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- 6eaz + <€ : . inl Py eee uh ete tea — Federico Fellini Fare un film Con l'Asrabjografia af sina spettatore di Italo Calvina Antobiografia di uno spettatore di Italo Calvino Ci sono stati anni in cui andavo al cinema quast tute | gior- ni¢ magari due volte al giotno, ed erano gli anni tra diciamo il Trentasei e la guerra, !'epoca insomma della mia adolescen- va. Anni in-cui il cinema é stato per me il mondo. Un altro mondo da quello che mi circondava, ma per me solo cid che vedeva sullo schermo possedeva le proprieta d'un mondo, la pienezza, la necesita, la coerenza, mentre fuori dello scherme sammucchiavano elementi eterogenei che sembravano messl insieme per caso, i materiali della mia yita che mi parevano privi di qualsiasi forma. Il cinema come evasione, si & detto tante volte, con una formula che vuol essere di condanna, e certo.a me il cinema allora serviva a quello, a soddisfare un bisogno di spaesamen- to, di proiezione della mia attenzione in uno spazio diverso, un bisogno che credo corrisponda a una funzione primaria dell'inserimento nel mondo, una tappa indispensabile d’ogni formazione, Certo pet crearsi uno spazio diverso ci sono an- che altri modi, pi sostanziosi e personali: il cinema era il mo- do pid facile ¢ a portata di mano, ma anche quello che istanta- neamente mi portava pid lontano. Ogni giotno, facenda il gi- ro della via principale della mia piccola citta, non avevo occhi che peri cinema, tre di prima visione che cambiayano pro- gramma ogni lunedi ¢ ogni giovedf, e un paio di stambugi che davano film pitt vecchi o scadenti, con rotazione di tre alla settimana. Gia sapevo in precedenza quale film davano in ogni sala, ma il mia occhio cercava i cartelloni piazzati da una parte, dove s'annunciava il film de! prossimo programma, pet- ché Ja era la sorpresa, la promessa, Vaspettativa che m'avreb- be accompagnato nel giorni segueniti. Andavo al cinema-al pomeriggio, scappando di casa di na- scosto, o con la scusa d’andare a studiare da qualche compa- gno, perché nei mesi di scuola i miei penitori mi lasciavano po- ca liberta. La prova della vera passione era la spinta a ficcarmi Vil dentro un cinema appena apriva, alle due, Assistere alla prima proiezione ayeva vari vantaggi: la sala semivuota, come fosse tutta per me, che mi permetteva di sdraiarmi al centro dei «terzi posti» colle gambe allungate sulla spalliera davanti; la speranza di rincasare senza che si fossero accorti della mia fu- ga, per pol avere il permesso di uscire di nuovo (¢ magari ve- dere un altro film); un leggero stordimento per il resto del po- meriggio, dannosa per !o studio ma favorevole alle fantasti- cherie, E oltre a queste ragioni tutte a vario titolo inconfessa- bili, una ce n’era di pit seria: entrare all’ora dell’ apertura mi garantiva la rara fortuna di vedere il film dal principio, ¢ non da un momento qualsiasi verso la meta o la fine come mi capi- tava di solito quando raggiungeva il cinema a meta pomerig- glo o verso sera. L'entrare a film cominciato corrisponceva del resto all'usa barbaramente generalizzato degli spettatori italiani, e che tut- tora vige. Possiamo dire che gid a quei tempi precorrevamo le tecniche narrative piu sofisticate del cinema d'oggi, spezzan- do il filo temporale della storia e trasformandola in un puzele da ricomporre pezzo a pezzo o da accettare nella forma di cor- po frammentario. Per continuare a consolarci, dird che assi- stere all’inizio del film dopa che se ne conosceva la Eine dava soddisfazioni supplementarie: scoprire non lo scioglimento dei misteri e dei drammi ma la loro genesi; € un confuso senso di preveggenza di fronte ai personaggi. Confuso; come appun- to dey'essere quello dei divinatori, perché la ricostruzione della trama smozzicata non era sempre agevole, ¢ meno che mai se si trattava d'un film poliziesco, dove l'identificazione dell’assassino prima e del delitto poi lasciava in mezzo una zo- na di mistero ancor pid tenebrosa. Per di pitvalle volte tra il principio e la fine restava un pezzo perduto, perché improvyi- samente guardando !'oralogio m'accorgevo d’aver fatto tardi ese non volevo incorrere nelle ire familiari doyevo scappar via prima che sulle scherme fosse riapparsa la sequenza du- rante la quale ero entrato. Cos{ molti film mi sono rimasti con un buco nel mezzo, e ancor oggi, dopo piti di trent’anni, - che dico? — quasi quaranta, quando mi capita di rivedere une di quei film d’allora -alla televisione, per esempio -, ricono- sco il momento in cui era entrato nel cinema, le scene che avevo visto senza capirle, recupero ali spezzoni perduti, ri- metto insieme il puzzle come l’ayessi lasciato incompiuto il giorno prima. ' (Parlo dei film che ho visto dieiamo trai tredici e i diciot: Vor : non t'anni, quando il cinema m occupaya con una be oe on ha canfronto col prima ¢ col pol; dei film visti n i ane ricardi sone confusi; i film visti da aces ai meseoltn oe joni i je sono altre impressioni ed esperienze. : aane che scope il cinema allora: a sa chee. re ini ti i & finché poté di preservarn dini tirate, e mia madre cerc sie tlhe i do che non fossero programm rapporti col mon pe ‘ eter i ma mi accompag fine; quand’ero bambino al cinema 1 } sane i fi adatti» o «istruttivi», e solo peri film che reputava « i» o «istrutt Pe: chi eon del tempo del ae € cue -— Hoes a film:sull'Arca at ; qualche Charlot, un film sul i pA es f no £¢ n ag ‘on Novarto, Dirigibile in cul w pee aft te lo il documentario Africa its . fi a aren Bie i i Trager Mort. Fait mila, le avventure africane ader Hort ee Banks e Bure Keaton guano pot or petvaentc ia é é pit tardi li ho introdo’ eee ST necoae alla quale non potevano fee ino li mpla- appartenere; da bambino li parorere? eee sad i i ifesti i, Generalmen sione dei manifesti a colori. Ge pa eri ifi i i he del resto non capivo Pp tii film con intrecci amorosl, © He Lon va di consuetudine con la fisiogno per mancanza di ants pee Se ee i attori del film uno co 0; : ee seria | ii specie se erano bionde. Net avevano i baffetti, ¢ le attricl, specie *! ; des film d’aviazione che si usavano molto ai tempi della nie te ciullezza i personapel maschili s inom ea ane i, esi i re bas 1, e siccome la vicenda era sempre ! ie viloti che per me erano un unico pilot ne See i il mio apprendistata f : ran confusione. Insomma, il mio af ee a stato lento ¢ contrastato} perelo ne esplose ta passio cui parlo). ps 1 i cinema a uando invece ero entrato ne 4 dae all’ uscitne mi colpiva il senso del ese spn contrasto tra due dimensioni senate diese? e ee ilm. entrato in piena luce e ritrovay ue oS annie utigavano il bianco-e-nero dello scher ie illuminate che prol ance ‘ : ae TI buio un po’ attutiva la geen gmail trai ne eel: 4 po’ ché marcava il passagglo [ un po’ l'accentuava, perche | re ae i iottita in una sospe! ore che non avevo vissuto, Ingniol una ee a : naria, o nels o nella durata d’una vita immagt | sa Pindietro nei secoli. Un'emozione speciale ee i : corciate o allungate: ento che le giornate s erano ac : Sal e-stagioni [sempre blando nella localita tem del passare de 1 i se on cui vivevo) era all’uscita del cinema che mi raggt in una mia infatzta quattro o alle Ix geva, Quando nel film pioveva, tendevo l'orecchio per sentire ses'era messo a piovere anche fuori, se m'aveva sorpreso un acquazzone essendo scappato di casa senza ombrello: era |'u- nico momento in cui, pur restando immerso in quell’altro mondo, mi ticordavo del mondo di fuori; ed era un effetto an- goscioso, La pioggia nei film ancor oggi risveglia in me quel ri- flesso, un senso d’angoscia. Se non era ancora ora di cena, m’intruppave. con gli amici sue gi per i marciapiedi della via principale. Ripassavo da- vanti al cinema da cui eto appena uscito e sentivo dalla cabina di proiezione battute del dialogo risuonare sulla via, e le rice- vevo adesso con un senso d'irrealta, non pid d’immedesima- zione, perché ero ormai passato nel mondo di fuori; ma anche con un senso simile alla nostalgia, come chi si volta indietro su un confine, Pengo a un cinema in particolare, il pid vecchio della mia citta, legato ai primi miei ricordi dei tempi del muto, e che di quel tempi aveva conservato (fino a non malti anni fa) un'in- segna liberty decorata di medaglie, e la struttura della sala, un lunge camerone in discesa fiancheggiato da un corridoio a ca: Jonne. La cabina clell'operatore apriva sulla via principale una finestrella da cui risuonavano le assurde voci del film, metal- licamente deformate dai mezzi tecnici dell'epoca, ¢ ancor pid assurde per l'eloquio del doppiaggio italiano che non aveva rapporto con nessuna lingua parlata del passato o del futuro. Eppure la falsita di quelle voci doveva pur avere una forza co- municativa in sé, come il canto delle sirene, ¢ io passando ogni volta sotto quella finestrella sentivo il richtamo di quel- altro mondo che era il mondo. Le porte laterali della sala davano su un vicolo; negli inter- valli la maschera con pli alamari sulla