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SRDAN MUSIC, Romanizmi u severo-zapadnoj Boki Kotorskoj {1 romanismi nella parte nord- occidentale delle Bocche di Cat- taro], Filoloski fakultet Beograd- skoga Univerziteta, knjiga 41, Beograd, 1972, 275 pp. 1 Le ricerche sui resti della la~ tinité balcanica scomparsa costi- tuiscono probabilmente il domi- nio pil importante delia Roma- nia Perduta e vantano ormai una storia centenaria, da G. I. Ascoli, A. Ive, P. Budmani ecc. fino agli studiosi attuali (prescindendo dai cultori e dilettanti dei decenni precedenti dell’Ottocento). I la- vori di M. Bartoli e P. Skok — per menzionare solo i due sommi maestri — appartengono al pa- trimonio della linguistica roman- za e ad essi vengono ad aggiun- gersi ulteriori studi dei romanisti attuali. Ma tutto non é ancora fatto e parecchi problemi restano aperti o per lo meno vanno riesa- minati dal punto di vista della Tinguistica contemporanea, Senza pretendere a qualsiasi comple- tezza, Ii possiamo dividere nei ‘seguenti quattro gruppi: a) con- tinuazione della ricerca e della raccolta dei resti romanzi nei dialetti slavi della costa adriatica orientale (e anche nell’interno), ) descrizione di tutti i dialetti neolatini viventi in queste regio- ni, nonché esame e descrizione det materiali, c) reinterpretazione strutturalista (ormai anche ge- nerativo-trasformazionalista) di quanto @ stato fatto, in vista di trovare delle soluzioni dei pro- ‘blemi_ non chiariti dalla lingui- stica tradizionale, d) stratificazio- RECENSIONES ne romanza, assieme alle inter- ferenze tanto fra i diversi strati romanzi quanto fra questi e Pad~ strato/superstrato slavo. Tl dominio non manea dunque di problemi, attraenti e impor- tanti, e il campo rimane aperto, Ai problemi che rientrano nei primi due gruppi é dedicata la monografia qui recensita, risul- tato di uno studio decennale degli elementi_ romanzi nel dialetto della parte nord-occidentale del- Je Bocche di Cattaro (Boka Ko- torska), svolto da parte del do- cente della Facolta di Filologia dell’ Universita di Belgrado, dott. Srdan Musié. La presente mono- grafia contiene il testo della sua tesi di dottorato, sostenuta il 12 maggio del 1970 alla medesima Facolta. 2 Liopera si articola come se- gue: La I parte tratta dei problemi generali (i romanismi nelle regio- ni balcaniche, la necessita del loro studio e i metodi delle ri- cerche); pp. 7—18; La II parte ci da una descrizione storica, geografica ¢ linguistica della regione delle Bocehe di Cat- taro; pp. 19-34; La IIT parte si occupa dell’epoca di penetrazione def romanismi nella regione esaminata, della toponomastica e dellonomastica, a cui seguono le pagine dedicate alla classificazione dei roma- nismi; pp. 35—75; Nella IV parte troviamo i dati pit precisamente linguistici: una rassegna, cio’, dei cambiamenti che subiscono i romanismi nel processo di adozione e di adatt 235 mento (sono cambiamenti fonetici — i pid. ampiamente trattati — morfologici, sintattici e seman- tici); pp. 76—119; La V parte contiene I’elenco del- le abbreviazioni e il lessico (cca 2260 lemmi con parafrasi in ser- Docroato e indicazioni di etimo- lovia e di fonti); pp. 120—254. L'opera si chiude con una biblio- grafia di 232 titoli e un riassunto in_ italiano (pp. 255—274), Non esistono purtroppo Tindice delle parole trattate o citate né quello degli argomenti. (Sebbene Vopera sia stampata con caratteri latini, i lemmi del Tessico e le opere citate nella bibliografia sono ordinate secon- do Valfabeto cirillico), 3 Come vedremo pid dettaglia- tamente in seguito, le basi teo- rico-metodologiche dell’opera s'in- quadrano da una parte nel me- todo tradizionale, dall’aitra pren- dono lo spunto dalla disciplina dei «languages in contact» e dei prestiti linguistici. Studiando i fenomeni che avvengono nel pro- cesso di adattamento dei prestiti PAutore procede in modo tradi- zionale esaminando, ad esempio, ad una ad una le vocali, passan- do poi alle consonanti, ai cosid- detti mediante i prefissi @ un proce- dimento comune nello slavo ¢ Prova, per quanto concerne il dominio qui studiato, che stiti sono stati assimilat medesimo tempo mostra in tutta Ja sua chiarezza la forza dell'in- flusso slavo. Da tali esempi risul- ta per appunto quello che abbia- mo constatato un istante fa, che, cio’, fl sistema slavo nel suo insieme e nelle sue caratteristi- che nit importanti @ rimasto im- mune dall’influsso romanzo. A questo proposito @ interes- sante il confronto con l'istroru- meno, un linguaggio esposto al secolare e profondissimo influsso dei circostanti dialetti croati attesta Ja forza dell’influsso slavo. I fenomeni sintattici sono dati dai calchi come vrata od grada ‘la porta della citta’ (per il cor- retto gradska vrata) ecc. Essinon sono tipici della regione studiata, essendo comuni anche ad altre aree costiere. 5 Un lato che riveste un’impor- tanza del tutto particolare @ la simbiosi romanzo-slava (non solo nella regione studiata dall’Autore ma evidentemente anche altrove sulla costa adriatica orientale). LAutore cita Yopinione dello 238 Skok secondo cui la simbiosi in questione si @ svolta e risolta a vantaggio dell’elemento __slavo nel Trecento (p. 36). Pid tardi, tuttavia, la costa adriatica orien- tale viene sotto il dominio vene- ziano che rafforza elemento neolatino. Come si sa, il venezia- no ha assorbito il congenere lin- guaggio romanzo autoctono ed & diventato il successivo strato ro- manzo, ma questo trapasso non si @ effettuato ovunque nello stesso tempo né nello stesso mo- do. A Ragusa (Dubrovnik), ades., Z. Muljagié ha potuto constatare diverse fasi di adattamento del morente romanzo raguseo al suo pid potente rivale, il veneto, da dove risultarono dei conflitti e compromessi linguistici. Non sia- mo percid pienamente d’accordo con PAutore quando egli afferma che tra i tre strati romanzi (la tino baleanico, dalmatico, veneto e italiano) Z.'Muljadié ne inse- risce uno quarto, lo strato dal- mato-veneziano (p. 36—37): non si tratta di uno strato omoge- neo, come la formulazione rischia di ‘far credere, bensi di una scala di adattamenti progres- sivi e di compromessi; semmai, dunque, diversi strati dovuti al- Yinterferenza dalmato-veneziana. 