pacifica della crisi politica. Per molti arabi ed ebrei non era chiaro
che cosa il futuro avrebbe riservato: e molti di loro cercarono di disegnare questo futuro partecipando in
prima persona alle lotte politiche e socioeconomiche quotidiane.

PROSPETTIVE DI COOPERAZIONE
A differenza della leadership ufficiale del movimento nazionalista palestinese, che era ancora
guidata da Amin al-Husseini, i suoi parenti e i suoi alleati, e che spesso non faceva distinzione tra il
sionismo e l’Yishuv o gli ebrei in generale, la National Liberation League e il suo nuovo fronte sindacale

117
(Arab Workers Congress) continuavano a mantenere la separazione, ereditata dall’idea comunista, tra
sionismo e masse ebraiche in Palestina. Nel gennaio 1945 un articolo pubblicato su Al-Ittihad dichiarava
che i rappresentanti dei lavoratori arabo-palestinesi alla conferenza internazionale sindacale in corso a
Londra dovevano chiarire all’opinione pubblica mondiale che

Noi distinguiamo tra il movimento sionista in quanto movimento sfruttatore e gli ebrei (i lavoratori
ebrei in particolare) in quanto minoranza. Lottando per un governo nazionale autonomo, i lavoratori
arabi cercano di liberare le masse popolari, arabe ed ebraiche, dal giogo dello sfruttamento e del
sionismo, e dichiarano che l’indipendenza nazionale porterà i legittimi diritti nazionali agli ebrei e
alle altre minoranze residenti in Palestina164.

Un altro articolo di Al-Ittihad affermava che i reazionari, adottando una terminologia razzista e
non dichiarando il carattere democratico del movimento arabo-palestinese, avevano permesso al sionismo
di mantenere il controllo sulle masse ebraiche in Palestina, agitando lo spettro dello stato arabo e della
violenza araba. Benchè vi fossero disaccordi tra i dirigenti della NLL/AWC su questa questione, essi in
generale sostenevano non solo che grazie a una chiara posizione democratica e antifascista degli arabi le
masse ebraiche potessero essere liberate dall’influenza del sionismo, ma anche che la cooperazione arabo-
ebraica fosse la chiave per raggiungere l’indipendenza di una Palestina unitaria.
Per questo la sinistra araba venne attaccata dai nazionalisti conservatori arabi. Nel novembre 1945
la Lega Araba promosse la ricostituzione dell’Alto Comitato Arabo (AHC), originariamente creato allo
scoppio della rivolta araba ma defunto dopo la sconfitta della stessa. All’inizio del 1946 Jamal al-
Husseini tornò dall’esilio per assumerne la leadership, benché la presidenza fosse lasciata vacante per suo
cugino, l’esule Amin al-Husseini. Deciso a riaffermare l’egemonia dell’Alto Comitato Arabo sulla
comunità, Jamal al-Husseini denunciò pubblicamente l’AWC accusandolo di cercare l’unità con Ben-
Gurion e gli ebrei. Nella sua replica il dirigente della NLL/AWC Fuad Nassar respinse le critiche di al-
Husseini come prive di fondamento e difese il programma del movimento.
La distinzione della NLL tra sionismo e Yishuv era percepita da pochi o nessuno della gran parte
degli ebrei residenti in Palestina. Sebbene moltissimi ebrei fossero giunti laggiù non per convinzioni
sioniste ma per sfuggire alle persecuzioni in Europa, ciò che maggiormente desideravano era un’illimitata
immigrazione ebraica e uno stato ebraico pienamente sovrano su un territorio il più esteso possibile. Vi
erano comunque forze significative nell’Yishuv che consideravano tale progetto irrealizzabile a causa
dell’opposizione araba, che avrebbe violato i diritti degli arabi, o entrambe le cose. La più importante di
queste forze era Hashomer Hatzair insieme al suo partito urbano gemello, la Socialist League, che nel
1946 si fusero nel Hashomer Hatzair Workers’ Party. Come abbiamo già detto Hashomer Hatzair
rifiutava l’idea dello stato ebraico su parte o su tutta la Palestina, e proponeva al suo posto la costituzione
su tutto il territorio di uno stato binazionale. Allo stesso tempo Hashomer Hatzair riaffermava la libertà di
immigrazione per gli ebrei, senza restrizioni.
La posizione favorevole all’unità arabo-ebraica da parte della NLL/AWC contribuì al
miglioramento delle relazioni tra le rispettive organizzazioni operaie. Nell’agosto 1945 un articolo
nell’edizione in lingua inglese di al-Ittihad faceva appello ai lavoratori ebrei

che si mostravano volonterosi a coordinare le loro attività con gli operai arabi, a dispetto del tabù
osservato dall’Histadrut…Le condizioni per cooperare ci sono sempre state e ora dipende dalla
politica dell’Histadrut, che ha sempre promosso la cooperazione solo allo scopo di promuovere la
politica sciovinista del sionismo. In realtà, il futuro è nelle mani degli stessi lavoratori che si
impegneranno a costruire questa cooperazione per portare democrazia, pace e libertà in Palestina165.

Sebbene in misura minore, anche la PAWS in questo periodo cooperò con l’Histadrut in certi casi,
quando quest’ultima non ambiva a rappresentare i lavoratori arabi e trattava la PAWS alla pari.
Da parte dell’Histadrut, appunto, la paralisi pressoché totale in cui era caduta la PLL nel 1945
convinse molti dirigenti che per proteggere i numerosi ebrei impiegati nei luoghi di lavoro misti non vi
era alternativa alla cooperazione coi sindacati arabi. Abba Hushi sembra essere stato tra i primi a

164
Al-Ittihad, 14 gennaio 1945
165
Al-Ittihad (edizione inglese), 15 agosto 1945
118
inaugurare questo nuovo orientamento dell’Histadrut. Nell’agosto 1945 egli inviò una lettera
insolitamente gentile, quasi amichevole, a Sami Taha proponendo la cooperazione per il periodo post-
bellico a venire. Taha replicò che, pur sostenendo la cooperazione arabo-ebraica come principio, il
legame del movimento operaio ebraico col sionismo, reso evidente dalla continua campagna per il lavoro
ebraico, per il momento rendeva il lavoro congiunto impossibile. La riluttanza di Sami Taha
probabilmente era dovuta ai suoi nuovi legami con la leadership del movimento nazionalista. Quando
Jamal al-Husseini riorganizzò l’AHC nell’aprile 1946, per alcuni mesi vi inserì Sami Taha, e
successivamente questi mantenne contatti e incarichi e fu anche incluso nella delegazione dell’AHC ai
negoziati che si tennero senza esito a Londra nel 1947166.
Inserendo Taha nei suoi ranghi l’AHC cercava di isolare e indebolire la NLL/AWC, e di rendere più
difficile la cooperazione tra la PAWS e l’Histadrut. Ciononostante la PAWS e anche l’AWC
dimostrarono frequentemente la volontà di cooperare con l’Histadrut, sebbene le interazioni tra queste tre
organizzazioni non furono mai esenti da conflitti e sospetti. In questo periodo tre settori di particolare
importanza economica e politica videro delle occasioni di cooperazione tra lavoratori arabi ed ebrei: il
settore petrolifero; quello dei servizi, inclusi i ferrovieri; e le basi militari inglesi.