giubba apriva le tende di velluto rosso e il colore dell'aria di fuori s’affacciava alla soglia con ciserezione, i passantie gli spettatori secuti si guardava- no-conun po’ di disagio, come per un'intrusione sconveniente per gli unio per glialtri, Specie l'intervallo tra il primo e il se- condo tempo (altra strana usanza solo italiana, che inspiega- bilmente si é conservata fino a opgi) veniva a ricordare che ero sempre in quella citta, in quel giorno, in quell’ora: e se- condo ’umore del momento cresceva la soddisfaziane a sape- re che tra un istante sarei tornato a proiettarmi nei mari della Cina o nel terremoto di San Francisco; oppure mi piombava addosso il richiamo a non dimenticare che ero sempre qui, a non perdermi lontano. x Meno crude erano le interruzioni nel pit importante cine ma cittadino d'allora, in cui il cambiamento d'aria avv Kai con l'aprirsi di una cupola metallica, al centre di una volta af- frescata a centauri e ninfe. La vista del cielo introduceva if mezzo al film una pausa di meditazione, col lento pai una nuvola che poteva pur giungere da altri continent, ca tri secoli, Nelle sete d’estate la cupola restava aber ee ie durante la ptoiezione: la presenza del firmamento inglobava rutte le lontananze in un solo univetso. is Nelle vacanze estive frequentavo 1 cinema con pit calmae liberti, La maggior parte dei miei compagni di scuola Beye no d'estate la nostra cittadina marittima per la montagna o la campagna, € io restavo senza compagnia per settimane eet timane, Era una stagione di caccia al yecchi film ches apn a per me ogni estate, perché si tormavano a programas 1 ‘a d’anni precedenti, di prima che questa fame onnivora si imp drotiisse di me, e in quei mesi potevo riconqu istare ann) per duti, rifarmi un'anzianita di spettatore che non avewo. Fi is del normale circuito commerciale: solo di quelli che ee d a esplorazione dell’universo tetrospettive dei cineclub, a storia. consacrata ¢ racchiusa nelle cinemateche segnera un’al- tra Fase della mia vita, un rapporto con citta © mond diversi, e allora il cinema entrera a far parte di un discorso pit cone plesso, d’una storia); ma intanto porto ancora con me ae wione che ebbi a recuperare un film di Greta Garbo che sara stato di tre o quattro anni prima ma che per me epuareeney alla preistoria, con un Clark Gable giovanissimo, a a i, Cortigiana si chiamava, o era Valtro? perché erano-dite 1 tim di Greta Garba che aggiunsi alla mia callezione in quella stes- sa serie estiva di riprese, la cul perla resto comunque Lo ? on Jean Harlow. wl ae oie detto, ma mi pareva sottinteso, che il ae ma era per me quello americans, la produzione coterie ‘ Hollywood. La «mia» epoca va pressapoce dai Laneiert de Bengala con Gary Cooper eb ‘ammmutinarmento del ce Charles Laughton e Clark Gable, fino alla morte di i ner ar- low (che rivissi tanti anni dopo come morte di Mary! a on roe, in un'epoca pil cosciente della cariea ectarite ogni simbolo), con in mezzo molte commedie, i gial ae i Myrna Loy e William Powell ¢ il cane Asta, i musicals di Free Astaire e Ginger Rogers, i gialli di Charlie Chan detective a nese ej film del terrore di Boris Karloff. Inomi dei registill avevo meno presenti dei nomi degli attori, tranne qualcuno XI come Frank Capra, Gregory La Cava, ¢ Frank Borzage il qua- le anziché i miliardari rappresentava la povera gente, di solita con Spencet Tracy; erano i repisti dei bunt sentimenti dell'e- poca di Roosevelt; questo lo imparai pi tardi; allora mandavo giti outto senza molto distinguere. I] cinema americano in quel momento consisteva in un campionario ci facce d’attorl senza uguali né prima né poi (cosi almeno.a me pare) e le vicende erano semplici meccanismi per far stare insieme queste facce (amorosi, caratteristi, generici) in combinazioni sempre diver- se, Attorno a queste trame convenzionali quel che alepgiava di sapore d’una societi e d’un’epoca era poca cosa, ma appun- to per questo mi raggiungeva senza che sapessi definire in che consistesse, Era (come avrei-appreso in seguito) la mistifica- zione di quanto quella societa portava dentro, ma era una mi- stificazione particolare, diversa dalla mistificazione nostrana che ci sommergeva durante il resto della giornata. E come per lo psicoanalista ha uguale interesse che il paziente menta o sia sincero perché comunque gli rivela qualcosa di sé, cosi to spet- tatore appartenente a un altro sistema ci mistificazioni avevo qualcosa da imparare sia da quel poco di verita sia da quel molto di mistificazione che i prodotti di Hollywood mi dava- no. Percid non porto aleun rancore a quell’immagine menzo- gneta della vita; ora mi sembra di non averla mai presa per ve- ra, ma solo per una tra le possibili immagini artificiali, anche se allora non avrei saputo spiegarlo, Circolavano anche i film francesi, certo, che si manifestava- no come qualcosa di completamente diverso, dando allo spae- samento un altro spessore, un aggancio speciale tra i luoghi della mia esperienza ei luoghi dell'altrove (l'effetta chiamato «tealismo» consiste in questo, avrel capito pol), e dopa aver visto la Casbah di Algeriin Pepé le Moke guardayo con altri occhi le vie a’scale della nostra citta vecchia, La faccia di Jean Gabin era fatca d'un altro materiale, fisiologico ¢ psicalogico, ca quelle degli attori americani, che mai sisarebbero alzate dal piatto sporche ci minestrae d'umiliazione come all’inizio di La Bandera, (Solo quella di Wallace Beery in Vive Villa poteva starle vicino, e forse anche quella di Edward G. Robinson), Ilcinema francese era preve d'odori quanto quelle americane sapeva di palmolive, lustro e asettioa. Le donne avevano una presenza carnale che le insediava nella memoria come donne vive e insieme come fantasmi erotici (¢ Viviane Romance la figura che associa a questa pensiere), mentre nelle stelle di Hollywood l’erotismo cra sublimato, stilizzato, idealizzato. XI ; ; ' : (Anche la pid carnale delle oe eo Hee in i le jancore latino Jean Harlow, era tesa irre ; se della i 8 Nel bianco-e-nera la ae re pies ith aoe 1 i + wisi femmintli, delle gambe, transfigurazione dei visi fe lid i : e aetaeone: faceva di Marlene Dietrich non l’oggetto ike diato del desiderio ma il eee — come Sin oe ss i il cinema francese P s terrestre). Avvertivo che fs Sn inqui i sapeve che Jea i ie vagamente proibite, fusion educe che voleva andare a col- i i un reduce che vo ac in Qwai des brames non era | d a ae una plantagione nelle colonie, come il copay re e liana cereava di far credere, ma un disertore che schnpas dal fronte, tema che la censura fascista non ayre EMesso. = Insomma, anche del cinema francese degli noe aan i ; dell'americano, ma Ul dis trel parlare a lungo come : Taegherebbe a tante altre case che non act ot han no Anni Trenta, mentre il cinema americano de Esa Trenta sta a sé, quasi direi che & at un pnt oer au i i » poi nella stor ; i certo ¢ senza un prima e un pol h ees A differenza del cinema frances i ane mentor ‘4 i con la letteratuta: ue non aveva niente a che fare a la ragione per cul si stacca nella mia esperienza con Un chee ‘ £ i eld terve di comportamenti; cera un eroe possibile per oy peramento; per chi si proponeva d'affrontare aves eT ae ne, Clark Gable rappresentava una certa a ae 8 ee dalla spacconeria, Gary arene un sangl i nee iSeS if ironi i ya di rare gli lironia; per chi contava dt sup relapse ir tai aplomb di William Powe humour eil savoir faire, cera i ae discrezione di Franchot Tone; per J'introverso ene : ie a sua timidezza c’era James Stewart, mentre Bee : ve . i] modello dell'uomo aperto € giusto che sa fare le cos ue sue tani; e veniva proposto perfino wn rare esempio 2 7 ¢ d intelletiuale, in Leslie Howard. ’ = Gon le at trici la pamma delle fisionomie © dei paneer s ‘ site pitt ristretta; le truceature, le ae é ne Ree ili i itaria divisa : yano a una stilizzazione Un : gorie fondamentali delle bionde ¢ delle brune, & ss inert a ‘ogni categoria s’andava dall’estrosa Carole Lombard alla p XI Jean Arthur, dalla bocca ampia ¢ languicla di Joan Crawford.a quella sortile e pensosa di Barbara Stanwyck, ma in mezzo era un ventaglio di figure sermpre meno differenziate, con un certo margine d'intercambiabilita. Tra il catalogo delle donne incontrate nei film americani e il catalogo delle donne che s'incontrane fuori dello schermo nella vita di tutti i giorni non si tiusciva a stabilire un rapporto; direi che dove finiva l'une cominciaya laltro, (Con le donne dei film francesi inve- ce questo rapporto c’era). Dalla spregiudicatezza monellesca di Glaadette Colbert all’energia punruta di Katherine Hep- burn, il modello pit importante che i caratteri femminili del cinema americano proponevano era quello della donna rivale dell'uomo in tisolutezza ¢ ostinazione e spirito e ingegno; in questa lucida padronanza disé di fronte all'uomo, Myrna Loy era quella che metteva pid intellipenza e ironia. Ora ne parlo con una serieta che non ayrei saputo collegare alla lepgerezza di quelle commediole; ma in fondo per una seciera