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‘MARCO BEGHELLI Mosfologia dell’opera italiana da Rossini a Puccini Com’é fatta un'opera italiana dell’Ottocento? Non & possibile una x sposte unitatia: se per la prima meta del secolo si suocedone strategic GH positive che accomunano grosio modo la produzione di Rossini, di Doni Zetti, di Bellini, del giovane Verdi e dei tanti autori di contorno [Beghell 2o04cl, gli anni successivicoztispondono a un progressive superamento di tali schemi, a favore di strutture pitt indeterminate, formalmente ir bil [Fabbri 1988] " = formainente ner 1. Lied seteceniceif supeemenio del ea remeticementey ica A inizio Ottocento resiste ancora, perdurando del stale ears dn Havent gaamense Spars bu ton tal (endecasillabi settenari variamente alternati) destinati ai recitativi (in tere mini musicali, formulette vocali stereotipiche, ritmicamente libere, for malmente aperte, sostenute da scare armonie del cembalo - recitativo see- co ~ 0, sempre piti spesso, dell'orchestra - recitativo strumentato 0 accompa gnato) e versi lirici (perlopiti quinati, senari, settenari, ottonati o decasillabi regolarmente rimati e raggruppati in strofe) finalizzati ai cosiddetti nume- #i (owveto pezzi chiusi, 0 misurati, 0 cantabili come vengono dett, in ragion Tene oa titmica ¢ melodica che li distingue dai re- ivi). Due fondamentali differenze intervengono tuttavia rispetto al e- colo precedente: ero pero al 1) Vinteresse sempre pid spiccato per i numeri d’assieme: non solo atie solistiche, dunque, ma vieppisi duetti (ben rari fino a met Settecen- to), terzetti, quartetti, nonché scene di massa cui s'unisce il coro, po- sizionate in momenti strategici, tra i quali apertura di sipario (n- troduzione) e la chiusura d’atto (Finale Primo, Finale Secondo); 2) il superamento della netta distinzione drammaturgica fra rectatvi portatori dell’ szione e pezzi cantabili adibiti a sublimare liricamente Paffetto che il recitativo ha prodotto: gi in Rossini non ¢’é, di fat= Beghelli Morfologia dellopera italiana da Rossini a Puccini 895 to, evento d’una certa importanza per l'azione che non venga insce- ato a tempo di musica, nei versilitici di un numero chiuso. Di queste nuove istanze s'impadronisce ben prima l'opera buffa che pon Topera seria: bastezebbe confrontare, in campo mozartiano, ! oppo, om jplogia narrativa di Cos fan tute (1790) ¢ La clemenza di Tito (x792) A farene una rgione. Se prendiamo a paradigma una partitra come Gi. Mi Seozia di Giovanni Simone Mayr che apre il nuovo secolo (x80) Roe per successo¢ diffusione costituira un modello melodrammatico ne~ Gh anna venie, vediamo come Iazione stent ancora a fare il suo ingres- fet numeri chiusi dell’opera seria, sempre pi vasti, sempre pit spesso iewati da interventi coral, ma sostanzialmente statici sul piano dram- matico. Non tuttavia sul piano musicale, essendosi ormai largamente diffuso il fuovo modello di aria in due tempi che peril xrxsecolo rappresentera atia pear courdell’opera cra, denominata eventualmente cavatina oppure rond eiedottata, rispettivamente, come “aria di sortita”, di serena “presentazio- Sot scenica e musicale del personaggio sul principio del primo atto, ovvero rene “grande aria” affettivamente tormentata nel secondo atto, a ridosso Gel déxouement, o gioiosamente risolutiva, in luogo di finale d’opera [Be- hell 20005). Sua caratteristica musicale & appunto la giustapposizione di OMe tinte sonore contrastanti, legate ad agogiche e affetti contrapposti: un fempo Adagio e uno Allegro, un