6 Se in quantita lo strato ve- neto (veneziano) e italiano sor- passa certamente i due prece- denti, per lo studioso di lingui- stica ‘romanza, soprattutto della stratificazione romanza, sono ap- punto { primi due a’ rivestire un’importanza _maggiore, dato che appartengono alla scomparsa latinité autoctona della sponda adriatica orientale. Ci sia per- messo di soffermarci un istante sui pid importanti fatti fonetici. 6.1 La sonorizzazione, per altro assente dalla romanita baleanica, s'incontra tuttavia in alcuni casi come ad es. Subra (nome di una montagna nella regione esamina- ta) < SUPERA, kobértur (acc. a korbatur, korbdtuo) < COOPER- TORIU, di fronte alla forma kerpatur con la sorda conservata (altrove), nébuéa < NEPOTIA (altrove ‘nepuéa) ecc. Secondo lo Skok questa sonorizzazione & ca- ratteristica del romanzo autocto- no di Cattaro, a differenza delle altre variet& regionali (pp. 86— 87). L’Autore vi aggiunge anche plénda < PLANTA, ma quest’ul- timo esempio @ fondamentalmen- te diverso perché la /t/ non vi & intervocalica, sicché plénda non rientra nello stesso gruppo come le tre parole precedenti. 6.2 La sostituzione di /t/ con /p/ @ un altro dei fenomeni propri delio strato antico ed @ presente in alcuni antichi romanismi del- la regione, ma essi sono in mas- sima parte comuni anche ad altri dialetti costieri e in certi casi persino letterari: pdgata < FO- CACEA, piinjestra < FENESTRA (cfr. altrove in Dalmazia pdni- stra ecc.), prigat < FRIGERE, prosulja ‘tegame’ < FRIXORIA (cfr. il vegl. fersawra, forsawra, venez. fersora ecc.; cfr. REW 3524), 6.3 Tl criterio notoriamente pit: importante @ Vesito delle velari /k/, /g/ davanti a vocali ante- riori, nonché il problema con- nesso della palatalizzazione a contatto con /¥/ (soprattutto /ty/ e /ky/), fatti analizzati alle pp. 87—89. 'Si sa che la conservazio- ne delle velari @ caratteristica del dalmatico autoctono (non pe- rd in tutti i casi anche del ve- glioto!) e che nel serbocroato tali velari possono conservarsi o subire un’ulteriore palatalizzazio- ne, slava questa. Gli esempi nel dialetto esaminato dall’Autore non sono molti: kérnja < AC- CERNIA ‘cernia’, kimak < CI- MICE ‘cimice’, likjerna, likjer- nica, Wkernica <_ LUCERNA ‘lampada a olio’, miginj, migin ‘limite’ < MARGINE, ece. A p. 88 l’'Autore espone in bre- ve la tesi di F. Ramov§ (in Ju3- noslovenski filolog 6, Belgrado 192627) circa il riflesso /ts/ per fi davanti a /e/, /i/ nei roma- nismi antichi. Secondo i] Ramov8 /ts/ & il sostituto slavo delVinci- piente palatale romanza, a un di presso [k’]. Senza poter discu- tere Vesattezza dell'ipotesi del Ramovs in questa sede dobbiamo far osservare che degli esempi addotti dal nostro Autore a so- stegno della detta tesi quasi nes- suno pud essere considerato va- lido perché si tratta di venetismi — come risulta anche da certe altre caratteristiche in alcuni di essi —, dunque di prestiti pid recenti della prima fase di pala~ talizzazione romanza. Ora, nel veneto /ts/ @ il normale ‘esito della /k/ latina davanti a vocali anteriori. Ecco alcuni esempi: eédit < cedere, céntura < ven. centura, cérada < ven. cerada, cérot < cerotto, cnere < cenere ecc. (in tutte Ie parole slave ¢ trascrive /ts/). Queste parole s0- no considerate come prestiti di data pid antica (p. 88), ma esse non possono essere tanto antiche da servire come esempi per la fase incipiente della palatalizza- zione romanza ([k’]). Da con- trontarsi anche la sonorizzazione in cerada, nonché Vesempio, suc- cessivamente citato, ciminjera < ciminiera, col tipico _suffisso -iera, anch’esso veneto. Sono in- somma venetismi, che possono essere anche relativamente re- centi. Accanto alle forme con /ts/ ci sono anche alcune forme con /&/ (&nere, terd&panj) la cui provenienza italiana @ indubbia. L’Autore afferma nel medesi- mo passo che /k/ alle volte di /ts/ anche davanti a vocali_po- steriori e cita la voce trac ‘torchio’ < (cero grande) TOR- CULUM. 8 un’affermazione com- pletamente insostenibile, franca- mente sbagliata, perché é fuori dubbio che /k/ non @ passato @ /ts/ mentre la /u/ intertonica era ancora conservata (non si @ avu- to mal un */tdrtsulu/!), ma che si 2 avuta prima la sincope (da /kl/ proviene allora nelVitaliano /ky/, nel veneto /&/), mentre /ts/ nel citato trac potra allora esse- re una «Lautsubstitution» in ba~ se alla corrispondenza /8/ — /ts/, © un inguadramento dovuto ai suffisso -ac). 