IL SETTORE PETROLIFERO 1943 – 48


Nel 1934 era stato completato un oleodotto per il trasporto del petrolio greggio dai pozzi del nord
dell’Iraq attraverso la Transgiordania, fino al porto di Haifa. Presto dunque i funzionari del governo
inglese cominciarono a discutere la costruzione di una raffineria ad Haifa, che avrebbe permesso di
trasformare il greggio iracheno in carburante per le navi da guerra inglesi nel Mediterraneo orientale e di
rafforzare la posizione delle compagnie petrolifere inglesi nel mercato mondiale. La costruzione della
raffineria di Haifa, che era posseduta e gestita dalla Consolidated Refineries Limited (CRL), di cui una
branca sarebbe poi diventata la British Petroleum, iniziò alla fine del 1938 in un luogo circa 7 chilometri a
nord del centro di Haifa, sull’autostrada Haifa – Acri, non lontano dalle officine ferroviarie. La PAWS
aveva una forte base tra i lavoratori arabi della raffineria, sebbene così fosse anche per i suoi rivali della
FATULS; solo circa 30 lavoratori erano iscritti alla PLL. Sebbene gli ebrei costituissero circa un terzo
della forza lavoro, essi occupavano la maggior parte dei posti qualificati e da impiegati; solo metà di loro
però erano iscritti all’Histadrut, un livello più basso della media degli altri luoghi di lavoro. Come nei
campi militari, i lavoratori della raffineria erano entrati da poco nella condizione di salariati industriali.
In linea con la politica dell’Histadrut del 1942 – 43, il consiglio operaio di Haifa inizialmente fece
pressioni sul management della CRL per farsi riconoscere come esclusivo rappresentante di tutti i
lavoratori, sia ebrei che arabi. Quando la richiesta fu respinta, l’Histadrut fu indotta a intavolare trattative
con la PAWS e la FATULS per costituire un comitato congiunto dei lavoratori. Queste trattative si
concentrarono sulla rappresentanza, con l’Histadrut che chiedeva la parità arabo-ebraica e i sindacati
arabi che insistevano che la composizione del comitato doveva riflettere la composizione etnica della
forza lavoro. Nella primavera del 1943 l’Histadrut decise autonomamente di avviare una vertenza per i
propri iscritti, nella speranza di ottenere per loro paghe più alte, miglioramento delle condizioni di lavoro
e soprattutto l’indennità di contingenza per far fronte alla mostruosa inflazione. Con la mediazione del
dipartimento governativo, l’Histadrut ottenne l’estensione del COLA alla raffineria e il proprio
riconoscimento di rappresentante dei lavoratori ebrei.
L’aggravarsi dell’inflazione e l’approssimarsi della minaccia di licenziamenti alla fine della guerra
condussero infine alla cooperazione arabo-ebraica. Durante l’autunno del 1945 la PAWS e l’Histadrut
negoziarono congiuntamente con la CRL e ottennero diverse rivendicazioni dei lavoratori, che erano
intanto diventati 1.800 e in posizione di forza grazie all’unità. Né i lavoratori della raffinerie né quelli
delle compagnie petrolifere operanti in Palestina (Iraq Petroleum Company, Socony Vacuum e Shell le
più importanti) parteciparono allo sciopero generale dei dipendenti pubblici dell’aprile 1946, tuttavia
subito dopo il loro dinamismo spinse le organizzazioni sindacali a una politica di rivendicazioni più
aggressiva. Tuttavia, questo coincise con una nuova fase di rivalità tra la PAWS e l’Histadrut, a causa dei
nuovi tentativi di quest’ultima di rappresentare i lavoratori arabi.
La PAWS si rifiutò di aderire a uno sciopero nazionale dei lavoratori della Socony Vacuum
indetto congiuntamente dall’Histadrut e dall’AWC alla fine di aprile 1946. Sami Taha attaccò l’Histadrut

166
Issa Khalaf, Politics in Palestine: Arab Factionalism and Social Disintegration, 1939-1948, 1991
119
perché aveva dichiarato lo sciopero unilateralmente, mentre egli stava conducendo trattative con il
management; l’Histadrut denunciò la PAWS come complice delle compagnie petrolifere e facendo leva
sull’alleanza di fatto con l’AWC provò a escluderla dai negoziati. Pare che la maggioranza dei salariati
arabi abbia aderito allo sciopero tranne che ad Haifa, dove la PAWS ebbe buon gioco a dissuaderli. Lo
sciopero durò dodici giorni e portò ad alcuni risultati per i lavoratori. L’Histadrut e l’AWC provarono a
escludere la PAWS dal nuovo contratto, ma la direzione la volle includere e Sami Taha potè affermare
che la firma era il risultato delle sue trattative e non dello sciopero. Fu chiaro però che egli aveva subito
una sonora sconfitta.
Dopo lo sciopero del 1946 l’Histadrut ipotizzò ancora una volta di provare a scavalcare i sindacati
arabi e stabilire contatti diretti con i lavoratori, specialmente i colletti bianchi di quello che veniva
chiamato il “settore internazionale” (le compagnie straniere appunto). Ma non riuscì a prendere
l’iniziativa che già un’altra protesta dei lavoratori prendeva piede ad Haifa all’inizio del 1947.
All’inizio il fulcro dell’azione fu ancora la raffineria, ove l’80% dei 1.800 dipendenti erano arabi
ma gli ebrei costituivano il 44% dei colletti bianchi. Per la rivalità reciproca né la PAWS né l’Histadrut
erano ansiose di guidare un nuovo sciopero, ma i dipendenti iscritti all’AWC spingevano per l’azione, con
l’aiuto del comitato operaio ebraico animato da attivisti di Hashomer Hatzair, e a metà gennaio 1947
scoppiò uno sciopero spontaneo che coinvolse subito centinaia di salariati. La PAWS cercò di far finire lo
sciopero il prima possibile per non perdere posizioni di influenza nell’azienda, ma così facendo si alienò
ancor di più le simpatie degli altri sindacalisti, tanto che questi tennere alcune assemblee dei dipendenti
della raffineria non nella sede della PAWS ma in quella della sezione locale di Hashomer Hatzair, indice
del buon livello di cooperazione arabo-ebraica.
La sinistra sindacale araba era particolarmente furiosa con Sami Taha per il sabotaggio dello
sciopero. Al-Ittihad sarcasticamente denunciò gli “insigni sindacalisti” della PAWS che

Presi dal desiderio di preservare i loro fratello arabi dalle spire dei sionisti dell’Histadrut, hanno
pensato che l’unico modo per ostacolare i piani di quest’ultima e isolarla dalle masse operaie fosse
chiedere ai lavoratori di tornare al lavoro, con la scusa che lo sciopero era stato loro imposto dai
funzionari dell’Histadrut167.

