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CORO DI MORTI MADRIGALE DRAMMATICO Gia una prima qualiti impressiona favorevolmente alla sola lettura di questo lavoro di Petrassi ed é, vorrei dire, Ia lettura del testo operata dalla musica. I 32 endecasillabi e settenari, che il Leopardi inseri_ nel Dialogo di Federico Ruysch ¢ le mummie, per descrivere la squallida situazione delle anime dei morti, sono divisi da quattro punti fermi in cinque periodi: gli ultimi due, perd, assai pitt strettamente legati che non i precedenti fra di loro, Su tale ripartizione la composizione ideata da Petrassi si modella spontaneamente, dando Iuogo a quattro episodi corali: fra il secondo e il terzo si sviluppa un ampio scherzo strumentale, che ritorna fra il terzo il quarto cpisodio, mentre fra il primo ¢ il secondo si ha una transizione strumentale di poche battute, che mantiene inalterata la continuita del discorso musicale. Una transizione strumentale ancor pitt breve contras- segna il quarto punto fermo, quello che divide in modo non essenziale lultimo membro della stanza poetica. Un primo risultato positivo si rivela cosi gia raggiunto: Parchitettura musicale della composizione coincide esattamente colle necessita sintattiche ¢ logiche del testo. TI respiro della musica ¢ quello della poesia concordano, Sola nel mondo eterna, a cui si volve Confusa ricordanza: Ogni creata cosa, Tal memoria n’avanza In te, morte, si posa Del viver nostro; ma da tema @ lunge Nostra ignuda natura; IL rimembrar. Che fumma? Lieta no, ma: sicura Che fu quel punto acerbo Dall’antico dolor. Profonda notte Che di vita ebbe nome? Nella confusa’ mente Gosa arcana ¢ stupenda It pensier grave oscura; Oggi @ la vita al pensier nostro, ¢ tale Alla speme, al desio, Varido spirlo Qual de’ vivi' al pensiero Lena mancar si sente: Lignota morte appar. Come da morte Cosi daffanno ¢ di temenza 2 sciolto, Vivendo rifuggia, cost rifugge E Pea vote ¢ lente Dalla fiamma vitale Senza tedio consuma, Nostra ignuda natura; > Vivemmo: ¢ quel di paurosa tara, — Lieta no ma sicuraz E di sudato sogno, Perd civesser beato A lattante fanciullo erra nell’alma _—Nega ai mortali e nega a’ morti il fato. La partitura comincia, in tempo di andante lento, con oscure sonorita, di pianoforte, pianissimo e staccato, nelle estreme regioni del basso: come suoni indistinti che si cerchino per organizzarsi secondo il richiamo di segrete affinita, Il progressivo intervento di sonorita pit alte, fino a un ac- cordo fortissimo ¢ squillante ‘di la achake, & come un’invasione di luce che esplora sempre pitt a fondo il mistero di quelle tencbre: infatti i suoni profondi si sono organizzati in una figura ostinata di basso continuo, Sempre pianissimo ¢ staccatissimo, sulla quale entra, all'unissono, il coro: scrittura piana e semplicissima; le voci, in un continuo legato, procedono per intervalli continui, sottolineano la parola « morte » con una forte Gissonanza, che spicca in tanto scialbo e dimesso abbandono, evolvono secondo relazioni tonali che non é facile analizzare ma che si sentono pre~ senti e ineluttabili pur nella loro stranezza ¢ originalita. Nel profondo, i pianoforti seguitano il loro disegno ostinato, ma in una breve pausa emerge, come una rapida efflorescenza, un ricurvo arabesco cromatico, di note che salgono e ridiscendono per intervalli dottava diminuita: elemento che ritornera spesso nella composizione, cost come ritorneré il dolce avvio melodico dellultima frase corale: « lieta no, ma sicura ». Ez cosi terminato il primo membro della stanza leopardiana. Sulla persistente figura ostinata ¢ profonda del pianoforte, gli stru- menti a fiato, che finora avevano inserito soltanto due note nella seconda battuta, intervengono largamente: trombe e corni scivolano in forti terzine di accordi ascendenti cromaticamente. L’agitato interludio si chiude su un pid ampio esempio del gid