momento it distesamente cantabile ¢ un ito pid rapido, con funzione di srettaconclusiva (il motivo melodico, ac- fantivante, prendera presto il nome di cabaletta [Beghelli 2o0oa)), una se- Gione dove dominano di preferenza i toni patetici, l’altra votata a quelli bril Tanti o eroici, con frequente taglio virtuosistico. ‘Su questa bipartizione musicale e affetiva si attestano ben presto non solo le arie, ma anche i pezzi a pit voci, nei quali si fa sentire sempre pit fimpellente la necessitd di addurre una ragione drammatica plausibile per Timprovviso cangiamento d’umore veicolato dalla musica. Non fu tuttavia sempre facile coniugare le ragioni della forma musicale con l'opportunita Geammatica, se ancora a meta Ottocento non mancano a Verdi le occasio- ni per lamentarsi in proposito coi suoi librettist [Non ce dstacco di pensiero dal'adagio a quelio della cabaleta [nel testo or sinaiamente foritogi per la cavatina del tenote, nei Due Foca: queste son co- eee andran bene in poesia main musica malissimo, Fa fare dopo Iadagio un pic- Sdlissimo dialogo trai ante e Jacopo, poi un uftcale che dica « Guidate il prigi Gierom poscia una eabaletta, ina che sia di forza (lettera a Francesco Maria Piave del22 maggio 1844, in Cesare Luzio 1915, p. 4261 Penetrando dentro il numero chiuso, l'azione ne articola dunque la for~ "ma: non come recitativo inserito frammezz0 alle due sezioni portanti (’Ada- fio c'Allegro), ma come parte integrante del pezzo cantato, di cui assume 806 Storie Beghelli Morfologia dell’opera italiana da Rossini a Puccini 857 ritmi verbali (versi lirici) ¢ musicali (andamento misurato). Tale “zeppat harrativamente dinamica inserita fra un Adagio cantabile e un Allegro cq. 2. Ragioni drammatiche e convenzioni formali balettistico tendenaialmente statici assume il nome, intuitivo, di Tempo q mezzo, cui danno il loro apporto messaggcri, ancelle o coristi d’ogni idem. titd sopraggiunti inattesi a interferire con Paffetto dei personagei impegnat, nei loro numeri “a solo”. Rimane invece parzialmente irrisolto, sul pia drammatico, il problema del successivo Allegro: quella che nell’atia in d tempi di fine Settecento era stata una semplice Stretta giustapposta alla zione lenta dell'aria, a mo’ di brillante conclusione [Chegai 2003], nei pa mi decenni dell’ Ortocento cresce progressivamente per dimension’ e aut nomia formale, sino a raggiungere I'apparente statuto di ulteriore aria age stante (e non mancano di fatto, nei moderni testi divulgativi, improprie et chette del tipo di “aria doppia”, a disgiungere I'unione formale di Adagio Allegro, ovvero di “seconda aria”, per indicare quest’ ultimo). La nug Stretta, ben evidente gid nel Rossini maturo (si vedano, per tutte, la vatina di Malcolm nella Donna de! lago, 1819, 0 quella di Arsace in Se tamide, 1823), si snoda a sua volta in quattro momenti successivi: la prim esposizione della cabaletta (come s'? detto, il tema melodico portant, ponte intermedio musicalmente piti neutro ¢ indistinto, la seconda eg zione della stessa cabaletta, una coda che trie fila dell'intero brano. I] lebre finale del primo atto della Traviata (1853) di Verdi, tutto incentra su una grande aria del soprano, ben si presta a esemplificare didatticamen te le fattezze di una stretta, essendo ponte ¢ coda facilmente individuab ¢ citcoscrivibili per la presenza inattesa anche di una voce di tenore: Pert gli addetti ai lavori, il cimento consisteva insomma nel conciliare al jo forma e dramma: fino a quando l’azione era rimasta esclusa dal! aia, problema