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Quodlibet Enzo Melandni La linea e il circolo Studio logico-filosofico sull’analogia Tl tema “analogia” funge da filo conduttore, pietra di parago- Ne € pretesto critico per una ricerca sopra i principi razionali - ma non per questo “logici” - che regolano nella prassi il modo umano di vivere, di sentire e di pensare. Da un punto di vista logico, l’analogia non ha ancor wovato una convincente siste- mazione, ed & dubbio se potra mai trovarla. C’é in essa qual- cosa che non quadra, e che induce a estrometterla dall'univer- so del discorso di rigore. Tuttavia, dopo averla rifiutata in teo- fa, si continua a fame uso come nulla fossc. E sufficiente por- si con onesta alcune domande (che cosa provano i ragiona- menti analogici? fino a che punto si possono considerare logi- ci? entre quali limiti la logica & norma del razionale? & pussi- bile contraddistinguere i concetti nei confronti delle metafo- te? a quali condizioni si pud parlare di un’obiettivita scientifi- ca?) per dover rivedere in maniera spregiudicata molti dei nostri pid accreditari abiti mentali. Da un punto di vista filo- sofico, lanalogia é insostituibile. Essa é il principale strumen- to di mediazione fra la conoscenza scientifica (particolare) € la coscienza filosofica (universale). In altri termini, l’analogia @ il principio di simmetria che media e contrappone logica e dia- lettica. Secondo Platune, ci sono due diversi principi metria: fa “linea” e il “circolo”. Dall’opposizione fra questi due principi ordinatori, tramite I’analogia, derivano molte impor- tanti conseguenze e, non per ultimo, un rilancio della filoso- fia. E precisamente di una filosofia che non voglia essere né metafisica né pura critica, ma poetica dell’immaginazione esatta e scommessa sul futuro. (Risvolto del!'aurore per Ia prima edizione, Il Muhno, 1968). Quaderni Quodlibet 18 Scritti di Enzo Melandri Enzo Melandri La linea e il circolo Studio logico-filosofico sull’analogia Con un ssggso ntroduttvo th Giorgio Agamben Appendice scura di Stefano Besoli e Roberto Bngat: Bibliografia degli ecru di nso Melanin acura di Salvatore Limong) © 004 Quodliber Vea Padre Matteo Ricel, 8 - 4ax00 Macersta woe quediibetn in 7 hrbes Archeologia di un’archeologia & Giorgio Agamben L’autore ringrazia Andrea Cortellessa per i suoi preziosi suggerimenti. Un’introduzione alla seconda edizione di un capolavoro della filosofia euro- pea del novecento — qual é indubbiamente La linea ¢ il circolo - deve misu- rarsi non solo col problema della sua comprensione, ma innanzitutto con quello della sua incomprensione. Le ragioni di questa sono di due ordini. Le prime riguardano la cecita dell’accademia italiana; le seconde concernono invece il carattere specifico dell’opera in questione. Com’é owvio, i due ordi- ni di ragioni non sono separabili. Si prenda il caso di un’opera, pubblicata in Francia negli stessi anni, L’ar- chéologie du savoir di Michel Foucault. Non si pud dire che essa sia stata immediatamente e pacificamente compresa: non soltanto l’opposizione degli storici, che dovevano ancora scoprire discontinuita e microstoria, era scon- tata, ma il libro, situato com’era all’incrocio fra linguistica, filosofia e episte- mologia, aveva di che sgomentare il lettore piu agguerrito. Esso fu pertanto insieme attaccato e esaltato, e, benché la sua ricezione filosofica cominci vera mente solo qualche anno dopo, non si pud certo dire che passasse inosserva- to. Nella cultura francese, la dialettica fra comprensione ¢ incomprensione, ostilita e partigianeria si svolge — come dovrebbe avvenire in ogni cultura moderna — in piena luce ¢ le ragioni dell’incomprensione finiscono cosi col- Vincrociarsi con quelle della comprensione. Completamente diverso é il contesto della ricezione di un’opera come La linea e il circolo - che, come vedremo, presenta piti di un’analogia col libro di Foucault. Che si trattasse di un libro importante, nessuno si senti di negare apertamente; ma, come avveniva e ancora avviene ogni volta che vie- ne pubblicata un’opera del genere, quando il suo autore non appartenga ad alcun gruppo riconosciuto, !’accademia italiana esercitd la sua implacabile conventio ad excludendum e, a parte qualche sparuta recensione, il libro pas- s6 nel piti completo silenzio. Dopo qualche anno, esso non fu piti né nomi- nato né citato (per l’uso particolare delle note a pié pagina nei libri degli ‘a GIORGIO AGAMBEN accademici italiani, si rimanda alle considerazioni di Grafton’, che mostra che esse servono non a discutere problemi e obiezioni, ma soltanto a nomi- nare gli amici e i protettori e a escludere gli altri). In questo modo la rice- zione di un’opera che avrebbe potuto rinnovare il pensiero italiano degli anni settanta fu seriamente compromessa’. II libro, divenuto introvabile, non fu pit ristampato e riappare ora trentacinque anni dopo la sua prima pubblicazione e dieci anni dopo la morte dell’autore. Come sempre, le condizioni svantaggiose hanno i loro privilegi. Rima- sto isolato come un astro senza atmosfera, il libro ha mantenuto intatte la sua freschezza