239 Quanto al riflesso /2/ per Ie/ davanti_a ej, /i/, YAutore menziona in poche parole le tesi dello Skok (che attribuisce quest’esito alla palatalizzazione slava) e del Ramovs (che vi vede un influsso da parte dei prestiti dal romanzo occidentale) e con- tinua poi affermando che gli esempi da lui raccolti sembrano appoggiare piuttosto la seconda che Ia prima ipotesi, La formu- lazione, tuttavia, manca di chia- rezza e gli esempi, un’altra vol- ta, non sono adatti: infatti, dei cinque esempi citati (Zara <' gia- ra, Zipet < giubbetto, Zidio < lat. Judaeus, it. giudeo, Zikva < funcus, it, giunco, Zula < lat. fijuoum, it. giuggiola, ven. ziz- Zola) nessuno contiene /g/ davan- ti_a /e/,/i/ latino, L’Autore so- stiene che tali prestiti sono entrati nello slavo dopo il IX secolo e che gli altri (dall’italia- no) giustificano il passaggio della /8/ italiana (< /y/) a /2/. Ma per- ché la /8/, se @ relativamente se- riore (i origine italiana), viene sostituita da /2/ ? L'Autore ac- cenna anche all’influsso venezia- no (p. 89), ma il veneziano ha in genere /dz/ (> /2/) come risul- tato di /g/ davanti a /e/, /i/ e corrispondente dell'it. /8/. Infine, anche la sequenza /ty/ rientra in questo dominio, L’Au- tore parla di gruppo -ti- e -te- (in questi casi @ assolutamente preferibile parlare di sequenze), aggiungendo che Jo Skok non fa menzione esplicita della seconda sequenza. Tl procedimento dello Skok 2 tuttavia pienamente giu- stificato perché @ un luogo comu- ne della fonologia storica ro- manza che le sequenze /ti/ e /te/ in posizione antevocalica sono presto confluite in /ty/ (cfr. VITTU > VITYU > vezzo, PUTEU > POTYU > pozzo ecc.). Percid, dal punto di vista dei prestiti roman- zi — cio’ per il periodo dal VI— —VII sec. in pol — @ sufficiente supporre la comune sequenza /ty/. Liesito di /ty/ & /é/ nei roma- nism antichi, cosi anche nel dialetto delle 'Bocche di Cattaro 240 nord-oecidentali: peta (secondo YAutore < lat. PETIA — PE- ‘TIUM, ma il REW (6450), il Vo- cabolario di N. Zingarelli, l'Av- viamento alla etimologia italiana di G. Devoto, il VEI di_A. Prati conoscono tutti solo *PETTIA), méaraé ’marzo’ < MARTIUS, pé- uo *pozzo’ < POTIUM (sic, a P. 89 € 210, il che non & possibile, v. pitt av.) ece. L’esito /&/ concor- da con il riflesso generale anche altrove, in tutto il domino slavo meridionale: BRATTIA > Bras, PUTEU > pué 'pozzo’, RATIA- RIA > Aréar eee, 7 Non di rado capita purtroppo di trovare nella pur meritevo- le monografia del nostro Autore delle formulazioni poco chiare, poco stringate, tavolta contradit- tore, troppo formalistiche o non abbastanza verificate; fra di esse ei sono, diciamolo pure franca- mente, semplici errori, che avreb- bero potuto essere evitati e che diminuiscono il valore generale dell’overa. Soffermiamoci sui pit salienti. 7.1 A p. 8 si afferma che gli abi- tanti Romani passano dal centro dei Balcani attraverso {1 Danubio in Asia, il che & impossibile. Che cosa doveva figurare al posto di Asia? Dacia? Sara un lapsus 0 un errore di stampa. 7.2 A p. 10 Yinfisso latino dal quale proviene il veglioto /ay/ non @ EX ma EY (che a sua vol- e proviene da -IDY- < greco =). 7.3 A p. 12 e in diversi altri po- sti l’Autore parla di lingue ne- oromanze, il che @ in fondo una tautologia superflua: di fronte al latino basta definire le lingue che rappresentano la sua fase attuale come romanze o come neolatine. Si potrebbe distin- guere, semmai, una fase neo- -romanza da una fase paleo- -romanza entro l'ambito delle lingue romanze, ma neppure questa accezione calzerebbe, vi- sto che lo studio dell’Autore non & dedicato ex professo alla fase neo-romanza (romanza attuale). 74 A pp. 13-14 l’Autore co menta Io studio dei romanismi jugoslavi finora e giustifica il Proprio scopo. Vengono menzio- nati gli studiosi che si sono occu- pati e si occupano della simbiosi slavo-romanza_e dei romanismi @®. Budmani, H. Schuchardt, M. Bartoli, M. ReSetar, P. Skok, H. Barié, M. Deanovié, 2. Muljadi¢, V. Vinja, C. ‘Tagliavini ec). La osservazione seguente, nella par- te finale del paragrafo 10, p. 14, sorprende tuttavia non’ poco: «Dobbiamo perd aggiungere che la maggior parte di queste ricer- che @ stata effettuata solo di pas- saggio [«uzgred»], come comple- mento di un problema pid ampio. E stato questo fatto a incitarci allo studio dei romanismi in una delle nostre parlate» (sottolineato da P. T). Rispettiamo naturamen- te in pieno le convinzioni e le ragioni personali dell’ Autore, ma per lo meno nel caso di Skok, Muljagié e Vinja questo giudizio @ insostenibile. L’autore sara pro- babilmente d'accordo con noi su quello che tutto il mondo roma- nistico sa, che, cio’, la parte del leone dello studio della simbiosi slavo- -romanza e della la ti- nit& adriatica orienta- le &@ data dalle opere di Petar Skok, che a questi studi ha dedica- to la sua vita. Fondamen- tali sono anche gli studi di 2. Muljagié sul raguseo, di V. Vinja sull’elemento greco nel dalmatico e sullittionimia dalmatoroman- za. Come mai, da quale punto di vista e in base a quale criterio, questi studi in una monografia scientifica dedicata al loro mede- simo argomento possono essere qualificati come ricerche fatte «di passaggior? Se essi sono nati «di passaggio», quali sono Je ope- re di maggiore peso, centrate su questi problemi? 16 Studia romantica 7.5 ‘A p. 34 si dice che nel caso di_una_particolare insistenza I’ac- cento breve discendente (0 solo Yespressione) si sposta spesso sul- Ja sillaba finale: ocd mu njego- va, tamén mi to treba. Che signi- ficato ha qui il termine, decisa- mente troppo vago, di espressio~ ne? O Yaccento c’é o non c’é! In tali casi I’accento finale concorda con la sua Posizione antica. 7.6 Ap. 36 in alcuni altri posti YAutore definisce la pronuncia sorda (cio’, [—sonorita], P. T.) come «muta> o «cupa> (muk- Jo). Anche questo @ un termine troppo vago; perché usarlo, se da tempo nella terminologia guistica @ invalsa la coppia zvu- gan — bezvugan (it. sonoro — sordo)? 