ricordato arabesco a saliscendi_ per ottave diminuite, finché un nuovo sfondo sonoro viene preparato dai pianoforti allo schiudersi del secondo episodio corale: sono accordi di nona, ripetuti pianissimo secondo un loro ritmo segreto alle estremita della tastiera. La figura in arabesco circola con insistenza; i contrabbassi, i corni si innestano sopra i pianoforti, ed é quindi su un ambiente molto pitt mosso € complesso che il coro intona, piano, il secondo episodio: « Profonda notte... ». Sulle cinque sillabe é ripetuto l'accordo di la minore, tonalita che ¢ un po’ come il punto di partenza e di ritrovo delle voci per le rischiose avventure tonali cui l'insieme si abbandona. Questa volta il procedere delle voci non é pit, cosi piano € unito, che ben presto esse si scindono in un molteplice contrap- punto, con frequenti ripeticioni di parole, culminanti soprattutto sulla parola «e Peta », Scandalo? irriverenza verso la marmorea perfezione della stanza leopardiana? Neanche per sogno: anzi, l'espediente polifonico antico, d’una parola ripetuta ¢ riecheggiata ¢ palleggiata dall’una all’altra voce, conferisce alla composizione una sua patina di antica nobilta che si accorda ottimamente con la nobilta dell’endecasillabo: sono due classi- cita, Puna Icttcraria e ’altra musicale, che si fanno buona compagnia. La singolare orchestra sorregge il viluppo contrappuntistico delle voci con un tessuto molto pitt fitto ¢ sensato: si distinguono ancora i caratteristici accordi di nona, ma anche gli strumenti si impegnano nella stessa melodia delle voci. Poi l’agitazione si placa ¢ la scissione polifonica si compone a poco @ poco, finché Pepisodio si conchiude pianissimo a voci armonica- mente unite Una brevissima pausa, poi la tromba, in tempo moderato, attacca lo scherzo strumentale: un tema di fugato, quasi geometrico e nudo, da ese- guirsi staccato e leggero, e « freddo ». Vien ripreso dai corni e poi tutti gli strumenti, compresi quelli a percussione, s'impegnano in questo strano divertimento, che adempie la funzione di variare il ritmo, scuotere il ras- segnato abbandono della parte vocale, portare un elemento dinamico, senza tradire Pespressione fondamentale del lavoro. Non v’é nulla di al- legro, infatti, in questo fantomatico balletto, o se mai @ una sinistra alle- gria di larve e di trapassati. Finisce su due ottave di fa naturale, staccate ¢ pianissimo, ai due estremi della tastiera: sia detto una volta per tutte che Popposizione delle sonorita pianistiche liquide e cristalline e di quelle pro- fonde e misteriose ¢ uno dei mezzi tecnici coi quali Pautore riesce a cattu- rare nel suo lavoro un’impressione di allucinata irrealt che si addice alla poesia spettrale del Leopardi. Lunghe note tenute dei cori riconducono Vandante lento iniziales ricompare profondo il disegno ostinato d’accompagnamento, e ancora in la minore il coro intona all’unisono, piano e unito: « Vivemmo ». Tre note ascendenti per gradi continui, le stesse, ma con altri valori ritmici, della frase: « lieta no... » alla fine del primo episodio. Ma ora la materia, @ un’altra: non lo stanco e inerte abbandono, ma il ricordo della vita, che ai morti é qual confusa ricordanza «di paurosa larva e di sudato sogno a lattante fanciullo». Quindi le voci non procedono pitt unite ¢ piane per in- tervalli contigui, ma si lacerano in agitati e scomodi saliscendi. Lo stesso fa orchestra, poi, nel ritorno alla squallida pace dei morti, Vagitazione si placa, una nuova figura di basso continuo compare, infine le voci con- chiudono riunite e calme. Nuovi elementi strumentali (liquidi accordi acuti dei_pianoforti, con elaborate dissonanze; una breve cellula ritmico-melodica sopra un persistente rintocco di tamburo ¢ tam-tam) riconducono il tempo dello scherzo strumentale (non perd una ripetizione, bensi libero sviluppo di nuovi elementi, coerentemente col progresso logico