come la nostra, per il costume italiano di quegli anni, soprattutta in provincia, questa autonomia ¢ iniziativa delle donne america- ne poteva essere una lezione, che in qualche modo mi rag- giungeva, Tanto che m'ero fatto di Myrna Loy il prototipo d'un femminino ideale forse uxorie forse sororale, comunque @identificazione di gusto, di stile, che coesisteva accanto ai fantasmi dell'aggressiviti carnale (Jean Harlow, Viviane Ro- mance} e della passione estenuante ¢ languida (Greta Garbo, Michéle Morgan), verso i quali l'attrazione che provavo era yenata da.un senso di timore; o accanto a quell'immagine di felicita fisica ¢ allegria vitale che era Ginger Rogers, per cui nutrive un amore sfortunate in partenza anche nelle réveries: perché non sapevo-ballare, Ci-si pud chiedere se il costruirsi un olimpo di donne ideali e per il momento irraggiangibili fosse un bene o un mele per un giovane. Un aspetto positivo certamente l'aveva, perché spingeva a fon accontentarsi di quel poco o molto che si in- contrava € a proiettare i propri desideri piu in lA, nel futuro o nell'altrove o nel difficile; I'aspetto pit negative era che non insegnava a guardare le donne vere con occhio pronto a sco- prire bellezze inedite, non conformi ai canoni, a inventare personaggi nuovi con cid che il caso o la ricerca ci fa incontra- re nel nestre orizzonte, Se il cinema era per me fatto soprattutte di attari e attrici, devo pur tener presente che per me, come per tutti gli spetta- tori italiani, esisteva solo la meta d'ogni attore ed’ ogni attri- NIV ahs ‘ ie ce, cio solo ta figura e non la voce, Hele cel a jagel ii nvenzionale ¢ del doppiaggio, da una dizione conve! ‘ i i lla scritta stampata che neg insapore, non mens anonima della s¢ 1 eglt alte oath (o almeno in quelli fe aii apace sae con i pid agilt informa di quel che rati piu agilt mentalmente) na di g ote ensibile d’una pronuncia p municane con tutta la carica sensu eae ee : i tea fatta di labbra, di deni, ch 3 nale, d'una sigla fonetic : ee eopratiche div fatta soprattutto delle provenienze & iverse went americano, in una lingua ee achi pape oral i inon la capisce ha un cl piu gfumature espressive ¢ per ch seh t iali icale (quale quella che oggi sentiame ne pe i i), La convenzionalita del i i he in quelli svedesi}. La co lit Bee preeticena aoiatt d addoppiata (mi si scu- i i ungue raddopp cinema americano mL arrivava i | ; si il bisticcio) dalla convenzionalita del dopplaesio, °° A ie i i arte dell’ incantest ‘ stti orecchi perd entrava a far pa Oe i i i ni, Segno che la forza del cine- inseparabile da quelle immiag! Je ma : nata muta, ela parola - almeno per gli ete fe i jrapposizione, _ 2 sempre sentita come una sovrappee | said i esto} film italiani d’allora se non ) in stampatello, (Del resto ¥ eee iatl non ne parlo, pur ay doppiati, era come se lo fossera, o¢ : _ al aa tutti ¢ ricordandometls perche ee co i i in questo discorso sul c a co, in male o in bene, € : dane i i trei proprio farce ra dimensione del mondo non potrel pt cell entrs t Nella mia assiduita di spettatore di film americani snl un'ostinazione da collezio nista, per cul ee le ae aiipiad i ice erano came i france ni d'un attore o d’una attrice eran Abolll. ans secicanda nell’ album della mia me i serie che andavo appiccicaty a | i re nominate finora aly solmando-a poco a poco le lacune. Fo : divi famost na i] mio collezionismo s'estendev aalla see ae ic! | tempo erano un necessahio Inge paelyneae ete li ici Everett Horton o i fi i, come Ever d'ogni film, specie net ruali comici, ee i i di acattivo», come John Gar Frank Morgan, 0 nel ruoli di “ ann ee j ome nella commedia ci masc o Joseph Calleja. Era un po com a cM eeeree i 2 prevedibile, e gia leggendo 1p re, dove ogni ruclo ¢ pre i i pene eo she Billi arebbe stata la signor po cast sapevo che Billie Burke s alenore OT i - Smith il colonnello burbero, Mischa svanita, Aubrey Smith il co bers MR i ene Pallette i] miliardario, mam 4 spiantate scraccone, Eug a oe i a, di riconoscere una spettava anche la piccola sorpresa, : ae in una parte che non ci s1 aspetta, magari ea er altro modo, Conosceve i nomi quasi di iets ane it 5 i i ialkeheo permaloso (Hugh I’ag- che faceva sempre il portiere indies sgh ae she di sempre il barista ta 1 borne}, anche di quello che faceva a raft to a ed'altri di cui non ricordo o non riuscli mala KV sapere i nomi ricordo le facce; per esempio dei vari maggior- demi, che erano una categoria a sé molto importante nel cine- ma d'allora, forse perché gia ci si cominciava ad accorgere che l'epoca dei maggiordomi era finita, Un'erndizione da spettatore, la mia, si badi bene, e non da specialista. Non potrei mai competere con gli eruditi profes- sionali in materia (e neppure presentarmi a « Lascia o raddop- pia») perché non ho mai avute la tentazione di suffragare i miei ricordi con la consultazione di manuali, repertori filmo- gratici, enciclopedie specializzate. Questi ricordi fanno parte d'un mio magazzino mentale dove non contano i documenti seritti ma solo il casuale depositarsi delle immagini lungo le giornate e gli anni, un magazzino di sensazioni private che non ho mai volute mescolare con 1 magazxini della memoria collettiva, (Dei critici di quel tempo seguivo Filippo Sacchi, sul «Corriere», molto fine & attento al miei attori favoriti, e— pili tardi — « Volpone», sul «Bertoldos, che era poi Pie- tro Bianchi, che per primo gettava un ponte tra cinema ¢ let- teratura). Va detto che tutta questa storia si concentra in pochi anni: la mia passione ebbe appena tempo di riconoscersi ¢ liberarsi dalla repressione familiare, ¢ fu soffocata d'improvviso dalla repressione statale. Tutto‘a un tratto (mi pare ne! 1938) I'Ita- lia, per estendere la sua autatchia al campo cinematografico, decreto embargo ai film americani, Non era propriamente una questione di censura: la censura come al solito dava o non dava il yisto ai singoli film, ¢ quelli che non passavano, nessu- no li vedeva ¢ basta, Malgraclo la goffa campagna antibally- woodiana con cui accompagné il provvedimento la propagan- da del regime (che proprio a quel tempo s'andava allineando al razzismo hitleriano), la vera ragione dell'embargo doveva essere di protezionismo commerciale, per far posto sul merca- to alla produzione italiana (¢ tedesea). Per cul restarono eselu- s¢ le quattro pili prosse case americane di produztone e distri- buzione — Metro, Fox, Paramount, Warner — (@ sempre a memoria che riferisco, fidandami dell'esattezza di registrazio- ne del mio trauma), mentre film d’altre case americane come rxO, Columbia, Universal, United Artists (che anche prima venivano distribuiti attraverso societa italiane) continuarono ad arrivare fino a tutte il 1941, cloé finché "Italia nan si través in guerra contro gli Stati Uniti. Mi fu concessa ancora qualche sodclistazione isolata (anzi, una delle mapgiori: Onbre rosse) ma la mia yoracita collezionistica era colpita a morte. XVI Tn confronto a tutte le He Bea nde be yes amo aveva imposto, ¢a quell ancor pin Bh eH a endo in quegli anni di pre-guerra € poi di guerra, PVeto ’ film Srcinl a certo una privagione ae a ee i ig hon ero cost sciocea da non saperlo: perd era eG s pisse direttamente me, che non avevo concer ay ee che quelli del fascismo né sentito altri bisogni da q 4 in cui vi e soddisfare. Era la |'ambiente in cui vivevo poteva suggerire ¢ soc! grey prima volta che un diritto di cui godevo mi veniva a ih che un diritte, una dimensione, un mondo, uno ce ees mente; ¢ sentii questa perdita come un epee one a che racchiudeva in sé tutte le forme d Ce ae . scevo solo per sentite dire o per averne Visto 30 van ae sone, Se ancota ogei posse parlarne come d un bene Pe a & perché qualcosa scomparve cosi dalla mia vita bet a comparire mai piu, Finita la guetta tanite cose crano € i io ero cambiato, ¢ il cinema era diventato un'altra one se tra cosa in sé un'altra cosa in tapporto con a a pinwies grafia di spettatore riprende ma ¢ quella d'un altro spettatore, iti soltanto spettatore. ; \ gee altre cose nee la testa, se ee cal Hieorde.d cinema hollywoodiano della mia adolescenza, ie oul a povera cosa: non era una delle epoche eroiche del ae a li inizi del parlato di cui le mie prin See ne if i ie del cinema m'avevatio acceso la voglia, Anche i mie ee della vita di quegli an a oe : as oe i — iderato come l'insigniticante q iat mana eee icato, di tensione, di pe nel riconsiderare i ee il ee is ne iv lio pit o, pil preve ; mor Pree mants di fuoet. Certo, posso pur sempre dire she =i stata la vita di provincia grigia © banale a spingermi ver ae gni di celluloide, ma so di ricorrere a un logo Sen te semplifica molto la ee dell ser ca a nae ora spieghi come € petché ta vita prov ae va durante l'infanzia ¢ Vadolescenza era tutta fata ae nialla norma, ¢ la tristezza el accidia se c'erano aoe oe li me ma non nell’aspetto visihile delle case, E anche ; ino: in una localita dove la anes rae a a i coglieva, era un insieme di fa ale, Bact individual, Cane a fae eon aE Mes 1 bi