7.7 Il giudizio espresso a p. 37, che, cio, & «assai difficiles dis- cernere gli imprestiti di origine veneziana da quelli di origine toscana, che cominiciano a pene- trare dal Duecento in poi, an- drebbe attenuato perché ci’ sono dei criteri sicuri che rendono possibile appunto una tale di- stinzione: nel veneziano /k/ da- vanti a vocali anteriori diventa /ts/, nel toscano /é/; i1 veneziano sviluppa /kI/ fino a /&/; il toscano si ferma alla tappa /ky/, inter- vocalico /ikky/; il veneziano, as~ sieme a tutto il Nord, sonorizza (-ada), il toscano conserva la sorda’ (-ata), il veneziano co- nosce la /e/ protonica, nel tosca- no questa /e/ tende a chiudersi in /i/ ec. 7.8 Ap. 41 l’Autore cita J. Jer- nej il quale, nello studio «Sugli italianismi penetrati nel serbo- croato negli ultimi cento anni», Studia Romanica 1, Zagabria, 1956, pp. 54—82, specialm. p. 67, constata che la forma settentrio- nale di certi romanismi (entrata tramite il tedesco) reprime sempre pit quella meridionale (assunta direttamente dall'italiano), citan- do le coppie maska — makkara, ‘menza — mensa, gitara — kitara, salama— salam, violina — violin ecc. Ma le cingue coppie non so~ 241 no identiche: nella prima coppia c’é una specializzazione seman- tica (maskara — termine carne- valesco, maska — termine mili- tare, cosmetico ecc.) che nelle al- tre quattro non c’é, sicché mai- kara termine meridionale, conti- nua a vivere in certe accezioni («persona mascherata»). 7.9 LiAutore esprime (ib. il suo «sincero dubbio» di fronte all’o- pinione dello Jernej secondo cui Arlekin viene gradamente elimi- nato da Harlekin, forma entrata dal tedesco (J. Jernej, «Sugli ita~ Lanismi...», cit, p.’ 66), e ag- giunge che, del resto, lo Jernej stesso esprime in nota delle ri- serve a proposito. Noi, dal canto nostro, «dubitiamo sinceramente» che il «sincero dubbio» del no- stro Autore sia giustificato, per- ché @ un fatto incontestato che il nome esiste ogei nel scr. lette- rario in forma di Harlekin, men- tre Arlekin & nettamente dialet- tale. In pid, le «riserve dello Jernej non sono riserve ma sem- plicemente citazioni di opere an- terlori in cui prevaleva la for- ma Arlekin. Lo Jernej continua nella stessa nota dicendo che nel- le edizioni recenti dei vocabolari (a partire dal 1948 pressappoco, P. T), Arlekin viene sostituito da Harlekin, dunque attesta e con- ferma appunto la sostituzione di cui il nostro Autore dubita. Anzi, mentre Jernej afferma che 1 «les- sicografi contemporanel, che non siano dalmati di origine, st li- mitano a registrare Harlekin» (di conseguenza, quelli dalmati regi- strano anche Arlekin), nel voca~ bolario italiano-serbocroato di M. Deanovié e J. Jernej, nonché in quello serbocroato-italiano dei due autori (1970) si trova solo la forma Harlekin. Non c’é dun- que alcuna riserva e la preferen- za per la forma settentrionale é effettiva e chiara. 7.10 A pp. 43—44 l'Autore dis- cute Vinteressante toponimo Su- torina, che secondo alcune opi- nioni ‘risale al lat. SUB TUR- REM (con il suffisso slavo ~ina), 242 ma osserva con ragione che la fif latina negli antichi prestiti non diventa /o/. La supposizione che segue ci lascia tuttavia per- Plessi: si accenna, cioé, ad una dissimilazione (/u/—/u/— /a/—/o/, P. T) perché una forma come *Suturina «molto _difficilmente pud sussisteres. Perché mai? Le parole con la vocale /u/ in due sillabe successive esistono, e persino nel vocabolario del dia- letto studiato (SU3ur < sussurro, injuli, -a < ven. ugnolo; cfr. cikun, tuk citati a p. 60), e la sequenza /u/ — /u/ non dovrebbe presentare una-difficolt4 artico- latoria maggiore delle altre ana~ loghe, né tale da determinare necessariamente una dissimila- zione. 7.11 Immediatamente dopo, a p. 45, si dice che il top. Kostanjica viene dal lat. CASTANETUM, il che @ troppo semplificato. ‘La formulazione @ inoltre contrad- dittoria, perché V’Autore dice te- stualmente: . In- somma, il toponimo Kostanjica fa parte dello strato pitt antico © no? Siamo del parere che & antica, semmai, la sua base (CA- STANEU > kostanj, regionale per kesten ‘castagno, -a’), men- tre la formazione del toponimo pud anche essere recente, 7.12 A p. 46 YAutore considera caratteristico per il periodo re- cenziore veneziano il cambia- mento della /o/ postonica in /u/ nella desinenza on > un (Kva- drun < ven. quadron 'quadrato grande’, Torijun < it. Torrione); Jo stesso si ripete pressappoco @ p. 53. Innanzitutto, la sostituzio- ne /o/ > /u/ in questa desinenza (meglio suffisso!) non si pud sepa- rare dagli altri casi della mede- sima sostituzione, come -ore, -or — -ur, e fa parte di un fenomeno ben diffuso nella latinita adria- tica orientale. La sostituzione non @ caratteristica del periodo veneziano perché si ritrova an- che nei prestiti pi antichi, ad es, ratun < RATIONE, Infine — ce bisogno di dirlo? — nelle voci in -ONE, ven. -on, la vo- cale /o/ non @ postonica (dunque atona), come vuole !Au- tore, bensi porta l'accento prin- cipale, e diventa postonica sol- tanto in seguito allo spostamento acento neo-Stokavo. Ora, que- sto @ senz’altro posteriore alla sostituzione /o/ —> /u/ perché nei dialetti che non effettuano lo spostamento T’accento antico si conserva ma la sostituzione av- viene lo stesso: partin, timin eee, 7.13 A pag. 47 il top. Ka8tio vie- ne considerato come un prestito del periodo veneziano, ma alie pa- gine 62—63 apprendiamo che esi- ste anche la voce kdstel o kas- éel. Ci pare che Kaitio da un lato, kditel, kaséel dall'altro non Possano appartenere allo stesso strato. 7.14 A p. 48 in alto bisogna in- vertire i termini maschile e fem- ‘minile perché si parla del ‘pas- saggio dei sostantivi dal secondo al primo (ven. mandola 'man- dorlo’ > ménduo). 