non si dava, vivendo lara in una sua dimensione peculiarmente jcale, drammaticamente sospesa; ma nel momento stesso in cui I'aria si ticola al suo interno per aderire all'azione, un minimo di plausiblita vie fe pur richiesta, benché non sempre raggiunta TTroviamo un esempio del tutto compiuto e pressoché perfetto di con- durre una scena solistica in equilibrio fra ragioni drammatiche e conven: fini formali nel numero conclusivo della donizettiana Lucia di Lammer oor (1835), tutto incentrato sul tenore. Quello che in passato era stato lo fearno recitativo secco sorretto dal cembalo & ormai divenuto un ampio e colato recitativo strumentato (tecnicamente chiamato Scena), non pri- od'interesse musicale (c’é tanto di preludio introduttivo), di una certa am- wza retorica nell’orchestra e nella voce (che non si limita pit a formn- ritmico-melodiche stereotipate), di una pregnanza espressiva ricerca- sin nel libretto e degna d'un monologo drammatico. Non é dungue un Edgardo» con V’incipiticastico della scena («Tombe degli avi miei»), anzi- thé - come di consuetudine — con quello dell’aria propriamente detta («Fra ame ricovero») INE pid né meno di quanto avveniva in un’opera settecentesca, il pezz0 thitso, melodicamente squadrato, ritmicamente misurato, sboceia anche {come effusione lirica (poetica e musicale insieme) attorno all'affetto co- io dal recitativo (nella fattispecie, V’afflizione dell'eroc che sicrede de- fivamente tradito dall’amata, convolata ad altre nozze), ma vive di una ddinamicitA intrinseca, musicale non meno che drammatiea, tae da supe ‘ogni sintomo di staticita: sebbene nel linguaggio corrente si tenda a A tficare l’aria di Edgardo con questa sola prima sezione lirica, il nume- E questa una struttura rigidamente codificata fino a meta secolo, ma dh @ musicale si prolunga infatti, con le sue articolazioni interne, fino al ter- troppe volte nella produzione d'inizio Ottocento sentiamo come apie dell’ opera, attraverso fasi drammatiche ¢ musicali successive. All’ Ads- cata al precedente Adagio quasi per obbligo formale. La doppia esposi gio cantabile « Fra poco a me ricovero» segue dunque un Tempo di mezzo, ne di un medesimo motivo aveva trovato infatti in origine una giustfis zione edonistica: il piacere di udire il cantante variare ad arte la ripresa ‘quella cabaletta; col tempo, era diventata una semplice asseverazione de matica del concetto esposto, percepita in molti casi ~ se il dramma fat giustificare la presenza tutta di quel!’ Allegro baldanzoso dopo l'efusio lirica di un Adagio pateticamente cantabile ~ come un'anticaglia in brante, quando non un vero e proprio controsenso, 1a dove la conver della stretta costringe il personaggio a sostare in scena per limmancabi cabaletta doppia, foss’anche in una situazione di totale urgenza. ‘abaltta (prima esposisione, preceduta da intonazione strumentale): «Sempre li a dega’io» ponte intermedio: canto del tenore fuori scena, poi «Follie!..follie!...» ‘abaletta (seconda esposizione): «Sempre libera degg’io» ‘coda: vocalizzi conclusivi attorno al canto del tenore coro fail suo ingresso in scena per informare l'eroe sui nuovi sviluppi (la pverina, costretta a nozze indesiderate, ® uscita di senno, rimanendo in- sopraffatta dal dolore) e apportando cosf quel mutamento d’affetto - la aggiunta disperazione per la morte della donna amata ~ che giustifica hima sezione dell aria: Allegro o Stretta (vuigo: “la cabaletta” senza me- ‘to, secondo un facile processo di sineddoche, che identifica la parte ~ il mo- tivo