ma (dico agli oc is joey eres da fuori mezzo da dentro) un elemento xv di conttasto in pii, un frammento del puzzle che per il suo contorno difforme era pid difficile da far quadrare con gli al- tri, un film di cui aveyo perduto l’inizio e di cui non sapevo immaginare la fine. Cos’eta stato dunque allora il cinema, in questo contesto, per me? Direi: la distanza, Rispondeva aun bisogno di distanza, di dilatazione dei confini del reale, di ye- der aprirsi intorno delle dimensioni incommensurabili, astrat- te come entita geometriche, ma anche concrete, assoluta- mente piene di facce ¢ situazioni e ambienti, che col mondo dell’ esperienza diretta stabilivano una loro rete (astratta) di rapport. Dal dopoguerra in poi il cinema é stato visto, discussa, fat- to, inun modo completamente diverso. Il cinema italiano del dopoguerra non so quanto abbia cambiato il nostro modo di vedere il mondo, ma certo ha cambiate il nostro modo di ve- dere il cinema (qualsiasi cinema, anche quello americana). Non c'é un mondo dentro lo schermo illuminato nella sala buia, ¢ fuori un altro mondo ererogeneo separato da una di- scontinuita netta, oceano o abisso, La sala buia scompare, lo schermo @ una lente d'ingrandimento posato sul fuori quoti- diano, e obbliga a fissare cid su cui l’occhio nuclo tende a seor- rere senza fermarst. Questa funzione ha — pud avere — la sua utilicd, piccola, o media, o in qualche caso grandissima. Ma quella necessitd antropologica, sociale, della distanza, non la soclista, Pai (per riprendere il filo della biografia individuale) io so- fo entrato presto nel mondo della carta scritta, che lungo i suo margine contina col monde della celluloide, seuramente ho subito sentito che, in nome del mia vecchio more per il cinema, dovevo preservare la mia condizione di puro spettatere, e che ne ayrel perso i privilegi se fossi passata dalla parte di quelli che fanno i film: non cbbi, d'altronde, mai la tentusione ci provare, Mala societa italiana avendo po- co spessore, con quell che fanno il cinema ci si trova insieme in trattoria, tutti si conoseano con tutti, cosa che gia toglic buona parte del suo fascino alla condizione dello spettatore (e del lettore), Si aggiunpa il fatto che Roma per un po' di tempo era diventata una Hollywood internazionale, ¢ che tra le cine- matografie dei vari paesi sono presto cadure le barriere: in- somma il senso della distanza si é perso in ogni sua accezione, To comunque continuo a andare al cinema. L'incontro ec- cezionale tra lo spettatore e una visione filmata pu prodursi sempre, per merito dell'arte oppure del caso. Nel cinema ita- XVOL liano ci si puo aspettare molto dal genio pelea o se ma pochissimo dal caso, Questa dey'essere una ¢ hee per cui il cinema italiano l'ho talvolta amines spes me prezzato, ma non l'ho mai amato. Sento oe mot ae d’andare al cinema ha tolto piri di quanto ha ato, Pe! - ae sto piacere va valutato non solo sui « film d’autore» co oe entra in un rapperta critica di tipo «letteration, oe ee pud venir faort di nuovo dalla pean media & ne con cui cerco di ristabilire un rapporto puro ie tee Dovrei allora parlare della commedia set ¢ oe che per tutti gli Anni Sessanta ha castitulto lapr st a dia italiana tipo. Nella pia parte dei casi la trova sive oa perché quanto pitt la caricatuta dei nostri Pan eo tae vn ciali vuol essere spictata tanto pit St sere compiac “ ney dulgente; in altri cast la trove simpatica & co sie timismea che resta tmiracolosamente genuino, - ce che non mi fa fare passi avanti nella conossit ies He Bg Insormma, guardarci direttamente negli occhi é | i ey talita italiana & giusto che incanth gli stranieri ee caso che una produzione artigiana diqu ali oe joinalita stilistica sia nata da nol col western all'it caren ifi Tia dimensione in cui i] cinema 1a- liana, cioé come rifiuto della dime rasa liano s'era affermato ¢ fermato. E come costrusione ee spazio astratto, cfoemaiane a mae dee inematografica. (la in ulate ai ah rome paola di massa: di cosa peepee il film western per noi, di come integriamo cote cae mito per investire in eso quel che portiama a . an Cost anch'io, per ricrearm il piacere del eine ev i re dal contesto italiano e ritrovarm! un pa ae ~ sale strette strette e puzzolenti del studios on ied ee tino posso ripeseare i film degli Anni Ventio ks ee devo d'aver perduto per sempre, o lasciarmi ager a rie Hima nowita magari brastliana o polacea; che artiva ca o a tidicui non so niente. Insommao vado acercare | aces ne che mi illuminino sulla mia preistoria, © quelli oil n ea potermi forse indicare come sara il mondo dopo di ine aN che in questo senso sano Sempre i film ssaaeape =P ee quelli pri nuovi - che hanno da conimnaie nt oe Ge inedito: sempre ancora sulle autostrade, sui ¢ nee ae {acce giovani o veechie, sul modo di muoversi attraverso ghi e di spendere la vita. KIER Ma cid che il cinema da adesso non é pid la distanza: ¢ il senso itreversibile che tutto ci é vicino, ci é stretto, ci é ad- dosso. E questa osservazione ravvicinata pud essere in un sen- so eaplorativo-documentario o in un senso introspettivo, le due direzioni in cui possiamo definire oggi la funzione cono- scitiva del cinema. Una ¢ quella di darci una forte immagine d'un mondo esterno a noi oe per qualche ragione oggettiva o soggettiva non riusciamo a percepire direttamente; l'altra é quella di forzarci a vedere noi stessi ¢ il nostro esistere quoti- diana in un modo che cambi qualcosa nei nostri rapporti con noi stessi. Per esempio l'opera di Federico Fellini é quel che pit s'avvicina a questa biogratia di spettatore che lui stesso m'ha ora convinto a scrivere; solo che in lui la biogratia ¢ di- yentata cinema a sua volta, il fuori che invade lo scherma, il buio della sala che si rovescia nel cono di luce. Quella autobiografia che Fellini ha proseguito ininterrotta- mente dai Vite/lo#i a oggi mi tocca da vicino non solo perché come et’ cl separano solo pochi anni, e non solo perché venia- mo entrambi da citta di riviera, lui adriatica e io ligure, dove la vita dei giovinotti sfaccendati si somigliava abbastanza-(an- che se la mia Sanremo aveva molte differenze dalla sua Rimi- ni, essendo una citta di frontiera e can un Casind, eda noi il divario tra l'estate balneare ¢ la «stagione morta» dell'inyer- no fosse sentito come tale forse solo negli anni della guerra), ma perché dietro tutta la miseria delle giornate al caffé, della passeggiata fino al molo, dell’amico che si traveste da donna e poi si sbronza e piange, riconosco una giovinezza insoddi- sfatta di spettatori cinematografici, d'una provincia che giu- dica se stessa in rapporto al cinema, nel confronte continuo con quell’altro mondo che ¢ il cinema. La biografia dell'eroe felliniano — che il regista riprende da capo ogni volta — in questo senso é pili esemplare della mia perche il giovane lascia la provincia, va a Roma ¢ passa dall’al- tra parte dello schermo, fa il cinema, diventa cinema lui stes- so, [1 film di Fellini & cinema rovesciato, maechina da proie- zione che ingoia la platea e macchina da presa che volta le spalle al set, ma sempre i due poli sono interdipendenti, la provincia acquista un senso nell’essere ricordata da Roma, Roma acquista un senso nell'esserci arrivati dalla provincia, tra le mostruosita umane dell’una ¢ dell'altra si stabilisce una mitologia comune, che ruota intorne a gigantesche deita fem- minili come la Anita Ekberg della Dolce vita. Ed & a portare alla luce ¢ classificare questa convulsa mitologia che punta il xX lavoro di Fellini, con al centro ['autoanalisi di Otto ¢ mezze come una spirale gremita di atchetipi. : x Per definire pia esattamente come sono andate ; cose, i sogna tener presente che nella biografia di el bee gimento dei ruoli da spettatore a regista & preceduto aa o da Jettore di settimanali umoristici disegnatore ¢ collabora- tore dei medesimi. La continuita tra il Fellini Heh seat umorista¢ il Fellini cineasta ¢ data dal personaggio di Giuliet- ta Masinae da tutta la speciale «zona Masina» della sua opera, cine d'una poeticita rarefatta che ingloba la schematizzazione figurativa delle vignette umoristiche, € $1 estende - eae le piazze paesane della Strada — al mondo del sh alla ee conia dei clown, uno dei motivi pit, insistiti della tastiera teil niana, ¢ pid legati aun gusto stilistico retrodatato, cio’ corri: sponde a una visualizzazione infantile, peas Bee matografica d'un mondo aaltra®, (Quel ees speae | cinema conferisce un’illusione di carnalita che confonde | suol fantasmi con la carnalita attraente-repulsiva della vita). ah E non a caso il film-analisi del mondo della Masina, | i fetta degli spiriti, ha come dichiarato riferimento fons cromatico le vignette a.colori del «Corriere dei Piccoli»: mondo grafico della carta stampata di grande diffusione che rivendica la sua speciale autorita visuale e la sua stretta paren- inema fin dalle origini. a ‘ A cas ndo aise il settimanale umoristico, ce tio credo ancora vergine per la sociologia della ee no com’é dai percorsi tra