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Order Num ber 9134661

D a ll’am ore co rtese a lia com prensione: II viaggio ideologico di


G iovanni B o cc a ccio d alla “C accia di D ian a” al “D ecam eron ” .
[Italian tex t]

Giusti, Eugenio L., Ph.D.


New York University, 1991

C opyright ©1991 by G iu sti, Eugenio L. All rightB reserved.

UMI
300 N. Zeeb RdL
Ann Arbor, MI 48106
Dall'amore cortese alia comprensione: il via g g i o ideologico

di Giovanni B o ccaccio dalla Caccia di Diana al Decameron.

di

Eugenio L. Giusti

A diss e r t a t i o n submitted in p artial fulfillment

of the requirements for the degree of

Doctor of Philosophy

Department of Italian

New York U n i v e r s i t y

May, 1991

Ap p roved
Eugenio L. Giusti

All Rights Reserved


ii i
RINGRAZIAMENTI

Seguendo il messaggio boccacciano per cui "chi nasconde

i benefici ricevuti dixnostra di essere ingrato e di quelli

mal conoscente", prendo questa occasione per esprimere la

mia gratitudine verso coloro senza il cui aiuto e consiglio

questo progetto non sarebbe mai giunto a lieto fine.

Voglio quindi ringraziare il professor Fred J. Nichols

per aver accettato di far parte del gruppo dei miei relatori

e di essere stato di sostegno morale durante la fase

d'esame; II professor Luigi Ballerini seguendo il cui c o n ­

siglio ho per la prima volta letto l'intero D e c a m e r o n : il

professor Aldo Scaglione i cui suggerimenti e consigli sono

stati fondamentali alia risoluzione di questo progetto.

In particolare desidero esprimere la mia gratitudine

all'emerito professor Vittore Branca per avermi seguito con

puntuali correzioni e preziosi suggerimenti attraverso le

varie fasi del mio lavoro ed avermi dato un'indimenticabile

esempio di studioso ed di uomo.

Ma il mio debito e soprattutto nei confronti della

professoressa Teodolinda Barolini per avermi spinto, fin dal

suo arrivo alia New York University, ad aver fiducia nelle

mie capacita critiche, e nell'essere stata, come direttrice

del mio progetto di tesi, non solo maestra ma soprattutto

arnica.

I miei ringraziamenti vanno anche a Constance Cummings e

James Ziskin che pazientemente mi hanno guidato attraverso i

meandri della burocrazia universitaria.


V

INDICE

R i n g r a z i a m e n t i .............................................. iv

I. Dalla Caccia di Diana al N i n f a l e f i e s o l a n o :


stil e m i di amore c o r t e s e ............................. 1

II. L'Eleaia di m adonna F i a m m e t t a ; primi segni di


una crisi i d e o l o g i c a ................................. 41

A p p e n . : L'Elegia di m a d o n n a Fiammetta ed il
C o r b a c c i o : un ' i p o t e s i d ' i n t e r t e s t u a l i t a . . 65

III. II C o r b a c c i o : l'esempio n e g a t o ...................... 106

IV. II D e c a m e r o n : chiose al C o r b a c c i o .................. 162

V. II D e c a m e r o n : tra comp r e n s i o n e e c o m p a s s i o n e 24 6

Bibliografia 360
1

Capitolo I

Dalla Caccia di Diana al Ni n f a l e f i e s o l a n o :

stilemi di amore cortese.

S correndo le pagine dell'estesa ed eclettica p r o d u z i o n e

g i ovanil e di Giovanni Boccaccio, viene da domandarsi se, tra

la molte p l i c i t a di stili e di temi, esista un comun

denominatore che offra 1 'opportunity di costruire u n m odello

ideologico diacronico di cui sia poss i b i l e individuare le

fasi di s v i l u p p o 1 . Prima di procedere intendo p ero definire

i termini della m i a ricerca nel tentativo di evitare la

r ipetizione di argomenti gia criticamente affrontati e

risolti2 . Campo d'azione della mia analisi e il t e s t o che

la critica filologica e stata in grado di farci p e r v e n i r e e

che io ritengo oggetto di interpretazione non a s s o l u t a ma

relativa. II mio tentativo di lettura quindi non e che uno

dei tanti p ossibili che vanno ad arricchire i vari strati

interpretativi dell'opera. Lungi quindi dalla bo r i a di

essere l'araldo d e l l /originale significato che G i o v a n n i B o c ­

caccio ha v o l u t o dare a ciascuna delle sue opere (in questo

ambito mi riferisco alle opere giovanili in v o l g a r e

escludendo 1 'Elegia di madonna Fiammetta di cui t r a t t o nel

secondo c a p i t o l o ) , propongo una chiave di lettura che

presuppone la p r e senza esplicita, in ciascuna de l l e opere


2

prese in considerazione, di un messaggio al lettore,

generalxnente presentato in concomitanza con le motivazioni

che hanno condotto l'autore al suo esercizio di scrittura.

Intendo cosi analizzare, prendendo in considerazione i vari

livelli strutturali di ciascuna delle opere, le carat-

teristiche di tale messaggio ed il suo rapporto con le

motivazioni dell'autore. Conseguentemente la mia analisi ha

lo scopo di tracciare un modello di sviluppo di tale rap­

porto, ponendo particolare attenzione ai riferimenti fatti

al lettore sia come personaggio ascoltatore nel narrato, che

come pubblico esterno fruitore dell'opera, ed alia inter-

dipedenza di questi due tipi di pubblico ai fini

dell'efficace comunicazione del messaggio.

Le opere analizzate in questo capitolo sono: la Caccia

di Di a n a . il Filostrato. il F i l o c o l o . il T e s e i d a . la Comedia

delle ninfe fiorentine. 1 'Amorosa Visione ed il Ninfale

fiesolano3 . L'argomento che le accomuna, al di la della

specificita tematica e stilistica di ciascuna di esse, e

quello dell'amore4 . In questo capitolo lo scopo della mia

analisi e di dimostrare la presenza e di analizzare le

caratteristiche di un modello ideologico comune a tutte

queste opere; modello che riguarda la natura dell'amore, la

sua fenomenologia ed il messaggio che 1'opera trasmette al

lettore sia con un diretto riferimento al pubblico che

attraverso 1 'esemplarita dei propri personaggi e delle loro

vicende. A questo riguardo, conscio della diatriba


3

generata tra i critici dall'uso di termini come "amore

cort e s e " , "dolce stil nuovo" o i loro derivati e

variazioni5 , intendo utilizzare tale lessico solo come con-

troprova del modello scaturito dall'analisi dei testi in

causa. Per lo stesso motivo evito di fare in nota o nel

testo continui riferimenti alle opere canoniche su questo

tema.

La mia analisi prende essenzialmente in considerazione

la cornice, presente, in maniera piu o meno evidenziata, in

ciascuna opera e che viene utilizzata per introdurre e con-

cludere l /argomento della narrazione e per dare

1'opportunity all'autore di presentare le motivazioni che lo

hanno spinto alia scrittura6 . Di fronte alia disparita di

forma e contenuto delle diverse cornici intendo evidenziarne

i punti in comune sempre in riguardo alia fenomenologia

amorosa ed al riferimento al pubblico, dove questo sia p r e ­

sente .

Tutte le opere sopra menzionate presentano, anche se in

maniera molto diversa tra loro, una cornice costituita da

una parte proemiale e da una conclusione generalmente

seguita dal congedo dell'opera da parte dell'autore. Alcune

volte il proemio risulta inserito nel narrato altre invece e

in posizione antecedente e distinta. Ma passiamo ad una

analisi dettagliata dell'argomento e cominciamo con la C a c ­

cia di Di a n a , la cui cornice ci fornisce una prima serie di

elementi tematici sulla base dei quali poter confrontare,


4

con i dovuti arricchimenti e variazioni, le cornici delle

altre opere. II poemetto7 ha una breve introduzione di solo

due terzine8 :

Nel tempo adorno che l'erbette nove


rivestono ogni prato e l'aere chiaro
ride per la dolcezza che '1 ciel move,
sol pensando mi stava che riparo
potessi fare ai colpi che forando
mi gian d'amor il cuor con duolo amaro (I, 1-6).

Due punti essenziali appaiono in questa introduzione: la

stagione primaverile ("erbette nov e 11, "aere chiaro") con il

suo riso e la sua dolcezza da un lato, e dall'altro in

posizione antitetica, il "duolo amaro" che prova il cuore

innamorato d e l l /autore, il quale sta "pensando" a come

trovare riparo a tali colpi dolorosi. Ma i suoi pensieri

sono i m p r o w i s a m e n t e interrotti: "quando [gli] parve udir

venir chiamando/ un spirito gentil volando forte" (I, 6-8).

Con questa apparizione ha inizio il racconto della caccia.

Solo nell'ultimo capitolo (XVIII) del poemetto l'autore

riprende l'argomento delle prime due terzine dell'opera per

indicarci chi e l'oggetto del suo amore. Ed inizia

rendendosi conto, alia fine della narrazione, di una duplice

metamorfosi che lo rende partecipe, dopo esserne stato

solamente testimone oculare, delle conclusioni della cac­

cia9 . E stato cosi trasformato in cervo per essere poi

donato alia "bella donna" e quindi, cosi come e a w e n u t o a

tutte le vittime della caccia, trasformato nuovamente, nel

suo caso, in "creatura umana e razionale esser per certo"

(XVIII, 12)1 0 . Tale fenomeno e dovuto al valore della donna


5

che l /autore descrive fisicamente come: dal viso di angelica

bellezza, signorile nell'aspetto, lieta e baldanzosa nel suo

incedere; e moralmente come: gentile, onesta, pura, saggia e

discreta nel ragionare. Lei e "ispegnitrice d'ogni noia" e

colui che la guarda negli occhi o diviene pietoso oppure e

meglio che muoia. L'effetto del suo sguardo e tale da

trasformare i vizi (superbia, accidia, avarizia ed ira)

nelle corrispondenti virtu. Dopo la lode della sua donna,

delle sue virtu e degli effetti che esse hanno nel mondo e

sull'amante (l'iniziale contro-metamorfosi ne aveva gia

offerto un esempio), l'autore si riferisce al pubblico di

coloro che amano, gli unici capaci di comprendere per aver

condiviso l'esperienza, affinche preghino per lui "quel

signore/ che ingentilisce ciascuna vil mente" (XVIII, 39),

che lo conservi nell'amore della donna e che gli dia il

valore di onorarla. Tale preghiera verra contraccambiata

sia per coloro che amano felicemente che per coloro che ne

soffrono. Termina cosi il suo parlare tornando a contemplare

la sua donna "da cui ancora sper[a] di aver salute", mentre

si promette di lodarla con parole a lei piu degne.

Per riassumere quindi, il capitolo conclusivo della

Caccia di Diana ci presenta per la prima volta l'oggetto

d'amore: la "bella donna", a cui non si e fatto nessun

accenno nell'introduzione; anzi mentre nelle prime terzine

l'autore soffre per amore, qui nella conclusione tutto sem-

bra esser risolto positivamente, probabilmente in seguito


6

alle vic e n d e del narrato, alia cacciata di Diana com e dea

della castita e all'accettazione di Venere come dea

d e l l 'amore.

Passiamo ora al Filostrato che presenta invece un

proemio in prosa, distinto dal narrato d e l l 'opera e composto

in forma epistolare. In esso inizialmente l'autore si

lamenta di aver commesso un e r r o r e che ora sconta con la

p r o pria sofferenza; cioe di a v e r considerato, durante una

delle corti d'Amore, p i u grat i f i c a n t e il poter immaginare la

donna amata, che vederla o p a r l a r e di lei ad a l t r i 1 1 . La

dolorosa esperienza della lontananza, ora che Filomena, la

sua donna, se ne e andata in S a n n i o per passarvi la

primavera, dimostra l'erroneita della sua affermazione.

Impossib i l i t a t o quindi a vederla, perche lontana; con­

siderato il pensarla un pall a t i v o che non allevia veramente

il dolore, l'unica possibile solu z i o n e delle tre presentate

nella quistione, rimane il p a r l a r e di lei e della sofferenza

di cui lei e causa. E questo e cio che il nostro sta met-

tendo in atto scrivendo a lei e di lei. II non poterla

v edere ne, per la salvaguardia della di lei onesta, visitare

p r i vano l'autore della vista di quel volto che solo pud dare

pace ai suoi occhi ora lacrimosi. L'aver perduto 11il bene e

il p i a ce r e e il diletto che da' [di lei] o c c h i . . . [gli]

procedea" (Pr. 17), lo fa soffr i r e e ricercare m e m o r i e nei

luoghi della citta in cui lui l'aveva cercata e a l c u n e volte

veduta; ed ascoltare quel ve n t o che l'ha accarezzata. II


7

suo sforzo d cosi concentrato nel renderle nota la p r o p r i a

m i s e r a condizione, v o l u t a da una fortuna troppo severa.

L'unica r agione di v i t a e la speranza di rivederla, e perc h e

il dolore n o n lo con d u c a prima alia morte, ecco che la

scrittura gli p e r m e t t e di "con alcuno onesto ramarico d a r e

luogo a quella [doglia] e uscita del tristo petto, acciocche

io vivessi e vi pot e s s i ancora vede r e e piu lungamente

v o s t r o dimorassi viven d o " (Pr. 2 5 ) 1 2 . Ecco quindi che,

"quasi da nascosa divinita s p i r a t o " 1 3 , il nostro decide di

"dover in pe r s o n a d ' a lcuno p a s s ionato si come io era e sono,

cantando n arrare li m iei martiri" (Pr. 26).

Per t r o v a r e uno scudo al suo segreto dolore trova t r a

le antiche storie quella del giovane Troiolo e del suo

sfortunato amore p e r Criseida. O w i a m e n t e le due vi c e n d e

presentan o dei distinguo, il nostro non ha goduto dei favori

della sua donna cosi come Troiolo ha invece di quelli di

Criseida, e la sua presente condizione si identifica con

quella del giovane troiano solo dopo la p erdita d e l l 'amata

Criseide. Ma Filomena, una volta ricevuta 1'opera, se e

a w e d u t a come lui la ritiene, potra comprendere, al di la

dell'affabulazione, quali sono i desii del suo Filostrato e

se essi m e r i t i n o la di lei pieta ed il ritorno. Il p r o e m i o

si conclude con una preghiera ad Am o r e "che elli nel v o s t r o

[di Filomena] cuore quello desio accenda che solo pud essere

ca g ione della m i a salute" (Pr. 37). Nella conclusione il

Filostrato p r e senta due parti strutturalmente distinte:


8

u n ' a p p e l l o ai giovani innamorati, che p o s s i a m o considerare

come la m o r a l e del narrato, e che h inclusa nell'ultimo

capit o l o dell'opera, ed un congedo v ero e p r o p r i o della sua

"canzon" che invece ne occupa la nona ed ultima parte.

L ' appell o e essenzialmente u n'esortazione a coloro che

amano, di raffrenare "i pronti passi all'appetito rio" e che

"nell'amor di Troiol vi s p e c c h i a t e , / .../ per che, se ben col

c u o r gli [i versi] leggerete/ non di leggieri a tutte

crederete" (VIII, 29). Questo perche, sempre sulla base

de l l ' e s e m p i o di Criseida, le giovani donne sono mobili,

v o g l i o s e di molti a m a n t i 1 4 , vanagloriose, vaghe solo della

p r o pria bellezza, oltraggiose e d i s p ettose ed o w i a m e n t e

q ueste sono da schifare in quanto non gentili. M a la donna

perfetta, che desidera fermamente di essere amata, che sa

amare, che discerne cio che e onesto ed attende le promesse,

e p u r sempre difficile da trovare; non ci vuole fretta nello

sceglier e p e rche anche le attempate non sono tutte sagge.

Qu i n d i si deve prestare attenzione e pregare Am o r e per i

p i e t o s i casi di Troiolo e per la scelta della propria donna.

M a il n o s t r o autore sembra predicar bene ed agir male in

quanto, nel congedare la propria opera, ripete come essa sia

piu il p r o d o t t o del valore della sua donna che de l l e sue

"doglie amare",* e dopo aver espresso la conclusione

d e l l 'ope r a con il topos della metafora nautica dell'entrata

in porto, la invia alia donna gentil della sua mente. A lei

narrera i dolori, e se vedra il suo aspetto angelico farsi


9

pio, dovra pregarla di ritornare. L'ultimo a w i s o e che

tale ambasciata non sia fatta senza Amore, mentre si prega

Apollo affinche offra la grazia che 1'opera sia ascoltata ed

inviata con risposta lieta. Evidentemente il nostro non fa

tesoro dei preziosi a w e r t i m e n t i dati ai giovani innamorati,

anzi come affermato nel proemio, si identifica con lo

sventurato Troiolo, ed al suo pubblico chiede compassione.

La cornice del Filostrato presenta cosi, rispetto a

quella della Caccia di D i a n a . la stessa condizione di sof­

ferenza amorosa, lo stesso modo di rappresentare la donna

amata, le sue qualita, e la dipendenza assoluta che l'amante

ha nei suoi confronti. L /enfasi posta sugli occhi come

veicolo dell'affezione amorosa diviene nel F i l o s t r a t o . in

seguito alia lontananza dell'amata, il motivo ispiratore

dell'intera opera che si risolve cosi nel parlare a lei e di

lei. La preghiera di compartecipazione nei confronti del

pubblico di innamorati presentata nella Caccia, diviene

l'awertenza, dai toni misogini, per giovani, non che

neghino 1'amore ma che siano guardinghi nello scegliere;

appello che cade nel vuoto per il nostro autore che soffre

proprio p e r tale errore.

Nella prossima opera, il Filpcplo, 1'introduzione e

presentata in forma di metafora mitologica come encomio

della famiglia degli Angioini, regnante a Napoli, ma soprat­

tutto della propria donna, Maria, supposta figlia naturale

del re Roberto d'Angid. Tutta l'estesa metafora storico-


10

m i t o l o g i c a fa da c o r n i c e all'epifania di Maria che avviene,

sempre s e g uendo un topos letterario, in una chiesa, San

Lorenzo a Napoli, nel giorno della resurrezione di C r i s t o 1 5 .

XI tema d e l l a p r i m a v e r a come tempo d e l l 'innamoramento

(Caccia di Diana e F i l o s t r a t o ^ si colora qui di tonalita

religiose e d infatti anche il secondo incontro con Maria

awiene in una c h iesa dedicata a l l 'A rcangelo G a b r i e l e 1 6 .

L'epifani a e cosi desc r i t t a dall'io "della p r e s e n t e opera

compositore":

[A]pparve agli occhi miei la mirab i l e bellezza


della pr e s c r i t t a g i o v a n e , ... la guale si tosto come
10 ebbi veduta, il cuore comincio si forte a
tremare, c h e quasi quel tre m o r e mi rispondea per
11 menomi polsi del corpo smisuratamente; e non
sappiendo p e r c h e , .... forte dubitava non altro
a c cidente noioso fosse. Ma dopo a l q uanto spazio
r a s s i c u r a t o , ...intentivamente cominciai a rimirare
ne' begli occhi dell'adorna giovane; n e 7 quali io
vidi, d o p o lungo guardare, A m o r e in abito tanto
pietoso, c h e me, cui lungamente a m i a stanza avea
risparmiato, fece tornare d e s i deroso d'essergli
p e r cosi b e l l a donna suggetto. (I, 1, 18-19).

Ancora u n a volta e la vista de l l a bella donna a far

innamorare. Ancora u n a volta e l'autore, in q u a n t o amante,

al centro della prob l e m a t i c a d e l l 'opera e cosi egli prega

Amore:

Valor o s o signore... ora ti p r i e g o che tu, m e d iante


la virtu de' begli occhi ove si pie t o s o dimori,
entri in m e con la tua deitade. Io n o n ti posso
p i u fuggire, ne di fuggirti desidero, ma umile e
divoto m i sottometto a' tuoi piaceri. (I, 1, 21).

E d e di n u o v o la d o n n a ad essere tanto la fonte di

ispirazione quanto, in questo caso, la committente

dell'opera. Durante il secondo incontro, questa volta nella


11

chiesa dell'Arcangelo Gabriele, in quella che potremmo

definire una cristiana corte d'Amore, Maria, mentre con

alcune suore ha accolto il nostro ed i suoi compagni e con

loro sta ragionando delle vicende del valoroso giovane

Florio, fa a lui tale richiesta:

Certo grande ingiuria riceve la memoria degli


amorosi giovani,... a non essere con debita fama
essaltata da' versi d'alcun poeta, ma lasciata
solamente ne' fabulosi parlari degli ignoranti.
Ond'io,... ti priego che per quella virtu che fu
negli occhi miei il primo giorno che tu mi vedesti
e a me per amorosa forza t'obligasti, che tu
affanni in comporre un picciol libretto vol-
garmente parlando, nel quale il nascimento, lo
'nnamoramento e gli accidenti de' detti due infino
alia loro fine interamente si contenga. (I, 1,
26) .

La composizione dell'opera diviene quindi espressione del

servizio dovuto alia donna amata "prendendo per quello

migliore speranza nel futuro dei [propri] desii" (I, 1, 28).

L'introduzione si conclude con un duplice appello: uno, ai

giovani "nei pelaghi amorosi d i m o r a n t i " , i quali se vogliono

raggiungere il porto che prestino "alquanto alia presente

opera intelletto", imparino quanto sia mobile la fortuna e

si consolino, nel mal comune, delle proprie sofferenze

poiche con la speranza arrivera il guiderdone. L'altro,

alle giovinette, che nei delicati petti portano le occulte

fiamme d'amore, affinche, attraverso la lettura dell'opera,

imparino ad amare solo colui che le ama perfettamente.

Nella conclusione, formata solo dal congedo dell'opera, ecco

la ripetizione della metafora nautica, l'entrata in porto ed

il ricevimento delle meritate ghirlande che la "bellissima e


12

valorosa donna, il cui none tu [piccolo libretto] porti

scritto nella tua fronte, graziosamente ti porgera,

prendendoti nelle sue delicate mani" (V, 97, 2). L'amata e

in questo caso benevola e non "fera" e quindi la richiesta

dell'amante alia propria opera e di rimanere con la donna in

stato di umilta, di dilettarla e soprattutto di "confermarla

ad essere di un solo amante contenta" (V, 97, 5). Quindi

non la ricerca della fama, in competizione con i testi clas-

sici e danteschi, ma il trattare gli argomenti del

sermontino Ovidio. Sua deve quindi essere la ricerca di uno

stile medio che gli conservi la fedelta d e l l /amata e le

gioie dell'amore. E sul tema della fedelta in amore si basa

l'intera narrazione del Filocolo1 7 . Per quanto riguarda i

possibili lettori, ai folli o invidiosi non e da porgere

orecchi, e invece da piacere ai benevoli, mentre i critici

sono da obiettare con la testimonianza di Ilario, originario

narratore, e, per quanto riguarda l'uso del volgare, con il

comandamento dalla sua donna al principio ricevuto. Le

ultime parole sono rivolte alia vita ed alia fama eterna:

"vivi, e di me tuo fattore sempre nella mente il mio nome

porta" (V, 97, ll).18

Con il proemio del Teseida dedicato a Fiammetta ritorna

il tema della sofferenza amorosa gia accennato nella Caccia

e predominante nel Filostrato. II ricordo della felicita

passata rende ancor piu dolorosa la miseria presente causata

dalla crudelta della donna, la cui bellezza e stata


13

all'origine del suo innamoramento. II rimembrare tale bel-

lezza (e qui possiamo trovare una connessione con l'erronea

scelta di immaginare la propria donna fatta nel Filostrato)

e fonte di consolazione ed oblio, ma e certo di breve durata

ed il risveglio e sempre piu penoso. La sdegnosita

d e l l /amata non attenua pero l'intensita dell'amore verso di

lei, ne la speranza nel guiderdone infatti:

[n]e possono ne potranno le cose a w e r s e , ne il


vostro turbato aspetto, spegnere nell'anima quella
fiamma la quale mediante la vostra bellezza esso
[Amore] v'accese; anzi essa, piu fervente che mai,
con isperanza verdissima vi nutrica: sono adunque
del numero de' suoi sogetti, com'io solea. (Pr.,
p. 246).

Cosi,"come volonteroso servidore, il quale non solamante il

comandamento aspetta dal suo maggiore, ma quello, operando

quelle cose che crede che piacciano, previene" (Pr., p. 246)

egli ha deciso di ridurre in versi ed in lingua volgare una

delle antiche storie d'amore ancora a molti sconosciuta.

Che tale opera sia composta in onore di lei risultera

evidente per due ragioni: una, perche la storia in parte

riflette quella dell'autore e dell'amata; l'altra e il non

aver evitato, data 1'intelligenza di lei e il suo essere a

conoscenza dei fatti, "ne storia, ne favola, ne chiuso par-

lare" (Pr., p. 247). Un breve riassunto della storia potra

indurla alia lettura dell'opera, la quale se, indirettamente

mostrando la penosa condizione del nostro, non sara in grado

di convincerla a ridonargli la felicita, che almeno la con-

servi nelle sue mani. Tale pensiero sara di refrigerio agli


14

affanni, mentre permane la speranza che la sua preghiera

riceva ascolto e per questo prega Amore che "raccendendo in

voi la spenta fiamma, a me vi renda, la quale, non so per

che cagione, inimica fortuna m'ha tolta" (Pr., p. 249). II

Teseida si conclude con l /usuale metafora nautica sot-

tolineando inoltre la novita dell'argomento dell'opera

("primo a lor cantare/ di Marte fai gli affanni sostenuti,/

nel volgar lazio piu mai non veduti" XII, 84). II congedo

presenta invece un'inusuale forma dialogica in due sonetti:

nel primo si chiede alle Muse di portare 1 'opera alia sua

donna "in cui la [sua] salute v i v e " , cosi che lei le possa

dare un titolo. Nel secondo e invece contenuta la risposta

delle Muse ed il titolo, "Teseida di nozze d'Emilia",

sentenziato dall'amata, ora "di fiamma d'amor tututta

accesa".

La cornice del Teseida. come possiamo vedere, non pre­

senta nessuna variazione nei riguardi della fenomenologia

amorosa e si allinea con la Caccia di Diana ed il Filostrato

per quanto riguarda la casistica dell'amore frustrato. Si

distingue a questo riguardo dalla Caccia di D i a n a . in cui la

sofferenza d'amore e l'oggetto d'amore sembrano avere una

generica relazione, in quanto qui 1'amore e stato ad un

certo momento contraccambiato ed ora non lo e piu. Rispetto

invece al piu consono Filostrato se ne distingue in quanto

in esso il dolore dell'amante non deriva automaticamente

dall'atteggiamento dell'amata ma forse da circostanze al di


15

la del di lei controllo.

L'introduzione alia Coinedia delle ninfe fiorentine si

compone di due parti: una prima, in prosa, che potremmo

definire com e il proemio, ed una seconda, in versi, come

1 'invocazione. Conform e m e n t e a l l 'allegorismo dell'opera, la

p a r t e proemiale n o n si indirizza ad una donna in p a r t i c o l a r e

m a tratta invece dei diversi e contrari effetti che amore e

fortuna ha n n o sulle v icende degli uomini. Spetta infatti ad

Amore, pietoso dei suoi soggetti, a contrastare con sospiri

di "amorosa caldezza" guelli di "accidiosa freddezza"

causati dalle sollecitudini a w e r s e della fortuna. Amore e

si grande che nessuno, neppure gli dei, gli possono

resistere? e per questo, tramite la donna "alia quale

si m i g lian t e formare la savia natura ne l'arte industriosa

po s e r o le sante mani" (I, 11), egli lo serve cantandone le

vitt o r i e p i u nelle v e s t e di amante che di poeta.

Dimenticati cosi i tempi del p roprio amoroso affanno,

1 ' opera e dedicata a tutti gli amanti in generale affinche

offra speranza a chi soffre e diletto a chi e lieto. La

p a r t e d e l l 'invocazione, che occupa il capitolo secondo, e

indirizzata all'amore nella sua trina manifestazione:

Venere, Cupido e la donna amata. A Vene r e ed a Cupido e

richiesta 1 ' ispirazione; alia donna "piu ch'altra bella

criatura,/ onesta, vaga, lieta e graziosa" (II), e invece

richiest a una p r e g h i e r a di intercessions che lo renda c a p a c e

d i lodarne la bellezza. La sua vi r t u lo rendera capace di


16

piacerle, parlando, e gli permettera di estenderne, con

eterno onore, il valore fino alle stelle. Anche nella con-

clusione 1 'opera presenta, in posizione chiasmatica rispetto

a l l 'introduzione, due parti: la prima, in versi, nella quale

il narratore ritorna a parlare di se stesso riflettendosi

nella vicenda di Ameto, il protagonista della C o m e d i a ; la

seconda, in prosa, e invece il vero e proprio congedo

dell'opera che come vedremo presenta delle novita rispetto

ai temi sin qui analizzati.

I versi della conclusione iniziano ancora una volta con

il riferimento cronologico alia primavera:

Fra la fronzuta e nova primavera,


in loco spesso d'erbette e di fiori,
da folti rami chiuso, posto m'era
ad ascoltare i lieti e vaghi amori,
nascosamente, delle ninfe belle,
que' recitanti, e de'loro amadori. (XLIX, 1-5).

Dopo essere stato per cosi lungo tempo ad osservare ed

ascoltare di nascosto le belle ninfe e le loro storie

d'amore, il narratore non pud evitare di innamorarsi a sua

volta. Abbiamo gia visto nella cornice del Filostrato la

"quistione" disputata dall'autore ed e stato poi piu volte

ripetuto nelle altre, come la vista di un oggetto d'amore od

il ragionarne, incrementi o faccia nascere tale passione.

Ecco quindi che si riaccendono le fiamme amorose

("nell'anima mea/ Amor si risveglio, dove dormia" XLIX, 10),

mentre alia gioia destata dalla vista delle belle donne si

mescola il dolore per il troppo desiderio di "cio ch'esser

non p o t e a " . Ed invidioso l'autore diventa degli erotici


17

sguardi di Ameto19 e tale rimane, pauroso di mostrarsi20 e

di rompere quindi il transfert che si perpetua nella visione

delle ninfe. Ma il giorno volge al termine, le donne si

preparano a partire e la tristezza riempie il cuore

d e l l 7autore per dovere abbandonare il luogo dove regnavano

"bilta, gentilezza e valore,/ leggiadri motti, essemplo di

virtute,/ somma piacevolezza e con Amore" (XLIX, 67-9), dove

si vedevano e sentivano il "disio movente uomo a salute"; il

bene e l 7allegrezza " q u a n t u m ci pote aver" e la compiutezza

delle delizie mondane2 1 . Ora malinconia e gramezza lo

attendono al suo ostello a cui ritornera pregando la morte

che ponga termine al suo soffrire; mentre ad Ameto, sua

creazione fantastica, rimane la gioia di passare da soggetto

ad "alto signor di donne tante e tali" (XLIX, 90).

II congedo, in prosa, presenta delle caratteristiche pecu-

liari rispetto a quelli gia analizzati, anche se il modello

rimane sostanzialmente lo stesso. Alla metafora nautica e

qui sostituita quella balistica, " [l]a saetta, dal mio arco

mossa, tocca li segni cercati con volante foga" (L, 1), e

mentre si fa un brevissimo riferimento ad una sconosciuta

bella donna "della faticata penna movente cagione", l 7opera

vi e n e mandata a l l 7amico Niccolo di Bartolo del Buono di

Firenze. A lui spettano l /apprezzamento, la correzione

d e l l 7opera, commessa inoltre nelle mani della "Sacratissima

Chiesa di Roma", ed il conservarla fino al momento in cui

essa potra ricongiungersi alia donna, ora lontana, da cui


18

ricevera immensa letizia. Alla luce di q u anto abbiamo sopra

an a l i z z a t o e possibile affermare che la cornice della Come-

dia d e l l e ninfe fiorentine nella peculiarity della sua

s t ruttura segue a grandi linee lo schema del contenuto delle

altre: sofferenza d'amore, donna dalla bellezza superlativa

come fonte di ispirazione e q u i n d i preghiera di aiuto ed

esaltazio n e del di lei valore. A l l /interno di questo

m o d e l l o tradizionale troviamo comunque, nella parte piu

e s t e r n a della cornice formata dal proemio e dal congedo,

riferimenti a temi nuovi ed esistenziali, come 1 'amicizia2 2 ,

o p pure una m a g g i o r e teoricita, forse da ricollegare

a l l ' a l l eg o r i s m o del narrato, nel trattare, p e r esempio, il

r app o r t o amore-fortuna.

C o n la c ornice dell'Am o r o s a Visione il tema dell'amore

e espr e s s o di nuovo in termini lirici sottolineati st r u t -

t u r a l m e n t e dalla presenza di tre sonetti che formano il

p r o e m i o dell'opera. Nel primo si tratta d e l l 'ispirazione

("In volo n t a mi venne con sottile/ rima tra c t a r parlando

brievemente" I, 8-7) fornita d a l l a donna gentile, "bella

l e ggiadr a et in a b i t 'untile", p e r la composizione di tale

"visione" che a lei e inviata ed a lei spetta di amendare.

Q u e s t o primo sonetto contiene quin d i tutti concetti a noi

gia noti. Nel secondo si gi u s t i f i c a il m o t i v o della c o m ­

p o s i z i o n e dovu t a al p e rseverare dell'amante nel fare onore

a ll'amata della quale egli conti n u a ad immaginare la b e l ­

lezza. Cio gli produce gioia m e n t r e dal d o n o del libro si


19

aspetta un atto pietoso di risposta. Anche in questo

sonetto, incentrato sulla richiesta di guiderdone e sulla

gioia che deriva dal pensare la donna amata, non ci sono

temi sconosciuti. Lo stesso nel terzo che e indirizzato al

pubblico dei graziosi innamorati al quale si offre la let-

tura dell'opera e per mezzo della quale, se alcun valore

dimostra di avere, siano rese grazie alia donna ("[r]endete

a llei '1 meritato alloro" III, 23) che ne e stata

1 ' ispiratrice. Dopo i tre sonetti del proemio, 1 /Amorosa

Visione presenta nel primo canto e poi nell'ultimo, una piu

interna cornice narrativa, simile, ma piu ampia di quella

presente nella Comedia delle ninfe f i o r entine; essa funziona

come dialogo introduttivo e conclusivo tra l'amante e

1'amata attorno al nucleo dell'opera costituito dalla

visione stessa. Cupido mostra la visione all'anima del nar-

ratore, ferita dal piacere che appare negli occhi della sua

bella. Presa da amore l'anima si smarrisce ma conserva il

proprio sentimento amoroso e, mentre il corpo si assopisce,

essa fantastica. E come la visione gentilmente si

materializza nel narrato, bruscamente si interrompe quando

l'io narratore sta per raggiungere il "climax" fisico ed

emotivo. La visione scompare ma continua nell'ultimo canto

il dialogo con la propria donna; ricompare nel frattempo la

guida, che questa volta egli e determinate a seguire e che

lo condurra nel luogo della visione dove "sendo/ voi

[1'amata] ebbi tanta gioia nel mio dormire" (L, 47-8)2 3 . II


20

congedo e canonico: il libretto e inviato alia d o n n a per

onorarne il valore. A d ella spetta riceverlo, ammendarne i

difetti e d in cambio m ostrarsi pietosa n e l l ' o f f r i r e i suoi

favori p o i c h e lei sara, finche lui vivra, il 11[s]olo mio

ben, sola m i a disianza,/ solo conforto della v a g a mente,

sola colei che mia vir t u t e avanza/ ....ne piu d i s i o ne

desiar p i u voglio/ fuor che d ' e s s e r a tal bilta servente"

(L, 85-90) . La d i n a m i c a amo r o s a e quindi r eiterata e non

trascesa.

Con il Ninfale fiesolano si conclude la s e r i e delle

opere da m e prese in considerazione. La sua introduzione in

versi e c o s i lineare da ricondurci in parte a l i a Caccia di

Diana. E s s a e pero una piu estesa, quattro ottave, ed

a naforica lode ad Amore. Da Amore d e riva 1' ispirazione e ad

Amore s p e t t a la lode e l'onore. Nella cornice d e l Ninfale

fiesolano la dinam i c a amore-donna risulta cosi capovolta

rispetto a l l e altre opere. All' a m a t a infatti si accenna

solo b r e v e m e n t e in d u e punti (I, III) e solo in quanto,

attraver s o i suoi occhi, ella e veicolo d' A m o r e e fonte di

martiri. La quarta ed ultima ottava d e l l ' i n t r o d u z i o n e e

canon i c a m e n t e d e d i c a t a al p u b b l i c o dei fedeli a m a n t i ai

quali si richiede la pr o t e z i o n e contro gli invidiosi e con-

tro coloro che non amano; m e n t r e l'autore prega le gentili

donne af f i n c h e intercedano p e r lui c o ntro la c r u d e l t a

dell'amata. Amore e anche 1 ' interlocutore n e l l a dialogica

conclusione, simile p e r q u esto a quella del T e s e i d a dove


21

perd le interlocutrici erano state le Muse. E come gia

nelle altre conclusioni era generalmente a w e n u t o per la

donna, ora e amore a ricevere gli onori, la servitu e a

dover fornire protezione per il libro contro gli ignoranti

ed i villani. E questo e cio che Amore, contento del suo

servo ed irato contro chi lo rifiuta, promette nella sua

risposta.

Terminata cosi l'analisi delle cornici delle singole

opere, ritengo che sia possibile individuare quel comun

denominatore, a cui ho accennato all'inizio di questo capi-

tolo, proprio nel modello ideologico usato da Boccaccio per

rappresentare la fenomenologia d e l l 'amore. Non intendo qui

reiterare quei temi ripetuti dall'autore, con minime

variazioni, proemio dopo proemio, congedo dopo congedo, e da

me analizzati cornice dopo cornice, ma vorrei sottolineare

come tale inevitabile ripetitivita, che ha certamente

appesantito la retorica di questo capitolo, sia una

ulteriore prova della reiterata presentazione di uno stesso

modello ideologico da parte di Giovanni Boccaccio nelle sue

opere giovanili. Convenzionalmente possiamo definire tale

modo di rappresentare 1'amore come cortese o stilnovistico,

o forse meglio, come cortese e stilnovistico. Per sustan-

ziare questa mia affermazione e sufficiente mettere a con-

fronto, una volta superate le polemiche terminologiche

(cfr., n. 5), i testi boccacciani, presi in considerazione,

con il Repertorio tematico del Dolce stil nuovo, di Eugenio


22

Savona (Bari: Adriana editrice, 1973), e riscontrarne la

pressoch6 esatta corrispondenza di temi; oppure confrontare

l'etichetta comportamentale di Andrea Cappellano nel De

Amore2 4 . con quella dell'autore in ogni specifica cornice2 5 .

Ma non sono alia ricerca di etichette; quello che ritengo di

aver dimostrato e l'esistenza di tale modello ideologico

all'interno del quale autore e personaggi agiscono secondo

schemi e formule a priori. La ripetitivita e quindi il

risultato dell'adesione dogmatica al modello anche nei

momenti in cui si fa riferimento alia possibility di scelta;

per esempio gli a w e r t i m e n t i fatti ai giovani lettori (piu

enfatici nel Filostrato.e nel Filocolo) , per natura piti sog-

getti a l l 'innamoramento, affinche "prestino mente" al mes-

saggio del testo e possano cosi cautelarsi o consolarsi con­

tro le sofferenze amorose. Ma in entrambi i casi rimane

assente ogni riferimento alia capacita d e l l 'individuo di

poter determinare il proprio destino attraverso la presa di

coscienza dei limiti e delle capacita proprie ed altrui.


23

NOTE

1 Questa mia ricerca, nonostante la sua natura

diacronica, non e di carattere biografico, anzi si a w a l e

delle preziose biografie di Vittore Branca, Giovanni B o ccac­

cio . profilo biografico (Firenze: Sansoni, 1977); di Carlo

Muscetta, "Giovanni Boccaccio", II T r e c e n t o . in La let-

teratura italiana storia e testi (Bari: Laterza, 1972), vol.

2, t. 2, pp. 3-369; e di Natalino Sapegno, "Boccaccio", in

Storia letteraria del trecento (Milano: Ricciardi, 1963),

pp. 275-339, come sfondi cronologico-culturali nei quali

collocare le singole opere.

2 Uso il termine "risolti" con la consapevolezza della

sua relativita quando applicato a studi interpretativi. Una

definitiva risoluzione verrebbe a negare la natura stessa

del soggettivismo critico. Tolte quindi quelle istanze in

cui e stato possibile reperire prove oggettive ed

inconfutabili (nel caso specifico mi riferisco a documenti o

reperti che giustifichino determinate affermazioni), il

termine "risolti" si riferisce a questioni critiche, riguar-

danti o w i a m e n t e gli studi sul Boccaccio, che hanno ricevuto

un generale, anche se non assoluto, consenso e che quindi

non si trovano, al momento, al centro del dibattito inter-

pretativo.

3 La sequenza da me qui presentata e conforme alia


24

cronologia delle opere giovanili stabilita da Vittore Branca

e presentata una prima volta in "Giovanni Boccaccio, profilo

biografico", in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio

(Milano: Mondadori, 1967), v.I, pp. 3-203, e poi ripresa in

Giovanni Boccaccio, profilo biografico (op. c i t . , 1977).

Questa mia scelta e stata determinata dalla necessita di

dover stabilire una sequenzialita nella presentazione delle

argomentazioni a riguardo di ciascuna opera ma sono

pienamente d /accordo con 1 'affermazione dello stesso Branca

a riguardo della datazione del F i l o strato. affermazione che

io estenderei a tutte le altre opere sopra menzionate: "La

cronologia delle prime opere del B o c c accio,..., fu fissata

su un'arbitraria ricostruzione delle relazioni amorose con

la mitica Fiammetta: lavorando, cioe, con una ingegnosa

quanto inconsistente acribia sulle presunte confessioni

autobiografiche dell'autore, o meglio su cenni di origine

letteraria interpretati in sottili giochi enigmi s t i c i ....In

realta, ora che e tramontata la mal riposta fiducia nei

presunti cenni autobiografici, nessun riferimento e nessun

dato permettono di fissare il tempo preciso della com-

posizione del poemetto troiano" (op. cit., 1967), v. II, p.

3. La mancanza di dati oggettivi espone cosi ogni proposta

cronologica ad ampie critiche che pero a loro volta, se

accettate, soffrono della stessa contraddizione. A questo

riguardo mi riferisco, per esempio, alle critiche mosse da

Pier Giorgio Ricci, e condivise da Vittore Branca, a coloro


25

che avevano datato il Filostrato sulla base di un supposto

autobiografismo del testo in "Per la dedica e la datazione

del Filostrato" , in Studi sulla vita e sulle opere del Boc­

c a c c i o . (Milano: Ricciardi, 1985), pp. 38-49, gia in Studi

sul Bocc a c c i o . I (1963), pp. 333-47; critiche basate su una

sua titubante ricerca di una Giovanna/Filomena che potesse

sostituire la proposta Maria/Fiammetta (op. cit., p. 48)

come "senhal" d e l l 'opera. II Ricci ha inoltre criticato,

questa volta in contrasto con il Branca, la datazione

proposta per il Ninfale fiesolano in "Dubbi gravi intorno al

Ninfale fiesplano" (op. cit., 1985) pp. 13-29, gia in Studi

sul B o cc a c c i o . VI (1971), pp. 109-24, affermando che: "i

termini dovrebbero addirittura essere rovesciati, clas-

sificando il Ninfale come il punto di partenza dal quale il

Boccaccio si sarebbe mosso per realizzare un ideale art-

istico consapevolmente artificioso" (p. 27). Subito dopo

pero il Ricci prosegue: "Ma una difficolta mi trattiene

dall'affermare per certa una retrodatazione cosi decisa del

Ninfale. Quando prospettavo al mio caro Francesco Maggini

il problema onde avevano preso le mosse la presenti ricer-

che, egli mi obbiettava che era impossibile conciliare la

supposta precocita del poemetto con 1'evidente maturita

sentimentale" (p. 27). In tale diatriba si sono poi

inseriti con critiche alia posizione del Ricci, Ronnie H.

Terpening, "II mito di Callisto e l'attribuzione del Ninfale

fiesolano" . Studi e problemi di critica testuale. n. 7,


26

1973, pp. 17-24, ed Armando Balduino. In particolare il

Balduino, dopo il suo esteso ed interessante saggio,

"Tradizione canterina e tonalita popolareggianti nel Ninfale

fiesqlano", Studi sul Boccaccio, v. II (1964), pp. 25-79, ha

attaccato, con argomentazioni convincenti, le posizioni a

riguardo del Ricci r i a w i c i n a n d o 1 *opera al D e c a m e r o n , in

"Sul Ninfale fiesolano" . in B o c c a c c i o . Petrarca ed altri

poeti del trecento (Firenze: Olschki, 1984), pp. 249-66.

Ma, forse anche lui preso dalla mania del tempo, ha

riproposto, recuperando in parte la cronologia proposta da

Carlo Muscetta, una retrodatazione del Filostrato rispetto a

quella sostenuta dal Ricci e dal Branca, nel suo articolo

"Reminiscenze petrarchesche sul Filostrato e sua datazione"

(op. cit., 1984) pp. 231-47. La sua dimostrazione, basata

su un supposto contributo petrarchesco (Rerum vulaarium

fragmenta. CXII) determinante per la composizione del

Filostrato (V, 54-55) , e pero paludata da espressioni di

dubbio ed incertezza: "Per queste ragioni, e sempre che —

come mi pare — i conti tornino, la data di composizione del

poema di Troiolo e Criseida dovra essere posticipata di

alcuni anni rispetto a quella (1335) concordemente indicata

da Ricci e Branca; posticipata, direi, fino ad attestarsi

attorno al 1339" (p. 243). La sua conclusione poi mi sembra

rifletta direttamente l'inestricabilita di questa selva di

ipotesi: "Non si pud tacere tuttavia che, in proposito, le

nostre conclusioni restano ancora incerte e precarie" (p.


27

247) .

Un'al t r a lunga diatriba, foriera di piu vaste

implicazioni per la b i o g r a f i a del Boccaccio, e quella

riguardante la d a t a z i o n e del C o r b a c c i o ; m a di questa tratto

estesamente nel terzo capitolo.

Vorrei concludere questa lunga nota con la parole illu-

mi n anti di Luigi Surdich, il quale pero, nonostante questi

m o m enti di lucidezza, n o n scampa alia febbre della disputa

cronologica e propone c h e il Filostrato segua subito dopo il

Filocolo probabi l m e n t e durante una interruzione del Teseida

(dopo i primi due c a p i t o l i ) . Egli infatti scrive in "II

F i l o s t r a t o : ipotesi p e r la d atazione e p e r

1 ' i n t e r p r e t a z i o n e " , in La cornice di a m o r e : studi sul Boc­

c a c c i o . (Pisa: ETS editrice, 1987): "Ci si muove, e doveroso

ammetterlo, su un t e r r e n o non solido. Si procede, cioe,

su l l a base di congetture. Ma n e l l a approssimazione alia

v e r i t a non resta che la congettura quando manchino altri

dati di piu sicuro affidamento" (p. 94).

4 per quanto r i g uarda gli ultimi cinquanta anni della

critica boccaccesca s o n o a conoscenza di solo tre opere che

h a n n o come loro a rgomento centrale un'analisi diacronica del

tema d e l l 'amore nelle opere giovanili del Boccaccio: Robert

Hollander, Boccaccio's Two V e n u s e s . (New York: Columbia

Un i v ersi t y Press, 1977) ; Janet Levarie Smarr, Boccaccio and

F i a m m e t t a : T h e N a r r a t o r as L o v e r . (Chicago: University of

Illinois Press, 1986); entrambi questi autori danno una


28

interpretazione agostiniana ed allegorica dell'argomento. La

terza opera 6 di Luigi Surdich (op. cit., 1878), la cui

struttura saggistica ne impedisce, in parte, la continuity

argomentativa, ma le cui singole analisi risultano ricche di

spunti interessanti. Della stessa tematica, svolta pero con

piu ampio respiro per abbracciare gran parte della cultura

europea del basso Medioevo, ma con un nucleo che fa diretto

riferimento alle opere del Boccaccio, tratta il testo di

Aldo Scaglione, Nature and Love in the Late Middle Ages,

(Berkeley: University of California Press, 1963), il quale

ci offre, contrariamente alle posizione di Hollander e della

Smarr, una interpretazione naturalista ed immanente

d e l l 'opera di Boccaccio.

5 La problematicita n e l l /usare tali termini come "amore

cortese" o "dolce stil nuovo" deriva dal fatto che essi sono

creazioni della critica, strumenti di riferimento e

catalogazione a cui si cerca di dare una patente di

veridicita assoluta. In particolare il termine "amore

cortese" , o meglio "amour courtois", coniato il secolo

scorso dal critico francese Gaston Paris nell'articolo

"Etudes sur les romans de la Table Ronde. Lancelot du Lac",

Romania 10 (1881), pp. 465-96,* 12 (1883), pp. 459-534, e

stato al centro di lunghe e feroci diatribe, dovute soprat-

tutto alia codificazione che il Paris aveva prodotto a

riguardo di tale fenomeno da lui considerato alio stesso

tempo storico e letterario (anche questa duplice definizione


29

e stata fonte di critiche). Una relazione d'amore era

quindi, secondo il Paris, "courtois" solo quando illecita

(extra-coniugale?) e furtiva; la donna era superiore

all'uomo il quale si trovava in una posizione di inferiority

(sociale, emozionale?); per essere degno della propria dama,

il cavaliere era portato a compiere azioni di coraggio che

gli potessero far guadagnare i favori di lei. Tale dinamica

seguiva regole ben precise che facevano dell'amore un'arte,

una regola comportamentale. Ciascuno dei punti di tale

schema e stato ampiamente criticato o difeso e probabilmente

continuera ad esserlo, ma nel tentativo di dare un taglio a

questo nodo gordiano o meglio di cercare di trascendere la

sua rigidita categorizzante ritengo valida la posizione di

June Hall Martin che, nell'introduzione a L ove's F o o l s :

Aucassin, T r o i l u s . Calisto and the Parody of the Courtly

L o v e r . (London: Tamesis Books Limited, 1972), scrive: "The

most sensible solution to the problem seems to be to accept

the term 'courtly love', as a broad generic term, which is

h ow it has been largely used for nearly a hundred years

anyhow, comprehensive enough to include all the aforemen­

tioned medieval concepts of love, yet allowing adequate

opportunity for definitions of each specific type of courtly

love." (p. 6). Tale posizione 6 stata ripresa in prospet-

tiva storicistica da Joan M. Ferrante e George D. Economou

che nell'introduzione al libro da loro curato, In Persuit of

Perfection: Courtly Love in Medieval Literature. (Port


30

Washington, N.Y.: Kennikat Press Co., 1975, pp. 3-17),

scrivono: "A distinction must be made between an established

doctrine, a rigid system of rules of behavior, which did not

exist, and a mode of thought, expressed in literary conven­

tions, which can be traced through so much medieval litera­

ture from the twelfth century on w a r d s .... The poet's response

to courtly love varies,... but whatever his attitude,

whatever the genre — lyrics, romance, allegory, fabliau —

he does deal with it. For medieval writers, courtly love is

real" (p. 3). Piu recentemente Nathaniel Smith and Joseph

T. Snow hanno ripresentato lo stesso approccio critico in

"Courtly Love and Courtly Literature" nella raccolta di

saggi da loro curata, The Expansion and Transformation of

Courtly L i t e rature. (Athens, GA: University of Giorgia

Press, 1980), pp. 3-14, in cui, citando tra l'altro Eugene

Vinaver, scrivono che il termine "courtly love": "does

represent something for which no more convenient name has

been found — and which, at least in the twelfth century —

is not a coherent, systematic doctrine, not a fixed set of

rules of behavior, but rather the means of discovering fas­

cinating and insoluble problems concerning the psychology

and ethics of love" (p. 6). Per una esaustiva analisi sia

storica che critica dell'argomento e da consultare il libro

di Roger Boase, The Origin and Meaning of Courtly L o v e : A

Critical Study of European Scholarship" (Manchester: Man­

chester University Press, 1977) , che tra gli altri argomenti


31

propone il concetto di amore cortese come: "a comprehensive

cultural phenomenon, a literary movement, an ideology, an

ethical system, a style of life, and an expression of the

p lay element in culture" (p. 130), quindi un concetto che va

al di la della categorizzazione del Paris. Vedi inoltre

sulla natura limitante del termine rispetto alia

poliedricita del reale Douglas Kelly, Medieval Imagination:

Rhetoric and the Poetry of Courtly L o v e . (Madison:

University of Wisconsin Press, 1978).

Molto meno problematico sembra sia stato per la critica

l'uso del termine "dolce stil nuovo" probabilmente in

seguito all'autorita della fonte dantesca ed alia con-

seguente sua lunga tradizione. A questo riguardo Emilio

Bigi ha scritto un interessante saggio intitolato "Genesi di

un concetto storiografico: «dolce stil n o v o » " , G . S .L.I.,

vol. 132 (1955), pp. 333-71.

6 In riferimento alia presenza della cornice, nel caso

specifico quella del Decameron. Salvatore Battaglia, in

"Schemi lirici nell'arte del Boccaccio", in La coscienza

letteraria del M e d i o e v o . (Napoli: Liguori, 1965), scrive:

"Forse lo schema piu palese e quello della cornice che lega

in un solo organismo le cento novelle. La sua funzione ha

un preciso valore costruttivo: quello cioe di giustificare

l'unita dell'opera e di assicurare la continuity a tanti

racconti in se conchiusi e completamente definiti" (p. 625).

Ho scelto di riportare tale citazione in quanto ritengo, non


32

solo che essa possa essere estesa p e r t i n e n t e m e n t e anche alle

c ornici delle opere giovanili, ma soprattutto p e rche sot-

tolinea l'elemento di continuity p r o p r i o di t a l e espediente

narrativo, che e al centro della m i a ricerca. Da cio ne

deriva l'enfasi che la mia analisi pone p r o p r i o nel

signific a t o contenutistico e strut t u r a l e della cornice. Un

a pprocci o diverso, in direzione stilistica, sempre a

riguardo della cornice in generale e quello che troviamo in

Guido Di Pino, La polemica del B o c c a c c i o . (Firenze: Vallec-

chi, 1953), cap. IV.

7 Dal punto di vista s t i l i s t i c o (retorico, metrico,

linguistico) il poemetto e da V i t t o r e Branca nella "Intro-

duzione" alia Caccia di D i a n a , in T u t t e le o p e r e di Giovanni

B o ccacci o (op. cit., 1967), vol. I, p. 6, e da Guido Di Pino

(op. cit., 1953), cap. 5, r i c o l l e g a t o alia t r a d i z i o n e dei

serventesi e delle visioni d'amore.

8 Tutte le citazioni delle o p e r e di G i o v a n n i Boccaccio

in questo capitolo sono da Tutte le opere di B o c c a c c i o , a

cura di Vit t o r e Branca (op. cit., 1967).

9 Tr o v o interessante 1 'interpretazione che delle

metamorfosi, come gioco alia corte di re Roberto, da Gordon

Poole in, "Boccaccio's Caccia di Diana", C a n a d i a n Journal of

Italian S t u d i e s . vol. 5, n. 3 (1982), pp. 149-56; secondo il

Po o l e i lettori contemporanei del giovane Boccaccio, si

sarebber o divertiti di fronte alia t rasformazione bestiale

di ciascuno degli amanti delle cacciatrici, c e r t amente


33

all'epoca conosciuti.

10 A tale riguardo Aldo Scaglione scrive: "The theme of

Cimon was first foreshadowed in the Caccia di D i a n a , where

the humanizing and civilizing power of womanhood on man was

celebrated in an upturning of the Circe motif. Instead of

men being turned into beasts by sensuality, here beasts are

turned into eager handsome youths by love" (op. cit., 1963),

p. 191. Per quanto riguarda una interessante e dettagliata

interpretazione delle metamorfosi della Caccia in termini di

allegorismo cristiano vedi 1' introduzione di A. K. Cassell

and Victoria Kirkham traduttori e curatori di D i a n a 's H u n t .

Caccia di D i a n a : Boccaccio's First Fiction (Philadelphia:

University of Pennsylvania Press, 1991), pp. 3-96. Cassell

and Kirkham confutano cosi l'affermazione di Francesco Bruni

quando, nel tentativo di sottolineare l'esistenza di due

fasi distinte nella creativita del certaldese, scrive: "non

era possibile allegorizzare una letteratura amorosa come

quella cui il Boccaccio si era dato dalla Caccia di Diana al

Decameron" , "Boccaccio: 1'invenzione della letteratura m e z -

zana (Bologna: Societa editrice il Mulino, 1990), p. 51.

11 Lo stesso motivo delle corti d'Amore che vedono

giovani dame e cavalieri riunirsi per muovere e disputare

questioni riguardanti la dinamica amorosa, costituisce il

centro strutturale ed argomentativo del Filocolo a cui

faremo riferimento in seguito in questo capitolo.


34

12 Tali lamentazioni del nostro autore nel proemio ci

rimandano al narrato dell' Elegia di madonna Fiammetta che

analizzo ampiamente nel secondo capitolo. Mi riprometto di

presentare un dettagliato confronto dei due testi in altra

sede.

13 Questo tema d e l l 'intervento divino in forma di

i m p r o w i s o consiglio o pensiero che salva dal desiderio di

morte, sara ripreso negli stessi termini nel Corbaccio (12),

in cui pero sara foriero di ben altri sviluppi e conclusioni

(cfr., Appen., cap. 2 e cap. 3).

14 II tema della mobilita dell'animo femminile qui

citato dal Filostrato e considerato da Aldo Scaglione come

un primo esempio del realismo boccacciano per quanto

riguarda la psicologia d'amore: "Not only in the D e cameron.

Boccaccio showed the powerful realism of his psychology of

love by justifying our need for change as part of our nature

... F i l o s t r a t o ... was, indeed, a realistic study on the

delusion of faithfulness and the need for sentimental

change" (op. cit., p. 94).

15 L'autore presenta queste date indirettamente, in

forma di metafore astrologiche presenti per tutta 1'opera.

Egli infatti descrive la data dell'apparizione come "un

giorno, la cui prima ora Saturno avea signoreggiata, essendo

gia Febo co' suoi cavalli al sedicesimo grado del celestiale

Montone p e r v e n u t o ..." (I, 17). Le fonti di tali conoscenze

astrologiche nel Filocolo sono state ampiamente analizzate


35

da Antonio Enzo Quaglio, Scienza e mit o nel B occaccio.

(Padova: Liviana editrice, 1967); poi in parte riprese da

Janet Levarie Smarr (op. cit., 1986), cap. II; ed in ultimo,

sottolineandone le implicazioni letterarie, da Steven

Grossvogel, "Astrology in Boccaccio's Filocolo", Italiana

1987, a cura di Albert N. Mancini, Paolo Giordano (River

Forest, 111., 1989), pp. 143-55.

16 Lo stesso topos viene da Boccaccio utilizzato nella

vicenda dell'Elegia di madonna Fiammetta (cfr. cap. 2).

17 Se quindi il Filostrato. come precedentemente

affermato da Aldo Scaglione (cfr., n. 10), puo essere con-

siderato come uno studio sulla delusione a riguardo della

fedelta in amore, il Filocolo sembra offrirne un antidote

tanto nella vicenda di Florio e Biancifiore quanto nella

esortazioni della cornice dell'opera.

18 Con le stesse parole ma in una situazione di

frustrazione e non di gratificazione amorosa, Fiammetta con­

clude la sua Elegia (cfr., cap. 2).

19 Apertamente in questa opera l'autore si pone come

voyeur. Infatti l'atteggiamento voyeurista non appartiene

solo al protagonista del narrato, Ameto, ma e aspetto pecu-

liare del narratore che, non solo, lo trasmette al suo per-

sonaggio, me ne fa inoltre un elemento strutturale

dell'opera la quale nasce non tanto da cio che e stato

sentito (o letto), come nel caso del Filostrato o del

Filocolo. ma soprattutto da cio che e stato visto. Ad


36

analizzare tale aspetto, con il sottile dubbio che il Boc­

caccio, nelle opere giovanili, abbia potuto aver (quasi)

bisogno di uno psicanalista, e Michel David che intitola un

suo articolo: "Boccaccio pornoscopo?", in Medioevo e Rinas-

cintento veneto (Padova: Antenore, 1979), vol. I, pp. 215-43.

20 Ritorna qui indirettamente il tema della segretezza,

di non rendere noto il proprio sentimento amoroso che

abbiamo gia incontrato nella cornice del Filostrato e che

come vedremo in seguito e un topos della letteratura

cortese.

21 La tristezza del narratore derivata dalla perdita

del piacere visivo di tali bellezze muliebri la cui com-

ponente divina non e certo trascendente (nonostante il

pesante allegorismo) ma piuttosto pastorale e mondana (le

donne sono infatti definite ninfe e non a n g e l i ) , si riflette

nell'esperienza di Ameto con cui l'autore vorrebbe

identificarsi e quindi enfatizza la componente naturalista

d e l l 'opera. A questo riguardo Aldo Scaglione scrive: "In

the Ameto one noticed the lack of harmonious and logical

transition from the naturalness of Ameto's and the Nymphs'

loves to the allegorical interpretation attached to them; we

find it difficult to take at its face value the author's

statement that he is «not» dealing with «that Venus, whom

the foolish call goddess of their disorderly concupiscence,

but that» [other Venus] «from which the true and just and

sacred affections of love descend among the mortals»" (op.


37

cit., 1963), p. 120.

22 Una non comune nota esistenziale e presente anche

nella conclusione in versi, con quel famoso accento alia

tristezza della propria abitazione ed alia presenza di un

vecchio "freddo, ruvido e avaro" (XLIX, 80). Tale verso e

stata una pietra miliare per la critica autobiograficista

che ha cosi elaborato l'immagine di un povero Boccaccio, che

ritornato dal gioioso ed aristocratico ambiente napoletano a

quello fiorentino gretto e borghese, si trova a dover

tristemente vivere con un padre che detesta.

23 Ritengo che un'attenta lettura di questi versi con-

clusivi della narrazione sia particolarmente significativa

per la soluzione che il nostro vuol d a r e alia propria

vicenda-visione. Soluzione che io ritengo neghi ogni fat-

tuale conversione dell'io protagonists. Due punti mi sem-

brano degni di ulteriore riflessione: II fatto che il "vero"

viaggio di conversione rimanga al di fuori del testo, solo

come una promessa di scrittura, "e di scriverlo oltre ancora

attendo" (L, 51), e che comunque il luogo in cui la guida lo

sta indirizzando e quello in cui egli, nel sogno, era stato

sul punto di avere un amplesso carnale con la propria donna.

Nel sottolineare la distanza tra il narrato d e l l / Amorosa

Visione e la teorie degli stilnovisti, distanza che con-

sidero piu di contenuto che di forma e che per questa insita

contraddizione ritengo sia segnale di una fase di sviluppo

nella posione ideologica del Boccaccio a riguardo, Aldo


38

Scaglione scrive: "The final reward expected in the Amorosa

Visione is «ultimate pleasure with the enticing lady of his

dream», whereas the stilnovists had made «love a rational

desire by desexualizing its object», (op. cit., 1963), p.

109. Per una fondamentale e completa analisi dell'opera e

delle sue fonti vedi Vittore Branca, "L'Amorosa Visione

(tradizione, significato, fortuna)", Annali della R. Scuola

Normale Suoeriore di Pisa, s. II, vol. XI (1942) , 1, pp.

263-90.

24 Andreas Cappellanus on L o v e , con traduzione inglese

a fianco e curato da P. G. Walsh, London: Duckworth, 1982.

25 Un confronto delle varie cornici con il De Amore ha

evidenziato una serie di temi non particolarmente presenti,

almeno secondo il testo del Savona, nella poesia stil-

novistica. Mi riferisco alia segretezza che deve essere

mantenuta a riguardo della relazione amorosa ed alia con-

seguente scelta di un fedele amico o servo come confidente

ed intermediario tra i due amanti. Per la segretezza il

riferimento si trova all'inizio del secondo libro del De

A m o r e . " [q]ui suum igitur cupit amorem diu retinere

illaesum, eum sibi maxime praecavere oportet, ut amor extra

suos terminos nemini propaletur, sed omnibus reservetur

occultus. Amor enim postquam ad plurium coepit devenire

notitiam, statira naturalia deserit incrementa et defectum

prioris status agnoscit" (II, 1, 2), e come la tredicesima

delle sue trentun regole: "Amor raro consuevit durare vul-


39

gatus" (II, 8, 46); per quanto riguarda invece l'uso di un

intermediario il breve accenno e nel primo capitolo del

primo libro sotto la rubrica "Quid sit amor": "statim enim

iuvanem habere laborat et internuntium invenire" (I, 1, 46).

II trattato del De A m o r e , p e r sua natura categorizzante

nei riguardi del fenomeno amoroso, non e sfuggito alia dura

polemica riguardante l'uso del termine "amour courtois",

nella quale uno dei temi piu dibattuti e la necessaria

qualita adulterina d e l l 'amore come descritto dal Cappellano

(tale argomento non presente apertamente nelle opere qui

considerate sara invece essenziale nell'Elegia di madonna

Fiammetta. cfr., cap. 2). Secondo la mia lettura Cappellano

non ritiene necessario che 1'amore sia adulterino o

"illicit", secondo la traduzione inglese offertaci da Henry

Ansgar Kelly, "Gaston Paris' Corteous and Horsely Love", in

The Spirit of the Court (Dover N.H.: D. S. Brewer, 1985),

pp. 217-23, del termine usato da Gaston Paris nella sua

categorizzazione (op. cit., 1883), pp. 518-19, ma senza dub-

bio extra-matrimoniale. Cappellano infatti scrive in uno

dei suoi dialoghi esemplari che " [l]icet enim nimia et

immoderata affectione coniugantur, eorum tamen affectus

amoris non potest vice potiri, quia nec sub amoris verae

definitionis potest ratione comprehendi. Quid enim aliud est

amor nisi immoderata et furtivi et latentis amplexus con-

cupiscibiliter percipiendi ambitio?" (I, 6, G, 368) . II

riferimento al desiderio ed alia ricerca dell'amplesso, nega


40

l'altro punto polemico circa l'asessualit& del rapporto

cortese. Per riferimenti alia polemica sull'adulterio nel

De Amore e da vedere William Calin, "Defense and Illustra­

tion of Fin' Amour", in The Expansion and Transformation

(op. c i t . , pp. 32-48); mentre sulla polemica

dell'asessualita sono da vedere tra gli altri Alfred

Karnein, "Amor est Passio - A Definition of Courtly Love?",

in Court and P o e t . (Liverpool: F. Cairns, 1981), pp. 215-

221, di cui non condivido pero la traduzione del latino

"passio" con l'inglese "sickness" e quindi 1' interpretazione

di Cappellano in termini robertsoniani; poi ancora sulla

immanenza ed il naturalismo del De Amore vedi Donal K.

Frank, Naturalism and the Troubadour E t h i c . (New York: Peter

Lang, 1988) . Per il rapporto tra le quistioni d'amore pre-

sentate da Cappellano, con riferimento all'aristotelica

tripatizione dell'amore come: "onesto", "per diletto", "per

utilita", ed all'uso che ne fa Fiammetta nelle questioni

d'amore del Filocolo, e da vedere oltre al fondamentale

libro di Vittore Branca, Boccaccio medievale, (Firenze:

Sansoni, 1956), Luigi Surdich, "II Filocolo: le 'questioni

d'amore' e la 'quete' di Florio", in (op. cit., 1987), pp.

13-75, che ci offre un'interpretazione immanentista che mi

trova pienamente d'accordo.


41

Capitolo II

L /Eleaia di madonna F i a m m e t t a :

primi segni di una crisi ideologica.

Ad una prima lettura dell'Elegia di madonna F i a m m e t t a .

mentre scorriamo quelle pagine con la stessa simpatetica

"naivete” delle "nobili donne" a cui era stato indirizzato e

con la mente sgombra da preconcetti critici, una domanda si

pone sempre piu pressante di fronte a quelle inesprimibili

sofferenze: perche madonna Fiammetta persevera nel suo

dolore e non reagisce? Che cosa le impedisce di

disinnamorarsi? I critici del passato abituati a ripetute

letture del testo ed interessati soprattutto al suo aspetto

letterario, hanno in un certo senso rimosso questi immediati

quesiti ed alcuni hanno cercato, deviati dalla loro profes-

sionalita, una risposta alia composizione dell'opera nelle

motivazioni dell'autore. Ecco allora l'esistenza di un

lungo dibattito sull'autobiografismo d e l l /Eleaia di madonna

Fiammetta1 arrivato al punto di considerare 1 'opera come

un'allegoria che potesse o proteggere il Boccaccio, "con-

sumato com'era negli intrighi amorosi"2 , dall'opinione non

tanto dei cortigiani del re Roberto quanto del popolo

napoletano, o invece, di permettergli di "vendicarsi

dell'infedelta di lei [Maria D'Aquino]" attraverso

un'ironica rappresentazione di Fiammetta-Maria come "vero


42

specchio di amorosa abnegazione"3 . Altri critici hanno

invece voluto sottolineare la modernita dell'opera con-

trapponendola alia Vita Nuova di Dante e considerandola

espressione di nuovi valori immanenti contrapposti alia

trascendenza medioevale. In questa direzione sono stati

accentuati gli aspetti psicologico-intimisti della vicenda

che hanno portato i critici a definire l'Eleaia come il

capostipite del romanzo psicologico4 . Sempre di

innovazione, pero questa volta in direzione estetica, trat-

tano critici come Salvatore Battaglia e Aldo Scaglione i

quali tendono ad identificare 1 'opera con un esercizio di

innovazione retorica5 . La critica di formazione filologica

ha invece sottolineato, in parziale polemica con la tesi

modernista, l'estensione del contributo classico (Seneca,

Ovidio, Stazio, Lucano, Virgilio) e dantesco nell'opera e

quindi l'idea di continuity e non di rottura con la

tradizione letteraria6 . Negli ultimi decenni in seguito

soprattutto ai lavori di Vittore Branca7 , l'idea di

autobiografismo e stata completamente abbandonata mentre si

sono accentuate le posizioni di psicologismo romanzato8 e di

modernita dell'opera8 . Caratteristica comune alle va r i e

interpretazioni e l'enfasi posta sul personaggio Fiammetta

come exemplum, come portavoce di un messaggio boccacciano

all'universale pubblico dei lettori. O w i a m e n t e le

posizioni divergono sul tipo di messaggio e mentre Raffaello

Ramat immanentisticamente interpreta Fiammetta come simbolo


43

di dolorosa decadenza etica e civile (cfr., n. 9), Robert

Hollander, sulla scia della contrapposizione Venere/Tisifone

proposta da Walter Pabst1 0 , fa del personaggio un ironico

attacco di Boccaccio alia "religione d'amore"1 1 . L'idea di

Fiammetta come simbolo negativo dell'amore carnale e poi

portata ai suoi estremi da Janet Smarr che, usando una

terminologia da evangelismo televisivo, scrive: "[S]he

[Fiammetta] has become obsessed with her own degeneration.

She has ceased to be Eve-like and has become satanic....

Fiammetta, with a twist of her pride, chooses to become the

most wretched woman in h i s t o r y .... she prefers to rule hell

than to be second best in heaven"1 2 .

Ma il quesito iniziale e rimasto tale; ed e a questo

immediato bisogno che io vorrei dare una risposta partendo

dalle motivazioni sia pratiche che emotive del nostro per­

sonaggio per poi arrivare ad una proposta interpretativa

dell'intera opera. I presupposti teorici alia mia lettura

sono la negazione dell'autobiografismo diretto dell'opera13

e la presenza in essa di un fine didattico-utilitarista, a

cui si fa, tra l'altro, aperto riferimento nel testo.

Partendo quindi dalla condizione di sofferenza di Fiammetta

intendo analizzare le contraddizioni sulla base delle quali

la protagonista attua le scelte che la portano non a risol-

vere ma a perpetuare la propria condizione di sofferenza.