del testo). Da un ser rato dialogare contrappuntistico eso culmina in un sostenuto di notevole ‘veemenza, con la violenta ripetizione di accordi dolorosamente dissonanti, ribattuti come in un cieco furore per forzare qualcosa di ineluttabile. Poi i coro inizia l'ultimo episodio con il vano interrogare: « Che furmo? ». Le ripetute domande danno Iuogo a nuovi pensieri musicali, poi 'acque- tarsi delle anime stanche in una rassegnazione di inappagata curiosita riconduce un’espressione corale molto simile a quella piana ¢ semplice del primo episodio. Anche qui le parole « ignota morte» sono sottoli- neate da un vibrato episodio contrappuntistico, ma tosto tutto ricade nella stanca, € pur quasi dolce, quiete iniziale: Vossessionante basso con- tinuo riappare sussurrando profondo, il ritorno delle parole « nostra ignuda natura, lieta no ma sicura » riconduce la bella frase gia segnalata alla fine del primo episodio, poi iipresa dai corni in sordina, immediate TT fq mente prima ¢ dopo dell'ultima frase del coro. Un ritmico rullare e scan- dere degli strumenti di percussione accompagna ininterrottamente le poche battute finali dei pianoforti. Un'emozione umana non volgare, ma anzi rara ¢ peregrina, @ im- prigionata nella rigorosa coerenza musicale di questa composizione. Anzi- tutto un elemento spettrale e fantomatico, quel senso allucinato di larve che vivano e ragionino in uno spazio irreale: indubhiamente la singolare sonoriti dell'insieme vocale-strumentale contribuisce per gran parte a realizzare quest’effetto, Poi un’amarezza stanca, un cinismo che non & cattivo, ma é entusiasmo avvelenato ¢ impedito, e che si riposa infine in una trasognata indifferenza, in una rinuncia spenta e pur non priva di certa sinistra dolcezza. Una segreta affinita lega la maggior parte delle idee musicali, tanto che si sarebbe tentati di supporre la composizione germini da una sola idea fondamentale variamente atteggiata. Questa Tigorosa continuita del discorso (rotta soltanto dallo scherzo strumentale, ma non perd vi é rotto il tono, aura poetica del lavoro) é il contrassegno della maturita dell’artista e delleccellenza della composizione. Le rela- zioni tonali sono originalissime e strane, ma si sentono governate da se- grete leggi. La scrittura corale si richiama in parte alla grande tradizione poli- fonica italiana, ¢ gid abbiamo detto qual’é la funzione di questa patina arcaica nei confronti di quell’impegno tremendo che ¢ musicare versi di un Leopardi: conferisce un suggello di classica nobilta. Ma la qualifica pro- fana di « madrigale », mentre sottolinea questa ascendenza illustre, sembra additare d’altra parte un’evasione da quel clima cattolico di barocco ro- mano in cui erano maturati i precedenti successi di Petrassi: il Salmo IX (1936) ¢ il Magnificat (1940), € che diventato un poco un luogo comune ctitico. E Coro di morti, infatti, con la sua amara secchezza del segno, resta il pitt valido pegno dell'attitudine di Petrassi ad un tipo di creazione musi- cale che non ha nulla da vedere con la curvilinea opulenza barocca. La sonorita dell'insieme, la qualiti della melodia ¢ dell’armonia, la sensibilita che informa tutto il lavoro, sono prettamente moderne. In presenza dei tre pianoforti che costituiscono il nucleo principale dello strumentale, stato facile fare il nome di Strawinsky, pensando sopratutto a Noces. E certamente c’é Strawinsky in questa opera, come ci sono anche altri dei migliori moderni. Ma ci sono, vorrei dire, storicisticamente, in quanto sono carne e sangue della nostra eta musicale, e se ne sono nutriti tutti gli artisti vivi del nostro tempo, che non siano unicamente dei pedanti, Gi sono non come voluta imitazione, né come inconsapevole riecheggia- mento, ma in quanto fanno parte — alla pari coi classici — del patrimonio culturale d’un musicista moderno.

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