7.15 A p. 53 l'Autore constata che per i prestiti dal veneto @ caratteristico anche il passaggio della «s sonora» in Z, ad es. To- mao (< it. Tommaso, P.T.). La constatazione é@ esatta, ma la formulazione confonde’ il piano grafematico con quello fonema- tico, e ancora solo nell’ortografia italiana. Questa, cioé, usa un gratema (s) per due fonemi Us/ e /z/) 0 allofoni ([s],[z], in certe varianti), sicché su nes- suno dei due piani esiste una z sorday, Nell'ortografia serbo- croata, pol, i due fonemi si di- stingunono anche graficamente. 746 A p. 76 si parla del pas- saggio della /a/ in /o/, caratte- ristico dei romanismi antichi, passaggio che di solito avviene in posizione protonica (PAGA- NUS > pogan), ma talvolta anche in posizione tonica (CANABAE > konoba). Fra gli esempi figura anche lovor ‘alloro’ < LAURU, il quale perd contiene il dittongo jaw/, non la semplice vocale /2/. Bisogna presupporre la conso- nantizzazione della _ semivocale jwi, postulata effettivamente dal ritiesso scr. lovor. A. proposito del passaggio / > /o/ in sillaba protonica é@ uti- ie ricordare che secondo Z. Mu- ljatié ci sono due strati, crono- logicamente e _strutturalmente diversi, di questo fenomeno: lo strato ‘pi antico @ determinato dall’inesistenza di un fonema /3/ nel sistema slavo di allora, quello posteriore, al contrario, & condi- zionato dall’esistenza di una vo- cale ridotta /e/ nel dalmatico, sostituita con la /o/ ser. Cfr. Z, Muljaéié, «Dalmatski elementi u mletatki ‘pisanim dubrovatkim dokumentima 14. st», Rad Jug. Akademije Znanosti i Umjetno- sti, 327, Zagreb, 1962, p. 264. 7.17 Alla stessa pagina si dice che il cambiamento /a/ > /0o/ s'incontra in certi vocaboli anche in posizione postonica: cipol < CEFALUS, gdmbor < CAMBA- RUS, kantor [sic; nel vocabola- rio kéntor] < CANTARUS e si aggiunge la spiegazione: questo passaggio & avvenuto sotto l'in- flusso della trasformazione del lat. -ALU_nel nostro -ol e -ARU in -or. Che trasformazione é? Come si spiega, perché avviene? Tutte domande a cui una cosi semplice constatazione non da aleuna risposta. Anzi, possiamo chiederci in quali altri esempi ricorre questa trasformazione? Si ha l'impressione che per illu- strare i sedicenti passaggi -ALU > -ol, -ARU > -or gli esempi siano appunto le parole citate, sicché la formulazione viene ad essere circolare. 7.18 A p. 77, fra gli esempi per il passaggio /a/ > /o/ in sillaba 243 protonica si cita anche domizana (< damigiana) ma con Yosserva- zione che in questo caso il cat biamento esposto «non é del tut- to convincente» perché esistono altre forme con /a/ e con /e/ (dami-, tamt-, demi-, temiZana). La formulazione @ insostenibile: un cambiamento non pud essere né convineente né non-convin- cente, ma esso c’é o non c’é. Nel caso concreto il passaggio é effet- tivo, la forma domizana esi- ste. Convincente pud essere, semmai, una spiegazione, un'ipo- tesi, non un dato di fatto. Se c’é ‘qualcosa di non-convincente in questo esempio, @ la tesi se~ condo cui il passaggio /a/ > /o/ @ tipico dei prestiti antichi, per- ché domizana non pud essere antico, essendo Ja sua fonte, I’ it, damigiana, essa stessa impresta- ta dal francese dame-jeanne. Lesempio prova dunque che lal > fol" & possibile anche nei prestiti recenti. 7.19, Alla medesima pagina il pas- saggio /a/ > /e/ in brénke, brénge ‘branchie’ (< BRANCHIAE) vie- ne attribuito all’assimilazione, ma_non si precisa che cosa si assimila né_a che cosa viene assimilate. Si allude probabil~ mente all'assimilazione _dell"/a/ tonica alle vocali anteriori finali, ma in sostanza il riflesso con /e/ rimane senza una spiegazione de- finitiva, Si pud pensare anche ad un’attrazione della _semivocale (come nel veglioto ANNI > yayn ec), con la successiva monot- tongazione /ay/ > /e/. Nello stesso paragrafo PAutore spiega la /i/ protonica per 1a /a/ in _mistijo ‘mastello’ < it. ma- stello con Vassimilazione alla /i/ seguente (citando B. Miletié, in Srpski dijalektoloski zbornik 9, 1940, p, 262). Ma la finale -ijo Punta su uno strato pili antico di quello dei prestiti dalVitaliano (cir. kaStel, kaSéel di fronte a kaitio, citati sopral) perché risale probabilmente a -iellu /yellu/ o sim. nel dalmatico (dittongazione tipica. appunto del romanzo di Cattaro, cfr. P. Skok, «Zum Bal- 244 kanlatein» IV, Zeitschrift filr ro- manische Philologie 50 (1934), p. 90, dove vengono citati_esemy come éérma ‘aiuola’ < 'TERMES, kurjal ‘sp. di pesce’ < CORVEL- LUS, lumbijdo, lubijdo "pesce lu- po! < LUPELLUS ecc.). Inoltre, se mastello diventa mistijo, per- ché castello non da un *kistijo? Ll verbo pasirat citato subito dopo, nel medesimo passo, come un altro caso di /a/ > /i/, avreb- be potuto anche non figurare nel capitolo dedicato ai cambiamenti fonetici, perché si tratta di un fenomeno puramente morfologi- co, cio’ dell’adattamento del te- desco passieren nella classe ver- bale ser, ~irati, L’Autore non manea, @ vero, di constatarlo anche lui, ma ‘lo stesso scrive pasirat <'it. passare», ilche non & esatto perché il verbo italiano non é la fonte diretta del verbo ser. 7.20 A p. 79 si commentano le diverse forme che nej dialetti scr. assume il prestito italiano pomodoro (sia detto di passaggio che le forme effettivamente cita- te sono solo due, pomidéra e pamidora, sicché sembra un po’ esagerato il commento dell’Auto- re, che, cio’, questa parola si pronuncia in’ diversi modi nella parte nord-occidentale delle Boc- che di Cattaro e nelle regioni limitrofe, e che sarebbe molto difficile ‘stabilire il carattere di tutti i cambiamenti vocalici av- venuti in essa). La seconda for- ma, pamidora, ch’é dovuta all't flusso di Ragusa, presenta la dissimilazione /of > /a/ (? P.T.) in quella che l’Autore definisce anteprotonica (cio’, /o/- in sil- Jaba chiusa, /é/ al posto di /Ict/) ed ha ragione il Muljatié quali- ficando questo vocabolo come «sospetto» (eDalmatski elementi», cit, p. 265). 