In questa direzione ritengo che Boccaccio, all'interno di

un'ottica immanentista, faccia del personaggio Fiammetta


44

l'esempio di una crisi ideologico-culturale percepita ma

ancora insolvibile nei confronti del concetto di Amore.

II prologo dell'opera si apre con una frase ricca di

implicazioni: "Suole a' miseri crescere di dolersi vaghezza,

quando di se discernono o sentono in alcuno compassione" (p.

3)1 4 . Gia il cardinale Pietro Bembo in una glossa al suo

manoscritto dell'Eleaia sottolineava 1'intertestualita di

questa frase con Vita Nuova XXXV, 3 15 ed a lungo la critica

ha analizzato il contributo dantesco alle opere del Boccac­

cio in generale ed all'Eleaia in particolare1 6 . A questo

riguardo trovo tematicamente interessante che il Boccaccio

abbia introdotto la propria opera con una frase dantesca^7

che, non solo introduce una vicenda di innamoramento carat-

terizzata da profondo conflitto emotivo (cfr., Vita N u o v a .

X XXV-XXXIX), ma inoltre affronta il tema del ricevere

l'altrui compassione con diretta similitudine al contenuto

dell'Eleaia1 8 . E di compassione, in questo caso offerta e

non ricevuta, tratta anche l'inizio del proemio del

Decameron in quanto: "Umana cosa e aver compassione degli

afflitti" (Pr. 2 ) 1 9 ; ed alio stesso pubblico di "innamorate

donne" sono indirizzate entrambe le opere. Ritengo quindi

di poter sostenere che Eleaia di madonna Fiammetta si col-

loca in un "continuum" letterario che, trattando il tema

della frustrazione amorosa ricerca una soluzione nel com-

passionevole sodalizio umano2 0 . Fiammetta ricerca infatti

attivamente la pieta del proprio pubblico, delle donne ("di


45

farvi, s'io posso, pietose", p. 3) ma non degli uomini dei

quali "piuttosto schernevole riso che pietose lagrime ne

vedrei" (p. 3)21 . E l'argomento sara nuovo, almeno rispetto

a l l e opere precedenti del Boccaccio; infatti Fiammetta non

narrera "favole greche ornate di molte bugie, ne troiane

battaglie sozze per molto sangue [diretto e il riferimento

al Teseida ed al Filostrato. e indiretto, per gli

innumerevoli riferimenti mitologici, quello alia Caccia di

Diana ed al Filocolol . ma amorose" (p. 3 ) 2 2 . Gli eventi che

Fiammetta si accinge a narrare se da un lato hanno il fine

di provocare lacrime compassionevoli nei lettori, d a l l /altro

"di dolore perpetuo fieno cagione" (p. 3). Qui per la prima

v o l t a appare quel concetto di eternita del dolore che, come

analizzeremo piu avanti, ha un ruolo decisivo nel modo in

cui Fiammetta risolve, o meglio, non risolve la propria

vicenda. M a la richiesta di compassione necessita

un'offerta che consiste nell'utile consolazione che le donne

potrebbero ricevere da tale vicenda una volta trovatesi

n e l l a stessa situazione2 3 . Richiesta di compassione ed

offerta di utile consolazione risultano cosi le motivazioni

d e l l o sforzo narrativo della protagonista ma, come ho solo

in parte accennato riferendomi all'inizio del prologo, la

compassione altrui ha un effetto circolare. Essa infatti se

da un lato rinnova la memoria del dolore da cui deriva il

pi a n t o liberatore, dall'altro, per essere stimolata, neces­

sit a la verbalizzazione e quindi il rinnovamento dello


46

stesso dolore2 4 .

Nel primo capitolo Fiammetta narra le proprie origini e

1 ' innamoramento per Panfilo. In questo capitolo, c o m e nel

resto d e l l 'opera, la narrazione dei fatti e costantemente

intercalata dalle riflessioni di Fiammetta-narratrice,

opposta a Fiammetta-protagonista, la quale e ricca, m a solo

fino ad un certo punto, del "senno di poi". Nata, secondo

un topos letterario, in primavera, nobile e bella, di una

bellezza che e "miserabile dono a chi virtuosamente di

vivere desidera" (p. 5)2 5 , Fiammetta si sposa senza aver mai

veramente provato26 l'amore anche se e cosciente di averlo

provocato con la propria bellezza in altri. Ed ecco che la

fortuna "invidiosa de' beni medesimi che essa avea prestati"

(p. 5), ma soprattutto il non-comprendere il messaggio

mandatole in sogno da "gl'iddii"2 7 , capovolgono la sua con­

dizione di serenita. II sogno, basato sulla simbolica

equazione serpe=amore/amante, ripropone in sintesi tutta la

vicenda di madonna Fiammetta compresa la mancanza di una

risoluzione. C'e u n /unica differenza: nel sogno la

protagonista, priva di ogni speranza, attende nel dolore la

morte mentre nella conclusione del narrato il desiderio di

morte e contrastato dalla speranza di un viaggio rivelatore.

Fiammetta continua comunque a non comprendere e, d opo aver

riso delle sciocchezze dei sogni, non presta attenzione al

segnale di malaugurio rappresentato dalla caduta de l l a ghir-

landa di fiori che portava in testa. Ma neppure la


47

Fiammett a - n a r r a t r i c e sembra comprendere il significato

u l t i m o della p r o p r i a dolorosa vicenda in quanto, oberata dal

senso di colpa, intercala a questo p u n t o la na r r a z i o n e c o n

u n ' a p o s t r o f e di a c cusa verso gli dei p e r non essere stati

c hiari nei suoi cofronti. L'atto di declinare le proprie

r esponsa b i l i t a e di rendere colpevole un'entita esterna (ora

gli dei, o r a V e n e r e o Amore, ora Panfilo o la fortuna)

d i v iene la caratteristica di fondo dell'at t e g g i a m e n t o

m e n t a l e di F i a m m e t t a 2 8 ; infatti, s e mpre secondo la nostra

eroina, sono gli dei che, adirati p e r il suo narcisismo, la

p u n i s c o n o pri v a n d o l a della conoscenza del segnale che le

hanno porto (p. 8).

La chiesa, addobbata p e r la funzione solenne, e il

luogo de p u t a t o alia ricerca dell'altro e a l l 'i n n a m o r a m e n t o 29

e Fiammetta, pi e n a di se, "credendo c h e la [sua] bellezza

altrui pigliasse, a w e n n e che l'altrui [lei] m i s e r a m e n t e

prese" (p. 9 ) 3 0 . La vista del giovane "bellissimo,

p i a c e v o l i s s i m o ed onestissimo" produce nella pro t a g o n i s t a

una serie di t u m u ltuose e m o zioni31 c h e le fanno affermare

"vere le cose che di lui [le] parevano" (p. 9). Dopo una

breve ps i c o m a c h i a ed una ennesima a c c u s a a-posteriori agli

dei di averle t o l t o il "conoscimento,,, Fiammetta si dis p o n e

a seguir e il p r o p r i o "appetito”3 2 . U n a volta innammo r a t a s i

il suo compor t a m e n t o si conforms alle regole cortesi del De

A m o r e di Andrea Cappellano, sulla cui falsa riga la nar-

ratrice aveva gia descritto la fenomenologia del proprio


48

amore (p. 10)3 3 . Esercitare la m a g g i o r c autela per poter

ma n t e n e r e occulto il proprio s e n t imento ed a l i o stesso tempo

manife s t a r s i liberale, contr a r i a m e n t e all'avara natura delle

donne, sono i nuovi aspetti del comport a m e n t o di Fiammetta

che sola e oziosa nella sua camera si trova piena di nuovi

pensieri, nuovi desideri e s o l l e c i t u d i n i 3 4 . M a il nuovo

stato d ' a n i m o non passa inosservato alia vec c h i a balia che,

con una logica del tutto pr a g m a t i c a velata di morale

retorica, consiglia ed alio stesso rimprovera la malinconica

Fiammetta.

Il p e rsonaggio della balia e quanto mai importante non

solo nella dinamica delle vicende m a soprattutto nel suo

ruolo di principio di realta e pragmatismo ( c f r . , n. 59)3 5 .

Con lo svolgersi delle vicende esso diverra, accentuando

alcune d e l l e proprie caratter i s t i c h e iniziali, il polo

alternat i v o alle scelte fatte da mad o n n a Fiammetta e quindi

l'indicatore di una possibile via v e r s o una d e f i nitiva

risoluzione dello stato di s o f f e r e n z a 3 6 . In questo primo

confront o le parole della balia s o n o fortemente colorate di

mor a l i s m o cris t i a n o 37 e civile su cui si bas a il tentativo

della v e c c h i a di estirpare da l l ' a n i m o della gio v a n e il

sentimento amoroso, ma tra le p a role di rigida esortazione

fanno capolino i termini "conoscere" e "conoscimento" con il

significato di "comprendere" e di " c o m p r e n s i o n e " . La

risposta di Fiammetta e comunque e m blematica della c o n ­

dizione di sofferente stasi che la rendera p e r s o n a g g i o


49

immortale:

0 car a nutrice, assai conosco ver e le c o s e che


narri; ma il furore mi costringe a seguitare le
peggiori, e l'animo consapevole, e ne' suoi
desi d e r i i strabocchevole, indarno li tuoi consigli
appetisce; e quello che la ragione vu o l e e vinto
dal r e g n a n t e furore (p. 16)3 8 .

L ' i m p r o w i s a v i s i o n e di Venere toglie a Fiammetta ogni dub-

bio lasciatole dalle parole della balia. L ' apostrofe della

dea risulta int e r e s s a n t e nella sua impostazione in quanto,

invece di s o t t o l i n e a r e gli aspetti piacevoli dell'amore,

attraverso una s e r i e di esempi che vanno dalle divinita

dell'Olimpo agli eroi ed eroine classici fino agli animali,

convince la donna m o s t r a n d o l e 1 ' irresistibile pot e n z a

d'Amore a cui tutto soggiace, o deve soggiacere. Fiammetta

e cosi ap ostrofata c ome "stoltissima" o "poco savia" in

quanto, come m o s t r a n o gli esempi della mitologia classica —

Pasife, Fedra, Giasone, Teseo ed Ulisse — neppure il santo

vincolo del m a t r i m o n i o puo nulla contro il furore venereo;

anzi ella deve considerarsi fortunata poiche la sua passione

non si e m a n i f e s t a t a come un fuoco incestuoso o perverso.

L'intera apos t r o f e si mantiene cosi all'interno di una

immagine d e l l 'amore come irresistibile forza tira n n i c a a cui

e pericol o s o r e s i s t e r e ed e solo possibile s o t t o m e t t e r s i .

Questa e la stessa immagine dell'amore che madonna Fiammetta

aveva p r e s e n t a t o nel dialogo con la balia in cui, com e qui,

l'accettazione p a s s i v a era l'unica possibile scelta. Questa

similarity n o n ci d e v e meravigliare in quanto sia il dialogo

con la vec c h i a n u t r i c e che il monologo di Vene r e s o n o un


50

prodotto della fantasia narrativa della stessa Fiammetta, la

cui scelta ultima non invalida perd l'esistenza di un con-

flitto decisionale3 9 .

La giovane decide quindi di abbandonarsi al proprio

appetito, reitera il proprio voto al segreto40 ed alia

cautela e si preoccupa, cosa non difficile, di accendere

delle sue stesse fiamme l'amato. II giovane si fa cosi

amico del marito di lei per poterla incontrare. I due si

danno gli pseudonimi di Panfilo e Fiammetta e si parlano

attraverso finte novelle. Addirittura Fiammetta afferma di

essere diventata, per effetto d 'amore, cosi abile nel par-

lare e nel fingere da sorpassare ogni poeta4 1 , cose che,

secondo il suo parere, sono "male agevoli da imprendere, e

molto piu ad adoperare ad una giovane" (p. 26). Fiammetta

sta qui perfezionando quella capacita del narrare e con-

seguentemente dello scrivere che non solo la porteranno a

comporre l'Eleqia, come sfogo alle proprie sofferenze, ma

faranno di questa scelta letteraria l'unico suo motivo

esistenziale. Sempre in questa direzione Fiammetta a ragion

veduta, non rimpiange di aver acquisito queste capacita,

nonostante che "al presente in [suo] detrimento le conosca

operate" (p. 27).

A questo punto della vicenda comunque i due innammorati

si attengono strettamente alle regole di Andrea Cappellano

che consiglia agli amanti di mantenere 1 'amore assolutamente

segreto ma anche di cercarsi un fidatissimo intermediario,


51

in genere uno della servitu (op. c i t . , libro II, I, l)4 2 .

Finalmente i due amanti riescono ad unirsi carnalmente. La

descrizione di questi eventi 6 da Fiammetta-narratrice vis-

suta con molteplici dubbi e sensi di colpa punteggiati dal

ripetuto uso del verbo "conoscere" che nonostante sottolinei

una presa di coscenza della situazione, anche se a-

posteriori, e comunque incapace a farle sostenere l'assalto

del furore istintuale ancora una volta estrapolato e per-

sonificato in Amore.

Fiammetta e felicissima con il suo Panfilo, ma la loro

felicita non dura che poche righe. Data la natura

dell'opera non c'e spazio per la felicita nelle parole della

narratrice. Infatti Panfilo richiamato dal vecchio padre

deve lasciare la citta e lo fara, nonostante la contrarieta

dell'amante, solo dopo averle promesso di ritornare entro

quattro mesi. Tra i vari argomenti per convincere la

giovane uno sembra particolarmente interessante anche perche

considerato da Panfilo piu importante della stessa morte del

padre: l'infamia. Il dover mantenere la relazione segreta

pone Panfilo nella condizione di non poter giustificare al

padre ed alia societa il suo ritardo. II dover tacere la

propria relazione diviene cosi un'arma a doppio taglio,

mentre Amore, considerato in grado di stimolare la sagacia

dei suoi sudditi, non sembra aver forza nei confronti della

fama e dell'opinione pubblica. Tra l'altro gia la necessita

di mantenere l'onore sociale aveva costretto gli amanti al


52

segreto4 3 .

II capitolo terzo 6 dedicato ai giorni di attesa di

Fiammetta p e r il ritorno di Panfilo secondo la promessa da

lui fattale. Quelle pagine sono piene dei sospiri e delle

risa, dei timori e delle speranze che riempono l'animo e le

vuote giornate d'attesa di Fiammetta. Molteplici sono gli

espedienti per far passare il tempo piu in fretta, dalle

letture ed i racconti44 agli esorcismi45 ed alle preghiere

fatte alia luna. Ma in tutto questo tumulto emotivo regna un

principio di razionalita, il buon senso di mantenere segreta

la propria condizione e di salvare l'onore di entrambi. Per

questo si trattiene dal domandare agli amici di Panfilo

notizie dell'amato (p. 48).

Ma Panfilo dopo i promessi mesi di assenza non torna e

le speranze di Fiammetta si trasformano in preoccupazioni di

sventure e in gelosi timori46 che le fanno quasi acquistare

la saggezza della sua balia quando esortando se stessa

afferma: " [R]imanti d'amarlo, e dimostra che con q u e l l /arte

che egli ha te ingannata tu abbi ingannato lui" (p. 58). Ma

Panfilo non tornera piu e di lui rimarra solo lo spettro

alimentato dalla speranza. Con questo stato d'animo si apre

il capitolo quinto in cui Fiammetta ponendosi al centro

della scena fa del suo dolore l /unico contenuto della nar-

razione. La critica ha sottolineato l'importanza di questo

capitolo come un nuovo inizio, sia strutturale che con-

tenutistico, d e l l 'opera47 ed infatti Fiammetta-narratrice lo


53

introduce reiterando le motivazioni proemiali, ma ponendo

questa volta maggior enfasi sull'idea di utility del proprio

messaggio alle donne. "E cosi forse ad un'ora" — afferma

Fiammetta-narratrice rivolta alle donne — "a voi

m'obblighero ragionando, e disobblighero consigliando,

o w e r o per le cose a me a w e n u t e ammonendo e a w i s a n d o " (p.

59) .

I capitoli quinto, sesto e settimo hanno la loro causa

narrativa in tre eventi imprevisti che danno alia

protagonista ulteriori motivazioni di speranza e/o dolore.

Questi tre eventi hanno due importanti caratteristiche in

comune: tutti e tre fanno riferimento a Panfilo, o w i a m e n t e ,

e tutti e tre vengono riferiti a Fiammetta per interposta

persona. La giovane quindi non ha mai la possibility di

oggettivamente conoscere cio che viene a sapere solo per

sentito dire. La contraddittorieta insita nell'informazione

ricevuta per interposta persona ha, nel caso della

protagonista, la sua origine nella decisione presa di tener

segreto il proprio sentimento per mantenere intatto il

proprio onore di fronte alia societa4 8 . L'immobility di

Fiammetta, stimolata da cotali eventi e dalle contraddizioni

in essi insite, alimenta la psicomachia della giovane e

quindi le pagine del narrato.

All'inizio del capitolo quinto Fiammetta, mentre si

trova con alcune compagne, viene a sapere da un mercante,

interrogato da una delle donne, del supposto matrimonio di


54

Panfilo. Le reazioni della giovane sono molteplici e mentre

il matrimonio, in quanto contratto sociale, non sembra

un'eccessiva minaccia4 9 , terribile 6 invece l'idea che Pan­

filo abbia amato altre donne mentre amava lei. Cosi mentre

Fiammetta naviga nella tempesta delle sue emozioni, ecco, di

tanto in tanto, apparire in lei un linguaggio che ci ricorda

le sagge parole della balia: "[C]redi omai agli agurii e

alia tua divinante anima, e comincia a conoscere gli inganni

de' giovani" (p. 61). E Fiammetta sembra quasi essere

cosciente della relativita delle parole del mercante quando

afferma in un monologo rivolto al suo Panfilo che: "E

quasi50 questa credenza [del loro insuperabile amore] piu

che altra mi rende sicura che falsa sia l'udita novella

della nuova sposa" (p. 70). L'auto-commiserazione ha com-

unque il s o p r a w e n t o e di nuovo la causa della propria con­

dizione e proiettata all'esterno e la colpa e ora attribuita

solo a Panfilo del quale comunque si prega il ritorno. Ma

al di sopra di tutto, anche dell'amore di Panfilo sta il

proprio onore e quindi l'imperativo di fuggire "infamia per-

petua". Se quindi per un attimo la giovane ha un guizzo

verso l'azione esso e subito rintuzzato dalla passiva con-

sapevolezza della propria condizione. Ella infatti afferma:

Certo io non so chi mi si potesse tenere di venire


a te 5 l, se la mia forma sola, la quale senza dub-
bio d'impedimento e di vergogna in piu luoghi mi
sarebbe cagione, non mi tenesse (p. 70) [la nota e
mia].

Per lo stesso motivo Fiammetta strenuamente nasconde al


55

marito, s t ranamente credulo5 2 , i m o tivi del proprio

de p e r i m e n t o fisico. La soluzione del premuroso co n i u g e di

fare u na vacanza al mare per c o m b a t t e r e la "molesta malin-

c o n i a " 53 della m o g l i e si risolve in una u lteriore p e n a della

memoria p e r Fiammetta. Sia le gioie della v i l l e g g i a t u r a che

gli svag h i nella ci t t a per lei non hanno che un nome: Pan­

filo. La vita in societa accentua la necessita di nascondere

i p ropri sentimenti e la sofferenza a cio connessa, ma alio

stesso t e m p o Fiammetta ricerca il m o d o di poter v e latamente

esprimer e il pro p r i o dolore. C'e qui un primo accenno

all'uso de l l o scrivere come azio n e liberatrice del proprio

stato d'animo. Fiammetta che p r e c e d e n t e m e n t e , per poter

segretam e n t e comunicare con l'amante era divenuta nell'uso

delle p a r o l e esperta come un p o e t a ora ascolta attentamente

le c a n zo n i delle allegre brigate di giovani v a c a nzieri

"accio c h e poi fra [se] ridicendola, con piu ordinato par-

lare e p i u coperto [si] sapess[e] e potessfe] in p u b blico

alcuna v o l t a dolere" (p. 76). E m e n t r e la brigata dei

giovani gioisce ella sola rimane esempio di dolore p e r

l'umanita, dolore che, come a w e n n e alia fenicia Didone, le

rendera fama eterna (p. 77). Ecc o qui p e r la prima volta

chiara m e n t e affermata la scelta ideologico-letteraria di

Fiammetta, il suo desiderio di d i v e n i r e eterna in quanto

vittima addolorata, ed il rigetto di ogni azione pratica che

ponga fine alio st a t o di sofferenza. A questo scopo la

memoria diventa indispensabile strumento; rinverdire i


56

propri ricordi e ripetere il rito sacrificale dell'abbandono

diviene l'unico scopo dell'esistenza della giovane a cui e

costantemente caro il rimembrare (p. 89)5 4 .

La sua bellezza sciupata55 diviene argomento di con­

versazione per i giovani, mentre, in u n /apostrofe alia

fortuna, Fiammetta riconosce l'impotenza del senno di loro,

amanti, contro la sorte56 e la sua rabbia si scatena contro

l'intera societa civile nell'esaltazione della mitica eta

dell'oro il cui unico vantaggio sembra essere il non essere

a conoscenza di Venere e del suo "biforme figliolo"5 7 . Ma

Fiammetta non puo ne vuole astrarsi dalla societa ed e

quindi forzata a mentire anche sulla propria devozione reli-

giosa; ma consapevole della onniscienza divina cosi si

giustifica:

0 Iddio, veditore d e / nostri cuori, le non vere


parole dette da me non m'imputare in peccato. Come
tu vedi, non volonta d'ingannare, ma necessita di
ricoprire le angoscie a quelle mi strigne (p.
97) .

L'egotismo di Fiammetta, identificatasi ormai con la propria

condizione, stravolge cosi l'ottica religiosa del suo

dialogo con Dio. Ella infatti sottolinea non tanto la colpa

di miscredenza nei confronti del divino, quanto quella della

menzogna nei confronti delle interlocutrici. La non cor-

rispondenza tra le parole e la realta degli eventi fa di

Fiammetta un ser Ciappelletto "ante litteram"5 8 ; ella stessa

infatti, con un audace capovolgimento di posizione chiede a

Dio che le renda merito del peccato di fraudolenza originato


57

da una convenzione sociale, sottolineando ancora una volta

1 ' immanentismo della sua menzogna ("anzi piuttosto m e r i t o me

ne rendi, considerando che '1 malvagio esemplo levando, alle

tue creature il do buono." p. 98). Ma ancora questa volta,

come mille altre volte, i buoni propositi di madonna si

infrangono di fronte a l l /imperativo sociale, mentre afferma

che:

lo, piu peccatrice che altra, dolente per li miei


disonesti amori, pero che quelli velo sotto oneste
parole, sono reputata santa; ma conoscelo Iddio,
che, se senza pericolo esser potesse, io con vera
voce di me sgannerei ogni ingannata persona, ne
celerei la cagione che trista mi tiene; ma non si
puote (p. 98).

Ed alio stesso tempo continua a porgere i "pietosi prieghi

per lo [suo] Panfilo, e per la sua tornata" (p. 100). II

lungo capitolo quinto si conclude con un'ulteriore con-

trattazione con Dio e una reiterazione della precedente

preghiera. Ancora una volta Fiammetta, convinta della

propria impotenza, rinuncia non solo alia possibility, ma

anche a l l 'idea, di poter trovar rimedio al suo doloroso

amore; e poiche Dio e senza dubbio a conoscenza che "per

niuna maniera poter uscire della mente il grazioso amante ne

li preteriti accidenti" (p. 101), invece di lei rendergli

un'anima dannata in quanto suicida, le faccia Dio ritornare

Panfilo cosi che dei due peccati lei compia il minore (p.

101). Nessun riferimento quindi alia possibility,

dimenticando 1 'amante, di non peccare affatto, ma solo

invece un flebile accenno, in quanto vivi e peccatori, al


58

permanere della possibility di pentirsi e di redimere la

propria anima. L /appello passa poi da Dio agli "iddii

tenenti le celestiali regioni", e Fiammetta ligia al proprio

formalismo, terminata la preghiera, "odorosi incensi e degne

offerte, per farli abili a' prieghi [suoi] e alia salute di

Panfilo, [pone] sopra li loro altari" (p. 101).

Nel capitolo VI si accentuano le sofferenze di Fiam­

metta in seguito alia viziosa circolarita delle scelte e

dell'atteggiamento della giovane. Come prima era stato un

mercante, che aveva semplicemente inteso (nel senso di

sentito d i r e ) , a fornire la notizia dell'eventuale

matrimonio di Panfilo, ora e un "carissimo servidore",

ritornato dalla terra toscana, ad avere da "alcuno inteso",

che Panfilo ama, contraccambiato, una bellissima donna.

Fiammetta non impara da questa seconda rivelazione, non

riflette sulla contraddittorieta delle informazioni o sulla

validita delle fonti, ma, rimosso ogni precedente dubbio

sulla veridicita di tali notizie, crede fideisticamente alle

parole del servitore e ricade nell'interiore tempesta

emotiva, mentre nel tumulto solida rimane la convinzione che

"da amare, per ch'io voglia, non mi posso partire" (p. 110).

E la colpa del suo soffrire non pud che ricadere sugli dei

che le impedirono di comprendere i simbolici a w e r t i m e n t i ,

troppo tardi divenuti chiari. Le nuove pene forzano Fiam­

metta a mentire di nuovo al marito e spingono la balia a

consigliare ripetutamente la giovane. Le argomentazioni


59

d e l l a nutrice, abbandonato il mora l i s m o iniziale, divengono

s empre p i u pragmatiche. Innanzi tutto e s iste per la balia,

cosi come p e r madonna, l'imperativo di m antenere integro

l ' o nore sociale. Cosi se ne i sensi di colpa verso il

c o n i u g e ne le punizioni, che da lui po t r e b b e r o derivare,

so n o sufficienti a scuotere la giovane, ella cerca di

ri c o n d u r l a ad un principio di realta. Ecco l a dunque

affermare:

II giovane, il quale tu ami, senza dubbio secondo


le amorose leggi, come tu lui, te dee amare; ma se
egli nol fa, fa male, ma niuna cosa a farlo il puo
costringere. Ciascheduno il b e n e f i c i o della sua
liberta, come gli pare, p u o usare. Se tu
fortemente ami lui tanto che di cio pena
intollerabile sostieni, egli di c i o non t'ha
colpa, ne giustamente di lui ti p u o i dolere: tu
stessa di cio ti se' princip a l i s s i m a cagione (p.
118) .

Le p arole della nutrice criticano dunque, sulla base dei

fatti reali e di un nuovo concetto di liberta individuale,

l'ideo l o g i a d e l l 'amore cortese e il d o g m atismo delle sue

r e gole a cui Fiammetta si era attenuta e si attiene nel

la m e n t e v o l e tentativo di p e r p etuare la propria condizione.

U n n u o v o p rincipio di reciprocity guida il ragionamento

d e l l a pra t i c a e saggia balia la quale piu oltre riafferma:

" [C]hi tratta altrui secondo che egli e trattato,


forse non falla soverchio, anzi usa il mondo
secondo li modi altrui. II servare fede a chi te
la rompe, e oggi ripetuta mattezza, e lo 'nganno
compensare con lo 'nganno si dice sommo sapere"
(p. 119)5 9 .

E se la fortuna le e contraria e anche v ero che essa "teme

li forti ed a w i l i s c e li timidi" (p. 120) , e nonostante sia


60

facile contrastarla, e operando virtuosamente che si puo

sperare di cambiarla6 0 . Ma mentre la nutrice esorta con

tali parole la giovane a prendere coscienza della propria

situazione e ad agire, ella intensifica il processo di

assolutizzazione del proprio dolore attraverso una prima

serie di paragoni con personaggi della mitologia classica di

cui nessuno ha la propria pena a quella di Fiammetta

somigliante (p. 116). Causa principale di questa supremazia

nel dolore e il non poter parlare.

Incapace a questo punto di sostenere il "ristretto

fuoco", Fiammetta medita il suicidio e nel tentativo di

discernere la maniera meno infamante ( I g n o r e e sempre al

primo posto nelle sue preoccupazioni) per metterlo in atto,

rivisita le azioni dei famosi suicidi della letteratura

classica6 1 . Ma il tentativo suicida per intervento della

sorte e delle serve fallisce. Come reazione si materializza

nella mente di madonna l'idea di fare un viaggio6 2 , con la

scusa di aver fatto alcun voto, per poter rivedere e riavere

il suo Panfilo. Tutto cio a w i e n e dopo che Fiammetta,

essendosi a lungo consultata con la balia63, ha scartato

l'idea di inviare lettere, risultate inefficaci anche se

pietosissime, o di inviare la balia stessa, troppo vecchia

per tale impresa, o di far uso di atti negromantici trovati

pieni "piu di parole che d'opere" (p. 131)64 .

I due capitoli che seguono, il settimo e l'ottavo, non

apportano, nonostante la descrizione di nuovi fatti, alcun


61

cambiamento alia condizione di Fiammetta, che e rimasta

qualitativamente immutata dalla partenza di Panfilo. II

ripetersi di certe circostanze ha quindi il solo scopo di

intensificare una situazione praticamente statica. Questo e

cio che a w i e n e nelle pagine del settimo capitolo. Ancora

una volta per un errore di percezione, questa volta della

nutrice 6 5 , e per la fideistica volonta di credere da parte

di Fiammetta6 6 , un presupposto ritorno di Panfilo si rivela

un malinteso dovuto ad omonimia. Viva rimane comunque la

speranza del viaggio, Cosi mentre si intensificano gli

affanni, alimentati dalla volonta di mantenere vivo il

proprio amore, Fiammetta assolutizza le proprie pene

paragonandole con quelle, amorose e non, dei grandi della

mitologia classica e cortese e cavillosamente dimostra la

superiority del proprio dolore6 7 . Le comuni motivazioni di

base di questa sua superiority fanno riferimento al tempo ed

alia morte. Nonostante che il dolore di Fiammetta per

l'abbandono non duri da piu di un anno, ella ritiene la

durata delle proprie pene superiore a qualsiasi altra, e

considera l'eventuale morte d e l l /amante stesso o dell'amato

una positiva fonte di oblio. La vita, come continuity nel

tempo, e la morte, come cessazione del tempo, vengono a

costituire gli estremi opposti del tentativo letterario di

Fiammetta di fermare il tempo. Ed e proprio la continua

reiterazione d e l l 'immutata preghiera di ricevere la morte o

di far ritornare Panfilo, a sottolineare la fissita dei


62

sentimenti di Fiammetta proprio mentre sembra chiederne la

fine6 8 . Ma 1'opera deve pur giungere ad un termine e cio

a w i e n e quando la narratrice si rende conto d e l l 7incapacity

delle parole di continuamente rinnovarsi, cioe

d e l l 'impossibility di mantenere la linearita narrativa di

una situazione ripetitiva e quindi circolare, e

1'impossibility di rappresentare adeguatamente la realta dei

fatti ("di tacere omai dilibero, faccendovi manifesto non

essere altra comparazione del mio narrare verissimo a quello

che io sento, che sia dal fuoco dipinto a quello che

veramente arde", p. 156)6 9 . L'uso chiasmatico che Fiammetta

fa del termine v e r o 70 sottolinea a livello retorico

1'incapacity a distinguere tra fantasia narrativa e realta e

quindi la scelta di delegare ad un testo la propria

esistenza (scelta coerente se consideriamo Fiammetta come

esclusivo prodotto della narrativa). Ed alia conclusione

del testo non corrisponde una conclusione della vicenda che

rimane infatti aperta e sospesa nella dicotomia della

speranza di morte o di ritorno alia passata felicita.

E l'apertura come incompletezza e sottolineata

all'inizio del congedo dall'uso d e l l ' a w e r b i o "quasi" ("0

picciolo mio libretto, tratto quasi della sepoltura della

tua donna", p. 157)7 1 . Infatti la vicenda di Fiammetta, la

cui narrazione qui finisce, e ben lontana da una con­

clusione. Sostenuta dalla speranza di potere, con il viag-

gio, rivedere e parlare a Panfilo, il che significherebbe


63

attivamente muoversi nella direzione realistica e pragmatica

degli insegnamenti della balia (e di molte eroine del

Decamero n ) , Fiammetta, nelle sue ultime parole di congedo,

reitera il valore esemplare della propria vicenda non solo

come utile messaggio alle pietose donne affinche non si

trovino nella stessa situazione, ma soprattutto come eterno

esempio delle proprie angosce. Nel congedo l'accenno

iniziale della narratrice alia morte, come sepoltura, si

trasforma nel l /esortazione alia vita del proprio testo

("Vivi adunque", p. 159)7 2 . A questo punto il processo di

identificazione di Fiammetta con la propria opera e com-

pleto. L'esortazione "vivi adunque" precedentemente fatta a

se stessa mentre premeditava il suicidio e ora rivolta alia

propria opera. Fiammetta cessa cosi di vivere il fittizio

sdoppiamento di realta e fantasia, e lascia che la realta

fantastica della sua narrazione sia l /unica entita vera

destinata a perpetrare in eterno la novella delle sofferenze

di madonna. Attraverso la ripetuta umilta ed inadeguatezza

della propria narrazione Fiammetta ricerca cosi la fama

eterna.

A conclusione di questa mia analisi ritengo di poter

affermare che Boccaccio, attraverso il personaggio di Fiam­

metta, ha voluto consapevolmente offrirci 1 'esempio di una

condizione ideologica ancora vincolata dogmaticamente agli

schemi del passato. Schemi che nel nostro caso si

riferiscono ad una "cortese" rappresentazione dell'amore e


64

delle sofferenze ad esso connesse. Fiammetta infatti nello

scegliere di perseverare nel proprio amore volutamente si

mantiene all'interno di una ben precisa tradizione let-

teraria7 3 . C'e nell'esemplarita dell'opera, come ho cercato

ampliamente di evidenziare, un tentativo, anche se con-

traddittorio e quindi poco chiaro, di letterariamente

reinterpretare la fenomenologia dell'amore in termini di

pragmatico scambio. Questo tentativo e rappresentato non

solo dall'ideologia della balia ma anche dai continui

ripensamenti di Fiammetta, la quale purtroppo non e in grado

di comprendere ed accettare fino in fondo queste nuove

implicazioni vissute invece in maniera colpevolizzante. La

scelta di madonna e sin dall'inizio l'unica che ella

veramente conosca e comprenda, quella dell'eternarsi

attraverso l'assolutizzazione delle proprie sofferenze let-

terarie piuttosto che accettare la relativita del proprio

stato e quindi agire per porre termine alia propria con­

dizione di dolore. Ma comprendere di essere semplicemente

una gentildonna napoletana e non un'eroina della letteratura

classica avrebbe significato rinunciare a fare di se stessa

un mito.
65

Appendice

L'Eleaia di madonna Fiammetta ed il Corb a c c i o :

un'ipotesi d'intertestualita.

L'Eleaia di madonna Fiammetta presenta un interessante

rapporto intertestuale con il Corbaccio che, evitando di

anticipare l'analisi dettagliata di tale opera, che sara

oggetto del seguente capitolo, intendo qui in appendice met-

tere in evidenza. In particolare e mia intenzione sot-

tolineare i punti di convergenza e divergenza tra le due

opere alio scopo di mostrarne la continuity sia a livello di

contenuto che di forma.

Per quanto riguarda il narrato e lo sviluppo delle

vicende in esso contenute, una volta mutato il sesso del

protagonista e del pubblico a cui 1 'opera e indirizzata

(Fiammetta, come abbiamo visto in precedenza,

intenzionalmente indirizza 1'opera alle nobili donne e ne

nega la lettura agli uomini, mentre 1 ' io-narratore del

Corbaccio fa costantemente riferimento ad un pubblico di

"discreti uomini", di " lettori", di "giovani" 74 ), il

Corbaccio potrebbe benissimo prendere l ' a w i o dalle con­

clusion! dell'E l e q i a . La stasi psicologica che caratterizza

tutta la narrazione di Fiammetta h la condizione di partenza


66

del protagonista del Corbaccio. la quale poi evolve nel

desiderio di vendetta verso la donna non piu amata. La nar­

razione del Corbaccio cosi ha inizio

Non e ancora molto tempo passato che, trovandomi


io solo nella mia camera... fortissimamente sopra
gli accidenti del carnale amore cominciai a
pensare; e,..., giudicai che, senza alcuna mia
colpa, io fossi fieramente trattato male da colei
la quale io mattamente per singulare donna eletta
avea e la quale io assai piu che la mia propia
vita amava (6-7).

Anche se le pagine dell'Eleaia sono sature di risentimento

verso l'ingratitudine, come abbiamo precedentemente visto,

in esse non si sceglie mai la vendetta come possibile

soluzione finale ma si preferisce la fama di sofferente vit-

tima d e l l 'amore. Tale diverso indirizzo puo essere indi-

viduato gia a l l 'inizio dei due prologhi; infatti mentre

Fiammetta e alia ricerca di compassione, l'io-protagonista

del Corbaccio condanna 1'ingratitudine come segno di man-

canza di pieta e quindi e "cosa iniqua e a Dio dispiacevole

e gravissima a' discreti uomini" (2). Tale attacco e

o w i a m e n t e diretto a l l 7ingrata donna del cuore, mentre

l'umile trattato e segno tangibile di gratitudine per

"speziale grazia" da Dio, per intercessione della Vergine,

conceduta7 5 . Questa rabbia vendicativa segna almeno un

tentativo di rottura, anche se senza risultato di super-

amento, nei confronti della sofferenza amorosa che ha

prodotto la stasi masochistica di madonna.

Al di la quindi della polarizzazione sessuale sopra

menzionata, per cui Fiammetta si sente brutta, nonostante la


67

sua bellezza, e ritiene volubili i giovani, contrariamente

al Corbaccio in cui la brutta vedova si adorna e si crede

bella mentre sono le donne ad essere tacciate di volubilita

(cfr., n. 46), le due opere presentano una lunga serie di

punti comuni, alcuni semplici dettagli narrativi, altri

portatori di importanti implicazioni contenutistiche e for­

mal! . Tra i dettagli troviamo, la scelta della chiesa come

luogo deputato all'incontro degli amanti, topos letterario

che Boccaccio ha gia ampiamente usato nell'introduzione al

Filocolo e, in termini pagani, per l'incontro di Troiolo e

Criseida nel F i l o strato: e la visita, fantasticata da Fiam-

metta e messa invece in atto dallo spirito nel C o rbaccio.

che coglie l'amato in flagrante. La stessa presenza di un

marito che se non credulo e almeno incapace di comprendere

la condizione della propria moglie e tantomeno di reagire

costituisce un altro dettaglio narrative che, data la non

esatta assimilazione del comportamento dei due personaggi, e

foriero di ulteriori implicazioni narrative. Infatti mentre

il marito di Fiammetta rimane sempre all'oscuro del

tradimento della moglie, lo spirito del Corbaccio. quando in

vita, e in parte conscio della natura della moglie ma pecca

di accidia e cerca di rifarsi, una volta in Purgatorio, con

1'aiuto del discepolo. La somiglianza e quindi tra la c o n ­

dizione che rimane immutata per il personaggio dell'Elegia e

che e invece solo iniziale nello spirito.

Tale dislocazione narrativa, ancora piu evidente in


68

tutta u n /altra serie di temi comuni, permette di evidenziare

l'esistenza di un rapporto chiasmatico tra le due opere.

All'interno delle due narrative, entrambi raccontate in

prima persona76 ed entrambi trattanti il tema della

frustrazione d'amore, troviamo una serie di argomenti comuni

la cui collocazione all'interno dell 'opera rispettiva, li

pone in un rapporto chiasmatico emblematico. Tali argomenti

sono, seguendo lo sviluppo delle vicende dell'E l e g i a .

l'esperienza onirica del protagonista, l'enfasi posta sul

concetto di reciprocity nel rapporto d'amore e l'atto

suicida.

II sogno, che occupa solo due pagine del testo, fa da

introduzione alle vicende di Fiammetta, precede il suo

incontro con Panfilo ed ha una funzione premonitrice. In

esso e riassunta per sommi capi ed in termini allegorici la

vicenda di tutta 1'opera. Fiammetta non pronta a com-

prenderne il messaggio negativo, muove un'accusa a-

posteriori agli dei per 1 ' incomprensibile allegorismo

onirico. Nel Corbaccio invece il sogno costituisce i 4/5

dell'intera narrazione, non ha una funzione premonitrice ma

ripetitiva, il suo scopo e quello di rafforzare convinzioni

gia raggiunte dal protagonista. Collocati in posizione

opposta all'interno delle rispettive narrative i sogni hanno

anche una funzione diametralmente opposta da qui il chiasmo:

Elegia di madonna Fiammetta


69

SOGNO VICENDA
(premonizione) (incomprensione)

Corbaccio

VICENDA SOGNO
(comprensione)* (ripetizione)

*(limitata alle convinzioni del protagonista).

Al contrario il principio di reciprocity nel rapporto

d'amore appare, oltre i due terzi dell'E l e g i a . ad opera

della balia che nella sequenza delle sue apostrofi passa dal

moralismo delle prime pagine ad un piu concreto realismo

(cfr., n. 36). Nel Corbaccio invece tale principio anticipa

il sogno ed e opera di un io-pensiero. II procedimento

logico e identico in entrambe le narrazioni e cosi e la

terminologia usata (riporto qui la citazione d a l l ' E l egia.

gia presentata a p. 60, per la praticita del confronto che

ritengo elucidante):

II giovane, il quale tu ami, senza dubbio secondo


l'amorose leggi, come tu lui, te dee aroare; ma se
egli nol fa, fa male, ma niuna cosa a farlo il puo
costringere. Ciascheduno il beneficio della sua
liberta, come gli pare, pub usare. Se tu
fortemente ami lui tanto che di cio pene
intollerabile sostieni, egli di cio non t'ha
colpa, ne giustamente di lui ti puoi dolere: tu
stessa di cio ti se' principalissima cagione (p.
118) .

Mentre nel Corbaccio

Vorrai forse dire: "ella, conoscendo ch'io l'amo,


dovrebbe amar me; il che non facendo, m ' e di
questa noia cagione; e con questo mi ci mena e con
questo mi ci tiene". Questa n o n e ragione ch'abbia
alcun valore; forse che non le piaci tu: come vo'
tu che alcuno ami quello che non gli piace? Dunque
se tu ti se' messo ad amare persona a cui tu non
70

piaci, non 6, se mal te ne segue, la colpa della


persona amata: anzi e tua che sapesti m a l e eleg-
gere (21).

Fiammetta non ha compreso il sogno ne tanto meno vuol

seguire il consiglio della balia; il protagonista del

Corbaccio invece comprende il messaggio ma solo

temporaneamente, il sogno gli fa scegliere di nuovo la via

della vendetta. Questo punto di svolta e sottolineato

dall'uso del termine "quasi" ("quasi dagli occhi della mente

ogni oscurita levatami" 47. Anche Fiammetta usa tale a w e r -

bio all'inizio del capitolo conclusivo ("0 picciolo mio

libretto, tratto quasi dalla sepoltura della tua donna", p.

157. In entrambi i casi, anch'essi locati in direzione

opposta nella narrazione, tale termine indica incompletezza

ed apertura discorsiva. In queste due ultime istanze il

rapporto chiasmatico risulta inverso a quello precedente:

Eleaia di madonna Fiammetta

VICENDA PRINCIPIO DI RECIPROCITA


(incomprensione) (quasi comprensione)

Corbaccio

PRINCIPIO DI RECIPROCITA VICENDA (SOGNO)


(quasi comprensione) (incomprensione)

Nella stessa relazione chiasmatica si trova il tema del

suicidio. Infatti nell'Elegia, nonostante che il desiderio

di morte sia ricorrente dopo il mancato ritorno di Panfilo,

di suicidio non si parla se non n e l l /ultima parte delle

vicende quando Fiammetta viene al corrente dell'amore di


71

Panfilo per un'altra donna. La comparsa di tale pensiero

autodistruttivo e l'eventuale dissuasione (solo temporanea

p er la tormentata Fiammetta) e descritta in termini pres-

soche identici nel Corbaccio dove pero ha luogo all'inizio

della narrazione. Cosi e narrato nell'Elegia il passaggio

dal desiderio di morte all'intento suicida:

Ecco, dunque, morro, e questa crudelta, volendo


l'aspre pene fuggire, si conviene usare a me in me
stessa, pero che niuna altra mano potrebbe si
essere crudele, che degnamente quella che io ho
meritata operasse. Prendero adunque senza indugio
la morte, la quale, ancora che oscurissima cosa
sia a pensare, piu graziosa l'aspetto che la
dolente vita (p. 122).

E cosi nel C o r b a c c i o :

[E]stimai che molto meno grave dovesse essere la


morte che cotal vita; e quella con sommo desiderio
cominciai a chiamare; e, dopo molto averla
chiamata, conoscendo io che essa, piii che altra
cosa crudele, piu fugge chi piu la desidera, meco
imaginai di costrignerla a tormi dal mondo(9)7 7 .

Mentre piu oltre Fiammetta racconta com e inizialmente fosse

stata dissuasa dal suo intento:

Gia era il pensiero fermo, ne altra cosa aspettava


che tempo, quando un freddo subito entrato per le
mie ossa, tutta mi fece tremare, il quale con seco
reco parole cosi dicenti (p. 123).

Con simili immagini l'io-protagonista del Corbaccio narra la

propria vicenda:

E gia del modo avendo deliberato, mi s o p r a w e n n e


una sudore freddo e una compassione di me stesso,
con una paura mescolata di n o n passare di malvagia
vita a peggiore...che quasi del tutto ruppe e
spezzo quello proponimento.. . [ma] ritornatomi alle
lacrime..., tanto in esse multiplicai che '1
desiderio della morte... ritorno un'altra volta;
ma..., in cosi fatta battaglia
d i m o r a n t e , .. . s o p r a w e n n e un pensiero, il quale
72

cosi nella afflitta me n t e m e c o c o m i n c i b assai


pietosamente a ragionare (10-12).

Alla somiglianza retorica (entrambe le apostrofi hanno

un'alta densita di pronomi ed aggettivi p e r s o n a l i e posses-

sivi di seconda persona singolare) si c o ntrappone la dif-

ferenza nel messaggio; per Fiammetta vive r e significa rin-

novare la speranza nel ritorno di Panfilo, il quale "se pure

da pieta non fia vinto, v i v e n d o tu, allora di m o r i r e piu

licito ti sara" (p. 124); p e r 1 ' io-pensiero invece un'atto

di reciprocity p e r cui "come costei, contra te malvagiamente

operando, s'ingegna di darti dolente v ita e cag i o n e di

desiderare la morte, cosi tu, vivendo, trista la fa' della

vita tua" (p. 46). Entrambe le conclusioni sono introdotte

dall'esortazione "Vivi adungue", ma m e ntre p e r Fiammetta

vivere significa perpetuare il pr o p r i o amore e quindi il

dolore, per 1'io-protagonista nel Corbaccio significa

"quasi" comprendere e superare la propria condizione di sof-

ferenza per poi ricadere nella tensione emotiva della

vendetta. In questa direzione e importante sottolineare

come nell'Elegia l'idea di suicidio permanga ed anzi Fiam­

metta cerchi di metterla in atto. L #essere salvata dalla

servitu non apporta nessun c a mbiamento alle sue scelte (cosi

come nel caso anche del C o r b a c c i o ^ , e signifi c a t i v o e il

fatto ch e l'esortazione alia vita, prima indirizzata a se

stessa, e ora, p e r un p r o cesso di identificazione eterniz-

zante, indirizzata al "picciol suo libretto";

Vivi adunque: nullo ti puo di questo privare; ed


73

essemplo e t e m o a ' felici e a' miseri dimora delle


angoscie della tua donna (p. 159).

Per concludere ritengo di poter plausibilmente

affermare l'esistenza di un consistente rapporto sia con-

tenutistico che formale tra 1'Elegia di madonna Fiammetta ed

il Corbaccio. Un rapporto la cui peculiarity chiasmatica

sottolinea da un lato la continuity narrativa tra le due

opere una volta letto il chiasmo linearmente (vicenda/atto

di reciprocity — atto di reciprocita/vicenda); dall'altro,

leggendo il chiasmo nella sua forma incrociata, le polariz-

zazioni narrative tra le due opere. Ma continuity e

polarizzazione sono alio stesso tempo accomunate

dall'incapacity del rispettivo protagonista, prigioniero

della struttura chiusa ed autoriflettente del chiasmo, di

trovare un duraturo rimedio alia propria condizione di sof-

ferenza.
74

NOTE

1 A riguardo Dario Rastelli, in u n suo a r t i c o l o non piu

n u o v o ma utile ed interessante, "Le "fonti" autobiog r a f i c h e

n e l l 7Eleaia di m a d o n n a F i a m m e t t a " , H u m a n i t a s . 3 (1948), pp.

790-802, propone u n 7analisi complessiva delle di v e r s e

p o sizioni della critica dei precedenti centocinquanta anni.

Per fonti bibli o g r a f i c h e p i u recenti sull' a r g o m e n t o

autobiografico e s teso anche al resto d e l l 7opus bocca c c i a n o

sono da vedere Enz o Esposito, B o c c a c c i a n a : b i b l i ografia

delle edizioni e degli scritti critici (1 9 3 9 - 1 9 7 4 ^ ,

(Ravenna, Longo editore, 1975), ed i "bollettini

b i b l i o g r a f i c i " , nelle riviste Studi sul Boccaccio e Lettere

italiane dal 1974 ad oggi.

2 Annota z i o n e di Camillo Antona-Traversi n e l l a sua

traduzion e del testo di M. Landau, Giovanni B o c c a c c i o . sua

vita e sue opere (Napoli, 1881), p. 366.

3 Giuseppe Gigli, "Per 1 7interpretazione d e l l a Fiam­

m e t t a " . Giornale storico della Valdelsa, 21 (1913), p. 68.

L 7interpretazione del Gigli e quanto m a i curiosa in quanto

n on solo da per scontata 1 7identificazione Fiammetta/Maria,

ma, convinto della fama di frivolezza che Maria doveva avere

a corte, ritiene che la v e n detta consista pro p r i o nel

r idicolizzare la d o n n a rappresentando Fiammetta "come spec-

chio di amorosa a b n e g a z i o n e " . II Gigli poi continua: "[I]l


75

tentato suo [Fiammetta/Maria] suicidio dovette produrre la

piu grande ilarit^ tra i lettori contemporanei del romanzo"

(p. 68) in quanto Maria, cosi desiderosa di svaghi e

spensierata non avrebbe mai potuto pensare di suicidarsi per

chi "aveva abbandonato e forse dimenticato" (p. 68). II

Gigli ha certamente avuto una buona dose di fantasia degna

di uno scrittore piu che di un critico; ma l'aspetto piu

inverosimile delle sue affermazioni mi sembra essere il dare

per scontato cosi tanti elementi che in realta non lo sono.

Vorrei inoltre sottolineare u n /altro punto ironicamente

interessante: l'idea di vendetta, data dal Gigli a

motivazione dell'opera, risulta un punto centrale nella

tematica del Corbaccio (cfr., cap. III).

4 Questo giudizio di modernita, fatto risalire

all'ambiente romantico del secolo scorso ed in particolare

all'Estetica di Hegel, venne poi ripreso in un ambito

storicista dal De Sanctis. Per quanto riguarda le varie

posizioni critiche a riguardo del concetto di modernita

nell'Elegia di madonna Fiammetta almeno fino alia fine degli

anni quaranta vedi Dario Rastelli, "La modernita della Fiam­

m e t t a 11. C onvivium. n.s. 1 (1947), p. 703-15.

5 Vedi a questo riguardo Salvatore Battaglia, "II

significato della Fiammetta" . in (op. cit., 1965), pp. 659-

68; oltre agli altri articoli piu generali sull'argomento,

sempre nella stessa opera, "La tradizione di Ovidio nel

Medioevo" (pp. 23-56), e "Elementi autobiografici nell'arte


76

di Boccaccio" (pp. 609-24). Da vedere sono inoltre Angelo

Monteverdi, "Ovidio nel M e d i o e v o " , Atti d e l l 'Accademia

nazionale dei L i n c e i . CCCLIV, vol. 5, fasc. 12, pp. 617-708;

Aldo Scaglione (op. cit., 1963), il quale scrive: "Recent

scholarship has justly insisted on the classical inspiration

of this work, which, far from being a story in reverse of

the author's personal adventures with Maria d'Aquino, as

Crescini too successfully put it, was intended as a tragedy

in competition with the great pagan classics, a work, there­

fore, 'exemplary' in the rhetorical sense" (p. 95).

6 Per gli studi sulle fonti classiche sono da vedere:

V. Crescini, Contributo aali studi sul Boccaccio (Torino

1887), pp. 160 s e g . ; A. S. Cook, "Boccaccio: F i a m m e t t a .

chap.l, and Seneca: Hippolvtus. act.l", American Journal of

Philology. XXVIII (1907), pp. 200 seg.; M. Serafini, "Le

tragedie di Seneca nella Fiammetta di Giovanni Boccaccio",

G.S.L.I., XXVI (1949), pp. 95-105; Coulter Cornelia Catlin,

"Statius S i l v a e . V, 4 and Fiammetta's Prayer to Sleep",

American Journal of Philology. LXXX (1959), pp. 390-5.

Per il problema delle fonti in generale vedi Dario Rastelli,

"Le fonti letterarie del Boccaccio nell'Elegia di madonna

Fiammetta" . Saggi di umanesimo c r istiano. 3 (1951), pp. 83-

98. Per la presenza di Dante nel Boccaccio vedi Giorgio

Padoan, "II Boccaccio fedele di Dante", in X I Bocc a c c i o , le

M u s e , il Parnaso e l'Arno. (Firenze: Olschki Editore, 1978),

pp. 229-246; mentre per i dantismi nell'Elegia di madonna


77

Fia m m e t t a vedi Carlo Delcorno, "Note sui dantismi

n e l l 7Elegia di mad o n n a Fiammetta" . Studi sul B o c c a c c i o , XI

(1979), pp. 251-94.

7 Vedi a questo proposito V i t t o r e Branca (op. c i t . ,

1956), pp. 201-7 (le pagine sono ripo r t a t e d e l l'edizione del

1986) ; e dello stesso autore B o c c a c c i o : T h e Man and His Wor k

(New York: N e w York University Press, 1976), pp. 67-8.

8 A questo proposito non p o teva n o n m a n c a r e un

tentativo, tra l'altro non b r i l l a n t e m e n t e riuscito, di

freudianamente analizzare le m o t i v a z i o n i del Boccaccio nella

composizione dell'opera. Vedi Clorinda Donato, "Nota su

l'E l e o i a di m a d o n n a Fiammetta e la p o s s i b i l i t y di una

t r i p l i c e analisi psicoanalitica: autore, personaggio, pub-

blico", Carte i t a l i a n e : A Journal of Ita l i a n Studies (1980) ,

pp. 29-38. La Donato nel suo articolo, m e n t r e sottolinea

l'esistenza dei personaggi come p r o i e z i o n i delle fantasie

d e l l 7autore, n o n accenna ad un quesito quanto m a i inter-

e s s ante del p e rche Boccaccio usi un p e r s o n a g g i o femminile e

non masc h i l e p e r esprimere la propria f r u s t razione amorosa,

q u a n d o era topos letterario piangere l 7a b b a n d o n o o il

r i f iuto della donna amata? Io aveva gia am p i a m e n t e fatto

T r o i o l o nel F i l o s t r a t o .

8 A questo proposito Raffaello Ramat, "Boccaccio 1340-

1344", Belfagor, 19 (1964), pp. 167-74, a fferma come F i a m ­

m e t t a sia simbolo di u n doloroso p r o c e s s o irrazionale con-

t r a r i o alia razionale naturalita amorosa. " L 7inversione del


78

carattere tradizionale d ' a m o r e [i.e. cortese] diventa

inversione di tutti i valori c h e gli si accompagnano" (p.

171), m e n t r e "[l]a c o r r uzione dell'amore e simbolo e sintesi

della corruzione generale d e l vivere umano, de l l a citta

divenuta disarmonica ed irrazionale" (p. 173). Fiammetta

appare c o s i vittima di una d i s t o r s i o n e sociale, "e il p e r ­

sonaggio poetico d e l l a d i s a r m o n i a etica e civile" (p. 174)

c ontrapposta a l l 'innocente e q u i l i b r i o del mondo agreste.

Al concetto di m o dernita come uman e s i m o presente

n e l l 'ope r a fa ampio r i ferimento Mario Marti, "L'Eleaia di

madonna F i a m m e t t a : alle r a dici dell'umanesimo del Boccac­

cio", in D a n t e . B o c c a c c i o . L e o pardi studi (Liguori, 1980),

quando s c r i v e che: "La F i a m m e t t a ... p u r senza essere strap-

pata al i a medievale t r a d izione ovidiana, piu adeguatamente

sarebbe d a inserire, per la n o vita degli atteggiamenti

ideologici e psicologici, p e r la spinta ad un esaltante

a ffrancamento della liberta e dell'autonomia della inte-

riorita umana, entro il q u a d r o assai p i u affascinante ed

a r t i cola t o del primo, grande, impegnato Umanesimo

fiorentino, italiano, europeo" (p.195).

Di modernita in una d i r e z i o n e p i u testuale e stilistica

con un acc e n n o ad u n a influenza petrarchesca, dat e permet-

tendo, t r a t t a anche Carlo M u s c e t t a (op. cit., 1972), pp.

120-40.

10 W a l t e r Pabst, Venus a l s Heiliae und Furie in B o c c a c -

cios Fiam m e t ta-Dichtunq (Krefeld, 1958) .


79

11 Robert Hollander (op. cit., 1977), pp. 40-9 e pp.

160-74.

12 Janet Levarie Smarr (op. cit., 1986), p. 141.

13 Non intendo qui negare l'esistenza nella narrazione

di riferimenti indiretti a situazioni ed eventi propri della

vita di Boccaccio ma non ritengo che 1'opera sia su di essi

interamente strutturata, fatto tra l'altro impossibile da

dimostrare oggettivamente.

14 Per tutte le citazioni da questa opera faccio

riferimento, data la non ancora a w e n u t a pubblicazione

(almeno fino alia data di questo mio scritto) della tanto

attesa versione dell'opera curata da Vittore Branca, a

Giovanni Boccaccio, Eleaia di madonna F iammetta. a cura di

Carlo Salinari e Natalino Sapegno (Torino: Einaudi, 1976).

15 Cito da Dante Alighieri, La Vita n u o v a . acd.

Domenico De Robertis, in Opere minori (Milano: Ricciardi,

1979), vol. I, pt. 1, p. 219.

16 Per una esauriente analisi e per informazioni

bibliografiche su questa frase e sulla generale presenza di

Dante nell'Eleaia vedi Carlo Delcorno, op. cit. (cfr. n.5).

Per una interpretazione che contrappone le due opere sul

concetto d'amore vedi Rodolfo Renier, La "Vita N u o v a " e la

"Fiammetta" (Torino: Loescher, 1879).

17 "Onde, con cio sia cosa che quando li miseri veg-

giono di loro compassione altrui, pitx tosto si m uovono a

lagrimare, quasi come di essi avendo pietade..." (XXXV, 3).


80

18 su questo punto mi trovo in disaccordo con la

posizione di Dario Rastelli che nell'articolo "Boccaccio

retore nel proloqo della Fiammetta" . Saaai di umanesimo

cristiano, 2, n.3 (1947), proprio a riguardo di questa frase

iniziale scrive: "L'elocuzione (lessico e sintassi) e let-

terariamente studiata e tanta sostenutezza di discorso

appare sproporzionata alia semplicita del concetto: che

cioe, la compassione altrui accresce la vaghezza di dolersi

nei m i s e r i . ...[I]1 tono della frase e perentorio e troppo

fermo perche vi si noti un'eco di lagrime" (p. 12). Ma

certamente la solennita data da Boccaccio al concetto di

compassione non e mai abbastanza, basti vedere 1 /importanza

che essa assume nell'intera opera del D e c a m e r o n . Ritengo

inoltre che "l'immediatezza emotiva" che secondo il Rastelli

manca in queste pagine, sia piu il prodotto della

sensibilita moderna che medioevale.

19 Di analogia strutturale oltre che tematica tra i

proemi d e l l /Eleqia di madonna Fiammetta e del D e c a m e r o n .

tratta Vittore Branca nell'edizione da lui curata di,

Giovanni Boccaccio, Decameron (Torino: Einaudi, 1984) , il

quale scrive che "v'e un ribaltamento psicologico ed espres-

sivo analogo a quello che campeggia nelle quartine del

sonetto introduttivo alle rime del Petrarca:

dall'impersonale appello sentenziale d'inizio attraverso una

serie di disgiuntive e concessive il B. punta ad un capovol-

gimento con il finale mutamento del soggetto a sorpresa


81

("Umana cosa e... io sono uno di quegli")", n. 2, p. 5. Piu

oltre Branca presenta piu dettagliatamente la propria

tesi enfatizzandone l /aspetto morale e la tensione

trascendentale: "V'e analogia strutturale e funzionale fra

l'inizio di questo proemio e l /attacco del sonetto proemiale

del Petrarca: e l 7analogia continua lungo tutti e due i

t e s t i . ... Quel rovesciamento e scoperto nel suo valore nuovo

e dinamico dalla divaricazione che si opera tra i due

estremi (e che era gia stata sperimentata nel Secretum e

nell'Elegia di Fiammetta): divaricazione insieme temporale e

morale che oppone il «giovanile errore» (Petrarca) o la

«giovanezza» (B.) e le sue «vane speranze» (Petrarca) o i

suoi «soverchi fuochi» (B.) alia maturita della coscienza

che li sente ormai come un «vaneggiar» (Petrarca), come

«cose mondane» che «tutte» hanno «fine» (B.), il cui

«frutto» e «vergogna» (Petrarca), «vergogna evidente» (B.)"

(p. 10, n. 1). Ulteriori informazioni bibliografiche sono

nella stessa nota. Tutte le citazioni dal Decameron in

questo capitolo ed in quelli seguenti sono tratte da

Giovanni Boccaccio, Decameron, acd. Vittore Branca, (Torino:

Einaudi, 1984) .

20 La soluzione trascendentale di Dante offerta nella

Commedia esula da questo contesto immanente in cui

1 'Alighieri si colloca quando narra la vicenda, sopra men-

zionata, della donna pietosa.

21 In questa direzione 1'Eleaia si pone come antitetica


82

al Corbaccio. opera dedicata solamente agli uomini (cfr.,

A p p e n .).

22 Gran parte della critica che ha sottolineato la

modernita d e l l E l e g i a e ne ha in parte accentuato lo

psicologismo, ha considerato queste parole programmatiche di

Fiammetta come il perno della propria interpretazione, che

per alcuni si e spinta a definire 1'opera come addirittura

precorritrice del moderno romanzo psicologico da parte fem-

minile, nel campo della letteratura medievale. Io ritengo

invece, come gia accennato nel testo, che la novita tematica

d e l l 'Elegia sia piu modestamente da porre all'interno

dell'opus boccacciano, in cui 1'opera costituirebbe un

momento di crisi e sviluppo ideologico. Solo in questa

prospettiva ritengo possibile parlare di realismo o

umanesimo d e l l ' Elegia di madonna Fiammetta. Da sot-

tolineare, tra l'altro, che l'aggettivo "amorose" ha come

sostantivo implicito "favole" e/o "battaglie", siamo quindi

del tutto all'interno di un topos letterario medioevale.

23 Al concetto di utilita della narrazione Fiammetta

fara ben piu palese accenno, come analizzero p i u oltre, nel

congedo dell'opera quando si riferisce alle donne che hanno

felici amori o non amano ma si accingono a farlo.

24 Questa circolarita viziosa ci riconduce alia

sensibilita petrarchesca dei Fragmenta sottolineata da V i t ­

tore Branca ed a cui accenna anche Carlo Muscetta, il quale

scrive: HE d'altra parte le analisi delle angosce fisiche


83

della passione e dei movimenti p s i c o logici.... offrivano

schemi non inconciliabili col maggior elegiaco del Trecento:

il Petrarca piix sensuale, favoleggiante e notturno" (op.

cit., 1972, p. 138). Sono conscio del fatto che usando la

definizione "sensibilita petrarchesca" nei confronti

dell'Elegia di madonna Fiammetta si incorre in problemi di

carattere cronologico tutt'oggi non ancora risolti

definitivamente, come afferma lo stesso Muscetta che scrive:

"Le rilevate concordanze con la «memoria innamorata» del

Canzoniere c'inducono a riproporre il rapporto dare-avere

tra i due scrittori o a formulare il quesito di una

datazione diversa dell'opera" (ibidem, p. 138). Rimanendo

aperto il quesito uso il termine semplicemente come

definizione critica, mentre accarezzo l'idea che 1 'Elegia

abbia potuto influenzare il capolavoro petrarchesco.

25 Lo stesso giudizio, espresso in modo piu articolato,

lo troviamo in bocca a Pampinea quando n e l l 'introduzione

alia novella di Alatiel afferma: "[a voi donne] mi piace di

raccontarvi quanto sventuratamente fosse bella una saracina,

alia quale in forse quatro anni a w e n n e per la sua bellezza

di fare nuove nozze da nove volte" (II, 7, 7). Nella nota

corrispettiva (op. cit.,p. 226, n. 5) Vittore Branca sot-

tolinea come gia nel Filocolo (per e s . : III, 49) e nel

Teseida (VII, 89-99; X, 71) Boccaccio avesse accennato a

ta l e tema e come potesse averlo ripreso dai "cantari".

26 per essere precisi qui Fiammetta afferma di amare il


84

marito e di esserne contraccambiata (p. 5). In realta lei

sta parlando di due tipi di amore le cui implicazioni

saranno analizzate piu oltre con la comparsa del personaggio

della balia.

27 Anche per quanto riguarda la veridicita o no dei

sogni troviamo una conclusiva risposta nel Decameron

attraverso le parole di Panfilo, il quale afferma che: "nel

virtuosamente vivere e operare di niuno contrario sogno a

cio si dee temere ne per quello lasciare i buoni

proponimenti: nelle cose perverse e malvage, quantunque i

sogni a quelle paiano favorevoli...niuno se ne vuol credere;

e cosi nel contrario a tutti dar piena fede" (op. cit., IV,

6, 7).

28 Tale mentalita risulta propria degli eroi e delle

eroine d 7Amore della tradizione medievale che hanno dovuto

confrontare i propri sentimenti, in molti casi adulterini,

con la condanna ecclesiastica d e l l 7amore extra-coniugale in

particolare e della sessualita in generale. Esempio clas-

sico di questa tradizione e la Francesca dantesca che nel

canto quinto dell *Inferno anaforicamente accusa Amore del

suo innamoramento con Paolo e della loro comune morte (V,

99-107). Questa stessa idea fatta propria da Fiammetta

verra fortemente criticata dal principio di realta che

sostiene l'argomentazione d e l l 7io-pensiero nel Corbaccio.

29 Questo e un topos che, come abbiamo gia analizzato,

dal Filocolo in poi risulta ricorrente nella narrativa del


85

Boccaccio.

30 L'ammirazione provata in chiesa dagli astanti

all'entrata di Fiammetta e da lei paragonata a l l /apparizione

di Venere o Minerva. Trovo interessante 1 'accoppiamento di

queste dee dalla diversa bellezza, una simbolo dell'amore

sessuale, 1'altra della castita come virtu muliebre.

L'assenza della terza dea partecipante al giudizio di

Paride, Giunone, e stata interpretata da Janet Smarr (op.

cit., 1986), p. 144, come un accento posto da Boccaccio

sulla qualita adulterina dell'amore di Fiammetta, essendo

Giunone dea del matrimonio.

31 Ha inizio in queste pagine quella battaglia interi-

ore di pensieri ed emozioni che ha portato parte della

critica a considerare 1 'Eleaia di madonna Fiammetta come il

primo romanzo psicologico.

32in riferimento al concetto di appetito come desiderio

sessuale e possibile fare un parallelo tra 1 'Eleaia ed il

Corbaccio. In entrambi i protagonisti sono presenti il

desiderio di morte ed un pensiero suicida, ma mentre Fiam­

metta rimarra immobilizzata in questa fase, il protagonista

del Corbaccio sara in grado di superaria trasformandola in

desiderio di vendetta che pero non lo liberera dalla

frustrazione d'amore (cfr., Appen.).

33 per una analisi dettagliata della presenza di Andrea

Cappellano nell'Eleaia di madonna Fiammetta vedi Carlo Del-

corno (op. cit., n. 15, p. 255). Anche 1'impossibility di


86

Fiammetta di essere innammorata del proprio marito e da

ricondurre all'affermazione di Cappellano secondo cui

1'amore non pub esistere all'interno del contratto

matrimoniale in quanto: "Quid enim aliud est amor nisi

immoderata et furtivi et latentis amplexus concupiscibiliter

percipiendi ambitio? Sed quis esse possit, quaeso, inter

coniugatos furtivus amplexus, quum ipsi se adinvicem pos-

sidere dicantur et cuncta sine contradictionis timore suae

voluntatis desideria vicissim valeant adimplere?" (De A m o r e .

libro I, cap. 6, G, 368).

34 Qui troviamo una somiglianza letterale alia con-

dizione di "noia" in cui si trovano le "vaghe donne" a cui

Boccaccio dedica il Decameron. le quali: "il piu del tempo

nel piccolo circuito delle loro camere racchiuse dimorano e

quasi oziose sentendosi, volendo e non volendo in una

m edesima ora, seco rivolgendo diversi p e n s i e r i . ...E se per

quegli alcuna malinconia, mossa da focoso disio, s o p r a w i e n e

nelle loro menti, in quelle conviene che con grave noia si

dimori..." (Pr. 10-1).

35 e stata ampliamente dimostrata la letterarieta del

personaggio della balia nell'Eleaia ed in particolare

l'ampio contributo della Fedra di Seneca a questa

esortazione della nutrice (cfr., n. 5).

36 A fianco dell'esteso ed ampiamente analizzato debito

testuale che la balia di Fiammetta ha nei confronti della

nutrice nella Fedra di Seneca, possiamo individuare una


87

serie di sostanziali differenze di questo personaggio nelle

due opere. Nella Fedra la nutrice diviene il "deus e x

machina" della vicenda imponendosi nei confronti di u n a

Fedra invasa dai sentimenti d ' a m o r e e di colpa. Ella

infatti, nella sua prima apostrofe, accusa la padrona di

avere dei desideri peccaminosi; m a subito dopo cerca di con-

vincere Ippolito, con la minac c i a che anch'egli stia pec-

cando contro Vene r e e la natura, ad accettare 1'amore di

Fedra. Una vo l t a che il giovane h a sdegnosamente rigettato

1 ' amore della regina, ora non p i u segreto, la nutrice,

approfittando dello svenimento d e l l a padrona, organizza il

piano che, davanti al re Teseo, accusera Ippolito di stupro.

Cio fara p r ecipitare la situazione causando l'uccisione del

g iovane ed il suicidio della regina. La balia di Fiammetta

non acquista mai tanto potere, m a rimane al lato d e l l a

padrona confortandola e consigliandola, all'inizio in

termini m o ralistici ed in seguito sempre piu pragmatici. La

novita di tale personaggio rispetto alia tradizione risiede

proprio in questo realismo p r a t i c o da "occhio per occhio,

dente per d e n t e " , mentre il coinvolgimento emotivo nella

vi c enda e tale da far si che ella divenga compartecipe dei

progetti d'azione di Fiammetta (i.e. il viaggio) e c h e la

sua saggezza venga meno nell' e r r o r e di omonimia che ella

commettera.

3 7 a questo riguardo la n u t r i c e adotta una dup l i c e

interpretazione dell'amore: uno, ciprigno e folle, abitatore


88

d egli alti palazzi, l'altro, citereo e sano atto al neces-

sario procreamento, abitatore delle case umili. Questo con­

cetto di un amore "in bono et in malo", ripreso sempre dalla

Fedra di Seneca (w. 208-16), viene poi abbandonato dalla

nutrice che diviene sempre piu premurosa nel tentativo di

trovare una pratica soluzione alle sofferenze della sua

padrona. Lo stesso concetto e stato considerato

fondamentale dalle interpretazioni morali dell'Eleaia fatte

da Robert Hollander (op. cit., 1977) e da Janet Smarr (op.

c i t . , 1986).