Pochi mesi dopo il comitato dei lavoratori arabi della CRL denunciò pubblicamente la PAWS per
la sua condotta.
La PAWS finì sotto accusa anche quando all’inizio del marzo 1947 il malcontento all’Iraq
Petroleum Company sfociò in un altro sciopero. La compagnia impiegava circa 2.500 persone, e gli arabi
erano il 98% degli operai e l’84% degli impiegati. L’AWC era la forza dominante. Uno sciopero di circa
1.600 lavoratori (incluse alcune dozzine di ebrei), soprattutto per i salari, iniziò il 6 marzo e durò fino al
19, concludendosi con la soddisfazione di alcune richieste, anche se non certo tutte. Gli scioperanti
ricevettero la solidarietà di tutti lavoratori arabi della Palestina, ma l’AWC accusò Sami Taha di aver
provato a farlo fallire, e alla fine di aprile 1947 il sindacato alla CRL sciolse formalmente i suoi legami
con la PAWS.
Vi furono altre manifestazioni di dinamismo operaio in questo periodo nel settore petrolifero. Esse
riguardarono quasi esclusivamente lavoratori arabi, con l’eccezione della raffineria di Haifa. L’Histadrut
era preoccupata per il numero proporzionalmente basso di addetti ebrei nel settore, e i suoi funzionari ad
Haifa si rivolsero alla sede centrale a Tel Aviv per avere fondi per una campagna volta all’assunzione di
un maggior numero di ebrei. Abba Hushi disse all’esecutivo dell’Histadrut che si doveva “mettere
all’ordine del giorno la conquista del lavoro nelle città. Nei prossimi anni dobbiamo raggiungere i 5.000
nuovi assunti: alle poste, alle ferrovie, nei telegrafi. Oggi sono gli arabi ad avere quei lavori – ed è
questo che determinerà il destino di Haifa”168.
Ma Hushi aveva torto: sarebbe stata infatti la superiorità militare ebraica a decidere il destino di
Haifa nella primavera del 1948, portando alla fuga dalla città della grande maggioranza dei suoi abitanti
arabi. La raffineria, come vedremo, sarebbe stata teatro di uno dei più sanguinosi episodi del conflitto
arabo-ebraico successivo alla risoluzione di partizione dell’ONU del 29 novembre 1947.

167
Al-Ittihad, 2 febbraio 1947
168
Esecutivo dell’Histadrut, minute e corrispondenze
120
LO SCIOPERO GENERALE DELL’APRILE 1946
Il più vasto e significativo episodio di azione congiunta tra lavoratori arabi ed ebrei nella storia
della Palestina ebbe luogo nell’aprile 1946. I lavoratori di poste, telefoni e telegrafi furono protagonisti di
quello che divenne un vastissimo sciopero generale dei dipendenti pubblici. I funzionari delle poste
avevano a lungo ignorato le richieste dei dipendenti, guidati da Sami Taha della PAWS e Yehezkel
Abramov, segretario dell’Unione Internazionale dei Lavoratori di Ferrovie, Poste e Telegrafi (IU),
cosicchè venne indetto un piccolo sciopero dei lavoratori delle poste e telegrafi di Tel Aviv, per lo più
ebrei, in data 9 aprile 1946. Abramov aveva voluto che lo sciopero fosse rinviato a dopo la partenza dalla
Palestina della commissione di inchiesta anglo-americana, per paura che per mano dei nazionalisti arabi si
trasformasse in una protesta contro la commissione stessa. In questo settore i sindacalisti arabi ed ebrei
avevano molti anni di esperienza di lavoro comune alle spalle, e i rapporti erano per lo più amichevoli.
Il giorno prefissato i lavoratori, compresi 30 o 40 arabi impiegati all’ufficio postale di Tel Aviv,
scesero in sciopero. Il loro esempio risultò contagioso e il giorno seguente tutti i dipendenti delle poste in
Palestina non erano al lavoro. Nelle trattative seguenti i dirigenti delle poste fecero subito ampie
concessioni, e l’Histadrut raccomandò ai lavoratori di accettare e porre fine all’agitazione. Invece essi non
vollero fare compromessi e votarono per il rifiuto delle offerte padronali e la prosecuzione dello sciopero.
L’agitazione si allargò: il 14 aprile i ferrovieri arabi ed ebrei, membri sia dell’IU che dell’AURW, si
fermarono, paralizzando il settore.
Non vi era mai stato uno sciopero generale congiunto di ferrovieri e postelegrafonici in Palestina,
ma ciò che lo rese ancor più straordinario fu il fatto che i colletti bianchi di basso e medio livello
dipendenti del governo si unirono alla protesta. Il 15 aprile 1946, meno di una settimana dall’inizio
dell’agitazione dei postali di Tel Aviv, circa 23.000 dipendenti del governo mandatario erano in sciopero.
Per un po’ sembrò che anche le decine di migliaia di lavoratori delle basi militari inglesi e dei lavoratori
petroliferi si unissero allo sciopero. Questo certamente è quanto speravano i comunisti arabi ed ebrei. Un
opuscolo del 18 aprile firmato congiuntamente da NLL e PCP chiamava tutti i lavoratori a unirsi allo
sciopero generale, attaccando il “governo imperialista” mandatario che destinava più di un quinto del suo
budget annuale alla polizia e alle carceri e solo l’8% a salute, educazione e welfare messi assieme.
Tuttavia sia l’Histadrut che la PAWS si opposero allo sciopero nelle basi e nelle raffinerie. L’Histadrut
temeva che l’estensione dello sciopero mettesse in difficoltà la lotta dell’Yishuv per spingere gli inglesi
ad aumentare l’immigrazione ebraica, ma ciò non impedì ad Abba Hushi di attribuire a Sami Taha
l’iniziativa di ritirarsi dallo sciopero. Hushi affermò che all’inizio dello sciopero Taha aveva ricevuto una
telefonata dal quartier generale della Lega Araba al Cairo che gli diceva di non andare troppo oltre nella
cooperazione con gli ebrei. La versione di Hushi non fu mai confermata, ma è certamente possibile che
Taha abbia usato la sua influenza per impedire l’estensione dello sciopero.
Sebbene né i lavoratori delle raffinerie né quelli delle basi militari si unissero allo sciopero, esso di
fatto paralizzò l’amministrazione mandataria e costrinse il governo a cedere a molte delle richieste dei
suoi dipendenti, incluso l’aumento dei salari e del COLA e miglioramenti pensionistici. Le forze di
sinistra sia arabe che ebraiche salutarono lo sciopero di aprile come una grande vittoria, e la
dimostrazione evidente di ciò che si poteva ottenere con la solidarietà di classe. Avvisando di guardarsi
dagli “elementi disfattisti e reazionari, sia arabi che ebrei”, la NLL e il PCP definirono lo sciopero “un
colpo alla politica del ‘divide et impera’ dell’imperialismo, uno schiaffo in faccia ai portatori di
ideologie scioviniste e divisioni nazionali”. Mishmar, l’organo di Hashomer Hatzair, a sua volta applaudì
allo sciopero e affermò che esso dimostrava la possibilità e l’efficacia della cooperazione arabo-ebraica. Il
Davar, organo dell’Histadrut e fedele esponente della linea del MAPAI, espresse una posizione ambigua.
I giornali più conservatori erano quasi terrorizzati. Filastin criticò la PAWS per la sua adesione a un
movimento che giudicava ispirato dai sionisti e largamente funzionale ai loro interessi. Il quotidiano
ebraico di destra Maariv inizialmente approvò lo sciopero ma poi lo criticò in quanto dannoso per la
causa sionista169.
Qualunque cosa le varie forze politiche fecero dopo lo sciopero, esso si dimostrò essere un caso
isolato. Sebbene alcune categorie fossero ancora in agitazione nei mesi seguenti, non vi furono più
proteste degne di nota. La speranza di una cooperazione arabo-ebraica suscitata dallo sciopero generale si
dissipò presto con l’avanzata della crisi politica nella quale la Palestina finì l’anno successivo.