Francoforte € New York), in Ire studiato come canale indispensabile quasi quanto, ae per definire la cultura di massa della provincia italiana i 5 due guerre. E andrebbe stucliato (se non é stato ancora mee ) i] legame tra giornale umoristico ¢ cinems peers nee s’altro che per il posto che occupa nella biografia dun altro ¢ piti anziano dei padri fondatori del nostro cinema: st E l'apporto del giornale umoristico (forse pit ans : le letteratura, della cultura figurativa, della fotogratia so fee ta, del giornalismo longanesiano) che fornisce al et i no un tipo di comunicazione col pubblico gia collaudate, me stilizzazione di figure edi racconto. Bi Ma il rapporto del Fellini regista non ¢ solocon la zona in ['umorismo «poeticos, « crepuscolare, «angel ico®, entro quale egli s'era situato con le sue vignette e 1 suo! sui oe nili, ma anche con l’aspetto pin plebeo ¢ romanesco che car ss terizzava altri disegnatori del «Marc Aurelio», per esemp XX Attalo, il quale rappresentava la societa contemporanea con una sgradevolezza e una voluta volgarita, con un tratto d’in- chiostro cosf sgarbato e quasi sguaiato da escludere ogni illu- sione consolatoria. La forza dell'immagine nei film di Fellini, cost difficile da.definire perché non si inquadra nei codici di nessuna cultura figurativa, ha le sue radici nell'aggressivita ri- dondante e disarmonica della grafica giornalistica, Quella ag- aressivita capace di imporre in tutto il mondo cartoons ¢ stri- pes che quanto pili appaiono marcati da una stilizzazione in- dividuale tanto pid risultano comunicativi a livello di massa, Questa matrice di comunicativa popolare Fellini non l'ha mai persa anche quando il suo linguaggio si é fatto pid sofisti- cato, Del resto il suo anti-intellettualismo programmatico non @ mai venuto meno; l’intellettuale é per Fellini sempre un di- sperato, che nel migliore dei casi s'impicca come in Oito ¢ mezzd, e quando gli scappa la mano come nella Davee vita si spara dopo aver massacrato i figliolercti, (La stessa scelta in Roma viene compiuta in epoca di stoicismo classico), Nelle in- tenzioni dichiarate di Fellini, all’arica lucidira intellettuale ra- ziocinante si contrappone una conoscenza spirituale, magica, di religiosa partecipazione al mistero dell'universo: ma sul piano dei risultati, né !'uno né l‘altro termine mi pare abbiano un risalto cinematografico abbastanza forte. Resta invece co- me costance clifesa dall'intellettualismo Ja natura sanguigna del suo istinto spettacolare, la truculenza clementare da car- nevale e da fine del mondo che la sua Roma dell’antichira o dei nostri giorni immancabilmente evoca, Quello che éstato tante volte definito come il barocchismo di Fellini sta nel suo costante forzare immagine fotoprafica nella direzione che dal caricaturale porta al visionario, Ma sempre avendo in mente una rappresentazione ben precisa co- me punto di partenze che deve trovare la sua forma pit comu- nicativa ed espressiva. E questo per noi della sua generazione é particolarmente evidente nelle immagini del fascismo, che in Fellini, per quanto grottesea sia Ja caricatura, hanno sem- pré un sapore di verita. Il fascismo che nel corso di vent’anni ha avuto tanti climi psicologici diversi, cosf come d'anno in anno cambiavano le divise: ¢ Fellini mette sempre !e divise giuste ¢ il clima psicologico giusto degli anni che rappresenta. La fedelta al vero non dovrebbe essere un criterio di giudi- zio estetico, eppure a vedere i film déi.giovani registi a cui place ricostruire l'epoca fascista indirettamente, come uno scenario seaticgimbolise) non posso fare a meno di soffrire. XXII fe tly vase As Specialmente nel pill prestigioso dei giovani ues i i to - i ino & regolarmente stanato, Mm on che ripuarda il fascis Hone a + ifteahile ma falso sul piano delle immagin, cettualmente giustificabile m agra iusci colpire nel segno nemm er cas come se mor rTiuscisse a e : ; O eaibile a di f i di un’epoca non é tra F Vorra dire che l'esperienza ai un epoca be ee ile di percezioni va inevitabilmente pers’! che un tessuto sottile re Cate ire ¢ imum attraverso le quall | g O vorra dire che le immagini et i i tto quelle che g Ttalia fascista ¢ che sone soprattutto 4 ch ei bbi a: 1 ni parziali che ittori iamo dato), Immagini paral serittori hanno data (abbi i oe arteneva a tutti, p no un'esperienza che apparten uct See caeatu ied apaci d'evoca- i @ non soho pri cap duto questo riferimento comun pid capac ae relo aan storico d’ pe soot Invece me Lena =o 2 i i i spernaccm nei Clowns il capostazione butte as oO jam ili roviario nerobaffute e che treno chiami un milite ferroviario neton es ia dei tapazzi si levine in un suenz spettrale le braccia dei ragazai si levino In Bh oman e il cima dell’epoca é restituita in pieno, ingot : bile. O basta che sulla platea del teatrino di variet’ di Row passi il lugubre suono di ste dell ae a eel. i isultato d°una pr Probabilmente lo stesso tis tant pe ore atura é tl i 5 agperazione della carte nione ottenuta-attraverso les F Naebieginnd: rrabi i ini dell’educazione religiosa, che scontrabile nelle immag He jellini trauma fondamentale, @ glu! Fellini pare esser stato un trat ondart sae i : izione di preti terrorizeantl, da come ritorna con l'apparizto | ' ae iri iologico. (Ma qui non ho competenza p orrore addirittura fisiolog' Hon since i elaica, plu iudicare: nosciuto solo la repression : Oe dei facile liberarsi). Alla presenza diuna i it iberarsi). Alla pre rigzata ¢ da cuié mene race IL oe i -civa, Fellini contrappone quella plo scuola-chiesa repressiva, Peli col cat : i iar steri della natura ¢ F duna chiesa mediatrice dei mi pa che non ha lineamenti come la eye nana a be geee i o che non rispom folle sull’albero in Ansarcord, ¢ m1 pe soa in crisi il veechissimo monsignore cl de dell'wome in crisi, come ae parla degli uecelli in Oxo e mezzo, certo la piti suggestiva, dimenticabile immagine del Fellini religioso. se velieane Cost Fellini pud andare molto avanti gulla stra Me pene isi i nza morale 5! ‘ 4, ma gu quella della ripugna rma, ae ; Windulgente complicita i o all'umano, all’indulg recupera il mostruoso all wr ee ee incia vitellona quanto la Koma | carnale, Tanto la provincte on i ‘oni dell’inferno, ma sono anc tografara sono gitont no a a ibili idi to Fellini riesce a aesi di Cuceagna, Per ques etd re oe do: petché ci obliga ad ammettere che cio che piu fino in fon obbliga ch yorrerame allontanare cle intrinsecamente VICINO, Come nell’analisi della nevrosi, passato ¢ pret ny lano le loro prospettive; come nello seatenarsi dell a’ XMHT istetico s’esterlorizzano in spettacolo. Fellini fa del cinema la sintomatologia dell’isterismo italiano, quel particolare isteri- smo familiare che prima di lui veniva rappresntato come un fenomeno soprattutto meridionale e che lui da quel luoga di mediazione geografica che + la sua Romagna ridefinisce in Amarcord come il vero elemento unificatare del comporta- mento italiano, Il cinema della distanza che aveva nutrito la nostra giovinezza é¢ capovolto definitivamente nel cinema del- la vicinanza assoluta. Nei tempi stretti delle nostre vite tutta resta If, angosciosamente presente; le prime immagini dell'e- ros ¢ le premonizioni della morte ci raggiungono in ogni so- no; la fine del mondo é cominelata con noi e non accennaa Finite: il film di cuici illudeyamo d'essere solo spetratori & la storia della nostra vita, Fare un film A Ginhtetta Nes Fev tri aepaai vont Renzt, Tullio Kezich, Camilla Ceder- » Ee no, Liliana Betti, Bernardino Zappori, Gi ial 1 i won . We + a nt Gia L Rondi, e tutel gli amici scrittori e giornalisti the con Siete Ae riosita ¢ partecipazione, mi : : ih { fata Datars del mas RES anna sollecitata in tante oecastonl a FEDERICO FELLINI Specialmente quando mi portano nella sala radiologica, mi gento un oggetto, una cosa. La sala, con le sue luci fred- de, pare Mauthausen, oppure una sala di missaggio. Mi la- sciana seminudo nella carrozzella; dila dai-vetr 1 medici in camice bianco parlano di me, fumano, miindicano tra di lore con gesti che vedo.e parole che non senta, I parenti degli altci malati mi passano accanto, nel corridoio, mi guardano seminudo: guardano loggetto. Oppure, il matti- ha, io sto disteso sul lette con le cannule nel nase, ta sirin- ga della fleboclisi infilzata nel polso ¢ le inservienti che puliscone la-camera, una di qua una di 1a dal letto, parlano sopra di me. Dice una: «Devi d’annd a San Giovanni su- hito dopo V’arco a sinistra, Risparmi ‘del doppio». Preeisa Valtra: «De vacchetta pera!» «Ma no. de camoseio, Te rl- cordi le scarpe de mi sorella al matrimonio. de Pilade? » «Embe? Nun etano de vacchetta? » «No, erand de camea- scio!» La notte, { corridoi sono pieni di fori, fiori, fiorl, che mettono fuori dalle stanze dei malati, come in un campo: santo. Le uci basse: nelombra, quando apri ali occhi vedi una testa galleggiare nell’aria, illuminata ca sotto co- me nei vecchi film gialli. Sono le manache o le infermicre che tengono una toreia eletttica a lnce in su