7.23 A p. 82 la forma scr. in- téndit se ‘intendersi’ < it. inten- dersi_ viene citata come esempio per il passaggio /e/ > /i/ in posi- zione postonica. Questo, perd, non @ un fatto fonetico ma puramen- te morfologico, cio’ Yinquadra- mento del verbo italiano in ~' ere nella classe scr. in -it(i). Del re- sto, un po’ pitt avanti, a propo- sito dei verbi péngat (< lat. PIN- GERE) e prigat (at. FRIGERE, non FRIGGERE come @ stampa- to), si constata correttamente che hanno la /a/ sul modello dei verbi scr. in -ati. In entrambi i casi il cambiamento nella desi- nenza (e l'apparente «passaggio fonetico» di /e/ in /i/_o in fa/) @ dovuto a fattori morfematici. 7.24 Grave lo sbaglio a p. 83, a proposito della parola jacéra. Essa (senza traduzione) "viene fatta risalire al lat. JACINA (po- stulato effettivamente dal REW, 4565), e la stessa etimologia, con Paggiunta di JACIUM e di un punto interrogativo (quanto mai a posto), si ripete nel lessico (p. 162), ma questa volta viene data anche la traduzione ‘luogo tred~ do, ghiacciato, camera fredda’ e Yosservazione’ che per un: mera fredda si dice ‘che & questa?” Questa traduzione spiega tutto: perplessi davanti alle etimologie proposte non riu- sciamo a capire perché risalire a JACINA, JACIUM (del_ resto, come giustificare i cambiamenti fonetici?), se 8 evidente che si tratta di’ un derivato da GLA- CIE, cio® pressappoco GLACTA- RIA, da dove Tit. ghiacciaia (per cui io Zingarelli da il significato ‘tuogo chiuso _particolarmente freddo’ con T'esempio perfetta- mente equivalente Questo salotto 2 una ghiacciaia), il veneto gia~ zera, giasera, iazera (E. Rosama- ni, Vocabolario giuliano, Bologna, 1958, ss. vv). 7.25 Alla medesima pagina 'lt. disreditare non concorda con la forma direditare data alla p. 97. 7.26 A p. 83, per il passaggio if > Jaf si cita il verbo impam- panat se < it. impampinarst, mentre a p. 96 lo stesso verbo scr. @ dato come esempio per Yenentesi di /m/ @ fatto risalire all'it. impappinarsi. Bvidente- mente & esatta questa seconda etimologia il verbo costituisce un esempio tanto per /if > /a/ quanto per I'epentesi di /m/. 7.27 Tl paragrafo 91, pp. 84-85, tratta det cambiamenti fonetici nei suffissi nominali, ma tra gli esempi_ troviamo anche stopa (< SALPA) che non dovrebbe figurarvi perché non contiene suffisso. 7.28 BE insostenibile e troppo semplicistica la spiegazione delle forme ser. della voce damigiana, esposta a p. 86, in cui si dice testualmente che «il camblamen- to di t in d nella voce temizana < it. damigiana, ven. damiana & condizionato dalla mescolanza delle vicine dentali>. Anzitutto, non si ha il cambiamento della It! in /a/ ma della /d/ in /t/, essendo le forme con /d/ etimo- Jogiche: ma, a parte questo, che vuol dire «mescolanza» di suoni 245 vicini? — e in che senso vicini: per articolazione, o per posizione nella parola? Che cosa si spiega con tall /t/ in demizina > temizana? Una dissimilazione? O qualche contaminazione? 7.29 Alla stessa_ pagina V’Autore cita le forme Skidela (ace. a Setl- dela) < it. scodella, e girdela < it. cordela (ven. ‘cordesella) spiega la palatalizzazione della Ja] come una palatalizzazione ro- manza davanti a vocali anterior, ma ammette nello stesso tempo anche la possibilita della palata- lizzazione slava, propria dell’erze- govese orientale, di /d/ davanti a B (dbvojka, ciod djevojta > de- vojka). Siccome una palatalizza~ zione generale delle dentali da~ vanti a /e/ non esiste nelle lin- gue romanze, la spiegazione risie- dera nel secondo fenomeno, ma ci sembra che la palatalizzazione slava in questi casi presupponga a sua volta una dittongazione an- terlore, naturalmente romanza, che effettivamente @ bene docu- mentata nel romanzo di Catta- ro (v. sopra 7.19). Oppure si trat- terA di una iper-iecavizzazione della forma romanza, con succes- sivamente dj > d. 7.30 A p. 89 come etimo di pd- uo, -tila *pozzo’ figura il lat. POTIUM, etimologia ripetuta nel lessico a p. 210. Se si trattasse della stessa parola come Vit. poz- zo, Vetimologia dovrebbe essere oppure il lat. class. PUTEUS, acc. PUTEUM, oppure il lat. tardo *POTEU, *POTIU, ma non PO- ‘TIUM con —/m/ conservata, Ma non si tratta di PUTEU bensi del suo diminutivo PUTEOLU, visto che, come I’Autore stesso Io dice alle pagine 80 e 85, tanto il lat. tardo -ULU quanto Tit. -olo dan- no -to nei romanismi della re- gione esplorata (lat. med. ARCU- 246 LUS > arkuo, it mascolo > ma- ¥kuo), e il medesimo risultato lo presenta anche fl suffisso dimi- nutivo tonico -OLU (> it. -uolo) come in léneuo < lat. LINTEOLU it, lenzuolo ece. 7.31 Troppo semplicistica e fret- tolosa la constatazione a p. 89, che i nessi /mn/, /kt/, /pl/, /ks/, /oY/ si sono persi nelle lingue ro- manze occidentali, perché non tutti si_sono persi in tutte le posizioni: il francese, l’occitanico, e il catalano, ad. es., conservano /pl/ iniziale: PLENU' > fr. plein, oce., cat. ple, PLANU > fr. plain, oce., cat. pla ece. 7.32 A p. 91, paragr. 102, ven- gono riuniti ed esaminati insieme tre diversi tipi di sostituzione della /kk/ con 1a /g/: dopo sonante In} (brénge acc. al pid usuale brénke 'branchie?), in posizione iniziale (garbun < it. carbone) e in posizione intervocalica (medig < ven. medego). T tre fenomeni vengono semplicemente constatati e registrati, quasi senza spiega- zione (a parte il cenno che /k/ > /g/ in medig & avvenuto sotto Yinflusso del veneziano; sarebbe stato meglio e pid esatto dire che si tratta di prestito dal venezia- no, che, cio’, si ha una «Wort- ibertragung», non un «Lautwan- del»). Eppure si tratta di tre fenoment diversi, dovuti a cause diverse e strutturati in modo diverso. 