L'idea dell'amore come abitatore principalmente delle

case nobili e ricche viene capovolta nel Decameron da Emilia

che afferma: "[Q ]uantunque Amor volentieri le case de'

nobili uomini abiti, esso percio non rifiuta lo 'mperio di

quelle de' poveri, anzi in quelle si alcuna volta le sue

forze dimostra, che come potentissimo signore da' p i u ricchi

si fa temere" (IV, 7, 4) . Decisamente questo Amore non e

quel sano atto procreativo a cui accenna la nutrice

n e l l ' Eleaia.

38 QU esta affermazione di Fiammetta ha una tradizione

illustre. La pronuncia Medea nelle Metamorfosi di Ovidio:

"video meliora proboque,/ deteriora sequo" (libro VII, w .

20-1) ,* ed e ripetuta da Fedra nella Fedra di Seneca: "Quae

memoras scio/ vera esse, nutrix; sed furor cogit sequi/

peiora" (w. 178-80) . La stessa frase e poi ripresa da

Petrarca nei Fraomenta al termine della canzone CCLXIV: "e


89

veggio '1 meglio et al peggior m'appiglio" (v. 136). Questa

frase, come vedremo in seguito presenta delle implicazioni

di carattere temporale che si confanno alia scelta fatta da

Fiammetta, scelta che verra da lei, piu oltre nella nar-

razione, chiaramente espressa.

39 Trovo tra l'altro interessante che Venere ad un

certo punto del suo monologo utilizzi il concetto di mag-

gioranza sociale per negare la sconvenienza dell'essere

innamorati. 11[E] ricordati che niuna cosa fatta da tanti,

meritamentente si puo dire sconcia" (p. 23). Questa

affermazione di democraticismo etico e indubbiamente un

preannuncio delle pagine piu salaci del D ecameron.

40 La segretezza e determinata dal fatto che, come

Fiammetta stessa afferma, "rade volte, o non mai, fu ad

amore palese conceduto felice fine" (p. 25), (cfr. Cappel-

lano, op. cit., libro II, I, 1). Interessante e pero con-

statare che lei in realta divulga la propria storia d'amore

scrivendola, anche se le "verissime" cose scritte sono dis-

poste "sotto si fatto ordine... che, eccetto colui che cosi

come [lei] le sa essendo di tutte cagione, niuno altro, per

quantunque avesse acuto 1'a w e d i m e n t o , potrebbe chi [lei si]

fosse conoscere" (p. 25), e che il suo amore non ha una

felice fine, anzi non ha affatto una fine in quanto non

ricercata.

41 Questo concetto e ripreso e teoricamente espresso


90

nella Genealoqia deorum gentilium in cui Boccaccio,

esponendo sinteticamente la concezione medioevale

dell'allegoria, scrive: "Huius enim fervoris sunt sublimes

effectus, ut - puta - mentem in desiderium dicendi com-

pellere, peregrinas et inauditas inventiones excogitare,

meditatas ordine certo componere, ornare compositum

inusitato quodam verborum atque sententiarum contextu,

velamento fabuloso atque decenti veritatem contegere" (Libro

XIV, cap. 7) . Lo stesso concetto e ripreso nel Trattatello

in laude di Dante in cui Boccaccio scrive: "La verita piana,

per cio ch'e tosto compresa, con picciole forze diletta e

passa nella memoria. Adunque, accio che con fatica

acquistata fosse piu grata e percio meglio si conservasse,

li poeti sotto cose molto ad essa contrarie apparenti, la

nascosero; e percio favole fecero, piu che altro coperte,

perche la bellezza attraesse coloro li quali ne le

dimostrazioni filosofiche, ne le persuasioni avevano potuto

a se tirare" da (Giovanni Boccaccio, Ooere minori in v o l -

gare, a cura di Mario Marti, Milano: Rizzoli, 1972), p. 361.

42 Fiammetta afferma qui di aver messo al corrente

della sua relazione una familiarissima serva di provata

fede. Questa serva non coincide con la sua balia, quindi le

persone al corrente non sono una ma due.

43 Addirittura, sempre secondo le regole di Andea Cap-

pellano, la segretezza del sentimento diventa una condizione

"sine qua non" d e l l /amore (op. cit., libro I, V, G, 368).


91

44 Questo uso ricreativo delle narrazioni ci riporta al

Decameron ed alia dedica alle donne sofferenti d'amore (Pr.

14), ma a differenza del Decameron dove le novelle hanno lo

scopo di offrire 1 'utile ed il dilettevole alio stesso

tempo, nell'Elegia lo scopo e esclusivamente ricreativo

("con meno noia il tempo passava" p. 50). Manca cosi

nell'opera un deciso riferimento all'esistenza di un utile

messaggio nelle narrazioni e conseguentemente manca un

chiaro accento alia necessita di convenientemente com-

prenderlo.

45 Come gia sottolineato nella nota 38 Fiammetta pre-

senta certi tratti di somiglianza con Medea, sia nella ver-

sione ovidiana delle Metamorfosi che in quella senechiana

della M e d e a . In questa circostanza Fiammetta come Medea

(M e t . . libro VII, w . 207-8; Medea, w . 760-70) si rivolge

alia luna con l'intento di dominare il tempo ("...della

lentezza del corso di lei crucciandomi, con vari suoni,

seguendo gli antichi errori, aiutai i corsi di lei alia sua

ritondita pervenire", p. 49). Questo tentativo e in

realty la traslazione di un piu concreto e riuscito atto di

fermare il tempo attraverso la fama letteraria che vedremo

auspicato nel concedo dell'opera.

46 Presa dalla gelosia Fiammetta attacca la natura

fedifraga dei giovani ed afferma che; "[L]a loro volonta

vagabonda li tira a questo [ingannare le donne]; niuno n'e

che non volesse piuttosto ogni m e s e mutare dieci donne che


92

essere dieci di d'una" (p. 57). Lo stesso tema 6 ripreso

nel Decameron (I, 10; VIII, 7) a dlfesa dell'amore delle

persone mature nei confronti dei giovani; ed e invece

capovolto nel Corbaccio dove sono le donne ad avere una

"volonta v a g a bonds".

47 Vedi in proposito Cesare Segre, "Strutture e

registri nella Fiammetta11. in Le strutture e il tempo

(Torino: Einaudi, 1974), p. 87-115.

48 In realta la motivazione sociale a dover tener

segreto il proprio amore e molto piu sentita nell'Elegia,

come vedremo anche piu oltre, che nel De Amore di Cappellano

orientato piu verso il fenomeno amoroso in quanto tale che

verso le sue ripercussioni sociali.

49 Anche qui e presente l'eco di Cappellano quando sot-

tolinea 1'impossibility d /amare all'interno del vincolo

matrimoniale (libro I, V, G, 367-8). Sulla base di queste

convinzioni Fiammetta non percepisce l'eventuale matrimonio

di Panfilo come una minaccia alia propria relazione amorosa.

50 sul valore del termine "quasi" in questi personaggi

che soffrono d'amore vedi cap. Ill, p. 115..

51 Qui, per la prima volta si accenna all'idea che lei

si rechi da Panfilo, idea che si consolidera piu oltre nella

vicenda e diverra un solido progetto nella fantasia di Fia m ­

metta .

52 La facilita con cui Fiammetta convince il marito

della causa dei propri mali ha dello straordinario e sot-


93

tolinea, se non la totale ingenuita dell'uomo, almeno la

mancanza anche in lui della capacita di saper comprendere la

situazione. Questa immagine di coniuge potrebbe inoltre

essere legata all'interpretazione di Cappellano che esula i

coniugi dalla sfera delle emozioni amorose. Le premure del

coniuge tradito sono tra l'altro un'ulteriore ragione di

auto-fustigazione per Fiammetta.

53 Per una analisi comprensiva della malinconia come

fenomeno psicosomatico e sull'interpretazione medica che ne

veniva data nel medioevo vedi Massimo Ciavolella, La malat-

tia d 'amore d a l l 'Antichita al Medioevo (Roma: Bulzoni,

1976). Molto interessante anche la bibliografia a riguardo.

54 Fiammetta, conformemente alia scelta fatta, qui va

contro i pratici insegnamenti del Remedia Amoris in cui

Ovidio esortava all'azione ed alia rimembranza dei lati

negativi della relazione: "Saepe refer te c u m sceleratae

facta puellae,/Et pone ante oculos omnia damna tuos" (w.

299-300) . II tema della rimembranza ci riconduce di nuovo ad

instaurare un parallelo tra l'Elegia e le Rime di Petrarca.

55 piu oltre nell'Elegia Fiammetta, ripensando ai com-

menti che i giovani solevano fare sulla sua bellezza

ripropone, privo di ogni giudizio moralistico, il binomio

vergine-Polissena/ ciprigna-Venere, cosi come all'inizio

della narrazione aveva fatto riferimento a Minerva e Venere

(cfr., n. 30). Trovo interessante lo sviluppo di questa

condizione anfibologica, infatti mentre all'inizio della


94

narrazio n e la bellezza di madonna aveva p a rtecipato di una

natura divina sia sensuale (Venere) che casta (Minerva), a

questo punto invece tale duplicita diviene, al di la

dell'aspetto morale, ontologica. Q u indi la bellezza di

Fiammetta, anche se assoluta, e umana e casta (Polissena) o

divina e sensuale (Venere)? Probabilmente tutte e quattro le

possibil i t y assieme (casta e/o sensuale ma anche divina e/o

umana) p e r poter cosi sustanziare il crescente iperbolismo

retorico d e l 1'opera.

56 Nel Decameron questo completo fatalismo viene

ridimensionato a favore d e l l ' ingegno e della v i r t u umani che

se non possono c o ntrastare l'impeto della sorte possono pero

fare u so dell'esperienza e premunirsi contro ulteriori

tracolli. A questo tema e dedicata l'intera seconda

giornata.

57 Reiterato e qui il concetto d e l l 'amore come prodotto

della civilta umana e proprio delle classi abbienti e cit-

tadine, in contrapposizione alia selvatica libidine di

coloro che vivono o sono vissuti in stretto contatto con la

natura, in villa, alio stato ferino, in una mitica Arcadia

(cfr., n. 37). A prop o s i t o di questo tema e

dell'interpretazione che ne da Raff a e l l o Ramat rimando alia

nota 9 di questo capitolo.

58 La similarity tra la condizione di Fiammetta e

quella di ser/san Ciappelletto e quan t o mai evidente in

queste pagine in cui la narratrice afferma che "piu volte


95

ancora d a l l e sante p e r s o n a per santa fui visitata, non con-

oscendo e s s e quel che ne l l ' a n i m o nascondea il t r i s t o viso, e

quanto li m i e i desiderii fossero lontani alle m i e parole"

(p. 98). Similmente s e r Ciappelletto e, dopo la sua morte,

esposto in chiesa e dai fedeli borgognoni v e d u t o e visitato

e "in ta n t o crebbe la fama de l l a sua santita e d e v o z i o n e a

lui, che quasi niuno era che in a w e r s i t a fosse, c h e a altro

santo che a lui si botasse, e chiamaronlo e c h i a m a n o san

Ciappelletto; e affermano molti miracoli Idio ave r mostrati

per lui e m o s t r a r e tutto g i o r n o a chi d i v o t a m e n t e si rac-

comanda a lui" (I, 1, 88). Ma 1 'anfibologica co n d i z i o n e di

Fiammetta, di essere cioe narratrice e soggetto del narrato

alio stes s o tempo, e fonte di sensi di colpa e di

frustrazione (in caso c ontrario arriveremmo ad un arido

cinismo) c h e non t r o viamo nelle pagine del D e c a m e r o n .

Infatti madonna, nel tent a t i v o di oggettivare il proprio

c o m p o r t a m e n t o , inveisce c o ndannando l'intera umanita: "0

ingannevole mondo, q u a n t o p o s s o n o in te gl' i n f i n t i visi piu

che li g i u s t i animi, se l'opere sono occulte!" (p. 98). Ma

e proprio c i o che tormenta Fiammetta, cioe la possibility,

in quanto umani, di p o t e r impunemente me n t i r e e quindi

1 'accettazione della realta dell'apparenza, che sta alia

base del successo di ser Ciappelletto. E la s c i s s i o n e tra

narratore (Panfilo) e narrato (Ciappelletto) che nel

Decameron permette la r imozione d e l l 'imperativo e t i c o e il

recupero, senza conflitti, dell'apparenza come e l e m e n t o


96

strutturale dell'essere umani e quindi sociali. Per questo

motivo Panfilo, contrariamente a Fiammetta, pud senza con-

flittualita interiore accettare tale condizione ed affermare

nell'introduzione alia novella che " a w i e n forse tal volta

che, da oppinione ingannati, tale dinanzi alia sua [di Dio]

maesta facciamo procuratore che da quella con eterno essilio

e iscacciato11 (I, 1, 5) ; e concludere che "secondo quello

che ne puo apparire ragiono, e dico costui piu tosto dovere

essere nelle mani del diavolo in perdizione che in Paradiso"

(I, 1, 89).

59 Quest'ultima espressione della balia la ritroveremo

nella sua forma piu nota del proverbio: "Come l'asino da in

parete tal riceve", nel Corbaccio e per ben tre volte (molte

di piu se ci riferiamo al concetto e non all'esatta espres­

sione) nel Decameron. La saggezza smagata della nutrice ci

riconduce anche ad un personaggio simile nel D e cameron, la

serva Licisca, la quale assume lo stesso ruolo di principio

di realta, in maniera violenta verso lo sciocco servo

Tindaro, ed in maniera indiretta verso i giovani della

brigata (VI, Int.). Per quanto riguarda il ruolo di Licisca

sulla dinamica strutturale dell'intera opera vedi Teodolinda

Barolini, "The Wheel of the Decameron", Romance P hilology.

36 (1983), pp. 521-39.

60 II ragionamento della balia circa il modo di con-

trastare la fortuna a w e r s a diviene l'ideologia che carat-

terizza a riguardo il Decameron; questa posizione risulta


97

perb qui nell'Elegia ancora marginale in quanto Fiammetta,

come analizzato precedentemente, considera sd stessa com-

pletamente in balia della sorte.

61 Nel descrivere i contrastanti pensieri di Fiammetta

riguardo al suicidio, Boccaccio usa una situazione ed una

terminologia simili a quelle che usera nel Corbaccio per

descrivere il desiderio suicida del protagonista ed il con-

seguente monologo dell'io-pensiero. Nel caso di Fiammetta

non e pero un pensiero che interviene ma un brivido che "con

seco reco parole" (p. 123); il "brivido" ed il "pensiero"

concludono comunque con la stessa esortazione: "Vivi adun-

que" (p. 124).

62 Un primo accenno a questa idea di viaggio appare

quando Fiammetta, fantasticando di vendicarsi della supposta

nuova amante di Panfilo, immagina, assimilandosi ancora una

volta a Medea, di volare con i suoi carri alati al cospetto

dei due traditori e di procedere alia sua vendetta per-

cotendo la giovane rivale di fronte al perfido amante {p.

115). Anche in questa istanza 1 /Elegia presenta una

comunanza tematica con il C o r b a c c i o . Infatti lo spirito

visiterA la propria vedova e la trovera nelle braccia di un

amante, e, sempre lo spirito, spronera alia vendetta il

discepolo che deve vendicare entrambi dei supposti soprusi

ricevuti dalla donna (cfr., A p p e n . ).

63 Nella sua evoluzione come personaggio della vicenda

la nutrice e passata dal rigido moralismo iniziale, che


98

rigettava come peccaminoso e socialmente disonesto

1 ' innamoramento della giovane, alia decisione, date le gravi

condizioni psicofisiche in cui la padrona giace dopo il

tentato suicidio, di aiutarla a realizzare il desiderio di

rivedere l'amato. Janet Levarie Smarr interpreta questo

mutamento in termini allegorici come u n asservimento della

ragione all'istinto e conclude: "Reason may protest but is

impotent to redirect the will or to counterect the attrac­

tive power of lust. The irrationality of lust leads Fiam­

metta into total insanity" (op. cit. , 1986), p. 129-30.

64 In questo tentativo di utilizzare la magia in

questioni d'amore abbiamo una ulteriore assimilazione di

Fiammetta al personaggio di Medea, ed un riferimento alia

novella settima della ottava gionata del Deca m e r o n . in cui

la poco savia vedova, disperata per essere stata abbandonata

dal giovane amante, ricorre alle supposte arti negromantiche

dello scolare, cadendo nella trappola da lui tesale (VIII,

7, 48-60).

Mentre nei due casi, sopra menzionati, le arti

magiche sono viste come inefficaci (Fiammetta) o addirittura

inesistenti (scolare), all'interno della casistica

decameroniana si trovano situazioni in cui la magia e appli-

cata con successo (il Saladino fa tornare a casa messer

Torello "per arte magica", X,9, rub.) ed in particolare ad

una vicenda d 'amore in cui madonna Dianora pensa di potersi

liberare dai corteggiamenti di messer Ansaldo richiedendogli


99

come servizio un giardino fiorito di gennaio. L'abilita di

un negromante permette a messer Ansaldo di vincere, se non

il cuore, almeno il corpo dell'amata, e conseguenteraente,

rifiutato 1'amplesso, di dimostrare tutta la sua cortesia.

Questa novella ha un interessante precedente nel Filoc o l o .

nella quarta delle tredici questioni d /amore presentata da

Menedon. In tale racconto l'estesa descrizione delle arti

negromantiche di Tebano ha come sottotesto l'ovidiana pre-

sentazione di Medea nell'intento di resuscitare il vecchio

Esone, padre dell'amato Giasone (M e t amorphoses. VII, 179-

289). Abbiamo gia sottolineato (cfr., nn. 38, 45) come piu

volte Fiammetta si sia paragonata a Medea nel tentativo di

dominare il tempo, sia accelerandolo, quando in attesa del

ritorno di Panfilo, sia annullandolo, quando decide di

eternarsi nella fama della sua opera.

Per un'analisi dettagliata del raffronto con il testo

ovidiano vedere Filocolo. in Tutte le opere di Giovanni Boc­

caccio (op. cit., 1967), nn. 28-42, Libro IV, 31, pp. 860-

64. Per il rapporto tra le "quistioni" del Filocolo con le

corrispondenti novelle del Decameron vedi Pio Rajna,

"L'episodio delle questioni d'amore nel Filocolo del Boc­

caccio", R o m a n i a . XXXI (1902), pp. 28-81; C. Trabalza, Studi

sul B o c c a c c i o . (Citta di Castello, 1906), pp. 189 s e g . ; R.

Fornaciari, "Dal Filocolo al Decameron" . Miscellanea storica

della V a l d e l s a . XXI (1913); F. Mazzoni, "Una presunta fonte

del Boccaccio", Studi danteschi. XXIX (1950).


100

65 Questa v o l t a la balia, t r o p p o zelante nell'aiutare

la giovane, incappa nello stesso e r rore di credere all e

apparenze o a ci6 che si conosce solo per sentito dire.

66 Fiammetta insiste ca p a r b i a m e n t e a non trarre va n t a g -

gio dalle esperienze del passato, e mentre afferma: "lo

dovea contrappesare la fede del m i o amante tante volte a me

promessa... con le paro l e di c o l o r o li quali [il m e r cante

ed il servitore] senza alcuno sara m e n t o e non curantisi

d'avere piu investigato, di quello che essi parlavano, che

solamente il loro p r i m o e sup e r f i c i a l e parere" (p. 138),

scusa il proprio e r rore ("Gli amanti credono ogni cosa, pero

che amore e cosa sollecita e p i e n a di paura", p. 138), e vi

ricade credendo non ai propri occhi ma a quelli della

nutrice.

67 Sulla b a s e di questa somiglianza/supremazia che

Fiammetta vanta nei confront! di eroi ed eroine classic! a

riguardo della sofferenza amorosa e non, vorrei fare alcune

osservazioni circa il rapporto subtestuale, dalla critica

universalmente accettato, tra l'Elegia di madonna Fiammetta

e le Heroides di Ovidio. Rit e n g o infatti che, una volta

accettata l'indubbia subtestualita delle H e r o i d e s . sia pos-

sibile individuare interessanti differenze strutturali e

contenutistiche tra i due testi. Strutturalmente infatti

l 7opera ovidiana si presenta, in quan t o epistolare, come un

continuo flusso dialogico, priva di quei dubbi emotivi che

danno uno spessore ed una p r o b l e m a t i c a propria all'Eleqia;


101

la loro unitarieta temporale (sono infatti 1 imitate

all'azione dello scrivere cio che appartiene alia memoria)

le rende aristotelicamente tragiche, ma prive di quella

tumultuosa narrativa, sia interiore che esterna, che carat-

terizza 1 'Elecria. Contenutisticamente le epistole delle

eroine ovidiane sembrano piu un'opportunity per l'autore di

descrivere la storia mitologica dei due interlocutori piu

che un loro intimo dialogo.

68 II tentativo di creare una struttura circolare

all'interno della 1inearita narrativa, come tentativo di

ingannare la progressivita temporale d e l l /opera e con-

temporaneamente sconfiggere ed esaltare il tempo acquistando

fama eterna dalla composizione d e l l 'opera, lo ritroviamo nei

Fracrmenta di Petrarca. Alla scelta di fama eterna fa anche

riferimento, sottolineandone il contesto immanente, Carlo

Muscetta che scrive; " [U]na esperienza [quella di Fiammetta]

che fa appello alia pieta, non al perdono; che si proietta

verso l'eternita della fama e del mondo, non del cielo e

della salvezza" (op. cit., p. 139)

69 Questo concetto d e l l 'arte pittorica come attivita

mimetica della realta capace solo di rappresentarla ma non

ricrearla, lo ritroviamo capovolto nel Decameron quando Pan­

filo n e l l 'introdurre il personaggio di Giotto dipintore

afferma che egli "ebbe uno ingegno di tanta eccellenzia, che

niuna cosa da la natura... che egli con lo stile e con la

penna o col pennello non dipignesse si simile a quella, che


102

non simile, anzi piu tosto d'essa paresse, in tanto che

molte volte nelle cose da lui fatte si truova che il visivo

senso degli uomini vi prese errore, quello credendo esser

vero che era dipinto" (VI, 5, 5-6). Interessante sot-

tolineare come nel caso di Giotto l'abilita artistica e tale

da ingannare le imperfette capacita sensoriali degli esseri

umani, mentre rimane invariato nelle due opere il concetto

di imperfettibilita mimica di tutte le arti. La con-

sapevolezza della distanza tra segno e realta permette a

Giotto di raggiungere un tale livello di capacita pittorica.

70 II chiasmo si presenta in questi termini: narrare

"verissimo"/ sentire — fuoco dipinto/ "vero" ardere. Tale

chiasmo presenta un'interessante indicazione per quanto

riguarda la vicenda di Fiammetta in quanto puo essere letto

non solo linearmente per esprimere la distanza tra il segno

e la realta ma anche nella forma incrociata che oppone ma

alio stesso tempo identifica con l'attributo "vero" la n a r ­

rativa di Fiammetta alia realta.

71 Interessante e l'uso d e l l ' a w e r b i o "quasi", per sot-

tolineare condizioni di incompletezza, che troviamo anche

nel Corbaccio con importanti implicazioni sulla vicenda del

protagonista dell'opera cosi come per Fiammetta nell'Eleoia

(cfr., Appen.).

72 A questo punto il processo di identificazione di

Fiammetta con il proprio testo si e completato.

L'esortazione "vivi adunque" precedentemente fatta dalla


103

narratrice a se stessa mentre premeditava il suicidio (cfr.,

n. 61) % ora rivolta alia propria opera. Fiammetta cessa

cosi di vivere il fittizio sdoppiamento di realta e

fantasia, e lascia che la realty fantastica della sua nar-

razione sia l'unica entita vera destinata a perpretare in

eterno la novella delle sofferenze di madonna.

73 A questo riguardo mi trovo d'accordo con

1'interpretazione di Carlo Muscetta secondo la quale Fiam­

metta rifiuta, piu o meno inconsciamente aggiungerei, la

problematica del peccato e la sostituisce con la disperata

speranza che nasce dall'eterna fedelta all'amore (op. cit.,

p. 137).

74 Potrebbe qui essere obbiettato che l'uso del plurale

maschile di tali sostantivi potrebbe far riferimento anche

alle donne (mi sembra comunque improbabile che un termine

come "uomini" anche se usato in senso generale possa

includere un pubblico femminile). Tale obbiezione andrebbe

comunque contro la costante attenzione che il Boccaccio pone

nell'indirizzare le sue opere; attenzione giustificata dalla

diversa fenomenologia dell'amore in rapporto al sesso della

persona innamorata. A questo proposito e da vedere il

proeraio del Decameron (9-12) e soprattutto la parte finale

dell'introduzione del Filocolo (I, 2) in cui l'autore si

indirizza prima ai giovani amanti affinche, constatando di

non essere i soli a soffrire, si consolino delle proprie

pene e sperino nel meritato guiderdone, e poi alle


104

g iovinette amorose affinche siano fedeli (cfr., cap. I, p.

11 ) .
75 II p r o e m i o del Decameron fornisce la sintesi di tale

argomento che ha come tesi la compassione e come antitesi

1 ' ingratitudine. Possiamo quindi individuare u n a continuity

argomentativa tra la ricerca di compassione n e l l ' E l e a i a .

1 ' ingratitudine come negazione della compassione nel

Corbaccio (ingratitudine da parte della donna amata e non

del prot a gonista che si proclama invece grato v e r s o Dio ed

il prossimo, ma, come vedremo, non compassi o n e v o l e v e r s o di

lei), ed infine nel Decameron l'offerta di c o m p a s s i o n e verso

le donne che, soffrono p e r amore, come e s p r e s s i o n e della

g ratitud i n e dell' a u t o r e verso coloro che al m o m e n t o

o pportuno si sono dimostrati nei suoi confronti pietosi.

76 Delle altre opere minori di Giovanni B o c c a c c i o solo

l'Amorosa V i s i o n e e narrata in prima persona e t r a t t a

1'argomento d e l l 'amore all'interno di una cornice onirica.

In questo senso e possibile a w i c i n a r e t ale opera alle due

qui prese in considerazione, se ne differenzia p e r o per

l'estremo a l legorismo e per la mancanza di c onflittualita

associata alia fenomenologia dell'amore. Se di conf l i t t o

possiamo par l a r e nell'Amorosa Vis i o n e esso e sol o nei c o n ­

fronti de l l a guida celeste non particolarmente v o l i t i v a

(cfr., cap. 1, p. 18-20).

77 E da sottolineare come in questi due e s t r a t t i anche

il rapporto tra il desiderio di m o r t e e la d e c i s i o n e di


105

suicidio risulti in rapporto chiasmatico: suic i d i o / m o r t e

(Elegia di madonna F i a m m e t t a ) ; mort e / s u i c i d i o ( C orbaccio).


106

Capitolo III

Il C orbaccio:

l'esempio negato.

Tra le opere in volgare di Giovanni Boccaccio il Cor­

baccio 1 ha sempre avuto secondo la tradizione critica una

posizione eccentrica, sia dal punto di vista cronologico che

tematico2 . Come un minuscolo Davide contro un gigantesco

Golia questo breve trattato, sia nella sua interpretazione

autobiografica che non, e stato generalmente considerato una

ritrattazione del Decameron; una revisione moralistica del

supposto libertinismo delle cento novelle3 . Questa

posizione non e stata messa in discussione neppure dalla

distanza cronologica e stilistica proposta da Giorgio Padoan

nel suo articolo sulla datazione del C orbaccio. La piu

tarda composizione dell'opera, approssimativamente 1363 o

1365, e la sua divergenza stilistica dal Decameron sareb-

bero, sempre secondo Padoan, generate da nuove convinzioni

culturali e morali del Boccaccio e quindi da un mutamento di

giudizio nei confronti delle opere giovanili4 .

Negli ultimi anni comunque un nuovo approccio critico

e venuto contrapponendosi a questa interpretazione. Esso in

essenza propone, mantenendo il rapporto di concomitanza o

continuity tra le due opere, un'interpretazione del Corbac-


107

cio non piu come un serioso trattato di misoginia ne come lo

sfogo iracondo di un Boccaccio ormai sulla via della

senilita, ma come un trattatello ironico5 che, come scrive

Robert Hollander in Boccaccio's Last F i c t i o n : II Corbaccio

(Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 1988), non

e "a work that is out of control, as many have thought. It

is a work about a man that is out of control" (p. 18).

Questa interpretazione si basa su tre presupposti. Primo,

la presenza di una distanza narrativa posta da Boccaccio tra

se ed il protagonista dell'opera con la conseguente

negazione di ogni forma di autobiografismo. Questa distanza

e realizzata a livello meta-narrativo attraverso la presenza

di cornici concentriche che identificano i diversi livelli

di dialogo e comprensione6 . Secondo presupposto e il

riferimento diretto o indiretto che 1 'opera fa ai testi

della tradizione misogina medioevale7 e quindi una ulteriore

negazione dell'autobiografismo. Terzo presupposto e l'uso

nei passi misogini di un linguaggio iperbolico, a volte

addirittura grottesco, che se da un lato ad una prima let-

tura genera risentimento od ilarita, dall'altro ci pone la

domanda circa la serieta di Boccaccio nei riguardi del con-

tenuto dell'opera.

Nella mia lettura del Corbaccio condivido questi

presupposti ma ritengo che sia possibile e necessario andare

oltre una interpretazione dell'opera solo in termini di

ironia, per arrivare ad individuare la presenza


108

preponderante nell'opera di una problematica della com-

prensione. In altre parole cio che intendo dimostrare e

come nel Corbaccio Boccaccio da un lato critichi, attraverso

la vicenda psicologico-intellettuale di un io-narratore, i

luoghi comuni d e l l 'ideologia filosofico-letteraria del suo

tempo: dalla dinamica dell'amore cortese alia trattatistica

misogina, dalla poesia onirica come rivelatrice di verita

trascendentali ai paradigmi della retorica scolastica ( in

questi passi si concentra la sua ironia)8 ; dall'altro lato

invece riproponga ai vari livelli delle cornici narrative la

problematica della comprensione. Comprendere "con-

venientemente1' la realta in cui si e immersi, nel nostro

caso una conflittuale vicenda d'amore, significa acquisire

gli strumenti intellettuali per agire coerentemente verso

una risoluzione positiva della conflittualita iniziale.

Sfortunatamente questo non sara il caso del protagonista del

Corbacci o .

Questa mia lettura del Corbaccio. esempio di non com­

prensione da parte dei due personaggi e di conseguente

insuccesso dell'opera sia nei confronti della predominante

motivazione proemiale (il vendicarsi come forma di

espiazione), che del profondo bisogno emotivo dell'io-

narratore (il disinnamorarsi), ripropone la questione della

collocazione dell'opera all'interno dell'opus boccacciano.

Vittima del disagio espresso dalla critica contemporanea nei

confronti della tradizionale interpretazione del Corbaccio


109

come ritrattazione in termini morali del Decameron, disagio

che ha condotto alle gia accennate ipotesi di eccentricita

moraleggiante o di contiguita ironica, intendo presentare,

conscio anche della attuale impossibility di una datazione

oggettiva, un'ulteriore proposta secondo la quale il Corbac­

cio verrebbe a far parte di un "continuum", non neces-

sariamente cronologico ma essenzialmente tematico, che, come

gia discusso nel capitolo I, va dalla Caccia di Diana al

D e came r o n , e che e espressione dello sviluppo ideologico del

Boccaccio riguardo non solo alia problematica della com-

prensione ma anche alia fenomenologia dell'amore com-

prendendo nel caso del Corbaccio il risvolto misogino.

Passiamo quindi alia dimostrazione della presenza nel

Corbaccio di una critica, espressa in termini ironici, della

tradizionale ideologia filosofico-letteraria; critica che si

sviluppa in maniera direttamente proporzionale all'enfasi

posta sulla tematica della comprensione.

Facciamo quindi riferimento al testo. Il Corbaccio puo

essere strutturalmente diviso in cinque parti (o in tre

cornici) di cui la prima, il proemio, trova la sua cor-

rispondente nell'ultima, il congedo dell'opera (prima

cornice ) ; la seconda parte, cioe la vicenda che precede il

sogno, ha la sua corrispondente nella quarta parte in cui il

protagonista attua una revisione ed una accettazione in toto

del sogno come apportatore di verita (seconda c o r n i c e ) . Al

centro dell'opera sta il sogno stesso con possibili sud-


110

divisioni interne n o n per o necessarie a questa analisi

(terza c o r n i c e ) .

Nel proemio 1' io-narratore introduce le motivazioni che

lo hanno indotto a s c r ivere l'umile t r a t t a t o 9 : gratitudine

per la grazia ricevuta p e r intercessione della Vergine,

espiazione parziale del proprio errore ed utilita e con-

solazione delle anime di coloro che leggeranno 1'opera. Con

questo riferimento ai lettori la problematica della com-

prensione e p e r la p r i m a volta esplicitamente introdotta

nell'opera. M a pre c e d e n t e m e n t e nella p r i m a frase del

proemio e p r e sente un r i ferimento indiretto a questa

tematica; scrive infatti 1'io-narratore all'inizio

dell'opera:

Qualunque persona, tacendo, i benefici ricevuti


nasconde s e n z a di cio aver cagione convenevole,
secondo il m i o giudicio assai manifestamente
dimostra se essere ingrato e mal conoscente di
quegli. (1).

L'espressione "mal conoscente" p u o essere interpretata in

due modi: uno, come fa Pier Gio r g i o Ricci nella n ota 1

de l l a sua edizione del C o r b a c c i o ^-0 . attraverso una tras-

lazione sinonimica che modernizza l'espressione "mal con­

oscente" in i r r i c o n o s c e n t e ; l'altra invece a cui io mi

attengo, rimane piu f e dele alia lettera e ne inverte

solamente i lessemi, d a mal conoscente a colui che conosce

male; che cioe non e in grado di comprendere i benefici

ricevuti. Sulla base della comprensione si innesta poi

l'azione conseguente; n e l nostro caso la scelta di tacere


Ill

oppure no, la quale deve basarsi su di una "cagione con-

venevole" cioe su cio che e conveniente o utile. L'utilita

risulta quindi direttamente proporzionale al livello di com-

prensione e di conseguente scelta. Ed utilita e con-

solazione e cio che 1'opera intende offrire ai propri let-

tori sempre che questi siano in grado di comprendere il mes-

saggio offerto dal te s t o 1 1 .

La seconda cornice e costituita dalle v icende della

narrazione che precedono e seguono il sogno. In questa

cornice intermedia il protagonista, in quanto io-

narratante1 2 , non solo presenta al lettore i presupposti e

le conclusioni circa la propria esperienza onirica, ma

inoltre introduce processi diversi di comprensione, alcuni

nella forma di monologo a se stesso, altri come dialoghi con

i compagni. Di questi quelli narrati nella pa r t e

antecedente al sogno tendono a vanificare il valore

didattico-moralistico dell'esperienza onirica; gli altri,

nella conclusione, sottolineano invece il fondamentale fal-

limento del protagonista nel raggiungere lo scopo che sot-

tintende alia narrazione stessa.

La problematica d e l l 'interpretazione e presente ai vari

livelli dell'opera. In senso lato possiamo affermare che

l'intera vicenda del C orbaccio. introdotta dall'epressione

temporale "non e ancora molto tempo passato" (6), e da con­

siderate come un rivisitare e quindi un interpretare secondo

i canoni della memoria, un'esperienza vissuta recentemente.


112

In senso piu stretto possiamo invece dire che gia in questo

inizio di eventi il protagonista fa un primo tentativo di

comprensione quando, solo nella sua stanza, giudica la sua

donna essere stata particolarmente malvagia nei suoi c o n ­

fronti e lui essere stato pazzo nell'averla scelta non

avendo capito come ella veramente fosse. Una volta rag-

giunte queste conclusioni l'unica soluzione per porre fine

al proprio stato di sofferenza sembra essere il suicidio.

Ma la psicomachia che il nostro sta vivendo non puo con-

cludersi con una soluzione cosi poco "convenevole". Com­

passione per se stesso e timore della punizione divina

rimettono in discussione I 7idea di suicidio. La stasi

psicologica generata dal dover scegliere tra la vita e la

morte e superato attraverso una riproposizione drammatizzata

del processo di comprensione: il sopraggiungere di un io-

pensiero, "credo da celeste lume mandato" (12), come entita

oggettiva in grado di razionalizzare il caos emotivo.

L'intero monologo dell'io-pensiero e una "reprobatio"

del protagonista, formulata secondo gli schemi della

retorica scolastica e critica nei confronti della dinamica

dell'amore cortese1 3 , all'interno della quale il nostro

aveva collocato la propria esperienza amorosa in quanto, sto

parafrasando il C o rbaccio. si era sentito fieramente trat-

tato male da colei la quale lui mattamente per sua singolare

donna e.letta aveva e che lui assai p i u che la propria vita

amava ed oltre ad ogni altra onorava e riveriva.


113

L'i o - p e n s i e r o pone l'enfasi esclusivamente sul

p r o t a g o n i s t a 1 4 ; e lui che si e ingannato per non a v e r

giustamen t e u s a t o la propria facoltA razionale. Lui stesso

e la causa della pro p r i a sofferenza poiche & ragione senza

alcun v a l o r e p e n s a r e che "ella [la vedova], co n o s c e n d o ch'io

l'amo dovre b b e a m a r me" (19), in quanto e impossibile che

qualcuno ami cio che non piace. Afferma cosi 1'io-pensiero:

Dunque se tu ti se' messo ad amare p e r s o n a a cui


tu non piaci, non e, se mal' te ne segue, la colpa
della p e r s o n a amata: anzi e tua, che sapesti male
elegg e r e (21).

La moderna razio n a l i t a dello scambio reciproco m e t t e cosi in

discussione l'irra z i o n a l e dislivello del rapporto d'amore

cortese che aveva fatto dire a Francesca, nel canto quinto

dell'inferno: "Amor ch'a nullo amato, amar p e r d o n a " 1 5 .

L'accento e p o s t o sul non aver compreso la si t u a z i o n e ed

aver quindi scel t o erroneamente; ed erronea e anche la con-

seguente idea di suicidio in quanto, sempre come afferma

1 ' io-pensiero, o farebbe ingiustamente soffrire la donna in

caso che ella lo ami, o al contrario la farebbe rallegrare

in caso che ella lo odi. L'esortazione finale e quindi:

Vivi adunque; e come costei, contro te m a l -


v a g i a m e n t e operando, s'ingegna di darti dolente
vita e cagione di desiderare la morte, cosi tu,
v i v e n d o trista la fa' della vita tua (46).

II protagonista e convinto della logica d e l l ' i o - p e n s i e r o 16

al quale attribuisce, per la seconda volta, un ' o r i g i n e

divina1 7 . L'io-p e n s i e r o gli ha aguzzato gli "occhi della

m e n t e " , s o t t o l i n e a n d o cosi la passivita i n t ellettuale del


114

nostro; gli ha raostrato apertamente il suo errore di cui

egli si e vergognato e autoflagellato. " [E] da meno che io

n o n arbitravo d'essere mi reputai" (47).

M a la chiarezza non e stata t o tale in quanto in questa

sua narrazione a-posteriori, 1 ' io-narratore afferma che

"quasi dagli occhi d e l l a mente ogni oscurita" (47), era

s t a t a levata. La c o m p r e n s i o n e risulta cosi parziale e con-

seguentemente anche il superamento della sua sofferenza e

tale. Le disquis i z i o n e filosofiche fatte con alcuni com-

p a g n i 18 gli hanno a p p o r t at o c o n s o lazione ma egli ha solo

"quasi" dimenticato la noia passata. Q u esto due vo l t e

ripe t u t o "quasi" crea cosi u n a breccia emotiva sia nella

r igida costruzione logica dell'io-pensiero che nelle

disquisizioni filosofico-letterarie con gli amici. Per

m e z z o di questo r esiduo emotivo, segno di una non completa

convinzione, 1 ' io-narrante puo introdurre l'esperienza

onirica.

II sogno, la cui narrazione si estende per circa i 9/10

dell'ope r a (54-554), si presenta come un'amplificata

r ipetizione della p r o b l ematica esposta durante il monologo

d ell'io- p e n s i e r o e le vicende che gli hanno dato origine.

II prota gonista e a n c o r a in condizione di sofferenza

metafori c a m e n t e rappresentata d a l l ' e s s e r s i sperso nel

"labirinto d'Amore". Egli v i e n e soccorso dal marito della

v e d o v a da lui amata, il quale cerca di convincerlo, usando

a n ch'egl i un processo di ragionamento scolastico,


115

dell'errore commesso nell'essersi innamorato, in generale,

ed in particolare di essersi innamorato di una donna di cosi

poco valore come la sua ex-moglie. Di nuovo di fronte alia

alienazione amorosa di stampo cortese si contrappone il

recupero della stima in se stessi, da un lato attraverso un

caustico attacco denigratorio dell'amore, della donna e

della propria ex-moglie; dall'altro attraverso una martel-

lante enfasi posta sulla necessita di comprendere e con-

seguentemente accettare in quanto vera 1'interpretazione

proposta. Ma le motivazioni dello spirito sono minate da

contraddizioni metodologiche e contenutistiche interne al

suo stesso dialogo. In primo luogo lui cerca di far com­

prendere al proprio discepolo una verita dogmatica

presumibilmente sancita dall'autorita derivatagli dalla

propria condizione di anima purgatoriale inviata dalla

Vergine in soccorso del di lei devoto. In realta, come

vedremo piu oltre in dettaglio, molte delle affermazioni

dello spirito sono da lui stesso giustificate sulla base

della propria esperienza terrena. Inoltre in diverse

occasioni le sue affermazioni sono introdotte da espressioni

di dubbio che contrastano con il suo supposto ruolo di

autorita1 9 . Infine scopo ultimo della diatriba e di con-

vincere il discepolo a vendicarsi della vedova per far si,

in ultima istanza, che lo spirito stesso possa vendicarsi

per interposta persona delle proprie frustrazioni terrene.

Tutto cio contrasta con il bisogno del protagonista di


116

superare la propria affezione attraverso la comprensione del

proprio errore ed il recupero della confidenza in se stesso.

Le contraddizioni sono quindi sia di natura didattico-

epistemologica che di ideologia cristiana.

La presenza di queste contraddizioni ci permette una

interpretazione che vada oltre la lettera e quindi contro il

proposto autobiografismo o il trattatismo morale. II sogno

diviene il luogo narrativo in cui Boccaccio sviluppa,

utilizzando l'arma dell'ironia, la sua critica nei confronti

sia dei contenuti che dei metodi della tradizione

filosofico-letteraria. Da un lato quindi la critica dei

canoni della poesia onirica20 e dell'ideologia misogina

medievali nel personaggio dello spirito e nelle sue

argomentazioni, dall'altro il fallimento per il protagonista

dell'esperienza onirica, il quale proprio in quanto credente

ma non ragionante, non arriva a comprendere fino in fondo i

termini della propria esperienza e quindi in ultima istanza,

non e in grado di superare la propria condizione di

affezione2 1 . La scelta di vendicarsi2 2 , suggerita con

enfasi dallo spirito come soluzione espiatoria, diviene la

prova della non a w e n u t a catarsi emotiva, che e invece la

condizione che da origine al D e c a m e r o n . come affermato nel

proemio.

Strutturalmente l'intero sogno si snoda secondo i

canoni della poesia onirica medi e v a l e 2 3 . II soggetto

dell'esperienza onirica e generalmente di estrazione sociale


117

modesta, certamente non un aristocratico o un eroe; tale e

il nostro protagonista e nel sogno 6 presente una lunga

disquisizione sulla sua nobilta d'animo e non di nascita.

II sogno ha luogo in una condizione di isolamento; ed il

nostro si trova nella propria stanza, nel proprio letto dopo

aver lasciato i compagni. La solitudine e spesso associata

con lo sxnarrimento sia sociale che intellettuale; nel nostro

caso e la condizione iniziale di smarrimento nel "labirinto

d'Amore". Lo sviluppo narrativo del sogno e circolare,

sveglia-sogno-risveglio; e cosi a w i e n e nel nostro caso,

anche se si potrebbe parlare piu propriamente di una forma a

spirale in quanto il risveglio presenta al protagonista

nuove possibility di azione nel mondo. "[A] new beginning

with a clarified vantage point" (op. cit.,1962), p. 307,

scrive Francis X. Newman nel suo, purtroppo non pubblicato,

lavoro di tesi. Ma nel nostro caso, come ho gia accennato,

questa e solo una condizione apparente in cui il

protagonista crede di trovarsi al suo risveglio; cosi come

apparente e, secondo la classificazione fatta da Macrobio

nel suo Commentarius in Somnium Scipionis2 4 . il ruolo di

"oraculum" dello spirito. Cosi mentre Newman sostiene che

il sognatore e "only a dazed witness of the vision, not its

creator or interpreter... he is merely an auditor, the

intermediary between the real auctor and «you» the reader"

(ibidem, p. 329), Boccaccio nel Corbaccio lascia che il

protagonista interpreti erroneamente la propria esperienza


118

onirica, per ulteriormente evidenziare il ruolo critico-

interpretativo del lettore.

Ma veniamo ad una analisi dettagliata delle con-

traddizioni contenute nel sogno. Secondo la tradizione

medievale l'esperienza onirica ha un'origine trascendente,

mentre nel Corbaccio la vicenda e essenzialmente

immanente2 5 . Infatti il suo mandante e la fortuna, nemica

in quanto rinnovatrice della noia "quasi d i m e n t i c a t a " . Non

piu quindi l'io-pensiero mandato da un lume divino, ma il

mandante e ora una entita intrinsecamente legata

all'esistenza umana.

La descrizione del luogo onirico presenta altri

elementi interessanti di critica. Indubbio e il ruolo della

Commedia di Dante come sottotesto alia descrizione dei

luoghi e dei personaggi del sogno. In particolare il

riferimento iniziale alio smarrimento nella valle-selva

(Inferno . I ) , all'atmosfera dei suoni e alia valle stessa; e

poi nella conclusione, l'ascesa alia montagna come evidente

richiamo al Purgatorio, ed il raggiunto "locus amoenus"

sulla sommita come diretto riferimento al Paradiso ter-

restre. La Commedia e presente anche nel personaggio dello

spirito, in somiglianza di Virgilio come guida, nel suo

mandante la Vergine, e nell'impostazione del dialogo tra

discepolo e maestro2 6 .

Ma se i luoghi ed i personaggi del sogno sono model-

lati in termini danteschi, non cosi ne sono le


119

motivazioni. Nel sogno del Corbaccio non esiste nessuna

tensione t r a s c endente, nessun tentativo di sublimare il

proprio amore, ma invece l'intenzione di risolverlo in

termini immanenti, quindi non la catarsi dell'ascesa

dantesca m a la reiterazione della frustrazione, passata solo

dalla disperazione suicida alia vendetta omicida. Questa

differenza e anche espressa a livello lessicale; infatti

mentre Dante nella Commedia. attraverso l'uso continuo del

verbo "vedere11 cerca di convincere il lettore della verita

sensoriale della propria visione, 1' io-narratore del Corbac­

cio fa un u s o molto denso del verbo "parere" con i due pos-

sibili significati di "apparire" e "sembrare", minando

quindi le bas i della veridicita della propria visione che

dall'altro lato strenuamente sostiene2 7 . Cio viene infatti

a mettere in discussione le verita sostenute sia dallo

spirito, nel suo ruolo di autorita trascendente, che dal

discepolo nella sua convinzione di aver compreso il vero.

Gli esempi piii importanti si trovano nelle pagine in cui lo

spirito cerca di criticare l'opinione del discepolo di non

considerarsi all'altezza della vedova; ma dopo aver usato

p i u volte il verbo "parere" per indicare 1 'opinabilita della

convinzione del discepolo, inserisce a sua volta il termine

nelle affermazioni a riguardo. "Ma in cio mi pare che tu

erri, e gravemente" — rimprovera la guida — "[in quanto]

tu lasciando il vero, seguiti l'opinione del popolazzo il

quale sempre piu alle cose apparenti che alia verita di


120

quelle drizza gli occhi" (502). Ma non e lui stesso, lo

spirito, che introduce 1 'opinabilita con l'uso di "parere"

nelle sue affermazioni di verita? In un altro esempio il

protagonista introduce il tarlo d e l l 'incertezza nelle sue

convinzioni di prima e di dopo. Egli infatti sostiene che

"di cio che mi pareva d'avanti ora mi pare il contrario"

(515). La contraddizione piu evidente dello spirito, di cui

trattero ampiamente piu oltre, la troviamo al paragrafo 526

dove, negando la referenzialita della parola, lo spirito

sostiene la necessity di usarla in quanto portatrice della

sua "vera" verita, espressa con gli stessi mezzi ritenuti

fallaci.

Lo stesso sviluppo comico dell'esperienza onirica,

nella accezione aristotelica del termine come passaggio

dall'oscurita alia luce sia fisica che intellettuale, e pre­

sente nel Corbaccio solo ad una lettura superficiale. Vero

e che il protagonista passa con l'aiuto della guida, dalla

valle oscura all'ascesa della montagna "che il cielo parea

che toccasse" (551), e poi alia vista del cielo aperto e

luminoso; ma il tutto e sottolineato dall'uso con-

traddittorio del gia citato verbo parere e cio

indirettamente vanifica la validity dell'esperienza onirica

in quanto non attua nel protagonista un cambiamento

qualitativo. La sua condizione di affezione, nonostante sia

mutata da amore in odio, e rimasta qualitativamente

inalterata.
121

Ma esiste comicita nel Corbaccio proprio nelle parti

piu ironiche dell'opera, e Boccaccio la concentra nel

personaggio dello spirito, nel suo ruolo, nelle sue

disquisizioni e, solo indirettamente, per effetto di non-

comprensione, nel discepolo. Lo spirito e, dato il suo sup-

posto ruolo di autorita trascendente, la figura piu con-

traddittoria dell'intera opera; molto piu contradditoria di

quanto voglia egli far passar la vedova la quale e tra

l'altro solamente descritta o denigrata2 8 .

Secondo la tradizione dell'oracolo lo spirito-guida si

presenta, per dirlo con le parole di Francis X. Newman, come

"a grave and revered person [... ] and engages him in

instructive dialogue on some important question" (op. cit.,

1962), p. 230. II compito della guida e di condurre il dis­

cepolo dall'ignoranza alia conoscenza attraverso una

tendenza enciclopedica del dibattito che include tutto cio

che ha un significato. Certamente il nostro spirito nella

sua argomentazione e ben lontano da tale approccio

universalista. Al contrario l'intera sua diatriba passa

dall'universale al particolare concentrandosi con termini

caustici e talvolta grotteschi su chi ha avuto la fortuna di

esserne vedova. Nonostante quindi le velleita di autorita

trascendente, la disparity tra il nostro e il ruolo

tradizionale dell'oracolo e tale da far venire spontaneo il

pensare ad una ironia calcolata da parte di Boccaccio. La

comicita delle parole dello spirito e apprezzata dallo


122

stesso d iscepolo q u ando afferma:

A questa parola dic h ' i o che, con tutto il dolore e


la c o mpunzione ch'io dinanzi agli occhi postemi
dalle v e r e parole d e l l o spirito, io n o n pote' le
risa t e n e r e (316).

M a le numerose contraddizioni de l l o spirito necessitano

un'analisi dettagliata. Al suo a p p arire egli si presents al

d i scepol o come "un uom o [... ] il quale [...] era di statura

grande e di pelle e di pelo bruno, b e n c h e in parte bianco

d ivenuto fosse p e r gli anni [. . . ] asciu t t o e nerboruto e di

non m o l t o p iacevole aspetto; il suo v e s t imento era lunghis-

simo e largo e di c o l o r vermiglio" (66-7). Come lo spirito

stesso spieghera, il colore de l l ' a b i t o e simbolo della sua

espiazione e del suo essere p o r t a t o r e di carita, infatti

esso "non e panno manuamente tessuto, anzi e un fuoco dalla

divina arte composto [...]; e mug n e m i si [. . .] che alia mia

sete t u t t i i vost r i fiumi insieme a dunati e qui p e r la mia

gola volg e n d o s i sarebbon un p i c c o l sorso" (104-6). Due sono

stati i suoi m a g g i o r i peccati, l'avarizia e l'accidia,

quest'ultima nei confronti di "colei la quale tu vorresti

d'aver v e d u t o e s s e r digiuno" (106), c ioe la vedova.

M a se l'abito vermiglio e simbolo di espiazione e di

carita, la sete inesauribile e sete u m a n a di vendetta. II

v e n dicars i £ il fine ultimo d e l l 'intervento dello spirito,

il filo rosso de l l e sue disquisizioni, lo scopo del suo

"docere"; infatti al termine d e l l a lezione lo spirito

ordina: "voglio che dell'offesa fattati da lei tu prenda

vendetta" (526). M a questa n o n e, sempre secondo le sue


123

parole, il modo in cui opera la divinita. Infatti all'inizio

del dialogo il discepolo e rimproverato con queste parole:

Veramente tu parli come uomo che ancora non mostra


conosca il costume della divina bonta, e che
quella, che e perfettissima, estimi cosi nelle sue
opere esercitarsi come voi, che mortali e mobili e
imperfetti siete, fate; nelle menti de' quali niun
riposo si trova, infino a tanto che gran vendetta
non si vede di ogni piccola offesa ricevuta (113).

Ma chi se non lo spirito e colui che esasperatamente cerca

di vendicarsi e non solo della ex-moglie ma anche

dell'amante di lei, il "secondo A nsalone", contro il quale

"non sara senza vendetta 1'offesa" (444); in quanto colui

che piu volte l'ha fatto becco, "se nel mondo, nel quale io

dimoro" — asserisce lo spirito — "non si mente" (444), e a

sua volta tradito. E lo e a tal punto che sta allevando un

bambino che non e suo e che, sempre secondo la profezia del

nostro, vendichera ogni ingiuria, "se ingiuria dir lo debbo"

(445) . L'amante provera cosi quanto sia vero il proverbio

che dice: "quale asino da in parete cotale riceve" (446).

L'aldila viene trasformato in un luogo di pettegolezzi deg-

nio di una commedia plautina.

Oltre a questo, nel formulare le proprie affermazioni,

lo spirito inserisce piu volte espressioni di dubbio come

indicazioni di uno scarto emotivo, cioe della presenza di un

residuo di umanita29 che rende lo scopo delle sue

affermazioni contraddittorio. Piu volte egli accenna al

fatto di essere stato offeso da coloro che hanno amato la

vedova; lo abbiamo gia visto nel caso del "secondo


124

Ansalone", e la stessa p r e o c cupazione e p r e s e n t e nei con-

fronti del disc e p o l o quando lo spi r i t o spiega le motivazioni

p e r e s s e r e stato scelto come suo s o c c o r r i t o r e :

[D]i c h e io ti doveo v e n i r per t u a salute a


riprendere, in parte a m e apparteneva, come di
cosa stata mia; e [...] che di q u e l l a tu ti dovevi
piu di m e vergognare che d'alcun altro, si come di
colui al quale pareva che nelle s u e cose alcuna
ingiuria avessi fatto (539).

M a il d i s c e p o l o aveva gia giustificato il p r o p r i o com-

p o r t a m e n t o all'inizio della conversazione q u a n d o aveva

affermato:

[N]e di cio [di aver a m a t o la vedova] dove pur e la


tua liberalita non me ne assicurasse, da te mi
dovrei, piu che da un altro, vergognare: ne tu
turbartene; p e r cio che, come tu d a l l a nostra vita
ti dipartisti, secondo c h e le e c c l e s i a s t i c h e leggi
ne mostrano, quella ch'era stata t u a donna n o n fu
piu tua, ma divenne liberamente sua; per che niuno
atto potresti con ragione dire che io mi fossi
ingegnato di dovere alcu n a tua c osa occupare
(132) .

II dis c e p o l o da q u i una lezione di diritto c a n o n i c o e civile

al m a e s t r o che n o n capisce dato che continua, n o n o stante i

suoi dubbi, a p e rseverare nell'idea di vendetta. E la sua

rabbia e tale c h e non esita a strum e n t a l i z z a r e il discepolo

convince n d o l o a v e ndicare entrambi; p e r il n o n corrisposto

amore c o s i come p e r gli anni di frustrazione di una vita

accidiosa. Al contrario lo spirito diviene d e v o t a m e n t e

c r i s t i a n o quando, incapace di vendicarsi d e l l e parole della

moglie, aveva convinto se stesso di dovergli bastare che

"Colui quelle conoscesse, insieme agli altri fatti di lei,

che a ci a s c u n o si come giusto giudice, secondo i meriti


125

rende guiderdoni" (427).

All'insegna della giustizia divina sono anche i suoi

tentativi di contattare la ex-moglie. Egli la visita una

notte30 mosso da una "caritatevole affezione", ma la vista

della donna insieme all'amante non serve che a fargli

reiterare il caustico denigramento. Anche piu oltre nella

vicenda egli giustifica la vendetta che il discepolo deve

mettere in atto come salutare per l'anima della donna, una

volta che ella abbia compreso il significato delle accuse a

lei mosse.

Lo spirito presents contraddizioni anche nella sua

esposizione, nei postulati della sua argomentazione, nel suo

uso della retorica. Nella narrazione si contraddice piu

volte. Per esempio quando si accinge a narrare le

motivazioni del suo errato matrimonio con la vedova, accenna

all'esistenza di un precedente matrimonio con una donna di

cui molto meno si "si potea scontentare" (292). Questo

accenno che viene fatto dopo una lunga e generale invettiva

contro il genere femminile, sottolinea come forse non tutte

le donne siano cosi terribili, e non solo le grandi come la

Vergine ma anche le comuni come la donna da lui sposata.

La topografia non e decisamente il punto forte del

nostro vedovo che piu oltre si confonde o contraddice le

narrazioni fatte dal discepolo. Per esempio all'inizio

della descrizione della sua visita notturna alia ex-moglie

usa erroneamente gli a w e r b i di luogo "qua" e "la". Infatti


126

egli identifies con "qua", cio6 il luogo nel quale si trova

assieme al discepolo, ora il Purgatorio ora il m o n d o 3 1 .

Precedentemente egli aveva affermato come dopo la sua morte,

causata dal comportamento della vedova, ella si fosse

a w i c i n a t a alia chiesa "non gia per dire orazioni [. . .]

delle quali niuna credo che sappia, ne di sapere curasse gia

mai, ma per poter meglio [...] le sue libidinose volonta

compiere" (72). E senz'altro ella non pregava per l'anima

del marito ne in chiesa ne in casa in quanto, come afferma

piu oltre lo spirito, "io non ne posso essere ingannato, si

come colui che, s'ella alcun bene facesse, o alcune orazioni

o paternostri dicesse, il sentirei, per cio che, [...] la

mia anima sentirei rinfrescare" (438). In realta egli si

inganna perche la sua donna sa pregare e fare opere di bene,

ma non lo fa per lui; e lui stesso infatti ad affermare con

caustica ironia di gelosia e frustrazione, che:

essa ne dice forse ad altrui nome. Gia so io bene


che non e ancora lungo tempo passato che del
vostro mondo si parti uno, che con tanta
afflizione la trafisse, ch'ella stette de' di
presso a otto ch'ella non voile ber uova ne assag-
giare pappardelle (440).

Il discepolo dovrebbe comunque essere al corrente delle

tresche libidinose che la vedova tesse in chiesa poiche "se

io mento o dico il vero," — afferma sempre la guida — "tu

'1 sai, che parendoti bene mille occhi avere, senza

sapertene guardare, nelle panie incappasti" (435).

Ma chi non ha occhi per capire e tanto meno per ricor-

dare e proprio lui, lo spirito, il quale ha dimenticato che


127

era stato il discepolo, secondo la sua precedente nar-

razione, ad aver avidamente ricercato la vedova, ad essere

riuscito fortunosamente ad incontrarla ed a conoscerne il

nome.

La rabbia dello spirito e comunque cosi cieca e la sua

emotivita sull'argomento e tale che quando critica il con­

cetto di cortesia, di cui la vedova aveva scritto nella let-

tera, da indirettamente dell'ingenuo al discepolo che

avrebbe potuto soddisfare le sue voglie in quanto "ella e

[sempre] stata non cortese, ma cortesissima, pur che sia

stato chi ardire abbia avuto di domandare" (356).

L'impossibility di spiegare razionalmente l'eccezionalita

del caso, data la rinomata prodigality della donna, non pud

che essere giustificata ancora una volta con l'intervento

divino, infatti "ne altro ne so vedere" — sono sempre le

parole della guida — "se non ch'io estimo che Dio t'ami,

quello negare facendoti che tu essendone stato pregato,

dovevi come lo inferno fuggire" (359). La non comprensione

del protagonista sembra cosi originare da un miracolo. La

sua critica dell'amor cortese, nei cui canoni aveva vissuto

la propria esperienza amorosa, lo ha condotto da un'iniziale

desiderio di mera appagazione erotica ad un inesplicabile

intervento divino (sempre secondo 1'opinione della g u i d a ) .

Ma se la verita e una, trascendente, dogmatica, e lo

spirito ne e il portavoce, allora non e possibile

giustificare i suoi errori narrativi, le sue incertezze


128

nominali, la sua retorica del dubbio, il suo continuo

riferimento alle proprie esperienze terrene. Quando infatti

egli si accinge a nominare la valle in cui entrambi si

trovano, offre al discepolo non un solo nome ma una gamma di

nomi di diverso valore morale: dall'esaltante "valle

incantata", al piu problematico "laberinto d'Amore", fino

alia sofferente "valle de' sospiri e della miseria", per

finire al denigratorio "porcile di Venere"; cosi "come

m eglio a ciascun piace" (94). La guida lascia qui la p o s ­

sibility ad una libera interpretazione, contrariamente al

continuo accento posto sulla verita e assolutezza delle

proprie parole. E continui dubbi retorici adombrano le sue

affermazioni soprattutto nei confront! del discepolo. Tra

gli altri esempi troviamo: "parmi essere certo" (404);

"secondo che io credo" (419); "nol credo ne non mi pare"

(444); "se non mi inganna il mio judicio" (498); "s'io non

errai" (509); solo per citare i piu evidenti.

Tra le espressioni sottolineate dal dubbio troviamo

inoltre riferimenti all'esperienza sensoriale e terrena come

controprova delle verita affermate. Per esempio all'inizio

del loro dialogo lo spirito cosi si esprime:

10 so (e, se io d'altra parte nol sapessi, si mel


fecero poco avanti chiaro le tue parole, e ancora
11 luogo nel quale io t'ho trovato mel manifesta)
che tu se' nelle branche d'amore inviluppato
(3.30) .

E p i u oltre quando si accinge a criticare l'aspetto fisico

della vedova, reitera:


129

Tu la vedesti grande e compressa Ma di


gran lunga e di lungi la tua estimazione dalla
verita; e, come che molto potessero al mio dire
vera testimonianza rendere, si come esperto, a me,
che forse piu lungamente, non potendo altro fare,
esperienza n'ebbi, voglio che tu senza altro
testimonio il creda (404-5).

Ed anche nei gia citati effetti delle preghiere della donna

sull'anima di lui il ripetuto uso del verbo "sentire" tende

a sottolineare la caratteristica umana e non divina della

sensibilita.

In ultima istanza la ragione stessa dell'esistenza

della guida come personaggio e dovuta alia sua esperienza

terrena, come lui stesso risponde ad una delle ultime

domande del discepolo circa il suo essere stato scelto;

"perche la cosa, di che io ti doveo venire per la tua salute

a riprendere, in parte a me apparteneva, come di cosa stata

mia" (539). Lo spirito perde cosi la sua autonomia

trascendentale e si manifests sempre di piu come una

produzione della psicomachia del protagonista, cosi come lo

era gia stato il monologo d e l l 'io-pensiero. II nucleo

stesso del sogno, cioe la confutazione del contenuto della

letters scritta dalla vedova (o dal suo amante come sug-

gerisce lo spirito) non e altro che , come precedentemente

accennato, una amplificata ripetizione senza alcun mutamento

qualitative, delle conclusioni gia raggiunte dal

protagonista e da lui esplicate nella narrazione degli

eventi fatta alia guida. Egli aveva infatti compreso dalle

parole della lettera i limiti di lei e quindi l'erronea


130

esaltazione che l'amico gliene aveva fatto. Inoltre e con-

scio della natura femminile almeno nei termini della lunga

invettiva "contra foeminam" fatta dallo spirito, in quanto

nel dialogare con 1 'amico-informatore sulle valorose donne,

ne avevano trovato un numero piccolissimo "da coitimendare".

II desiderio sessuale lo fa comunque perseverare

nell'errore; e della stessa natura irrazionale e la passione

frustrata che dara forza all'idea di vendetta e a l l /intera

fantasia del sogno.

Ma se 1'autorita dello spirito e minata da con-

traddizioni interne e lui stesso non e che la produzione di

una fantasia onirica, ne deriva che il protagonista in

quanto io-narrante e il "deus ex machina" della situazione

ed ,allo stesso tempo, non e in grado di comprendere il mes-

saggio intrinseco alle proprie elucubrazioni.

L'accettazione passiva del comando datogli dallo spirito a

conclusione del loro dialogo, "voglio che tu abbi in odio

ogni cosa che in lei in cosi fatto atto dilettevole

estimassi; [...] voglio che dell'offesa fattati da lei tu

prenda vendetta" (524), dimostra come il protagonista non

sia in grado di comprendere, o non voglia comprendere, e

quindi non risolva la propria condizione di affezione.

Poiche la prova d e l l ' a w e n u t a liberazione dalle panie

d'Amore, come insegna Ovidio, non e odiare, ma non-amare,

cioe il divenire indifferente all'oggetto d'amore3 2 .

Possiamo quindi a questo punto fare di nuovo


131

riferimento all'iniziale residuo emotivo lasciato dal

"quasi" nell'analisi raziocinanate del protagonista.

Durante tutto il dialogo onirico il suo atteggiamento e

stato quello del credente e non del discente, e come prima

ha creduto alle parole dell'informatore circa le qualita

della vedova, durante tutto il sogno fideisticamente crede

alle parole dello spirito. Ed anche dopo il suo risveglio

invece di accertarsi personalmente ricorre di nuovo ad un

informatore, "da altrui poi informatomene" (555), per con-

fermare le confessioni fattegli dallo spirito.

Emerge a questo punto al di la del dialogo tra i nostri

due personaggi, l'importanza del ruolo interpretativo del

lettore consono a tutta la tradizione della poesia onirica;

infatti come osserva Francis X. Newman: "[I]n relation to

dream poetry, it is the reader who fills the interpreter's

perennial role; the poet is merely the presenter of the

vision" (op. cit., 1962) p. 327 3 3 . Spettera ai lettori del

C o rbacc i o . secondo cio che e stato affermato nel proemio,

ricavare l'utilita dall'opera dissacrandone la verita let-

terale e comprendendo che la vendetta e indice di non-

superamento della passione, e che la scelta dell'io-

narratore e dovuta all'accettazione dogmatica della verita

del sogno e non alia sua intima comprensione. Accettare

dogmaticamente la verita significa non comprendere la realta

e quindi non poter convenientemente agire su di essa. Com­

prendere significa invece poter agire, poter superare i


132

limiti della propria condizione di sofferenza. Questo non e

il caso del nostro protagonista.

All'interno di questa prospettiva della comprensione

anche il lungo attacco misogino dello spirito, a cui mi sono

solo indirettamente riferito e che invece ha condizionato il

dibattito sull'opera della maggior parte dei critici, e da

ridimensionare nella sua portata. Queste pagine di nar-

rativa antifemminista possono essere comprese attraverso la

lente comica, spesso caustica e alcune volte grottesca,

dell'ironia che non solo fa parte della poetica onirica,

come precedentemente dimostrato, ma sottolinea inoltre la

posizione critica di Boccaccio nei confronti di questa

tradizione, proprio nel momento in cui viene messa in

discussione 1 'autorita stessa dello spirito e della parola.

E cid a w i e n e in due ulteriori brani tematicamente cor-

relati. Nel primo, durante il suo rivisitare i vari punti

della lettera della vedova, lo spirito con tono di invettiva

difende aprioristicamente la verita dei testi della

tradizione che contrappone alia dispregiata opinione del

"popolazzo [...] il quale sempre piu alle cose apparenti che

alia verita di quelle drizza gli occhi" (502). Nel secondo

egli afferma come proprio chi si diletta a studiare, come il

nostro protagonista, "eziandio, mentendo sa cui gli piace

tanto famoso e si glorioso rendere negli orecchi degli

uomini [...]; e cosi in contrario [...] quantunque da bene

stato sia uno che nella vostra ira caggia, con parole, che
133

degne paiono di fede nel profondo di inferno il tuffate e

nascondete" (527-8).

Com'e quindi possibile credere alle parole dello

spirito quando egli stesso ne nega la referenzialita? A

questo punto ogni velleita autoritaria della parola e morta,

10 spirito nel suo ruolo di guida non ha piu ragione di

esistere.

Nella sua conclusione il Corbaccio rimane comunque

un'opera irrisolta3 4 . Una volta affermata la sua fideistica

adesione alia verita trasmessagli dallo spirito l'io-

narratore sostiene nel congedo come 1'opera, appena com-

posta, sia per sua natura incapace di portare a termine la

prefissa vendetta, e di come la vedova sia da "pugnere con

piu acuto stimolo che tu [opera] non porti con teco. II

quale concedendo Colui che d'ogni grazia e donatore,

tosto a pugnerla, non temendo, le si fara incontro" (562).

Quindi il non aver compreso la propria situazione ha las-

ciato il nostro in una condizione di impotenza e

frustrazione nei confronti del proprio travaglio affettivo.

11 riferimento alia giustizia divina come ultima risolutrice

di contraddizioni esistenziali sottolinea, come abbiamo gia

visto nel caso dello spirito, la definitiva incapacity di

comprensione.

Ma se il protagonista fallisce nel suo tentativo di

risolvere la sua condizione di affezione, l'unico fine

pratico del Corbaccio risiede nell'altro motivo di com-


134

posizione dell'opera come affermato nel proemio, cioe in

quell'intento didattico-utilitaristico che, come riafferma

l'io-narratore nella conclusione, mira a far aprire gli

occhi a quei giovani che, fidandosi troppo delle proprie

capacita, senza guida e discernimento si impelagano in

luoghi non sicuri. Ma non era questo 1'insegnamento che

1'io-narratore avrebbe dovuto ricavare per se stesso? Pre-

sentando 1'incapacity cognitiva del nostro, il Boccaccio

offre ai lettori un esempio da non seguire e lascia 1 7opera

aperta verso altre soluzioni di effettivo superamento, nel

caso particolare il Decameron.

La lettura analitica di un'opera non puo prescindere

dal prendere in considerazione il suo titolo, soprattutto

nei casi in cui il rapporto di interdipendenza semantica non

risulta essere evidente. Questo e il caso del Corbaccio il

cui titolo, proprio per la sua incertezza etimologica e per

la sua sinteticita ha posto alia critica una costante sfida

interpretativa p e r cui e ancora valido cio che Anthony K.

Cassell scrisse venti anni or sono all'inizio del suo

articolo: "The Crow of the Fable and the Corbaccio: a S u g ­

gestion for the Title", M . L . N . , 85 (1970):

Proposals for its significance have been m any and


varied, but so far, no conclusive evidence has
been adduced (p. 83)

Si potrebbe argomentare che, dato il soggettivismo


135

critico inerente a questioni interpretative di non facile

soluzione, come nel nostro caso, non e veramente possibile

raggiungere evidenze conclusive, ma eventualmente ottenere

un continuo arricchimento di prospettive e proposte. Nel

nostro caso specifico la critica del nostro secolo ha

elaborato due direzioni etimologiche divergenti. Una ha

ritenuto di trovare le radici etimologiche del termine "cor­

baccio" nella parola "corvo" con l'aggiunta del suffisso

dispregiativo "accio". Per coloro che hanno fatto questa

scelta la questione di interdipendenza titolo-testo si e

ridotta al tentativo di identificare a chi, dei personaggi

del racconto, il titolo, con le sue implicazioni dispregia-

tive, fa riferimento. Ora la vedova-corvaccio (M. Marti)

nerovestita (G. Padoan) e vanitosa (A. K. C a s s e l l ) ; ora

l'amore che come il corvo toglie a l l 'innamorato prima gli

occhi e poi il cervello (F. Torraca, A. R o s s i ) ; oppure lo

spirito gracchiante e scornato divorato dalla passione (A.