per illumina- te i termometti, poterli guardare. Le facce che gallegpiano setvolano via nei cortidal, silen- viose, A volte, le monache fanno le iniezioni senza sve- gliarti, come sicart di Cesare Borgia; poi le vedi di schiena che scappano via nel buio. Spesso mi capita di essere fulminato da immagini che scoppiano in un eilenzio assoluto davanti alla mia faecia, Li pet If non te ne sendi conto;-tisembra di non aver visto hiente, ma dopo un po’ hai come il ricordo che & suceesso. qualeosa, che hai visto qualcosa ¢ rimani stranita & per 3 plesso-a cereare; cos'era? E da dove viene? L’altro giorno, per esempio, prima che il medica pallidissimo mi portasse con la sua auto a gran velocita qui in clinica, stavo tran- quillamente telefonando quands all'improvviso ho viste un nove piccolo piccolo pesato sopra una garza per confetti! un ovette augurale, per cerimaniali, Quest’ovetto rotolava sopra una superficie nerissima, bitorzaluta, respirante, Poi spariva. Cercava l’ovetta, ma mit sfilava davanti agli occhi una parete buia, come linterne delle fauct di un mostro. Non pareva che l’ovetto fosse stato stritolate perché la parete era molle, limacciosa, Sto pensando, sempre, al film che devo fare’. Forse il film ha bisogne di una nuova incubazione; quell’ovetto de- ve crescere. [ coai? Mah! Un giorno nell'ufficio della pro- duzione alla Vasca Navale mi ere sdraiato sopra un diva- naccio can Je molle rotte; voleva riposare un po’, era esta- te ¢ fuori si sentivano chissa da quanta tempo le cicale. Al- limprovviso mi crollano addosso a un millimetro dal naso venticinque milioni di tonnellate di pietra; la facciata del Duomo di Milano, o quella di Colonia, non so, Ho senti- to il vento della caduta, poi il tonfo terrificante aun mil- limetro dai miei piedi. Ho fatto un salto da acrobata, mi sono trovato diritto in mezzo alla stanza, Questa parete, grande come l'Himalaya, copriva tutto: tutto il cielo, tut- to lo spazio, tutta l'aria, Io ero wna formica, Allora ho pensato che le difficolté per portare avanti il film nasce- vano da un ostacolo di fonda, che forse, drammaticamen- te, era dentra di me. Sono rimasto un po’ spaventato, peé- ro la voglia di fare il film si ¢ rafforzata, una voglia donchi- seiottesca, Se al di 1A della Chiesona-Himalaya e’era il cie- le, Varia aperta, vuol dite che quello é lo spazio giusto e che devo trovare un modo per raggiungerlo. Fino adesso non l'ho trovato perd. In quei giorni mi sone convinto di poter morire di in- farto anche perché ho temuto che l'impresa fosse spropor- + gionata alle mie forze. «Liberare |'uomo dalla paura della morte». Come l'apprendista stregone che sfida la shinge, Fabisso mating, e ci muore, «E il mio film, — ho pensato, —che mi ammazza». Quando he avute l'impressione di morire, nei giorni scor- si, gli oggetti non erano pit antropomorfizzati. IL telefono, * TD elagels di G.. Mastonna, 4 che sembra sempre un grosso strano Tagnone 0 UA ee da boxe, era solo un telefono, Mano, none hemmet oo non era niente; & difficile dirlo; nan sapevo cos Era pes i anche i concetti di volume, colore, peepee! : vee modo d'intendersi con la realta, una serie C1 sim ae be definirla, una mappa, un abbecedario ufficiale i. A : bes lizzabile, ed era proptio questo rapporto intelct ee le cose che veniva di colpo a mancare. Come que ee che per far contenti dei medici amici che stavano ato oe gli effecti dell’Lsd, accettai di fare da cavia e bevyi un a zo bicchiere d’acqua dove dentto era stata sate ca et an’infinitesima parte di un milligrammo a ES ae - Anche quella volta la realtA degli oggettl, - echo oe luce, non aveva pit alcun senso ce © COS a se stease, sprofondate in una grande pace luminosa € § are ficante. In momenti come quello le coge non th Pee vai a bagnare tutto con la tua persona, come un ame’ ies case diventano innocenti perché togli di mezzo te aR una verginale esperienza, come il primo uoma mi si sto vallate, pratetie, il mare. Un mondo an a ae palpita di luce e di colori vivent! col ritme ee ne t pi ai tu diventi tutte le cose, non ser plu separato a il a ar auella nabe vertiginosamente alta nel mento ce = ee anche l’azzurro del cielo | a il ese a i yvanzale della finestra, e le foghe, ¢ 1a i ssuto di una tenda, E quello sgabello davanti a te EP Nob sai pid dare im bene a eel ee stanza, a quel disewno, che vibra onde Se a, sei felice cost. Hualey, in The d oon fee ception, ha mirabilmente descritto questo erate Sine za provecata dall’Lsd; ja simbologia ee aoe senso, gli oggetti sono sot Oe nk GE ja lore assenza-presenza, ¢ 1a ! : wieblee! » Pessere tagliato fuori dal ricordo della mediazio ie ti fa eapstonidare inun abisso avers Loe stenibile; di calpo, quella che un attimo prima era le i a ora & Vinferno, Forme mostruose senza senso ne = ae Quella nube schifosa, quell’atroce cielo azeutro, quelia t id ma oscenamente respirante, quello sgabello che non sai c cos’é, ti strangolano in un orrore senza fine. Nella clinica sono citeondato da suore straniere. Una en- tta dalla porta e mi dice: «Sempre scrivere, sempre sctive- re, Quanta filosofia», Rileggo cid che ho scritto, ¢ mi ver gogno, se il livello deve essere quello della «flosdfia». Un/altra, tutte le sere, mi porta un bicchiere ‘d'acqua di Lourdes. Me lo indica: «Lei deve!» Giorni fa mi ha detto: «Adesso che lei ha vuotato sua pleura, deve yuotare suo cuore». Io temeva-che alludesse a nuove iniezioni. «Eh, si, lei ha cuore molto, molto carico», « Ma quando si dovrebbe yuotare? » «Quando vuole lei, ogni mamenta & buono», L'equivoca é durato per un poca. Poi ho capite che voleva che mi confessassi. Percid, assieme all’acqua di Lourdes, mi manda ogni giorno un prete americano che pare De Sica, Il prete entra: «Come va? Pleurite?. Brutta bestiaccia». Alle cingue del mattina, & ancora buio, viene suor Bur- gunda: una suora con veli neri come ali di pipistrello, un cannello di gomma che tiene tra i dentie un gran cesta di provette., Come un vampire danubiano, dice: « Posso avere un po’ del suo sangue, signor Fellini? » Suor Raffaella, invece, & colombiana, «Come ci cente accl? Megio? » Poi si mette in mezzo alla stanza-e annun- via: «C'e il ciole e la luna e Ja luna dice al ciole: nen ti vergogni cosi grande ¢ grocio che non ti fanno ancora usci- re di nocie? » Poiché le piace, la ripete ogni mattina, Alle nove di sera viene a farmi dormire un'infermiera che si chiamia Ecdmea, Mi si avvicina. Ha una peluria bruna sul labbro, E di Faenza, Mi ticorda le baflone romagnole della chiesa det Paolotti, a Rimini, Io la chiamo un‘infinita di volte, la notte, Lei appare affettuosa: «Le faccio un'altra camomilla? » Racconta che suo padre, fino al sessant'anni, aveva amanti che nascondeva nel pollaio, Poi le andava a prendere, A sessant’anni, si fidanzava con tutte, ma diceva: «I miei geniteri son d’accordo, io d’accordissimo, ma mia moglie non yuoles, Lo trovaya spiritoso. Dopo i primi giorni (quando, in seguite al collasse per liniezione di baralgina, mi sentivo come un sasso nella fon- clay proprio nel pezzetto di cuoio, nel momento di essere proiettata; cioé, la sensazione di partire sibilando yerso un‘altra dimensione; comunque, fuori dalla clinica) sono cominciati a yenire tutti, a trovarmi. Sulla porta ho vista gruppi di generici, come quadri del Doganiere. Ho sentica guaiti, le monache |i tiravano indietro, Io benedicevo, acca- 6 rezzava teste, in una-sorta di scampanio suashegeaaecer tM malattia, da allo Sd a porta, 1 bs ee ta ¢ Montanari da Remint. titta, ; ae + ciato.a fare pernacchie. Lo avevano fermata, stava ee feechone con avers e infermiere: «Ma cazzo, non sso. vedere Federico? » ; : Poul pes ci sono i telegrammi. Mi faccio leagere aot color rosa fragola che vengono dai ministrt. Mi a ie essere in paradiso,-L’altra mattina, sulla oe on peas si mazzi di-rose, come in ut quadta del es ies che tentavano di entrare; rosette palpitantl, pea ante nute in mano da due monachine che zompavano ae i Erano le rose di Rizzoli, che mi perdonava, dopo il ee Ho subito telefonato a Rizeoll: «Il tua bale ‘i Fi to meglio degli antibiotici». Una voce pre aa cerns quella di Rizzoli e mi diceva trionfale: «Pell ini, its nee da piange! », come nel finale del Corsaro pie ree on voce ratta dal planto, Rizzoli continuava: #84 ha ae venite i lueciconi, Mi hai detto una cosa tanto au m en ne &-venuto a trovarmi. «Spero che questa ee t an bia messo la testa a posto, Adesso non devi piu are di una volta, ae quae cervellone, Adesso dev armi retta e fate i film che ti dico tow. a Oa nel corridoto, ho visto una decina di re sone che patlavano greco € tenevano in mano tani a cini, in forma di draghi e di salsieciotti, Non ventvé tal me, Andavano a trovare un parente che aveva avuto ee farto. Ho wisto il malato, pallido, nel letta, ¢ Se ae cini, gialli, rossi, attaccatl al soffitta. Perché ie ioe a Non sapevano cosa portare: arance, biscotti? Aveva ee yato un venditote di palloncini e ayevano portato:1 pa te la visita risolutiva & stata quella di Sega. Dabo re una premessa, Giornt