7.33. Alla stessa pagina, parlan- do dei riflessi di + /y/, YAu- tore constata che nel dialetto del- la regione esaminata lesito & /y/ (, ma continua pol afferman- do che «la conservazione (spaz. P.T.) di j anziché Yio ¢ sara forse da attribuirsi_all'in- flusso raguseo». Ora, levoluzione romanza. come si sa, & /I'/ > /y/ > 18 (nel ven) sicché si pud parlare di conservazione di /y/ al posto di /8/ ma in nessun modo al vosto di /I'/, visto che /y/ & la tappa posteriore a /I’/. 7.34 A p. 92, fine paragr. 105, to- glieremmo il punto interrogativo dopo la dicitura «dissimilazione delle nasalix (a proposito di li- mer < it. numero), perché @ si- curo che si tratta di questa dissi- milazione; cfr. G. Rohlfs, Gram- matica storica della lingua ita- liana e dei suoi dialetti, I: Fone- tica, Torino, 1966, p. 461. 7.35 Nel paragrafo 106, alla me- desima pagina, la voce rdkelj ‘rocchetto’ si fa risalire a rotellla, mentre nel lessico (p. 219) la sua etimologia @ rocchetto o rocchel- lo. Questa seconda etimologia sembra senz’altro pit esatta, ma in tal caso rdkelj non pud figu- rare nel paragr. 106 dove si parla della sostituzione di /t/ con /k/ (non certamente del passag- gio della /t/ in /k/, come si es- prime T'Autore!). Sono sospetti, sia detto di passaggio, anche gli altri due esempi per /t/ > /k/, che sono dé8pek < it. dispetto, panjoka < it. pagnotta; anzi- tutto—giacché P’Autore di come etimologie le forme italiane — non si tratta di /t/ intervocali- co bensi di /tt/; inoltre, pagnoca esiste nel veneto (ed @’ stato da noi raccolto nelVistroromanzo di Dignano). Infine, 8 ormai super- fluo ripetere che neppure qui c’& una parola di spfegazione; regi- strazione pura e semplice del «cambiamento» /t/ > /k/ e nulla pid. 7.36 Gravissimo lo sbaglio a Pp. 94, a proposito della voce muslia ‘mussolo’ < ven. mussolo, tanto che non vale nemmeno la pena Si afferma nfente- dissimilazione del- la /ss/ in /8lj/ in mussolo, da do~ ve muilia!! Davanti a’ questa constatazione insostenibile uno non pud resistere alla voglia di chiedere all’Autore: e dove mai va a finire la parte finale -olo di mussolo? Non si tratta forse di una semplice sincope? Tali constatazioni diminuiscono il valore dell’opera. 7.37 Non @ corretta nemmeno la formulazione all’inizio del paragr. 109, alla stessa pagina, che cioé, la semivocale /w/, se si trova nel nesso /kw/ 0 /gw/, d& /kv/, /ev/. Ovviamente, la semivocale /w/ da soltanto /v/, non Vintero nesso! 7.38 Che significa dire che i nessi Int/, /nts/, /ns/ (nt, ne, ms) «non corrispondono al ‘nostro senti- mento linguistico» (formulazio~ ne a p. 96, con la citazione di B. Miletié, in Srpski dijalektoloski zbornik 9, pp. 384391)? Oggi- giorno sarebbe tempo di abbando- nare tali formulazioni impressio- nistiche e di parlare, ad esempio, di sistemi fonematici, di tole- rabilita 0 meno di fonemi, trat- ti distintivi, di compatibilita o combinabilité dei fonemi ecc. E, last but not least, é proprio esat- ta quest’affermazione (almeno per quanto riguarda il periodo rela- tivamente recente nel quale en- tra la grande massa dei romani- smi)? 7.39_ A. p. 97 il riflesso kobartuo (< COOPERTORIUM) viene cita- to come esempio per la metatesi delle liquide, ma T'esempio non vale perché ‘la /r/ resta al suo posto. Andrebbe, semmai, citata la variante korbatuo, korbdtur, coesistente con kobértuo e citata nel lessico (p. 176), In essa c’é ef- fettivamente una metatesi di /r/, ma non la metatesi slava propria dei romanismi antichi, della qua- Je appunto si parla nel paragr. 113: questa dovrebbe _produrre *kobratuo, *kobratur. Di conse~ guenza, nessuna delle tre forme fornisce un esempio per la meta- tesi antica delle liquide (quale si trova in altri esempi citati_nel paragrafo: mramor < MARMOR, klk “<< CALCE ecc.). 7.40 A p, 99 V'Autore dice che le parole bisillabe romanze in cui la vocale in sillaba tonica non si ac- coreia_ conservano in massima parte l'accento lungo (ascendente © discendente, P. T.) anche nel ser. della regione esaminata. Gli esempi citati non contengono, perd, solo parole con la sillaba tonica aperta (quali, ad es. tu- bo, coda, ven. zogo, busa, cio& 247 /20go/, /buza/ ecc.) ma anche quelle con la sillaba tonica chfusa (carta, conte, fante, banda, barca ecc.) in cui le norme prosodiche romanze — e soprattutto italiane! = postulano una vocale breve. Come esempio di voci romanze con la vocale tonica lunga var- rebbe dunque solo la prima ca- tegoria. Nello stesso passo _ ’Autore commenta Topinione di V. Toma- novié il quale afferma che T'ac- cento italiano corrisponde all’ac- gento Tungo discendente del scr. Di fronte a queste idee il nostro Autore esprime le sue riserve il che @ molto esatto, perché si sa che la lunghezza vocalica roman- za (itallana) normalmente non @ accompagnata dal tono ascendente o discendente, men- tre lo @ automaticamente nel si- stema prosodico _neo-stokavo. (nfatti, Vintroduzione degli ac- centi ascendenti e discendenti nella pronuncia delitaliano uno dei pitt tipici sbagli fonetici def neo-8tokavi). 