M. I o v in o ) . L'altra direzione assunta dalla critica e di

aver cercato le radici etimologiche nella derivazione del

termine dal latino "corbis", la cui semantica subisce la

divaricazione tra un figurato "corbellare", "corbelleria" e

un proprio "trappola", "gabbia" (la trappola amorosa tesa

dalla vedova); o dall'arabo "kurbadj" con il significato di

"frusta" (l'invettiva dello spiri t o ) . Un'interpretazione

parzialmente diversa fu offerta da V. M. Jeffery la quale,

rifacendosi alle derivazioni grecizzanti di alcuni dei


136

titoli delle opere in volgare di Boccaccio, identified il

termine "corbaccio" con il significato greco di "luogo di

coloro che sono resi pazzi dalla passione" e quindi con un

sottotitolo attribuito all'opera di "labirinto d'amore"3 5 .

Nell'introduzione alia sua edizione critica del Corbac­

c i o . Tauno Nurmela presenta tra le varie possibili inter-

pretazioni, una che ritengo particolarmente interessante per

indirizzare l'attenzione non piu verso uno degli elementi

della vicenda, siano questi i personaggi figurati o no, o i

luoghi della storia, ma verso il significato dell'intera

narrazione. Scrive infatti il Nurmela (il quale tra 1'altro

lascia completamente aperto il d i b a t t i t o ) :

[Qjuesto brutto corvo [...] sarebbe al contrario,


come sembrerebbero indicare alcuni manoscritti
(per esempio F4 "Chorbaccio nimicho delle fem­
inine") , lo scrittore stesso o la sua invettiva (p.
17) .

Nella stessa direzione si muove anche R. Hollander quando

propone l'ipotesi di una associazione aviaria tra l'Ibis di

Ovidio e il corvo di Boccaccio sulla base del contenuto

satirico delle due opere3 6 ; ed inoltre afferma come il

titolo possa riferirsi sia alia vedova che al testo (op.

c i t . , 1988), p. 34, basandosi, per quanto riguarda la

vedova, sulla tradizione dei trattati medievali che

portavano il nome della persona oggetto dei loro attacchi

(op. cit., 1977), p. 140. Ma se tramite 1 'associazione con

Ovidio R. Hollander pud identificare il titolo con il testo,

Paul F. Watson3 7 , rifacendosi all'affermazione di Tauno


137

Nurmela precedentemente citata, arriva, attraverso

u n ' anali s i delle m i n i a t u r e dei manoscritti, ad una possibile

identificazione d e l n arratore (non pero identificato con il

Boccaccio) con il corvo; ed in questo accenna alia

t r a d izio n e del m i t o ovidiano delle M e tamorfosi e all'uso

errato della p a r o l a a cui in esso si fa riferimento.

Da queste conclusioni dell'articolo di Paul F. Watson

che v o r r e i partire per p r o p o r r e la mia ipotesi che m ira a

ricongiungere all'interno di una stessa t e m atica i due

filoni interpretativi a cui ho pre c e d e n t e m e n t e accennato.

Infatti s e noi accettiamo la possibility di poter

identificare il titolo d e l l 7opera c o n il suo contenuto, e

p ossibil e recuperare le v a r i e derivazioni del termine

" c o r b a " , in particolare l'eufemismo "corbellare" nel senso

di beffare, con diretto r i ferimento al comportamento della

vedova (posizione gia e s p r e s s a ) , ma soprattutto, sempre come

eufemismo, il sostantivo " c o r b e l l e r i a " , di cui il Dizionario

della letteratura italiana di Salvatore Battaglia ci offre

alia p r i m a definizione i significati;

Atto, parole da sciocco, da minchione; stupidag-


gine, sciocchezza [...] Anche: att o compiuto per
incoscenza, p e r leggerezza, che ha avuto con-
seguenze gravi (vol. Ill, p. 765).

In q uesto senso il titolo potrebbe riferirsi direttamente al

giudizio che 1 'io-narratore da di se stesso; ma piu oltre

alia t e r z a definizione troviamo: "opera, scritto a cui si

a t t r i bui s c e scarsa importanza" (ibidem, p. 765). Quindi un

diretto r i ferimento al t e s t o come opera di p o c o conto, che


138

corrisponde alle affermazioni conclusive di impotenza

dell'opera; mentre poi alia quarta definizione troviamo il

termine "facezia", che ne sottolinea l'ironia del contenuto.

Dali'altro lato e possibile stabilire il rapporto

titolo-testo e titolo-narratore nel caso in cui il termine

"corbaccio" venga fatto derivare da "corvo". Abbiamo visto

a questo proposito le varie proposte di identificazione del

corvo con i personaggi del racconto; in particolare vorrei

riferirmi alia presenza nell'opera dei due miti ovidiani

relativi al corvo. Uno, il piu breve, lo troviamo nei Fasti

(vol. II, w . 243-66) ed in questo Ovidio da una spiegazione

della vicinanza delle costellazioni del corvo, del serpente,

e della tazza. Il corvo mandato da Apollo a raccogliere

dell'acqua per una festa in onore di Giove, sulla via del

ritorno si ferma ad attendere che alcuni fichi maturino. Al

suo ritorno giustifica il suo ritardo con una menzogna

accusando il serpente di aver impedito all'acqua di scor-

rere. Apollo, conscio della menzogna, punisce il corvo

impedendogli nel futuro di bere l'acqua fresca delle fonti

prima che i frutti del fico siano maturi3 8 . II corvo viene

cosi identificato con colui che non usa correttamente le

proprie parole; ed e punito non tanto perche ha mentito, ma

perche ha sbagliato nel mentire non comprendendo la

situazione e rivolgendosi a colui che ha il dono della

profezia.

Nel secondo mito, narrato nel secondo libro delle


139

Me t a m o r f o s i . l'errore commesso dal corvo risulta piu grave

in quanto reiterato. Apollo ha amato piu volte una fan-

ciulla di Larissa, Coronis, ma la giovane sembra che lo

tradisca. II corvo, allora di piumaggio bianco, la scopre

e, sperando in una ricompensa, vola dal suo signore per

informarlo del fatto. Mentre in volo, la cornacchia, dalle

piume n ere3 9 , lo segue e lo sconsiglia di riferire ad

Apollo cio che sa. Anche lei, una volta giovane vergine e

trasformata in nera cornacchia per salvare la propria

verginita e poi divenuta compagna di Minerva, proprio per

aver fatto la spia era stata dalla dea stessa cacciata e

sostituita con la civetta. Ma il corvo orgoglioso,

ritenendo semplice malaugurio i consigli della cornacchia,

la ridicolizza e, preso dall'avidita della ricompensa, per-

segue il suo intento. Le conseguenze delle sue parole sono

tragiche; Apollo adirato colpisce a morte Coronis ma scopre

che lei e incinta e con un atto di disperazione riesce a

salvare il bambino; ma il corvo viene punito dalla rabbia

del dio, e cacciato e trasformato per sempre in un uccello

nero.

Ancora una volta l'uso errato della parola (non importa

se corrispondente o no alia verita) e il non aver compreso o

voluto comprendere il messaggio di chi gia punito e nero

era, ha impedito alia situazione di risolversi favorevol-

mente con una ricompensa. Il corvo viene cosi a finire in

una condizione di eterno rigetto, simbolizzato dal colore


140

nero, lui che aveva invece ricercato l'accettazione.

Le conclusioni di questa vicenda presentano una diretta

similarity con il comportamento del protagonista del Corbac­

cio in relazione alia sua vicenda amorosa. Anche lui non

comprende ne usa le sue parole conformemente alia situazione

e percio rimane permanentemente relegato in quella con­

dizione di affezione che aveva cercato di superare. Quindi,

come afferma R. Hollander (op. cit., 1988), n. 75, p. 54, il

riferimento alia vicenda del corvo delle Metamorfosi puo

ricondursi al contenuto dell'opera in quanto in entrambi i

casi e riportato il non casto comportamento di una donna; ma

per quanto riguarda la mia analisi io ritengo piu pregnante,

in quanto presente in entrambi i corvi ovidiani, il

riferimento alia comprensione e il conseguente uso della

p arola4 0 . Il titolo quindi, sia nel suo riferimento, piu

distante e meno probabile, all'eufemistico "corbelleria",

sia nel suo riferimento ad un "grosso e goffo corvo"4 1 , con

tutte le implicazioni appena accennate, sottolinea

l'impotenza della vicenda e del suo protagonista nel risol-

vere la situazione di affezione, motivo della composizione

dell'opera.
141

NOTE

1 Per le citazioni riguardanti il Corbaccio faccio

riferimento all'edizione critica, II Corbaccio. a cura di

Tauno Nurmela, Suomalaisen Tiedeakatemian T o i m i t u k s i a :

Annales Academiae sclentiarum F i n n i c a e . ser. B, 147 (Hel­

sinki, 1968).

2 Robert Hollander in "Appendix III: A Partial Census

of Some Critical Views Concerning Various problems in (op.

cit., 1988), presenta un dettagliato ed utilissimo schema

delle varie posizioni della critica sia nel campo tematico

che cronologico. M a nessuno dei critici accenna, sulla base

del contenuto dell'opera, alia possibility di un rapporto

narrativo in cui il Corbaccio ideologicamente preceda il

Decameron. Un accenno indiretto a cio e presente in G.

Koerting, Boccaccios Leben und Werke (Lipsia, 1880), p. 244,

dove si accenna alia possibility di una piu tarda datazione

del Decameron. 1355-56, che pero secondo le affermazioni di

Vittore Branca in "Per il testo del Decameron" . Studi di

fililogia italiana, VIII (1950), n. 1, p. 30, non sembra

avere una base documentata.

3 Angela Maria Iovino nella sua tesi non pubblicata,

"The Decameron and the Corb a c c i o : Boccaccio's Image of Women

and Spiritual Crisis" (Indiana University, 1983), critica

questa posizione facendo soprattutto riferimento alia storia


142

della critica ed in particolare alle posizioni di Giorgio

Padoan e Vittore Branca in riguardo. La Iovino d i m ostra in

xnaniera convincente l'esistenza di m i s o g i n i s m o nel Decameron

stesso.

4 Vedi Giorgio Padoan, "Sulla d a tazione del C o b a c c i o "

(op. c i t . , 1978), pp. 199-228. Gio r g i o Padoan infatti parla

di un "ripensamento religioso" (p. 211, 224) del Boccaccio

in relazione ad eventi storici e personali. L'opera si pre-

senta cos i in u n certo senso autobiografica ma non

diaristica (p. 210).

5 T r a coloro che hanno interpretato il C orbaccio come

opera satirica sono da vedere: R o b e r t Holl a n d e r (op. cit.,

1988) ; P e r Nykrog, "Playing Games w i t h Fiction: Le Ouinze

Joves de M a r r i a g e , il C o r b a c c i o . El A rciprete de Talavera",

in Craft of F i c t i o n : Essays in Medieval P o e t i c , acd. A.

Arrathon (Rochester: Michigan Solaris Press, 1984), p. 463-

541. P e r Nykrog sostiene che il Corbaccio sia essenzial-

mente u n a parodia anti-misogina. Inoltre Gian Piero Bar-

ricelli, "Satire of Satire: B o c c a c c i o 's C o r b a c c i o " . Italian

Q u a r t e r l y . XVIII (Spring 1975), pp. 95-111; Barricelli

s ostiene la consapevolezza di Boccaccio nel comporre una

satira della satira, ma alio stesso tempo identifica il

narratore- p r o t a g o n i s t a con il Boccaccio stesso. La

t r a d i z i o n e di un'autocritica percepita attraverso

l ' e s i ste n z a del comico n e l l /opera, cioe un Boccaccio che

critica sorridendo i propri errori, pud essere fatta


143

risalire, come lo stesso Barricelli osserva, al De Sanctis,

il quale scriveva nella sua Storia della letteratura

italiana. vol. 1 (Bari: Laterza, 1958): "Le risa sono a sue

[di Boccaccio] spese specialmente quando si lamenta che una

donna abbia potuto farla a lui, che pure e letterato" (p.

341). Anthony K. Cassell in riguardo accenna solo marginal-

mente all'idea della satira nel suo articolo "An Abandoned

Canvas: Structural and Moral Conflict in the Corbaccio" .

M . L . N . , 89 (1974), p. 70. Cassell e invece interessato a

sottolineare 1'immanentismo dell'opera. Per un giudizio su

questo articolo vedi anche Robert Hollander (op. cit.,

1988) , p. 3.

6 L'identificazione di cornici concentriche nell'opera

e mia. A questo riguardo Robert Hollander offre una inter-

essante struttura chiasmatica del testo (ibidem, p. 3).

7 Giovanni Boccaccio nelle sue varie opere fa spesso

riferimento ai testi della tradizione misogina medioevale.

Egli stesso ne trascrisse alcuni brani in quello che oggi e

lo Zibaldone boccacciano mediceo-laurenziano. Plut. XXIX-8,

a cura della Biblioteca mediceo-laurenziana (Firenze:

Olschki Editore, 1915). Nello Zibaldone troviamo un fram-

mento del De Nuptis di Teofrasto (Patrolocriae cursus com-

p l e t u s . series latinae, ed. M. J. Migne (Paris), 23, pp.

288-91, tramandato nel Medioevo dalle estese citazioni che

San Gerolamo ne fa nel suo Adversus Jovinianum e la lettera

di Walter Map, "Valerius Rufinus ne Ducat Ux o r e m " , De Nuois


144

C u riali u m . acd. M. R. James (Oxford, 1914). Una citazione

tratta dal JDe Nuptis si trova anche nelle Esposizioni sopra

la "Commedia" di Dante, in Tutte le opere di Giovanni Boc­

c a c c i o . acd. Giorgio Padoan, (Milano: Mondadori, 1967), pp.

693-4. Per una estesa analisi della presenza nel Corbaccio

di alcuni passi della "Sesta satira" di Giovenale, in

Juvenal and P e r s i u s . con la traduzione inglese a fianco di

G. C. Ramsay, Loeb Classical Library (Cambridge, MA: Harvard

University Press, 1965), vedi Giovanni Pinelli, "Appunti sul

Corbaccio" . II Proouanatore. 16 (1883), pp. 169-90. Inoltre

p er ulterior! informazioni sulla tradizione misogina

medievale in relazione a Boccaccio ed ai suoi contemporanei

vedi Anthony K. Cassell, "11 Corbaccio and the Secundus

Tradition", Comparative L i t e rature. 25 (1973), pp. 352-60.

Per una interpretazione del misoginismo in generale come

topos dell'ironia dell'autore vedi Lionel J. Friedman, "Jean

De Meung's Antifeminism and «Bourgeois» Realism", Modern

Phi l o l o g y . 57 (1959-60), pp. 13-23; Carleton Brown, "Mulier

est Hominis Confusio", M . L . N . , 35 (1920), pp. 479-82.

Invece per una applicazione di questa idea al Boccaccio ed

in particolare al Decameron (VIII,7) ed al C o r b a c c i o . vedi

Millicent J. Marcus, "Misogyny as Misreading: A Gloss on

Decameron VIII, 7", Stanford Italian R e v i e w . 4 (1984), pp.

23-40.

8 Francesco Bruni nel suo articolo "Dal De Vetula al

C o rbacc i o : l'idea d'amore e i due tempi dell'intellettuale",


145

Medioevo R o m a n z o . I (1974), p. 208, sottolinea la critica

fatta da Boccaccio su ispirazione del Petrarca della cultura

e della filosofia scolastiche. Sempre secondo Francesco

Bruni (n. 52, p. 189), Boccaccio ironizza nella Genealoaia

(XIV, 16, 11, p. 729), sulle dottrine d'amore mediolatine

nonche sulle relative arti retoriche e sui "dictamina" di

argomento amoroso. Una simile critica e presente in

un'altro articolo di Francesco Bruni, "Historia C a lamitatum.

Secretum, C o r b a c c i o ; tre posizioni su Luxuria (-amor) e

Superbia (-gloria)", in Boccaccio in E u r o p e ; Proceeding of

the Boccaccio Conference (Lauvain: 1977), p. 48.

9 Anthony K. Cassell n e l l 'introduzione alia sua

traduzione del Corbaccio (Chicago; University of Illinois

Press, 1975), p. XV, sottolinea come l'uso del termine

"trattato" sia un punto a favore d e l l 'interpretazione contro

l'autobiografismo dell'opera.

10 Giovanni Boccaccio, C o r b a c c i o . a cura di Pier

Giorgio Ricci, (Torino; Einaudi, 1977). La nota fa tra

l'altro riferimento ad un'altra pagina piu avanti nel testo

in cui lo spirito parlando di un "secondo Ansalone" afferma

che "mal conoscente del bene che Dio gli ha fatto, pur vi si

e messo [con la vedova]" (p. 74). Anche questo secondo "mal

conoscente" viene a dimostrare l'esattezza della mia

affermazione. II "secondo Ansalone" e uno di quelli che non

ha compreso. La stessa sorte spettera al nostro

protag o n i s t a .
146

11 Contrariamente a quanto afferma Pier Giorgio Ricci

che " [il Boccaccio] vu o l e d u nque a s s e g n a r e a l l 7opera

esclusiv a m e n t e un intento morale" (op. cit., 1985), n. 11,

p. 3, rit e n g o che il fine dell'opera sia essenzialmente un

m e s s a g g i o didattico-utilitarista, che insegni ai lettori

u n ' u t i l e m aniera di c o m p o r t a m e n t o .

12 A questo proposito An t h o n y K. Cassell scrive: " Boc­

caccio's u s e of the first-person narrator, similarly, cannot

be co n s i d e r e d as evidence that the w o r k is c o n f e s s i o n a l , for

it d i r e c t l y follows the convention of m e d i e v a l didactic lit­

erature, in which the "I" was meant to invite identification

wit h the reader rather than the author" (op. cit., 1975), p.

XIII.

La fenomenologia sentimentale del protagonista e

d i r e t t a m e n t e modellata sulle regole c h e A n drea Cappellano

formula nel De A m o r e . L'innamoramento e una condizione

o r iginat a dalla vista dell'oggetto d ' a m o r e ed e una c o n ­

d i z ione di sofferenza emotiva (book I, I, 2; 8); il

p r o t a g o n i s t a si trova nel primo stadio d e l l ' a m o r e e non

andra o l t r e (book I, 6; A, 60); lui e c o n v i n t o che secondo

le r egol e lei non potra rifiutare il s u o amore (book I, 6;

E, 210) ; il sentimento e m antenuto seg r e t o e solo un inter-

m e d i a r i o confidente di entrambi ne e al c o r rente (book II,

I, 1) .
P er una dettagliata analisi della p r e s e n z a dell'opera

di A n d r e a Cappellano nel Corbaccio ved i le n o t e 13, 62, 65-


147

9, 71-2, 81, nella traduzione inglese di Anthony K. Cassell.

In particolare per quanto riguarda la presenza delle regole

dell'amore cortese nel comportamento del protagonista Cas­

sell afferma che "all the traditional stages of love present

in the Decameron and outlined by Vittore Branca in his Boc­

caccio medievale, (1956), p. 147, are to be found in the

Corbaccio as well" (n. 13, p. 82); e piu oltre in una nota

critica verso Giorgio Padoan, Cassell scrive che "it is an

error, I believe that Padoan (1963, p. 9) has stated that

the aristocratic and courtly conception of love «here

vanishes completly». The narrator-protagonist of the

treatise follows the canons of Andreas Cappellanus' first

two books very closely in spite of the Spirit's ardent

antifeminism" (n. 65, p. 90).

Vorrei comunque aggiungere, p e r bilanciare questa

polarizzazione, come il protagonista sin dalla formulazione

del primo giudizio su se stesso, sia critico di quelle

regole cortesi da lui adottate nel relazionarsi alia vedova.

Per ulteriori riferimenti alia presenza delle regole

dell'amor cortese nel Corbaccio vedi Mario Marti, "Per una

metalettura del Corb a c c i o; il ripudio speculare del mondo di

Fiammetta", D a n t e . Boccaccio, L e o p a r d i . studi, (Liguori,

1980), pp. 209-37. La stessa concezione e comunque con-

dannata nell'opera e Mario Marti in proposito afferma che

"[l]a concezione dell'amore cortese, cosi umanamente

sublimato nel mito di Fiammetta, qui viene radicalmente


148

ripudiata, poiche dalla struttura canonica dell'amore

cortese (ora pero metaforizzato, come s'e detto in bassa e

volgare passione dei sensi, in completo accecamento della

passione, in desiderio di sesso) e sostenuta 1'opera intera

[...]. E tuttavia Fiammetta si spegne nel Corbaccio come

mito dell'amor cortese, la dove la corte d'amore si tramuta

in «porcile di Venere»'| (p. 230) .

Mentre condivido l'idea che nel Corbaccio esista un

ripudio, o meglio una critica pragmatica delle regole

cortesi dell'amore, non sono d'accordo con l'idea di

metaforizzazione in senso immanente e negativo del Marti, in

quanto Cappellano stesso fa piu volte diretto riferimento

alia presenza del desiderio erotico ed al suo sod-

disfacimento all'interno del rapporto d'amore; inoltre

nell'Eleaia Fiammetta mette in discussione, attraverso le

sue lamentazioni, la validita della dinamica affettiva anche

se lei personalmente non riesce a liberarsene.

14 L'enfasi martellante e sottolineata lessicalmente

dalla presenza di un alto numero di clitici, di pronomi e

aggettivi di seconda persona singolare. Nelle settantasei

righe del monologo (13-46) troviamo ottantatre clitici sog-

getto, oggetto e complemento indiretto nelle forme

enclitiche e proclitiche, in alcuni casi con una densita di

quattro o cinque per riga; ed inoltre tredici aggettivi e

pronomi possessivi.

15 Dante Alighieri, La Divina Commedia. acd. Natalino


149

Sapegno, (Firenze; "La nuova Italia" editrice, 1974), vol. I

(Inferno), V, p. 103.

16 A ques t o punto della n a r r a z i o n e Robert H o l l a n d e r

sottolinea com e qui per la prima v o l t a si accenni all'idea

di v e n d e t t a e la si nomini apert a m e n t e (op. c i t . , 1988), p.

7, e come da qui "the narrator will b end his p u r p o s e on

revenge. If he cannot get sexual pleasure, he will at least

get even" (ibidem, p. 8). Ritengo invece che a questo punto

della vic e n d a l'idea di vendetta sia ancora in embrione, in

q uanto scopo pr i n c i p a l e dell'io p e n s i e r o e di d i s s u a d e r e il

nostro dal s u i c i d i o e di fargli recuperare s t i m a in se

stesso. Sceg l i e r e di vivere s ignifies solo indirettamente,

vendicarsi; s e mpre nel caso che la vedova lo odi.

17 N e l l 'introdurre e nel commentare la v e n u t a dell'io-

pens i e r o il prot a g o n i s t a fa rifer i m e n t o alia p r o w i d e n z a

divina. A l l ' i n i z i o perb egli assume una p o s i z i o n e di dubbio

e possib i l i t y sottolineata dall'uso del verbo credere. Al

termine dell'esp e r i e n z a invece il protagonista si fa p i u

ardito in quan t o afferma che "questo pensiero, si com'io

arbitro, [e] dal piissimo Padre dei lumi mandato..." (47).

II passaggio, qui all'inizio della narrazione, dal credere

all'arbi t r a r e nei confronti di un evento r a z ionalmente

inesplicabile, ci offre delle indicazioni circa il futuro

atteggia m e n t o del nostro, cioe di colui che g i u d i c a dopo

a ver fideist i c a m e n t e creduto piu che razionalmente compreso.

18 F r equentare gli amici come antidoto c o n t r o la malat-


150

tia d'amore e un topos che troviamo gia in Ovidio quando nel

Remedia Amoris, sottolineando la pericolosita dell'ozio sug-

gerisce l'azione per risolvere la sofferenza amorosa. "Sunt

fora, sunt leges, sunt, quos tuearis, amici" (150), Ovid,

The Art of Love and Other P o e m s . con traduzione inglese a

fianco di G. H. Mozley, Loeb Classical Library (Cambridge,

MA: Harvard University Press, 1962), p. 188-9. Lo stesso

tema sara ripreso nel proemio del Decameron dove la

gratitudine verso gli amici e il motivo della composizione

dell'opera.

19 Anche se parte di queste espressioni possono essere

state introdotte da Boccaccio sia come stilemi retorici che

come espedienti dello spirito per rassicurare il proprio

discepolo, in alcune, come vedremo, il dubbio espresso e

tale da farci pensare ad una voluta messa in crisi

dell'autorita dello spirito da parte di Boccaccio.

20 Nel Decameron troviamo oltre alia narrazione di vari

sogni, una soluzione pratica presentata da Panfilo sulla

questione della veridicita dei sogni (IV, 6, 4-7). Le

affermazioni di Panfilo possono essere considerate come una

chiosa al comportamento intellettuale del nostro

protagonista.

21 Francesco Bruni (op. cit., 1974) accenna,

all'interno di una interpretazione in alcuni punti

decisamente autobiografica, all'idea della liberazione del

protagonista (nel suo caso identificato con Boccaccio) in


151

seguito a l l 'insegnamento ricevuto dal maestro, Ovidio. Cosi

infatti il Bruni scrive: " [T]uttavia il maestro venerato e

imitato delle opere giovanili [Ovidio] ha indicato al dis-

cepolo anche la via del superamento di se stesso e la

direzione nella quale deve svolgersi l'attivita del nuovo

intellettuale, liberato da un mito dell'amore che aveva

finito per rivelarsi progressivamente come un blocco anziche

come uno stimolo positivo" (p. 194). Il Bruni pone cosi il

rapporto discepolo-spirito all'interno del Corbaccio come

diretta espressione del rapporto Boccaccio-Ovidio; anche se

piu oltre sottolinea alcune differenze tra il personaggio

dello spirito e il ruolo del De V e t u l a . come interpretazione

medievale di Ovidio, sull'opera di Boccaccio (n. 91, p.

209). Egli non si rende pero conto del fallimento da parte

del discepolo circa il superamento di se stesso e quindi

della liberazione dalle panie amorose.

22 Ho gia accennato precedentemente (cfr., n. 16) alle

caratteristiche dell'idea di vendetta cosi come viena pre-

sentata dall'io-pensiero. In realta nel Corbaccio e pre­

sente uno sviluppo dell'idea di vendetta; dalla fase

embrionale gia menzionata, come risultato indiretto della

positiva scelta di vivere, alia totalizzante idea finale,

dopo l'esperienza del sogno, in cui la vendetta diviene per

il protagonista lo scopo della sua vita, il mezzo di

espiazione del proprio errore, e la salvazione di chi non ne

ha fatto richiesta, la vedova.


152

23 Per una parziale bibliografia sulla poesia onirica

medievale in generale, sono da vedere Howard Rolling Patch,

The Other World According to Descriptions in Medieval Lit­

erature (Cambridge Ma: Harvard University Press, 1970) ;

Kathryn Lynch, The High Medieval Dream V i s i o n : P o e t r y .

Philosophy, and Literary Forms (Stanford: Stanford

University Press, 1988); D. D. R. Owen, The Vision of H e l l :

Infernal Journey in Medieval Literature (Edinburg, 1970) ;

Paul Piehler, The Visionary Land s c a p e : a Study in Medieval

Allegory (London, 1971); Francis Xavier Newman " Somnium:

Medieval Theories of Dreaming and the Form of Vision-

Poetry", Ph.D. Dissertation, Princeton University, 1962.

Per argomenti piu specifici e vicini alia nostra opera

vedi B. Jones, "Dreams and Ideology: Decameron IV, 6", Studi

sul Bocc a c c i o . X (1977-78), pp. 149-61; Franco Cardini,

"Sognare a Firenze fra '300 e '400", Ouaderni m e d i e v a l i . IX

(1980), pp. 86-120; ed anche Vittore Branca, "L'Amqrosa

Visione (tradizione, significato, fortuna)" (op. cit.,

1942) , per la tradizione e conoscenza del Boccaccio.

24 Macrobius, Commentary on the Dream of S c i p i o ,

traduzione di William Harris Stahl (New York: Columbia

University Press, 1952). Questa classificazione che diverra

la posizione "ufficiale" durante il Medioevo, si trova alle

pp. 87-90.

25 Anthony K. Cassell scrive a proposito della

tradizionale poesia onirica che "dreams and visions had


153

always been one of the ways to d e s cribe supernatural

realities wh i l e p e r m itting the n a r rator to escape the

opprobrium of c l a iming superior prophetic p o w e r s and wisdom"

(op. cit., 1975), Int., p. XVI.

26 L'intertestualita con la Commedia e stata det-

tagliatamente analizzata da Robe r t Hollander (op. cit.,

1988) , pp. 59-71. Comunque ment r e Virgilio ha verso Dante

solo un ruolo di guida attraverso 1 ' Inferno ed il

Purgatorio, qui lo spirito "mutatis mutandis", assume non il

ruolo di guida ma di salvatore del protagonista dato

1 'orientamento immanente e non trascendente d e l l 'esperienza

onirica. U n a altra guida, m a n d a t a dal cielo al Poeta,

l'abbiamo gia incontrata nell'Amo r o s a V i s i o n e . In t a l e caso

1 ' immanentismo della visione si manifesta, al di la del

pesante velo allegorico, non nella forza di c o n v i n c i m e n t o

della guida quanto nella sua debolezza; cioe n e l l 'incapacity

di convincere il p r o t agonista-discepolo a t r ascendere il

desiderio p e r le delizie terrene.

27 L'uso del verbo "parere" ha nell'opera significati

plurimi, la cui analisi risulta particolarmente interessante

per la mia tesi. Nello studio dei vari significati faccio

riferimento a Salvatore Battaglia, Grande d i z i onario della

letteratura italiana, vol. XII (Torino: U.T.E.T., 1984), pp.

592-4. L'uso p i u comune che viene fatto nell'opera lo

troviamo alia tredicesima defini z i o n e con il s i g n i f i c a t o di

"avere 1'impressione, la sensazione, credere di essere o di


154

fare (anche in s o gno)". Questo e l'uso meno problematico in

quanto si rifa alia tradizionale descrizione dell'esperienza

onirica. In questo senso l'uso di "parere" serve a

distinguere la natura apparente del sogno dalla condizione

di veglia (Dante fra gli altri ne fa u n ampio uso nelle

visioni e nei sogni della Vita Nuoya). Ma Boccaccio nel

Corbaccio usa piu volte il termine "parere" con riferimento

a pensieri, opinioni o convinzioni sia del protagonista che

dello spirito. Ora esiste la possibility etimologica che il

termine possa riferirsi a situazioni di dubbio secondo la

prima e la decima definizione offertaci dal Battaglia. Alla

prima infatti troviamo: "Mostrarsi, manifestarsi alia

conoscenza e all'esperienza sensoriale ed intelletuale in

modo non necessariamente coincidente c o n la realta..."; ed

alia decima invece: "Risultare in base ad una conoscenza o

una esperienza effettuata da una persona che deduce ed

argomenta su congetture, supposizioni, semplici indizi

(talvolta discutibili), convinzioni personali, giungendo ad

avere la persuasione (piu o meno ferma) che una cosa, una

persona, un a w e n i m e n t o siano quali si presentano alia

valutazione e all'opinione soggettiva". Da sottolineare tra

l'altro e che in entrambe le definizioni il Battaglia cita

Boccaccio.

28 Trovo interessante che il processo a cui la vedova e

la donna in generale, sono sottoposte d a l l o spirito, non

abbia il beneficio dell'autodifesa. Nel testo e lasciata in


155

un certo senso mano libera all'accusa, e cio mette in dub-

bio, proprio per la mancanza di confronto, la sua

veridicita. II concetto scolastico della dogmaticita del

testo viene cosi indirettamente criticato proprio nel per-

sonaggio dello spirito.

29 Contrariamente alia tradizione della Commedia in cui

le anime purgatoriali hanno nostalgia della loro passata

condizione umana, e il dimenticarla e lo scopo della loro

espiazione, lo spirito non sembra fare nessun tentativo in

quella direzione.

30 Angela M. Iovino (op. cit., 1983), cap. 3, fa

riferimento alia dipendenza dello spirito nei confronti

della vedova proprio in questo suo desiderio voieristico.

Egli mantiene quindi un atteggiamento espressamente

ambivalente.

31 Nelle note delle varie edizioni del Corbaccio da me

prese in considerazione: Giovanni Boccaccio, Il C orbaccio.

testo critico di Tauno Nurmela (op. cit., 1968); Giovanni

Boccaccio, Opere minori in v o l o a r e . a cura di Mario Marti,

(Milano: Rizzoli, 1972), nn. 461-2, p. 286, ; Giovanni Boc­

caccio, Corbaccio. a cura di Pier Giorgio Ricci, (op. cit.,

1977), nn. 7-9, p. 75; Giovanni Boccaccio, Opere, a cura di

Cesare Segre, (Milano: Mursia, 1966), nn. 410-1, p. 1361,

non si fa alcun particolare riferimento a questa con-

traddizione che, o viene risolta in note separate senza

alcuna correlazione, o non viene neppure annotata. In


156

particolare il Nurmela, che risolve la frase in due parti

separate, aggiunge una specificazione per il secondo "qua"

considerandolo come "dal regno dei morti" (n. 454, p. 181).

Solo nel testo tradotto da Anthony K. Cassell troviamo una

nota singola che, senza derivare alcuna conclusione,

semplicemente accenna al problema. "Here (di qua)" —

scrive Cassell — "apparently refers to Purgatory, and there

(di la) at the world of the living. However in the clause

following (it is granted to us by God to come here), the

here apparently refers to this world and to the Pigsty of

Venus" (op. cit., 1975), n. 280, p. 142.

Interessante e anche l'uso che Cassell fa del termine,

"apparently", dopo l'aver sottolineato l'uso che Boccaccio

fa del verbo, "parere", nel Corbaccio (cfr., n. 27).

32 L'indifferenza verso l'oggetto precedentemente

amato, in contrapposizione all'odio, come indice

d e l l ' a w e n u t o superamento dell'affezione amorosa e

chiaramente esplicato da Ovidio nel Remedia Amoris, quando

afferma: "Non curare sat est: odio qui finit amorem,/ aut

amat, aut aegre desinet esse miser", w . 657-8. Ritengo tra

l'altro che questi due versi siano fondamentali per com-

prendere come il Remedia Amoris sia non tanto una

ricantazione di cio che e stato affermato nell' Ars

A m a t o r i a . ma come in esso Ovidio esplichi le regole

dell'arte dis-amatoria, come uno degli aspetti dell'arte di

amare. Amore e dis-amore divengono le due faccie della


157

stessa medaglia. In questo senso ritengo che il Remedia

Amoris non possa essere considerato (nonostante alcuni

innegabili contributi intertestuali) come il capostipite

della tradizione delle opere che condannano il fenomeno

dell'innamoramento; tra queste la critica tradizionale

annovera il De Reprobatione Amoris di Andrea Cappellano, in

contrapposizione al suo De A m o r e . ed il Corbaccio in con-

trapposizione al Decameron. Ritengo che il rapporto tra

queste coppie di opere sia a livello di topos, ma che cias-

cuna coppia presenti una interrelazione propria. Fanno

riferimento a questi versi di Ovidio anche Anthony K. Cas­

sell (op. cit., 1974), p. 68; e (1975), p. XXIV; e Robert

Hollander (op. cit., 1988), n. 33, p. 81.

33 Sul ruolo del lettore vedi anche Marina Scordilis-

Brownlee, “Hermeneutics of Reading in the Corbacho" . in

Medieval Texts and Contemporary R e a d e r s , acd. L. A. Finke

and M. B. Shictman (New York: Cornell University Press,

1987), pp. 216-33; ed in riferimento al Decameron VIII, 7,

ed al Corbaccio vedi Millicent J. Marcus (op. cit., 1984),

pp. 32-34.

34 Interessante sottolineare la similarity del Corbac­

cio con la Vita Nuova anche per quanto riguarda la mancanza

di una chiusura. Entrambi le opere rimangono infatti aperte

nella loro conclusione ed entrambi fanno riferimento alia

composizione di una seguente opera. La differenza sta pero

nel fatto che mentre 1'autore della Vita Nuova si propone di


158

cercare parole piu adatte a lodare la propria donna, il

protagonista del Corbaccio si propone di offrire parole o

azioni piu adatte a denigrare o ferire la vedova. Per

riferimenti sulla conclusione in rapporto anche alia Vita

N u o v a . vedi Giuseppe I. Lopriore, "Osservazioni sul Corbac­

cio11. Rasseana della letteratura i t a l i a n a . 60 (1956), p.

486.

35 Vedi Violet M. Jeffery, "Boccaccio's Titles and the

Meaning of Corbaccio" . Modern Language R e v i e w . 28 (1933),

pp. 194-204. Gli altri saggi a cui faccio riferimento sono,

oltre ai gia citati titoli di A. K. Cassell (op. cit., 1970)

e Mario Marti (op. cit., 1980): Giorgio Padoan, "Ancora

sulla datazione e sul titolo del Corbaccio", Lettere

italiane, XV (1963), pp. 200-1, ora in (op. cit., 1978), pp.

199-228; Francesco Torraca, Per la biografia di Giovanni

Boccaccio (Roma: Dante Alighieri, 1912), pp. 131-50; Aldo

Rossi, "Proposta per un titolo del Boccaccio: il C orbaccio" .

Studi di filologia italiana. 20-1 (1962-3), pp. 383-90;

Angela Maria Iovino, (op. cit., 1983) pp. 220-3. Per una

visione complessiva del problema vedi anche R. Hollander,

(op. cit., 1988), app. Ill, p. 77.

36 Robert Hollander, (op. cit., 1977), p. 140; ed

ancora (op. cit., 1988), pp. 33-5. Ritengo la proposta di

R. Hollander di una auto-identificazione di Boccaccio con

Ovidio in relazione al binomio Dante-Virgilio, molto inter-

essante e senz'altro degna di ulteriori studi, cosi come


159

1 ' identificazione dell'Ibis con il C o r b a c c i o . n o n o stante che

la satira ovidiana, come elenco di accuse e maledizioni,

manchi della complessity dialogica del C o r b a c c i o . ed in

ultima analisi di tutti quei riferimenti a l l 'importanza del

comprendere che, come dimostrato, ritengo costituiscano il

tema di fondo d e l l 'opera di Boccaccio. H ollander accenna

inoltre alia possi b i l i t y di una derivazione anagrammatica

del titolo (corbacc i o / B o [ r ] c a c c i o ) , (op. cit., 1988), p. 34.

Questa po ssibility gia accennata e rigettata da V. M. J e f ­

fery (op. cit., 1933), p. 199, mi sembra contr a s t a r e con le

affermazioni di non-autobiograficita dell'opera ampiamente

sostenute da Hollander.

37 Paul F. Watson, "An Immodest Proposal, Concerning

the Corbaccio", Studi sul B o c c a c c i o . XVI (1987), pp. 315-24.

Approfitt o di questa nota p e r ringraziare il Prof e s s o r W a t ­

son di avermi dat o accesso al suo articolo prima d e l l a pub-

blicazione.

38 Scrive infatti Ovidio: "[A]ddis" ait "culpae

mendacia," Phoebus "et audes/ fatidicum verbis fallere velle

deum?/ at tibi, dum lactens haerebit in arbore ficus,/ de

nullo gelidae fonte bibentur aquae.", vol. II, w . 261-64;

da, Fasti, con t r a d uzione inglese a fianco di J. G. Frazer,

Loeb Classical L i b r a r y (Cambridge MA: Harvard Un i v e r s i t y

Press, 1976).

39 A questo proposito vorrei sottolineare

un'imprecisione fatta da Paul F. W a tson quando afferma che


160

cornacchie (crows) e corvi (raven) sono entrambi bianchi

p r i m a di essere trasformati in neri (op. cit., 1987), p. 8 a

causa dell'uso che fanno della parola. In realta, sempre

secondo Ovidio, la cornacchia e originar i a m e n t e nera

(M e t a m o r p h o s e s . boo k II, w . 580-1, p. 100).

40 Un riferimento indiretto all'uso della p a r o l a

scritta come letteratura ricavata dai miti ovidiani e p a r a l ­

lels al tema d e l l a lussuria nel C orbaccio lo troviamo

n e l l 'interpretazione m o ralistica che J. L. Smarr fa

dell'opera. La Smarr infatti scrive: "The crow of the title

m a y refer to t h e theme of good and bad w r i t i n g as well as to

the theme of lust. The raven (corvus) acco r d i n g to Ovid's

Fasti (II. 243-66) is a liar, a fraudulent servant to none

other than Apollo, god of poets. A t hena sets the c row in

opposition to t h e owl: on one side the b i r d of wisdom; on

the other side t h e idle chatterer." (op. cit., 1986), p.

159. Int e r essante mi sembra comunque sottolineare, per

1 ' impostazione m o ralistica che la Smarr da a tutto il suo

lavoro, come in questo caso p a rticolare la v ergine figlia

del re Coroneo, trasformata in cornacchia per salvare la

p r o pria castita, sia sostituita, come lei stessa laments, da

Nyctimene, fanciulla trasformata in civetta per il suo r a p ­

porto incestuoso con il padre (M e t a m o r f o s i . II, w . 589-95).

In questo caso la saggezza sembra d e r ivare direttamente

dall'esperienza della lussuria.

41 Vorrei a questo proposito r i ngraziare il Professor


161

Ruggero Stefanini che gentilmente mi ha offerto importanti

delucidazioni etimologiche, soprattutto per quanto riguarda

1 'associazione di uccelli di una certa dimensione con

metafore sulla stupidita, e l'uso delle stesse come titoli

di opere.
162

Capitolo IV

II Deca m e r o n :

chiose al Corbaccio.

Un irrisolto argomento riguardante il Corbaccio si

riferisce alia datazione. Essenzialmente il lungo dibattito

sulla cronologia dell'opera e dovuto alia mancanza di un

documento o di un preciso riferimento circa la sua com-

posizione. Gia nel settecento con il Manni i critici si

sono indirizzati al testo nella speranza che potesse fornire

indicazioni cronologiche utili; ed in particolare si sono

accapigliati sull'interpretazione di una osservazione fatta

dallo spirito nei riguardi della vita del discepolo, mentre

lo rimprovera di essersi innamorato nonostante la sua eta ed

i suoi studi:

E primieramente la tua eta [doveva renderti guar-


dingo dagli amorosi lacciuoli], la quale se le
tempie gia bianche e la canuta barba non mi
ingannano, tu dovresti avere li costumi del mondo,
fuori delle fasce gia sono degli anni quaranta e
gia sono venticinque cominciatoli a conoscere
(179).

La prima interpretazione di questa frase alia quale, data la

mancanza di altre fonti, e stata data una attenzione ecces-

siva che ha portato a considerarla piu ricca di informazioni

di quante in realta ne abbia prodotte, e che la possibile

datazione del Corbaccio sia, anno piu anno meno, intorno al


163

1354-55 (una disquisizione sulla lung h e z z a del per i o d o in

cui i bambini dell'epoca del B occaccio venivano tenuti

fasciati ha occupato coloro che ricer c a v a n o una data

puntuale) -1-.

Questa posizione tradizionale e poi stata messa in

discussione da G iorgio Padoan, il q u a l e nell'articolo citato

(1963) aveva proposto, sempre sulla b a s e della frase sopra

menzionata ma con l'aggiunta di un "per" prima di "la quale"

e con una diversa interpunzione, la d a t a del 1365-66. In

seguito in una ristampa dello stesso articolo (op. c i t . ,

1978), Padoan m a n t i e n e la stessa d a t a z i o n e ma non la basa

p i u sull'ormai famosa frase, di cui r iconosce la non

validita per una interpretazione cronologica, ma su altri

elementi opinabili derivati da un e s a m e interno d e l l ' o p e r a 2 .

Innanzi tutto una distanza sul piano stilistico e con-

t enutistico rispetto al Decameron e a l l e opere precedenti;

p e r esempio la critica, in termini misogini, dell'ideale

dell'amo r cortese presente nelle opere precedenti il C o r b a c ­

cio ed in particolare nel Decameron (A. M. Iovino fa

un'ampia e convincente critica di q u e s t o punto nel secondo

capitolo della sua opera c i t a t a ) . Inoltre, sempre secondo

Padoan, "la pens o s i t a moraleggiante, il tono didascalico, il

tipo di letterarieta" (op. cit., 1978), p. 210, dell'opera

sembra richiamare a lle opere tarde, in particolare ad uno

stretto rapporto con le Es o o s i z i o n i :

Corbaccio ed Esposizioni r i v e l a n o dunque una


affinita di stile, di cultura, di ideologia dav-
164

vero notevole, e che presuppone anche una


vicinanza cronologica delle due opere. Tuttavia
esse non sono contemporanee (ibidem, p. 215).

Poi ancora la mancata fusione nell'operetta di linguaggio

letterario e popolaresco primo segno dello spacco profondo

creato dall'Umanesimo, con la conseguente immagine dello

studioso isolato dal mondo secondo l'ideologia petrarchesca.

E poi di nuovo Padoan, con una insistenza che tradisce la

necessita di un elemento empirico con cui poter sustanziare

le varie intuizioni soggettive, fa riferimento nell'opera

alia frase: "se la reina Giovanna giochi la notte passata

col re" (379) ; ed anche in questo caso la certezza delle

conclusioni di Padoan e stata messa in discussione da A. K.

Cassell (op. cit., 1975), n. 231, p. 133. Ma la ricerca

testuale non sembra proporre che ipotesi una volta che si

tenta di interpretare come autobiografici passi quali: "a te

s'appartiene [la frase si riferisce al discepolo] e so che

tu il conosci, piu d'usar i luoghi solitari che le

moltitudini" (282), e in Padoan (op. cit., 1978), p. 218;

oppure, sempre riferito al discepolo: "Domine dagli il

malannol Torni a sarchiar le cipolle e lasci star le gentil

donne" (459) e (ibidem , p. 223). Ed anche nella con-

clusione del suo articolo Padoan offre solo una probabile

datazione; cosi infatti egli scrive:

L'aver stabilito attraverso l'esame interno


dell'opera, per elementi vari e diversi, la data
di composizione del Corb a c c i o . che e pertanto
probabilmente posteriore di circa un decennio
rispetto alia collocazione tradizionale (p. 228).
165

Da sottolineare mi sembra qui l'evidente contraddizione

esistente nelle parole di Padoan tra l'affermativo "aver

stabilito" e l'ipotetico "probabilmente", oltre al nebuloso

"circa". Ma lo scopo di Padoan sembra essere soprattutto

quello di poter individuare un periodo di datazione pos-

sibile che gli permetta di porre "in crisi quella divisione

della vita di Boccaccio in due grandi periodi, cara ai

manuali ed accettata in generale dagli studiosi" (op. cit.,

1978), p. 228. Comunque, come sottolinea anche R. Hol­

lander3 , tutti i critici che, come Padoan, si sono proposti

di identificare una possibile datazione dell'opera e che

hanno poi preso posizione a favore di una delle due ipotesi

proposte, hanno basato le proprie ricerche sul presupposto

autobiografismo del Corbaccio.

Una volta quindi dimostrata 1'impossibility di provare

l'identita Boccaccio-narratore e proposta 1'ipotesi di una

divaricazione di intenti, non potendo prescindere dal testo

stesso come unico dato oggettivo in nostro possesso, intendo

rivolgere la mia analisi a quei passi e riferimenti del Cor­

baccio che presentano un diretto rapporto, sia intertestuale

che tematico, con il D e cameron. Cercando quindi di evitare

ogni coinvolgimento in questioni di datazione che, non mi

stanchero di reiterare, considero incapaci di produrre

inopinabili soluzioni, intendo aggiungere un'ulteriore

proposta interpretativa (dopo tutto e attraverso il

pluralismo interpretativo che ermeneuticamente arricchiamo


166

la critica di un testo ed indirettamente il testo stesso)

secondo la quale le pagine del Decameron presentano esempi

di soluzioni positive che possono essere lette come chiose

alle argomentazioni e problematiche del Corbaccio4 . Senza

volere pero analizzare completamente il D e c a m e r o n . compito

che affrontero nel seguente capitolo, qui intendo limitarmi

ai punti di contatto tra le due opere che fanno riferimento

alia dinamica tra amore e comprensione. All'interno di cio

voglio dimostrare come le chiose decameroniane si

inseriscono in quel processo ideologico di critica alia

tradizione e di proposta di nuove soluzioni morali e

culturali iniziatosi nelle opere precedenti e di cui anche

il Corbaccio fa parte.

Prendiamo per primo in considerazione i proemi delle

due opere (per evitare ripetizioni faro riferimento al

proemio del Corbaccio con pC e con pD al proemio del

Decameron) . In pC il concetto presentato inizialmente e

l'idea di ingratitudine contrapposta alia pieta, e il nar-

ratore proprio in quanto grato verso Dio, e pietoso verso

quella parte di umanita che potrebbe finire col trovarsi nei

suoi stessi guai. Da qui l'utilita dell'opera come

a w e r t i m e n t o per coloro che la leggeranno. Abbiamo a questo

proposito gia visto come lo scopo utilitaristico sia l'unico

veramente messo in atto, mentre lo scopo di gratitudine ed

espiazione nei confronti di Dio e rimandato ad un prossimo

futuro. II pD comincia con la famosa frase: "Umana cosa e


167

l 7aver compa s s i o n e agli afflitti" (Pr. 2 ) 5 . L 7acc e n t o e

quindi immediatamente posto sulla s o lidarieta umana, sul

soffrire assieme, come chiarito d a l l 7etimologia stessa della

parola m o d e l l a t a sul greco " s y m p a t h e i a " 6 , s u l l 7idea cioe di

pieta ve r s o gli altri7 . E subito dopo, nella frase che

segue, si afferma come la compa s s i o n e sia m a s s i m a m e n t e

richiesta a c o loro "li quali gia ha n n o di c o n forto avuto

mestiere, e hannol trovato in alcuni; f r a 7 quali se alcuno

mai n 7ebbe bi s o g n o o gli fu caro o gia ne rice v e t t e piacere,

io sono uno di quegli" (Pr. 2). La c o mpassione deve dunque

v e nire da coloro che ne hanno gia s p e r imentato i benefici.

Coloro che hanno gia avuto e s p e rienza della sofferenza e che

l 7hanno superata tramite la pieta altrui, d e vono per

solidarieta u m a n a e come g r a t i t u d i n e ve r s o chi g l i e l 7ha

fornita, offrirla a coloro che ancora soffrono.

N o n cosi e invece la c o n d izione in pC d o v e gratitudine

e pi e t a hanno d u e obbiettivi diversi, la pr i m a v e r s o Dio, la

seconda verso il prossimo. E di nuovo in pD l 7unita dei due

termini mira al superamento dello stato di sofferenza, che

in entrambi le opere e quella amorosa, e ad un capovol-

gi m ento di prospettiva. Nel p D si p a r t e da una condizione

di superamento d e l l 7affezione amorosa; scrive infatti

1 7a u t o r e :

II m i o amore, oltre a o g n 7altro fervente e il


quale niuna forza di p r o p onimento e di consiglio o
di vergogna evidente, o peric o l o che s e guir ne
potesse, aveva p o tuto ne rompere ne piegare, per
se medesimo in p r o c e s s o di tempo si dim i n u i in
guisa, che sol di se nella mente m 7ha al presente
168

lasciato quel piacere che egli e usato di porgere


a chi troppo non si mette ne' suoi piu cupi
pelaghi navigando; per che, dove faticoso esser
solea, ogni affanno togliendo via, dilettevole il
sento esser rimaso (Pr. 5)8 .

E poi si offre di aiutare il mondo esterno. In pC la prob-

lematica e invece piu frammentaria e decisamente meno

risolta. Le non superate pene d'axnore danno origine ad una

narrazione-sfogo che, come abbiamo visto, nelle conclusioni

viene riducendo il proprio scopo alia sola utilita dei let-

tori, mentre il protagonista esclude erroneamente se stesso

anche da ogni successo vendicativo e quindi espiatorio. In

pD la gratitudine e invece messa a profitto e l'utilita che

1'opera pud fornire al prossimo, sia nel senso di diletto

come ri-creazione, che di utile consiglio, diviene l'unico

scopo dell'opera. Quindi dalla memoria dei benefici

ricevuti nasce il desiderio-dovere di compassione come virtu

il cui effetto e di alleviare le pene del prossimo; e chi

piu delle donne, e la domanda che l'autore si pone nella

conclusione del proemio, costrette in ozio a sopportare la

noia delle pene amorose, e degno di parole compassionevoli?

II Decameron offre nel proemio una condizione di partenza

(l'aver superato una dolorosa affezione amorosa) auspicabile

non solo per risolvere le psicomachie del protagonista del

Corbaccio ma anche quelle di Fiammetta nell'Eleoia9 . In pD

la catarsi e infatti ormai a w e n u t a ; la condizione di

innamoramento, che "per se medesim[a] in processo di tempo

si diminui” (Pr. 5), ha lasciato ricordi piacevoli una volta


169

compreso che l'errore era insito nell'amante non nell'amato:

Quantunque appo coloro che discreti erano e alia


cui notizia pervenne io ne fossi lodato e da molto
piti reputato, nondimeno mi fu egli [amore] di
grandissima fatica a sofferire, certo non per
crudelta della donna amata, ma per soperchio fuoco
nella mente concetto da poco regolato appetito
(Pr. 3) .

Ma queste sono le conclusioni a cui il protagonista del Cor-

baccio sarebbe potuto pervenire se avesse coerentemente

seguito i consigli del proprio pensiero rimossi invece

dall'introduzione di quel termine "quasi".

In entrambi i proemi troviamo un riferimento alia

divinita come agente p r o w i d e n z i a l e della salvezza del

protagonista, cioe il distoglierlo dal desiderio di morte1 0 .

In pC si fa riferimento a l l 'intervento divino come il "sine

qua non" della vicenda, da qui una delle due motivazioni

della scrittura: quella di riconoscenza-espiazione. In pD

invece la salvazione a w i e n e attraverso un atto di

solidarieta umana basato sull'uso della parola

(ragionamenti). L'effetto ri-creativo del ragionare con i

compagni e presente anche in pC ma e solo reiterativo di

convinzioni gia raggiunte attraverso 1'intervento divino

("da celeste lume mandato, s o p r a w e n n e un pensiero", 12). In

pD il ragionare diviene invece l'atto salvifico stesso

("Nella qual noia tanto refrigerio gia mi porsero i

piacevoli ragionamenti d'alcuno amico e le sue laudevoli

consolazioni, che io porto fermissima opinione per quelle

essere avenuto che io non sia morto", Pr. 4); mentre


170

1 ' intervento divino, presente, 6 inve c e rimosso in una sfera

trascend e n t e che p r o w i d e n z i a l m e n t e regola il mondo dello

spazio e del tempo ("Ma si come a Co l u i piacque il quale,

essendo Egli infinito, diede per le g g e incommutabile a tutte

le cose mondane aver fine, il m i o a m o r e [...] per se

m e d e s i m o in processo di tempo si d i m i n u i [...]; per che,

dove faticoso esser solea [. . . ] d i l e t t e v o l e il sento

r i m a s o " , Pr. 5).

La scelta fatta nel Decameron p e r m e t t e di riunificare i

due poli della problematica proemiale: scrivere un'opera,

sulla ba s e di un'esperienza vissuta, c h e sia di utile con-

siglio p e r coloro capaci di r ecepirne il messaggio. Infatti

l'autore del D e c a m e r o n . o il B o c c a c c i o stesso se ne accet-

tiamo l'equazione, si trova nella co n d i z i o n e di aver

superato la dicotomia carita-vendetta, centrale ed irrisolta

nel C o r b a c c i o . p e r me z z o del r i c o n o s c i m e n t o del proprio

errore, del conseguente superamento dell' a f f e z i o n e amorosa e

quindi della scelta di compassione v e r s o il prossimo, come

virtu immanente.

Passando ora all'analisi d e l l 'intertestualita tra C o r ­

baccio e Decameron, il primo r i f e r i m e n t o deve essere fatto,

se n on altro p e r rispetto alia lunga t r a d izione critica

e sistent e a proposito, alia novella settima dell'ottava

giornata, quella dello scolare e d e l l a vedova.

Inserita in una giornata in cui "si ragiona di quelle


171

beffe che tutto il giorno o donna a uomo o uomo a donna o

l'uno uomo all'altro si fanno" (VIII, Rub.), questa novella,

la piu lunga di tutta 1'opera, si articola in due parti nar­

rative ben distinte; la beffa, in cui una vedova assieme al

suo amante si prende gioco di un di lei innamorato scolare,

il quale per poco non muore assiderato; e la contro-beffa,

in cui lo scolare si vendica della vedova che lascia nuda

"abbruciacchiare" su di una torre in un giorno di luglio.

Non intendo a questo punto, data anche la notorieta della

novella, entrare nei dettagli della vicenda ma invece

intendo mettere in evidenza i punti di contatto e

divaricazione che esistono con il Corbaccio.

Considerata dalla critica come una vicenda almeno

idealmente autobiografica, la novella e stata considerata

precorritrice del C o r b a c c i o . Cio e a w e n u t o soprattutto in

riferimento ad un passo della novella in cui lo scolare,

durante la sua vendetta, ribattendo alle preghiere della

vedova imprigionata sulla torre, afferma:

E dove tutti mancati mi fossero [i mille lac-


ciuoli], non mi fuggiva la penna, con la quale
tante e si fatte cose di te scritte avrei e in si
fatta maniera che, avendole tu risapute, che
l'avresti, avresti il di mille volte desiderate di
mai non essere nata (VIII, 7, 99) .

La "tante e si fatte cose" si dovrebbe dunque riferire al

contenuto del Corbaccio. Ma anche se questa opera contiene

riferimenti che potrebbero veramente far desiderare alia

persona in causa "di non essere mai nata", non e forse

questa la stessa minaccia che troviamo nella conclusione


172

"aperta" del Corbaccio? Nel congedo 1 ' io-narratore sot-

tolineando la non adeguatezza della sua "piccola operetta",

minaccia di pungere la vedova "con piu acuto stimolo [... ]

il quale concedendolo Colui che d'ogni grazia e donatore,

tosto a pugnerla, non temendo, le si fara incontro" (562) .

Ecco che a questo punto, volendo ricercare una inter-

dipendenza narrativa tra le due opere, il Corbaccio in tutta

la sua intierezza puo essere collocato, con una immaginaria

espansione del momento narrativo, nella fase di passaggio

tra la beffa e la contro-beffa e quindi in posizione

antecedente a quella che Pampinea considera la parte didat-

ticamente significante del suo racconto: la vendetta come

giusta retribuzione1 1 . Infatti una volta resosi conto della

beffa e trasformato tutto il suo amore. in odio, lo scolare

"isdegnoso, si come savio il qual sapeva niuna altra cosa le

minacce essere che arme del minacciato, serro dentro al

petto suo cio che la non temperata volonta s'ingegnava di

mandar fuori" (VIII, 7, 42); ed una volta ritornato "sano e

fresco" dopo i postumi dell'assideramento, "dentro il suo

odio serbando, v i e piu che mai si mostrava innamorato della

vedova sua" (VIII, 7, 45). Una volta che la vedova "poco

savia" fa ricorso tramite la serva alle supposte capacita

chiromantiche dello scolare, ecco che lui esclama:

Idio, lodato sie tu: venuto e il tempo che io faro


col tuo aiuto portar pena alia malvagia femina
della ingiuria fattami in premio del grande amore
che io le portava (VIII, 7, 49).

Questa esclamazione non puo non ricondurci al congedo del


173

Corbaccio ed alia invocazione di Dio che p r o w e d a la vedova

della giusta punizione.

Se quindi il Corbaccio termina con l'inizio della

contro-beffa1 2 , tutta la vicenda dell'opera potrebbe

ipoteticamente svilupparsi in quel periodo di attesa in cui

lo scolare, una volta guarito e carico di r i sent intento, si

dimostra falsamente innamorato ment r e in realta attende

paziententente l'occasione per vendicarsi1 3 . In fondo anche

1'io-narratore del Corbaccio non ha mai completamente

superato il proprio risentimento come dimostra tutta

1 'argomentazione del sogno. E come Pampinea accenna,

n e l l 'introduzione della novella, all'idea di vendetta come

giusta retribuzione, lo stesso fa lo spirito nel sogno, pero

nel tentativo di giustificare il suo comportamento

eterodosso. La novella potrebbe cosi considerarsi come una

realizzazione della profezia corbacciana. Al di la comunque

di questa possibility di incastro ritengo, sulla scia delle

affermazioni di Vittore Branca1 4 , che la similarity tra le

due composizioni sia dovuta alia presenza del comune

sustrato filosofico-letterario della tradizione medievale;

per cui gli elementi portanti della narrazione, dalla beffa

delle donne verso gli intellettuali all'attacco misogino dei

chierici; dallo sdegno intellettuale per le arti manuali

alio scopo didattico della novella stessa, non sono altro

che topoi della cultura medievale15 e quindi non neces-

sariamente vicende personali di Boccaccio1 6 .


174

Infatti oltre alle similarity contenutistiche ed agli

incastri narrativi 6 possibile individuare tra le due com-

posizioni una serie di differenze ed, in alcuni casi,

soluzioni fattuali di cui il protagonista del Corbaccio

potrebbe fare utile uso.

Abbiamo gia visto come la seconda parte della novella

possa offrire una ipotetica messa in atto dei proponimenti

del protagonista del Corbaccio; ma se torniamo alia novella

ed esattamente alia sua introduzione vediamo che, secondo le

parole di Pampinea, la narrazione ha un preciso oggetto di

riferimento, la donna. La storia viene narrata per

insegnare alle donne, nel caso specifico, come beffare; e ad

un certo punto della diatriba lo scolare stesso diviene

vicario di Pampinea, l'esecutore materiale delle sue parole,

l'educatore della donna, quando afferma: "Insegnerotti adun-

que con questa noia che tu sostieni che cosa sia lo

schernire gli uomini che hanno alcun sentimento e che cosa

sia lo schernir gli scolari" (VIII, 7, 90). Ed anche se in

maniera brutale, lo scolare assume il ruolo di docente

capovolgendo cosi la propria condizione di discente durante

i lunghi anni di studi a Parigi. Egli infatti rinuncia a

portare fino in fondo la sua vendetta che implicherebbe,

secondo il suo giudizio, piu della morte della donna e di

altre cento "ree femminette" come lei, "con tutto che questo

che io ti fo non possa assai propriamente vendetta chiamare

ma piu tosto gastigamento, in quanto la vendetta dee trapas-


175

sar l'offesa, e questo non v'agiugnera" (VIII, 7, 87)1 7 . A

differenza quindi del Corbaccio dove la vedova veniva

evocata, quasi terribile fantasma, per esorcizzare gli

effetti sul protagonista, qui nella novella lei e il centro

delle cure della narratrice e tutta la vicenda nelle sue due

fasi, anche se in maniera diversa, le rivolve intorno.

Inoltre ritengo erronea, in quanto sostanzialmente basata

solo sulla comunanza di certi attributi e circostanze ma non

sul ruolo narrativo, l'equazione: Rinieri = protagonista

corbacciano18. Nella novella i ruoli risultano piu com-

plessi ed in parte capovolti rispetto al C o r b a c c i o . In essa

infatti e la vedova che, attraverso tutta la narrazione,

assume il ruolo di discente contrariamente alio scolare che,

almeno nella fase della contro-beffa copre il ruolo di

docente, a lui perfettamente consono dopo i lunghi anni di

studi a Parigi. Cosi mentre Rinieri e discente in riguardo

ai rischi d ell'innamoramento e docente nei confronti della

poca saviezza della vedova1 9 , Elena assume il ruolo di dis­

cente attraverso tutta la novella; la beffa sottolinea il

suo errore la cui espiazione, per quanto dura, la condurra

alia saviezza2 0 .

Analizziamo comunque la prima parte della novella: la

beffa. La critica ha generalmente considerato la beffa come

un atto di gratuito sadismo da parte della vedova. Io

invece voglio mettere in evidenza come essa sia in realta la

consequenza, non pero inevitabile come sottolinea Pampinea,


176

della condizione di innamoramento della donna.

La narratrice introduce la vedova Elena2 1 , in netta

contrapposizione con la vedova laida del Corbaccio. non solo

come bella, altiera, gentile e ricca roa anche come

innamorata di un giovinetto bello e leggiadro che lei si era

scelto2 2 , preferendolo a un secondo matrimonio2 3 . La pas-

sione per questo giovane e 1'insicurezza del suo amore la

spingono a strumentalizzare 1'innamoramento dello scolare.

Ma anche lui e per lungo tempo, se non altro per tutta la

durata della beffa, sotto l'accecante (almeno per gli "occhi

dell'intelletto") influenza dell'amore e non comprende

l'inganno della vedova che usa le sue attenzioni per

valorizzare la propria bellezza agli occhi del giovane

amante. Ma una volta che questi da segni di gelosia, Elena,

timorosa di perderlo, arriva a torturare Rinieri di fronte a

lui per potere dimostrare la propria assoluta fedelta. "E

potrai vedere" — sono le rassicuranti parole di Elena

all'amante — "quanto e quale sia 1'amore il quale io ho

portato e porto a colui del quale scioccamente hai gelosia

preso" (VIII, 7, 18); e poi ancora piu oltre: "Ben, che

dirai? credi tu che io, se quel ben gli volessi che tu

temi, soffrissi che egli stesse la giu a agghiacciare?"

(VIII, 7, 23); e di nuovo con una insistenza che sottolinea

ansia ed incertezza, reitera: "Che ti pare, anima mia, dello

scolar nostro? qual ti par maggiore o il suo senno o l'amor

ch'io gli porto? faratti il freddo che io gli fo patire


177

uscir del petto quello che per li miei motti vi t'entro

l'altrieri?" (VIII, 7, 25).

La donna £ cosi preoccupata di rassicurare colui che

lei ama che non si rende conto che la ferocia gratuita di un

tale trattamento di colui che, non corrisposto, l'ama, puo

ritorcersi a danno della sua stessa affezione. Infatti non

molto tempo dopo il giovane amato dalla vedova, essendosi

innamorato di un'altra donna, la lascia in lacrime a con-

sumarsi. E mentre lo scolare e stato almeno capace di

trasformare il suo amore in odio, la vedova, come gia Fiam-

metta nell'Elegia, non e in grado di disamorarsi24 e per

porre fine ai propri dolori e riavere il proprio amante, in

maniera poco savia, non esita a gettarsi incoscientemente

nella rete tesale dallo scolare. Con tali parole ne richiede

i negromantici servigi (cfr., cap. II, n. 45): "Amor mi

sprona per si fatta maniera, che niuna cosa e la quale io

non facessi per riavere colui c h e a torto m'ha abbandonata"

(VIII, 7, 55); il parallelo qui con Fiammetta e sor-

p rendente.

Solo quando si trova nuda sulla torre si rende conto di

essere beffata, ma e ormai troppo tardi per evitare le tor­

ture del castigamento esemplare. Ella comunque alia fine e

capace di salvare il proprio onore (anche qui una

somiglianza con la vicenda di Fiammetta) inventando per

parenti e conoscenti una favola "tutta fuori dell'ordine

delle cose a w e n u t e " , di fatture diaboliche. Le parole con-


178

elusive di Pampinea sono dunque che una volta "dimenticato

il suo amante, da indi innanzi e di beffare e d'amare si

guardo saviamente" (VIII, 7, 148).

Ma tra gli scopi didattici della narrazione Pampinea

aveva anche annoverato l'idea di suscitare "alquanta com­

passione d'una giusta retribuzione" (VIII, 7, 3). Ma la

compassione, parola chiave che ha dato impulso alia com-

posizione di tutto il Decameron (cfr., cap. V ) , e il

sentimento che costantemente lo scolare reprime mentre sta

attuando la sua vendetta. Una prima volta quando, vedendo

le forme del corpo della donna mentre si sta per immergere

nel fiume "seco pensando quali infra piccol termine dovean

divenire, senti di lei alcuna compassione" (VIII, 7, 66); ma

una volta ripensato all'ingiuria subita, l'odio riacceso

cancella ogni altro sentimento sia di compassione che di

erotismo. Piu oltre un altro accenno alia compassione e

fatto derivare dal sentimento di umanita, con ancor piu

stretto riferimento al proemio dell'opera: "e noia sentiva

movendolo la umanita sua a compassion della misera" (VIII,

7, 80), ma il tutto e risolto quando la sua umanita non e in

grado di vincere la "fierezza dell'appetito"2 5 . Lo scolare

quindi, una volta portata a termine la vendetta26 anche nei

confronti della serva che si e rotta una gamba, e liquidato

con brevi parole da Pampinea, "parendogli di aver assai

intera vendetta, lieto senza altro dirne se ne passo" (VIII,

7, 148), senza che per lui sia formulato un giudizio


179

migliorativo; ma dopo tutto l'og g e t t o d e l l 'insegnamento

della novella era la donna. T u t t a v i a la figura dello

scolare non abbandona la scena senza lasciare t r a c c l a .

Usato strumentalmente da Pampinea, vi e n e invece aspramente

g iudicato dalle donne alle quali "[g]ravi e noiosi erano

stati i casi d'Elena a ascoltare alle donne, ma per cio che

in pa r t e giustamente a w e n u t i g l i gli estimavano, con piu

moderata compassione gli avean trapassati, q u a n tunque rigido

e costante fieramente, anzi crudele, reputassero lo scolare"

(VIII, 8, 2)2 7 . Rinieri non e quindi in grado, nonostante i

suoi studi, di partecipare al sentimento umano della pieta,

in quanto travo l t o dall'odio.

Ma la n ovella di Rinieri ed Elena non e l'unica, tra le

cento narrate dalla brigata, che presenti, delle similarity

con il C o r b a c c i o : durante la terza giornata, nella quale "si

ragiona, sotto il reggimento di Neifile, di chi alcuna cosa

molto da lui desiderata con industria acquistasse o la per-

duta ricoverasse" (III, Rub.), Lauretta narra la vic e n d a di

Ferondo (III, 8). Questa novella, che contrariamente alia

VIII, 7, non ha particolarmente attirato l'attenzione della

c r i t i c a 28 e tanto meno ha stimolato un qualsiasi riferimento

al C o r b a c c i o . puo essere letta come una parodia del trat-

tatello m i s o g i n o e, in questo senso, come c o mplementare alia

novella dello scolare. Tre sono i protagonisti della

vicenda ambientata in Toscana: u n abate "il quale in ogni

cosa era santissimo fuori che n e l l 'opera delle femine: e


180

questo sapeva si cautamente fare che quasi niuno, non che il

sapesse, ma ne suspicava; perche santissimo e giusto era

tenuto in ogni cosa" (III, 8, 4)2 9 ; un ricchissimo villano

di nome Ferondo "uomo materiale e grosso senza modo" e la

sua bellissima moglie di cui 1 'abate si innamora.

"Ma . ..quantunque Ferondo fosse in ogni sua cosa semplice e

dissipato, in amare questa sua moglie e guardarla bene era

savissimo" (III, 8, 6). A w i e n e quindi, secondo quanto

affermato nella rubrica della novella, che:

Ferondo, mangiata certa polvere, e sotterrato per


morto; e dall'abate, che la moglie di lui si gode,
tratto dalla sepoltura e messo in prigione e fat-
togli credere che egli e in Purgatorio; e poi
risuscitato, per suo nutrica un figliol dell'abate
nella moglie di lui generato (III, Rub.).