fa, aperti gli eee a vi am fonda al letta. un cappotto nero, due ocehi ee a ie harbaccia: «Fellini come va? Sono Pighi della Sara a s ni chiamavate Bias te aN bss, aa Te Vado : » nazionali. Mi hanno dette: dove ; ea A dicono, vaia salutate quel pataca di Pullini e digli che € un pataca », iN a ela arcivati ” eben € lo arte ae ives : » je mattine dope, nellelenco Seis avere notizie cera sempre un nome che asso- 7 migliava a Pighi, o Figa. To credevo fosse lui e che le mo- nache avessero capito male il suo nome. Invece era Sega che era a Koma da tre giorni ¢ timandava la partenza per vedermi, Solo il quarto giorno ho capita che era Sega detta Bagarone. Ho supplicato la monaca di darmi il telefono, aveva come un brutto presentimento se non riuscivo a parlareli, Ma il telefono non me lo valevano dare, non do- vevo allaticarmi, doveve star -zitto, me lo dicevano anche in tedesco ¢ siccome pratestanda, io ha bestemmiato, la monaca mi ha guardato severissima, pol mi ha detto con du- rezza; «Lei non é un poeta», come se scoprisse un falso, con'stupore, Va bene, ho yaluto Sega, che telefonava ormai dalla stazione, Accentuando i toni agonizzanti, gli ho det- to! «Ragarone, non partire, vieni qua». A scuola, lo chia- mavano Bagarone, come gli stercorari, perché quando si ar- rabbiava, farfugliava. Al liceo era il primo della classe. Stu- dioso nonostante il nome, aveva saltato l’ultimo anno e si era iscritto-alla facolta di medicina. Quando l’ayevo saputo, ne ero stato felice, dicendomi che se nella vita fossi stare male, avrei potuto conrare su un amico bravissima medica, Ebbene, Sega & arrivato in clinica, Appena reduce da un collasso, gli ho raccontato quello che avevo passato.c le cure in atto, Lui ha detto subieo: «Sanarelli-Schwarz- mann». lo credevo che scherzasse e mi sono messa a ri- dete, pensando ai doppi nomi che. andayana di moda nei giornali umoristici di anteguerra, Invece Bagarone diceva sul serio, Allora gli ho detto: «Tu adesso ti fermi a Roma ed esponi la tua tesi ai luminari». Il giorno dopo, dayanti ai luminari, Bagarone ha spiegato tutto, 1 Inminati lo sono stati ad ascoltare, assorti, Poi hanno detto: « Teoria affa- scinante. Interpretazione brillantissima, ece.», Bagarone é diventato rosso. Quando Bagatone diventa rosso, tende al viola. Tl mio amico Bagarone, il mio compagno di scuola, la mia Rimini, Stanette ho segnato i] porto di Rimini che si apriva sopra un mare gonfio, verde, minaccioso come una prateria mobile sulla quale correvane nuveloni earichi, ver- so terra. Io ero gigantesco ¢ nuotayo per guadagnare il mare, par- tendo dal porto, che era piceolo, angusto. Mi dicevo: «To sono gigantesco, perd il mare & pur sempre il mare. E se § non tacco?.» Tuttavia non ero angosciato. Baoete nel Be colo porte con sane bracciate. Non potevo altogare | ; a il fonda, alate “eget inflazionato, che tende, forse, a bestia Ja fiducia di affrontare il mare. Un invito a sepravvs ura oppure a sottovalutare le picoole condizion! pene . partenza. che potrebbero limitarml. Tees sheet pita se io debbo abbandonare il sameoree del piccolo por in partenza, oppure s¢ mi sopravvaluto, F On fatto Scamancue) certo. Lo, a Rimini, non nee yolentier!, Debbo dirlo, E una sorta di Biegee L mia . iniglia vi abira ancora, mia madre, mia sorella: ho pane et certi sentimenti? Soprattutto mi pare, il ritorno, un cor piaciute, masochistico rimasticamenta ete morse ae perazione teatrale, letteraria. Certo, essa pud avere il suo ta scino, Un fascino sonnolento, torhido, Ma ecea: non riesco 4 considerare Rimini come un fatto oggettivo. E guar « soltanto, una dimensione della memoria. Infatti, quan . mi trovo a Rimini, vengo sempre aggtedita da fantasmi gt archiviati, sistematl, i Forse questi innocenti fantasmi mil peer bets no restassi, un‘imbarazzante muta domanda, al : qua re potrei rispondere con capriole, bugie; mentre isopner ae titar fuori dal proprio paese | elemento orlpteatie ma su va inganni. Rimini: cos't. E una dimen ella me . ria (una memoria, tea l’altro, inventata, adulterata, re messa) su cui ho speculate tanto che @ nato in me una 5 ta di imbarazzo, Ne a Eppare debbo continuare a parlarne. A volte, or mi chiedo: alla fine, quando sarai pili ammaccata, stance, oe ri competizione, non ti piacerebbe comprare una caseltt ane porto? I] porto della parte vecchia. Da bambino x ~ i 14 dall’acquaa: vedevo costruire scheletrl di barche. e tro braccio, stando di qua, lasciava immaginare ye vita da baruffe chioggiotte, che non aveva nulla a che fare col tedeschi che andavano sul mare con la Daimler Benz. 2 Per la verita, V’inizio della stagione era dato dai ee i poveri, Si vedevano improvvisamente delle biciclette 8 i jate sulla splaggia, dei pacchi, ¢, in acqua, ciccione, ue Ks chi, Noi bambini venivamo portatl al mare, con i: a lana, dat garzone di mio padre. Allora, di la, nella pa vecchia del porto, vedevo sterpi, sentivo vocl, Tempo fa, tramite l'amico Titta Benzi, avevyo comprato 9 una casa, aun prezeo favolosa, Pensayo di avere trovato un punto fisso: oppure, di abbandonarmi alla vita semplice, Ma doveva essere letteratura falsa perché questa casa non l'ho mai vista; anzi, mi dava fastidio il pensiero di una ca- setta chiusa, senza inquilini, che stava IA ad aspeteare inu- tilmente. Quando decisi di venderla, Titta mi disse: «Ma é la tia terra!» come per ricordarmi che la tradive di nuovo. Prima di questa°casa mai abitata, ‘Titta mi aveva con- vinto ad acquistate un pevzo di terra: sul Marecchia, Un posto, a vederlo, fatto apposta per un omicidio di prosti: tute, La sera che andammo a visitare il pezzo di terra, si sen- tiva una fanfara, Un veme in mutande stava facendo l'am- mainabandiera. Era Fiorentini, che sa tutto di Garibaldi. Di Garibaldi e del sangiovese. La sua casa presso il Mareechia é plena di stampe, stendardi, cimeli. Fiorentini, che sta sem- pre in mutande, quella sera, con la-sua faccia da burattina di coccio, brillava nel buio, Disse: «Vedo una faccia sim- pati¢a, ma non conosco questa signore! » «Ma come? — dis- sé Titta, — ma é Fellini!» 4Porca ma.,,», commentd Fio- rentini, Poi, subito: «Ho trovato un sangiovese... debbo farvelo assaggiare». Saverdote del vino, un po’ insistente, mi sgrido perché non scaldavo il bicchiere col palmo della mano. « Viene Fellini! — prosegui Tita. — Viene ad abitare da queste parti!» «Cosi peschiamo i cefali insieme», pros segui sicuro Fiorentint. Bisogna sapere che il Marecchia, da quelle parti, siccome rivela il fondo sassoso, & di uno squal- lore desolante. Ma Ticta mi consialié di prendere quella ter- ra. «Aspetta pataca, — mi diceva Titta, — perché di gui ci passa l'autostrada, Il terreno sl valorizzae. Poi lautostrada © andata da un'altra parte. Ogei Florentini mi offre cinque- centomila lire. Quella terra & ancora:mia: Sul Marecchia ero andato, la prima volta, da bambino, Avevamo fatto «puffis a seuola, come si dice: cio® l'ave- vamo matinata, [o seguive Carlini. Sul flume c'era una ba- Illa nera piena'di poliziotti, che scendevano come raspi sul greto. Certe nuvole basse si aggiravano lentamente, in ag: puato, trai rami secchi degli alberi. Arrivammo-a un bosco di pioppi: c'era un impiccato, con la scopoletta in testa, gid piantonato da altri due poliziarti, lo non capivo bene cos'c- ra, Vedevo una scarpa caduta, if pedalino del piede senza la scarpa, é due pantalonacel pieni di peaze, To La casa a Rimini, Quelle che ho abitato le ricardo bene, tranne una: la casa natale, in via Fumagalli, Quande Aer pid sette anni, una domenica pometiggio, Beene 4 pas: seggiata in carrozza, D'inverno il land era chiuso. Lae vamo dentro in sei: i miei, i fratelli, la donna di servizio, ammonticchiati al buio, perché il finestrino dover stare chiuso, altrimenti entrava Ja pioggia. lo non ve Pp et te, Saltanco, nell’oscurita, le facce di mia padre e di mia madre, Una gran gioia era, quindi, quella di sedere accanto al vetturino perché IA in alto si respirava. er . Quella domenica pomeriggio Ja cartozza svoltd in un te le mai fatto: una serie di case tutte unite una all'altra. Pa- pa disse: «Sei nato li», e la carrozza fila ve oe La prima casa che io tieatdo veramente @ il pa bee ee C’é ancora: @ un palazzo sul Corso. Il nastto pac ca i casa andava sempre vestito di blu: L'abito blu, la a el: ta blu e una gran barba bianca, come una divinita da blan- dire, da non irritare, Mia madre si asciugava le mani, ean tre diceva: «Bambini, state fermi, ct il signot Ripa». Poi entrava il vecchione, Una mattina ho sentito dei gran mug: piti, dei lunghi lamenti, Il cortiletto del palazzo era pieno di buoi e di somari. Forse, non so, c’era un mereate, una ee a Rimini. Rimini: una parola fatta di aste, di-sol- datini in fila. Non riesco a oggettivare. Rimini é un pastroc- chio, confuso, pauroso, tenero, con questo grande ae questo yuoto aperto del mare, Lila nostalgia si fa pid itn pida, specie il mare d’inverno, le cteste bianche, il gran ven- to, come l'ho visto la prima volta, co Un'altra casa nostra, cloé abitata da noi, era