e la sua forza. Scampato all’altro grande pericolo che minac- cia le opere - !a neutralizzazione per eccesso di comprensione — esso pud iniziare ora la sua avventura postuma nella cultura italiana ed europea sen- za aver perso nulla della sua atrualita. Sulla soglia della sua opera, Melandri ha posto, in forma di una breve pre- fazione, una sorta di enigma. Tecnicamente, si tratta di una dedica, seguita da una serie di scuse, l’ultima delle quali ritratta e revoca in questione le prece- denti. La dedica ¢ curiosamente calcata su quella Au lecteur delle Fleurs du mal, con cui condivide il rimando all’ipocrisia che lega autore e lettore (“al let- tore ipocrita, mio simile e fratello” — p. 3)’. La prefazione, diversamente dal- l’introduzione che segue, non fa parte dell’opera, @, etimologicamente, un esergo, com’é testimoniato dal carattere corsivo e, sopratrutto, dal fatto che Pautore parla per ultima volta in prima persona (“Ma prima di congedarmi dal discorso in prima persona” — ibid.). Ma da questo “fuori opera”, l’ipocri- ta autore fornisce, scusandosi, le chiavi - 0, almeno, alcune delle chiavi - del suo libro. Anche se non é chiaro se queste chiavi servano piuttosto a chiude- re che ad aprire, proviamo a estrarle una a una dal loro contesto apologetico. La prima scusa concerne la noia — cioé proprio il pid “immondo” dei mostri evocati da Baudelaire. Ad esso corrisponde da parte dell’autore la pretesa che al libro non si possa aggiungere nulla, nemmeno “una sola riga”. ' Anthony Grafton, The Footnote, a curious history, Harvard University Press, Cambridge 1997) P. 9- + Fae eccezioni, occorre menzionare slmeno la recensione di Luigi Turco, I! pensiero ana- logico, “Lingua e stile”, VI, 1,971, pp. 139-145. Nel 1996, si tenne a Faenza una giornata di studi su Melandri, i cui atti sono stati pubblicati a cura di Stefano Besoli e Franco Paris (Studi su Enzo Melandri, Polaris, Faenza 2000; il volume contiene, oltre a contribu di Santucci, Battacchi, Mar- ramao, Paris, Sini e Besoli, anche una bibliografia delle opere di Melandri a cura di S. Limongi). * Dora in avanti, i numeri che seguono le citazioni da La linea e il circolo rimandano alle pagi- ne della presente edizione. ARCHEOLOGIA DI UN’ARCHEOLOGIA, xu Il libro - apprendiamo — é piti che completo, nel senso che contiene anche cid che vi manca. La seconda discolpa riguarda la poverta monomaniaca dell’argomento: Vanalogia. Ma questa poverta si rivela topograficamente centrale, e tale da coinvolgere praticamente l’intero cosmo della cultura. L’analogia, appren- diamo, “confina a sud con la Tematica e a nord con la Dialettica, al centro, fra un ovest che é la Scienza e un est che é |’Arte, essa @ coinvolta in una lot- ta intestina con la Logica”. Il vero tema del libro é, dunque, la “guerra civi- le” fra analogia e logica e la posta in gioco in questa stasis interna alla filoso- fia @ l’esposizione di un nonsenso: “il nonsenso dell’analogia, nel contestare il governo, la norma e il rigore della logica, svela che il senso di quest’ultima @ altrettanto, se non ancor piti insensato” (4). Se tale era il tema del libro, non stupisce che la terza e la quarta giustifi- cazione, rivolte al recensore malevolo, concernano “I’andamento circolare, sovrappositivo e divagante del discorso” (ibid.) e la sua inconclusivita rispet- to al dettaglio. La comprensione di un nonsenst una scrittura in cui ogni riga, ogni parola pu nasconderc un “partigiano”, che dice esattamen- te il contrario di cid che sembra allegare. La sintesi che offende il particola- re si autocritica attraverso la propria esibizione. Cid significa - contro le consuete aperture alle obiezioni e alle critiche — che il libro é, in verita, incri- ticabile, che ogni obiezione non pud essere che una ricognizione nel “terri- torio che da sul nord”, cioé ai confini con la dialettica. La quinta e la sesta apologia sono simmetricamente inverse, poiché la pri- ma concerne la “mancanza quasi assoluta di originalita”, la seconda la “prete- sa di interpretare da capo tutto quanto” (5). Cid significa che l’autore trova qualcosa di nuovo da dire solo attenendosi al gia detto, secondo un’inten- zione ermeneutica che viene definita “protestante”, ma che presuppone in realta l’indiscernibilita — talmudica e medievale - fra dottrina e interpreta- zione. Il libro incriticabile contiene, in questo senso, tutte le sue possibili interpretazioni — @ un “classico”, cioé, nel senso che Melandri da a questo termine (63), un libro illeggibile. La settima scusa é la pit complessa ¢ difficile, perché consiste nella consa- pevolezza che non ci sono scuse, che scusarsi é un atto di ipocrisia che ha sen- so solo nella misura in cui sposta la comprensione del libro su un altro piano, che, come chiariscono le due ultime righe della prefazione, é quello della poli- tica (“Cid che ci unisce, ipocrita lettore, @ la prassi che ci fara ritrovare sem- pre dalla stessa parte. E li, che ci riconoscereno” — 5). Al momento di scom- parire, il locutore, che parla per l’ultima volta in prima persona, profetizza il

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