7.41 A p. 101 I'Autore tenta di ricondurre la differenza tra T'ac- cento discendente lungo e Tac- cento discendente breve del scr. alla quantita della vocale latina 0 romanza: se questa era breve, cio’, Vaccento ser. & discendente e breve, se era lunga, l’accento @ discendente e lungo. Ma gli esempi addotti non rendono ra- gione di una simile distinzione perché in ambedue i gruppi ven- gono citate alla rinfusa le paro- Je con la sillaba chiusa, in cui dunque Ia vocale poteva essere solo breve (brdkule < it. broc- coli, ma gléndula < lat. GLAN- DULA) e quelle con la sillaba aperta, nella quale le vocali non potevano essere che lunghe (glitina < it. glicine, ma kégula < ven. cégoli). Perché, ad esem- pio, il veneto cdtola’ dovrebbe avere la vocale breve, cdgoli in- vece lunga? Fino al periodo in cui il veneziano ha potuto eser- citare il suo influsso sul ser. di Cattaro la degeminazione si era senz’altro gid svolta. 248 Inoltre, tutto il paragrafo 118 & dedicato alle parole sdrucciole, ma fra gli esempi troviamo anche bestia, dazio, doppia, gloria, guar- dia che sono — occorre dirlo? — parole piane, non sdrucciole. 742 & affine la correzione da apportare al paragrafo 119, p. 102: si_afferma, cio’, che le parole nelle quali, conformemente al- Yaccento erzegovese _ orientale, Yaccento si sposta di una sillaba a sinistra (ad es. ven. barbén > scr. bdrbiin ecc.), conservano la Junghezza sulla toniea_romanza se questa era lunga. Cid sottin- tende che non Ia conservano se Ja tonica era breve, il che perd non @ esplicitamente detto, Ma il tutto non pud essere esatto per- ché in tali parole 1a tonica ro- manza non era solo lunga ma anche breve se 1a vocale st tro- vava in sillaba chiusa. Cosi, ad es. in bevanda (< it. bevanda), berekin (< ven. berechin), bi- stjerna (< lat. it. cisterna [sic; dato il riflesso /b/ crediamo che si tratti di un prestito antico)) ece. 7.43 A p. 106, paragr. 124, la di- citura «breve ascendente» va so- stituita con di altre nazioni considerate come leaders nella linguistica GT (ad es, Ja lingui- stica anglosassone). 2 Il primo dei tre contributi di N. Ruwet (Défense de la struc- ture profonde: les constructions 251 factitives en francais, pp. 15—55) @ dedicato all’analisi dei costrut- ti fattitivi (Marie fait cuire le ragoat, le Président fait démis- sionner le ministre ecc) e il suo scopo @ di mostrare, come dice i titolo, utilita di un livello di struttura profonda (SP). Certi as- petti di ordine lessicale o seman- tico, che pongono dei problemi alla’ semantica generativa, pos- sono essere chiariti meglio nel- Yambito della teoria GT clas- sica. In una serie di casi la dis- tinzione fra azione diretta e indiretta, introdotta dall’Autore, distingue {1 costrutto transiti- vo semplice da quello fattitivo complesso. — Tl secondo contri- buto del medesimo Autore (No- te sur la syntaxe du pronom «en» et @autres sujets apparents Pp. 281—304) si prefigge un du- plice scopo: 1) provare che solo i dati ricavati sistematicamente dalla competenza (intuizione) lin- guistica permettono di chiarire certi fatti che appartengono al francese attuale ma che non po- trebbero essere messi in luce da un corpus finito; 2) mostrare che, mentre una grammatiea distri- buzionale pud soltanto elencare e classificare gli elementi lingui- stici e constatare { fattl, una grammatica GT li pud ‘anche splegare. Tl problema centrale & Jo spostamento di en «al di sopra del verbo» (La solution de ce probléme vient d’étre trouvée > La solution vient d’en étre trou- vée). Secondo Vipotesi dell’Auto- re vi sono due trasformazioni: Tuna, consistente nello sposta- mento di en, viene applicata per prima, Valtra, che estrae il nome il quale diventa soggetto della frase passiva, viene applicata dopo. — Tl terzo ed ultimo con- tributo di N. Ruwet (Restrictions de sélection, transformations et reales de redondances: les con~ structions pronominales en fran- gais, pp. 305—331) analiza i costrutti pronominall, riflessivi, transitivi ece. L’Autore distingue due gruppi di costrutti_prono- minali: gli uni, denominati medi (movens), risultano da una tras- 252 formazione; gli altri, definiti neutri (neutres), vengono generati direttamente alla base. I primi, assai produttivi, sono regolati da certe costrizioni sintattiche e se- mantiche, 1 secondi dipendono da costrizioni di natura lessicale. Ci sono anche altre differenze: i medi sono prevalentemente pan- temporali (nostro termine), non possono, cio’, essere localizzati in un preciso punto del tempo, men- tre 1 neutri hanno tale possibi- ita, 3. La linguista romena Mihaela Cirstea, nella prima sua comuni- cazione (La generazione di alcuni costrutti enfatici nell’italiano contemporaneo, pp. 119-137), analizza principalmente la messa in risalto (enfasi) mediante Ja formula essere... che. L’enfasi, cosi com’é concepita dall’Autrice, @ un elemento interpretativo, se- mantico. Tl morfema che in’ tali costrutti non @ relativo: esso non pud essere sostituito con i quale, esso @ invariabile, non ha una funzione sintattica ece. In seguito vengono coinvolti _nell’analisi anche i cosidetti_«wh-Interroga- tives», nonché le proposizioni tipo B un anno che non ti vedo ece. A questo proposito crediamo necessaria un'osservazione. L’AU- trice dichfara_ la _proposizione Voglio 1a cravatta bianca ambi- gua perché essa pud significare a) Voglio la eravatta (ch’é) bian- ca, b) Voglio (che) la cravatta (sta) bianca, Liambiguitd scom- pare, secondo TAutrice, nella riscrittura enfatica del nome: c) B ta cravatta bianca che voatio, 4) E la cravatta che voglio bian- ca. Ma @) non @ Ja riserittura enfatica di b) perché in b) l’en- fasi & sull'aggettivo. La riscrittu- ra enfatica dell’aggettivo darebbe pluttosto e) B bianca che voglio la cravatta, o f) La cravatta la voglio bianca. — La seconda co- municazione della stessa Autrice (Costrutto perifrastico con valo- re aspettuale nellitaliano con- temporaneo, pp. 139—187) tratta le perifrasi verbali composte del verbo stare e del gerundio, con

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