169
Histadrut Archives
121
LE BASI MILITARI INGLESI 1945 – 48
Le basi militari inglesi, che durante la guerra avevano rappresentato un importante luogo di
interazione tra lavoratori arabi ed ebrei, mantennero la loro rilevanza anche dopo la fine del conflitto.
Molti dei salariati dei campi e dei sindacati che li rappresentavano conservarono la coscienza degli
interessi comuni, maturata affrontando problemi comuni come la disciplina militare, le difficili condizioni
di lavoro, l’aumento dei prezzi etc.
Aumentò comunque anche la prospettiva della perdita del posto. Con l’avanzata degli alleati e dei
sovietici in Nord Africa e in Europa e la fine della minaccia tedesca sul Medioriente, le necessità
dell’esercito inglese di impiegare civili in Palestina diminuirono. Nell’ottobre del 1943 il dipartimento
della guerra impiegava circa 50.000 civili in Palestina, ma all’inizio del 1944 questo numero era sceso a
47.500 e a marzo sotto i 44.000. La fine della guerra in Europa portò a un numero molto più alto di
licenziamenti: durante i primi dieci mesi del 1945 quasi 20.000 lavoratori dei campi persero il posto.
L’ondata di licenziamenti quindi si arrestò, e nei sei mesi successivi il trasferimento in Palestina di forze
inglesi di stanza in Siria e l’espansione delle infrastrutture militari esistenti portarono all’assunzioni di
una quota supplementare di addetti. Nell’aprile 1946 un funzionario dell’Histadrut stimò che le forze
armate britanniche impiegassero in Palestina circa 22.000 arabi e 8-9.000 ebrei, anche se il dato reale
probabilmente era più alto. Era chiaro comunque che nel lungo periodo questo numero sarebbe sceso
drasticamente170.
La situazione critica dei lavoratori dei campi ricevette l’attenzione dei sindacati a partire dal 1945.
Al-Ittihad scrisse che i lavoratori della Palestina avevano sostenuto lo sforzo bellico alleato e ora
necessitavano del sostegno del governo mandatario per contenere la disoccupazione e aumentare i
salari171. L’Histadrut aveva preoccupazioni simili, e in aggiunta temeva per il destino della minoranza dei
lavoratori ebrei, che avrebbero potuto essere particolarmente colpiti dai licenziamenti. Data
l’impossibilità di rappresentare direttamente i lavoratori arabi, come visto in occasione dello sciopero del
1943, in tale situazione l’azione congiunta coi sindacati arabi era essenziale.
Uno dei primi luoghi in cui questo nuovo spirito collaborativo si manifestò furono le officine
allestite dall’esercito inglese sui terreni di quella che era stata la Fiera del Levante, nei dintorni di Tel
Aviv. Nel settembre 1945 l’AWC e l’Histadrut organizzarono e guidarono congiuntamente uno sciopero
di sette giorni di circa 1.300 lavoratori, per ottenere il riconoscimento del proprio comitato unitario, il
pagamento del COLA e la riassunzione di alcuni lavoratori licenziati ingiustamente. I lavoratori arabi ed
ebrei organizzarono picchetti davanti ai cancelli della fiera e organizzarono una marcia per le strade di
Tel Aviv, cantando nelle due lingue slogan come: “I lavoratori arabi ed ebrei sono fratelli”, “Lunga vita
all’Histadrut e all’Arab Workers’ Society (affiliata all’AWC)” Il quotidiano in lingua ebraica Haaretz
scrisse di “masse di persone affollate ai lati delle strade per vedere lo straordinario spettacolo di
lavoratori arabi ed ebrei che marciavano insieme nel cuore di Tel Aviv”172.
Tuttavia la cooperazione fu resa difficoltosa da alcuni fattori. Uno fu la divisione del movimento
operaio arabo in due fazioni ormai ostili tra loro, ognuna delle quali era radicata tra i lavoratori arabi dei
campi. L’AWC non aveva remore ideologiche alla collaborazione coi sionisti dell’Histadrut
limitatamente alla lotta di classe, a patto che questi ultimi si astenessero dal reclutamento dei lavoratori
arabi. Invece la direzione della PAWS in questo periodo era riluttante a collaborare con l’Histadrut per le
questioni di nazionalismo che abbiamo già visto. Sia i sindacalisti arabi che quelli ebrei sapevano che
senza l’apporto degli 8.000 lavoratori dei campi che sostenevano l’organizzazione di Sami Taha, sarebbe
stato molto difficile, se non impossibile, condurre una lotta vittoriosa.
Un altro fattore negativo era il malcontento tra i lavoratori arabi per le paghe più alte spesso
percepite dai lavoratori ebrei a parità di impiego, così come la loro migliore collocazione nei vari settori.
Sami Taha aveva sollevato la questione in un telegramma alle autorità nel 1944, e al-Ittihad la riprese
all’inizio del 1946 riportando che i lavoratori arabi della base di Beit Nabala, vcino a Lydda, chiedevano
non solo paghe più alte ma anche uguali a quelle degli ebrei, oltre all’assunzione di più capisquadra arabi
poiché i capisquadra ebrei davano l’impressione di fare discriminazioni nel trattamento dei dipendenti. Le

170
Foreign Office papers
171
Al-Ittihad, 17 giugno 1945
172
Haaretz, 25 settembre 1945
122
proteste arabe in questo caso culminarono con scontri e feriti. Secondo l’organo dell’AWC, i lavoratori
arabi volevano più capisquadra arabi “non perché odiano i capisquadra ebrei, ma perché questi ultimi
eseguono fedelmente i piani dei sionisti; come dice il detto, ‘non combattiamo il lupo per il suo aspetto
ma perché mangia le nostre pecore’”. Nella primavera del 1947 circa 1.500 lavoratori arabi delle basi
militari intorno ad Haifa parteciparono a uno sciopero di un’ora organizzato dalla PAWS per chiedere che
i capisquadra ebrei fossero rimpiazzati da arabi.
Ciononostante, nei primi mesi del 1947 l’Histadrut cercò di accordarsi sia con la PAWS che con
l’AWC, fungendo in questa fase anche da mediatore tra le due fazioni arabe. Quando nel maggio 1947 le
autorità inglesi diedero il via a una nuova serie di licenziamenti senza preavviso, i sindacalisti arabi
lanciarono una giornata di sciopero in tutti i campi, alla quale l’Histadrut aderì. Lo sciopero, fissato per il
20 maggio, coinvolse circa 40.000 lavoratori e si svolse senza incidenti. A partire da questo risultato la
PAWS avrebbe voluto condurre un’ulteriore azione di allargamento dello sciopero, ma i funzionari
dell’Histadrut si opposero poiché temevano che ciò avrebbe giovato alla causa nazionalista.
Con il volgere della primavera nell’estate, poiché le trattative tra i rappresentanti sindacali e le
autorità inglesi non procedevano come sperato, la PAWS e l’AWC iniziarono a spingere per uno sciopero
di durata indefinita. All’inizio di luglio la PAWS dichiarò che se non vi fossero stati progressi entro 25
giorni, avrebbe chiamato i lavoratori a scioperare. L’Histadrut si era convinta che Sami Taha e i suoi
fossero strumenti dei piani nazionalisti di Amin al-Husseini, che era ancora in esilio, e che uno sciopero
nei campi in questa fase avrebbe danneggiato la causa sionista in un momento politicamente significativo.
Come Berl Repetur successivamente affermò in un rapporto all’esecutivo dell’Histadrut, “temevamo uno
sciopero arabo-ebraico, uno sciopero che sarebbe stato anti-ebraico dal punto di vista politico”. Perciò
l’Histadrut rifiutò la proposta della PAWS e in alternativa propose uno sciopero di tre giorni.
Per un momento sembrò che sia l’AWC che la PAWS fossero d’accordo, ma all’inizio di agosto
quest’ultima annunciò unilateralmente che il 25 di quel mese i lavoratori dei campi sarebbero scesi in
sciopero. L’AWC denunciò questa decisione come dannosa per i lavoratori e accusò la PAWS di
collaborare in segreto con l’Histadrut per emarginare l’AWC. L’Histadrut e la PAWS in effetti si
incontrarono e decisero di astenersi da azioni unilaterali. Pochi giorni dopo le autorità inglesi
annunciarono l’accoglimento di alcune delle rivendicazioni dei lavoratori dei campi. Sebbene la richiesta
principale, ovvero un’indennità per i licenziati, non fosse accolta, questa piccola vittoria allentò la
tensione tra l’Histadrut, la PAWS e l’AWC. Subito dopo il dipartimento della guerra riconobbe i sindacati
arabi e l’Histadrut come legittimi rappresentanti dei lavoratori dei campi, lasciando intendere la
possibilità di ulteriori benefici per questi ultimi.