Abbiamo quindi in questa novella una dinamica

triangolare, marito, moglie, amante, che riflette la con­

dizione familiare narrata "a-posteriori" dallo spirito del

Corbaccio. Risulta sufficiente spostare il punto di vista

interpretativo della vicenda, dalle parole di un marito

geloso all'azione di un astuto amante, per passare da una

narrazione all'altra. Le carte ed il gioco sono li stessi,

quello che cambia e il turno. Se infatti nel Corbaccio e

l'illetterato3 0 , avaro, accidioso31 e geloso32 ex-marito a

tirare le fila della vicenda, nella novella e invece

1'amante abate che le dipana. Egli infatti manda lo

sciocco, ricco e geloso Ferondo a scontare le proprie colpe

in un Purgatorio tutto terrestre, mentre e da un Purgatorio

tra il terrestre ed il celeste33 che 1'ex-marito lancia


181

invettive contro il rapporto adulterino della moglie che e

stato la causa ultima della sua morte di crepacuore. Le due

narrazioni presentano quindi gli stessi personaggi con

diversa polarita e valenza: il marito, che nel Corbaccio e

descritto come non letterato, avaro e geloso, e nella

novella descritto come semplice, ricchissimo e geloso;

1'amante, che nel racconto di Lauretta e un abate e

l'ideatore dell'intera trama, nel Corbaccio e invece

rilegato alia posizione di compartecipe dello scherzo

epistolare, e la sua qualificazione religiosa consiste nel

soprannome biblico di "secondo Ansalone"; e la moglie, di

cui fino ad ora non abbiamo parlato, e la causa ed il fine

di entrambe le narrazioni. Infatti per ottenere il suo

amore 1'abate trova una cura purgatoriare alia gelosia di

Ferondo, mentre per vendicarsi contro di lei lo spirito

viene in aiuto del discepolo. Ma chi e questa lei? Una

"bellissima donna", secondo la descrizione di Lauretta, dai

costumi non troppo rigidi (1'abate non impieghera troppo,

dopo l'iniziale stupore della donna, a convincerla a con-

cedersi), di una certa avidita (se la richiesta dell'abate

in cambio di una efficace cura per la gelosia del marito la

lascia ancora un po' titubante e vergognosa, il dono di un

bellissimo anello le toglie ogni residua reticenza: "La

donna lieta del dono ed attendendo d'aver degli altri, alle

compagne tornata meravigliose cose comincio a raccontare

della santita dell'abate" (III, 8, 29), e vedova, se non di


182

stato civile almeno emotivamente e di fatto, come lei stessa

dic e in confessione all'abate:

"Messere, se Idio m ' a v e s s e dat o marito o non me


l'avesse dato, forse mi sarebbe agevole co' vostri
ammaestramenti d'entrare nel camino che ragionato
n'avete che mena altrui a v i t a eterna; ma io, con-
siderato chi e Ferondo e la sua stoltizia, mi
posso dir vedova, e p u r raaritata sono, in quanto,
vivendo esso, altro m a r i t o aver non posso; e egli,
cosi m a t t o come egli 6, senza alcuna cagione e si
fuori d'ogni misura g e l o s o di me, che io per
questo a l t r o che in t r i b o l a z i o n e e in m a l a ventura
con lui v i v e r non po s s o (III, 8, 8).34

E p i u oltre, mentre cerca di b e n c o m p r e n d e r e i termini del

pi a n o escogitato dal confessore, gli domanda:

"Debbo io rimaner vedova?". "Si," rispose 1'abate


"per un certo tempo, nel quale vi converra molto
ben g u a rdare che voi a a l cuno n o n vi lasciate
rimaritare, per cio che Idio l'avrebbe p e r male, e
tornandoci Ferondo vi c o n v e r r e b b e a lui tornare, e
sarebbe p i u geloso che m a i (III, 8, 1 7 ) . 35

Ella assume cosi di fatto il ruolo soc i o - e c o n o m i c o di vedova

quando, durante l'assenza pur g a t o r i a l e del m a r i t o 3 6 , se ne

r imane nella casa con il figlio37 e "la ricchezza che stata

era di Ferondo comin c i o a governare" (III, 8, 3 4 ) 3 8 .

La vedova del Corbaccio p r e s e n t a le stesse carat-

t eristiche della m o g l i e di Ferondo, opportunaraente amplifi-

cate o distorte dal desiderio di v e n d e t t a dell'ex-marito.

Ella e, o almeno appare, bella a tal p u n t o che lo spirito

impiega pagine di nar r a t o per c o n v incere nei minimi dettagli

il propr i o discepolo della di lei falsa bellezza; ella,

sempre secondo le p a r o l e dello spirito, n o n solo non e di

rigidi costumi ma anzi e la p e r s o n i f i c a z i o n e della lussuria,

caratteristica in fondo propria a quell'essere inferiore che


183

si chiama femmina; ed un'altro tipico suo tratto, comune a

tutto il genere femminile e l'avidita, che moderata nella

donna di Ferondo, qui diviene un'insaziabile voragine di

denari, di cibo e di uomini; ed avida diviene dell'eredita

del marito a danno anche dei figli, non suoi pero, che come

alia donna nella novella, le rimangono in custodia. Da

questi, che nati dal precedente matrimonio del marito, la

neo-vedova pero si distacca ben presto seguendo in parte le

regole formulate da Francesco da Barberino sul comportamento

delle vedove (op. cit., 1957), p. 131.39

II parallelismo tra la novella ed il trattatello va

comunque al di la della vicenda e dei suoi personaggi. Gia

nell'introduzione alia novella, Lauretta definisce il

proprio racconto come "una verita che ha, troppo piu che di

quello che ella fu, di menzogna sembianza" (III, 8, 3)4 0 ;

una storia quindi realmente accaduta, ma cosi unica e strana

da sembrare irreale. Ma questa non e altro che l'opposto di

una possibile descrizione della vicenda del Corb a c c i o : una

storia irreale (e infatti un sogno) che disperatamente

ricerca la credibility di un fatto reale (ne sono prova le

reiterate affermazioni di verita con cui lo spirito molte

volte introduce le proprie s e n t e n z e ) .

Ma se esiste un rapporto di opposizione tra il Corbac­

cio e il racconto di Lauretta, e certo possibile stabilire,

sempre all'interno della dinamica intertestuale con il Cor­

b a c c i o . una stretta complementarieta di questa novella con


184

quella dello scolare. Infatti mentre la novella VIII, 7,

come precedentemente dimostrato, puo essere messa a con-

fronto con quella cornice di eventi che precedono e seguono

il sogno nel Corbaccio (1'innamoramento e la frustrazione

dell'io-protagonista, la sua parziale presa di coscienza ed

i suoi proponimenti di vendetta), la novella III, 8, con la

sua dinamica triangolare marito-moglie-amante, e da mettere

in ralazione alia vicenda familiare dello spirito e quindi

al sogno del Corb a c c i o . La novella dello scolare e quella

di Ferondo assieme ricreano l'intera trama del trattatello

presentando la possibility di soluzioni ad esso alternative.

Ed il comun denominatore delle tre narrazioni, il

jolly, per rimanere nella metafora del gioco delle carte,

colui che e presente e vincente in ciascuna e in tutte e tre

le situazioni, e il personaggio dell'amante, non quello

frustrato come 1 ' io-protagonista del Corbaccio o lo scolare,

ma quello di successo, quello riamato: come il "secondo

Ansalone" del trattatello; il "giovanetto bello e leg-

g i a d r o " , ma anche mobile, di cui Elena a suo danno si e

innamorata; 1'abate di Ferondo. Sono costoro che, nella

loro fissa caratterizzazione, in ogni singola vicenda

ottengono l'oggetto del loro desiderio, o per mezzo della

loro industria, o per la loro giovinezza e la poca saggezza

dell'amante, o forse semplicemente per la propria bellezza.

II personaggio dell'amante contraccambiato costituisce cosi

il trait d'union fra le tre narrazioni, e quindi, sia che si


185

trovi al centro della vicenda oppure in posizione marginale,

la sua azione costituisce per i letteri un messaggio comune

a tutti e tre i racconti.

Coinunque i punti di contatto tre il Corbaccio ed il

Decameron non si limitano a queste due novelle, un'altro

tema foriero di un'interessante analisi £ costituito dal

personaggio della donna vedova. Presente in tutte e tre le

narrazioni appena analizzate questo topos letterario ricorre

attraverso tutta 1'opera di Boccaccio. Lo troviamo per la

prima volta in Filostrato. in quanto Criseida e vedova4 1 ,

poi nel Filocolo. nella nona questione d'amore formulata da

Ferramonte a Fiammetta4 2 , e nella Comedia delle ninfe

fiorentine4 3 : accennato nell'Eleqia di madonna Fiammetta

poi ripreso nel Corbaccio e nel D ecameron. e infine trattato

nel De mulieribus C l a r i s .

Riguardo a questo argomento il Corbaccio presenta una

condizione elevata alia seconda potenza in quanto lo spirito

in vita ha sposato in seconde nozze una vedova.

Essendo io per morte abbandonato - racconta lo


spirito - da quella che prima a me era venuta, e
di cui io molto meno mi potea scontentare che di
questa... a w e n n e che, essendo e volere e piacere
de' miei amici e parenti, a costei, mai da me
conosciuta, fui ricongiunto (292).

Ecco allora che un vedovo4 4 , dopo una vita matrimoniale non

negativa, spinto da parenti ed amici4 5 , sposa una vedova,

che durante la vicenda diverra bis-vedova, la quale, sempre

secondo cio che afferma lo spirito del marito, si comporta

durante la vita coniugale conformemente al giudizio dato da


186

Fiammetta nel F i l o c o l o ; infatti cosi continua lo spirito:

La qual, gia d'altro merito essendo stata m o g l i e e


assai b e n e 1 7arte dello 'ngannare avendo appresa,
non partendosi dal loro universal costume, in
g u i s a d'una mansueta e semplice colomba entro
nelle case mie (293).

Dove "dal loro universal costume" si riferisce a l l ' i n t e r o

genere femminile. L'ira dell'ex-marito e quindi d iretta

contro la donna in generale e la sua ex-moglie in

p articola r e nei confronti della quale sembra ancor v o l e r

vantare certi diritti di possesso. Ma dato che la sua morte

e a w e n u t a d urante la loro v ita coniugale, l ' invettiva dello

spirito e s o p r a t t u t t o diretta alia donna nella c o n d i z i o n e di

moglie, p i u che nello stato di vedova. Ci sono c e r t o parole

di critica rivolte al comportamento della donna d o p o la di

lui morte, m a anche queste, a parte forse le accu s e di falso

dolore m o s t r a t o p e r la perdita del m a r i t o 46 ed il suo

a w i c i n a r s i alia chiesa con duplice intento, non r isultano

pertinenti alia condizione di vedova, ma al p e r s e v e r a r e nei

suoi difetti di donna. Di cui uno, e certo il p i u grande,

cioe il d e s i d e r i o di amare, le e ora permesso in quanto,

come lo stes s o d iscepolo afferma, criticando, sulla bas e

delle leggi ecclesiastiche, le rivendicazioni di p o s s e s s o

espresse d a l l o spirito (cfr., cap. Ill, p. 19), d i r i t t o di

donna libera. Ecco quindi che la famosa vedova del C o r b a c ­

cio . che ha catt u r a t o l'attenzione di cosi tanti critici, e

certamente p i u femmina che vedova. La condizione v e d o v i l e

diviene q u indi piu u n espediente di fantasia n a rrativa che


187

un bersaglio di critica ideologica in un trattatello in cui

si dicono molte parole sulle donne, vedove o no, senza che

esse perb possano "re-agire"4 7 .

Nel Decameron invece le vedove sono sempre al centro

dell'azione, sia come protagoniste che come personaggi

d'appoggio, e tale capacity di agire (non sempre con-

formemente alia situazione) e il loro comun denominatore4 8 .

Nelle dodici novelle in cui compare il personaggio della

vedova49 o ne e menzionata la condizione, solo nella novella

del re Agilulf (III, 2) ed in quella di Tedaldo (III, 7) il

termine e usato come attributo di informazione storica o di

posizione sociale senza agire sulla dinamica della vicenda.

Cosi infatti Pampinea introduce la novella III, 2,:

Agilulf, re de' longobardi, si come i suoi


predecessori in Pavia, citta di Lombardia, avevan
fatto, fermo il solio del suo regno, avendo presa
per moglie Teudelinga, rimasa vedova d'Auttari, re
stato similmente de' longobardi: la quale fu bel-
lissima donna, savia e onesta molto ma m a l e
a w e n t u r a t a in amadore. (Ill, 2, 4)5 0 .

N e l l 'invettiva di Tedaldo contro i religiosi il termine com­

pare invece per categorizzare le donne ("molte pinzochere,

molte vedove, molte altre sciocche femine" III, 7, 35) vit-

time dei frati.

La stessa narratrice Emilia sviluppera questo argomento

nella novella di monna Piccarda, vedova amata dal proposto

di Fiesole (VIII, 4). La gentil donna riesce a liberarsi

delle "avances" del curato, "d'anni gia v e c c h i o . .. e tanto

sazievole e rincrescevole, che niuna persona era che ben gli


188

volesse" (VIII, 4, 7), facendolo unire, in sua vece, con la

serva, Ciutazza, esempio paesano di bruttezza fisica

("entrato adunque il giovane [fratello della vedova] nella

camera, e il v escovo appresso e poi tutti gli altri, gli fu

mostrato il proposto con la Ciutazza in braccio" VIII, 7,

33). La vedova quindi opportunamente agisce liberandosi,

salvo il proprio onore, dell'amante inopportuno.

Sullo stesso argomento si snoda la vicenda di madonna

Francesca de' Lazzari (IX, l)5 1 , savia vedova, anche lei

costretta ad un espediente per potersi liberare non di uno

ma addirittura di due pretendenti, Rinuccio Palermini e

Alessandro Chiaromontesi. In questa novella, narrata ad

esempio, secondo le parole introduttive di Filomena, di

"quante e quali siano le forze d'amore" (IX, 1, 3), la

sagace azione della donna e comunque parzialmente offuscata

dalla temerarieta dei due innamorati. Ancora una volta

quindi una donna vedova ha agito con successo mantenendo la

propria autonomia di scelta nei riguardi dell'amore.

Ma la casistica decameroniana non si limita a questa

sola possibility. Nella famosa novella di Federigo

degli Alberighi (V, 9) monna Giovanna, la donna da lui

disperatamente amata, rimane vedova e, dopo la morte

dell'unico figlio, anche ricchissima; e vorrebbe rimanere

libera, ma data la sua giovinezza e le pressioni del

parentato, cosi decide:

Io volentieri, quando vi piacesse, mi starei; ma


se a voi pur piace che io marito prenda, per certo
189

io non ne prenderd mai alcuno altro, se io non ho


Federigo degli Alberighi. (V, 9, 40).

Costretta dalle convenzioni sociali a reinstaurare,

attraverso il matrimonio, un legame con un uomo, la vedova

Giovanna non rinuncia alia propria liberta di scelta

sposando un uomo, Federigo, "che abbia bisogno di ricchezza

[invece] che ricchezza che abbia bisogno d'uomo" (V, 9, 42).

E cosi come l'ipotetica madre della "ciciliana bellis-

sima", nella novella di Andreuccio (II, 5), gentil donna

divenuta vedova, "posta giu la paura del padre e de'

fratelli e il suo onore, in tal guisa con lui [ Pietro,

padre di Andreuccio] si dimestico" (II, 5, 19), le vedove

decameroniane, dalle regine alle popolane, dalle

protagoniste alle comparse, prendono in mano le redini del

proprio destino affettivo. Ecco allora che la Spina, figlia

sedicenne52 <je l marchese Currado Malaspina, "rimasa vedova

d'uno Niccolo da G r ignano...per ventura pose gli occhi

addosso a Giannotto, e egli a lei, e ferventissimamente

l'uno dell'altro si innamoro" (II, 6, 35)5 3 ; e la donna

vedova "del corpo bellissima", amante del marchese Azzo da

Ferrara, non esita, dopo aver "posto l'occhio addosso"

all'inaspettato ospite, Rinaldo d'Asti, "grande nella per­

sona e bello e piacevole nel viso e di maniere laudevoli e

graziose e giovane di mezza eta" (II, 2, 35), ad usare quel

bene che la fortuna le aveva dinanzi raandato5 4 . Ma

1 'esempio piu noto di questo atteggiamento e senza dubbio la

novella di Ghismonda, figlia unica del principe di Salerno,


190

Tancredi, vedova di un figlio del duca di Capua (IV, l).

Ghismonda, "veggendo che il padre, p e r l'amor che egli le

portava, poca cura si dava di piu maritarla, ne a lei onesta

cosa pareva di richiedernelo" (IV, 1, 5), non solo si

procura segretamente un amante "di nazione assai umile ma

per vertu e per costumi n o b i l e " , ma, una volta scoperti,

difende apertamente davanti al padre la propria scelta,

basando la propria arringa sul diritto naturale e sulla

nobilta d'animo contrapposta a quella di sangue. La tragica

fine dei due amanti rendera immortale la forza di spirito e

la determinazione della vedova Ghismonda nel difendere la

propria liberta di scelta. Con la morte ella sigillera il

proprio tragico successors, e nella stessa giornata

un'altra giovane donna, l /Andriuola, diviene vedova del suo

Gabriotto, segretamente sposato. La disperazione che ne

segue non le impedisce di agire per "servare il mio onore e

il segreto amore tra noi stato" (IV, 6, 23); mentre la fante

la dissuade dal conseguente desiderio di suicidio prospet-

tandole 1' impossibility che la sua anima dannata possa

ricongiungersi con quella dell'amato che certo non era

andata all'Inferno "per cio che buon giovane fu" (IV, 6,

24). Desiderosa di mantenere la propria fedelta al defunto

marito, rigettato "virilmente" l /approccio fattole dal

podesta durante il processo e la sua conseguente proposta di

matrimonio, l'Andreuola decide, con il consenso del padre,

di abbandonare il mondo ritirandosi in "un monistero assai


191

famoso di santita" (IV, 6, 43).

Ma non tutte le vedove sanno agire, o parlare, in m o d o

conveniente? di questo problema si fa carico, c o n intento

didascalico, la narratrice Pampinea in due delle sue dieci

novelle: quella di maestro A l b e r t o (I, 10) e quella, gia

ampliamente analizzata, dello scolare e della v e d o v a (VIII,

7)5 6 . Entrambe esempi al n e g ativo sul saper bef f a r e sia con

m otti che con fatti, nella p r i m a novella l'attributo di

vedova non sembra avere nessuna specifica funzione ai fini

della storia: la vicenda e sulle donne e per le donne, anche

se capita che una di esse sia v e d o v a 5 7 ; nella seconda invece

la condizione v e d o v i l e e p i u determinante in q u a n t o permette

ad Elena, "giovane del corpo bella e d'animo a ltiera e di

legnaggio assai gentile, de' beni della fortuna con-

v e nevolm e n t e abondante" (VIII, 7, 4) 5 8 , non solo di rimanere

civilmente libera "essendosi ella d'un giovinetto bello e

leggiadro a sua scelta innamorato" (VIII, 7, 4), m a anche di

recarsi liber a m e n t e a chiedere i servizi negromantici alio

scolare e di m e t t e r l i in atto in una sua campagna.

Vorrei concludere questa mia carellata sulle vedove

delle novelle decameroniane, come donne che a s s umono un

ruolo attivo sia nella storia che nella narrativa, con la

v edova p i u um i l e di tutta 1'opera: la "buona do n n a vedova"

che teneva 1 'alberghetto di F i r e n z e 59 in cui "a guisa di

povera. p e l l e g r i n a si stava" Giletta di Nerbona, vedova

bianca di un m a r i t o incapace di riconoscerne le virtu, la


192

quale proprio grazie alle informazioni della buona donna60 e

in grado di capovolgere il proprio immeritato destino.

Ma il tema della vedovanza non e priorita delle sole

novelle, e presente anche nella cornice, tra i membri della

brigata, nella canzone di Lauretta a conclusione della terza

giornata6 1 . In essa la giovane narra la propria storia di

vedova, ancora innamorata del marito, rimaritata per forza a

un giovinetto presuntuoso e fiero di lei divenuto a torto

geloso (uno dei temi prediletti delle novelle di

Lauretta6 2 ) , e si lamenta della perduta liberta vedovile che

onestamente le avrebbe permesso di continuare ad amare il

defunto amante63 (in questa canzone si fondono le due inter-

pretazioni del mito di Didone, c f r . , n. 43).

La densa intertestualita tra le due opere ci permette

di fare un'altra serie di osservazioni sia per quanto

riguarda specifici richiami testuali o citazioni comuni, sia

per temi piu generali del Corbaccio a cui le novelle del

Decameron offrono chiose specifiche6 4 . Intendo qui present-

are tali chiose seguendo lo sviluppo narrativo del Corbac­

c i o . analizzando i vari punti uno ad uno e lasciando al

termine le considerazioni che riguardano i temi generali di

intertestualita indiretta.

Il primo tema che troviamo si riferisce all'eta del

protagonista del Corbaccio. a cui lo spirito nel suo

rimproyero fa riferimento con queste parole:

[D]ico che assai cagioni giustamente me e ogni


altro possono muovere a doverti riprendere; ma,
193

[...] due solamente m'aggrada toccarne: l'una e la


tua eta, la seconda sono gli tuoi studi; [...] E
primieramente la tua eta [...] E, se la lunga
esperienza delle fatiche d'amore nella tua
giovinezza tanto non t'avea castigato che
bastasse, la tiepidezza degli anni, gia alia vec-
chiezza appressatisi, almeno ti dovea aprire gli
occhi e farti conoscere 1& dove questa matta pas-
sione, seguitando, ti dovea far cadere [•••] La
qual cosa se con estimazione ragionevole avessi
riguardata, conosciuto avresti che dalle feminine
nelle amorose battaglie gli uomini giovani, non
quelli che verso la vecchiezza calano, sono
richiesti; e avresti veduto le vane lusinghe, som-
mamente dalle femmine desiderate, ne' giovani, non
che ne' tuoi pari, star male. Come si conviene o
si confa a te, oggimai maturo, il carolare, il
cantare, il giostrare e 1 'armeggiare? [...] Come e
alia tua eta convenevole l'andare di notte, il
contraffarti, il nasconderti a ciascheduna ora che
ad una femmina piacera; [...] forse per gloriarsi
di avere uno uomo maturo a guisa d'un semplice
garzone, disonesta e sconvenevole eleggera? Come
e alia tua eta convenevole [...] di pigliare
l'arme e la tua salute, o forse quella della tua
donna, difendere? [...] Male e adunque omai la tua
etade a g l 'innamoramenti decevole: alia quale non
il seguire le passioni [...] sta bene; ma il vin-
cer quelle; e con opere virtuose [...] dare di se
ottimo esempio a' piu giovani s'appartiene (179-
87) .

Le pagine del Decameron presentano gli stessi concetti di

questo lungo rimprovero dello spirito in situazioni narra­

tive che si risolvono positivamente. Abbiamo gia visto come

in VIII, 7, lo scolare abbia sostenuto di fronte alia vedova

i vantaggi nell'amare uomini maturi invece che i giovani,

sulla base del concetto di contrapposizione esperienza-

prestanza fisica. Egli fornisce quindi una risposta, usando

tra l'altro gli stessi canoni retorici, alia domanda dello

spirito sull'opportunity del discepolo di "carolare,

giostrare, armeggiare" e circa la richiesta da parte delle


194

donne di giovani per le battaglie d'amore. Lo stesso

argomento dello scolare e sostenuto da maestro Alberto (I,

10), il quale "grandissimo medico" e di "presso a settanta

anni", si era innamorato di una "bellissima donna v e d o v a " 6 5 .

Una volta resesene conto la giovane vedova ed alcune com-

pagne proposero "di riceverlo e di fargli onore, e appresso

di motteggiarlo di questo suo innamoramento, e cosi fecero"

(I, 10, 13). La savia risposta di maestro Alberto si basa,

come fara poi lo scolare, sulla superiority dell'esperienza

rispetto alia prestanza fisica. II "pugnere" delle donne

viene poi controbattuto con la famosa similitudine del

porro:

E come che nel porro, pur men reo e piu piacevole


alia bocca e il capo di quello, il quale voi
[donne] generalmente, da torto appetito tirate, il
capo vi tenete in mano e manicate le frondi, le
quali [...] son di malvagio sapore (I, 10, 17).

La conoscenza, metonimicamente rappresentata del capo del

porro, bianco come bianchi sono i capelli dell'uomo anziano,

e da essere ricercata, non il malvagio sapore delle verdi

fronde, verdi, quindi acerbe, come l'eta dei giovani ed

inesperti amanti. Anche se poi dopotutto nel porro, simbolo

della fisicita umana e o w i o simbolo fallico, niuna cosa sia

buona. Da qui un nuovo richiamo a perseguire la via della

conoscenza invece che della passione, la quale pero, per

nobilta di spirito (I, 10, 9) e conoscenza "di cio che sia

da essere amato" (I, 10, 16) non viene mai rifiutata. Un

altro riferimento al tema ed a questa novella lo troviamo


195

piu oltre nell'introduzione alia quarta giornata dove Boc­

caccio si difende dagli invidiosi i quali tra le loro accuse

affermano che alia sua "eta non sta bene l'andare omai

dietro a queste cose, cioe a ragionar di donne o a com-

piacere loro" (IV, Int., 6). Boccaccio risponde all'accusa,

che ripete quasi letteralmente il rimprovero dello spirito

alia mancanza di decoro, ricorrendo al simbolismo del porro

("quegli che contro alia mia eta parlando vanno, mostra mal

che conoscano che, perche il porro abbia il capo bianco, che

la coda sia verde" IV, Int., 3 3 ) 66 ed affermando apertamente

il proprio diritto ad amare finche in vita come avevano

fatto i grandi poeti stilnovisti Cavalcanti, Dante e Cino da

Pistoia, per non citare poi i nomi dei grandi della

tradizione6 7 .

La posizione presa sia da Boccaccio nell'autodifesa che

da Pampinea nelle novelle, riguardo all'eta, attacca il c o n ­

cetto della disdicevolezza d e l l 'innamoramento per chi, vec-

chio o giovane, si dedichi agli studi; un concetto fatto

proprio dallo spirito del Corbaccio nella seconda parte del

suo ragionamento. Cosi maestro Alberto "di chiara fama

quasi a tutto il mondo", non rifiuta le amorose fiamme per

"nobilta di spirito"; mentre al nostro scolare avvenne di

innamorarsi "come spesso a w i e n e a coloro nei quali e piu

l ' a w e d i m e n t o delle cose profonde piuttosto d'amore essere

incapestrati" (VIII, 7, 6). Fa quindi p a r t e della saggezza

acquisita tramite gli studi aver comprensione delle forze


196

della natura e saper accettare saviamente i propri appetiti.

Ma lo spirito, che tra l'altro non e un uomo di lettere,

ragiona secondo i topoi della tradizione che pone uno iato

tra la conoscenza e l'istinto, tra 1 'essere razionale e la

natura, ed in ultima istanza tra il chierico e la donna.

Gli studi avrebbero quindi dovuto mostrare al discepolo, se

lui l'avesse voluto vedere, che cosa le femmine sono.

Ha qui inizio il lungo monologo dello spirito sul "quid

est mulier"? Tra le numerose accuse rivolte dalla

tradizione misogina la piu comune e quella di lussuria

"focosa e insaziabile; e per questo [la donna] non patisce

ne numero ne elezione: il fante, il lavoratore, il mugnaio,

e ancora il nero etiopo, ciascuno e buono, sol che possa"

(224). Ed ecco che il Decameron. tra i numerosi esempi

delle novelle, ci offre due vicende esemplari a riguardo:

una nel personaggio di madonna Filippa (VI, 7), l'altro a

livello della cornice nel personaggio della serva Licisca.

Madonna Filippa di Prato, sposata, viene scoperta in

flagrante con il suo amante e, per uno statuto della citta

contro l'adulterio femminile, rischia di essere mandata al

rogo. "La donna, che di gran cuore era, si come general-

mente esser soglion quelle che innamorate son da dovero"

(VI, 7, 9), decide di difendere se stessa di fronte al

podesta e ai cittadini di Prato. Alla base della sua

arringa sono i concetti mercantile-borghesi della

partecipazione democratica ("le leggi deono esser comuni e


197

fatte con consentimento di coloro a cui toccano" VI, 7, 13)

e del risparmio:

Se egli [il marito] ha sempre di me [Filippa]


preso quello che gli e bisognato e piaciuto, io
che dovevo fare o debbo di quel che avanza? deb-
bolo io gittare ai cani? non e egli molto meglio
servirne un gentile uomo che piu che se mi ama,
che lasciarlo perdere o guastare? (VI, 7, 17).

II consenso alle sue affermazioni e unanime. L'insaziabile

lussuria delle donne del Corbaccio ottiene l'approvazione di

tutto un popolo. I "fortissimi animi [prestati] dalle donne

a quelle cose le quali esse vogliono disonestamente

adoperare" (228-9), divengono il "gran cuore" di madonna

Filippa6 8 .

Ed il consenso non e solo a livello delle novelle ma

anche della cornice quando la realta delle narrazioni si

inserisce nel mondo artificioso della brigata attraverso

l'alterco tra la serva Licisca ed il servo Tindaro6 0 .

Motivo di altercazione tra i due servi e la castita delle

donne sostenuta da Tindaro e derisa da Licisca che afferma:

E ben si bestia costui [Tindaro], che egli si


crede troppo bene che le giovani sieno si scioc-
che, che elle stieno a perdere il tempo loro
stando alia bada del padre o de' fratelli, che
[...] soprastanno [... ] piu che non debbano a
maritarle (VI, Int., 10).

Reprimere il proprio desiderio sessuale e quindi considerato

sciocco da Licisca70 e la sua convinzione e sancita dalle

risa della brigata e dalla sentenza di Dioneo ordinata dalla

regina: "La Licisca ha ragione, e credo che cosi sia come

ella dice, e Tidaro e una bestia" (VI, Int., 13).


198

Ma l'identificazione tradizionale della lussuria con il

sesso femminile trova, tra i vari esempi, confutazione nella

novella di Bernabo e Zinevra (II, 9). Madonna Zinevra,

accusata ingiustamente di aver tradito il marito Bernabo

durante una delle sue lunghe assenze di affari, riesce a

farsi risparmiare da un sicario mandatole dal marito che,

p er una beffa fattagli, la credeva fedifraga. Travestitasi

da uom o e entrata alia corte del sultano d'Egitto, Zinevra e

in grado di salvare il proprio onore e vendicarsi del bef-

fatore del marito. Ella dimostra cosi come la lussuria non

sia da applicare a tutte le donne indiscriminatamente ed

inoltre da riprova del proverbio che dice: "Quale asino da

in parete, tal riceve" (II, 9, 6)7 1 .

Ma il quid est mulier? dello spirito non si calma, al

contrario egli entra in dettagli sempre piu specifici. Cosi

le donne "si mostrano timide e paurose [...], non andrebbero

di notte, che dicono che temono gli spiriti, le anime e le

fantasime" (227). Ma la nostra anima censoria non direbbe

questo se avesse letto o sentito la novella di Gianni Lot-

teringhi (VII, 1). Emilia narratrice afferma, come gia il

nostro spirito, quanto lei e le altre donne siano in

generale "paurose e massimamente della fantasima (la quale

sallo Iddio che io non so che cosa si sia ne ancora alcun

trovai che'l sapesse, come che tutte ne temiamo ugualmente)"

(VII, 1, 3). Monna Tessa, moglie del Lotteringhi, che

utilizza l'espediente dell'esorcizzazione della fantasima


199

per rassicurare il marito, e della sua presenza informare

l'amante che si trova all'uscio per aver ricevuto il messag-

gio sbagliato. II bussare all'uscio dell'amante diviene la

persecuzione della fantasima; ma con un tempestivo

scongiuro: "Fantasima, fantasima che di notte te ne vai, a

coda ritta ci venisti, a coda ritta te n'andrai: va

nell'orto, a pie' del pesco grosso troverai unto bisunto e

cento cacherelli della gallina mia: pon bocca al fiasco e

vatti via, e non far mal ne a me ne a Gianni mio" (VII, 1,

27), monna Tessa previene lo scandalo, la eventuale gelosia

dell'amante ed il di lui digiuno che era venuto quella sera

per cena. La novella ha poi diverse versioni della con­

clusions, segno di quanto comune fosse il timore e la

strumentalizzazione delle fantasime da parte delle donne.

Ma di che cosa non sarebbero capaci le donne pur di

disonestamente operare? si chiede ancora retoricamente lo

spirito (228). Esse sono capaci di andare in cima alle

torri. Questo e il caso di Elena (VIII, 7) che "piu

innamorata che savia" si lascia intrappolare dallo scolare

proprio su di una torretta. Esse sono capaci di nascondere

gli amanti sotto le ceste; come la moglie di Pietro di Vin-

ciolo (V, 10) che, trascurata dal marito omosessuale, si

considera "femina come l'altre e ho voglia di quel che

l'altre, si che, perche io me ne procacci, non avendone da

te [Pietro], non e da dirmene male" (V, 10, 58)7 2 . Oppure

li nascondono nelle arche; come fa la moglie del chirurgo


200

Mazzeo della Montagna per salvare l'onore e soddisfare i

propri bisogni sessuali. Ella infatti "che nel letto era

male dal maestro [il marito] tenuta coperta [...], si come

savia e di grande animo, per potere quello da casa

risparmiare, si dispose di gittarsi alia strada e voler

logorar dell'altrui" (IV, 10, 4-6)7 3 . O ancora li fanno

entrare nel proprio letto mentre vi giacciono con il marito

dormente; e questo il caso della Salvestra che permette

all'innamorato e infreddolito Girolamo di giacerle accanto,

dormendo il marito nello stesso letto, con la promessa pero

di non essere toccata, poiche afferma: "Io sono come tu

[Girolamo] vedi maritata; per la qual cosa piu non sta bene

a me d' attendere a altro uomo che a mio marito" (IV, 8,

19); o forse meglio il caso di madonna Beatrice, moglie di

Egano de'Galluzzi di Bologna, che fa entrare in camera

l'amante Anichino e ne fa uscire con una scusa il marito che

le dorme accanto (VII, 7); o Lidia, moglie di Nicotastro che

si sollazza sotto il pero con l'amante Pirro mentre il

marito da sulla pianta li guarda (VII, 9). Ed ancora le

donne corrono per i mari per andare dietro a chi meglio

"lavora"; cosi come Alatiel (II, 8), passivo oggetto d'amore

di otto amanti consecutivi, e trascinata dalla sorte

attraverso tutto il Mediterraneo, p e r poi ricominciare il

ciclo come vergine sposa del re del Garbo poiche, come dice

il proverbio: "Bocca basciata non perde ventura, anzi rin-

nuova come fa la luna" (II, 7, 122) . Oppure come la


201

giovane Bartolomea (II, 10) che, cercando di evitare le

vigilie e le astinenze fattele fare dal vecchio marito Ric-

ciardo di Chinzica, una volta in "peccato mortaio" con il

pirata Paganino, decide di starci "quanto che sia in

imbeccato pestello" (II, 10, 37). E ci sono pure donne che

presuppongono di fare i loro piaceri con gli amanti davanti

ai loro mariti, come nel caso della moglie di Nicotastro che

ama il giovane Pirro (VII, 9). Ed il suo beffare l'ingenuo

marito, amoreggiandogli davanti e facendogli credere che non

e vero, e, come ci dice lo stesso Panfilo narratore, senza

dubbio audace; poiche nonostante non ci sia cosa "che a

far non ardisca chi ferventemente ama [... ] per cio non con-

siglierei io [Panfilo] alcuno che dietro alle pedate di

colei di cui dire intendo, s'arrischiasse d'andare, per cio

che non sempre £ la fortuna disposta, ne sono al mondo tutti

gli uomini abbagliati igualmente" (VII, 9, 4); e decisamente

questo un a w e r t i m e n t o , purtroppo vano, per la nostra vedova

Elena.

Continuando nel suo attacco misogino lo spirito reitera

che le donne possiedono una "subita sapienza" che le rende

non grandi favellatrici ma seccatrici a tal punto che di

tutto e con tutti si sentono in grado di discutere, e se non

trovando altri che presti loro orecchio "colla fornaia,

colla trecca, o colla lavandaia berlingano senza ristare"

(252). E lo stesso pubblico hanno le donne di Pampinea (I,

10), le quali, capovolgendo le parole dello spirito, hanno


202

fatto della loro condizione, virtu in quanto credono:

[C]he da purita d'animo proceda il non saper


tralle donne e co' valenti uomini favellare, e
alia lor milensaggine hanno posto nome onesta,
quasi niuna donna onesta sia se non colei che con
la fante o con la lavandaia o con la sua fornaia
favella: il che se la natura avesse voluto, come
elle si fanno a credere, per altro modo loro
avrebbe limitato il cinguettare (I, 10, 6).

Spetta cosi alle donne, contrariamente a quanto afferma lo

spirito, recuperare la parola ed imparare come e quando

usarla; un insegnamento che vanifica ed alio stesso tempo

allevia le lamentele del nostro7 4 .

Ma l'attacco continua con la metaforica opposizione

donne-muse come rappresentazione della tradizionale con-

trapposizione tra vita pratica (attivita manuali, vita

matrimoniale, d o n n e ) , e vita contemplativa (ricerca della

conoscenza attraverso 1'isolamento, l'ascetismo e gli

s t udi). Presuntuose sono quindi le donne quando affermano

che "tutte le buone cose son femmine: le stelle, le pianete,

le Muse, le virtu, le ricchezze" (259). II discepolo deve

albergare tra le "Ninfe castalide" per esercitare il suo

ingegno e la sua fama. E le ninfe non lo abbandoneranno

mai, non lo scherniranno, non lo importuneranno con banali

conversazioni. La loro bellezza non incitera il "disonesto

fuoco" (286); anzi esse avrebbero il sacrosanto diritto di

cacciarlo dalla loro compagnia, in quanto troppe volte le ha

ripudiate per correre dietro alle femmine (288). Al buon

consiglio dello spirito e di coloro che come lui la pensano,

fautori delle aspre critiche mosse alle pagine del


203

D e c a m e r o n . controbatte Boccaccio, n e l l 'introduzione alia

quarta giornata, superando la dicotomia della tr a d i z i o n e e

identificando nelle donne la fonte della sua ispirazione

presente e passata. Cosi infatti sostiene:

[L]e Muse son donne, e benche le donne quel che le


M u s e v a g l i o n o non vagliano, pure esse h a n n o nel
pr i m o aspetto simiglianza di quelle, si che,
quando p e r altro n o n mi piacessero, p e r quello mi
dovr e b b e r piacere; senza che le donne g i a mi fur
cagione di comporre mille versi, dove le Muse mai
n o n mi furono di farne alcun cagione (IV, Int.,
35) .

U n ' a l t r o tema chiosato nel Decameron e il sogno.

Ritengo di aver gia s u f ficentemente analizzato la vicenda

del sogno del Corbaccio ed il suo significato nei riguardi

del protagonista; qui voglio aggiungere un a nalisi del modo

in cui la brigata d e c a m e r o n i a n a affronta il tema della

veridicita onirica, e sottolineare come la s o l u z i o n e da loro

proposta sar e b b e stata valida anche per il nostro

v endicat i v o amante.

I s o g n i compaiono in c i n q u e novelle del D e c a m e r o n : IV,

5; IV, 6; V, 8; VII, 10; IX, 7. Nelle novelle IV, 5? V, 8;

VII, 10, in cui trovi a m o piu una visione che un v e r o e

proprio sogno, l'esperienza onirica ha una funzione

strumentale nell'economia de l l a narrazione: il s o g n o

permette a l i a vicenda gia strutturata di svilu p p a r s i e con-

cludersi in una certa direzione. Nelle altre due novelle

(IV, 6; IX, 7) il sogno si identifica con il c o n t e n u t o della

narrazione. Rispetto a questo secondo tipo di esperienze

oniriche Panfilo, nell ' i n t r o d u z i o n e alia IV, 6, a f f ronta la


204

problematica sul valore premonitore dei sogni. Egli infatti

afferma:

Che essi non sien tutti veri assai volte puo


ciascun di noi aver conosciuto: e che essi tutti
non sien falsi, gia di sopra nella novella di
Filomena [la novella di Lisabetta e il basilico
(IV, 5)] s'e dimostrato e nella mia, come davanti
dissi, intendo di dimostrarlo (IV, 6, 6).

Ma di fronte alia impossibility di assolutizzare una o

l'altra posizione Panfilo reitera:

Per che giudico che nel virtuosamente vivere e


operare di niuno contrario sogno a cio si dee
temere ne per quello lasciare i buoni
proponimenti: nelle cose perverse e malvagie,
quantunque i sogni paiano a quelle favorevoli e
con seconde dimostrazioni chi gli vede confortano,
niuno se ne vuol credere; e cosi nel contrario a
tutti dar buona fede (IV, 6,7).

II consiglio di Panfilo avrebbe senza dubbio aiutato la

moglie di Talano (IX, 7) la quale, se avesse creduto, non

tanto al sogno premonitore del marito, quanto ai consigli di

lui, avrebbe evitato di essere sfigurata dal lupo. E lo

stesso consiglio avrebbe funzionato per il protagonista del

Corbaccio se avesse seguito il proprio pensiero che lo

guidava fuori delle panie d'amore, invece di credere

ciecamente agli insegnamenti del sogno7 5 .

Concludo cosi riaffermando come contenutisticamente, ai

vari livelli della narrativa, il Decameron presenti un

positivo pragmatismo risolutivo basato sulla necessity di

comprendere i termini della dinamica situazionale, il cui

immanentismo, dati determinati presupposti, potrebbe

supplire alle contraddizioni di origine trascendente e


205

cognitiva proprie del C o r b a c c i o ; contraddizioni che sono la

causa dell'affermata inadequatezza dell'opera. II dominante

antirazionalismo del Corb a c c i o . basato sull'odio come fonte

di denigrazione isterica e grottesca o di accettazione

fideistica e strumentale di una supposta verita

trascendente, e stato da me po s t o a confronto con il

variegato tessuto narrativo, razionale e pragmatico del

Decameron nel tentativo di proporre una lettura di

quest'ultimo come summa di convergenze e contraddizioni

capaci di offrire, al di la di ogni considerazione pret-

tamente cronologica, soluzioni alle tematiche espresse nelle

opere in volgare, in generale, e nel Corbaccio in

particolare.

Non escludendo comunque un futuro ritrovamento di

imperscrutabili prove circa la datazione del Corbaccio e che

queste confermino la consequenzialita dell'opera rispetto al

D ec a m e r o n . ritengo po t e r mantenere valida la mia ipotesi.

Ritengo infatti plausibile pensare alia coesistenza in un

autore di tematiche divergenti materializzate sulla carta in

una sequenzialita non sempre corrispondente a quella

ideologica. In questo caso il Corbaccio. sempre sulla base

della stretta intertestualita provata7 6 , potrebbe essere o

il prodotto tardivo di una idea da tempo concepita ma mai

materializzata, oppure una estensione della tematica

misogina77 e di non comprensione gia presente nel Deca m e r o n .

In questo caso 1'ipotesi di R o b e r t Hollander verrebbe ad


206

assumere p i e n a pertinenza. A n c h e il ritrovamento di una

datazione p i u tarda, consona all'ipotesi di G i o r g i o Padoan,

non negherebbe 1 ' intertestualita tra le due opere, ne

invaliderebbe la m i a analisi. Infatti, come Pado a n stesso

scrive, "[n]egli ultimi quindici anni della sua vita, o poco

piu, il B o ccaccio [...] si ricopio, tra l'altro [...] una o

piu volte, il suo stesso D e c a m e r o n " (op. cit., 1978), p.

228. Questa p o s i z i o n e 6 anche sostenuta da V i t t o r e Branca

nella pr e m e s s a alia sua edizione critica del Deca m e r o n dove

afferma come, per l'autografo a noi p ervenuto (manoscritto

Hamilton 90) sia possibile fissare una data attorno al

137078.

Al m o m e n t o attuale comunque, dato l'inerente

relativismo di ogni ipotesi, accarezzo l'idea che il

Decameron p o s s a essere interpretato come una p o l i e d r i c a ed

impressionistica rappresentazione del reale in cui domina la

necessity di c o mprendere 1 'utile consiglio offerto con

diletto ai lettori dell'opera.


207

NOTE

1 Per una descrizione dettagliata delle varie posizioni

intorno a questa data vedi Giorgio Padoan (op. cit., 1978),

pp. 199-204.

2 Per le dettagliate vicissitudini circa la questione

dell preposizione "per" inserita nella frase vedi R. Hol­

lander (op. cit., 1988), pp. 27-8. Per una esauriente

dimostrazione della non validity di questa frase per la

datazione del Corbaccio vedi A. K. Cassell, (op. cit.,

1975), n. 87, p. 95.

3 R. Hollander scrive a proposito: "If he [Boccaccio]

was playing with conventional misogynist literary tradi­

tions, the confrontations adduced by Padoan are valueless.

And in all cases, it is clear, Padoan assumes a perfect

identity between Boccaccio and his narrator" (op. cit.,

1988), p. 31; e piu oltre: "[F]or Padoan, like so many

others, it is always a question of Boccaccio, never one of a

narrator whose attitudes may be distinguishable from Boccac­

cio's" (ibidem, p. 32). Ma anche Hollander non sembra sfug-

gire all'illusoria necessity di schierarsi a favore di una

delle due posizioni e quindi all'idea di autobiografismo;

infatti mentre sottolinea che l'intera vicenda "is a

literary event alone [...] we will never know unless better

documentation falls into our hands", con un a w e r s a t i v o con-


208

tinua "[b]ut I would also guess that the allusion to forty-

one or forty-two years of life does in fact refer, at least

approximately, to Boccaccio's age when he was composing the

Corbaccio11 (ibidem, p. 33) .

4Sono conscio della critica che potrebbe essere fatta a

queste mie affermazioni data una indirettamente proposta

antecedenza, almeno dal punto di vista ideologico-

contenutistico, del Corbaccio rispetto al Decameron. Potrei

qui addurre alcune posizioni critiche per sustanziare questa

mia posizione in termini cronologici. Per esempio Eugenio

Rossi scrive che forse il Corbaccio "e da ascriversi ad un

tempo anteriore alia pubblicazione delle ultime novelle del

Decameron" . in Dalla mente e dal cuore di Giovanni Boccaccio

(Bologna: Zanichelli, 1900), p. 189; il Rossi basa questa

sua convinzione su di un moralismo comune al Corbaccio e al

Decameron. Ad una composizione e forse anche pubblicazione

delle novelle in gruppi separati fa riferimento Vittore

Branca che in (op. cit., 1950), scrive: "Purtroppo pero la

spiegata ed ampia discussione [IV, Int.] nel Decameron non e

ancorabile ad una data sicura [...]. E soltanto la piu

diretta ed importante testimonianza della composizione

graduale, a mosaico, del Decameron; e della diffusione di

alcune novelle anche prima del componimento dell'opera

[...]. II Boccaccio dovette avere innumerevoli le occasioni

e le sollecitazioni a fissare sulla carta storie [...]. Non

dovette certo attendere di avere nella sua mente chiaro e


209

preciso il disegno del Decameron per raccogliere il

materiale quanto mai vario", p. 31-3. Ritengo comunque di

evitare, come gia affermato nel testo, la tentazione di una

ricerca di datazione e solo di dimostrare attraverso

l'analisi dei due testi la loro vicinanza tematica e il loro

rapporto dinamico.

5 Tutte le citazioni del Decameron sono tratte da

Giovanni Boccaccio, Decameron, a cura di Vittore Branca,

(Torino: Einaudi, 1984). Inoltre per quanto riguarda questo

inizio e la tradizione di Orazio vedi R. Hollander, "Utilita

in Boccaccio's Decameron", Studi sul Bocc a c c i o . XV (1985-6),

n. 2, p. 215.

6 Per l'etimologia vedi C. Battisti, G. Alessi,

Dizionario etimoloaico italiano (Firenze: Barbera Editore,

1951), vol. II, p. 1035.

7 A proposito della divergenza tra i due proemi Anthony

K. Cassell scrive: "This «Proemio» to the Corb a c c i o . with

its solemn and pious tone, bears an interesting contrast to

that of the Decameron I, 4, which expresses gratitude only

to «the gracious ladies»" (op. cit., 1975), n. 1, p. 80.

Condivido la posizione di Cassell ma vorrei precisare la

differenza tra i termini "gratitudine" e "compassione" in

rapporto alle due opere. La gratitudine che nel Corbaccio e

rivolta verso Dio, e nel Decameron riferita ai compagni per

l'aiuto ricevuto e trasformata in compassione per il pros-

simo e non solamente per le donne (posizione immanentista);


210

diversamente nel Corbaccio gratitudine e compassione

(espressa sotto forma di utile consiglio al lettore)

rimangono polarizzate: una in direzione trascendente (e come

abbiamo visto fallimentare), l'altra in direzione immanente.

8 Nella prima parte di questa citazione, quando Boccac­

cio descrive la passata condizione di innamoramento sembra

di sentire l'eco dei lamenti di Fiammetta nell'Eleoia e dei

rimproveri dello spirito del C o r b a c c i o .

9 All'interno del rapporto intertestuale Ovidio-

Boccaccio Robert Hollander scrive: " [I]f the Decameron

begins where the Remedia amoris ends, the Corbaccio begins

with a glancing reference to its beginning" (op. cit.,

1988) , p. 36. In primo luogo ritengo che questa concisa

affermazione necessiti alcune integrazioni. Infatti il

Decameron e alio stesso tempo scritto da chi ha fatto buon

uso degli insegnamenti del Remedia A m o r i s . ed offerto come

rimedio per la frustrazione amorosa, delle donne in

particolare e di tutti gli eventuali lettori in generale. A

questo proposito, nell'articolo "Proemium Decameronis" . in

Lectura Boccaccii. di prossima pubblicazione, Robert H o l ­

lander scrive: "The Decameron is presented as a Remedia

amoris - in the root sense of Ovid's title. Its task [...]

is apparently to offer ladies who a r e unhappy amorous "utile

consiglio" by which they may understand what they should

flee, what they should seek" [ringrazio Robert Hollander di

avermi dato visione dell'articolo prima della sua pub-


211

blicazione]. Quindi nel Decameron Boccaccio, come Ovidio

("ego semper amavi,/Et [...] nunc [...] amo" op. cit., v. 8,

p. 178), e stato ed e un amante che, dopo aver sperimentato

e positivamente risolto l'affezione amorosa, si accinge ad

offrire consigli a coloro che, per motivi contingenti in

Ovidio ("At siquis male fert indignae regna puella" ibidem,

v. 15, p. 178) e per motivi sociali in Boccaccio ("temendo e

vergognando [le donne], tengono l'amorose fiamme nascose

[...] e oltre a cio, ristrette [sono] da' voleri, da'

piaceri, da' comandamenti de' padri, delle madri, de'

fratelli e de' mariti" Pr. 10) soffrono della propria

affezione. A questo proposito Janet Levarie Smarr scrive:

"Boccaccio has set himself the task of writing another

Remedia a m o r i s . aiming it at an audience hitherto neglected:

women", in "Symmetry and Balance in the Decameron" .

Med i e v a l i a . 2 (1976), p. 176.

In secondo luogo vorrei sottolineare come

1 'affermazione iniziale di Robert Hollander nel modo stesso

della sua formulazione, si possa prestare, sulla base

d e l l 'intertestualita con il Remedia Amoris, ad una con­

tinuity tematica che vede appunto il Decameron come pos-

sibile risoluzione al Corbaccio.

10 Anche nell'Amorosa Visione si fa riferimento

all'intervento soprannaturale che salva dalla morte per

amore ma in questo caso la divinita e il Cupido classico e

non il Dio cristiano (I, w . 1-12).


212

11 "Carissime donne [...] [n]oi abbiamo p e r p i u novel-

lette d e t t e riso molto delle beffe state fatte, delle quali

ni u n a v e n d e t t a stata fatta s'e raccontato: ma io intendo

farvi a v e r e alquanta compassione d ' u n a giusta retribuzione

ad una n o s t r a cittadina renduta" (VIII, 7, 3). T r o v o impor-

tante qui sottolineare come Pampinea deroghi 1 'originalita

d e l l a p r o p r i a narrazione alia sec o n d a parte della novella in

cui e in sito anche tutto il signi f i c a t o didascalico ed

utilitaristico. Di qui il pass a g g i o dalle risa delle novel-

lette p r e c e d e n t i alia compassione p e r una giusta

retribuzione, e il tutto "non sara senza utilita di voi

[donne], p e r cio che meglio di b e f f a r e altrui vi guarderete,

e farete gra n senno" (VIII, 7, 3). Da non d i menticare

quindi c h e 1' insegnamento della n o v e l l a e indirizzato prin-

c i p a l m e n t e alle donne. V edremo c o m u n q u e piu oltre nel testo

com e in realta essa presenti un m e s s a g g i o anche p e r lo

scolare.

12 Nel confrontare i punti t e s t u a l i di richiamo (in cio

m i sono s o p r a t t u t t o servito delle detta g l i a t e note alia

t r a d u z i o n e del Corbaccio di A. K. Cassell) ho riscontrato

c h e circa i 2/3 di essi fanno rifer i m e n t o ad eventi presenti

n e l l a p r i m a parte della novella, a w a l l a n d o cosi la mia

ipotesi; g l i altri, esclusi tre rifer i m e n t i (op. cit.,

1975), nn. 319, 320, 321, pp. 148-9, di cui tratto nel

testo, si riferiscono a topoi della tradizione. Due

r i f e r i m e n t i in particolare non sono men z i o n a t i da Cassell:


213

un malaugurio impersonale circa il rompersi le gaxnbe

riferito ad un interxnediario ("Egli fu bene la mia [della

donna] d i s a w e n t u r a che io mai ti [al marito] vidi, che

fiaccar possa la coscia chi prima ne fece parola" 220), che

sembra realizzarsi nella caduta della serva di Elena,

anch'essa mezzana, dalla scala; l'altro, il topos dell'amore

per le vedove che Cassell tratta alia nota 263 senza fare

riferimento alia novella.

13 In genere la critica ha ritenuto di individuare il

punto di aggancio tra il Corbaccio e la novella in un passo

piu oltre nel testo in cui lo scolare, dopo aver esaltato il

potere inerente alia parola scritta, afferma: "Io giuro a

Dio [...] che io avrei di te scritte cose che, non che

dell'altre persone ma di te stessa vergognandoti, per non

poterti vedere t'avresti cavata gli occhi" (VIII, 7, 100).

In nota a questa affermazione Vittore Branca scrive: "Sono

del resto queste righe e le seguenti quelle che piu diret-

tamente vengono riflesse ed ampliate, in tutte le loro

pieghe letterarie, nel Corbaccio. anche nella difesa

dell'intellettuale e nella esaltazione del potere dello

scrittor e " . Nonostante mi trovi completamente d'accordo con

la seconda parte di questa affermazione, vorrei pero sot-

tolineare come l'uso del condizionale "avrei" presuppone

l'aver fatto una scelta del tipo di vendetta come azione

(quella che sta mettendo in atto) invece che come parola

scritta, contrariamente a quanto si afferma nel Corbaccio


214

dove i termini di realizzazione della vendetta risultano

ancora vaghi e futuri (in ultima analisi il tutto fa

riferimento alia parola scritta in quanto stiamo trattando

di testi, ma questo ci condurrebbe in un inutile circolo

vizioso; rimaniamo quindi al livello narrative preso in con-

siderazione). Cosi infatti si esprime il protagonista dopo

essere stato sollecitato dallo spirito a scrivere contro la

vedova: "E, mentre nelle parole artificialmente dette sara

alcuna forza o virtu, a niuno mio successore lascero a fare

delle ingiurie ricevute da me vendetta, solo che tanto tempo

mi sia prestato che io possa o concordare le rime o dis~

tendere le prose" (532). Ora se questo e un riferimento ad

un secondo Corbaccio. l'autore stesso ne sottolinea

1'inappropriatezza alia fine dell'opera. Un'ipotesi

potrebbe dunque essere che le cosiddette prose si

riferiscono alia novella e specificatamente alia parte della

contro-beffa. Pitx oltre l'invettiva del protagonista pre-

senta una serie di punti in comune con quella dello scolare:

in entrambi i casi la morte, come punizione della donna, e

solo minacciata come retribuzione ultima ma non messa in

pratica; inoltre si fa riferimento al saper scegliere chi

schernire perche tutti gli uomini non sono uguali, e

specialmente gli scolari.

14 Alla nota 1 della suddetta novella Vittore Branca

scrive che "e opportuno richiamare per la prima parte della

novella una lunga tradizione medievale: che di solenni beffe


215

fatte da donne a filosofi, a poeti, a studiosi — da

Aristotele a Virgilio — e piena la letteratura latina e

volgare dell'eta di mezzo [...]. Ma in generale si e

insistito soprattutto, dal Groto e dal Sansovino fino ai

nostri giorni, a voler riconoscere in questa novella un

episodio autobiografico da mettere in rapporto al C o r b a c c i o .

senza accorgersi del tessuto letterario, dipendente da una

robusta tradizione medievale, di questi sfoghi misogini

(tipo Ibis)e di queste rappresentazioni di amori per vedove"

(op. cit., 1984), n. 1, p. 944.

15 Per u n a dettagliata descrizione della presenza di

elementi canonici nelle novelle v edi le note di Vittore

Branca (op. cit., 1984), pp. 944-75.

16 La mancanza nella novella, nonostante la generale

tematica misogina, di estesi riferimenti alle fonti

tradizionali che invece troviamo nel Corbaccio (vedi A. K.

Cassell, "Notes to Translation", op. cit., 1975) puo essere

fatto risalire alia diversa natura delle due c o m p o sizioni.

La prima, una narrazione basata essenzialmente sull'azione;

la seconda un trattato prono ad una presentazione retorico-

dialogica. A n c h e nei brani piix retorici della vicenda dello

scolare, il dialogo con la vedova sulla torre, sono pochi

gli "excursus" che lo scolare fa, come per esempio quello

sulle capacity amatorie dei giovani e degli adulti, in

quanto egli e piu sadisticamente inclinato a confutare

scolasticamente le preghiere di liberazione della donna. In


216

questo senso mi trovo d'accordo con 1'affermazione di R.

Hollander (op. cit., 1988), n. 41, p. 51, di assegnare agli

studi parigini dello scolare una impostazione piu

scolastico-retorica, piuttosto che farne un centro di

educazione all'amore cortese come sottolinea M. J. Marcus

(op. cit., 1984), p. 28.

17 Da notare qui la differenza di atteggiamento dei due

p rotagonisti. Lo scolare assume una posizione del tutto

immanentista, il suo scopo, sempre secondo l'intento di

Pampinea, e quello di educare piu che vendicarsi. Nel Cor­

baccio invece la vendetta e la motivazione essenziale che

viene delegata, in ultima istanza a Dio, come assoluto

garante, in quanto trascendente, della sua attuazione (da

sottolineare e qui anche il sentimento di impotenza del

p rotagonista). In relazione a questa differenziazione Guido

Guglielmi, "Una novella non esemplare del Decameron", Forum

Italicum. XIV (spring 1980), scrive: "[N]ella novella non e

questione della contrapposizione tra due mondi alternativi,

uno degradato e uno "celestiale", - come nel caso del Cor­

baccio - bensi di una dialettica tra natura ed arte,

"physisi- e esperienza" (p. 53) . Sebbene concordi con la

seconda parte d e l l 'affermazione di Guglielmi, non sono com-

pletamente d'accordo con il dualismo da lui affermato per

quanto riguarda il Corb a c c i o . in quanto ritengo che

l'elemento trascendente sia solo introdotto come espediente

ultimo, come formula retorica non corrispondente alia


217

fenomenologia del comportamento del nostro.

18 per i riferimenti circa la comparsa nell critica di

questa equazione vedi Giorgio Padoan (op. cit., 1978), p.

202 .
19 Vorrei qui per inciso ricordare che anche lo spirito

del Corbaccio e stato, prima della sua morte, vittima delle

panie amorose di cui, solo nel suo stato di anima, ne

riconosce i pericoli dei quali cerca di mettere in guardia

il nostro. Anche il vedovo e stato a sua volta prima

discente poi docente.

20 Questa interpretazione mette inoltre in evidenza una

possibile assimilazione situazionale della novella con le

affermazioni proemiali dell'intero D ecameron. Distorta

dalla crudelta (conscia nel savio scolare e meno conscia

nella poco savia Elena) come sentimento opposto alia

proemiale compassione (cfr. p. 48-9), la novella presenta,

fatti i dovuti cambiamenti,, la stessa dinamica del proemio:

un uomo colto, dedito agli studi, fa esperienza e supera la

propria affezione amorosa per poi offrire alia donna

innamorata "utile consiglio" e "pratico aiuto" per il super-

amento, alia fine a w e n u t o , della di lei noia.

21 R. Hollander (op. cit., 1988), p. 19, fa riferimento

non solo al fatto che la vedova possiede un nome, ma che

questo e unico nel Decameron; introduce inoltre una serie di

osservazioni sulla tradizione del nome, Elena = Elena di

Troia, nelle opere del Boccaccio, ed inoltre 1 'equazione


218

Paride = Parigi (l'equazione funziona meglio in inglese data

la omonimia tra "Paris", l'amante di Elena, e "Paris", la

capitale francese) con riferimento alia citta degli studi

dello scolare. Piu oltre Hollander assimila nelle sue

qualita negative Elena con la Fiammetta dell'E l e a i a . dando

ad entrambi gli attributi di "prideful, lecherous, and

foolish" (p. 19). Ritengo invece che, praticando un po' di

quella comprensione/compassione che i personaggi stessi ci

richiedono ed evitando quindi ogni giudizio moralistico di

condanna, la identificazione tra le due donne risiede

soprattutto nell'essere entrambi dominate dalla passione

amorosa ed, alio stesso tempo, alia ricerca della com-

passione dei propri interlocutori.

22 II tema del "giovane amante" viena ampliamente dis-

quisito dallo scolare quando sarcasticamente rifiuta

l'offerta della vedova di abbandonare il "disleal giovane",

di aver solo lui "per amadore e signore", e di offrirgli la

propria bellezza "che vaghezza a trastullo e diletto e della

giovinezza degli uomini: e tu [lo scolare] non sei vecchio"

(VIII, 7, 94); il tutto in cambio dell'esser liberata dalla

torre. La scolastica risposta di Rinieri, anch'essa un

topos della tradizione, si basa interamente sulla con-

trapposizione tra "physis" ed esperienza. I giovani sono

forti, sanno giostrare e carolare, ma devono imparare cio

che gli adulti gia sanno. Hanno piu energia nello scuotere

i "pelliccioni", ma i maturi sanno dove sono le pulci.


219

Hanno un forte "trotto" che pero non 6 soave come l'altro.

Sono poi volubili, vanagloriosi e prendono dove invece gli

altri danno.

Questa lunga arringa e stata al centro dell'attenzione

della critica che l'ha interpretata in senso autobiografico,

attribuendo al Boccaccio una rabbia esistenziale tale da

fargli dimenticare l'accennata giovane eta di Rinieri che

qui si identifies con gli amanti anziani. A questo

proposito M. J. Marcus reinterpreta questa contraddizione in

termini meta-narrativi ed afferma che: "What the age dis­

parity and the shift from «tu» to «voi» suggest is that the

speaker has unconsciously lapsed into a conventional

antifeminist mode, that his misogynous reading is «speaking»

through him" (op. cit., 1984), p. 36. Sono pienamente

d'accordo sulla distinzione che la Marcus fa tra l'ideologia

dello scolare e quella di Boccaccio, anche se, con-

trariamente a quanto da lei affermato nell'ultima parte

dell'articolo, la ritengo applicabile anche al Corbaccio.

Comunque per quanto riguarda questo scarto che il Boccaccio,

o lo scolare per lui, sembra fare, ritengo debba essere

ridimensionato nella sua portata. Quando Pampinea

all'inizio della novella introduce Rinieri ce lo presents

come un giovane che aveva "lungamente studiato a P arigi".

Lo scolare e quindi si ancora giovane, ma non giovanissimo;

contrariamente l'amante di Elena e invece presentato come un

"giovanetto bello e leggiadro", tipici attributi di un uomo


220

appena superato l'adolescenza. Inoltre quando Rinieri nella

sua disquisizione assimila se stesso non a vecchi o anziani,

fa riferimento ad "uomini maturi" o "attempati". La saggia

maturita di Rinieri e quindi in contrapposizione alia

giovane, inesperta e volubile eta del rivale. La

divaricazione generazionale che egli afferma e tale in

quanto nella retorica di uno scolare assume i caratteri

generali del topos.

23 La stessa scelta fa Criseida nel Filostrato quando

decide di concedere i suoi favori a Troiolo. Tale decisione

e presa da Criseida, non per innamoramento come nel caso di

Elena, la quale "rimasa del suo marito vedova mai piu

maritar non si voile, essendosi ella d'un giovinetto bello e

leggiadro a sua scelta innamorato" (VIII, 7, 4), ma dopo

aver lungamente ponderato i pro ed i contro di tale

decisione. Tale dibattito interiore si protrae per ben

undici ottave ed inserisce una serie di argomenti che fanno

della cortese Criseida un personaggio dal realismo

decameroniano. La sua ricchezza, nobilta e vedovanza la

fanno senz'altro oggetto d'amore e di innamoramento; alia

perdita dell'onesta si puo o w i a r e mantenendo il segreto

(cosi fanno madonna Fiammetta e tutte le donne innamorate

del Boccaccio, ed e questa una regola di Andrea Cappellano

per cui segretezza e extraconiugalita sono le condizioni

indispensabili all'amore). La giovinezza "si fugge ogni

ora" e la vecchiaia porta solo rimpianti; tutte amano (cosi


221

sostiene anche la serva Licisca nel Decameron^ percid il

peccato non pud essere cosi grave (alia stessa equazione

arriva madonna Fiammetta). Non c'd infine bisogno di

risposarsi in quanto l'amore e tanto piu apprezzato se

furtivo e sofferto (la stessa affermazione e fatta da

Elena).

24 Un'ulterire assimilazione di Elena a madonna Fiam­

metta e contrapposizione alia lasciva e non innamorata

vedova del C o r b a c c i o .

25 II termine appetito ci riconduce al concetto

aristotelico di anima appetitiva in contrapposizione ad

anima razionale; ed e proprio questa condizione di

affezione, di odio, che aveva impedito al protagonista del

Corbaccio di superare la propria condizione di dipendenza

emotiva, quindi di dominare il proprio appetito.

26 Lo scolare sembra cosi passare tramite la realiz-

zazione della vendetta dall'odio alia serenita, come per-

cepibile dalle sbrigative parole di conclusione di Pampinea.

Egli rimane quindi, come il protagonista del C o r b a c c i o .

all'interno dell'interpretazione scolastico-aristotelica

della dinamica di tali sentimenti. A questo proposito A. K.

Cassell scrive: "In speaking of those sullen because of

anger Aristotle had described the effects of taking revenge:

«The sullen are angry for a long time and are mollified with

difficulty [...] But they are appeased when they have taken

vengeance. The infliction of punishment (revenge) calms the


222

surge of anger and brings delight, inasmuch as a man takes

pleasure in vengeance» St. Thomas glossed, «Sadness is

replaced by delight, inasmuch as a man takes pleasure in

vengeance» (Exp. Eth. N i c o m . , pp. 222-3)" (op. cit., 1975),

n. 9, pp. 81-2. Come e possibile notare da questa

affermazione il comportamento dello scolare si mantiene

all'interno degli schemi ideologici della sua istruzione.

27 Gia all'inizio di questa novella le donne provano

compassione per la d i s a w e n t u r e di Calandrino: "Molto avevan

le donne riso del cattivello di Calandrino, e piu

n'avrebbono, se stato non fosse che loro increbbe di

vedergli torre ancora i capponi a coloro che tolto gli

avevano il porco" (VIII, 7, 2). Ringrazio Vittore Branca

per avermi suggerito questa osservazione.

28 per una bibliografia relativa a questa novella e da

vedere Vittore Branca (op. cit., 1984), p. XCII. Per gli

anni seguenti le pagine bibliografiche di Studi sul Boccac­

cio non riportano nessun specifico studio a riguardo; in

ogni caso nei testi che fanno riferimento a questa storia

non e menzionato un eventuale rapporto con il C o r b a c c i o .

29 La lussuria del clero e un tema ricorrente nel

D e camero n . alcune volte aspramente criticato dai personaggi

delle novelle o dai narratori stessi; tra gli esempi piu

importanti sono da annoverare l'invettiva di Tedaldo (III,

7, 33-45) e l'attacco di Pampinea n e l l 'introduzione alia

seconda novella della quarta giornata; altre volte e invece


223

utilizzato come tema narrativo in chiave punitiva (IV, 2;

VI, 3; VIII, 4) ma piu spesso come uso dell'ingegno umano a

lieto fine (I, 4; III, 1 - 4 - 7 ; VII, 3; VIII, 2; IX, 2;

includendo anche le religiose). In particolare il tema di

una santita non del tutto meritata lo ritroviamo o w i a m e n t e

nella vicenda di ser Ciappelletto (I, 1) in cui compare

anche la santita gabbata del confessore e nella novella

veneziana, gia citata, del frate Alberto da Imola, alias

Berto della Massa, e di madonna Lisetta da ca' Quirino (IV,

2). Nel racconto di Ferondo e in quello di Lisetta troviamo

anche un comune riferimento all'angelo Gabriele attraverso

la fantasia e le parole di due persone sciocche: Ferondo "in

pieno popolo racconto la revelazione statagli fatta per la

bocca del Ragnolo Braghiello avanti che resuscitasse" (III,

8, 74); madonna Lisetta, "che piccola levatura avea, disse:

- Comare, egli non si vuol dire, ma lo 'ntendimento mio e

l'agnolo Gabriello, il quale piu che se m'ama, si come la

piu bella donna, per quello che egli mi dica, che sia nel

mondo o in Maremma - " (IV, 2, 41).

30 Sottolineando piu volte la condizione di studioso e

di poeta del discepolo, lo spirito reitera la propria

inferiority intellettuale soprattutto in riferimento alle

muse che, come lui stesso dice al discepolo "molto meglio le

conosci che io non fo" (284).

31 Sono questi ultimi due i peccati che egli sconta in

Purgatorio, "l'un[o] e lo 'nsaziabile ardore che io ebbi de'


224

denari, mentre che io vissi; e l'altr[o] e la sconvenevole

pazienza con la quale io comportai le scellerate e disoneste

maniere di colei la qual tu vorresti d'aver veduta esser

digiuno1' (106) .

32 La gelosia dello spirito si manifests, in forma di

gioia vendicativa, nei confronti dell'attuale amante della

ex-moglie, il quale allevera come suo un figlio "che gli

appartiene meno che a Giuseppo non fece Cristo" (445); ed in

forma di compassione strumentale e colpevolizzante nei con­

fronti del discepolo ("ma pertanto a me tocco la volta, per-

che la cosa, di che io ti dovea venire per la tua salute [e

la mia vendetta] a riprendere, in parte a me apparteneva,

come di cosa stata mia; e assai manifestamente appariva che

di quella tu ti dovevi piu di me vergognare che di alcun

altro, si come colui al quale pareva che nelle sue cose

alcuna ingiuria avessi fatta, meno che onestamente

desiderandole" (539).

33 Come gia in parte accennato nel capitolo terzo lo

spirito del Corbaccio non sembra avere idee chiare sulla

topografia del luogo in cui si trova. Risulta infatti dif­

ficile dalla descrizione fatta al discepolo capire quali

esattamente siano i confini tra "il laberinto d'Amore", nel

quale si incontrano ed il Purgatorio in cui l'ex-marito sta

scontando i suoi peccati. Questa "valle de' sospiri e della

miseria" e locata nel mondo, nell'aldila, o in una realta

intermedia come il sogno? Lo spirito non sembra capace di


225

darne una risposta, anzi lui stesso sembra topograficamente

confuso quando narra la visita fatta alia ex-moglie (cfr.,

cap. Ill, n. 31 e p. 127).

34 Vanni Bramanti, forse nell'unico articolo che sia

stato dedicato interamente alia novella di Ferondo,

intitolato "II "Purgatorio" di Ferondo (D ecameron. Ill, 8),

Studi sul B o c c a c c i o . VII, 1973, pp. 178-87, scrive a

riguardo di tale confessione: "Del resto il discorso stesso

che si offre agli orecchi dell'attento confessore reitera il

tono ambiguo dell'insieme, giuocato com'e sulla doppia

valenza della coppia «potere-non potere» (la giovane «puo»

dirsi vedova vi s t a la dappocaggine del marito, tuttavia,

almeno per il momento, «non puo» trovarsi un'altro partner

ne «puo» far altro che menare la sua vita in

«tribulazione»)" (p. 182).