melodico ~ con il tutto). Ebene, l'esempio in esame si allontana dal- media per una non comune aderenza alle ragioni del dramma: la strutti- Beghelli Morfolo 898 Storie dell’opera italiana da Rossini a Puccini 899 1a di stretta sopra delineata perde infatti ogni meccanicita, ¢ la cabaletta propriamente detta «Tu che a Dio spiegastiI'ai» viene separata dalla sua Pinonica ripetizione attraverso un ponte drammaticamente risolutivo, in quanto ospita nientemeno che il suicidio dell'eroe (Ia climax emotiva che Sorta allinsano gesto viene tradotta in musica nel cosiddetto crescendo: un Prtificio non solo dinamico, ma principalmente metrico, che consiste nella Hpetizione concatenata, solitamente per tre volte, sempre pi fragorosa, di tun medesimo modalo strumentale ritmico-melodico costruito appositamente Jogica, ormai sempre o quasi di tipo accompagnato dall’orchestra), serve a _endere chiar i termini della questione: ‘Norma, git amante pt di Pol- fone, ch’e ora sentimentalmente unito con Adalgisa, ha deciso di farsi da te, alfidando i due figli al loro legittimo padre e alla sua nuova sposa, ima di togliersi la vita. Leggendo il testo, si noti la libera alternanza di Endecasillabi e settenari, nonché il tipico fenomeno della frantumazione del ‘yerso tra i personaggi, quando il dialogo si fa serrato: 2 th Oak, Pagar questa wa isare a ruoto suse stesso). Trafitto da parte a parte, Edgardo non po |" contaminatad prises {rt quindi pid intonare la seconda cabaletta con la baldanza della prima vl Sein, nd tar neo pow Searle tar alla tradizionale riesposizione letterale si sostituisce eccezionalmente quest infec. a tel afi. endecsllao fatto cane dpetizione stentata, rammentatia: il violoncello solista viene allorain | 4Dsiom cielo: —_} farduc pnonser soccorso del tenore languente, intonando in sua vece la ripresa della cabs. Ame li affidi? ‘endecasillabo fratto Jetta ~ donde il doppio effetto di una “personificazione” sentimentale del. = eee } ra due personagei Jo strumento e di una “naturalizzazione” sentimentale della forma [Zop- Shr he —— oe RI Se OA. endecasillabo lit 85-87, 93]. Una rapidissima coda recante I'ultimo respi a? chal ie | ete ft pelli r994, pp. 85-87, 93). Una rapidissi la recante spiro Noma Sposo frston peronags EEll'eree conclude la partitura in poche battute musicalmente risolutive, Strutturate su un giro di cadenze armoniche stereotipate aoaiciss —Sposo!... Ab! noa mai due versiasegalare la tisia men erado.. io gli perdono e moro. vim bacata fre ulti’ ee Lindman | che Ta La Scena di preparazione si chiude dunque con una situazione di con- | fitto: ed & questa che fard scaturire il duetto, inteso come un microdram- ~ ma fra due personaggi incarnati da due voci contrapposte. Il “duello” si consuma metaforicamente a suon di musica, di stoccate vocali concorren- i, Si parte con il cosiddetto Tempo dattacco, una tipica sezione d'avvio, che importa Pazione all’interno del numero misurato in versilitici (qui ot- tonari) prima che scocchi l’ Adagio tipico dei pezzi d’assieme, il Tempo dat- tacco non & tuttavia del tutto sconosciuto alle ari solistiche pié comples- se, specie d’epoca rossiniana [Beghelli 2004¢; Lamacchia 1999)). Le «due strofe pari di quantita» cui siriferiva Ritorni e che ne costituiscono lossa- tura portante sono davvero la «proposta e risposta» con cui i personaggi si attaccano ¢ contrattaccano, utilizzando in successione una medesima arca- fe elodien evidensiare metaforiarentelexbisione dupa fora eto- rca, gesto tanto pitt significativo qualora