LA DISINTEGRAZIONE DEL MOVIMENTO OPERAIO ARABO


Il 31 agosto 1947 la Commissione Speciale delle Nazioni Unite per la Palestina (UNSCOP)
diramò le sue indicazioni per la soluzione del problema palestinese. L’UNSCOP era stata istituita
dall’Assemblea generale dell’ONU il maggio precedente dopo che una stremata Gran Bretagna, non
riuscendo a soffocare l’insurrezione sionista, a promuovere un accordo tra arabi ed ebrei e a imporre una
propria soluzione, aveva demandato la questione alle Nazioni Unite. La Commissione aveva visitato la
Palestina nell’estate, e dopo lunghe discussioni aveva votato a maggioranza un rapporto che
raccomandava la partizione della Palestina in uno stato arabo e uno ebraico, con Gerusalemme sotto
controllo internazionale. Secondo questo rapporto, lo stato ebraico avrebbe compreso circa il 55% del
territorio palestinese, mentre la popolazione ebraica ammontava a meno di un terzo rispetto a quella
araba. La leadership sionista applaudì al disegno di partizione, anche se mirava ad avere un territorio
ancora più vasto. Il movimento nazionalista arabo-palestinese, come gli stati arabi, si oppose fortemente
al rapporto, considerandolo una violazione del diritto all’autodeterminazione nazionale della maggioranza
araba indigena, da realizzarsi in una Palestina unitaria.
All’indomani della pubblicazione del rapporto iniziò un’intensa battaglia diplomatica per ottenere
l’approvazione dell’Assemblea generale, con un voto a maggioranza qualificata (due terzi). In Palestina il
clima tra gli arabi e gli ebrei cambiò bruscamente, e la cooperazione tra lavoratori e sindacati arabi ed
ebrei fu messa in grave difficoltà. Il movimento operaio arabo andò incontro a una vera e propria paralisi,
che colpì in particolare la PAWS.
L’Histadrut era convinta che il segretario generale della PAWS, Sami Taha, fosse da tempo alle
complete dipendenze di Amin al-Husseini, Mufti di Gerusalemme e presidente dell’AHC. In realtà, il
123
Mufti e i suoi alleati erano sempre più arrabbiati con Taha per le sue frequenti prese di distanza dagli
ordini dell’AHC, ad esempio in occasione del rifiuto della PAWS nel novembre 1946 di aderire
all’appello dell’AHC per una giornata di sciopero nell’anniversario della Dichiarazione Balfour. A ciò si
aggiungevano l’adozione da parte della PAWS di slogan vagamente “socialisti” e le voci sul progetto di
Taha di creare un partito politico arabo autonomo. Vi era l’impressione che Taha fosse favorevole a
trovare una sorta di modus vivendi con gli ebrei, e potesse anche accettare la partizione, cosa ipotizzata
dalla constatazione dei legami del segretario della PAWS con alcuni dei rivali del Mufti in esilio, in
particolare Musa al-Alami, che nell’estate del 1947 era considerato dalla fazione di Husseini come il
leader delle forze arabe più disponibili al compromesso con il sionismo173.
La spaccatura tra Sami Taha e l’AHC divenne di dominio quando alla fine dell’agosto 1947 il
leader della PAWS venne attaccato dai giornali legati alla fazione Husseini, specialmente al-Wahda. Taha
e la sua organizzazione furono accusati non essere abbastanza anti-sionisti e anti-inglesi, non abbastanza
allineati alla posizione nazionalista ufficiale, e correvano voci che Taha fosse pagato dai sionisti. Al-
Wahda citava una risoluzione del congresso nazionale della PAWS, tenutosi ad Haifa alla fine di agosto,
la quale affermava che “gli ebrei arabi sono nostri concittadini e fratelli”. La PAWS rispose pubblicando
una serie di opuscoli che respingevano le accuse; l’ultimo di questi, datato 9 settembre 1947, sottolineava
che lo stesso Alto Comitato Arabo aveva recentemente dichiarato che gli ebrei che avevano abitato il
paese prima della conquista britannica e i loro discendenti erano i benvenuti come cittadini della futura
Palestina araba indipendente.
Il 12 settembre 1947 Sami Taha fu assassinato davanti a casa sua ad Haifa. Il responsabile non fu
mai trovato, ma si credette che Taha fosse stato ucciso su ordine di Amin al-Husseini. Probabilmente non
è un caso che il fatto accadde subito dopo l’uscita del rapporto di partizione dell’UNSCOP, contro il
quale l’AHC diede subito indicazione di battersi con ogni mezzo a disposizione.
Nel frattempo gli inglesi iniziarono l’evacuazione delle proprie forze militari dalla Palestina, e i
lavoratori dei campi furono così colpiti da una nuova ondata di licenziamenti. La PAWS non riuscì più a
riprendersi dall’uccisione del suo segretario. Nell’autunno e inverno 1947 e nei primi mesi del 1948, con
la sua base nei campi militari e nelle istituzioni del governo mandatario che andava disfacendosi, la sua
attività declinò sempre più fino a raggiungere un grado di paralisi. All’inizio di aprile 1948 Eliyahu
Agassi dell’Histadrut si incontrò ad Haifa con Said Qawwas e Husayn Nasir, vecchi leader della PAWS.
Un adirato Qawwas rimproverò Agassi per i giudizi negativi riportati su Haqiqat al-Amr a proposito degli
arabi e del movimento operaio arabo174. “Perché si parla solo dei problemi con il Mufti? Non ci sono
problemi con Ben-Gurion?” chiese Qawwas. Da allora la PAWS praticamente cessò di esistere, e i suoi
principali dirigenti si dispersero poche settimane dopo, quando i quartieri arabi di Haifa si arresero alle
forze militari ebraiche e la grande maggioranza degli abitanti lasciò la città.
L’AWC non ebbe miglior fortuna tra la fine del 1947 e l’inizio del 1948. Tenne un congresso
apparentemente ben riuscito nel settembre (il terzo). Ma nelle settimane successive l’attivismo operaio fu
sempre più ostacolato dalle crescenti tensioni politiche, e in particolare l’AWC e la NLL che lo guidava
furono gettati nello sconforto dalla drammatica scelta di campo dell’Unione Sovietica sulla questione
palestinese.
Pur non essendo formalmente un partito comunista, la NLL aveva partecipato alla conferenza dei
partiti comunisti dell’impero inglese, tenutasi a Londra nel febbraio-marzo 1947. Tuttavia l’Unione
Sovietica iniziò a distanziarsi dalla sua tradizionale posizione sulla Palestina e sul sionismo nella
primavera del 1947, e la abbandonò del tutto nell’autunno, nel pieno della lotta per la risoluzione di
partizione all’ONU. Nel maggio 1947 il rappresentante sovietico Andrei Gromyko disse abbastanza
chiaramente all’ONU che il suo governo stava seriamente riconsiderando la sua storica posizione
contraria allo stato ebraico in Palestina. Esprimendo empatia per le sofferenze del popolo ebraico durante
la guerra, e mostrando comprensione per le aspirazioni del popolo ebraico sulla Palestina, Gromyko
implicitamente riconosceva l’esistenza di due comunità nazionali e a malincuore concludeva che, se non
vi erano le condizioni per una coesistenza pacifica di arabi ed ebrei all’interno di un unico stato, la
partizione sarebbe stata la sola soluzione possibile.
173
Fonti di Hashomer Hatzair riportano anche che durante l’estate del 1947 Sami Taha aveva suscitato le ire del Mufti per aver
ostacolato il progetto di usare uno sciopero dei lavoratori dei campi come miccia per accendere una rivolta anti-ebraica alla
vigilia dell’arrivo dell’UNSCOP nel paese.
174
Haqiqat al-Amr, 10 e 19 settembre 1947
124
I dirigenti della NLL fecero del loro meglio per evitare di far fronte alle implicazioni del discorso
di Gromyko, ma non poterono ignorare l’esplicita decisione dell’URSS di approvare il rapporto di
partizione dell’UNSCOP. Il risultato fu una scissione nella NLL. Alcuni dei leader si allinearono alla
nuova linea sovietica, accettando la partizione; altri la rifiutarono, a avrebbero cercato di partecipare alla
lotta contro la creazione dello stato ebraico. In seguito alla sicssione, alla soppressione del giornale al-
Ittihad da parte delle autorità inglesi nel febbraio 1948 e al trasferimento di gran parte della popolazione
araba-palestinese nei mesi che seguirono, la NLL e l’AWC caddero nello scompiglio. Nella primavera del
1948 attivisti dell’AWC collaborarono all’organizzazione delle unità di autodifesa a Jaffa e Gaza per
proteggere i quartieri poveri, ma furono trascinati nella sconfitta. La nuova sinistra araba emersa in
Palestina durante gli anni della guerra veniva così travolta dall’incedere delle tensioni interetniche,
tensioni che essa aveva sperato di stemperare attraverso la solidarietà di classe arabo-ebraica.