35 Come sottolinea Vittore Branca, nella nota a

riguardo di tali affermazioni, il tema della tutela delle

vedove da parte del padre e dei fratelli riappare nel

Decameron nelle novelle V, 6; X, 9, (op. cit., 1984), p.

417, n. 4. Tale condizione riflette comunque un fenomeno

sociale comune a tutto il Medioevo europeo, vedi a questo

riguardo Pauline Stafford, Q u e e n s , C o n c ubines. and Dowagers:

The Kina's Wife in the Earlv Middle Ages (Athens: The

University of Georgia Press, 1983), p. 49 s e g . , 179 s e g . ,

36 In questo lasso di tempo "1'abate, travestito de'

panni di Ferondo..., v'ando [dalla donna] e con lei infino


226

al matutino con grandissimo diletto e piacere si giacque e

poi si ritorno alia badia, quel cammino per cosi fatto ser-

vigio faccendo assai sovente. E da alcuni e nell'andare e

nel tornare alcuna volta essendo scontrato, fu creduto ch'e'

fosse Ferondo che andasse per quella contrada penitenza

facendo, e poi piu volte novelle tra la gente grossa della

villa contatone, e alia moglie ancora, che ben sapeva cio

che era, piu volte fu detto" (III, 8, 37). A questo

riguardo Stavros Deligiorgis, Narrative Intellection in the

"Decameron" (Iowa City: University of Iowa Press, 1975),

scrive: "Ordinary folk who nightly see Ferondo's ghost

visiting his wife, are also deceived; they cannot know that

the ghost is in reality the abbot in Ferondo's clothes" (p.

66); personalmente trovo che nel testo sia poco chiaro il

fatto che i villani vedano un fantasma invece del vero

Ferondo come notturno penitente, in quanto del fatto sem-

brano piu curiosi che spaventati (cfr., Decameron VII, 1).

Forse cio e dovuto al fatto che non sia un'evento fuori del

comune se, come d'altronde a w i e n e nel Corb a c c i o . i fantasmi

degli ex-mariti visitano le loro vedove. Non dimentichiamo

comunque che nella novella "gente grossa" sono definiti

coloro che credono a tali "novelle" (interessante l'uso di

questo termine per indicare la distanza tra fantasia e

realty inerente a tali storie, ma con un possibile accenno

meta-letterario alle cento narrazioni e alia natura dei nar-

ratori). Inoltre l'ironia rispetto al trattatello mi sembra


227

ancora piu evidente, in quanto 6 l'amante che andando a fare

le veci del marito ne viene scambiato per il fantasma.

37 Circa 1 'opportunity di rimanere nella casa del

defunto marito durante la vedovanza con figli o senza figli,

tratta Francesco da Barberino, contemporaneo di Boccaccio,

nella sua opera Reacrimento e costumi di do n n a , edizione

critica di Giuseppe E. Sansone (Torino: Loescher, 1957), VI,

p. 131,.

38 II fatto che le vedove di diritto ereditassero parte

dei beni del marito o divenissero amministratrici ed

usufruttuarie di tali beni durante la custodia dei figli

minori e la ragione principale per cui se da un lato avevano

maggiore autonomia ed influenza sociale rispetto alle altre

donne, dall'altro divenivano ambito oggetto di matrimonio.

Un nuovo legame matrimoniale significava per la vedova da

un lato una posizione sociale con minori responsabilita e

quindi meno rischiosa, ma dall'altro la perdita di ogni

potere ed autonomia. Vedi a riguardo Patrizia Tomacelli, Le

fjqlie di R a a b : il segno della donna nel Medioevo francese

(Milano: Cooperativa libraria I.U.L.M., 1986), p. 75 seg.;

Margaret Wade Labarge, Women in Medieval Life: A Small Sound

of the Trumpet (London: Hamish Hamilton, 1986), p. 26 s e g . ,

p. 164 s e g . ; Judith M. Bennett, "Public Power and Authority

in the Medieval English Countryside", in Women a n d Power in

the Middle A g e s . edited by Mary Erler and Maryanne

Kowalesky, (Athens: The University of Georgia Press, 1988),


228

p. 21 seg. ; in particolare sulla condizione fiorentina vedi

1'importante e comprensivo lavoro di Christiane Klapisch-

Zuber, "The Cruel Mother: Maternity, Widowhood, and Dowry in

Florence in the Fourteenth and Fifteenth Centuries", in

W o m e n . F a mily, and Ritual in Renaissance Italy (Chicago:

University of Chicago Press, 1985), pp. 117-31.

39 A questo riguardo Christine Klapisch-Zuber, che tra

l'altro cita p i u volte il C o r b a c c i o . offre un cor-

rispondente storico a questo passo del trattatello, scrive:

"It was up to h e r husband's heirs to persuade her [la

vedova] to remain with them and not to «leave with her

dowry» to live independently. What is more her husband

would do his utmost, on his deathbed, to encourage her to

give up any such idea... Clearly, well-off Florentines did

succeed in dissuading their wives from flying with their own

wings, since there were very few rich and elderly widows who

lived independently" (op. cit., 1985), pp. 121-2. Ma una di

queste e la nostra vedova.

40 II riferimento qui, come riporta Vittore Branca (op.

cit., 1984), n. 5, p. 414, ad I n f e r n o . XVI, 124, ("quel ver

c'ha faccia di menzogna") e immediato. A questo proposito

Natalino sapegno in nota a tale verso sottolinea, fornendone

alcuni esempi, come tale sentenza faccia parte della

tradizione (op. cit., 1974), vol. I, n. 124, p. 190.

41 Trovo interessante sottolineare come nel Filostrato.

Criseida, durante il suo monologo riguardante l'accettazione


229

dell'amore di Troiolo, analizzi la situazione alia luce

della propria condizione di vedova, ricca e senza figli

all'interno della filosofia carnascialesca della vita, che

prima di arrivare ai Canti di Lorenzo il Magnifico, passa

per le parole della vecchia, mezzana della "giovane com-

pressa, di pelo rosso e accesa" moglie di Pietro di Vinciolo

(V, 10), e della serva di Filomena, Licisca (VI, Intr.).

Cosi ragiona Criseida: "La giovinezza mia si fugge ogni ora/

debbol'io perder si miseramente?/ Io non conosco in questa

terra ancora/ niuna sanza amante, e la piu gente/ com'io

conosco, veggio s'innamora ed io perdo il tempo per

niente...Chi mi vorra se io c'invecchio mai?/ Certo nessuno,

ed allora a w e d e r s i / altro non e se non crescer di guai./

Niente vale il di dietro pentersi/ e dir dolente: 'perche

non amai?'" (II, 70-1). Tale condizione sociale di

autonomia economica e civile le permette anche,

nell'astoricita letteraria d e l l 7opera, di scartare l'idea di

un nuovo matrimonio ("Ed ora non e tempo da marito" II, 73)

ma di accettare quella di avere un segreto amante. Lo

stesso faranno Ghismonda (IV, 1) ed Elena (VIII, 7). Ho

parlato piu sopra di astoricita letteraria proprio in quanto

uno dei compiti piu difficili per le vedove, durante il

Medioevo ed oltre, era di riuscire a mantenere la propria

liberta ed autonomia evitando un nuovo matrimonio (cfr., n.

35).

42 Anche questa questione necessita una annotazione.


230

Alla domanda di Ferramonte "di cui piu tosto un giovane, per

piu felicemente il suo desio ad effetto conducere, si dee

innamorare di queste tre, o di pulcella o di maritata o di

vedova" (IV, 51, 2), Fiammetta regina dara la preferenza

alia vedova rispetto alia pulzella in quanto "la vedova, con

cio sia cosa che ella doni meno, e piu le sia il donare

agevole, piti sara liberale e piii tosto che la pulcella, che

donare dee la piu cara cosa ch'essa ha [verginita]" (IV, 54,

10). Interessante e il fatto che Fiammetta risponda a tale

questione in primo luogo eliminando la possibility di amare

la maritata, la quale, sempre secondo le parole della regina

risulterebbe senza dubbio la piu portata ad accondiscendere

ai desideri di un amante sia perche "la libidine quanto piu

s'usa piii cresce" (IV, 52, 4), e certo la sposata e "sovente

in tali cose raccesa piu ch'altra" (IV, 52, 5), sia perche

"tal volta le maritate sogliono da' mariti oltraggiose

parole e fatti ricevere, delle quali volentieri prenderieno

vendetta se potessero, e niuna via piu presta e loro rimasa

che donare il suo amore a chi le stimola di volerlo, in dis-

petto del marito" (IV, 52, 5). Un riferimento a decine

delle novelle del Decameron e qui superfluo. Trovo tra

l'altro interessante sottolineare come Francesco Petrarca in

una delle sue Familiari (XXII, 1, 11-13) adduca le stesse

argomentazioni di Ferramonte nello sposare una pulzella.

Per una interpretazione interessante a riguardo delle con-

clusioni di Fiammetta vedi Luigi Surdich (op. c i t . , 1987),


231

p. 40 seg., compresa la n. 69 in cui sono trattate alcune

delle fonti a riguardo di questa classificazione che

ritroviamo anche nell'Eleaia di madonna Fiammetta (I, 20).

Dello stesso argomento, rivisitato alia luce della con-

clusione di Fiammetta regina Boccaccio tratta nelle Rime

LXXXI, LXXXII.

43 Ibrida, l'uomo amato dalla ninfa Emilia per-

sonificazione della giustizia, accenna alia condizione

vedovile della madre prima della propria nascita: "Lei, di

senno e d'eta giovinetta, senza compagna rimasa nel vedovo

letto, nelle oscure notti tristi dimoranze traeva piangendo,

infino a tanto che agli occhi vaghi di lei 1 'aveniticcio

giovane... apparve... la quale non altrimenti, vedendolo,

sent! di Cupido le fiamme che facesse Didone, veduto lo

strano Enea. E come colei di Sicceo, cosi questa del primo

marito la memoria in Lete tuffata, comincio a seguire i

nuovi amori" (XXIII, 29-30). Interessante e l'associazione

della condizione vedovile con il personaggio letterario di

Didone, che appare qui estesamente per la prima volta (Fiam­

metta ne accenna ma solo indirettamente in F i l o c o l o . IV, 54,

2) , in quanto Boccaccio cambia la propria posizione

ideologica, rispetto al tema della vedovanza, proprio

secondo l'interpretazione che da lui viene data al mito

della regina cartaginese. Egli infatti mostra, nelle opere

giovanili, un atteggiamento positivo ed aperto, che pud

essere riassunto nelle conclusioni di Fiammetta regina


232

sulla vedovanza ed associato con il mito di Didone suicida

per amore. II comportamento dell'eroina virgiliana rispetto

alia propria condizione di vedova, ora immemore del morto

marito, ora suicida per mantenere il proprio voto di

castita, crea uno spartiacque n e l l 'interpretazione boccac-

ciana. Lasciando momentaneamente da parte la posizione del

Corbaccio di cui trattero estesamente piu oltre, nel De

mulieribus Claris Boccaccio introduce il personaggio di

Didone come esempio di assoluta fedelta alle ceneri dello

sposo, mantenuta anche a costo della vita, e ad esso associa

una invettiva contro il desiderio di rimaritarsi delle

vedove: "Dicet arbitror aliqua... - Sic faciendum fuit;

destituta eram, in mortem parentes et fratres abierant,

instabant blanditiis procatores, nequibam obsistere, carnea,

non ferrea sum - ... Insurget forsan et altera dicens: -

Erant michi longe lateque protensus ager, domus splendida,

supellectilis regia et divitiarum ampla possessio; cupiebam

effici mater ne tarn grandi substantia ad exteros deferretur

- ... Veniet et tertia asserens quia sic illi fuerit

agendum, cum parentes iusserint, consanguinei coegerint et

affines suaserint - ... Aderit, suo iudicio, astutior

ceteris una que dicat: - Iuvenis eram; fervet, ut nosti,

iuventus; continere non poteram; doctoris gentium aientis:

'Melius est nubere quam uri' sum secuta consilium

(XLII, 16-22). Per una possibile interpretazione sui motivi

del cambiamento di opinione di Boccaccio a riguardo di


233

questo tema associato al mito di Didone e sulle fonti let-

terarie e storiche che possono averlo reso possibile vedi

Craig Kallendorf, "Boccaccio's Dido and the Rhetorical

Criticism of Vergil's Aeneid" . Studies in P h i l o l o g y . LXXXII,

4 (Fall 1985), pp. 401-15; per una dettagliata analisi

dell'uso del mito di Didone da parte di Boccaccio soprat-

tutto nelle opere giovanili vedi Robert Hollander (op. cit.,

1977), n. 3, p. 172. Vorrei comunque qui accennare ad

alcune o s s e r vazioni, che poi riprenderb piu oltre nel testo,

e precisamente al fatto che l'invettiva nel De mulieribus fa

esclusivamente riferimento al desiderio di matrimonio della

vedova non alia sua condizione di libera ed autonoma

vedovanza, e che in entrambi le interpretazioni del mito di

Didone, l'enfasi (o la critica) e sempre posta

sull'incapacity della donna, in quanto vedova, di mantenersi

libera da ogni legame, sia emotivo che civile, con l'uomo.

Ultimo punto che pub forse avere qualche rilevanza e che la

ninfa della Comedia ha lo stesso nome, Emilia, della nar-

ratrice decameroniana che piu di ogni altro membro della

brigata introduce il personaggio della vedova nei propri

racconti. Per un'interpretazione femminista del De

mulieribus Claris vedi Ann H. McMillian, "Evere an Hundred

Goode Agevn oon B a d d e " : Catalogues of Good Women in Medieval

Literature (Ann Arbor: University Microfilm International,

1984), pp. 38-69; Costance Jordan, "Boccaccio's In-Famous

Women: Gender and Civic Virtue in the De mulieribus C l aris" .


234

in Ambiguous Realities: Women in the Middle Ages and Renais­

sance . Carole Levin and Jeanie Watson editors, (Detroit:

Wayne State University Press, 1987), pp. 25-47.

44 Trovo degno di ulteriore investigazione il fatto

che, come dimostrano le Concordanze. nel Decameron non com-

paia il termine "vedovo" nonostante la presenza di uomini,

anche illustri, che hanno perduto la moglie. Tra gli esempi

piu illustri la novella del conte di d'Anguersa (II, 8), e

quella di Tancredi (IV, l ) , in cui padre (anche se

implicitamente) e figlia risultano entrambi vedovi, e la

novella interrotta di Filippo Balducci (IV, Intr.).

45 Una chiosa a questa condizione, cambiato il sesso,

la possiamo trovare nell'ammonimento alia terza vedova nel

brano su Didone nel De mulieribus Claris (XLII, 21). Per

quanto riguarda invece la pressione esercitata da parenti,

amici, o sudditi, verso il matrimonio ne e caso emblematico

la novella di Griselda (X, 10) .

46 Di questo argomento tratta ampliamente Francesco da

Barberino (op. cit., 1957), VI, pp. 116-20.

47 D ecameron: " - E come? - disse Dioneo [alle donne di

ritorno dalla valle] - cominciate voi prima a far de' fatti

che a dir delle parole? - " (VI, Con., 34).

4 8 vorrei qui sottolineare ancora una volta come

1 'impossibility all'azione da parte delle donne innamorate

sia, come affermato nel proemio, la causa ultima della com-

posizione dell'opera, II fatto poi che Boccaccio presenti,


235

n o n solo nsl D e cameron ma anche nel Corbaccio (cfr. n. 12),

la vedova come e sempio di donna indipendente ed attiva e

sottolineato dal fatto che, come scrive sempre la Klap i s c h -

Zuber, nella realta "Young widows w o u l d certainly h a v e to

h a v e singular t e n acity and a good deal of gourage to resist

the contradictory p r essures of t h e i r two families... Some

w o m e n - e x t r a o rdianarily few - s e e m to have s ucceeded in

t h e i r desire for independence" (op. cit., 1985), p. 126. Ma

straordinarie sono le nostre v e d o v e che esempio devono

essere di compor t a m e n t o sociale (cfr. anche nn. 14 e 15).

Sempre sull'argomento riguardante il desiderio di

indipendenza delle vedo v e vedi D. Herlihy, "Mapping

Househol d in Medieval Italy", C a t h o l i c Historical R e v i e w . 58

(1972), p. 14.

49 Escludo da questo numero la novella di Ferondo (III,

8) in cui la m o g l i e e solo temporaneamente vedo v a o p e r la

c ostante p r e s e n z a o per la lunga assenza del marito, e la

novella di m e s s e r Torello (X, 9), in cui la possi b i l i t y di

rimanere vedova, con la conseguente interferenza di fratelli

e parenti, e p r e vista p e r la mogl i e in mancanza di u n pronto

ritorno del marito. Sara proprio questa urgenza a d a r e un

to c c o magico ali a narrazione. In entrambi i casi p o t r e m m o

p a r l a r e di v e d o v e bianche.

50 Come sottolinea lo stesso Branca, "quanto Paolo

Di a cono narra (III 30 e 35) circa le curiose vicende

matrimoniali di T e o d o l i n d a pote e s e r citare sul B. u n a qual-


236

che suggestione ad attribuirle l ' a w e n t u r a [narrata] e a

definirla sfortunata in amore" (op. cit., 1984), n. 4, p.

339. Trovo interessante pero che questa definizione rimanga

in sospeso e non abbia nessuno sviluppo nella vicenda a meno

che non si consideri come una sfortuna ricevere la visita di

due "amadori" in una stessa notte.

51 Questa novella e trattata in un interessante

articolo di Anna Bettarini Bruni, "Un quesito d'amore tra

Pucci e Boccaccio", Studi di filologia italiana, XXXVIII

(1980), pp. 33-54, in cui l'autrice cerca di stabilire la

paternita del Pucci di una Canzona morale ritrovata nel

codice Barberiniano lat. 4035. Dali' articolo della Bet­

tarini Bruni e possibile stabilire una connessione inter-

testuale tra la canzone in questione, la IX, 1, del

Decameron (entrambe le trame presentano strette a ffinita), e

le "questioni d'amore" del Filocolo alle quali si ricollega

il dialogo per Rime tra il Pucci ed il Boccaccio sulla

questione pulzella/vedova. Per i testi a fronte delle due

Rime vedi Rosario Ferreri, "Una risposta di Antonio Pucci al

Boccaccio", Romance N o t e s . XII (1970), pp. 189-191.

52 Per una indagine storica sulla giovanissima eta di

molte vedove e sul suo significato socio-economico vedi

Pauline Stafford (op. cit., 1983), p. 143 seg..

53 La dinamica dell'innamoramento qui rappresentata

risulta capovolta rispetto alle regole dell'amore cortese,

proprie di un mondo aristocratico come quello del marchese


237

Malaspina. Anche se 1'amore risulta contraccambiato, la

sequenza narrativa stessa pone la Spina, vedova e quindi

conoscitrice dell'amore, come primo agente di tale dinamica

di fronte ad un Giannotto, che, mancandone notizie, si sup-

pone sia ancora vergine. Stilisticamente l'uso

dell'espressione "pose gli occhi addosso" tende ad abbassare

il livello della prosa da cortese e stilnovistica, in cui

gli occhi sono il veicolo dello spirito d'amore, a popolare

e figurativa.

54 Interessante il parallelismo narrativo, 1 ' identity

nell'uso di certe espressioni, sottolineate ampliamente da

Vittore Branca nelle note (op. cit., 1984), e le diverse

conclusioni tra la II, 2, e la VIII, 7.

55 per una interessante interpretazione della novella

vedi Millicent Joy Marcus, "Tragedy as Trespass: the Tale of

Tancredi and Ghismonda (IV, 1), in An Allegory of F o r m :

Literary Self-Consciuosness in the "Decameron" , (Anma Libri,

1979), pp. 44-63. In particolare per il riferimento alia

condizione vedovile di Ghismonda p. 44.

56 Questo ci riconduce, al Corbaccio le cui differenze

di fondo in rapporto a queste due novelle ho precedentemente

in questo capitolo analizzate. Voglio solo qui reiterare un

punto che ritengo importante per il mio argomento, cioe il

fatto che alle vedove di Pampinea e data la possibility di

comprendere i propri errori, mentre per la vedova del Cor­

baccio non c'e speranza di comprensione in questo mondo, ma


238

forse, attraverso la punizione, di salvezza nell'altro

(529).

57 Probabilmente non e un caso che madonna Malgherida

dei Ghisolieri, la vedova, motteggi piu volte e con amiche

il comportamento del vecchio maestro Alberto; e sempre con

molte altre donne lo invita, gli fa onore e lo motteggia del

suo innamoramento. A questo riguardo Deligiogis scrive:

"Pampinea makes Malgherida act with all the certainty that a

widow would have. She assumes that knowledge of one man

(her deceased husband) could lead her to knowledge of all

man" (op. cit., 1975), p. 16. Non sono completamente

d'accordo con questa posizione che giustamente riprende le

affermazioni di Fiammetta nel F i l o c o l o . in quanto nel caso

di madonna Malgherida l'eccessiva sicurezza sembra piuttosto

derivare dal fatto di essere "da raolti belli, gentili e leg-

giadri giovani" (I, 10, 14) amata.

58 Cfr. con il monologo di Criseida nel Filostrato (II,

69) .

59 Qui e rappresentata la condizione storica di

indipendenza economica di molte delle vedove appartenenti

anche alle classi cittadine piu umili e ai borghi di

campagna. Vedi a questo riguardo Merry E. Weisner, "Women's

Defense of Their Public Role", in Women in the Middle Ages

and the Renai s s a n c e . Mary Beth Rose editor, (Syracuse:

Syracuse University Press, 1986), pp. 7-11; Margaret Wade

Labarge, (op. cit., 1986), pp. 164-68.


239

60 Qui il punto di svolta della vicenda di Giletta

arrivata a Firenze in cerca del marito, senza avere pero un

modo per indurlo a cambiar consiglio e farsi accettare come

sua legittima moglie.

61 Per una analisi delle canzoni della brigata vedi

Rinaldina Russell, "Schemi di vita e vita di schemi nelle

ballate del Decameron" . Generi poetici medievali e funzioni

lettera r i e . (Napoli: Societa editrice napoletana, 1982), pp.

85-103.

62 Sul personaggio di Lauretta vedi Umberto Bosco, Il

D ecameron. Saqgio (Catanzaro: Editrice Brazia, 1929), pp. 38

seg. .

63 Ritengo questa canzone di Lauretta degna di

ulteriori investigazioni sia per quanto riguarda il tema

della vedovanza, qui al termine della terza giornata, mentre

la quarta si aprira con la novella di un vedovo: Filippo

Balducci, e continuera con la vedova Ghismonda (IV, 1), sia

per quanto riguarda l'accenno a multiple interpretazioni

della canzone stessa da parte della brigata. Si veda il

capitolo seguente.

64 Mi limito nelle pagine che seguiranno ad una analisi

dei riferimenti reperibili nel D ecameron. Rimando invece ad

un capitolo seguente la dimostrazione di come il Decameron

si ponga come summa e soluzione, in una determinata

direzione, del rapporto dialettico amore-comprensione

sviluppatosi nelle opere in volgare del Boccaccio.


240

65 Da sottolineare sono non solo le concomitanze

tematiche m a anche strutturali tra le due novelle. Esse

sono entrambi narrate da Pampinea con un introduttivo

a w e r t i m e n t o alle donne; condividono inoltre lo stesso tipo

di personaggi: 1 ' intellettuale e la vedova; la stessa

tematica dell'amore degli uomini maturi, se non anziani; e

condividono anche la stessa s t ruttura narrativa di beffa e

controbeffa (vedremo comunque p i u oltre che non tutti gli

anziani che decidono di amare, o m e g l i o sposarsi, lo fanno

saggiamente). Da sottolineare e anche che Pampinea e la piu

adulta tra le donne (I, Int., 51), e l'anima organizzatrice

della brigata.

66 In questo secondo riferimento al porro l'elemento

erotico predomina rispetto all'uso fattone in I, 10; qui

Boccaccio sembra sottolineare con discrezione la capacity

degli uomini dai capelli bianchi di avere erezioni. Mi

riferisco in questo senso all'uso metaforico, p i u volte

fatto nelle novelle, del termine "coda" (per es e m p i o il

famoso caso di IX, 10) per indicare il pene. In I, 10, era

stato usato il meno erotico "frondi" pr o b a b i l m e n t e per porre

l'accento sul binomio cromatico bianco-verde, p i u che sul

fisico testa-coda. In questa sua autodifesa Boccaccio

sostiene il suo diritto all'amare, non p i u sulla b a s e della

contrapposizione esperienza-prestanza fisica, m a sullo

stesso piano dell'esperienza erotica.

67 In u n a nota a riguardo V i t t o r e Branca s c r i v e che "il


241

tema qui enunciato — cioe l'aver molti dei grandi antichi,

nei loro anni maturi, aver compiaciuto alle donne — sara in

parte svolto nel De casibus e nel De mulieribus" (op. cit.,

1984), n. 7, p. 467.

68 Per una analisi piu dettagliata di questa novella

vedi Eugenio L. Giusti, "La novella di Cesca ed «intenderlo

come si conviene» nella sesta giornata del Decameron" , Studi

sul Boccaccio. XVIII (1989), pp. 331-2. Inoltre p e r un

riferimento al Corbaccio vedi A. K. Cassell (op. cit.,

1975), n. 112, p. 107. Un altro riferimento all'insaziabile

lussuria della donna lo troviamo piu oltre nel Corbaccio con

riferimento alia vedova ed ai suoi numerosi amanti, vivente

il marito. Una chiosa a queste affermazioni, oltre a quella

di madonna Filippa, la troviamo nella novella di Spinelloc-

cio e Zeppa (VIII, 8), dove la soluzione del tradimento

della moglie di Zeppa con Spinelloccio e risolta con lo

scambio delle coppie. Nella conclusione della novella

infatti "nella miglior pace del mondo tutti e quattro

desinarono insieme; e da indi innanzi ciascuna di quelle

donne ebbe due mariti e ciascuno di loro ebbe due mogli"

(VIII, 8, 35). Un altro chiaro esempio e riscontrabile

nella novella di Ricciardo di Chinzica ed il pirata Paganino

(II, 10) di cui tratto piu altre nel testo.

69 Per l'importanza di questo evento nella dinamica del

Decameron vedi Teodolinda Barolini (op. cit., 1983), p. 538;

ed Eugenio L. Giusti (op. cit., 1989), n. 4, p. 321..


242

70 Nel Corbaccio lo spirito per indicare il coito della

vedova usa la metafora di "messer Mazza rientrar possa in

Valloscura" (322). La stessa metafora e usata da Licisca

per il suo argomento sulla moglie di Sicofante: "Messer

Mazza entrasse in Montenero" (VI, Int., 8), ed e anche p r e ­

sente nel Ninfale fiesolano: "Ma poi che messer Mazzone ebbe

avuto/ Monteficalli" (245).

71 Questo proverbio, senza dubbio il piu comune nel

Decameron (II, 9; V, 10; VIII, 8), e espresso in altri

termini all'inizio e alia fine della novella: "Lo 'ngan-

natore rimane a pie' dello 'ngannato" (II, 9, 3-75); e

inoltre lo stesso tema della novella VIII, 7; ed e usato

dallo spirito nel Corbaccio in relazione ai tradimenti della

ex-moglie con il "bello Ansalone" (446).

72 Come sottolinea lo stesso A. K. Cassell (op. cit.,

1975), p. 144, n. 300, in questa novella come nel Corbaccio

si fa riferimento alia donna anziana buona solo a guardare

le ceneri del focolare. Nella novella e una v ecchia ruf-

fiana che fa queste affermazioni per incitare la donna a

soddisfare i propri desideri finche e giovane; nell'operetta

l'immagine e invece usata per spronare il discepolo a negare

tale desiderio. Altri due interessanti riferimenti testuali

sono in questa novella: uno, fatto sempre dalla vecchia,

sulla dinamica eta-amore ("Degli uomini non a w i e n cosi:

essi nascono buoni a mille cose, non pure a questa [il ses-

so), e la maggior parte sono da molto piu vecchi che


243

giovani" V, 10, 18); l'altro invece si riferisce a uno degli

usi fatti nell'opera del proverbio : " [Q]uale asino da in

parete tal riceva" (V, 10, 64).

73 Vittore Branca scrive a proposito: "Questa evidente

allusione maliziosa ed equivoca avra, in un certo senso,

ragionata argomentazione nella VI, 7" (op. cit., 1984), p.

572, n. 2. Ricordo che la novella VI, 7 e la gia citata

novella di madonna Filippa.

74 L'intera sesta gionata del Decameron e dedicata alia

tematica del saper parlare sia per le do n n e che p e r gli

uomini. Per una analisi della giornata oltre a Eugenio L.

Giusti (op. c i t . , 1989), vedi Vittore Branca, "Bibliografie

particolari" (op. cit., 1984), pp. c-cill.

75 Nel Corbaccio troviamo inoltre u n a serie di espres-

sioni o riferimenti presenti anche nel Decameron e che per

motivi di brevita presento qui in nota. A1 paragrafo 269 lo

spirito afferma: " [E] prima spero si troveranno de' cigni

neri e de' corbi bianchi che a' nostri successori d'onorare

alcuna altra bisogni d'entrare in fatica". Chiaramente

l'espressione e usata in senso iperbolico per indicare

1'impossibility anche se, con l'uso di "spero-- lo spirito

introduce un elemento augurale che mina 1 'assertivita del

topos. A proposito della tradizione di questa espressione e

del riferimento misogino della donna come "rara aves" vedi

Anthony K. Cassell (op. cit., 1975), p. 116, n. 150. Lo

spirito usa quindi un topos basato sull'assurdo cromatico


244

per sottolineare la conformita di un fenomeno; in realta non

si tratta qui di rarita ma di unicita o inesistenza.

Precedentemente l'espressione a riguardo era stata che le

sante donne sono piu rare delle fenici (ironico il fatto che

mentre le fenici ed i corvi bianchi non esistono - non sono

al corrente di forme di albinismo - i cigni neri esistono

agli antipodi in Australia). Nel Decameron invece una

simile espressione aviaria e usata p e r sottolineare

1 'eccezionalita del fenomeno all'interno di un conformismo

cromatico: "Leggiadre donne [e Dioneo che parla] infra molte

bianche colombe agiugne piu di bellezza un nero corvo che

non farebbe un candido cigno" (IX, 10, 3) .

Un'altro riferimento foriero di divergenti

implicazioni lo troviamo quando lo spirito, denigrando la

vedova, afferma che a lei "pare di gagliardezza avanzare

Galeotto di lontane isole" (382). Questo riferimento alia

lettura di romanzi cavallereschi e gia nell'Eleaia di

madonna Fiammetta (p. 146-7) dove e portatore di fantasie e

sogni e sullo stesso modello Fiammetta vive la propria

vicenda. Nel Corbaccio e invece usato per sottolineare la

distanza tra le virtu effettive della donna e quelle di cui

si vanta. Nel Decameron invece il riferimento e posto come

sottotitolo dell'opera e quindi acquista un significato piu

complesso. Per alcuni tentativi interpretativi a riguardo

vedi Vittore Branca (op. cit., 1984), p. 3, n. 2.

Altro riferimento e l'uso del termine "mal-


245

pertugio" (416) come riferimento al deretano della vedova

che ritroviamo come locality di Napoli nelle novella di

Andreuccio da Perugia (II, 5). In entrambi i casi si

riferisce ad un luogo di defecazione, infatti e in "Mal-

pertugio" che Andreuccio cadra nella latrine della bella

"ciciliana" (II, 5, 38).

76 Da notare e che 1 ' intertestualita e anche rilevata

dal fatto che le due opere appaiono spesso unite a com-

inciare dal celebre manoscritto del Mannelli (per guesta

nota sono debitore a Vittore Branca).

77 Ho gia accennato ai riferimenti che Boccaccio fa ai

testi medioevali della tradizione misogina ed alia tras-

crizione di alcuni brani nello Zibaldone mediceo-

laurenz i a n o . A guesto proposito Anthony K. Cassell (op.

cit., 1975), p. XX, attribuisce a l l 'assemblamento dello

Zibaldone una data approssimativamente anteriore al 1350.

Un'approssimazione, sulla base di convergenze filologiche e

paleografiche, che mi e stata confermata durante una breve

conversazione da Vittore Branca che colgo qui l 7opportunity

di ringraziare vivamente. Tale approssimazione non ostacola

ma anzi sostiene la possibility che il Corbaccio sia stato

ideato in una approssimativa contemporaneity con il

Decamer o n .

78 Giovanno Boccaccio, Decameron, edizione critica sec-

ondo l'autografo hamiltoniano a cura di Vittore Branca

(Firenze: Accademia della Crusca, 1976), premessa.


246

Capitolo V

II Decameron:

tra comprensione e compassione.

Nei capitoli precedenti e stato messo in evidenza come

il tema dell'amore, nella sua duplice manifestazione di

desiderio frustrante e frustrato, sia il movente creativo di

ciascuna delle opere che precedono il Decameron. Inoltre e

stato sottolineato come il messaggio di tali composizioni,

presentato nella cornice ed esplicato nella vicenda narrata,

sia risultato, ora topico dell'amore cortese e coerente con

la narrazione (nessun riferimento viene fatto ad un fine

pedagogico dell'opera, ma solo al concetto personificato

dell'amore o alia persona concettualizzata, la donna), ora

invece con essa contraddittorio (una rappresentazione piu

realistica e meno letteraria dell'amore fa la sua

apparizione negli eventi del n a r r a t o ) . Il protagonista, che

in questo caso si identifica con il narratore, parla bene ma

non e in grado di operare altrettanto bene. L ' a w i s o ai

lettori, quando non astratto, stereotipato o legato ad una

vicenda esemplare "in bono", come nel F i l ocolo. o "in

malo", come nel Filostrato1 . non trova corrispondenza

nell'esperienza del protagonista. Al pubblico non viene

quindi veramente data la possibility di comprendere il mes-


247

saggio sulla base della vicenda narrata. II lettore, con-

trariamente a quanto 1' io-narrante afferma, puo comprendere

solo per opposizione, non per coincidenza. Cosi il pubblico

dell'Elegia di madonna Fiammetta come quello del C o r b a c c i o .

puo imparare a superare la frustrazione d'amore solo se,

coraprendendo gli errori commessi dal protagonista

dell'opera, decide di non seguirne l'esempio e di agire

alternativamente. Ma dove trovare una serie di alternative

abbastanza estesa da soddisfare i bisogni risolutivi di

un'umanita innamorata? II Decameron sembra poterci offrire

una risposta.

Prima di apprestarmi ad analizzare 1'opera, ritengo

opportuno fare una premessa circa i confini di questa mia

investigazione; confini sufficienti e necessari a dimostrare

la mia ipotesi e ad evitare inutili ripetizioni. Negli

ultimi decenni, soprattutto in seguito all'influsso strut-

turalistico ed alia peculiare natura del Decameron. la

critica boccacciana ha proposto una serie di analisi

testuali: alcune orizzontali, seguendo il percorso narrativo

dell'opera dal Proemio alia Conclusione2 , altre verticali,

mettendo in evidenza i numerosi livelli narrativi3 .

Quest'ultimo approccio in particolare ha mostrato

l'esistenza di livelli narrativi caratterizzati da

un'autonomia dialogica, dovuta alia presenza interna di un

oratore e del suo pubblico {o, se ne accettiamo l'equazione,

di uno scrittore e dei suoi lettori)4 , e da un rapporto


248

osmotico con gli altri. La struttura dell'opera risulta

guindi simile ad una serie di scatole cinesi o p i u

propriamente, per usare l'omonimia con uno dei suoi per-

sonaggi p i u famosi (VI, 10), ad un bulbo di cipolla i cui

strati separati e concentrici ricevono nutrimento dal nucleo

radicolare5 , costituito dalle cento novelle e dalle nar-

razioni interne ad alcune di e s s e 6 .

Ma se le novelle costituiscono la materia prima, il

magma vitale dell'opera, i livelli narrativi piu esterni ne

determinano e delimitano la struttura. Scopo di questa mia

analisi e di identificare nel contenuto di questi livelli,

le informazioni metodologiche, per mezzo delle quali poter

recepire ed elaborare in linfa vitale il polimorfo e caotico

possibilismo della realta. Piu precisamente intendo

prendere in considerazione quella parte del Decameron che la

critica tradizionale aveva definito nella sua totalita come

la cornice dell'opera e che corrisponde alia parte narrativa

esterna alle cento novelle7 ; parte che, a w a l o r a n d o m i

dell'esperienza strutturalistica, intendo dividere in due

livelli narrativi: uno, piu esterno, comprendente il

proemio, 1 ' introduzione alia quarta giornata e le con­

clusion! dell'autore; l'altro, piu interno, costituito dalla

descrizione della peste e dalle vicende dei dieci giovani

componenti la brigata8 . Ritengo tale suddivisione

giustificata non solo dall'evidenza formale, ma soprattutto

dal ruolo tematico che ciascuna di queste due cornici ha


249

rispetto all'opera ed alia sua fruizione. Mentre infatti

nella cornice piu esterna, che per comodita chiameremo,

dell'autore, il messaggio metodologico viene presentato; in

guella piu interna, che denomineremo, della brigata, tale

messaggio viene messo in atto attraverso la mediazione del

narrato.

Seguendo in questa analisi la progressione del testo,

ecco che nella prima pagina incontriamo la rubrica inerente

al titolo ed al contenuto dell'opera:

Comincia il libro chiamato Decameron cognominato


prencipe Galeotto, nel quale si contengono cento
novelle in diece di dette da sette donne e da tre
giovani uomini. (Pr., 1).

In tale rubrica e possibile trovare "in nuce" alcuni c o n ­

cetti che caratterizzano l'intera composizione. Mi

riferisco in particolare al dibattuto argomento riguardante

il cognome "prencipe Galeotto". Che il nome "Decameron"

faccia riferimento alle dieci giornate in cui 1'opera e sud-

divisa ce lo dice lo stesso autore e la critica ne ha sot-

tolineato l'etimologia greca e l'appartenenza di tale

modello alia tradizione letteraria9 . Piu oscuri, e quindi

soggetti al dibattito interpretativo, risultano invece la

motivazione ed il significato del cognome. Per quanto

riguarda la motivazione ritengo che vada ricercata

nell'attribuzione di un "cognome" e non, come la critica ha

liberamente tradotto, di un "soprannome" da aggiungere al

norne^0 . Infatti, nonostante la sinonimia dei due termini,

ritengo che il primo, rispetto al secondo, sia foriero di


250

piu feconde implicazioni, in q u a n t o indica, non un semplice

epiteto usato come u l teriore qualificazione, specificazione,

o alternativa al gia e sistente nome, ma 1 'appartenenza ad

una famiglia, ad un gruppo, ad un genere, in questo caso,

letterario. Nella rubrica il t ermine "prencipe Galeotto"

non risulta una p r e c i sazione aggiuntiva al nome "Decameron"

m a una voluta categorizzazione. Nel qualificare l'opera i

due nomi si pongono p e rcio come complementari e non in rap-

porto di appendice o subordinazione: il nome "Decameron" fa

riferimento alia struttura s pecifica dell'opera, le dieci

giornate, mentre il cognome "Galeotto" lo fa al contenuto ed

alia sua c a t e g o rizzazione1 1 .

Ma qual'e il significato de l l a scelta di tale cognome?

La rubrica non ci offre alcun chiarimento e quindi una

tentativa risposta e da r icercare all'interno ed all'esterno

del testo stesso, nel suo r a p porto con le altre opere, in

cui tale termine e usato, e nelle sue fonti letterarie. Le

fonti sono i romanzi cavallereschi del ciclo b r e t o n e ed in

particol a r e il principe G a l l e h a u t appare nei romanzi, Lan­

celot du Lac e Morte d ' A r t h u r , ma solo nel pr i m o ha il ruolo

di m e z za n o tra Lancillotto e Ginevra, m e n t r e nel secondo,

come scrive in nota alia sua traduzione del D ecameron John

Payne, " G a l a h a t . .. is always «le h aut prince», b u t does not

figure as go-between the two l o v e r s " 1 2 , dov e il termine

«haut» p u o far riferimento alia statura di G a l e o t t o cosi

come alia sua posizione et i co-sociale (da n o t a r e la presenza


251

dello stesso lessema nell'etimologia del nome, «Galle-

h aut») . Nelle sue opere Boccaccio fa uso di entrambi i

ruoli del personaggio; nell'Amorosa Visione13 ed ancor piu

nel Corbaccio14 Galeotto e semplicemente il valoroso e

nobile cavaliere della Tavola rotonda; nelle Esposizioni al

canto quinto d e l l ' Inferno e invece descritto l'intero atto

di mediazione del principe bretone1 5 , la cui "hauteur" non e

in funzione dell'abilita guerresca ma dell'amore. Lo scam-

bio metonimico tra il personaggio ed il testo, presente nel

verso dantesco, e indubbiamente fatto proprio dal Boccaccio

nella sua ultima opera, le E s p o z i o n i . Anche se possiamo

quindi accettare l'ipotesi che tale scambio metonimico

fosse gia awenuto, sempre attraverso la mediazione

dantesca, nella cognominazione del Decameron. ritengo

opportuno apportare per altra via ulteriori prove a favore

di tale ipotesi. Mi riferisco alia lettura dei "romanzi

franceschi"1 6 . Tale attivita e presente, con funzione

uguale ma distinta, nell'Eleqia di madonna Fiammetta e nel

Corbaccio. Nell'Eleqia Fiammetta cerca di alleviare la

noia, dovuta alia lontananza di Panfilo, raccontando,

insieme alle fanti, storie fantastiche o "se questo forse

per ragione legittima non potea essere, in libri diversi

ricercando l'altrui miserie e quelle alle mie conformando,

quasi accompagnata sentendomi, con meno noia il tempo pas-

sava" (p. 50); e tra i "libri diversi" si ricorda di "alcuna

volta avere letti li franceschi romanzi" (p. 146) ed in


252

p articol a r e la storia di Tristano ed Isotta con cui madonna

Fiammetta si confronta non piu per assimilarvisi e passare

il tempo con m e n o dolore, ma per opporvisi in esaltazione

della propria sofferenza e negazione del tempo (cfr., cap.

2). Comunque fino a quando Fiammetta rimane a l l'interno

della co o r dinata temporale, cioe fino a quando m a n t i e n e una

seppur mini m a m a concreta speranza di poter r i s t a b i l i r e il

suo rapporto d 'amore con Panfilo, la lettura dei "franceschi

romanzi" cosi come la narrazione di novelle h a lo scopo di

c onsolare la sofferenza emotiva di chi ama. E p e r con-

solazione, questa volta fisica e non emotiva, la v e d o v a del

Corbaccio legge i "romanzi franceschi" che, s e c o n d o cio che

afferma l'ex-marito, sostituirebbe ad orazioni e

paternostri. Ella infatti:

Legge di Lancellotto e di Ginevra e di Tristano e


d'Isotta;... e tutta si stritola q u a n d o legge Lan-
celotto o Tristano o alcuno altro con le loro
donne nelle camere, segretamente e soli,
ragunarsi, si come colei alia quale p a r e vedere
cio che fanno e che volentieri, come di loro
imagina, cosi f a r e b b e . .. [e cosi] si trastulla
infino all'ora che venga il suo p i u d e s i derato
trastullo e che con lei si congiunga. (441).

Ma se andiamo oltre la crudezza delle parole d e l l o spirito

v e d iamo che sia la vedova che madonna Fiammetta, di cui non

dobbiamo dimenticare la carica erotica nella d e s c r i z i o n e dei

suoi amplessi con P a n f i l o 1 7 , usano i testi c a v a l l e r e s c h i

come forma di passatempo consolatorio sia e m o t i v o che

erotico, come u n'alternativa all'assenza dell'amato.

Il cognome "prencipe G a l e o t t o " , con la sua referenza ai


253

"romanzi franceschi", non indica quindi, come vorrebbe

1'interpretazione moralistica di Robert Hollander, "a book

that leads to lust"1 8 , ne, come afferma Giuseppe Mazzotta,

nell'eguagliare l'uso che di tale termine fa Dante a quello

di Boccaccio, un "erotic m e d i a t o r . .. unmasking the threats

and seductions of his own [di Boccaccio] artifact."1 9 , ma un

testo il cui scopo e quello di offrire "sostentamento" o

"conforto' a coloro che amano ed in particolare alle "vaghe

donne che... dentro a' delicati petti, temendo e

vergognando, tengono l'amorose fiamme nascose" (Pr. 10)2 0 .

II libro del Decameron e quindi nel contenuto parente dei

"romanzi franceschi" in generale, e di Galeotto in

particolare, proprio in quanto, come Gallehault nella

vicenda di Lancillotto e Ginevra, e apportatore di

sostentamento e conforto per il passamento della noia di

"quelle che amano, per cio che all'altre e assai l'ago e '1

fuso e l'arcolaio" (Pr. 13).

Con questa ultima citazione siamo entrati nella cornice

dell'autore, nella sua parte introduttiva, il Proemio, in

cui vengono descritte le motivazioni dell'opera. Nel

precedente capitolo ho analizzato, in rapporto

all'introduzione del C o rbaccio. alcuni dei concetti p r e ­

sent i, che percio qui riprendero brevemente. II Proemio si

apre con il famoso riferimento al sentimento della com-

passione come espressione peculiare dell'essere umani; ma

nell'etimologia stessa della parola e insito il concetto di


254

comunione e di scambio ("cum-pati": soffrire i n s i e m e ) . II

Boccaccio pone quindi all'inizio del Decameron una precisa

definizione: essere umani significa aver compassione, saper

scambiare con gli altri i propri sentimenti; essere umani

significa essere sociali, e solo in quanto sociale l'uomo

puo essere chiamato tale. E la compassione e richiesta,

come atto di gratitudine, a coloro che "gia hanno di con­

forto avuto mestiere" (Pr. 2). Lo scambio presuppone l'aver

fatto esperienza di cio che viene offerto e la prima parte

del Proemio (1-8) e dedicata alia narrazione in prima per­

sona di tale esperienza. L'autore21 rivisita i momenti del

suo "altissimo e nobile amore" che gli fu "di grandissima

fatica a sofferire, certo non per crudelta della donna

amata, ma per soverchio fuoco nella mente concetto da poco

regolato appetito" (Pr. 3). La noia che lui provava era

stata alleviata dai piacevoli ragionamenti e dalle laudevoli

consolazioni di un amico, ed egli porta "fermissima opinione

per quelle essere avenuto che io non sia morto" (Pr. 5).

Eventualmente, come Dio voile, cio che il p r o p o n i m e n t o , il

consiglio, la vergogna o il pericolo non erano riusciti a

spegnere a w i e n e "in processo di tempo"; e il tempo il

grande curatore di tutti i mali, e del doloroso amore non e

rimasta che una piacevole memoria. L'autore, evitando il

transfert sull'oggetto d'amore, concentra l'analisi su se

stesso e sul modo in cui ha vissuto la vicenda, ne riconosce

gli errori ("per soverchio fuoco nella mente concetto da


255

poco regolato appetito") e lascia che il tempo faccia il

resto.

In questo passaggio dall'oggetto amato al soggetto

amante viene portata a compimento quella rivoluzione

ideologica di cui avevamo visto i primi accenni nelle parole

della balia di madonna Fiammetta ed in quelle dell'io-

pensiero del Corbaccio. Non piu quindi pagine di

recriminazione nei confronti di amanti insensibili ed

onnipotenti ma presa di coscienza dei propri limiti e della

propria capacita di agire sulla realta2 2 . Sulla base di

questi presupposti l'autore e in g r a d o di passare dalla

sfera individuale a quella sociale attraverso il sentimento

della gratitudine che gli permette di trasformare

l'originaria passione in compassione2 3 , eros in agape2 4 .

Fruitori di tale compassione sono coloro "dove il bisogno

apparisce maggiore, si perche piu utilita vi fara e si

ancora perche piu vi fia caro avuto" (Pr. 8), cioe le donne.

Ma perche proprio loro? All'inizio della seconda parte del

Proemio l'autore ce ne da una spiegazione. Esse "dentro a'

delicati petti, temendo e vergognando, tengono l'amorose

fiamme nascose" (Pr. 10) ed inoltre forzate da mariti e

parenti passano la maggior parte del loro tempo:

nel piccolo circuito delle loro camere racchiuse


dimorando e quasi oziose s e d e n d o s i , ... seco rivol-
gendo diversi pensieri... E se per quegli alcuna
malinconia, mossa da focoso disio, sopraviene
nelle lor menti, in quelle conviene che con grave
noia si dimori, se da nuovi ragionamenti non e
rimossa. (Pr. 10-11).
256

Questo non a w i e n e agli uomini i quali, in grado di "uccel-

lare, cacciare, pescare, cavalcare, giucare, o mercatare"

(Pr. 12), possono rimuovere attraverso l'azione tale "noioso

pensiero" per alcuno spazio di tempo fino a che ne giunge la

consolazione o si riduce la n oia2 5 . II tempo diviene alio

stesso tempo il grande alleato ed il nemico di coloro che

soffrono per amore e del tempo quello che conta e la

qualita: vissuto nell'impossibility di agire e fonte di

dolorosa noia, al contrario e portatore di consolazione. Ma

per coloro, le donne, a cui la societa nega l'atto non

rimane che la parola, i "nuovi ragionamenti", p e r tras-

formare il tempo da nemico in alleato2 6 ; un alleato il cui

fluire offre alle donne, nella forma di "cento novelle, o

favole, o parabole o istorie che dire le vogliamo" (Pr.

13)2 7 , diletto ed utile consiglio2 8 , o raeglio, l'utile con-

siglio attraverso il diletto "in quanto potranno cognoscere

quello che sia da fuggire e quello che sia similmente da

seguitare: le quali cose senza passamento di noia non credo

che possano intervenire" (Pr. 14). II "passamento di noia"

a w e r r a quindi non solo per lo scorrere del tempo ma soprat-

tutto in quanto le donne impareranno come opportunamente

agire: la parola diviene strumento per l'azione. Ai

generici termini di "sostentamento" e "conforto", a cui e

stato dato il cognome "prencipe Galeotto", e qui impressa

una specificazione operativa: essi risultano efficaci solo

attraverso la comprensione, da parte delle donne, di cio che


257

puo essere utile alia loro azione. Nella chiusura del

Proemio l'autore ritorna sui suoi passi reiterando il con­

cetto di compassione e quindi la dimensione sociale della

sua opera: "a Amore ne rendo grazie, il quale liberandomi

da' suoi legami m'ha conceduto il potere attendere a' loro

piaceri" (Pr. 15)2 9 .

Con l'inizio d e l l 'introduzione alia prima giornata si

ha il primo cambio tra i livelli narrativi. L'autore non si

riferisce piu ad un pubblico esterno di lettori, ma fa delle

graziosissime donne, a cui 1'opera e dedicata, le sue

dirette interlocutrici3 0 , verso le quali si scusa di doverle

esporre alia "dolorosa ricordazione della pestifera

mortality trapassata" (I, Int., 2). Ma la noia sara nar-

rativamente breve e ad essa presto seguira il diletto

promesso. La giustificazione di questa scelta dolorosa

risiede nella necessaria consequenzialita della narrazione

in quanto "la cagione perche le cose che appresso si leg-

geranno a w e n i s s e r o , non si potevano senza questa

ramemorazion dimostrare" (I, Int., 7). Questo poiche, come

affermato nel Proemio, l'autore intende riportare, cio che e

stato raccontato "in diece giorni da una onesta brigata di

sette donne e di tre giovani nel pestilenzioso della passata

mortality" (Pr. 13). Compare, per la prima volta, con

queste due affermazioni, il tema della fedelta narrativa sia

nei confronti della realta che del racconto3 1 . L'autore,

proponendo se stesso come semplice "reporter", mette in atto


258

u n parziale distacco dall'opera; distacco che gli permette

di giustificare, davanti alia critica moralista, la neces­

sity del narrato3 2 . Tale distacco pero, come scrive Fran­

cesco Bruni, non toglie "che Boccaccio resti il padrone

assoluto dell'organizzazione narrativa... e serapre lo scrit-

tore che da vita alia composizione, la controlla da un capo

all'altro, e le imprime la propria «forma» organizzativa,

quale risulta dalle necessity narrative da lui individuate"

(op. cit., 1990), p. 277. Ed il controllo se e esercitato

nei confronti della forma, ma ancor piu lo e ve r s o il con-

tenuto, nel fine utilitario del messaggio racchiuso

nell'opera. Questa e la funzione della cornice dell'autore.

II dialogo con le "carissime donne", interrotto dalla

narrazione della peste e delle prime tre giornate, e ripreso

n e l l 'introduzione alia quarta in cui Boccaccio si difende

dalle accuse mossegli da lettori, che lui stesso definisce

invidiosi. L'apologia si apre, come gia nel Proemio, con il

racconto di una esperienza conflittuale positivamente

risolta. Cosi egli narra:

Carissime donne, si per le parole de' savi uomini


udite e si per le cose da me molte volte vedute e
lette, estimava che lo 'mpetuoso vento e ardente
della 'nvidia non dovesse percuotere se non l'alte
torri o le piu levate cime degli alberi: ma io mi
truovo della mia estimazione ingannato" (IV, Int.,
2 ).

La sicurezza datagli dall'esperienza passata non e suf-

ficiente a fargli evitare l'errore di valutazione, quindi,

nonostante che le sue "novellette" siano: "non solamente in


259

fiorentin volgare e in prosa scritte per me sono e senza

titolo3 3 , ma ancora in istilo umilissimo e rimesso quanto il

piu possono" (IV, Int., 3)3 4 , esse non hanno potuto evitare

i morsi dell'invidia altrui; tale esperienza permette

all'autore di poter "comprendere quello esser vero che

sogliono i savi dire, che solo la miseria e senza invidia

nelle cose presenti" (IV, Int., 4). Forse questi savi, savi

10 sono piu dei precedenti, o forse 1'esperienza pratica

risulta piu efficace di quella teorica, in ogni caso, qui

come nel Proemio, e l'aver vissuto e compreso il valore di

tale esperienza che permette all'autore di passare dal

livello individuale a quello sociale, e di motivare il

proprio dialogo con le donne alle quali "appartenga la mia

difesa" (IV, Int., 9).

Delle cinque critiche che Boccaccio riporta e con-

trobatte, le prime tre riguardano la sua scelta affettiva e

come questa si riflette sulla sua condizione di poeta; la

quarta si riferisce alia sua posizione sociale ed infine la

quinta alia veridicita della sua opera. Quindi possiamo

individuare nella sequenza di tali accuse uno sviluppo

argomentativo dall'esperienza individuale alia condizione

sociale di scrittore ed al suo prodotto. Esposte le

critiche, Boccaccio presenta la sua tattica apologetica ed

11 motivo del suo intervento nel testo:

io non intendo risparmiar le mie forze, anzi,


senza rispondere quanto si converrebbe, con alcuna
leggiera risposta tormegli [i critici] dagli orec-
chi, e questo far senza indugio. Per cio che, se
260

gia, non essendo io ancora al terzo della mia


fatica venuto, essi son molti e m o l t o presummono,
io a w i s o che avanti che io pervenissi alia fine
essi potrebbono in guisa esser multiplicati, non
avendo prima avuta alcuna repulsa, che con ogni
piccola lor fatica mi metterebbono in fondo; ne a
cio, quantunque elle sien grandi, resistere var-
rebbono le vostre forze. (IV, Int., 9-10).

E la risposta sara leggera ma tempestiva in quanto egli e

stato in grado non solo di ascoltare con animo sereno tali

accuse ma soprattutto di comprenderne le motivazioni ("Le

quali cose io con piacevole animo, sallo Idio, ascolto e

intendo", IV, Int., 9). Comprendere la situazione permette

all'autore di preparare una conveniente risposta, e quindi,

prima di controbattere le critiche una ad una, decide, in

sua difesa, di introdurre, attraverso la narrazione di una

novelletta incompiuta, l'altro argomento fondamentale della

sua opera: la supremazia delle forze della natura su quelle

dell'ingegno.

Abbiamo precedentemente visto come nel Proemio

1'argomento si sia sviluppato, partendo da una esperienza

d'amore individuale (quella dell'autore), attraverso la com­

passione, in direzione sociale; e come della societa sia

stato scelto per interlocutore quel settore (le donne

innamorate) che maggiormente soffre a causa del conflitto

natura-societa. Nell'introduzione alia quarta giornata lo

stesso argomento risulta in parte capovolto e l'enfasi e

posta sull'altro corno della fiamma, quello della natura

come forza socialmente incontrastabile. Infatti e la

critica moralistica di una parte del pubblico dei lettori


261

(certo piu ampia di quanto l'autore si aspettasse) a

raolestarlo, a trafiggerlo nel vivo. Di fronte a questo

attacco repressivo da parte della societa nei confronti

dell'individuo, l'individuo, sostenuto da quella parte di

pubblico che condivide la sua stessa condizione (anche se in

questo caso risulta in parte un'espediente r etorico), riaf-

ferma l'incoercibilita del proprio istinto, in particolare,

e della natura in generale.

Ma vediamo la novelletta che, data la fama3 5 , non

intendo riassumere, ma di cui intendo passare direttamente

all'analisi. Filippo Balducci e uomo di condizione sociale

modesta e di esperienza nelle cose conforme al proprio

stato; rimasto vedovo decide di "non vo l e r piu essere al

mondo" (IV, Int., 14)3 6 , ma non per questo sceglie il

suicidio come faranno Ghismonda e la moglie di messer Ros-

siglione, le due tragiche eroine che aprono e chiudono,

mantenuto il privilegio di Dioneo, le storie della quarta

giornat a 3 7 ; egli decide di darsi al "servigio di D i o " 38,

cio6 di passare dalla sua modesta esperienza della realta

mondana all'assoluta esperienza religiosa, dall'empirico

comprendere al fideistico credere, dalla relativizzazione

all'assolutizzazione della parola. Ma Filippo non attua

questa scelta da solo, anzi la impone al figlioletto di due

anni quando entrambi si ritirano in eremitaggio sul "Monte

Asinaio" (un nome certo ricco di ironiche implicazioni)3 9 .

L'insolvibile contraddizione di volersi estraniare dalla


262

realta mondana mentre di questa facciamo ancora parte, viene

vissuta dal padre ed e da lui imposta al figlio a cui, data

la giovane eta, ritiene di poter impedire, con successo,

l'uso delle facolta della conoscenza empirica. Egli

infatti:

sommamente si guardava di non ragionare, la dove


egli fosse, d'alcuna temporal cosa ne di
lasciarnegli alcuna vedere... ma sempre della
gloria di vita eterna e di Dio e de' santi gli
ragionava, null'altro che sante orazioni
insegnandoli. E in questa vita molti anni il
tenne, mai della cella non lasciandolo uscire ne
alcuna altra cosa che se dimostrandogli. (IV,
Int., 15).

Ma Filippo, schiavo d e l l 'insolubile conflitto tra

volonta e realta, continua a rimanere ed a dipendere dal

mondo, e per questo e costretto a recarsi di tanto in tanto

a Firenze. Opposta e invece la condizione del figlio,

divenuto ormai diciottenne, che chiede di andare nel mondo,

una volta che ne viene messo al corrente dell'esistenza ("un

di il domando ov'egli andava. Filippo gliele disse;" IV,

Int., 17). Nutrito di sole parole, il giovane brama di

conoscere la realta, di scoprire la "res" al di la del

"signum". Ma questo a proprio cio che il padre ha cercato

di negare a se stesso ed al figlio scegliendo l'eremitaggio:

il "servigio di Dio" ha significato il desiderio di

assolutizzazione del "signum" strappato al vincolo demoniaco

della "res"4 0 . All'incontro di una brigata di belle e

giovani donne ed alia insistenza del giovane di sapere "che

cosa quelle fossero" (IV, Int., 20), Filippo, sperando di


263

salvare sedici anni di digiuni ed orazioni, "non le voile

nominare per lo proprio nome, cio& femine, m a disse: - Elle

si chamano papere (IV, Int., 23). II figlio, educato

secondo l'assolutezza del verbo, inizialmente non e in grado

di comprendere l'inganno del pa d r e 4 1 , ma, spinto dal suo

istinto concupiscente, continua a desiderare l'oggetto al di

la del suo nome. Di li a breve, comunque, mosso dal con-

flitto tra l'autorita paterna ed il suo desiderio, il

giovane Balducci elabora un perfetto sillogismo, basato

sull'esplicito concetto di bellezza e su quello implicito di

"mala cosa"/ "buona cosa", disarmando completamente il

padre. Le donne sono, secondo Filippo, "mala cosa", mentre

gli "agnoli"42 sono "buona cosa" e sono certamente belli (la

bellezza ha quindi per il padre ed il figlio una valenza

positiva). Ma se le "papere" sono piu belle degli angeli, e

di cio il giovane ha la prova visiva, come e possibile che

non siano altrettanto buone? Il s.uo ragionamento non fa una

piega; sulla base della propria esperienza visiva il giovane

e in grado di ricostituire il legame tra la "res" ed il

"signum" vanificando lo sforzo opposto del padre. A questo

punto il segno da assoluto diviene assolutamente relativo;

sia che si chiamino "femine" o "papere" il figlio ne

desidera la conviviale compagnia: "io le d aro beccare" (IV,

Int., 28) afferma il giovane, mantenendo il proprio gesto di

ospitalita all'interno della metafora aviaria. II padre,

nella incompleta conclusione della novelletta4 3 , rivive,


264

attraverso la metafora sessuale della battuta finale, ("Io

non voglio, tu non sai donde elle s'imbeccano", IV, Int.,

29), tutto quel mondo che per anni aveva cercato di esorciz-

zare. I suoi sforzi risultano vani non solo nei confronti

del figlio ma anche di se stesso; "l'appetito" filiale ris-

veglia quello paterno. Filippo Balducci prende, con ram-

marico, coscienza dei rischi di fallimento inerenti al

tentativo di fare dell'assolutizzazione della parola una

regola di vita umana4 4 .

II messaggio dell'apologo risulta quindi piu complesso

di quanto possa apparire ad una prima lettura; il fallimento

di coloro che intendono opporsi alia forza della natura,

com'e apertamente affermato a chiusura del racconto, risulta

non solo dalla sottovalutazione della spinta istintuale ma

soprattutto dall'erroneo uso che viene fatto d e l l 'ingegno,

quando questo viene usato non per comprendere la complessa

realta umana, ma per esasperarne le contraddizioni

attraverso l'assolutizzazione del "signum". Filippo

Balducci non sarebbe rimasto frustrato nel suo tentativo se

avesse cercato di far piacere al figlio non solo gli angeli

dipinti ma anche le giovani donne; e tale suggerimento vale

anche p e r gli invidiosi45 di cui l'autore si appresta a con-

trobattere punto per punto le critiche. Nella prima accusa

("che io fo male, o giovani donne, troppo ingegnandomi di

piacervi, e che voi troppo piacete a me." IV, Int., 30), che

ci rimanda al "poco regolato appetito del Proemio4 6 , per due


265

volte viene fatto ricorso all'esempio del giovane Balducci

come colui che ha sperimentato visivamente la bellezza e la

leggiadria delle donne. In seguito a tale esperienza,

associata alia memoria degli "amorosi basciari e i piacevoli

abbracciari e i congiungimenti dilettevoli" (IV, I n t . , 31),

non ci possiamo meravigliare che l'autore apertamente con-

fessi di amare le donne; lui, che a differenza del

"romitello"4 7 , sin dalla puerizia ha dedicato a loro anima e

corpo (cfr., P r . , 3). E se la sua dedizione e stata cosi

intensa e costante, perche rinunciarvici con l'eta? Coloro

che contro alia sua eta vanno parlando dimostrano "mal che

conoscano che, perche il porro abbia il capo bianco, che la

coda sia verde" (IV, Int., 33)4 8 ; ancora una volta l'accento

e posto sull'erroneita del sapere che non ha la sua base

nell'esperienza. E se prima l'esempio era stato il giovane

Balducci, un romitello, un giovane senza sentimento quasi

animale selvatico, ora sono invece i grandi poeti con-

temporanei: Guido Cavalcanti, Dante Alighieri e Cino da

Pistoia, i quali, gia vecchi ebbero caro il piacere

alle donne. L'amore coinvolge tutta l'umanita senza

discriminazione di sorta. Ma se non esiste discriminazione

a livello umano, che cosa succede quando entriamo nella

mitografia?

La terza critica e che lui dovrebbe stare "con le Muse

in Parnaso [invece] che con queste ciance mescolarmi tra voi

[donne]" (IV, Int., 6). L'attacco, che sta spostandosi


266

dall'autore alia sua opera, e qui concentrato sulla sua

fonte di ispirazione e sul topos, gia affrontato nel Corbac­

c i o . dell'inappropriato relazionarsi dello studioso alle

donne. Ancora una volta il Boccaccio sceglie la realta

rispetto al segno in quanto, data la loro astrattezza, "ne

noi possiamo dixnorar con le Muse ne esse con essonoi" (IV,

Int., 35). Ed e dal piano della realta che egli arriva ad

apprezzare le Muse: perche esse assomigliano alle do n n e 49 e

"le donne mi fur cagione di comporre mille versi, dove le

Muse mai non mi furono di farne alcun cagione" (IV, Int.,

36). Mentre le femmine sono la causa prima dell'opera, le

Muse ne sono il conseguente effetto ("Aiutaronmi elle [le

Muse] bene e mostraronmi comporre que' mille;" IV, Int.,

36). La parola dipende dalla realta, e al suo servizio ed

al contempo la ordina cosi come le Muse sono venute "parec-

chie volte a starsi meco, in servigio forse e in onore della

simiglianza che le donne hanno ad esse; per che, queste cose

tessendo, ne dal monte Parnaso ne dalle Muse non mi

allontano" (IV, Int., 36).

Le ultime due critiche fanno entrambe riferimento

all'opera ed alia fama che da essa ne pub derivare.

Abbandona le favole! -, lo esortano alcuni pragmatici

censori, mentre altri poco prima lo avevano accusato di com­

porre una poesia troppo spuria, ora tacciata anche di fal-

sita. ^ Che si occupino degli affari loro, che io so pensare

a me stesso; e se mi accusano di falsita, che producano loro


267

gli originali - ribatte il B occaccio ormai p r o n t o alle con-

clusioni. Ancora una volta i suoi detrattori sono rimasti

invischiati nell'illusoria v e r i t a del segno e cio permette

facilmente all'autore, conscio d e ll'opinabilita della

parola, di ribadire fino a q u ando "altro che p a r o l e non

apparisce, io li lascerd con la loro oppinione, seguitando

la mia, di loro dicendo quello che essi di me dicono." (IV,

Int., 40)5 0 . Risulta, in conclusione, dele t e r i o volersi

opporsi alia forza della natura ed a m a g g i o r ragione quando

non esis t e alcun desiderio di farlo; chi ama opera natu-

ralmente e percio:

Tacciansi i morditori, e se essi r i s c a l d a r non si


possono, assiderati si vivano: e ne' lor diletti,
anzi appetiti corrotti standosi, m e nel mio,
questa brieve vita che posta n'e, lascino stare.
(IV, Int., 42)5 1.

L'appeti t o di chi ama puo eventualmente esse r e "poco

regolato", e quindi da qui la necessita di comprenderne la

d inamica e gli effetti, ma l'appetito di coloro che negano

l'amore non puo essere che corrotto.

Concluso temporaneamente c o n questa autodifesa, il

dialogo con il pubblico delle lettrici riprende al termine

d ell'opera nella Conclusione dell'autore in cui Boccaccio si

indirizza alle "nobilissime giovani". In questa seconda

parte della difesa, in gran pa r t e dedicata al ruolo

dell'ascoltatore, sono a w e n u t i alcuni c a m b i a m e n t i per

quanto riguarda la natura dei lettori dell'opera ed il modo

in cui l'autore vi si rapportava. Nella prima p a r t e il pub-


268

blico scelto p e r la dedica dell'opera, le "carissime d o n n e " ,

era nettamente distinto, sia nel g e n e r e che nel ruolo, dal

pubblico dei detrattori. Ad essi l'autore si r i f eriva con

un generico p l u r a l e maschile, " a l c u n i " , ad esse

retoricamente a f f idava la propria d i f e s a 5 2 . Nella con­

clusione invece tal i precisi confini tendono a sfuocarsi e

sovrapporsi; p r o n t o ormai ad inviare la propria opera nel

mondo, l'autore tende a generalizzarne il p u b blico

definendolo, da u n lato, piu femminile ("forse alcuna di

v o i . ..potrebbe dire" Con., 2), ma dall'altro conse r v a n d o la

definizione generica, "o altri". M a n t enendo quindi

inalterata la d e d i c a alle "piacevoli donne", il Boccaccio e

qui interessato ad indirizzare il proprio m e s s a g g i o ad un

pubblico generico, non p i u diviso sulla base del sesso, ma

sulla capacita di comprendere. Nella Conclusione anche la

tattica a p ologetica risulta in parte cambiata; n o n piu un

tempestivo, ma u n preventivo, attacco. La risposta e quindi

a "tacite q u i s t i o n i " , ad accuse che potrebbero e v e n t u a l m e n t e

essere mosse; e poiche siamo al termine dell'opera tali

critiche, che l'autore prevede, si concentrano, non piu

sulla s u a persona ma sulle novelle. Come gia

n e l l 'introduzione alia quarta giornata, cinque sono i punti

di criti c a ma, m e ntre li solo 1'u l t i m o punto, introdotto in

parte dal precedente, si riferiva all'opera, ed in

particolare alia sua veridicita, qui, con un c a p o v o l g i m e n t o

chiasmatico, sol o 1'ultima accusa, introdotta in parte dalla


269

penultima, ci riconduce al comportamento dell'autore. Le

critiche mosse sono essenzialmente due: la prima investe la

licenziosita del contenuto dell'opera, la seconda invece

l'eleganza della forma. Ma passiamo all'analisi dettagliata

della replica dell'autore, fondamentale per la comprensione

del messaggio dell'opera.

Cosi Boccaccio da inizio alia propria difesa:

Saranno per a w e n t u r a alcune di voi che diranno


che io abbia nello scriver queste novelle troppa
licenzia usata, si come fare alcuna volta dire
alle donne e molto spesso ascoltare cose non assai
convenienti ne a dire ne a ascoltare a oneste
donne. (Con., 3).

In questo secondo inizio della Conclusione troviamo tutti i

termini del p r o b l e m s : il pubblico accusatore (questa volta

femminile ma non totalmente), lo scrittore in prima persona,

1'opera (queste novelle), e le donne, come protagoniste

dell'opera, nel loro duplice ruolo di narratrici ed

ascoltatrici (il moralismo attacca ogni aspetto del rapporto

dialogico e narrativo)5 3 . La risposta potrebbe essere breve

e tradizionalmente solida: "La qual cosa io nego, per cio

che niuna si disonesta n'e, che, con onesti vocaboli

dicendola, si disdica ad alcuno" (Con., 3)5 4 , ma di fronte

alia criptica banalita della risposta, Boccaccio preferisce

evidenziarne le molteplici implicazioni accettando che sia

vera l'accusa di licenziosita. Capovolgendo, anche se solo

ipoteticamente, la situazione55 , egli e in grado, come

vedremo, non solo di controbattere l'accusa ma di sconfig-

gerne i presupposti arrivando alia conclusione che non


270

esiste la licenziosita in se stessa ma che essa e solo un

prodotto dell'interpretazione umana. E le ragioni che lo

hanno portato a tale scrittura "vengon pro n t i s s i m e " ; in

primo luogo la qualita delle novelle:

le quali se con ragionevole occhio da intendente


persona fian riguardate, assai aperto sara
conosciuto, se io quelle della lor forma trar non
avessi voluto, altramenti raccontar non poterlo.
(Con., 4)5 6 .