il secondo personaggio non inten- Bittasi sopsetiare dal primo: ind : 3. La “solita forma” del duetto. Ecco: questo brano da Lucia di Lammermoor, che sulla carta avrebbe dovuto imporsi come modello compositivo del tutto efficace sul piano ‘Grammaturgico-musicale, spicca invece pet la sua eccezionalita, la “solita” forma dell aria in pit sezioni successive venendo troppo spesso ripropos per dovere d’ufficio, piuttosto che per una puntuale aderenza al decorso Fell azione, Le istanze drammatiche risultano semmai raccolte con maggiore consapevolezza dai brani a piti voci, a cominciare dal ductto (Balthasar 980] che, pur enucleando al suo interno la contrapposizione Adagio/ Alle: ‘gro tipica dell aria solistica, sviluppa una propria drammaturgia temente codificata, cos{ riassunta da un commentatore del!’epoc ‘Un duetto, verbigrazia, comincierd [dopo la Scena] da duc strofe pari di quan tia, nelle quali, con propostaerisposta si dic un libero sentiment, tanto pi de Ul alt importante nel senso poetico, quanto meno complicato nel accompagnamen Sp mmuseale [-1. Vera talora dopo fadagio in ci si isponderanno perketa Go sentiment edesinenze loro i versi de” due contendenti, Terra dietro un dsl: panne somtersi go di canto dissimulato a guisa de’ recitaivi, Finalmente nella cabaltta si combi ‘Deh! con te, con te li prendi. ‘Vado al campo, ed allingrato Be Ghoo a cantar asseme forse le stesse parole [Ritorni 1841, p. 44 lisostieni i dies tutto root hod lamet Non ti chiedo onot,«fasci La pietd che mai destao ‘Vediamone la realizzazione pratica in un celebrato esempio bellini a tuoi figli ei fian serbati; parlera sublimi accent. ‘«Scena e Duetto» fra Norma e Adalgisa nel secondo atto del!’ opera No pesos ea ied Spera, pera... amor, natura (851). La Scena («Me chiami, o Norma!...»), condotta attraverso i trad Pate ce eee ae eae ional versi sciolti da intonarsi in stile recitativo (a questa altezza cron che tradi io fui per te. Norma ancot vi regnera 900) Storie Beghelli Morfologia dell opera italiana da Rossini a Puecini gor Si trata dungue di strofe non soltanto verbali, ma anche e soprattutt melodiche: due periodi identici in s¢ conchiusi, articolati al loro interno se. condo una struttura fraseologica antropomorfica, dal respiro biologicamente ordinato: quattro cicli completi di inspirazioni ed espirazioni, uno per ogni istico. Gli studiosi d’oltreoceano hanno coniato l'etichetta di /yric form, riferibile ~ nella sua manifestazione piti regolare ~ a una struttura melodi. ca di x6 bartute (due per verso) organizzate musicalmente in a,a’,,a”,(j] numero in pedice indica le battute pertinenti a ogni frase melodica), cof le saltante, cid dipende - v't da creder! della necessaria consapevolezza st {ell'aureo belcantismo primottocentesco) ‘Quando i personaggi rientrano in sé - con loro il pubblico che ha sa- 'e voluto lasciarsi sedurre — scocca il Tempo di mezzo, che come nell'atia folistica ha il compito di create le condizioni per cui, al termine del duet- dalla rozzezza di esecuzioni pri- | to, le posizioni del dramma non siano pit le medesime dellinizio: tica, lontane due secoli dai canoni apauctss Cedi... deh! ced! varianti possibili di un , suddiviso in b, +b’, e dell'a”, sostituito da un Noma ‘A! lasciami 4, cui fanno per solito seguito code melodiche di varia natura col libero re. Bi’ama pero di parole gia proferite in forma lineare [Huebner r992; Pagannone anata Egil sen pente 1996], La cabaletta «Tu che a Dio spiegastil'ali» sopra ricordata é una per. et ele quateniin fetta