L’ULTIMO SERVIGIO DELLA PLL AL SIONISMO


Nella primavera del 1946 le discussioni interne tra i funzionati dell’Histadrut avevano portato alla
conclusione che la PLL non fosse più uno strumento utile alla causa sionista. Tuttavia, essa ritornò utile
ancora una volta a fini di pura propaganda. Il memorandum che l’Histadrut sottopose all’UNSCOP
nell’estate del 1947 includeva una sezione nella quale la PLL (di cui si esagerava il numero di iscritti fino
a 2.500) veniva rappresentata come lo strumento essenziale della cooperazione tra arabi ed ebrei e si
rimproverava la “leadership politica reazionaria” della comunità araba che impediva “al nascente
proletariato arabo di trovare il suo naturale alleato nell’Histadrut”. I funzionari del dipartimento arabo
compresero l’utilità che questi pochi arabi palestinesi favorevoli al sionismo avrebbero potuto avere
presso l’opinione pubblica internazionale. Riferendosi alle imminenti conferenze degli scout in Francia,
dei giovani a Praga, degli atleti a Varsavia, notarono che “è auspicabile che anche le delegazioni arabe
amiche partecipino a queste conferenze insieme alle delegazioni ebraiche. La PLL può formare queste
delegazioni scegliendo alcuni dei suoi membri”. Ancora nel giugno 1947 l’Histadrut inviò George Nassar
a Praga come rappresentante della PLL a un meeting del consiglio generale della WFTU, accompagnato
da Eliyahu Agassi; il dipartimento arabo ritenne utile che fosse inviato anche un altro delegato arabo,
preferibilmente musulmano, per dare alla delegazione una migliore apparenza175.
Nel marzo 1948 ciò che rimaneva del dipartimento arabo dell’Histadrut a Tel Aviv era dedito alla
propaganda, mentre la PLL era poco più che un’agenzia di collocamento attraverso la quale circa 100
lavoratori arabi ad Haifa trovavano impiego nelle imprese ebraiche del porto, soprattutto la Solel Boneh.
Quando la battaglia per il controllo di Haifa si intensificò nell’aprile 1948, i contatti tra i quartieri
arabi ed ebraici divennero sempre più difficili. Nella seconda metà di aprile, dopo alcune settimane di
combattimenti e di intensi bombardamenti dei quartieri arabi da parte delle forze militari ebraiche, la
resistenza araba fu vinta. La parte araba di Haifa si arrese il 22 aprile, e nei giorni che seguirono la gran
parte della popolazione araba, terrorizzata, fu evacuata verso nord sotto la tutela inglese, in direzione di
Acri e del Libano; molti finirono nei campi profughi in Libano. In visita ai quartieri arabi di Haifa alla
fine di aprile, Eliyahu Agassi scrisse che “le strade un tempo affollate e rumorose ora erano divenute
silenziose come un cimitero”. Ma egli riuscì a rintracciare alcuni membri della PLL che erano rimasti
nelle loro case, fece loro avere del cibo e provò a rassicurarli dei diritti di cui i lavoratori arabi avrebbero
goduto nello stato ebraico, la cui nascita era questione di poche settimane176.