In secondo luogo l'uso che giornalmente viene fatto da

uomini e donne di tali parole libere che forse non si con-

vengono a coloro che "piu le parole pesan che' fatti e piu

d'apparer s'ingegnan che d'esser buone," (Con., 5 ) 5 7 . E una

volta appurato che le parole hanno meno valore dei fatti, a

coloro che della penna fanno loro mestiere deve essere con-

cessa la stessa "auttorita" conceduta al pennello del pit-

tore, il quale:

senza alcuna riprensione, o almen giusta, lasciamo


stare che egli faccia a san Michele ferire il ser-
pente con la spada o con la lancia e a san Giorgio
il dragone dove gli piace, ma egli fa Cristo
maschio e Eva femina, e a Lui medesimo, che voile
per la salute dell'umana generazione sopra la
croce morire, quando con un chiovo e quando con
due i pie gli conficca in quella. (Con., 6)5 8 .

La richiesta al pubblico di riconoscere il diritto alia

liberta di interpretazione dell'artista, sottolinea la sog-

gettivita dell'atto creativo relativizzandone il segno. La

bellezza degli angeli, come ha affermato il giovane

Balducci, e dipinta e quindi come puo negare la reale belta

delle donne?

E comunque le "istorie" sono conformi al luogo ed al


271

tempo della narrazione; non in chiesa, non nelle scuole di

filosofia, non tra chierici o studiosi ma:

ne' giardini, in luogo di sollazzo, tra persone


giovani benche mature e non pieghevoli per
novelle, in tempo nel quale andar con le brache in
capo per iscampo di sd era alii piu onesti non
disdicevole, dette sono. (Con., 7).

II riferimento al maturo intelletto della brigata serve

retoricamente all'autore per introdurre l'argomento piu

estesamente discusso nell'apologia della Conclusione: il

ruolo dell'ascoltare o, se preferiamo, tramite un "frame-

shift", del lettore, in quanto le novelle "chenti che elle

si siano, e nuocere e giovar possono, si come possono tutte

l'altre cose, avendo riguardo all'ascoltatore" (Con., 8)5 9 .

L'ascoltatore, cosi come il lettore, e non dimentichiamo che

lettori sono sostanzialmente questi censori delle novelle

(cfr., n. 4), diviene quindi il perno della dinamica

dialogica, colui che e in grado di validare o invalidare lo

sforzo narrativo cosi come l'esperienza del reale e perfino

la "divina Scrittura" ("E si sono egli stati assai che,

quelle [le sante lettere] perversamente intendendo, se e

altrui a perdizione hanno tratto" Con., 12). Comprendere

correttamente diviene quindi vitale tanto per l'ascoltatore

quanto per il narratore60 in quanto "niuna corrotta mente

intese mai sanamente parola" (Con., 11) e quindi anche se

"ciascuna cosa in se medesima e buona a alcuna c o s a , ...male

adoperata puo essere nociva di molte; e cosi dico delle mie

novelle." (Con., 13). Conscio del pericolo che il lettore


272

p uo costituire per lo scrittore e la sua opera, con-

sapevolezza che cl spiega la sua tempestiva ma anche

imprevista apologia della guarta giornata, Boccaccio reitera

da un lato la soggettivita d e l l 'interpre t a z i o n e 61 e

d all'altro la necessita di osse r v a r e scrupolosamente le

regole della retorica narrativa. Egli infatti asserisce

che:

Chi vorra da quelle [novelle] consiglio e malvagia


operazion trarre, elle nol vi e t e r a n n o a alcuno, se
forse in se 1'hanno, e torte e tirate fieno a
averlo: e chi utilita e frutto ne vorra, elle nol
negheranno, ne sara m a i che altro che utile e
oneste sien dette o tenute, se a quei tempi oa
quelle persone si le g g e r a n n o per cui e pe' quali
state son r a c c o n t a t e ." (Con., 14).

Alio stato di comprensione seguira quindi u n'azione

conforme, sia questa malvagia e quindi deleteria, oppure

utile e p r o f i q u a 6 2 ; ma a questo p u n t o il narratore avra gia

esplicato il suo ruolo se c o r r e t t a m e n t e avra saputo

scegliere tempo, luogo e pubblico della n a r r a z i o n e 6 3 . E se

alcune di queste novelle sarebbe stato m e glio che non ci

fossero state "io non pote' ne d o v e v a scrivere se non le

raccontate, e per cio esse che le dissero le dovevan dir

belle e io l'avrei scritte belle" (Con., 16); per di piu

nessuno e perfetto al di fuori di Dio. II pubblico scelto e

quello giusto; per "semplici g i o v i n e t t e " non e necessario

trovar cose troppo squisite, ed in ogni caso la rubrica

all'inizio di ciascuna novella, p e r m e t t e al lettore di

conoscerne il contenuto e quindi di scegliere. E se ce ne

sono di troppo lunghe o alcune s o n o piene di "motti e di


273

dance" e perche sono state scritte per le donne oziose che

devono passare il tempo, non "utilmente adoperarlo" come gli

studiosi6 4 , e con esso cacciare la malinconia. Di fronte

alle critiche sulla correttezza narrativa delle proprie

novelle Boccaccio fa riferimento solo debolmente al fatto di

non essere stato il loro inventore (cfr., n. 54), ed invece

concentra la sua difesa sulla corretta scelta del pubblico.

Ancora una volta, ma adesso dal punto di vista del

narratore-scrittore, l'ascoltatore-lettore diviene parte

integrante e riprova dell'esattezza del progetto narrativo.

Essenzialmente tutta l'apologia dell'autore e indirizzata a

dimostrare, sulla base del relativismo interpretativo,

l'errore di valutazione che alcuni suoi lettori hanno com-

messo o commetteranno nello scegliere un testo che non e a

loro pertinente. Come gia affermato nel Proemio Boccaccio

dedica la sua opera a coloro che amano non a chi ha

abbastanza del fuso e dell'arcolaio e che crede alle parole

dei frati che "son buone persone e fuggono il disagio per

l'amor di Dio e macinano a raccolta e nol ridicono; e se non

che di tutti un poco vien del caprino, troppo sarebbe piu

piacevole il piato loro" (Con., 26). Per quanto riguarda la

possibility che la sua "lingua" sia cambiata durante il

lungo periodo di scrittura6 5 , il giudizio ne viene di nuovo

affidato al pubblico, ad una vicina che "mi disse... che io

l'aveva [la lingua] la migliore e la piu dolce del mondo"

(Con., 27). In conclusione, a ciascuno e lasciata


274

l'irrevocabile liberta di comprendere e quindi agire secondo

i propri parametri mentre reiterata 6 la speranza che la

lettura abbia giovato e che di cid l'autore ne riceva

gratitudine. L'offerta di agape aveva dato origine

all'opera, la richiesta di agape la conclude6 6 . Sulla

necessity e sulle modalita dello scambio si regge il con-

sorzio umano.

Una volta conclusa l'analisi della cornice dell'autore

avendo messo in evidenza i suggerimenti metodologici, da lui

stesso offertici, p e r la lettura delle cento novelle, non ci

rimane che analizzare quella parte del narrato, inizialmente

da me denominata cornice della brigata6 7 , che si interpone

tra il magma delle novelle, il dialogo che l'autore instaura

con il suo pubblico fantasmatico ed i lettori fattuali

dell'opera. Ad essa l'autore ha fatto un breve e diretto

riferimento nel Proemio quando ha affermato di raccontare

novelle narrate "in diece giorni da una onesta brigata di

sette donne e tre giovani nel pestilenzioso tempo della pas-

sata mortality fatta, e alcune canzonette dalle predette

donne cantate a lor diletto" (Pr. 13); altri due

riferimenti, questa volta indiretti, erano presenti nella

Conclusione, quando l'autore difende la indispensabile

fedelta alia forma narrativa anche se cio significa

riportare novelle non belle. In questo caso la colpa

risulta degli attuali narratori che in prima istanza avreb-

bero dovuto averne raccontate delle belle.


275

Questa ultima affermazione mostra una delle funzioni

della cornice della brigata, quella di schermo narrativo tra

lo scrittore ed il suo pubblico. Tale espediente, non nuovo

per il Boccaccio, che lo aveva p i u volte adoperato in opere

come il Filostrato. il Filocolo ed anche il Teseida (in

esse il prestito da fonti preesistenti risultava esteso se

non t o t a l e ) , appare labile nel Decameron (in questo caso il

prestito, sia per la cornice che per le novelle, e

decisaraente meno esteso e certo men o evidente), in quanto

subito rimosso dallo stesso autore, che, dopo averla negata,

ipotizza, con un intricato gioco di specchi narrativi, la

possibility di una sua paternita dell'opera6 8 . Ma, come

intendo dimostrare nella mia analisi, la funzione della

cornice della brigata non e limitata al solo ruolo, anche se

narrativamente importante, di schermo. Da un lato essa

diviene un indicatore interpretativo ed un filtro per le

novelle stesse, dall'altro la circolare vicenda dei giovani

narratori: dalla peste al giardino e poi di nuovo alia

peste, diviene una metafora esemplare della condizione del

lettore vista alia luce del messaggio dell'opera.

Intendo a questo punto verificare sul testo queste mie

affermazioni cominciando dalla seconda, in quanto, in parte,

inclusiva della prima e riguardante le varie fasi della

vicenda della brigata. La storia ha inizio, come accennato

precedentemente in questo capitolo, con la famosa

descrizione della peste che colpi Firenze nel 1348,69 tema


276

doloroso ma, come afferma l'autore nel suo dialogo intro-

duttivo con le "graziosissime donne", necessario alia

dimostrazione di come le cose "che appresso si leggeranno

awenissero" (I, Int., 7), e comunque breve. Tale nar-

razione e articolata in due parti; nella prima vengono

descritte la causa e la sintomatologia del morbo oltre agli

effetti della sua natura infettiva, nella seconda invece le

sue ripercussioni sulle regole ed i valori d e l l 'individuo e

della societa civile. La descrizione si apre con la con-

sapevolezza dell'autore di non poter razionalmente spiegare

le cause di tale evento. Cosi Boccaccio scrive:

Pervenne la mortale pestilenza: la quale p e r


operazione de' corpi superiori o per le nostre
inique opere da giusta ira di Dio a nostra cor-
rezione mandata sopra i mortali... nelle parti
orientali incominciata..., verso l'Occidente
miserabilmente s'era ampliata" (I, Int., 8).

Lasciata quindi agli astri o alia giustizia divina la causa

ultima di tale evento, l'attenzione viene concentrata sulla

inutilita dei consigli e dei p r o w e d i m e n t i umani, sia civili

che religiosi. Ogni p r o w e d i m e n t o sanitario risulta

inefficace di fronte ad un morbo che attacca ed uccide non

solo gli individui ma soprattutto la possibility di

"comunicare insieme" e quindi il consorzio civile. M a se la

responsabilita del cielo e imperscrutabile non cosi lo e

quella degli uomini i quali "tutti quasi a un fine tiravano

assai crudele, cio era di schifare e di fuggire gli infermi

e le lor cose; e cosi faccendo, si credeva ciascuno a se

medesimo salute acquistare" (I, Int., 19)7 0 . E non importa


277

che alcuni decidessero di vivere moderat a m e n t e e di guar-

darsi da ogni cosa superflua, separati dal m o n d o degli

infermi; oppure che altri piu bestiali si dessero a sod-

disfare ogni loro appetito facendo del riso e d e l l a beffa

una sicura medicina; od altri ancora, scegliendo u n a via di

mezzo, si proteggessero con erbe e profumi, m e n t r e i piu

crudeli egoisticamente decidessero di abbandonare t u t t o e

tutti p e r rifugiarsi nel contado. Qualunque fosse l'azione

presa cont r o il morbo essa era stata determinata d a l l a man-

canza di compassione, di pieta, cio e di quei sentimenti che

stanno alia base della societa. La scelta a n t i s o c i a l e non

ga r antisc e la s o p r a w i v e n z a dal m o r b o ma c e r t o d i strugge

ogni v a l o r e che distingue l'uomo.

La na r r a z i o n e passa quindi dalla descrizione di come

gli individui reagiscono davanti alia peste, al r a c conto dei

devastanti risultati di tale r e a zione sul tessuto sociale:

rotti sono i legami familiari, ro t t o e l'onore d e l l e persone

ed in p a r t i c o l a r e il pudore delle donne, rotto e il

sentimen t o di carita per gli estranei come p e r i congiunti.

E come rotti sono i riti della v i t a cosi lo e quello della

morte. Nelle diverse classi sociali il rito funebre, visto,

non come termine della vita, ma come continuity storica di

affetti sottolineata da "i pietosi pianti e l'amare lagrime

de' suoi congiunti" (I, Int., 34), e assente; le sepolture

d i ventano comuni ed anonime, gli esseri u m a n i simili a "mer-

catantie", cosi in citta come nel contado d o v e le bestie


278

superano in r a zionality i loro padroni. Di fronte a tal e

c a o s 7 1 , che ha p e r v a s o la citta, "d'abitatori quasi vuota",

di fronte a tante m i s e r i e e sofferenze, Boccaccio r i s ponde

c o n la narrazione di un nuovo evento, "da persona degna di

fede" sentito: la v i c e n d a d e l l a brigata. Tale vicenda viene

quindi a costituire il contenuto di quei "nuovi

ragionamenti" che d e v o n o intervenire a rimuovere la "grave

noia" delle oziose donne; noia simile, per trasposizione

metaforica, al d o l o r e dei cittadini appestati, cosi come

" 1 'aegritudo amoris", in quanto malattia, e simile alia

peste, ma ad essa an c h e fenomenologicamente opposta in

quanto d o l o r o s a m e n t e repressiva dell'istinto di cui l'altra

n e e invece d istruttivamente liberatrice.

Ma come interpretare questo ne t t o stacco n a r r a t i v o ed

il racconto che ne segue? La critica contemporanea, una

v o l t a accettato o l t r e alia funzione di artificio strut-

turale, anche il v a l o r e contenutistico della vicenda, ha

ampliamente sottolineato l'elemento di distacco dalla n a r ­

razione p r e c edente e d ha fatto di t a l e caratteristica

l'elemento principale, se non l'unico, n e l l 'interpretazione

d e l significato narrato l o g i c o della vicenda. Alcuni critici

h a n n o quindi p r o p o s t o di interpretare la storia della

brigata com e un e s e m p i o di Arc a d i a civile, un mondo idil-

lico, socialmente e m o r a lmente perfetto, contrapposto ali a

disintegrazione d e l l a societa a p p e s t a t a 7 2 , altri hanno

invece cercato di ancorare 1 'utopia alia realta e quindi


279

hanno proposto tale vicenda come una momentanea fase di ri-

creazione, in cui i dieci giovani, discendenti dei mitici

Deucalione e Pirra, rieducano se stessi per poter poi

affrontare il rientro nella societa distrutta7 3 . Senza

voler negare la validita di tali posizioni, trovandomi

pienamente d'accordo con l'ipotesi di ri-creazione e di

ritorno della brigata, voglio pero mettere in evidenza gli

aspetti della narrazione che sottolineano, all'interno

dell'esemplarita comportamentale del gruppo, la non

eccezionalita della loro condizione. In altre parole

ritengo che la vita della brigata, una volta estraniata

dall'evento veramente eccezionale della peste, e cio

awiene, come vedremo, attraverso la descrizione di un

eccezionale gruppo di giovani, presenti compromessi e con-

flitti propri di una dinamica sociale ordinata ma non idil-

lica o tanto meno utopica.

Passando all'analisi di tali aspetti possiamo notare

subito il modo in cui Boccaccio descrive la condizione delle

sette donne:

Delle quali niuna il venti e ottesimo anno passato


avea ne era minor di diciotto, savia ciascuna e di
sangue nobile e belle di forma e ornata di costumi
e di leggiadra onesta. (I, Int., 49).

La perfezione delle giovani, quasi paragonabile alia fissita

astratta delle ninfe d'Ameto, e ulteriormente sottolineata

dalla eccezionalita dei loro rapporti interpersonali; mentre

la peste sta decimando famiglie intere, esse sono "tutte

l'una all'altra o per amista o per vicinanza o per parentado


280

congiunte" (I, Int., 49), q u indi un i t e da quei legami di

s angue o di affetto che il morbo aveva ampliamente

distrutto. Ed il loro c o m p o r t a m e n t o £ consono

all'eccezionalita della loro natura? esse, nell'esempio

d e l l a maggiore, Pampinea, "ragionano" onestamente e "com-

prendono" che nella gravita d e l l a situazione ciasc u n a di 11se

pu o dubitare", e p e r questo s e c o n d o la "natural ragione"

ritengono onesto di trovare u n m o d o per conservare la

propria v i t a 7 4 . E la soluzione che scelgono non e straor-

dinaria di per se, ma lo e s o l o in rapporto al loro onesto

ragionamento. Gia altri, t a c c i a t i dall'autore di massima

crudelta, avevano e g o i s t i c a m e n t e deciso di fuggire di fronte

al morbo, ma le giovani, sempre per v o c e di Pampinea,

g i u s t i f i c a n o a se stesse l'abbandono della citta c o n la

r agionata constatazione che n e s s u n o dei loro congiunti e

rimasto se non loro7 5 . Sulla ordinata v a lutazione della

p r o pria condizione ("non si d i s d i c e a noi 1'onesto andare,

che faccia a gran p a r t e d e l l ' a l t r e lo star disonestamente"

I, Int., 72) queste donne, c o n t r a r i a m e n t e a quelle del

Proemio o forse come esempio p e r esse, decidono di agire, ma

di agire m o d e r a t a m e n t e "senza tr a p a s s a r e in alcun atto il

segno della ragione" (I, Int., 66)7 6 . Di fronte ai dubbi di

a l c u n e di esse sulla loro n a t u r a femm i n i l e 77 e la necessity

di una guida maschile ecco i m p r o w i s a m e n t e apparire tre

giovani, eccezionali in quanto innamorati in un t e m p o tanto

perverso, m a ancor p i u eccezionali in quanto:


281

In tanta turbazione di cose, di veder le lor


donne, le quali per ventura tutte e tre erano
tralle predette sette, come che dell'altre alcune
ne fossero congiunte parenti di alcuni di loro.
(I, Int., 79).

Straordinaria coincidenza se accettiamo le precedenti con­

clusion! di Pampinea, approvate dal gruppo, secondo cui

nessuno dei loro congiunti piu viveva (qui si tratta di

parenti ed ancor piu di ama n t i ) , ma non cosi straordinaria

se estrapoliamo la nostra brigata dall'eccezianalita dei

tempi (niente di piu normale che giovani amanti vadano a

cercare in chiesa, luogo letterariamente deputato

all'incontro sentimentale, l'oggetto del loro de s i d e r i o ) .

Ed anche la necessity di una guida maschile per mantenere

unito il gruppo, non risulta, contrariamente alle donne del

Proemio che dovevano sottostare ai voleri di padri, mariti e

fratelli, fattuale: sara infatti Pampinea a dettare le

regole iniziali di convivenza ed a mantenere, tra i membri

del gruppo, un ruolo organizzativo per tutto il Decameron.

Dioneo stesso riconoscera piu volte, come vedremo, il ruolo

di guida delle donne; qui all'inizio della prima giornata

egli afferma: "Donne, il vostro senno, piu che il nostro

a w e d i m e n t o ci ha qui guidati" (I, Int., 92). Ecco dunque

che, fino a questo punto, Boccaccio ci ha presentato una

brigata di giovani eccezionali in quanto eccezionali sono i

tempi che essa vive.

Mercoledi mattina, usciti con i respettivi fanti dalla

citta dolorosa e raggiunto, dopo "due piccole mig l i a " 7 8 , un


282

bel "palagio", prima tappa del loro viaggio, Pampinea pre-

senta le regole democratiche della convivenza; democratiche

in quanto uguali ed approvate da tutti (anche l'irregolarita

di Dioneo necessitera l'approvazione del gruppo attraverso

la decisione della regina Filomena). La stessa elezione

giornaliera di un "principale", che permetta a ciascuno di

provare "il peso della sollecitudine insieme col piacere

della maggioranza" (I, Int., 96), propone piu una moderna

democrazia presidenziale che una medievale monarchia7 9 .

Vengono quindi stabilite le varie attivita della giornata,

che riconfermate da Filomena, succeduta a Pampinea nel

re g n o 8 0 , divengono regola per l'intero viaggio. La giornata

risulta cosi simmetricamente divisa in due parti uguali,

costituite, nello stesso ordine, dal vagare liberamente che

precede il mangiare (rispettivamente pranzo o cena) a cui

segue il ballare ed il cantare e poi il dormire. Al centro

di questa simmetria 1'attivita principe della brigata: il

narrare, 1'attivita democratica per eccellenza in quanto,

come afferma Pampinea che la propone, "puo porgere, dicendo

uno, a tutta la compagnia che ascolta diletto" (I, Int.,

Ill). Ed il fluire delle giornate secondo le fasi

prestabilite, e interrotto solo due volte in osservanza dei

giorni di venerdi e sabato dedicati alia salute dell'anima e

del corpo. L'introduzione, da parte della regina di turno,

Neifile, di una regola che appartiene al tempo storico della

brigata sottolinea di nuovo la normalita e non


283

1 'eccezionalita della vicenda del gruppo.

M a p roprio in quanto normale, la v ita dei giovani, nel

suo flusso scandito dalle r e g o l e a u t o - i m p o s t e s i , e carat-

terizzata da una sotterranea tensione tra i due sessi, che

qui e la affiora ne l l a forma di salace motte g g i a r e o di

aperto ma controllato risentimento. II primo scambio di

battute lo troviamo alia c o nclusione della terza giornata

quando Neifile, p a s s a n d o la c o r o n a a Filostrato cosi

l'apostrofa: " - T o s t o ci a v e d r e m o se i' lupo sapra meglio

guidar le pecore che le p e c o r e abbiano i lupi guidati. - "

(III, Con., 1). La battuta, c o n diretto riferimento alia

p r oblema t i c a accennata n e l l 'introduzione alia prima

giornata, sottolinea l'orgoglio delle donne n ell'aver saputo

guidare, e stuzzica la competitivita maschile. La risposta

di Filostrato, utilizzando la metaf o r a della novella di

Alibech (III, 10), appena da Dioneo narrata, pone il con-

fronto nei termini di supremazia sessuale filtrata

attraverso la m e t a f o r a zoologica del rapporto docente-

discente8 1 . Cosi Filostrato replica:

- Se mi fosse stato creduto, i lupi avrebbono


alle pecore insegnato rimettere il diavolo in
inferno n o n peggio c h e Rustico facesse ad Alibech;
e per cio non ne c h i a m a t e lupi, dove voi state
pecore non s i e t e . .. - (III, Con., 2).

Neifile, con impeccability oratoria, ribatte:

- Odi Filostrato: v o i avreste, volendo a noi


insegnare, potuto app a r a r senno come apparo
Masetto da L a m p o recchio dalle monache a riaver la
favella a tal e ora c h e l'ossa senza m aestro avreb­
bono apparato a sufolare. - (III, Con., 3).
284

Tale ineccepibile battuta, da un lato ci riconduce ai salaci

motti di alcune novelle della prima giornata mentre prean-

nuncia le risposte mordaci proprie di una monna Nonna de'

Pulci (IV, 3), dall'altro ci propone il conflitto sessuale

sulla base del binomio insegnare-imparare; dove in entrambi

i casi il potere e dato a chi possiede il controllo della

parola. Ed infatti "Filostrato, conoscendo che falci si

trovavan non meno che egli avesse strali, lasciato stare il

motteggiare a darsi al governo del regno commesso

comincio..." (III, Con., 4); l'azione diviene una ritirata

strategica prima di rischiare una quasi certa sconfitta ver-

bale. Ma l'attrito e solo momentaneamente risolto, di

fronte all'egocentrica decisione del nuovo re ("domane mi

piace che si ragioni se non di quello che a' miei fatti e

piu conforme" III, Con., 6) di narrare le tristi vicende di

"coloro li cui amori ebbero infelice fine" (III, Con., 6),

l'obbedienza alia regola appena riesce a mascherare il

risentimento della brigata per la scelta di un tema non con-

sono alia loro terapeutica decisione di dare e ricevere

diletto attraverso il narrare. Tale risentimento e ver-

balizzato da Fiammetta a cui spetta aprire la serie delle

narrazioni. Ella o w i a m e n t e non rivoluziona la regola,

troppo la peste ha rivoluzionato la loro realta storica per

potersi permettere di attaccare e quindi rimuovere le regole

del loro isolato vivere civile, ma nell'osservarla non

rinuncia a far sentire la propria opinione discordante ed a


285

trovare una risoluzione civicamente alternativa al doloroso

ed individualistico argomento dal re scelto. Cosi ella si

indirizza alia brigata:

- Fiera materia di ragionare n'ha oggi il nostro


re data, pensando che, dove per rallegrarci venuti
siamo, si convenga raccontar l'altrui lagrime, le
quali dir non si possono che chi le dice e chi
l'ode non abbia compassione. (IV, 1, 2).

Negata dal re la terapia individuale del diletto ad

essa e sostituita il benefico sentimento della compassione.

Come gia nel Proemio la compartecipazione dei sentimenti

umani diviene la soluzione alia sofferenza individuale.

Pampinea, seconda a narrare, si fa ancora piu ardita dopo

aver per "la sua affezione" compreso l'animo delle compagne

piu che le parole di Filostrato. Ella, manifestando in

maniera diversa lo stesso risentimento di Fiammetta, si

propone, senza farne parola ma facendo dei loquaci fatti, di

ricrear la brigata senza per questo formalmente contrastare

il volere del re. La divertente vicenda di frate Alberto

(IV, 2) ha, in osservanza alia regola, una t r iste fine che

pero non soddisfa Filostrato che in conclusione cosi

ribatte:

- Un poco di buono e che mi piacque fu nella fine


della vostra novella; ma troppo piu vi fu innanzi
a quella da ridere, il che avrei v o luto che stato
non vi fosse (IV, 3, 2).

Anche la seguente narratrice, Lauretta, non rinuncia ad

apertamente definire il re "contro gli amanti c r u d e l e " , e lo

fa ridendo mentre si appresta ad ubbidirgli. Come le nar-

razioni procedono i vivaci commenti alle novelle, tipici di


286

ogni conclusione precedente, t a c c i o n o immersi in u n silenzio

di compassione; solo con Dioneo, ma in fondo lui e la san-

cita eccezione alia regola8 2 f s i torna a criticare

apertamente il re ed a proporre una p i u lieta e m i g l i o r e

materia. Ma cio che risulta p i u inaspettato, ed importante

secondo la nostra tesi, sono le scuse che Filostrato, al

termine del suo regno, fa al resto brigata per ave r "fatto

ragionare di materia cosi fiera come e quella della

infelicita degli amanti" (IV, C o n . , 2); e tali s c u s e si

estendono fino alia giornata seguente, quando, e s s e n d o il

suo turno di narrare, cosi incomincia;

- Io sono stato da tante di voi tante v o l t e morso


perche io materia da crudeli ragionamenti e da
farvi piagner v'imposi, che a me pare, a v o l e r
alquanto questa noia ristorare, esser t e n u t o di
d o v e r dire alcuna cosa p e r la quale io a l q u a n t o vi
faccia ridere; (V, 4, 3).

Questo p a s s o e particolarmente importante non sol o in

quanto nega la fissita caratteriale dei membri della

brigata, ma ancor di piu in quanto tale evoluzione a w i e n e

attraverso la comprensione delle esperienze pro p r i e ed

altrui. L'egocentrico Filostrato interagendo con il

risentimento delle donne, ne riceve i morsi (forse a n c h e di

p i u di quanti l'autore ne n a r r i ) , e comprende la nece s s i t y

di cambiare atteggiamento, scusandosi. L'ultimo a t t o con-

forme al suo nome e l'amara canzone da lui cantata, per

decisione della nuova regina Fiammetta, al termine del suo

regno; da allora in poi le sue novelle saranno tra le piu

divertenti ed a favore delle donne amanti. Sara addirittura


287

lui a narrare della pubblica difesa fatta da madonna Filippa

a favore di sd stessa e di tutte le donne di Prato (VI, 7)83

e la salace beffa fatta da Peronella alio sciocco marito

(VII, 2) . Ma un interessante fatto a w i e n e a conclusione

del triste canto che "chiaramente"84 aveva dimostrato "qual

fosse l'animo di Filostrato e la cagione" (IV, Con., 18);

le tenebre della s o p r a w e n u t a notte nascondono, durante

le danze, il rossore di una delle donne che, notato, aviebbe

reso ancor piu chiaro il significato della canzone di

Filostrato. Riaffiora quindi a questo punto della nar-

razione, quella tensione di rapporti e di sentimenti

manifestata da Neifile quando, ancora radunate in chiesa, di

fronte alia comparsa dei giovani, aveva, arrossendo di

vergogna, affermato:

Io conosco assai apertamente niuna altra cosa che


buona dir potersi di qualunque s'e l'uno di
c o s toro... e similmente a w i s o loro buona com-
pagnia e onesta dover tenere non che a noi ma a
molto p i u belle e piu care che noi non siamo. Ma,
per cio che assai manifesta cosa e loro essere
d'alcune che qui ne sono innamorati, temo che
infamia e riprensione, senza nostra colpa o di
loro, non ce ne segua se gli meniamo. (I, Int.,
83) .

Allora Filomena aveva spazzato il dubbio dell'arnica

sostenendo che Dio e la verita avrebbero difeso il loro

onesto c o m portamento; ma evidentemente l'evitare 1' infamia e

la reprensione del mondo esterno non elimina le tensioni

esistenti tra i membri del gruppo8 5 .

Superata momentaneamente, con la comprensione e la

capitolazione di Filostrato di fronte al gruppo, la tensione


288

si manifesta, questa volta scherzosamente, con il personag-

gio di Dioneo. Gia in conclusione alia quinta giornata, su

richiesta dalla nuova regina, Elissa, che egli cantasse,

Dioneo propone una serie di ballate dal titolo equivoco che,

mentre tutti ne ridono, sono rigettate, perche non belle,

dalla sorridente regina; la quale alia fine, un poco turbata

di fronte a tanta sollazzevole irriverenza, cosi lo

apostrofa: Dioneo, lascia stare il motteggiare e dinne

una bella; e se no tu potresti provare come io mi so

adirare" (V, Con., 14). Di fronte ad una minaccia di rot-

tura anche il carnascialesco Dioneo "lasciate star le

ciance, prestamente in cotal guisa comincio a cantare" (V,

Con., 15). Ma, forse anche per scusarsi di un tale brusco

trattamento, la stessa regina lo nomina giudice della

disputa tra la serva Licisca ed il servo Tindaro; alterco

che viene a sconvolgere il ritmo giornaliero della brigata

ed il potere della regina la quale, per ben sei volte, aveva

cercato di mettere a tacere la serva ma "ella non ristette

mai infino a tanto che ella ebbe detto cio che ella voile"

(VI, Int., 11); anche nel reiterato uso del pronome "ella",

sembra di udire la petulanza d e l l 'attempatetta Licisca; per

cio:

Se non fosse che la reina con un mal viso le


'mpose silenzio e comandolle che piu parola ne
romor facesse se essere non volesse scopata e lei
e Tindaro mando via, niuna altra cosa avrebbero
avuta a fare in tutto quel giorno che attendere a
lei. (VI, Int., 15)86

Un'altro utile messaggio e quindi offerto alle donne del


289

Proemio dall'argomento della Licisca e dalla sanzione che di

esso ne fa Dioneo: e sciocco credere che le pulzelle

attendano che messer Mazza entri in Monte Nero con

spargimento di sangue e che le maritate non si facciano

beffe del marito, coloro che non hanno vissuto invano,

reitera la serva, sanno cio.

Come abbiamo visto l'effetto catartico del riso

accompagna ogni intervento di Dioneo a tal punto che quando

Elissa regina, ridendo, mette la corona in testa a Dioneo

con una fraseologia simile a quella usata da Neifile per

Filostrato ("- Tempo e, Dioneo, che tu alquanto pruovi che

carico sia l'aver donne a reggere e a guidare.." VI, Con.,

2), egli, sempre ridendo, forse maturo dell'esperienza

precedente, risponde negli stessi termini di Filostrato,

senza pero produrre simili conseguenze ("se voi m'ubidiste

— ma lui sa per esperienza che loro non lo fanno docilmente

— come vero re si dee ubidire, io vi farei goder di quello

senza il che per certo nuina festa compiutamente e lieta.

ma lasciamo star queste parole: io reggero come io sapro.

VI, Con., 3). Dioneo e il simbolo della provocazione

mediata dal riso; e quindi provocatorio e il tema della sua

giornata ispirato dall'alterco della serva Licisca: le beffe

che le donne per amore o salvezza loro hanno fatto ai

mariti. Le donne reagiscono a tale provocazione, cosi come

avevano fatto per Filostrato, pregando il re di mutare

argomento ed egli e costretto quindi ad un apologo basato


290

sull'opposizione fatti-parole. In tempi eccezionali, in cui

tutti si comportano disonestamente, ogni ragionamento e con-

ceduto, e comunque il comportamento onesto delle donne che

il terrore della morte non ha potuto smagare, non puo certo

essere macchiato da ciance sollazzevoli, anzi il loro

rifiuto potrebbe sembrare senso di colpa; la conclusione e

quindi che "con la buona ventura pensi ciascuna di dirla

bella" (VI, Con., 15). Ma le giovani, istigate dalla ex-

regina, Elissa, la fanno bella prima di dirla bella; si

recano infatti, all'insaputa dei giovani, nella Valle delle

Donne, il punto piu distante dalla citta, l'apogeo del loro

viaggio8 7 . Al loro ritorno Pampinea ridendo svela l'inganno

perpetrato contro gli uomini, a cui Dioneo risponde: "- E

come?... cominciate voi prima a far de' fatti che a dir

delle parole?" (VI, Con., 34); la risposta della donna e

netta e positiva: "- Signor nostro, si - (VI, Con., 35). Ma

non e proprio questo che alle donne innamorate del Proemio,

a differenza dei loro uomini, e impedito di fare per

alleviare le pene d'amore? Ancora una volta la con-

flittualita contenuta della brigata diviene esempio per il

fantasmatico ed il reale pubblico del D ecameron.

La tensione se si attenua di fronte al riso pero non

scompare: cosi Lauretta, regina dell'ottava giornata, mostra

polemicamente la sua magnanimita nell'aver evitato "d'esser

di schiatta di can botolo che incontamente si vuol

vendicare" (VII, Con., 3) e quindi nel proporre come tema


291

della propria giornata "quelle beffe che tutto il giorno o

donna a uomo o uomo a donna o l'uno uomo all'altro si fanno"

(VII, Con., 4). Ma chissa se questa sua decisione non sia

stata in parte determinata da quello spirito di parte che

male avrebbe tollerato un'intera giornata di beffe contro le

donne? O forse la coesione del gruppo delle giovani non e

poi cosi totale: non dimentichiamo che loro stesse si sono

definite "mobili". Vedremo in seguito. Per ora, dopo il

secondo intervallo del venerdi e del sabato, nella giornata

a tema libero di Emilia regna la concordia e la letizia che

sembrano offrire alia brigata una forma di immortalita ("O

costoro non saranno dalla morte vinti o ella li uccidera

lieti." VIII, Int., 4). E sempre all'immortalita fa

riferimento Panfilo all'apertura del suo regno quando

propone di discutere "di chi liberamente o vero

magnificamente alcuna cosa operasse intorno a' fatti d'amore

o d'altra cosa" (IX, Con., 4). Ma questa volta

1'immortalita e per fama, fama dovuta ad azioni valorose

accese negli animi ben disposti dei giovani dalle nar-

razioni. Ancora una volta, e verso la conclusione

dell'opera l'enfasi e posta sull'azione, non piu con-

trapposta al parlare, come nell'affermazione di Dioneo, ma

da esso derivata. Magnifiche novelle da ben disposti animi

comprese stimolano a magnifiche azioni; argomento che, come

abbiamo gia sottolineato, e al centro dell'apologo con­

clusive dell'autore. Tanta magnificenza non puo, e forse


292

non deve, per evitare la creazione di un mondo idillico e

percid utopico, cancellare la tensione che ha caratterizzato

la dinamica del gruppo; anzi essa esplode proprio nella

g i o m a t a dedicata alle virtu sociali nella competizione nar-

rativa di tutti contro tutti. Solo dopo le prime cinque

novelle che hanno visto un crescendo pericoloso della

tensione, il re Panfilo "alia Fiammetta guardando, comando

che novellando traesse lor di quistione;" (X, 6, 2). La

narratrice ristabilendo il luogo della narrazione (dalle

scuole degli studiosi ai giardini delle brigate)®® calma la

disputa non senza pero in ultimo sottolineare che la propria

novella "non mic a d'uomo di poco affare ma d'un valoroso re"

(X, 6, 4) tratta. E le tensioni per niente sopite diventano

politicamente storiche quando una delle giovani, di parte

ghibellina, rifiuta di commendare la magnificenza del re

guelfo, Carlo d'Angio (X, 6), e piu delle altre commenda

Pietro d'Aragona (X, 7) vincitore degli angioini; e la

tensione e genericamente rivolta a tutte le donne nella can­

zone finale di Fiammetta in cui, gelosa del proprio amore,

canta:

Per Dio, dunque, ciascuna/ donna pregata sia che


non s'attenti/ di farmi in cio o ltraggio;/....s'io
il risapraggio,/ se io non sia svisata,/piagner
farolle amara tal follia. (X, Con., 14).

Ancora, per 1'ultima volta, le parole ridenti di Dioneo

sublimano la tensione:

- Madonna, voi fareste una gran cortesia a farlo


cognoscere a tutte, accio che per ignoranzia non
vi fosse tolta la possessione, poi che cosi ve ne
293

dovete adirare - (X, Con., 15).

Nelle ultime parole della brigata compare di nuovo il

riferimento alia necessita di comprendere, qui nella formula

di essere "resi consci", per evitare di agire erroneamente.

Un ultimo messaggio della brigata al pubblico dei lettori

prima dell'intervento apologetico nella Conclusione

dell'autore. Al termine della vicenda i giovani dopo quat-

tordici giorni di soggiorno nel contado, secondo la proposta

presentata da Panfilo ed approvata da tutti, rientrano in

Firenze e ritornano alle loro attivita ed alle loro case.

Ricreati? Certamente, se crediamo alle parole di Panfilo che

in conclusione del suo regno afferma:

Noi, come voi sapete, domane saranno quindici di,


per dovere alcun diporto pigliare a sostentamento
della nostra santa e della vita, cessando le
malinconie e' dolori e l'angosce, le quali per la
nostra citta continuamente, poi che questo
pestilenzioso tempo incomincio, si veggono,
uscimmo di Firenze; il che, secondo il mio
giudicio, noi onestamente abbiam fatto, per cio
che, se io ho risaputo ben riguardare, quantunque
liete novelle e forse attrattive a concupiscenzia
dette ci sieno e del continuo mangiato e bevuto
bene e sonato e cantato (cose tutte ad incitare le
deboli menti a cose meno oneste), niuno atto,
niuna parola, niuna cosa ne dalla vostra parte ne
dalla nostra ci ho conosciuta da biasimare: con-
tinua onesta, continua concordia, continua frater­
nal dimestichezza mi ci e paruta vedere e sentire
(X, Con., 3-5)

Dove la perfetta continuity a cui egli accenna tende a sot-

tolineare la normalita dell'esistente tensione. Ma se sono

ricreati, sono essi ora anche ricreatori? Non sappiamo, Boc­

caccio non lo dice ma lascia sulla pagina bianca libera

scelta ad una nostra immaginaria conclusione.


294

Ma che cosa e a w e n u t o delle cento novelle, o favole o

p a r a b o l e o istorie che dire le vogl i a m o ? La b r i g a t a ne ha

fatto lo zenit di ciascuna delle dieci gionate. Con il sole

alt o ed il caldo grande sarebbe stato, come suggerisce

Pampinea all'inizio del suo regno, senza dubbio sciocco ed

insano andare v a g a n d o 8 9 ; li, nel luogo bello e fresco in cui

si trovano, possono, giocando, piacere pigliare; ma tra i

poss i b i l i giochi il novellare e l'unico che possa offrire,

in egual misura ed alio stesso tempo, dil e t t o p e r tutti. In

realta la vita della brigata e colma di giochi, e di modi

p e r procurarsi diletto, basti pen s a r e al loro passeggiare,

cantare, ballare, ai giochi di scacchi o di t a v o l i e r e che

riem p o n o il tempo libero dei giovani, o ai loro pasti fatti

di cibi e b evande delicatissimi. Ma in tutto c i o il narrare

occupa un posto eccezionale sottolineato dalla sua speciale

collocazione al centro della simmetria degli eventi di

cias c u n a giornata; esso diventa p i u dei pasti stessi, il

m o m e n t o conviviale per eccellenza9 0 , un rito p a r t i c o l a r e

d e l l a parola p e r permettere alio stesso tempo la

p a r t e c ip a z i o n e alia realta storica e la sua esorciz-

zazione9 1 .

Ma che significato ha questo rito dial o g i c o p e r i

g i o v a n i che ne partecipano? S econdo quanto gia affe r m a t o da

Pampinea, un'offerta egalitaria di piacere e cio che il n a r ­

r a r e pud fornire; ma il diletto e il fine terape u t i c o della

b r i g a t a e quindi il m o t i v o essenziale de l l a sua stessa


295

esistenza. Na r r a r e non e quindi u n semplice att o

edonistico, ma, proprio in quanto tale, utile p e r la sanita

dei giovani. Ed infatti le risposte della b r i g a t a alle

novelle sono in generale la lode, il riso o, p e r quanto

riguarda alcune vicende tribolate della seconda giornata

oppure le m ortali della quarta, la compassione, di cui

abbiamo in precedenza sottolineato la funzione terapeutica

p a rallel a a quella del p i a c e r e 9 2 . Ma se 1 'utile si

identifica con il piacere ed i giovani della b r i g a t a sono

onesti e costumati sin dall'inizio (I, Int., 66), ed ancor

prima dell' i n i z i o (I, Int., 49), fino alia fine (X, Con.,

5), chi puo t r a r profitto dalle introduzioni d i d a scaliche di

mo l t e delle novelle, oppure s e m plicemente dalla loro natura

esemplare? P e r la brigata ragionarne fa parte d e l l a loro

r icerca e d o n i s t i c a 9 3 ; le novelle in se stesse n o n sembrano

apportar e n e s s u n radicale cambiamento in una si t u a z i o n e gia

di p e r se ordinata. Inoltre non d o b biamo d i m e n t i c a r e che

questi giovani sono, di volta in volta, i p r o d u t t o r i e gli

interpreti de l l e proprie n o v e l l e 94 t e m a t i c a m e n t e catalogate

giorno dopo giorno da uno di loro. Ed il m o n d o che scelgono

di narra r e e il loro mondo, prima e dopo l ' e vento

eccezionale della peste, la quale li ha c ostretti ad una

scelta di terapeutico ma non idillico isolamento. La

scelta dell'idillio avrebbe infatti s i gnificato

l'estraniarsi dalla loro unica realta, quindi u n a morte

diversa nell'utopia astorica. L'utile m e s s a g g i o della


296

novella95 e quindi riservato alle sofferenti donne del

Proemio e per assimilazione, come affermato nella Con­

clusione dell'autore, a tutto il pubblico dei lettori, a

coloro che, come i nostri giovani a causa della peste, per

qualsiasi ragione soffrono. Ad essi spettera il compito di

comprendere, tramite la lettura, "cio che sia da fuggire e

che sia similmente da seguitare" (Pr., 14), poiche "chenti

che elle si siano, e nuocere e giovar possono, si come pos-

sono tutte l'altre cose, avendo riguardo all'ascoltatore"

(C o n ., 8).

A conclusione di questo "excursus" d e l l 'opus boccac-

ciano, ritengo opportuno reiterare i punti della mia tesi.

Mio intento e stato dimostrare come nelle opere del Boccac­

cio, che vanno dalla Caccia di Diana al Decameron e tra le

quali ho problematicamente incluso anche il C o r b a c c i o .

possa essere individuato a livello del contenuto uno

sviluppo ideologico dell'autore parallelo alia sua

maturazione letteraria. Tale processo porta il Boccaccio da

una iniziale accettazione acritica della dinamica

dell'amore, cosiddetto "cortese", letterariamente rap-

presentata, nelle opere del periodo napoletano ed oltre,

dall'uso di stilemi e tematiche pertinenti, ad una progres­

siva presa di coscienza dei limiti pratici e teorici di tale

dinamica9 6 , come dimostrato nella Eleaia di madonna Fiam­

metta e nel C orbaccio. ed infine con il Decameron ad una


297

completa relativizzazione di tale specifica dinamica cosi

come della realta in generale. Con quest'ultima opera

l'autore non nega, anzi esalta, il sentimento d'amore

avendone egli stesso serenamente superato gli effetti.

Forte di tale passata esperienza egli e in grado di passare

da eros ad agape, dall'appetito istintuale alia compassione,

come sentimento di altruistico scambio; conscio

dell'incontrastabile forza della natura e fedele ai valori

della societa umana, individua nella comprensione lo

strumento indispensabile a bilanciare il conflittuale rap-

porto tra l'individuo e la societa. Questo e il messaggio

che in cento e piu storie il Decameron propone alle caris-

sime donne, alle pinzochere ed alle spigolistre, ai critici

invidiosi, a chi ama e a chi non ama, a tutti coloro che

attraverso i secoli sono stati i suoi lettori. Ed a noi,

lettori della fine del ventesimo secolo, piagati da un nuovo

male, A.I.D.S., il Decameron si presenta di una attualita

straordinaria, ed il suo messaggio risulta valido ora come

allora: di fronte ad un'incurabile morbo venereo, che chi

non ama considera giusta punizione divina, l'unica vitale

risposta rimangono ancora la comprensione e la compassione.


298

NOTE

1 Riferimenti al pubblico dei lettori sono presenti

anche in altre opere giovanili del Boccaccio, come la Come­

dia delle ninfe fiorentine (I, 13), e 1 'Amorosa Visione

(terzo sonetto introduttivo), in cui pero non si tratta di

messaggio pedagogico ma semplicemente di offerta dell'opera

come compartecipazione dei lettori all'esperienza amorosa,

una auspicata comunita di intenti tra il narratore ed il suo

pubblico (cfr., cap. 1).

2 Questo tipo di analisi, prodotta da un piu largo

numero di critici, presenta conclusioni diverse. Per inter-

pretazione della struttura dell'opera come lineare ed

ascendente (dal vizio alia v i r t u ) , sono da vedere: Vittore

Branca (op. c i t . , 1956); Joan M. Ferrante, "Narrative Pat­

terns in the Decameron" . Romance P hilology. 31 (1978), pp.

585-604. Come lineare ed immanente (dal caos all'ordine),

vedi Marga Cottino-Jones, Order from C h a o s : Social and

Aesthetic Harmonies in Boccaccio's 'Deca m e r o n ' (Washington

D.C.: University Press of America, 1982). Come lineare e

moralmente ordinato, vedi Janet Levarie Smarr, "Simmetry and

Balance in the Decameron" . Med i e v a l i a . 2 (1976), pp. 159-87,

ora in (op. cit., 1986), pp. 165-204. Come circolare ed

immanente, vedi Teodolinda Barolini (op. cit., 1983).

3 Per questo tipo di analisi esistono diversi lavori


299

che analizzano 1'opera parzialmente: ma per una comprensiva

interpretazione vedi Joy Hambuechen Potter, "Boccaccio as

Illusionist: the Play of Frames in the Decameron",

Humanities Association R e v i e w . 26 (Fall 1975), pp. 327-45,

ora in Five Frames for the 'D ecameron': Communication and

Social System in the Cornice (Princeton: Princeton

University Press, 1982), da cui sono tratte tutte le mie

citazioni.

4 Claude Perrus sottolinea tali binomi,

ascoltatore/lettore e narratore/scrittore quando scrive che

esiste "dans le texte du D e c a m e r o n , una equivalence entre

entendre-1ire, d'une part, conter-ecrire, d'autre part", in

"Remarques sur les rapports entre ecrivain et public dans le

Decameron de Boccace", Litterature et i d e o logies. Colloque

de Cluny II. 2,3,4 (Avril 1970), p. 299. Trovo

particolarmente interessante p e r il mio argomento che Perrus

abbia usato, non penso con le m i e stesse implicazioni, un

termine come "entendre" che traduce in italiano sia il

termine "ascoltare" che il termine "capire".

5 Simile associazione, ma limitata al personaggio

decameroniano di frate Cipolla, la cui retorica come gli

strati della cipolla non ha un centro di verita, e proposta

da Millicent Joy Marcus (op. cit., 1979), quando scrive:

"Like the onion with its manifold skins and seedless center,

Cipolla's rhetoric contains layer upon layer of identical

signs which harbor no underlying truth." (p. 76).


300

6 In particolare due novelle, la terza e la settima

della prima giornata, contengono ciascuna la narrazione di

un racconto esemplare come parte della loro trama e come

strumento per risolvere un pericolosa o frustrante con-

dizione iniziale; un'altra novella, la prima della sesta

giornata, contiene una narrazione interna come esempio del

non saper raccontare. Estendendo tale concetto possiamo

anche considerare la novelletta delle papere come un rac­

conto interno alia cornice dell'autore. In tutti questi

casi tali narrazioni vengono utilizzate a scopo esemplare,

scopo che possiamo, per osmosi tra i vari livelli narrativi,

attribuire alle novelle in generale, anche quando prive di

una specifica didascalia. In riferimento all'incompleta

novella di Filippo Balducci, ed all'esortazione di Fiammetta

(X, 6, 3-4), ma con un significato che ritengo possa essere

esteso a tutte le novelle, Walter R. Davis, usando anche una

citazione da Robert Scholes e Robert Kellogg, The Nature of

Narrative. (New York: Oxford University Press, 1966), p.

212, scrive: "Closure - by which I mean in this case full

restoration of equilibrium after an initial disequilibrium

in the plot - is a response to some of the deeper demands of

our emotions, Fiammetta suggests. Scholes and Kellogg speak

of it in terms of 'the tension and resolution which plot

demands . .. The reader of a narrative can expect to finish

his reading having achieved a state of equilibrium - ", in

"Boccaccio's D e c a m e r o n : the Implication of Binary Form",


301

Modern Language Quar t e r l y . 42 (1981) , p. 6.

7 Per quanto concerne le posizioni della critica

riguardanti la cornice della brigata come puramente esterna

ed estranea al quadro che racchiude, ed una confutazione di

tali posizioni vedi V. Cian, "L'organismo del Decameron11.

Miscellanea storica della V a l d e l s a . XXI (1913), pp. 202-13.

Per un breve ma chiaro sommario del problema, anche per

quanto riguarda le posizioni critiche posteriori Giovanni

Getto scrive: "II quadro complessivo delle posizioni,

antiche e recenti, si presenta riassuntivamente in questi

termini: una posizione di ignoranza della cornice; una

posizione di conoscenza di essa, ma di una conoscenza svolta

all'interno della cornice, prescindendo dalle novelle;

infine u n a posizione di conoscenza attenta al rapporto fra

cornice e novelle; una posizione, quest'ultima, che si

articola a sua volta in un duplice contegno, quello

dell'individuazione di un rapporto necessario, e quello

dell'indicazione di un rapporto puramente decorativo. E

quest'ultima, a nostro modo di vedere, la posizione nella

sua facile persuasivita, piu ingannevole ed elusiva. La

cornice non e un elemento decorativo e comunque essa non

nasce "a-posteriori": anche se scritta cronologicamente dopo

le novelle, in quanto documenta uno stato d'animo, il clima

di umanita e di stile entro cui si compongono le novelle e

di cui le novelle sono tutte imbevute... la cornice pre­

senta. .. un carattere di necessity ed un valore di ordine


302

formale-letterario, in quanto si pone come risultato,

prodotto in segno sensibile, quasi margine ideale e perpetua

didascalia, dell'insostituibile momento espressivo della

elegante e conversevole comunicazione" (op. cit., 1966), pp.

17-9. Come possiamo notare da questo estratto, Getto rimane

in gra parte legato ad una funzione formale della cornice.

A tale posizione, caricata di pesante allegorismo, si

riconduce Lucia Marino che nel suo libro «Decameron»

C o r n i c e : A l l u s i o n . A l l e g o r y , and Iconologv (Ravenna: Longo

Editore, 1979), scrive: "The Decameron «cornice» enjoins

upon its essentially bourgeois readership a naturalistic

bourgeois wisdom of «arte...del saper vivere», through an

elegant thematic continuum... which proposes a specific

relation between Art and the social and civic virtues" (p.

19) .

8 Nell'articolo citato (1975), Joy Hambuechen Potter

individua ben cinque livelli narrativi, distinti ma alio

stesso tempo interdipendenti? dal piu esterno al piu

interno: I, il Decameron come esperienza del lettore (mondo

esterno di Boccaccio e dei suoi lettori); II, la storia nar-

rata da Boccaccio circa il Decameron (mondo del fantasmatico

pubblico delle d o n n e ) ; III, la storia narrata da Boccaccio

sulla societa durante la peste (mondo della societa

devastata dalla p e s t e ) ; IV, la storia del gruppo narrata da

Boccaccio (idillico mondo della b r i g a t a ) ; V, le novelle rac-

contate dalla brigata (mondo storico della b r i g a t a ) ; (p.


303

121). A q u e s t i livelli potrebbero essere aggiunti quelli

interni a lle singole novelle, c o m e nel caso delle nar-

razioni, co d i f i c a t e o no, in e s s e presenti. Per q u anto

riguarda la m i a analisi ritengo s u fficiente

l' i d e n t i f i c a z i o n e di solo due co r n i c i anche se, s econdo

1 ' interpre t a z i o n e corretta della Potter, ciascuna con-

terr e b b e u n o o piu livelli narrativi.

9 Per q u anto riguarda l ' e t i mologia del tito l o e da

v e d e r e la nota di Vit t o r e Branca, (op. cit., 1984), p. 3, n.

1, con il r i f e r i m e n t o all'articolo di Pio Rajna, "L'episodio

delle qu e s t i o n i d'amore nel F i l o c o l o del Boccaccio",

R o m a n i a . XXXI, 1902, pp. 80-1.

10 per quanto concerne questi d u e sostantivi Salv a t o r e

Battagli a d e f i n i s c e il termine "cognome" come: "Nome di

famiglia c o m u n e a quelli che d i s c e n d o n o da uno stesso

c a p o s t i p i t e " , ment r e pon e come s i n onimo di "soprannominare"

i termini "denominare" e "chiamare"; inoltre

emblematicamente il Battaglia non pone sotto il p r i m o

signific a t o ("definire con un cognome") del ter m i n e

" c o g n o m i n a t o " , tra le citazioni, la rubrica d e c a m e r o n i a n a

che invece compare sotto il s econdo significato ("sopran-

nominato, d e n o m i n a t o " ) , (op. cit., 1961), v. Ill, pp. 267-8.

M a forse lo stesso Boccaccio ci p u o illuminare su tale

quesito interpretativo; nel D e c a m e r o n . il termine "cognome"

& usato solo al participio passato, "cognominato" e solo

nella rub r i c a del titolo e della conclusione; il ter m i n e


304

"soprannome" con le sue varianti lessicali, compare solo una

volta e con il significato di nome di famiglia o

patronimico: "Per la qual cosa, e meritatamente, gli era de'

Grimaldi caduto il sopranome e solamente messer Erminio

Avarizia era da tutti chiamato" (I, 8, 6). Lo stesso Vit­

tore Branca in nota al termine "sopranome" riporta:

"«cognome»: P a r .. XV 137 s g . : 'Mia donna venne a me di Val

di Pado,/ E quindi il sopranome tuo si feo'; e P u r g . XVI

139.", (op. cit., 1984), p. 110, n. 3. La critica e quindi

venuta accettando una interpretazione che, se giustificata

ai tempi di Boccaccio, quando i due termini risultavano

sinonimi sotto il significato di "nome di famiglia", oggi

non lo e piu in seguito alia differenziazione a w e n u t a

nell'uso dei due termini in questione.

A questo riguardo Michelangelo Picone in "Codici e

strutture narrative nel Decameron", Strumenti critici, 34

(1977), presenta la stessa idea di categorizzazione ma

capovolge il rapporto tra "Decameron" e "prencipe Galeotto".

Infatti secondo la sua equazione, derivata anch'essa

dall'interpretazione del verso dantesco (I n f . V, 137), "i

casi raccontati (Decameron) stanno al libro nella sua

totalita (Prencipe Galeotto) esattamente come Francesca sta

al romanzo bretone. La storia del personaggio o del fatto

x, y verra dunque sottoposta ad un diretto confronto con un

determinato codice, rispetto al quale soltanto potra essere

analizzata e giudicata: cioe scritta" (p. 436).


305

12Citazione da: Giovanni Boccaccio, The D e c a m e r o n .

traduzione di John Payne, (New York: Horace Leveright,

1928), p. 3.

13 Siamo nel trionfo della fama quando Boccaccio

scrive: "Venian dopo costor gente gioconda/ ne' loro

aspetti, tutti cavalieri/ chiamati della Tavola ritonda/ II

re Artu quivi era de' p r i m i e r i ,/.../ Seguialo appresso Bordo

spronando/ e con lui Prezivalle e Galeotto/.../ E dietro ad

essi venia Lancillotto,/.../ allato a lui Ginevra

seguitava/.../ Non molto dietro ad esso con gran cura/

seguiva Galeotto, il cui valore/ piu ch'altro de' compagni

si figura" (XI, 5-30). In questa descrizione la con-

sequenzialita dell'immagine risulta incorretta: Galeotto

precede o segue la coppia di Lancillotto e Ginevra? Non e

chiaro. Sembra quasi che esistano due cavalieri nominati

Galeotto, e questa ipotesi trova riscontro nella versione

(B) del testo dell'Amorosa V i s i o n e . dove al primo Galeotto e

dato l'attributo di "saggio" mentre al secondo di " f i e r o " ;

tra l'altro e solo nel secondo caso che il personaggio e

descritto come valoroso al di sopra di tutti gli altri e che

quindi Boccaccio riprende la testuale definizione di "le

haut prince". Percio e possibile che il primo Galeotto si

riferisca al personaggio di Lancelot du L a c , che saviamente

agisce da mezzano tra i due amanti, ed invece il secondo,

sottolineante la prodezza cavalleresca, al principe Galeotto

della Morte d'Art h u r . In ogni caso il testo dell'Amorosa


306

Visione non fa esplicito riferimento al ruolo di inter-

mediario. A questo riguardo Vittore Branca sostiene che

tale omonimia, dovuta alia traduzione italiana, fa

riferimento a due personaggi diversi del Ciclo bretone.

Egli infatti scrive nel suo commento a l l 'Amorosa Visione in

nota al primo Galeotto: "Naturalmente «Galeotto» non e

Galehaut (che appare con Ginevra e Lancillotto al v. 29) ma

Galahad; se la sua forma italiana normale e Galasso, non

sono rare Galeas, Galead, Galeatto e come qui Galeotto."

(op. cit., 1974), p. 626.

14 cosi lo spirito inveisce contro la falsita della ex-

moglie: "Chi non la conoscesse, uden d o l a . .. di quelli di

casa sua favellare, crederebbe p e r certo lei essere... di

legnaggio r e a l e . .. E il non consentirle le favole e le bugie

s u e . .. niuna cosa sarebbe se non un volersi con lei azzuf-

fare; per la qual cosa ella di leggieri farebbe, si come

colei alia qual pare di gagliardezza avanzare Galeotto di

lontane isole o Febusso" (382). Anche qui la prodezza caval-

leresca e tutto cio a cui si accenna a riguardo di Galeotto.

15 Cosi chiosa Boccaccio il verso dantesco: "«Noi»,

cioe Polo e io, «leggiavamo un giorno per diletto Di Lan-

cialotto»: del quale molte belle e laudevoli cose racontano

i romanzi franceschi, cose, per quel ch'io creda, piu com-

poste a beneplacito che secondo la verita; e leggiavamo

«come amor lo strinse», per cio che ne' detti romanzi si

scrive Lancialotto essere stato ferventissimamente inamorato


307

della reina Ginevra, moglie del re A r t u . ... «Galeotto fu '1

libro e chi lo scrisse». Scrivesi ne' predetti romanzi che

un prencipe Galeotto, il quale dicono che fu di spezie di

gigante, si era grande e grosso, senti primo che alcuno

altro l'occulto amor di Lancialotto e della reina Ginevra;

il quale non essendo piu avanti proceduto che per soli

riguardi, ad istanzia di Lancialotto, il quale egli amava

maravigliosamente, tratta un di in una sala a ragionamento

seco la reina Ginevra, e a quello chiamato Lancialotto, ad

aprire questo amore con alcuno effetto fu il mezzano: e

quasi occupando con la persona il poter questi due essere

veduti da alcuno altro della sala che da lui, fece che essi

si baciarono insieme. E cosi vuol questa donna [Francesca]

dire che quello libro, il quale leggevano Polo ed ella,

quello officio adoperasse tra lor due che adopero Galeotto

tra Lancialotto e la reina Ginevra" (L., XXI).

16 II rapporto tra il principe Galeotto e la let-

teratura cavalleresca come indicazione o chiarificazione

sulla natura del Decameron e stato ampliamente sottolineato

dalla critica; tra gli altri Mario Marti scrive che

"L'evocazione del mondo degli antichi amori e cortesie pone,

fin dall'inizio, 1'opera su di un piano di elegante let-

teratura, atta a popolarsi di immagini di poesia", cito da

Vittore Branca (op. cit., 1984), n. 2, p. 3, Da vedere e

anche Daniela Branca, "La morte di Tristano e la morte di

Arcita", Studi sul Boccaccio. IV (1967), pp. 255-64.


308

17 Fiammetta stessa b conturbata dal proprio desiderio

di narrare le vicende piu intime e cosi si scusa con le let-

trici: "La mia penna meno onesta che vaga si apparecchia di

scrivere quegli ultimi termini d'amore, a' quali a niuno e

conceduto il potere, ne con desio ne con opera, andare piu

oltre... se il mio parlare vi par grave... , che esse [la

pieta e la forza amorosa] prontissime surgano alia mia

scusa. E tu, o onesta vergogna, tardi da me conosciuta,

perdonami" (p. 27), ma poi piu oltre impreca, per non poter

essere piu dettagliata ed incisiva: "0 santissima vergogna,

durissimo freno alle vaghe menti, perche non ti parti tu

pregandotene io? Perche ritieni tu la mia penna atta a

dimostrare gli avuti beni, accio che, mostrati interamente,

le seguite infelicita avessero forza maggiore di porre per

me pieta negli amorosi petti? Ohime! che tu mi offendi,

credendomi forse giovare; io desiderava di dire piu cose, ma

tu non mi lasci" (p. 28).

18 Da (op. cit., 1977), p. 105. Robert Hollander

arriva a tale conclusione dopo aver assimilato, secondo un

interpretazione "in malo" del verso dantesco, il nome di

Galeotto con quello di mezzano, nella sua valenza negativa.

Ha poi ricercato nelle opere del Boccaccio l'uso di tale

concetto, utilizzando soprattutto l'esempio di Pandaro nel

Filostrato ("Io son per te divenuto mezzano,/ per te gittato

ho 'n terra il mio onore,/ per te ho io corrotto il petto

sano/ di mia sorella...", Ill, 6), in cui e innegabile la


309

considerazione n e g a t i v a di tale ruolo, ma a cui vorrei

aggiungere le p a r o l e con cui t a l e azione b motivata, paro l e

che Holl a n d e r stesso scarta quando afferma che: "Now

w h a t e v e r we m a y p e r s o n a l ly choose to think about P a ndaro's

motives, nobility, friendship for Troiolo, etc., etc., one

th i n g is inescapable: He himself states t h a t his role is a

dishonor a b l e one." (p. 105). A l l ' i n i z i o della sua apostrofe

Pandaro afferma " - A m i c o car, ta n t o di te mi tenne/

quand'io uguanno ti vidi languire/ si forte per amor, c h e '1

c or sostenne/ p e r te gran parte in se del t u o m artire,/ che

p e r darti c o n forto riposato/ n o n ho giammai f i n c h 7io t e l'ho

trovato" (III, 5). Al di la d e l l a valenza p o s itiva o

n egativa del ruolo, rispetto a n c h e alia pro p r i a co n d i z i o n e

sociale, 1 'essere m e z z a n o ha lo scopo di off r i r e c o n f o r t o a

chi soffre p e r amore. Sul valore terapeutico del testo,

m a n t enen d o pero il concetto negativo di m e z z a n o scrive Olson

G1ending: "The Decameron's stories m a y be a Galeotto, a go-

between, as D ante's Francesca c a l l e d the b o o k and a u t h o r she

read; but u n l i k e her, the "brigata", and by implication any

w i s e reader, will find in its tales t h erapeutic rather than

carnal stimulation", in Literature as Re c r e a t i o n in the

La t e r Middle A g e s (Cornell Un i v e r s i t y Press: 1982), p. 206.

Sempre s o ttolineando 1 'opposizione tra il c o m p o r t a m e n t o di

Francesca e q u ello della brigata Lucia Battaglia Ricci

scrive: "La brigata, insomma, n o n ripete le indicazioni com-

portamentali che le novelle del libro che p u r si d e n o m i n a


310

"prencipe Galeotto" propongono: le varie Pampinee, Fiam-

mette, Elisse, e c c . , non cadono nel tragico errore in cui e

caduta la lettrice di provincia Francesca, colpevole di aver

scambiato letteratura e vita", in Raaionare nel giardinq:

Boccaccio e i cicli pittorici del "Trionfo della morte"

(Roma: Salerno editrice, 1987), p. 181. Una curiosa inter­

pretazione, anche se estrema, ci offre Aldo Rossi, il quale,

accettata la suggestione del verso dantesco, con fantasia

voyeuristica scrive: "Ma e anche vero che non e descritto

quello che a w i e n e nelle camere quando i giovani

partecipanti sono mandati a dormire dal reggitore delle

varie giornate.... Con le buone o con le cattive, questo

Prencipe Galeotto sembra spesso disposto ad interporsi con

la sua mole ad incoraggiare gli appetiti naturali, a

spingerli a buon fine, tanto non sara rivelato a nessuno",

Pratiche testuali e interpretative (Bologna: Cappelli

editore, 1982), p. 11.

19 Inserisco qui l'intera citazione che risulta

chiarificante: "Dante's Gallehault is the book in its func­

tion as intermediary of love between Paolo and Francesca,

the dramatic equivalent of Pandarus in Chaucer's Troilus and

Criseyde. Aware of literature as an erotic snare - a com­

monplace of medieval romances - Boccaccio seems intent of

assigning to this text the role of erotic mediator, and thus

unmasking the threats and seductions of his own artifact",

The World at Plav in Boccaccio's 'Decameron' (Princeton:


311

Princeton University Press, 1986), p. 56-57. Robert Hol­

lander, (op. cit., 1977), p. 106, cita questo passo di Maz-

zotta, interpretando moralisticamente, come era gia a w e n u t o

per il verso di Dante, un'affermazione (quella di Mazzotta)

di carattere estetico.

20 Gia Michele Barbi, in La Nuova Filoloaia e

l'edizione dei nostri scrittori da Dante a Manzoni (Firenze:

Sansoni, 1938), aveva sottolineato tale funzione di conforto

rapportandola pero solo alia similitudine tra Galeotto e

l'autore del D e c a m e r o n . Scrive infatti il Barbi: "Come

questo nobile principe [Galeotto], per l'amore straordinario

che portava a Lancillotto (l'amava "maravigliosamente" dice

il Boccaccio stesso nel commento a Dant e ) , s'era adoprato,

secondo doveva, a compiacerlo in cio che gli faceva bisogno;

cosi l'autore del Decameron, per quel suo grande amore alle

donne del quale si confessa e compiace in principio della

quarta giornata, vuol prestare ad esse quel conforto e

quell'aiuto che p e r lui si puo a sollevarle e distrarle

nelle loro pene amorose e a consigliarle nei dubbi e nei

frangenti che possono loro occorrere" (p. 72). In decisa

posizione anti-dantesca e con il semplice ruolo di com-

piacente e Galeotto definito da Maria Segre Consigli che,

forse troppo concisamente, afferma: "Il Boccaccio non vuole

alludere a Galeotto come il paraninfo per antonomasia (cfr.

Dante, Inferno. V, 137: - Galeotto fu il libro e chi lo

scrisse -), bensi solo come a un simbolo del suo desiderio


312

di compiacere, c o n la sua raccolta delle novelle, alle let-

trici, a cui essa e particolarmente dedicata", in Giovanni

Boccaccio, D e c a m e r o n . a cura di Cesare Segre e commento di

Maria Se g r e Consigli, (Milano: Mursia, 1966), p. 24. Dal

proprio ca n t o G i o v a n n i Getto, in Vita di forme e forme di

vita nel 'D e c a m e r o n ' . (Torino: Petrini, 1966), enfatizza lo

stretto legame t r a il pubblico dell'opera ed il suo cognome

(anche se seguendo l'opinione generale della critica, lo

definisce come sottotitolo e quindi precisazione) quando

scrive che sarebbe "bastato quel sottotitolo, «Prencipe

Galeotto», di una scottante sensibilita profana: il quale

sembra v o l u t a m e n t e correggere e precisare il titolo,

«Decameron», saturo ancora di riminiscenze patristiche" (p.

5) per c o mprendere "l'atmosfera in cui ruota b e a t o

l'universo fantastico decameroniano" (p. 6) e p e r sot-

tolineare come, g i a nel Proemio, quello di B o c c a c c i o sia un

interesse esclusivo "per una vita tutta terrestre, spoglia

di ansie ultramondane" (p. 6) in contrapposizione alia

ve r t i g i n o s a trascendenza della Commedia di D a n t e ed alia

limpida i n trospezione del Canzoniere di Petrarca.

21 U s o piu v o l t e tale t ermine neutro "autore" con

valore sinonimico rispetto al nome "Boccaccio" p e r evitare

ripetizioni. S ono comunque conscio della d i s t a n z a narrativa

esistente tra Boccaccio stesso, come compositore del

D e c a m e r o n . e 1' io-narrante di quella cornice p i u esterna

dell'ope r a che comp r e n d e il Proemio, 1 'Introduzione alia


313

quarta giornata e la Conclusione dell'autore. A questo

riguardo Claude Perrus scrive: "A ce public metaphorique

correspond en effect une primiere image de 1 'auteur. Le

«Je» qui parle dans le «proeme», primier actant du recit,

celui qui s'adresse aux femmes amoureuses, n'est pas, bien

entendu, Giovanni Boccaccio, mais un avatar particulier de

ce dernier, fortement mythifie" (op. cit., 1970), p. 295.

22 L'essere divenuto conscio della propria esperienza

amorosa permette all'autore di scrivere 1'opera e di

offrirla al suo pubblico; cosi scrive anche Claude Perrus:

"Le livre est le resultat d'une experience et d'une medita­

tion sur cette experience, 1'experience est un terme inter-

mediaire et indispensable, elle dialectise le rapport avec

le public" (op. cit., 1970), p. 295.

23 Cosi scrive il Boccaccio: "E per cio che la

gratitudine, secondo che io credo, tra l'altre virtu e som-

mamente da commendare e il contrario da biasimare, per non

parere ingrato ho meco stesso proposto di volere, in quel

poco che per me si pud, in cambio di cio che io ricevetti,

ora che libero dir mi p o s s o , ... alcuno alleggiamento

p res t a r e 11 (Pr. 7) . Tale idea contrasta con il concetto di

compassione presentato da Fiammetta nell'Elegia ("Suole a'

miseri crescere di dolersi vaghezza, quando di se discernono

o sentono in alcuno compassione", p. 1), in quanto ricevuto

invece che offerto e quindi implicante una non-soluzione

della condizione di sofferenza. Differisce inoltre dai con­


314

cetti di gratitudine e pieta, come presentati dal C o r b a c c i o .

in quanto la prima 6 rivolta a Dio, e quindi priva di ogni

effetto sociale, mentre la seconda, manifestantesi

attraverso l'utilita che l /opera dovrebbe fornire ai let­

tori, manca il segno.