hric form + coda, cosi come lo sono «Di quella pira» e centinaia dpe riodi melodici ben fissatisi negli orecchi dell'appassionato ascoltatore do. pera, La dyric form & insomma un’unit’ metrica e nel contempo narrati del periodare melodrammatico, un discorso organizzato retoricamente in tun’esposizione iniziale (1° € 2° verso) con reiterazione asseverativa (3° 4°), uno svolgimento centrale di riflessione (5° e 6°) e una conclusi d’epilogo (7° ¢ 8°): un’effusione lirica, appunto, in grado d’inearnare mu sicalmente I'unita temporale,I'espressione di un singolo gesto scenico dila- tata poeticamente in un ampio gesto vocale. Espressa ognuno la propria istanza, i due personaggi tendono pian pi no ad avvicinarsi affettivamente, con botte ¢ risposte sempre pid serrate, fino a congiungersi nel successivo Adagio cantabile in un canto comune due voci parallele (alla base, naturalmente, una Aric form anche qui, be ché ampliata dalla doppia esposizione in alternanza fra i due personagai) sol amistade or sente Norma O giovinetta!... e wuoi?. npavctsa Rendertii drtti cui ‘ teco al cielo e agli uomini ‘Furo celarmi ogner. worm Hat vinto... hai vinto... Abbracciami, j ‘Trovo un’amica ancor Sono frasi, queste, che per contenuto potrebbeto ben servire un recita- ‘tivo; mantengono tuttavia la struttura metrica di versilirici rimati (qui tutti renari, ora sdruccioli, ora piani, ora tronchi) e ricevono un'intonazione vyocale fintamente libera («un dialogo di canto dissimulato a guisa de’ reci- tativi», scriveva Ritorni) su un tappeto orchestrale che al contrario di un recitativo & perd rigidamente strutturato. Siamo insomma all'interno di quel _genere compositivo che i contemporanei appellavano stile parlante: i perso- i i dialogano con libertA su un’orchestra mensuralmente organizzata. i ! cane NORMA “Proferito I'ultimo verso del Tempo di mezzo, il compito del dramma- ‘Mira, o Norms, a’ cual ginoochi ‘Ab! perché la mia costanza sarebbe concluso: in un dramma parlato i due personaggi abbando- | binper pores fide aa sbbero la scena, catico ognuno del nuovo sentimento che lincontro/scon- igo glia suscitato in seno. Ma siamo nel mondo del melodramma, dove an- che leragioni estetiche della musica pretendono la loro parte, suggellando il pezzo con un rituale sonoro confacente alla situazione: ecco dunque la “Suretta conclusiva, dove i personaggi «si combineranno a cantar assieme Te stesse parole»: NORMA © ADALOISA , Si, fino aloreeatreme ‘ompagna tua a avra: Hl Der Heovraelinsieme ! pia & la tezza ass | ‘Teco del Pato al onte ferma oppor la fronte, finché mio core a batere fo seta sult cor. se non hai di te pier presso a morte un cor non ha. 1 tempo drammatico tende ora a fermarsi, iretito ~ al pari del pubbl co - dalle spire canore in cui le due vocis'intrecciano; i personaggi asc momentaneamente il campo ai cantanti per allettare lo spettatore con md Iie struggenti melodie: é il trionfo del beleanto, inteso come l'arte di pie gare la voce a quanto di “idealmente” pit bello, di pit astratto dalla “real? cdrammatica si possa immaginare. L’incantesimo culmina nella cosiddett comune, la grande cadenza vocale in cui anche orchestra sospende tanto di scansione temporale che ci aveva tenuti ancora legati alla realt m teriale, per consentire infine alle voci di librarsi senza peso in volute ine brianti che toccano il vertice espressivo concesso a questo stile musicale (se al contrario Peffetto ci suona oggigiorno troppe volte stucchevole, anzie

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