HASHOMER HATZAIR E LA FINE DEL SOGNO BINAZIONALE


I militanti di Hashomer Hatzair impegnati nell’attività araba all’inizio del 1945 erano giunti alla
conclusione che la PLL non solo era inutile ma rappresentava anche un serio ostacolo allo sviluppo di
buone relazioni con il movimento operaio arabo. Un attivista di Hashomer Hatzair nel sindacato dei
ferrovieri di Haifa sarebbe poi arrivato a dire che in quella città, luogo di nascita della PLL, essa era vista
dagli arabi come un’organizzazione di “quisling”, alla quale nessun arabo degno di rispetto si sarebbe
legato.
Nel contesto delle sue battaglie politiche in seno all’Yishuv e al movimento sionista nel 1945 –
47, la posizione di Hashomer Hatzair per uno stato binazionale come alternativa alla partizione doveva

175
Histadrut Archives
176
ibidem
125
essere rafforzata trovando elementi della comunità araba che assumessero una linea analoga. Di tali
elementi ve ne erano ben pochi, e i pochi arabo-palestinesi disposti ad andare contro il parere della loro
comunità erano presto messi ai margini, se non liquidati. Ciononostante, fino alla fine del 1947 Hashomer
Hatzair fece grossi sforzi per creare situazioni favorevoli alla cooperazione e amicizia arabo-ebraica.
Quando per esempio unità della Legione Araba, una forza composta da transgiordani ma sotto comando
britannico, furono inviate in Palestina per mantenere l’ordine e reprimere la rivolta sionista, la leadership
dell’Yishuv protestò e proclamò la non fraternizzazione coi legionari. Alcuni membri di Hashomer
Hatzair disobbedirono a questa linea e presero contatti coi transgiordani, che con grande disappunto dei
loro ufficiali inglesi pare abbiano risposto calorosamente177.
I pochi membri di Hashomer Hatzair interessati alla cooperazione arabo-ebraica sapevano di
incontrare ostilità anche nel loro stesso movimento. Zyoma Ben-Artzi, membro del kibbutz Mazra,
raccontò che quando entrò in rapporti di amicizia coi legionari arabi stanziati nei dintorni alcuni membri
del suo kibbutz lo ammonirono dal fraternizzare con “quei negri”, termine dispregiativo che non
avrebbero mai usato coi legionari indiani o con gli inglesi. La gioventù del kibbutz (cui Ben-Artzi si
riferiva col termine arabo shabab) era da lui paragonata a un mucchio selvaggio per niente incline alle
relazioni arabo-ebraiche, e capace per divertimento di prendersela con “un povero pastore arabo” e di
rubargli una capra. Yosef Vashiz, che lavorava con Cohen nel dipartimento arabo del movimento, notò
tristemente che

C’è un atteggiamento più umano da parte degli arabi verso gli ebrei che non da parte degli ebrei
verso gli arabi. Per l’arabo l’ebreo è innanzitutto un essere umano, e solo dopo un ebreo; per un
ebreo, l’arabo è un arabo e solo dopo un essere umano. Nei nostri kibbutz solo pochi individui hanno
un atteggiamento umano verso i loro vicini arabi. Dobbiamo rimuovere la mentalità nazionalista dalle
nostre relazioni quotidiane e preoccuparci delle normali relazioni umane. Non dovremmo
comportarci da missionari o predicatori politici, ma cercare di costruire relazioni tra persone che
benché differenti l’una dall’altra sono sempre esseri umani178.

Più importanti dell’atteggiamento individuale, tuttavia, rapidi cambiamenti politici stavano


eliminando il terreno sul quale Hashomer Hatzair sperava di sviluppare la cooperazione necessaria a una
soluzione binazionale della questione palestinese. Nel maggio 1947 l’Unione Sovietica iniziò ad
allontanarsi dal suo storico appoggio alla linea della Palestina unitaria, dirigendosi verso l’accettazione
della partizione se arabi ed ebrei non avessero trovato un modo per convivere in un unico stato.
L’endorsement ufficiale sovietico al rapporto dell’UNSCOP dell’ottobre 1947 fu segno che il movimento
comunista mondiale, cui Hashomer Hatzair faceva riferimento, aveva abbandonato la soluzione
binazionale.
Con disappunto della controparte araba, i comunisti ebrei in Palestina si affrettarono ad allinearsi
alla nuova posizione sovietica. L’intero PCP non soltanto abbandonò la linea binazionale, avallando la
partizione; prima della fine del novembre 1947 cancellò la parola “Palestina” dal proprio nome e iniziò a
definirsi Partito Comunista di Eretz Israel, sdoganando una denominazione del paese che i comunisti
avevano sempre rifiutato179. Quando il 29 novembre 1947, dopo mesi di pressioni da parte della lobby
sionista e accese discussioni interne, l’Assemblea Generale dell’ONU votò con la maggioranza necessaria
dei due terzi la risoluzione di partizione, la soluzione binazionale fu messa ai margini.
Da allora Hashomer Hatzair si adeguò alla realtà in mutamento. Nell’autunno 1947 vi furono
negoziati con un altro partito della sinistra sionista, Ahdut Haavoda, nato nel 1944 dalla divisione del
MAPAI e che due anni dopo aveva assorbito i resti di Poalei Zion Smol. Le diverse traiettorie da cui
questi partiti provenivano trovarono una convergenza comune. I membri di Ahdut Haavoda avevano ruoli
importanti ai vertici della più forte milizia dell’Yishuv, l’Haganah, e nelle forze di elite di quest’ultima, il
Palmach. Questo partito era caratterizzato da un forte ethos militarista, in netto contrasto con la
tradizionale avversione alla violenza e la tendenza alla coesistenza pacifica di Hashomer Hatzair. Ma la
risoluzione ONU di partizione fece sì che Hashomer Hatzair si unisse ad Ahdut Haavoda. All’inizio del
1948 i due partiti si fusero per formare il MAPAM (acronimo ebraico di Partito Unificato dei Lavoratori),

177
Bulitin (bollettino della federazione dei kibbutz di Hashomer Hatzair), 23 marzo 1947
178
ibidem
179
Joel Beinin, Was the Red Flag Flying There?, 1990
126
che sarebbe stato di appoggio al MAPAI nel governo provvisorio dello stato di Israele proclamato il 14
maggio 1948, e avrebbe fornito un gran numero di comandanti al nuovo esercito israeliano. Nelle prime
elezioni parlamentari israeliane, tenutesi nel gennaio 1949, il MAPAM risultò il secondo partito dopo il
MAPAI180.