24 Della dimensione umana, sociale del Decameron si e

parlato sin dalla definizione desanctisiana d e l l 'opera come

"commedia umana" in contrapposizione alia dantesca "commedia

d i v i n a " , e su questo filone critico si sono inseriti tutti

coloro che hanno enfatizzato l /aspetto realistico, sociale o

immanente d e l l 'opera. In particolare Bruno Maier,

n e l l 'introduzione a B occaccio: opere (Bologna: Zanichelli,

1967), sottolinea tale aspetto in rapporto alle opere

precedenti e scrive: "Attraverso lo studio delle opere

anteriori al Decameron abbiamo notato il graduale attenuarsi

e venir meno degli impulsi autobiografici (o crip-

toautobiografici) e il conseguimento di una sempre piu

lucida e distaccata rappresentazione della realta: un pas-

saggio, insomma, dal soggettivo all'oggettivo, da una

visione del mondo contratta in taluni simboli piu o meno

lirici e letterari, a una concezione della realta sicura,

spregiudicata, disponibile, libera da schemi e da modelli

prefabbricati. Analogamente, sul piano formale si e

assistito alia progressiva attenuazione o compressione

dell'ingombrante bagaglio retorico-erudito, che viene, se

non proprio e l i m inato,... certo relegato ai margini della


315

narrazione e ridimensionato entro l'ambito di questa" (p.

39). Pienamente d'accordo con le affermazioni del Maier

intendo mettere in evidenza come l'autore stesso attui

questo passaggio non tanto come scelta letteraria astratta

ma sulla base di u n /esperienza vissuta in prima persona di

cui lui stesso ci narra; cio gli permette di rendere

l'implicito messaggio piu pratico (operativo) e meno teorico

(letterario), e quindi certamente piu vicino a quel pubblico

di lettori per i quali Vittore Branca ha definito il

Decameron come "l'epopea dei mercatanti" (op. cit., 1956).

Sempre a questo riguardo Marga Cottino Jones scrive: "The

Narrator's first concern in the «Proemio» is to explain his

reasons for writing and to suggest the urgent need for com­

munication. His desire for verbal give-and-take after an

unhappy love affair has been fullfilled in the past by the

«piacevoli ragionamenti» of his friends. Now, in turn, he

feels an obligation to satisfy the need of others in love,

expecially women." (op. cit., 1982), p. 4. Nonostante la

giustezza di queste affermazioni, ritengo essenziale, per

comprendere i motivi di questo urgente bisogno di

comunicazione, analizzare piu dettagliatamente le

motivazioni e le dinamiche dell'autore nel Proemio.

25 Questo tema della donna costretta all'ozio, mentre

all'uomo e permessa l'azione, e di tradizione classica:

Ovidio, Heroides (XIX, 5 seg.), nella risposta di Ero a

Leandro. L'associazione di amore ed ozio e riproposta


316

sempre in luce negativa nel Reinedia A m o r i s . q u a n d o Ovidio

scrive: "Ergo ubi visus eris nostrae m e d i c a b i l i s arti,/ Fac

m o n itis fugias otia prima meis" (w. 135-6). Se vogliamo

quindi liberarci dell'amore d o b b i a m o agire, o c c upare il

nostro tempo con attivita che d i s t r a g g a n o la nostra atten-

zione dai pensieri d'amore, questi s ono i t e rapeutici con-

sigli della sua arte. E di arte, in quanto tecnica, appli-

cazione p ratica di regole prestabilite, Ovidio tratta in

questa sua opera, e nell'altra, compagna e c o m p l e m e n t a r e ,

non a caso intitolata Ars A m a t o r i a . Sia che l'amore debba

essere conquistato, conservato o r igettato ecco che il sul-

m o n t i n o ce ne offre, sotto forma di consigli, le regole

operative, cosi come il Boccaccio of f r e utili consigli alle

donne che costrette all'ozio come Ero, hanno b i s o g n o di

alleviare la loro sofferenza amorosa cosi come ne hanno

b i s ogno coloro a cui e indirizzato il Remedia A m o r i s . Non

quindi un attacco anti-venereo come r i c a ntazione morale di

una prec e d e n t e esaltazione di Venere, ma un m a n u a l e pratico

da po t e r applicare conformemente alia specifics condizione

di colui che ne fara uso. Int e r e s s a n t e il p a r a l l e l o inter-

testuale tra i versi del R e m e d i a : "Ecce, cibos etiam, medi-

cinae fungar ut omni/ Munere, quos fugias qu o s q u e sequare,

dabo" (w. 795-96) ed il corri s p o n d e n t e c o n cetto nel Proemio

(che v e d r e m o piu oltre) di cio che sia da s eguire o da

evitare, soprattutto in riferimento al cibo c o m e elemento

terapeut i c o che vedremo essere usato, non solo da alcuni


317

cittadini di Firenze per fuggire la peste, ma anche dai mem-

bri della brigata nel loro s o g g i o m o campestre. Per quanto

riguarda l'analisi del concetto di amore come malattia vedi

Massimo Ciavolella (op. cit., 1976), in particolare per il

riferimento a queste opere di Ovidio, pp. 106-7; per la

trattazione di tale argomento nel Decameron vedi, sempre di

Ciavolella, "La tradizione dell'«£gritudo Amoris» nel

Decameron", G . S . L . I . , 147 (1970), pp. 496-517; sulle terapie

usate invece nei confronti della peste vedi Glending Olson,

"From Plague to Pleasure" (op. cit., 1982), pp. 164-204.

26 Walter R. Davis accenna a tale argomento inter-

pretandolo mitograficamente: "To pass time by filling the

hours with stories is to put the passing of time under human

control. And to control time is emblematic of controlling

death" (op. cit., 1981), p. 18. Alla luce di tale presup-

posto Antonio Gagliardi ha interpretato l'intero Decameron

in I/esperienza del tempo nel 'Decameron7 (Torino: Tirrenia-

Stampatori, 1984). A questo riguardo ritengo, nonostante la

suadente attrazione dell'opposizione parola-morte di cui,

per altro non nego la verita, che una distinzione debba

essere fatta tra la noia, in quanto dolore e sofferenza, e

la morte termine della sofferenza. Nell'intero Decameron la

rappresentazione della morte non ha delle implicazioni

apocalittiche o trascendenti, non e la porta dell'aldila

(sia questo cristiano o n o ) . Come lo stesso Panfilo

afferma, nelle conclusioni alia novella di ser Ciappelletto


318

(I, 1), agli esseri umani rimane occulto ogni evento

ultraterreno, ad essi 6 dato di giudicare solo secondo

l'apparenza, mentre, nell'introduzione della stessa, egli

aveva sentenziato: "Manifesta cosa e che, si come le cose

temporali tutte sono trasitorie e mortali, cosi in se e

fuori di se esser piene di noia, d'angoscia e di fatica e a

infiniti pericoli sogiacere" (I, 1, 3). Noia e sofferenza

sono quindi insite nella condizione umana, in quanto

temporale, trasitoria e mortale, e di alleviare tale sof­

ferenza e il compito della parola non di sconfiggere la

morte, la quale e compresa solo nei termini in cui riguarda

la vita. Della morte di ser Ciappelletto interessa

l'effetto che la sua dubbia santita ha sulla folia dei

fedeli borgognoni; per gli infelici amanti della quarta

giornata la morte e vista come ricongiunzione sepolcrale e

rituale sanzione, da parte della comunita, del loro rap-

porto; Tingoccio defunto appare in sogno all'amico Meuccio,

non per indicargli la via della salvezza eterna ma piuttosto

quella di come giacere con le comari (VII, 10); mentre

l'unico Purgatorio possibile, in termini umani, sara quello,

tutto terrestre, di Ferondo (III, 8). Lo stesso evento

della peste, che analizzeremo piu dettagliatamente in

seguito, ha valore solo in quanto sconvolge le strutture del

consorzio umano.

27 A questo riguardo Vittore Branca scrive in nota:

"Questa serie di sostantivi sta ad indicare che la materia


319

sara mista, e i racconti di varia specie: «novelle»

sono genericamente narrazioni di ogni argomento; «favole»

rammenta l'uso francese di * fabliaux'; «parabole» accenna a

esempi e probabilmente alia volonta didascalico-allegorica

che non di rado e presente nei prologhi e negli epiloghi

delle singole novelle, e qualche volta in racconti moraliz-

zanti per via di paragoni (per es. I, 3, 7, 10 e c c . ) ;

«storie» indica infine specialmente le narrazioni a sfondo

storico, di personaggi illustri" (op. c i t . , 1984), n. 1, p.

9. Una dettagliata analisi di questi diversi tipi di nar-

rativa la troviamo in Pamela D. Stewart, "Boccaccio e la

tradizione retorica: la definizione della novella come

genere letterario", in Retorica e mimica nel 'Deca m e r o n ' e

nella commedia del cinquecento (Firenze: Olschki editore,

1986), pp. 7-18. Vorrei fare a questo riguardo un breve

appunto ponendo l'attenzione non alia serie dei sostantivi,

ma alle parole che immediatamente seguono ("che dire le

v o g l iam o " ) ; esse mi sembrano sottolineare non tanto la dif-

ferenza tra i vari tipi di racconti quanto la loro

somiglianza ed interscambiabilita retorica, come sintat-

ticamente affermato dall'uso disgiuntivo della lettera " o " .

Accennando brevemente a questo argomento, mentre sostiene

l'esistenza nelle Genealoaie di una pratica della let-

teratura estranea all'opera del Boccaccio prima maniera

Francesco Bruni scrive: "Credo che i quattro termini siano

allineati con sprezzatura voluta in una ambigua sequenza


320

sinonimica", in B occaccio: 1 ' invenzione della letteratura

mezzana (Bologna: Societa editrice il Mulino, 1990), p. 47.

28 La concezione che diletto ed utilita fossero gli

scopi della poesia risale ad Orazio che nel De Arte poetica

scrive: "Aut prodesse volunt aut delectare poetae/ aut simul

et iucunda et idonea dicere vitae./" (w. 333-34) , in

H o race : S a t i r e s . Epistles and Ars P o e t i c a . con traduzione

inglese a fianco di H. Rushton Fairclough, Loeb Classical

Library (Cambridge, Ma.: Harvard University Press, 1978).

Lo stesso concetto e ripreso da Boccaccio nella Genealoaia

quando scrive: "Tanti quidem sunt fabule, ut earum primo

contextu oblectentur indocti, et circa abscondita doctorum

exerceantur ingenia et sic una et eadem lectione proficiunt

et delectant" (XIV, cap. I X ) . A questo riguardo, collegando

l'esperienza letteraria con la pratica dell'individuo, Carlo

Muscetta, in una efficace sintesi, scrive: "Questo non e

didascalismo convenzionale, ma si arricchisce di piu libere

idealita, fondate sulla lezione della vita e autorizzate dai

classici" (op. cit., 1972), p. 158.

29 II ringraziamento ad Amore nella conclusione tende a

riportare la retorica del Proemio all'interno di schemi

cortesi ed a ridurre l'enfasi di coloro che, n e l l 'iniziale

ringraziamento a Dio, hanno visto piu che un topos let-

terario u n atteggiamento moralistico del Boccaccio.

30 c f r . , Joy Hambuechen Potter (op. cit., 1975), p.

328.
321

31 Tale concetto, ampliamente reiterato, come vedremo

in seguito, nella Conclusione, appare programmaticamente

anche nella cornice della brigata quando Fiammetta

nell'introdurre la sua novella su Calandrino afferma: "la

quale [la novella], se io dalla verita del fatto mi fossi

scostare voluta o volessi, avrei b e n saputo e saprei sotto

altri nomi comporla e raccontarla; ma per cio che il

partirsi dalla verita delle cose state nel novellare e gran

diminuire di diletto negl'intendenti, in propria forma,

dalla ragion di sopra detta aiutata, la vi dird" (IX, 5, 5).

Interessante per il mio argomento l'uso qui del termine

"intendenti" che fa specifico riferimento a coloro che sono

in grado di comprendere la novella e quindi la sua fedelta

n arr a t i v a .

32 Lo stesso espediente era gia stato usato da Boccac­

cio nel F i l o c o l o . quando scrive che il reverendo Ilario,

colui che aveva convertito e poi coronato Florio, "prima in

quella [la citta di Roma] non giunse, che con ordinato

stile, si come colui che era bene informato, in greca lingua

scrisse i casi del giovane re [Florio]" (V, 96, 3).

33 Per quanto riguarda l'interpretazione

dell'espressione "senza titolo" vedi l'esaustiva nota di

Vittore Branca (op. cit., 1984), n. 1, p. 460.

34 Rispetto a questo generale atteggiamento di umilta

poetica, Petrarca in una delle sue Senili (V, 1) indirizzata

al Boccaccio, venuto a sapere che l'amico sembra aver get-


322

tato alle fianraie tutti i suoi versi volgari, con sottile

intuito scrive: "Pazzo cotest'odio, irragionevole cotesto

incendio:... Quello pero che io non saprei con certezza

definire si e se cio proceda da umilta d 'animo c h e se stesso

dispregi, o da superbia d'uomo che v o glia essere agli altri

superiore... Io temo amico che cotesta tua singolare umilta,

sia umilta s u p e r b a . .. che tu non ti a cconci al secondo od al

terzo posto, scusami, e' mi p a r e nascere in te da vera

s u p e r b i a . .. - poi continua sottolineando la positivita di

non essere primi - Se solo i primi fossero illustri, vedi

ben e quanti rimarrebbero n e l l ' o s c u r i t a . .. Se hai chi ti vada

innanzi, avrai pure chi in se riceva i p r i m i colpi

dell'i n v i d i a [qui Petrarca a v r e b b e dovuto ricordare

1 7introduzione alia quarta giornata, a m e n o che Boccaccio

non fosse veramente il p r i m o ] . . . egli e facile ad a w e n i r e

che chi del secondo posto fu pago, presto si faccia degno di

ascendere al primo... Tanto all'amante quanto a l i o studioso,

l'invidia serve da stimolo [molto interessante questo

a c c ostam e n t e proprio in rapporto a certe critiche mosse a

Boccaccio p e r il D e c a m e r o n ) . .. E tanto basta, mi pare, che

t u non debba avere a vile un secondo posto" (pp. 272-75),

cito dal l a traduzione di Francesco Fracassetti di Francesco

Petrarca, Lettere senili, (Firenze: Le Monnier, 1892). I

commenti sono miei.

35 Per quanto riguarda un'analisi d e t t a g l i a t a delle

fonti di questa novella e da v e d e r e la nota, a riguardo, di


323

Vittore Branca (op. cit., 1984), n. 5, p. 462; ed inoltre

Francesco Bruni (op. cit., 1990), p. 321-2; ulteriori

accenni sono presenti in A. D'Andrea, "Esemplarita, ironia,

retorica, nella novella interrotta del Decameron", Forma­

t i o n . codification et rayonnement d'un genre m e d i e v a l : la

nouvelle (Montreal: Plato Academy Press, 1983), pp. 127-8; e

in Federico Sanguineti, "La novelletta delle papere nel

Decameron" . B e l f a a o r . XXXVII (1982), pp. 135-146.

36 La condizione della vedovanza associata

all'abbandono dell'azione e della partecipazione al con-

sorzio umano sembra essere nel Decameron una scelta piu con-

sona agli uomini che alle donne. Vediamo qui il caso di

Filippo Balducci, ma gia precedentemente il conte d'Aguersa

(II, 8) era socialmente scomparso nel tentativo di proteg-

gere, come Filippo, la sorte dei figli. Tra le donne che

rimangono vedove, solo l'Andriuola decide, per fedelta

all'amato marito, di non stare piu al mondo e di farsi

monaca (IV, 6), e (cfr., cap. 4).

37 Certamente la sua condizione sociale borghese non lo

rende adatto protagonista di un atto tragico. Per il rap-

porto tra la novelletta e gli altri racconti della quarta

giornata vedi Roberto Fedi, "Il «regno» di Filostrato.

Natura e struttura della Giornata IV del Decameron" . M.L.N,

102 (January 1987), pp. 39-54; per quanto riguarda invece lo

specifico rapporto con la novella di Ghismonda, vedi

Giuseppe Mazzotta (op. cit., 1986), pp. 131-58. Prendo


324

1 7opportunity di ringraziare qui la mia collega Maria

Gabriella Patti D'Aquino per alcuni preziosi suggerixnenti

sulla novella delle papere ed il suo rapporto con le nar­

razioni della quarta giornata.

38 E per scoprire come "a Dio si potesse servire" (III,

10, 5) Alibech si reca nel deserto della «Tebaida» alia

ricerca di coloro che "meglio a Dio servivano che piu dalle

cose del mondo fuggivano" (III, 10, 5). La novella di

Dioneo, 1 'ultima narrata prima dell'apologo delle papere,

presenta un evidente parallelismo con la vicenda di Filippo

Balducci. Introdotta come esempio dell'onnipresenza

dell'amore, si presenta capovolta, nel suo sviluppo nar-

rativo, rispetto alia novelletta: Alibech, cosa del mondo,

va alia ricerca del romito, mentre il Balducci, a n c h 7 egli

romito nel mondo, che cerca di fuggire, ci porta il figlio.

Tolta questa opposizione narratologica, i due racconti si

snodano in vicende con lo stesso significato. Alibech,

ignara come il giovane Balducci del rapporto referenziale

della parola, crede fideisticamente alia nomenclatura che le

offre Rustico, il quale viene sconfitto, come Filippo, dalla

propria frode. L'appetito naturale ridimensiona

1 'assolutismo della parola: l'esperienza pratica cancella il

segno teorico. II senso di colpa generate d a l l 7inconscia

consapevolezza d e l l 7impossibility di essere alio stesso

tempo viv i e fuori dal mondo (l'arido deserto o la deserta

montagna ne divengono le rappresentazioni liminali) conduce


325

i due romiti, che del mondo s o n o consci, alia frode del

segno; loro che essendo, come i c ensorl del Decameron, con-

sapevoli della forza dell'amore, la negano. La novella di

Dioneo straripa poi i suoi a r gini ed invade la cornice con

interessanti implicazioni in r a p p o r t o alia conclusione della

te r z a giornata ed all'inizio de l l a quarta, di cui mi occupo

piu avanti nel capitolo (cfr., n. 92). Un'altro

riferimento, questa volta c o n s e g u e n t e al dedicarsi al ser-

v i z i o di Dio lo t r o v i a m o nella novella, da me gia menzionata

(cfr., n. 36), dell'Andreuola (IV, 6) la cui azione non avra

p e r o alcune conseg u e n z e in q u a n t o po s t a come sigillo alia

tragica vicenda.

39 Certamente e probabile che, c o m e scrive in nota V i t ­

t o r e Branca (op. cit., 1984), p. 463, n. 9, tale nome sia

u n a storpiatura di M o n t e Senario, ove erano un t e m p o alcune

gr o t t e di eremiti; m a ormai a b i t u a t i ai doppi sensi del B o c ­

ca c c i o ritengo che questo nome "Asinaio" faccia riferimento

all'errore commesso da Filippo Balducci nello scegliere la

v i a d e l 1 7e r e m o .

40 Su questo argomento scri v e A n t o n i o Gagliardi (op.

cit., 1984); "Balducci padre c r e d e n ell'autonomia della

p a r o l a al di fuori della natura e dell'esperienza. La

Parola e verita ed il mondo s o l t a n t o accidente transitorio.

L'uomo e piu affine alia Parola e in essa puo ritrovarsi

allontanandosi d a l l a m a teriality e dal male che in essa e

posta: la seduzione della carne" (p. 83), e come giudizio


326

sul valore della novella che risulta: "il trionfo della vita

contro tutti gli eccessi del terrorismo religioso.

1/ identita di mondo e coscienza e trascendenza che Filippo

Balducci prefigura nella parola si sfalda nell'irruzione del

corpo nello spazio della verita" (p. 82).

41 II fatto che il padre sia stato, per il figlio,

l'unica fonte di conoscenza sia teorica che pratica, fa si

che la sua autorita nei confronti del giovane sia assoluta;

egli e stato fino a questo momento l'unico tramite con il

mondo al di la del perimetro della celletta. Autorita della

parola ed autorita paterna vengono quindi ad identificarsi

ma solo ancora per poche battute. A questo riguardo

Giovanni Sinicropi scrive che: "La mutazione non turba il

giovane, per il quale non c'e modo di controllare

1 #impossibility dello scarto, in quanto il suo sistema e

ancora imperfetto e manchevole sia all'una che all'altra

estremita dell'asse semasiologico. Se il giovane avesse

«visto» e gia nominato l'oggetto «papera», la necessity

dell'opposizione, e dunque la legge della commutazione, gli

avrebbe offerto la possibility di scoprire l'inganno", in

"II segno linguistico del Decameron" . Studi sul Boccaccio.

IX (1975-6), p. 171.

42 II giovane Balducci, contrariamente a madonna

Lisetta da ca' Quirino che crede di far l'amore con

"l'agnolo Gabriello" nelle spoglie di frate Alberto (IV, 2),

e conscio del fatto che gli angeli, piu volte mostratigli


327

dal padre, sono dipinti. Egli b quin d i in g r a d o di

cogliere la discr e p a n z a tra a pparenza e realta e di utiliz-

zarla a favore del proprio argomento. P e r quanto r i g uarda il

rapporto tra la bellezza femminile e quella angelica vedi

Eugenio L. Giusti (op. cit., 1989), pp. 322-3 e n. 7; e

Pamela D. Stewart, "Lessico e casistica della b e l l e z z a fem-

minile nel D e c a m e r o n 11 (op. cit., 1986), pp. 55-81.

43 Per quanto concerne le poss i b i l i interpretazioni

sull'incompletezza di tale novella ved i A. D'Andrea (op.

cit., 1983), pp. 123-30; ed inoltre F e d erico Sanguineti (op.

cit., 1982), p. 144. Sempre a questo r i g uardo scrive in

not a Vittore Branca: "Veramente nulla sembra man c a r e alia

seguente novella, nonostante le r i p etute d i c h i a r a z i o n i del

B. (... parte d'una... il suo difetto... avere infino a qui

detto...): egli finge forse di c o n s i d e r a r l a monca e non

rifinita p e r modestia, per non porre questa, che sarebbe

l'unica novella da lui raccontata, acc a n t o e alia p a r i di

quelle della «laudevole compagnia»" (op. cit., 1984), n. 3,

p. 462. Da sottolineare e anche come il tema della forza

incoercibile della natura sia p o s t o ad apertura d e l l a quarta

gionata, i cui racconti sono tutti d e d icati all'amore, dato

c he in essa "sotto il reggimento di Filostrato, si ragiona

di coloro i cui amori ebbero infelice fine" (IV, Rub.).

44 In r i ferimento al mess a g g i o inerente alia n o v e l ­

letta, A l d o Scaglione scrive: "The t r aditional moral purpose

o f the women-devils motif has b e e n c o m p l e t e l y overturned:


328

instead of a warning to avoid t h e all but irresistible tem-

t a t ions of «Pandora» - since t h e o nly w a y to p r e v e n t the

w o r l d from ensnaring us is asceticism, complete withdrawal

from the w o r l d - the anecdote is treated as a demostration

of the ineradicability of m a n ' s a t t r action to woman,

«therefore» of the goodness of t h e sexual instinct as part

of natur e ' s plans, and the u n a v o i d a b l e d e feat of all

attempts to stifle nature by escape" (op. cit., 1963), p.

104.

45 Nel riferirsi a l l'invidia dei critici G i u s e p p e Maz-

zotta scrive: "«Invidia» is a lso the term u sed in the Intro­

d u c t i o n to designate the censors' envy as well as their

b l indnes s according to a c urrent etymology of the w o r d from

«non video». These discrete hi n t s of b lindness reverse the

domi n a n t metaphoric pattern of the novella in w h i c h love,

far from be i n g «caecus» opens the lover's eyes," (op. cit.,

1986), p. 158. Rimanendo a l l ' i n t e r n o del m i o a r gomento e

r iferend o m i alia metafora degli "occhi de l l a m e n t e " , che

Boccacci o ampliamente usa nelle sue opere e che appa r e nella

stessa n ovella di Ghismonda t r a t t a t a qui da M a z z o t t a in

p ara l l e l o a quella delle papere, vorrei s o t t o l i n e a r e come

tale cecita faccia anche r i ferimento a l l 'incapacity dei

censori di capire cio che amore fa invece c o m p r e n d e r e al

g i o vane Balducci.

46 La ripetizione dello s t e s s o concetto con un diverso

punto di vi s t a sottolinea la p lurality di formulazione e di


329

risultati. Nel primo caso tale giudizio e stato formulate

dall'autore che parla sulla base di una passata esperienza

personale. Nel secondo caso lo stesso concetto e espresso

da coloro che giudicano aprioristicamente, in quanto non

amano e non desiderano essere amati.

47 II tema delle trasformazioni prodotte nella psiche

dell'individuo d a l l 'innamoramento trova le sue fonti nel

mito di Polifemo e Galatea descritto da Ovidio nelle

Metamorfosi (XIII, 738-897), e viene poi esemplarmente nar-

rato nella novella di Cimone (V, 1). La rivoluzionarieta

della fortuna della rappresentazione boccacciana di tale

evento epifanico nelle arti figurative e magistralmente

dimostrata da Vittore Branca nell'articolo "Inter-

espressivita narrativo-figurativa: Efigenia, Venere e il

tema della 'nuda' fra Boccaccio e Botticelli e la pittura

veneziana del R i n ascimento", in "Il se rendit en I t a l i e " .

Etudes offerts a Andre Chastel (Paris: Flammarion, 1987),

pp. 57-68.

48 Per la trattazione di questo argomento in rapporto

alia novella di maestro Alberto (I, 10), alia novella dello

scolare e della vedova (VIII, 7) ed al Corbaccio cfr., cap.

4, p. 178 e n . 23. Inoltre e da aggiungere la con-

trapposizione tra il giovinetto senza sentimento (come tutti

i giovinetti?) ed i vecchi anzi vecchissimi, ma grandi,

poeti, che sembra anche qui dare priorita all'amore delle

persone mature.
330

49 C ome sottolineato da V ittore Branca in nota (op.

cit., 1984), n. 3, p. 468, ritroviamo questo t e m a nel Cor-

b accio q u a n d o lo spirito, ne l l a sua a rringa c o n t r o il sesso

femminile, di fronte all'affermazione che tutte le buone

cose son femmine incluse le Muse, ribatte: "Egli e cosi vero

che son t u t t e femmine, ma non pisciano" (259). Lo spirito

u s a quindi la stessa equazione p r e sente nel D e c a m e r o n : le

donne son o reali, le Muse no; ma in q u esto c aso lui

favorisce, in quanto anima, il "signum" r i s p e t t o alia "res".

50 G i o vanni Sinicropi, m e t tendo in r e l a z i o n e questa

critica c o n la novelletta delle papere scrive: "L'appello al

referente, inserito qui con ammiccante perfidia, nella con-

s a p e v ole z z a che esso non potra mai e s sere opp o s t o alia nar-

razione, p o n e un problema p i u vasto ed inquie t a n t e di quanto

n o n fosse quello contenuto nell'apologo. M e n t r e li il

problema era ristretto entro le dimensioni formali del les-

sema, qui vi e n e a coinvolgere nella sua t o t ality la funzione

r efere n z i a l e fra racconto e scrittura da una parte, e fatto

e realta dall'altra. Non solo: ma allor c h e si considera che

questi d u e luoghi ed atteggiamenti c o e s istano d e n t r o la

stessa pagina, si ha la sensazione di a s s i s t e r e ad un com-

p l e t o capovolgimento della situazione: dalla negazione, non

solo della legittimita, ma d e l l a stessa p o s s i b i l i t y della

c o n t r a ffa z i o n e del referente, si passa alia cosc i e n z a

esplicita della contraffazione" (op. c i t . , 1975-6), pp. 174-

5.
331

51 Quasi morto assiderato rimane Rinieri (VIII, 7),

anch'egli uno scolare, come certamente lo sono alcuni dei

critici, anche lui avendo scelto un amore sbagliato.

52 Per quanto riguarda l'individuazione di due livelli

narrativi corrispondenti a due diversi pubblici vedi Joy

Hambuechen Potter ed il suo schema delle cornici (op. cit.,

1982), p. 121; alia stessa distinzione fa riferimento anche

Marga Cottino Jones che scrive: "Despite the Narrator's con­

tention that his «novelle» are addressed specifically to

women in love, they have a broader influence than that

directed to the «amorose donne». One reading public o u t ­

lined in the Fourth Day's Introduction is, indeed, composed

of the many groups of readers whom the Narrator addresses in

defending himself from their criticism" (op. cit., 1982), p.

6. Nel delimitare la natura del pubblico nel Decameron

anche in rapporto ad altre opere Claude Perrus scrive: "Dans

le «proeme», Boccace s'adresse aux femmes amoureuses. Son

lecteur n'est pas «neutre», ni abstrait (comme seraient «les

amoureux» en g e n e r a l ) . La preuve «a contrario» de ce choix

c'est, lors de la reponse a ses detracteurs (Introduction a

la quatrieme j o u rnee), la reconaissance par Boccace de

1 'existence d'un «contre-public». Dans le Filocolo il dit

«j'ecris pour les amoureux, des autres je n'ai cure», dans

le Decameron il accorde une place a ces «autres»" (op. c i t . ,

1970), p. 295. Possiamo comunque sottolineare come anche

nel Decameron il Boccaccio piu volte affermi di non


332

interessarsi di coloro che non amano (Pr. 13; e Con., 15).

53 Facendo ancora una volta riferimento ai vari livelli

narrativi come individuati da Joy Hambuechen Potter (op.

cit., 1982), troviamo qui nel brano una triplice

stratificazione del personaggio donna. Nel livello piu

esterno, le donne come pubblico critico dell'opera; nel

livello intermedio, le donne come interlocutrici del Boccac­

cio; ed infine nel livello piu interno le donne come

protagoniste dell'opera nel ruolo di narratrici ed

ascoltatrici. Un accenno, che ci puo far pensare ad una

critica femminista "ante litteram" contro lo scrittore, ma

che, data 1'ipoteticita delle accuse, sembra piuttosto

essere auto-inflitta, lo troviamo nella critica, che gli

viene mossa, di aver manipolato le donne protagoniste

"facendo" loro dire ed ascoltare cose poco oneste.

54 vittore Branca scrive, riportandone alcuni esempi,

che tali affermazioni sono tradizionali nelle poetiche

medievali (op. cit., 1984), n. 1, p. 1255.

55 cosi si esprime il Boccaccio: "Ma se pur prosuppor

si volesse che io fossi stato di quelle lo 'nventore e lo

scrittore che non fui..." (Con., 17). Claude Perrus sot-

tolinea questo ruolo di compositore del Boccaccio e la sua

responsabilita sul contenuto e lo stile delle novelle (op.

cit., 1970), p. 297.

56 II tema della fedelta narrativa a cui l'autore aveva

brevemente accennato nel nella difesa della quarta giornata,


333

era giy apparso nell 'introduzione del F i l o strato in cui il

na rrator e parlando a l i a sua d o n n a affermava: "Dell'altre

cose che oltre a q u este vi sono assai, niuna, si c o m e gia

dissi, a me n ' a p p artiene ne p e r me vi si pone, ma perciocche

la storia del nobile e innamorato giovane [Troiolo] cio

richiede. E se cosi siete a w e d u t a come vi tegno, da esse

p o t r e t e comprendere quanti e quali siano i miei desii, dove

t e rminin o e che cosa p i u c'altro dimandino e se a l cuna pieta

meritino " (Pr. 35). Troviamo qui anche u n primo accenno

alia comprensione, sempre comunque all'interno d e l l o schema

cortese. Anche nel congedo del Filocolo e p r e sente un breve

ac c enno ali o stesso concetto di fedelta: HE a' con-

tr a d icen t i le tue piacevoli cose, da la lunga fatica di

Ilario pe r veridico testimonio" (V, 97, 10). Come annota a

riguardo V i t t o r e Branca (op. cit., 1984), n. 5, p. 1257,

tale concetto e p r e s e n t e anche nel De mu l i e r i b u s Claris

(dedica, 9) in cui si accenna anche al s a p e r scegliere e nel

D e c a m e r o n . in cui e presentato da Fiammetta (cfr., n. 31).

II conc e t t o del d i l e t t o derivante dalla forma del n arrato si

aggiunge come specificazione al generale diletto di cui si

era g ia p arlato nel Proemio, e Fiammetta stessa,

preceden t e m e n t e nella sua introduzione, lo considers

inevitabile quando v e n g a n o rispettate le regole di luogo e

di tempo (tema che ritroveremo enfatizzato nella Con-

clusione). Fiammetta afferma: "Gentilissime donne, si come

io credo che voi sappiate, niuna cosa e di cui t a n t o si


334

parli, che sempre piu non piaccia, dove il tempo e il luogo

che quella cotal cosa richiede si sappi per colui che parlar

ne vuole debitamente eleggere" (IX, 5, 3). Queste

affermazioni ci riconducono necessariamente alia novella di

madonna Oretta, in cui il cavaliere narratore, per inability

allontanatosi dal vero, "pessimamente, secondo le qualita

delle persone e gli atti che accadevano, proferava" (VI, 1,

9) .

57 Vedremo piu oltre come tale argomento venga

capovolto da Dioneo nel suo incontro con le donne di ritorno

dalla Valle.

58 Tale riferimento alia liberta creativa di poeti e

pittori trova le sue fonti in Orazio che nel De Arte Poetica

scrive: "Humano capiti cervicem pictor equinam/ iungere si

velit, et varias inducere plumas/ undique collatis membris,

ut turpiter atrum/ desinat in piscem mulier formosa

superne,/ spectatum admissi risum teneatis, amici?... 'pic-

toribus atque poetis quidlibet audendi semper fuit aequa

potestas.'/- ma subito dopo appone limiti a tale liberta -

scimus, et hanc veniam petimusque damusque vicissim;/ sed

non ut placidis coeant immitia, non ut serpentes avibus

geminentur, tigribus agni" (w. 1-13) . Per quanto riguarda

l'inizio dell'opera oraziana Robert Hollander fa una inter-

essante osservazione in nota: "If Boccaccio meant us to c o n ­

sider the Ars as a generative text here, he might also have

expected us to notice that his book begins with the same


335

w o r d as Horace's: «human»... If the contexts are not

similar, the fact that both works - uniquely? - begin with

that most significant word, so important to their eventual

meanings, m a y reflect a conscious decision on Boccaccio's

part" (op. cit., 1985-86), n. 1, p. 216. Vorrei aggiungere

a tale interessante osservazione come l'uso di Orazio del

termine "umano" faccia riferimento ad un prodotto che ha del

"dis-umano", con un seguente accenno ai limiti da porre alia

creativita pittorica; mentre per Boccaccio tale termine

indichi proprio l'ambito della sua attivita creativa per

quanto riguarda il D ecameron. Per una interessante analisi

sui pittori come personaggi del Decameron e sul loro sig-

nificato oltre al realismo dei riferimenti boccacciani vedi

Paul F. Watson, "The Cement of Fiction: Giovanni Boccaccio

a nd the Painters of Florence", M . L . N . , 99 (January 1984),

pp. 43-64. Per quanto riguarda la nostra citazione Watson

interessantemente sottolinea che: "In m ost depictions of

these warrior saints, such as St. Michael in the altarpiece

in Bologna signed by Maestro Giotto... the dragon receives

t h e spear through its mouth. If we look at such pictures

perversely, so the narrator implies, the y image nothing less

t h a n fellatio. By this outrageously w i t t y contrivance, the

p o e t exonerates his own art: «honi soit qui mal y pense»"

(p. 61). Per una interpretazione in senso allegorico di

alcuni dei dipinti presentati nel Decameron vedi Vittoria

Kirkham, "Painters at Play on Judgment Day (Decameron VIII,


336

9)", Studi sul Boccaccio. XIV (1982-3), pp. 256-77; per una

analisi del personaggio di Giotto e del significato

dell'introduzione alia sua novella, vedi Pamela D. Stewart,

"L'inganno delle apparenze: Giotto e Forese" (op. cit.,

1986), pp. 83-102. Interessantemente, per il mio

argomento, la Stewart scrive che l'arte sapiente di Giotto,

sempre o w i a m e n t e secondo l'interpretazione di Boccaccio,

"si preoccupa di cogliere e fissare non soltanto l'apparenza

visiva, ma anche il suo significato" (p. 95), e piu oltre

che "l'inganno delle apparenze, e dell'apparenza visiva in

particolare, e appunto il tema della novella" (p. 100) , ed

io aggiungerei, anche del brano della Conclusione preso in

considerazione. Sempre per quanto riguarda il trattamento

di Boccaccio riservato alle arti figurative vedi le ipotesi

di Creighton Gilbert in "The Fresco By Giotto in Milan",

Arte L o m b a r d a . 47-8 (1977), pp. 31-72, in riferimento al

canto VI d e l 1'Amorosa V i s i o n e . e in "Boccaccio Looking at

Actual Frescoes", in The Documented Im a g e . Visions in Art

H i s t o r y , acd. G. P. Weisberg e L. S. Dixon, con l'assistenza

di A. Bultmann Lemke, (Syracuse: Syracuse University Press,

1988), pp. 225-41; ed inoltre la recenzione di quest'ultimo

articolo fatta da A. L. Lepschy in Studi sul B o c c a c c i o . XVII

(1988), pp. 405-7.

59 Giusi Baldissone, sottolineando l'origine orale

della novella ed il modo in cui cio si riflette sulla

dinamica narrativa del D ecameron. scrive: "Lo si narra [il


337

libro] ad un lettore spiegandogli che pero deve mettersi

dalla parte di chi, nella cornice, fa da ascoltatore. Come

a dire che in origine era l'ascolto, e che per prendere

diletto ed imparare qualcosa le novelle bisogna raccontar-

sele a vicenda in una allegra brigata", in "La novella e

l'ascolto", in Metamorfosi della n o v e l l a . a cura di Giorgio

Barberi Squarotti, (Foggia: Bastogi, 1985), p. 37.

60 Questo a w i e n e perche, come afferma Claude Perrus,

la novella "n'est pas seulement transmissible et transmise,

elle est utilisable, discutable, interpretable: du reel

qu'elle est censee decrire on peut donner des «v e r s i o n s » ....

A la rigueur formelle des canons du recit s'oppose une rela­

tive flexibility du sens" (op. cit., 1970), p. 297. A

questo riguardo, anche se limitato al mondo delle novelle,

Marcel Janssens scrive che "the reception proves to be pro­

ductive and creative in that it influences the making of

other narratives. Reception and production are connected in

a circular process which constitutes the making of the

Decameron", in "The Internal Reception of the Stories

within the Decameron" .in Boccace in Europe (Louvain: G

Tournoy editore, 1977), p. 137. Per quanto riguarda

l'analisi di tale dinamica all'interno della sesta giornata

del Decameron vedi Eugenio L. Giusti (op. cit., 1989).

61 In direzione morale la responsabilita interpretativa

del lettore e sottolineata da Lucia Battaglia Ricci quando

scrive, riferendosi alia Conclusione dell'autore, che "la


338

r esponsa b i l i t a di un uso moralmente deprecabile di quanto lo

scrittore h a affidato al suo libro non e, per Boccaccio, del

libro in q u a n t o tale, si piuttosto del pubblico" (op. cit.,

1987) , p. 191. A simili conclusioni era a r r ivato anche

Giuseppe M a z z o t t a quando scrive che "in the c o n c l u s i o n B o c ­

caccio abdi c a t e s r esponsability for the effect of the book

on t h e audience, tries to disclaim authorship for the tales

and finally releases the m in a moral vacuum as neutral and

autonomous objects to be interpreted by the reader" (op.

cit., 1986), p. 73. Sono convinto che se le n o v e l l e sono

offerte come neutrali ed autonome rispetto a lle regole della

m o r a l e cris t i a n a non lo sono invece rispetto a l l e regole

dell'util i t a pratica. Cio mi trova in accordo con la

posizione di Glending Olson quando scrive che "implicit in

the relief from «noia» is a mental balance tha t will permit

rational assessment of one's experience. The Decameron

gives us the m e a n s to that balance; it does n o t lecture us

on w h a t the assessment must be" (op. cit., 1982), p. 215.

Sottoline a n d o la presenza dell'autore nel d i r igere

l'interpr e t a z i o n e del lettore, Aldo Scaglione scrive: "The

narration is not self-sufficient: it has a goal, a «thesis»,

but t h e thesis is both hidden and, because it is hidden,

ambiguous... T h e reader must discover this m e s s a g e which

becomes, therefore, t h e «theme» of the story as distinct

from its open, surface «motif»... The author thu s leads the

reader from t h e closed structure of an event g i v e n as mere


339

fact to the extension of its referential function wherein

lies the true theme", in "Giovanni Boccaccio, or the Narra­

tive Vocation",in Boccaccio: secoli di vita (Ravenna: Longo

Editore, 1975), pp. 100-1. Per un esempio di come tale

liberta interpretativa sia sottolineata anche nelle novelle

e di come essa risulti conforme al livello comprensivo

dell'ascoltatore, oltre a Eugenio L. Giusti (op. cit.,

1989), pp. 342-3, vedi anche Carlo Delcorno, "Studi sugli

Exempla e il Decameron: II - modelli esemplari in tre

novelle (I, 1; III, 8; II, 2)", Studi sul B occaccio. XV

(1985-86), ora in Exemolum e letteratura tra Medioevo e

Rinascimento (Bologna: Societa editrice il Mulino, 1989),

pp. 265-94, quando scrive in riferimento alia novella di

Ferondo (III, 8): "La finta morte del «ricchissimo villano»

mette in movimento, per diretta o indiretta iniziativa

dell'abate, una plurality di interpretazioni dell'esperienza

purgatoriale, coerentemente al diverso livello socio-

culturale dei personaggi e secondo le cadenze dei diversi

racconti esemplari" (p. 205).

82 Nel brano citato Boccaccio pone in opposizione i

termini "malvagio" e "utile", il primo con implicazioni

etico-religiose, l'altro etico-pragmatiche. II fatto che

Boccaccio si difenda attaccando il caustico moralismo delle

pinzochere e delle spigolistre, fa che il termine "malvagio-

possa essere interpretato anche nel senso di pragmaticamente

deleterio, e quindi, in opposizione all'utile, incapace di


340

effetti pratici positivi. Riprendo qui il gia citato

articolo di Robert Hollander (op. cit., 1985-86) sul tema

dell'utilita nel Decameron in quanto presenta punti

particolarmente interessanti per la mia tesi. Innanzitutto

Hollander sottolinea che nel Deca m e r o n . il termine

"utilita", con i suoi derivati, viene usato "only once with

their traditional moral sense, and then only to demostrate

that a morality which totally opposes nature cannot interact

with the conduct which is natural to humanity. In all other

cases these words are devoid of any traditional moral tone;

in the only occurrence which preserve that tone, such

morality is seen to be a foolish intrusion upon the preserve

of human reality" (p. 222). Sono qui pienamente d'accordo

con Hollander ed anzi vorrei sottolineare che il riferimento

a Filippo Balducci come colui che unico nel Decameron usa il

termine "utile" in senso morale ("per non destare nel con-

cupiscibile appetito del giovane alcun inchinevole desiderio

men che utile" IV, Int., 23), possa essere interpretato come

la prospettiva del padre sulla situazione: certamente per

lui, dopo tutti quegli anni di fatiche, non sarebbe stato

"utile" che il figlio scegliesse il mondo e le papere. Hol­

lander interessantemente continua su questo punto: "Boccac­

cio, claiming that he writes for otiose women in love,

actually describes us all, with few exception, exercising

our wills in pursuit of the goods of the wo r l d as we p e r ­

ceive them good. In that pursuit it is «utilita» which we


341

seek - that alone is «dolce to us»" (ibidem, p. 228) . Qui

vorrei precisare che l'utilita fine a se stessa non e lo

scopo della ricerca, ma viceversa £ la ricerca, 1'azione che

deve dimostrarsi utile nei suoi risultati. Verso la con­

clusions del suo articolo Hollander, riferendosi al passo

della Conclusione appena accennato nel testo, scrive: "Not

only is the choice [tra utile e malvagio], but the very

definition left to the reader... The moral and epistemologi-

cal possibilities here are surprisingly «modern»; the tales

themselves seem to be put forward as amoral (or, better,

«panmoral»), while the reader's moral predilections will

govern his understanding... the morality here seems to be

one that governs perception rather than behavior" (p. 230).

Ritengo opportuno cambiare questa ultima affermazione con-

siderando l'utilita pratica come quella che governa, o

dovrebbe governare, secondo il messaggio del testo, la per-

cezione ed il comportamento. Certamente come conclude

1'articolo "Boccaccio is most concerned with our governance

of our intellectual response to life" (p. 231), ma non la

vita costretta all'interno dei parametri di "in bono" o "in

malo", ma la vita riflessa nelle molteplici esperienze umane

alia ricerca di un necessario equilibrio tra natura e

societa, eros ed agape.

63 Carlo Muscetta enfatizza l'importanza

dell'espressione verbale nell'ambito della dinamica dis-

corsiva quando scrive: "II «convenevole» e il momento


342

decisivo nell'uso della parola, la proprieta che da gener-

ica, fondamentale e coronatrice legge della «ars dicendi»,

diventa legge di recupero e di ricostruzione dell'integrita

dell'uomo in quanto totalita eloquente pur nell'ambito della

totalita sociale in cui sempre e realisticamente si colloca"

(op. cit., 1972), p. 313.

64 La contrapposizione dei termini "passare" ed "util-

mente adoperare" non inficia l'uso del termine "utile" per

quanto riguarda le donne, anzi ne sottolinea la relativita.

In rapporto alia situazione contingente 1 'utile si manifesta

tale; per le donne, forzatamente oziose ed esposte alia noia

d'amore sara utile trovare una soluzione alia propria sof-

ferenza, sia questa il semplice diletto offerto dalla nar-

razione, soluzione quantitativamente utile, oppure un cam-

biamento qualitative della propria frustrante condizione,

imparando, per esempio, a come spenderla negli amorosi

piaceri (le novelle offrono decine di e s e m p i ) ; per gli

studiosi invece, avidi di conoscenza, 1 'utile consiste

proprio nell'uso qualitative che del tempo viene fatto ai

fini del sapere.

65 Scrive qui Boccaccio; "Confesso nondimeno le cose di

questo mondo non avere stabilita alcuna ma sempre essere in

mutamento," (Con., 27). Tale affermazione presenta echi

dell'inizio delle Metamorfosi di Ovidio; scrive infatti

l'autore latino in apertura dell'opera: "In nova fert animus

mutatas dicere formas/ corpora.." (I, w . 1-2), e poco piu


343

oltre riprende: "nulli sua forma manebat/ o b s t a b a t q u e aliis

aliud, quia corpore in uno/ frigida pugnabant calidis,

umentia siccis,/ mollia cum duris, sine pondere, abentia

pondus" (I, w . 17-20). Nonostante questi ve r s i si riferis-

cano al caos che precede la creazione, l'idea di c o n t i n u o

mutamento risulta conforme sia al tema generale del l ' o p e r a

latina che all'espressione di Boccaccio. Per q u anto

riguarda invece le fasi della composizione d e l l ' o p e r a vedi,

Giogio Padoan, "Sulla genesi e la pubblicazione del

D eca m e r o n " (op. cit., 1978), pp. 93-122; e V i t t o r e Branca,

"Studi sulla t r a d izione del testo del D e c a m e r o n " (con un

Poscritto di V. Branca e F. Brambilla A g e n o ) , Studi sul Boc­

c a c c i o . XIII (1981-2), pp. 21-160.

66 Sull'amore come forza indispensabile alia c o e sione

del tessu t o sociale e sulle sue manifestazioni nei

sentimenti di compassione, pieta, gratitudine o carita, come

temi portanti nella struttura circolare del D e c a m e r o n

Teodolinda Barolini scrive: "This « c o m p a s s i o n e » , w h i c h

motivates the author in his Proem at one end of the b o o k and

the characters of Day X at the other, is not only t h e social

glue w h i c h h o l d s together the fabric of human society, but

is also the textual glue linking the several levels of the

D e c a m e r o n " (op. cit., 1983), p. 522.

67 L'uso problematico del parola "cornice" ha por t a t o

alcuni critici alia formulazione di altri termini p e r quanto

riguarda la storia della brigata. In p a rticolare Carlo


344

Musc e t t a preferisce definirla come "una grande dilatata

novella portante, u n a "ist o r i a " , dove la peste e d il popolo

di Firenze sono il vero, e la brigata e i famigli

c o s t itui s c o n o il verosimile: u n a "istoria" che h a solenni

riferimenti, ma e anche realisticamente m o t ivata (come e

t i pico di u n a novella) e coglie un m o m e n t o particolare,

eccezionale della v i t a dei dieci giovani" (B o c c a c c i o . Roma,

1974), p. 302. In accordo con Musce t t a si trova Lisa M.

M u t o che intitola u n suo articolo d e d i c a t o alia cornice "La

novella p o r tante del D e c am e r o n : la p a r a b o l a del piacere", in

"F o r m a t i o n , c o d i f i c a t i o n .♦. (o p . cit., 1983), pp. 145-51.

R i t e n g o comunque che una volta chiarificato l ' a m b i t o ed il

ruolo narrativo della vicenda della brigata, che pud

risultare solo per gradi o p e r livelli esterna a l l 'opera,

come ha definito V. Cian (op. cit., 1913), pp. 202-13, pos-

siamo tranqui l l a m e n t e usare t ale termine. V i t t o r e Branca mi

suggerisce a questo proposito una even t u a l e sostituzione che

ritengo validissima: narrazione portante.

68 Come mi suggerisce Vit t o r e B r a n c a che sta

alacremen t e lavorando al progetto di "Boccaccio visualiz-

zato", tale concetto dell'autore b r e v iatore de l l e proprie

novelle a p p a r e in alcune miniature in c u i il B o c c a c c i o e

rappresentato, al lat o della scena conviviale d e l l a nar­

razione, n e l l ' i n t e n t o di registrare, q u a s i s t e n ografo "ante

l i t t e r a m " , le narrazioni dei giovani d e l l a brigata. La

stessa formulazione delle rubriche ad o g n i g i o r n a t a e


345

singola novella sottolinea queata attivita di scriba.

69 p er ie ultime posizioni della critica a riguardo

delle fonti letterarie utilizzate da Boccaccio nella des-

crizione della pestilenza di cui tra l'altro si definisce

egli stesso testimone oculare, sono da vedere, Giovanni

Getto, "La peste del Decameron ed il problema della fonte di

origine lucreziana", in Immagini e nroblemi di letteratura

italiana. (Milano: Mursia, 1966), pp. 51-68; e soprattutto

l'importante capitolo di Vittore Branca, "Un modello

medievale per 1'introduzione", (op. cit., 1956), nella

ristampa del 1986, pp. 381-7. Per un breve ma completo

riassunto del dibattito critico a riguardo vedi, Joseph E.

Germano, "La fonte letteraria della peste decameroniana: per

una storia della critica delle fonti", Italian Quarterly ,

XXVII (Summer 1986) , pp. 21-31. Sull'esteso dibattito

storico riguardante gli influssi della peste sul mondo

fiorentino e di come cio possa aver influenzato il Boccaccio

nelle sue scelte di vita e letterarie vedi Millard Meiss,

Painting in Florence and Siena after the Black D e a t h . (Prin­

ceton: Princeton University Press, 1951); ed inoltre le

risposte a tali conclusioni nell'articolo di Gene A.

Brucker, "Florence and the Black Death", in B o c c a c c i o :

secoli di vita (op. cit., 1975), pp. 21-30, e nel libro di

Lucia Battaglia Ricci soprattutto il capitolo "La peste e la

«cultura della penitenza»" (op. cit., 1987), pp. 45-96.

70 Ancora Teodolinda Barolini sottolinea a questo


346

riguardo che in questa descrizione "the narrator con­

centrates first on the loss of «ingegno» and secondly on the

loss of «compassione»... The qualification of «provedimento»

w ith the adjective «umano» underscores the fact that the

intellect is, with compassion, the essential ingredient of

human society" (op. cit., 1983), p. 522.

71 Tale termine ed il suo opposto, ordine risultano i

perni concettuali del testo di Marga Cottino Jones (op.

c i t . , 1982), in cui le novelle stesse sono catalogate ed

interpretate, nella loro divisione giornaliera, come un

graduale sforzo ordinatore di una societa corrotta dal caos

pestilenziale: "Boccaccio, then, proposes a fictional world

where individuals of various classes are capable of acting

purposefully within their society" (p. 4). Vedi inoltre

Vittore Branca (op. cit., 1956), cap. II.

72 Le posizioni critiche che sostengono questo punto

come essenziale nella loro analisi presentano ulteriori

sfumature nella loro interpretazione, cosi Antonio Prete

in La distanza da Croce (Milano: C.E.L.U.C., 1970), sot-

tolineando l'aspetto estetico, scrive: "Dalla tragedia della

peste, dunque, all'evasione delle novelle; dal dominio del

male al dominio dell'intelligenza. Dalla partecipazione

alia cruda vicenda del male fisico (che poi dilaghera in

male morale) fino alia purificazione attraverso l'arte" (p.

260). Di condizione purificata e virtuosamente idilliaca

parla anche Vittore Branca, quando scrive: "Di fronte agli


347

atti disperati e alle voci bestiali, alle sfrenate cupidigie

e agli osceni baccanali che si levano dalla citta, sul colie

fiesolano si snodano gesti ed azioni che sembrano modulati

da una segreta armonia e svolti a passo di danza, quasi

visualizzazione di una umanita ideale che senta nella

gentilezza, nella concordia, nell'amore le leggi supreme

perche dettate da imperativi intimi ed istintivi" (op. cit.,

1956), nell'edizione del 1986, pp. 40-1. Di operazione

culturale tratta invece Michelangelo Picone che scrive:

"L'azione di guarire 1 'umanita moribonda conduce cioe diret-

tamente all'operazione culturale che sostanzia il

D ecamero n ... Il raccontare ha per i dieci novellatori

proprio questo valore catartico: di unico mezzo rimasto in

potere dell'uomo per purificare ed affermare la propria

elevata essenza razionale che rischia continuamente di

essere attaccata e corrotta dalla forza della contingenza"

(op. cit., 1977), p. 439. Alla riaffermazione dei valori

civili fa anche riferimento Glending Olson (op. cit., 1982),

p. 199; in una prospettiva tutta storicistica Luigi Surdich

presenta la sua visione del problema: "Di fronte alle sol-

lecitazioni drammatiche di una societa storicamente

determinata, il Boccaccio predispone una proposta ideologica

che possa riguardare la collettivita intera, non l'individuo

singolo. .. La brigata e un modello di vita c o munitaria: un

modello di comportamento di rapporti e di valori" (op. cit.,

1987), p. 233. Sulle conclusioni di Surdich per quanto


348

riguarda l'ideologia del Decameron Carlo Delcorno, nella

recensione dell'opera scrive: "mi pare che... 1'autore

proceda secondo uno schema troppo rigido, basandosi su una

limitata campionatura di novelle, e semplificando ecces-

sivamente i rapporti (di amore-odio) di Boccaccio con il

ceto mercantile. Anche la felice definizione del Decameron

come «epopea dei mercatanti», dimenticando che il Branca la

impiega con molte sfumature, e con grande duttilita, nella

sua interpretazione dell'arte e d e l l 'ideologia del Boccac­

cio", in Studi sul Boccaccio. XVI (1987), p. 407.

Ritornando alia nostra serie di interpretazioni sulla

vicenda della brigata troviamo che come un esempio di

isolana ricostruzione sociale e interpretata da Giorgio Bar-

beri Squarotti nell'articolo "La «cornice» del Decameron o

il mito di Robinson", in II potere della p a r o l a : studi sul

"Decameron" (Napoli: Casa Editrice Federigo e Ardia, 1983),

p. 5-63? tale posizione e poi ripresa da Francesco Bruni

(op. cit., 1990), p. 238. L'idea di evasione, come riflesso

indicativo di un atteggiamento ideologico del Boccaccio, e

presentata da Giuseppe Mazzotta, il quale scrive: "Far from

being an evasion into frivolity, the retreat to the garden

is a dramatic strategy that enables Bocccaccio to reflect on

history and to find, in this condition of marginality, of

provisional separation from the historical structures, a

place for secular literature" (op. cit., 1986), p. 49.

72 Tra coloro che hanno sottolineato l'aspetto della


349

ri-creazione associato al ritorno, e quindi in parte

criticato l'idea di una idillica evasione, o per lo meno di

un mondo della brigata a s6 stante e opposto al resto della

vicenda, sono: Teodolinda Barolini, il cui articolo (op.

cit., 1983), sottolineando la circolarit& strutturale del

Decameron alio stesso tempo enfatizza la non estraneazione

del gruppo dei giovani dalla realta cittadina; Joseph

Gibaldi che in "The Decameron Cornice and the Responses to

the Disintegration of Civilization", Kentucky Romance

Quarterl y . 24 (1977), criticando 1 'interpretazione

utopistica, scrive: "As a response to the disintegration of

civilization, pastoralism represents the option of

archaism... Boccaccio... ultimately abandons both Arcadia

and Utopia... as meaningful or practical responses to the

disintegration of civilization... The re-entry of a

«transfigured» group or individual into society after a

«period of aloofness» signals not the acceptance of things

the way they are, but rather the acceptance of the

opportunity to attempt in a new role acquired during the

temporary absence to help generate within society as a whole

the moral and spiritual conversion for which it cries out"

(pp. 351-4). Franco Fido sottolinea la tattica di soprav-

vivenza della societa che porta a privilegiare il gruppo

all'individuo, in "Silenzi e cavalli nell'Eros del

Decameron" . Belfacror. XXXVIII, 1 (1983), pp. 79-84; anche

Raffaello Ramat, il quale afferma l'idea di ricostruzione


350

quando scrive, in "Indicazioni per una lettura del

Decameron" . Miscellanea storica della V a l d e l s a . 69, n. 2-3

(1963): "Giunti al limite della resistenza morale di fronte

all'orrore della dissoluzione umana, per non essere

anch'essi travolti dalla bufera bestiale, decidono [i

giovani] di ritirarsi per ricostruire nell'intimo del loro

animo e in forme simboliche esterne la citta dell'uomo

armoniosa e razionale" (p. 119). Al significato del ritorno

fa chiaramente riferimento Antonio Gagliardi quando scrive

che "il ritorno dei giovani a Firenze e rifiuto dell'idillio

separato, dell'illusione di una salvezza particolare... loro

hanno posto un problema oltre il destino particolare.

Potranno anche perire ma il loro progetto rimane

incontaminabile dalla peste e dall'apocalisse" (op. cit.,

1984), p. 192. Con un punto di vista radicalmente opposto

Aldo S. Bernardo interpreta l'intera vicenda del Decameron

alia luce dei valori teologici distrutti dalla peste e per

questo "il lettore attento deve diffidare delle reazioni

della brigata alle sue proprie storie, perche esse sembrano

narrate come mero passatempo, come mezzo per procrastinare

la necessaria ascesa", in "La peste come chiave narrativa

del Decameron" . Forum Italicum , XIX (Spring 1985), p. 31.

74 Vittore Branca a questo proposito scrive che "quei

giovani e quelle fanciulle...attraverso l'oscura e spietata

procella della peste,... avevano serbata intatta la loro

gentilezza e la loro generosita - mentre - la massa degli


351

uomini si era imbestiata" (op. cit., 1956), pp. 36-7

[citazione e pagine dall'edizione del 1986].

75 Vedi a proposito Teodolinda Barolini (op. cit.,

1983), p. 524, e Vittore Branca (op. cit., 1956), p. 38.

76 Janet Levarie Smarr sottolinea come la ragione, che

nel suo caso prende forti tinte di allegoria morale, sia una

parola chiave nel Decameron, (op. cit., 1986), pp. 165-204.

77 Filomena, confermata poi da Elissa, sottolinea

quanto le donne siano "mobili, riottose, sospettose, pusil-

lanimi e paurose" (I, Int., 75), e quindi necessitino di una

guida maschile (sottolinea E l i s s a ) . Tali affermazioni,

riprese poi piii oltre nell'opera, hanno fatto si che certa

critica abbiano tacciato Boccaccio di anti-femminismo. Non-

ostante io non ritenga valido l'uso astorico di certi

termini che ci puo condurre verso problematiche futili in

quanto storicamente fuori luogo, come nel caso di voler

qualificare Boccaccio rispetto al suo modo di rappresentare

le donne, considero invece storicamente e narrativamente

coerente la posizione di Filomena, o se vogliamo del Boccac­

cio a riguardo. Sulla base della propria realta storica e

sociale, Filomena e pragmaticamente preoccupata della

realizzazione del loro progetto infatti ella dubita che "se

noi alcuna altra guida non prendiamo che la nostra, che

questa compagnia non si dissolva troppo piu tosto e con meno

onor di noi che non ci bisognerebbe" (I, Int., 75). II

ragionamento di Filomena risulta cosciente della loro con-


352

dizione sociale e storica, e lucidamente coerente al piano

salvifico proposto. All'interno di questa prospettiva

storica, come mi suggerisce vittore Branca, si inserisce,

prima nella storia della lettura occidentale, un'opera sulle

donne come il De mulieribus C l a r i s .

78 L'intero percorso di andata e ritorno risulta di

dieci miglia quindi, con una interessante meta-narrativita

numerica, pari alle dieci giornate di narrazione.

79 Vittore Branca ha ampliamente dimostrato come il

mondo del Decameron sia il prodotto storico-letterario del

periodo in cui alle monarchie feudali si contrapponevano le

parziali democrazie dei comuni e delle compagnie mercantili.

80 II ruolo di Filomena che Vittore Branca definisce

come pallido satellite di Pampinea (op. cit., 1984), n. 1,

p. 123, risiede proprio nel consolidare la regola e nel

renderla ufficiale attraverso 1 'accettazione

dell'ordinamento stabilito durante il regno di Pampinea.

81 Per quanto riguarda tale battuta come risultato

della lascivia presente nelle novelle della terza giornata

vedi Marina Scordilis Brownlee, "Wolves and Sheep: Symmetri­

cal Undermining in Day III of the Decameron" . Romance N o t e s .

XXIV (Spring 1984), pp. 262-66.

82 Non intendo qui entrare nei particolari per quanto

riguarda il vasto materiale critico, specifico e non, su

Dioneo, ma solo presentare alcuni recenti lavori su tale

personaggio: M. Pastore Stocchi, "Dioneo e l'orazione di


353

frate Cipolla", Studi sul B occaccio. X (1977-78), pp. 201-

16; G. Barberi Squarotti, "Gli ammaestramenti di Dioneo"

(op. cit., 1983), pp. 174-92; Emma Grimaldi, II privilegip

di D ione o : l'eccezione e la reaola nel sistema del

/Decameron * (Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 1987),

in cui si tratta forse poco del personaggio in se stesso e

molto del Decameron in generale; ed Alessandro Duranti, "Le

novelle di Dioneo", in Studi di filoloqia critica offerti

daali allievi a Lanfranco Caretti (Roma: Salerno Editrice,

1985), tomo 1, pp. 1-38. Da vedere e inoltre la recensione

al testo della Grimaldi, di Nella Giannetto in cui sono

giustamente sottolineati i limiti di tale libro ed e pre-

sentato u n 7interessante confronto con l'articolo del

Duranti, in Studi sul Boccaccio. XVII (1988), pp. 403-5.

83 per quanto riguarda 1'interpretazione dell'apologo

di madonna Filippa vedi, Eugenio L. Giusti, (op, cit.,

1989), p. 331-2.

84 Per una analisi delle interessanti reazioni della

brigata alle ballate rimando alia n. 92.

85 Da sottolineare e anche il fatto che il primo

alterco e proprio tra Neifile e Filostrato, questo ci

potrebbe far supporre che la crudele donna della canzone sia

proprio colei che arrossa ora come aveva arrossito allora.

86 per quanto concerne il significato di questo

eccezionale evento Teodolinda Barolini scrive che: "Licisca

operates as a kind of reality principle, whose function it


354

is to introduce aperture where there was closure, reversing

the brigata's isolationism and turning them bac k toward

Florence.." (op. cit., 1983), p. 528-9. A guesta

affermazione vorrei aggiungere come Licisca risulti un prin-

cipio di realta anche in quanto viene rappresentata nei

termini tradizionali della serva "priora", topos letterario

e comico-teatrale che dalla realta della stratificazione

sociale traeva origine, e che, proprio in quanto tale, e in

grado di opporsi con le sue doti di astuzia ed aggressivita

anche al volere della propria "reina".

87 Per quanto riguarda il tema del giardino come "locus

amoenus" nel Decameron. le interpretazioni sono numerossis-

sime, in quanto appaiono in tutti i lavori riguardanti non

solo la cornice ed il Decameron ma anche le opere giovanili,

esempio piu chiaro, la Comedia delle ninfe fi o r e n t i n e . Per

questo motivo mi limito qui a citare alcuni dei lavori che

estesamente o totalmente hanno trattato l'argomento; sono

quindi da vedere Edith G. Kern, "The Gardens in the

Decameron Cornice", P.M.L.A., 66 (1951), pp. 505-23; Lucia

Marino (op, cit., 1979), in particolare pp. 79-121; Thomas

C. Stillinger, "The Language of Gardens: Boccaccio's «Valle

delle donne»", Traditio. XXXIX (1983), pp. 301-21; Mario

Petrini, Nel giardino di Boccaccio (Udine: Del Bianco

Editore, 1986), in particolare pp. 145-54; Lucia Ricci-

Battaglia (op. cit., 1987), in particolare pp. 162-78.

88 Fiammetta, come gia precedentemente


355

nell'introduzione alia novella di Calandrino innamorato (IX,

5), e la portavoce nella brigata delle regole narrative di

tempo, spazio e fedelta alia fonte (cfr., n. 55). La stessa

tematica, abbiamo visto presentata piu volte nella cornice

dell'autore.

89 Sul topos del sole pomeridiano in riferimento a

queste pagine del Decameron vedi Nicolas Perella, Middav in

Italian Literature (Princeton: Princeton University Press,

1979), pp. 37-8.

90 Per quanto riguarda un'analisi diacronica della

scena conviviale in Boccaccio vedi Laura Sanguineti White,

La scena conviviale e la sua funzione nel mondo del Boccac­

cio (Firenze: Olschki Editore, 1983), in particolare per la

cornice del D e c a m e r o n , pp. 35-47. II testo non fa pero

specifico riferimento al narrare come momento conviviale ma

si riferisce a forme piu convenzionali come i pasti o le

danze della brigata.

91 Teodolinda Barolini sottolinea l'interessante rap-

porto tra le novelle in quanto racconti ed alio stesso tempo

notizie del mondo esterno e di come la brigata reagisce di

fronte ad esse, (op. cit., 1983), p. 525 seg.. Edoardo

Sanguineti, all'interno dell'opposizione cornice-novelle,

scrive: "ad un simile contegno di rigida osservanza della

regola comportamentale nella sfera dell'azione, si oppone la

continuity del carnevale nella sfera della parola: verbal-

mente tutto Corbaccio ancora possibile", in Lettura del


356

«Decanteron» . a c. di Emma Grimaldi (Salerno: Arti grafiche

Boccia, 1989), p. 40. Alla stessa contraddizione si

riconduce Luigi Surdich (op. cit., 1987), p. 239 s e g . .

92 Delle cento novelle 36, sono "commendate" dalla

brigata con la lode del narratore, della storia o del com-

portamento dei personaggi; 25 si concludono con le risa,

solo poche volte precedute da vergognoso rossore; 12 non

hanno alcun commento; 3 sono seguite; da lagrime o da com-

passione; 1 e lodata e risa alio stesso tempo; le rimanenti

23 hanno ciascuna un commento particolare; una sola e

recepita come mediocre, la quarta novella della nona

giornata, in quanto "senza troppo o riderne o parlarne pas-

satasene la brigata.." (IX, 5, 2). Vittore Branca sot­

tolinea tale unicita (op. cit., 1984), n. 3, p. 1061.

93 Ragionamenti sulla forma ed il contenuto delle

novelle sino ad allora narrate, sono fatte dalla brigata in

apertura della giornata sesta dedicata al saper parlare.

Per quanto riguarda le singole novelle solo la IV, 3 produce

diverse opinioni, oltre o w i a m e n t e alia X, 5 che produce

delle vere e proprie disquisizioni che vanno aldila, come

sottolinea Fiammetta, dello scopo propostosi dalla brigata.

Anche in questo caso comunque la gara e pur sempre una

gara di magnificenza. Ritengo inoltre che gli eventuali

mutamenti comportamentali che a w e n g o n o durante le due set-

timane, siano determinati piu da decisioni prese di volta in

volta dai singoli "principali", come per esempio


357

nell'ana l i z z a t o caso di Dioneo che esorta a m a g g i o r liberta

n el narr a r e (VI, Int., 7-16), che del v a l o r e esemplare delle

narrazioni. Lo s f orzo i nterpretativo sembra invece, e forse

n o n a caso, inanifestarsi di fronte alle ballate che con-

cludono ogni giornata. Esse fanno riferimento alia vita,

interiore od esteriore, di c i a s c u n cantante e sono prive di

didascalie; i m e mbri del g r u p p o sembrano particolarmente

incuriositi e stimolati dalla xnancanza di informazioni

riguardan t i i loro compagni. N o n d i m entichiamo che le

dinamiche all'i n t e r n o del g r u p p o devono essere abbastanza

complesse e tese d a t o il parentato, l'amicizia e l'amore che

le regola. Gia le p a r o l e della prima "ballatetta" fanno

p e n s a r e m o l t o alcuni; la c a n z o n e della terza giornata non

solo pro d u c e due interpre t a z i o n i diverse, una p i u materiale

("che fosse meglio u n buon p o r c o che una bella tosa" III,

Con., 18) ed una p i u sublime e piu vera, ma il non voler

l'autore pr e s e n t a r e qui tale v e r i t a risulta significativo se

r i c o rdiam o che la g i o r n a t a seguente vede il Boccaccio alle

p r e s e con i suoi critici. La sesta ballata rimane enig-

m a t i c a a debita c o n c l u s i o n e d e l l a giornata dei motti; non-

ostante c h e "ancor c h e tutti si m e r a v i g l i a s s e di tali

parole, ni u n o per c i o ve n ' e b b e che potesse a w i s a r e che di

cosi cantare le fosse cagione" (VI, Con., 47). La settima

p r o d u c e solo delle ipotesi e da queste dei sentimenti non

del tutto consoni ai nostri c ortesi giovani ("Estimar fece

la canzone a tutta la brigata che nuovo e piac e v o l e amore


358

Filomena strignesse; e per cio che per le parole di quella

pareva che ella piu avanti che la vista sola n'avesse

sentito, tenendonela p i u felice, invidia per tali vi furono

ne le fu avuta" VII, Con., 15). E la curiosita diviene

sempre piu grande quando la brigata si sforza di indovinare

ci6 che Panfilo, nella canzone dell'ottava giornata, dice di

voler tener nascosto ("ingegnandosi di quello volersi

indovinare che egli di convenirgli tener nascosto cantava"

VIII, Con., 13). Per quanto riguarda un'analisi stilistica

delle ballete vedi, Rinaldina Russell (op. cit., 1982).

94 per quanto riguarda la brigata come alio stesso

tempo produttrice e fruitrice delle novelle, vedi Mirko

Bevilacqua, L 'ideoloaia letteraria del 'Decameron * (Roma:

Bulzoni Editore, 1978), pp. 23-36; e anche Claude Perrus

(op. cit., 1970), che scrive: "La «brigata» est l'expansion

de 1'auteur dans un conteur collectif, mais en sens inverse

elle represente la restriction du public a un cercle

restreint, a une clientele, qui n'a nul besoin de

s'expliquer" (p. 299).

95 L'utile viene associato al diletto solo due volte

nella cornice della brigata ed esattamente da Filomena

regina della seconda giornata (I, Con., 3) e da Elissa

regina della sesta (V, Con., 3). I termini "utile" ed

"utilita" sono usati dalla brigata nella cornice o nelle

introduzioni alle novelle dieci volte, ma, come sottolineato

nel testo non hanno nessun immediato effetto sul com-


359

portamento della gia ordinata brigata.

96 Gia con l'allegorismo della Comedia delle ninfe

fiorentine e dell'Amorosa Visione Boccaccio dava i primi

segni di quel mutamento ideologico che diverra proprio delle

opere seguenti.
360

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