LA NAKBA AD HAIFA
E’ tristemente ironico che il più sanguinoso episodio di violenza arabo-ebraica nel primo mese che
seguì la delibera di partizione all’ONU si svolse in un luogo dove non solo i lavoratori erano misti, ma vi
era anche una storia di cooperazione tra sindacalisti arabi ed ebrei. Questo fatto, uno dei primi massacri
del periodo 1947 – 49, contribuì fortemente a diffondere paura e odio reciproco tra arabi ed ebrei in
Palestina.
Il luogo in questione fu la raffineria di Haifa, che alla fine del 1947 impiegava circa 1700 operai
arabi e 270 ebrei, oltre a 190 impiegati ebrei, 110 arabi e 60 inglesi. I lavoratori della raffineria erano stati
coinvolti in importanti lotte negli anni 1946 – 47. In queste lotte i lavoratori e gli attivisti sindacali arabi
avevano avuto un ruolo primario, il che non deve sorprendere data la composizione della forza lavoro e il
suo alto grado di organizzazione. Ma le relazioni dei sindacalisti arabi con i lavoratori ebrei della
raffineria sembravano buone. Nell’estate 1947, ad esempio, i membri del comitato operaio ebraico furono
invitati ad assistere ad Acri al funerale di un operaio arabo della raffineria morto in un incidente sul
lavoro. Gli attivisti ebrei accettarono, e al cimitero uno di loro commemorò il defunto. La partecipazione
degli ebrei fece buona impressione sui lavoratori arabi della raffineria e di Acri in generale. I comitati
operai arabo ed ebraico collaborarono anche nell’organizzazione di un breve sciopero commemorativo
nel reparto del defunto, fecero insieme una colletta per i familiari, e insieme fecero pressioni sulla
direzione per un equo indennizzo181.
Per quanto vi fossero buoni rapporti essi sembrarono svanire durante la crisi, e dopo il voto
dell’Assemblea Generale dell’ONU i lavoratori ebrei alla raffineria cominciarono a temere per la loro
incolumità. All’indomani del voto la violenza esplose in varie parti del paese. Inizialmente assunse la
forma di attacchi casuali arabi contro gli ebrei e le loro proprietà e insediamenti, ma presto gli ebrei
risposero a loro volta. Ciò presto degenerò in una serie di atti di terrorismo reciproco, la prima fase di una
crescente guerra civile che avrebbe messo milizie arabe ed ebraiche le une contro le altre in una lotta
mortale per il controllo di strade e luoghi strategici, e di tutta la Palestina. Da parte ebraica il ruolo
principale nella lotta fu svolto dall’Haganah, la più ampia milizia dell’Yishuv, che era molto legata
all’Histadrut ed era sotto il controllo della leadership ufficiale dell’ebraismo in Palestina. Vi erano
tuttavia altre milizie che non accettavano l’autorità della leadership dell’Yishuv. La più importante di
queste (sebbene molto più piccola dell’Haganah) era l’Etzel, guidata da Menachem Begin e meglio
conosciuta negli Stati Uniti come Irgun. Fu l’Etzel (legata al partito revisionista, di destra, predecessore
dell’odierno Likud) a effettuare l’attentato dinamitardo al King David Hotel nel luglio 1946. E fu
un’azione pianificata ed eseguita da questa organizzazione che alla fine del 1947 provocò lo spargimento
di sangue alla raffineria di Haifa.
Il 29 dicembre 1947 l’Etzel aveva compiuto un attacco bomba alla porta di Nablus della Città
Vecchia di Gerusalemme, facendo 44 tra morti e feriti. Il mattino del giorno successivo, il 30 dicembre,
miliziani dell’Etzel lanciarono granate da una macchina in corsa contro una folla di alcune centinaia di
arabi che si trovavano all’ingresso principale della raffineria di Haifa nella speranza di trovare un impiego
a giornata; 6 persone furono uccise e 42 ferite. L’Etzel avrebbe in seguito annunciato che questi atti
terroristici a Gerusalemme e Haifa erano stati compiuti per vendicare recenti attacchi compiuti agli ebrei
in Palestina.
Poco dopo l’attacco bomba all’ingresso della raffineria, parte della folla di arabi fece irruzione nel
sito e insieme ad alcuni lavoratori arabi iniziò ad assalire i lavoratori ebrei. Passò un’ora prima dell’arrivo
dei soldati e poliziotti inglesi per sedare gli animi, durante la quale quasi cento ebrei furono uccisi o feriti.
Fu il più ampio massacro che la Palestina avesse visto dopo il voto dell’ONU, un mese prima. Una
commissione di inchiesta allestita dalla comunità ebraica di Haifa stabilì che il massacro degli ebrei non
era stato premeditato e che era stato provocato dall’attacco dell’Etzel ai lavoratori ai cancelli. L’Agenzia

180
ibidem
181
Bulitin, 18 agosto 1947
127
Ebraica, la leadership ufficiale dell’Yishuv, subito attaccò l’Etzel per l’ “atto di follia” che aveva portato
alla catastrofe della raffineria, ma nel contempo decise di comportarsi allo stesso modo autorizzando
segretamente l’Haganah a vendicarsi. Il giorno dopo la strage della raffineria la forza d’elite
dell’Haganah, il Palmach, attaccò il villaggio di Balad al-Sheik, non lontano da Haifa, dove abitavano
alcuni lavoratori arabi della raffineria, e Hawasa, il villaggio vicino. Gli assalitori ebrei uccisero circa 60
tra uomini, donne e bambini e distrussero dozzine di case. Il contrasto tra la posizione ufficiale
dell’Yishuv e la sua risposta concreta al massacro della raffineria fu chiaro a molti arabi182.
Quando la notizia dell’attacco bomba alla raffineria si diffuse, la tensione salì e i lavoratori arabi
più giovani e determinati smisero di lavorare, fermarono i macchinari e impugnarono qualsiasi arma
improvvisata capitasse loro tra le mani. Per un momento sembrò che il massacro della raffineria dovesse
ripetersi alle officine ferroviarie. Ma i sindacalisti arabi, inclusi vecchi attivisti della PAWS come Said
Qawwas e anche dell’AWC, intervennero prontamente per evitare violenze. Rischiando la propria
incolumità riuscirono a calmare i più facinorosi e a mantenere la calma finchè i lavoratori ebrei poterono
lasciare il lavoro e andarsene a casa. Un sindacalista ebreo delle officine dichiarò che “senza ombra di
dubbio fu grazie a quell’atto di coraggio se ciò che accadde ai lavoratori della raffineria non accadde
anche a noi quel giorno”183.
L’intervento dei sindacalisti arabi alle officine ferroviarie ricevette ben poca pubblicità. Non a
caso l’Yishuv si concentrò sul massacro degli ebrei alla raffineria, mentre la comunità araba preferì
soffermarsi sui precedenti attacchi-bomba per mano ebraica e sulla successiva rappresaglia dell’Haganah
che fece un numero di vittime arabe anche più elevato. L’idea di una solidarietà operaia arabo-ebraica e di
coesistenza pacifica che una volta era così diffusa tra la gente non sopravvisse alle atrocità e alla
reciproca deumanizzazione che attraversarono tutta la Palestina nei mesi successivi.

Il 14 maggio 1948, quando lo stato di Israele fu costituito formalmente, diverse centinaia di


migliaia di arabi erano già fuggiti o erano stati cacciati dalle loro case, terre e luoghi di lavoro. Nel corso
dell’anno successivo il numero dei profughi raddoppiò, arrivando complessivamente a circa 700.000
persone, metà della popolazione araba della Palestina e circa l’80% degli arabi che vivevano nei tre-quarti
di Palestina che ora era divenuta Israele.
Fu così che nell’estate del 1948 Efrayyim Krisher, attivista di Hashomer Hatzair impiegato nelle
officine ferroviarie di Haifa, che aveva lavorato insieme ai sindacalisti arabi per un decennio e doveva la
vita al coraggio che essi avevano avuto il 30 dicembre 1947, quell’estate fu molto impegnato ad assumere
un numero sufficiente di ebrei che sapessero qualcosa del mestiere, per rimettere in sesto quelle che ora si
chiamavano Israel Railways. Alcuni dei nuovi assunti erano rifugiati ebrei provenienti dall’Europa,
sopravvissuti allo sterminio nazifascista e appena giunti nel nuovo stato ebraico. I nuovi arrivati, e altri
ancora scelti da Krisher, occuparono posti di lavoro che fino a poco tempo prima erano di arabi, la
maggior parte dei quali avevano perso la casa e la patria, e si apprestavano a trascorrere il resto della loro
vita come profughi.

182
Walid Khalidi, All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948, 1992
183
Histadrut Archives. Probabilmente la dichiarazione fu di Efrayyim Krisher.
128

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