vicina alla stazione, La casa dove mt parso di avere il segno della pre- destinazione, Eta una villetta col giardino davanti, IL gran- de orto che staya dietro comunicava con un enorme edifi- cia — una caserma, una-chiesa? — sul quale stava seritto, in lettere bianche a semicetchio: «Poli,..ama riminese». Man- cavano due lettere, cadute, perdute, Siccome orto di casa nostta era infossato, il terreno che reggeva ledificio, dietra il muretto di cinta, appariva pid alto, 1a in cima. Una mattina, stave nell'orto a costruire un arco con unk canna, quando si sent! tmprovvisamente un frastuono. = il rorolio enorme della saracinesca del teatro, che non avevo mai notato e che si stava sollevando, Alla fine apparve ee un‘inimenga apertura nera. Nel mezzo, stavano un uomo con un baschetto e un impetmeabile e una donna che face va la calza. Segui un dialogo, L'uomo: «L’assassino deve essere entrato dalla finestra», La donna: «La finestta ¢ chiusas, L’iomo: «Il sergente Johnatan ha trovato tracce di scasso». Poi Puomo s’era rivalto-a me che stave nellorto: «Ci sono i fichi in quell'albero? » «Mah, non lo so». Stavano provando il Grand-Guignol: la compagnia di Bella Starace Sainati. Aiutato dalle mani dell’uomo, entrai nell’antro buio: vi- di i palchi dorati e, addosso a me, Ja pancia di una locome- tiva sospesa alle corde, tremolante, tra celluloidi tosse, bianche, gialle. Era il teatro, Poi 'uome andava avanti col problema della finestra, To non capive se era un gioca o che altro, Dev'essere passata molto tempo, A un tratto la voce di mia madre mi richia- mava: «La minestra é a tavolan, «E qua», disse ['uomo col baschetto, rispondendo a mia madre, © mi aiuté a ripas- sare i] muricciolo. Due sere dopo fui condotto dai miei a vedere lo spetta- colo, Mia madre racconta che non mi mossi per tutte il tempo della recita, La locomotiva avanzava dal fondo del buto, della notte, stava per travolgere una donna lepata sui binari, finché la donna veniva salvata mentre le piombava adddsso un enorme, pesante, marbido, sipario rosso. L'emozione duré tutta la notte, Negli intervalli avevo visto le cowlisses, le poltroncine, il velluto, gli ottoni, tcor- widoi, misteriosi cunicoli, ci ero corso in mezze came un garcia, Questa casa vicino alla stazione é la stessa delle prime amitizié. La casa di via Clementini 9, invece, & quella del primo amore. I] padrone di casa, «Agostino Dolci e F. fer- tamenta», era il padre di Luigino, un mio compagno di scuola del ginnasio, quello che nell'Tiade faceva Ettare (re- titavamo per conto nostro I'Iade}. Nel palazzo di fronte abitava una famiglia meridionale, i Soriani, con tre ragazze, Elsa, Bianchina e Nella, Bianchina era una moretta: dalla mia camera da lette la potevo vede- te, La prima volta mi apparve dietro il yetro della finestra, oppure ~ non ricordo — vestita da piccola italiana, coi bei seni pesanti, gia da madre. r2 Lei, che abita a Milano, dice opel che non siamo a fue: giti a Bologna, come ho raccontata (l'ho ao Lees tai siame andati in bicicletta — io portandola sulla canna fuori porta d'Augusto, “aes le ‘ieare} allora, etano soprattutto le zie AVE) sentito parlare, € vero, di una casa con certe donne Dos mi La Dora-in via Clodia, dalle parti del fume. «La aon ‘ fiom», Ma, quando dicevano ale donne», my ee mente-solo le zie che faceyano I materassi, le ane i ni bettola, dalla nonna; che passavano il grano a og ee Quindi non capivo. Poi ho visto che le zie stan ces perché la Dora affittava due carrozze €, ogni quin iets ite ceva vedere la nuova covata giti per il Corso, a scope © ee paganda. Allora ho visto passare donne dipinte, con v a ies strane, misteriose, che fumavano sigarerte cal bocehin loro: le donne nuove della Dora. + t A Gambettola, nell’entroterra romagnolo, ci andavo d state. Mia nonna teneva sempre un plunco nelle mans 0 quale faceva fate agli uamini certl salti da cartone sc Insomma, faceva filare gli uomint presi a giormata per oe rare il campo. La mattina si sentivano risatacce ¢ UN B “ brusio. Poi, davanti.a lei che appariva, quegli uomini ¥ e lenti assumevano un attegpiamento di rispetto, Oe chiesa, La nenna, allora, distribuiva il caffelatte esi in oe mava di tutto. Voleva sentire il fato di ATES prire se aveva bevuto la grappa: e questi fi e aca eo mitate al vicino, per il pudore, diventaya un bam ae : fazzolettone nero che le fasciava la testa, il nasone a Ps CO) 3 gli occhi brillanti come catrame liquida, mia pears Sah scheina (Francesca) sembrava la compagna di on e to, Anche con gli animali era straordinaria, in ene malattie, gl umori, i pensier, le furberie: que cal ie che si eta innamorato chissa come della gatta, «Fra tre e a ni arriva il “garbein” >» annunciaya con sein ae bile, Ed era vero, Il «garbein» © un vento ee che ‘i is mo in Romagna, Un vento capriceioso, oa assoluta mente imprevedibile. Per tuttt, meno che per let, ae Aveva una grande amica, mia nonna, un po pid y ae di lei e anche pitt robusta, che, tutte le sere, anday Ee be steria a prendere il marito ubriaco e lo cere ata uns cartiola per condurlo a casa. Lui si chiamava Ciapalos, 13 i non é un nome greco, ma vuol dire: « Prendi l’osso». Una sera, l'uomo se ne stava con le gambe penzoloni fuori dal- Ja carriola trascinato dalla moglic, in uno stato di beata mortificazione, dopo avere sopportato il dileggio generale, Quella sera, io incontrai gli occhi dell’uama, sotto il cap- pellaccio, Le risse erano frequenti, tra i contadini. Tre -vecchie so- relle ¢ un invertito sono andati avanti vent’anni a litigare per un'eredita, Si gettavano in faccia lo-sterco, si rubavano l'un Valtro i polli, spostayana continuamente i paletti del confine, Finché, una mattina, all’alba, dopo una notte evi- dentemente trascorsa a decidere, le tre sorelle sono entra- te nella casa dell'invertito-e, coi battipanni, lo hanno mas- sacrato di botte, Un giorno mi placerebbe fare un film sui contadini roma- gnoli: un western senza revolverate; intitolata Osciddla- wadona. Una bestemmia: ma, come suono, & pit bello di Rasciawmai, Un certo Nasi diceva sempre: «Posso comanda e vo- glios. Le gambe rotte perché ayeva segato l'albero stando seduto sul ramo dalla parte sbagliata, era un sensale di be- stlame, Questo Nasi, specie di maschera atellana della Roma: gna, a causa delle gambe rotte faceva- movimenti bran- chiali, come un ranocchio, Cominciaya a camminare in quel- Ia maniera orribile ¢ sghangherata, urlando: «Posso, co- mando e voglio», Una volta, lev di bocca la sigaretta a Teodorani, sempre in divisa da gerarca, con gli stivali scine tillanti ¢ i baffoni con la punta insaponata, dritti come uno spillo. Gli disse: «Adesso basta di tumare te. Adesso fuma Nasio, Quando penso a Gambettola, a una monaca alta due cen- timetri, ai gobbi al lume del fuoco, agli sciancati dietro t tavolacci, mi viene sempre in mente Hieronymus Bosch, Da Gambettola passavano-anche gli zingari, ei carbonari che trasmmigrayvano verso le montagne dell'Abruzzo, Di-sera, preceduta da urla orribili di animali, arrivava una barac- caccia fumigante. Si vedevano scintille, una fiamma. Era il castratore di porci, Arrivaya, sullo stradone, con un man- tellaccio nero e un cappello in disuso, La sua apparizione, i porei la sentivano in anticipo: percid grugnivano spaven- tati, L'uomo portava a letto turte le ragazze del paese, Una volta mise incinta una povera scema e tutti dissera che il 14 neonate era il figlio del diavolo. L'idea per l'episedio If me- racolo, nel film di Rossellini, mi venne di Ii. Venne di Ii anche il turbamento profondo che mi indusse a realizzate La strada, In campagna, per via degli zingari, sentivo spesso patla- re dei filtri d'amore, della fattura. Una-donna, la signora Angelina, che veniva per casa a fare i materassi (bisogne- rebbe dedicare un capitolo a questi mestieri: larrotino cal suo trabiccolo, quello che veniva a pulire la stufa, tutto ne- to, terrore delle domestiche), la signora Angelina, dice- vo, s¢ née stava tre giorni in casa della nonna, consuman- do anche i pastl, Mentre cuciva i fiocchi d'ovatta sul ma- terasso, intravvidi, un giorne, una teca che le pendeva dal colle: una seatoletea di vetro contenente una ciocca di ca- pelli tagliati da un nodo, «Cos'é? » le chiesi. «Questi sono i miei capelli e questi sono i baffi del mio fidanzato. Glieli he tagliati di notte mentre dormiva. In questa modo, lui the andato a lavorare a Trieste, resta legato. indissolubil- mente a mex. Un altro, il veechio del mereatino Marecehia, poteva far fuarire o ammalare i polli-e le pecore. La moglie di un ferroviere che abitava vicina al dapola- voro, andava in «trance», Guadagnava un bel po’ di soldi a guarire Je malattie. Un giorno, essendomi infilato anch'io tra i veechi e le veechie che andavano al consulta, giunsi in- fine sulla porta di un salottino squallido, Sopra una sedia, una vecchietta col volta spruzzato d'acqua, s'irrigidiva inar- cando la schiena, quindi diceya a un tale che non vedevo in faccia; «Cla dona !'@ trop pet te (@ phi patente di te): la devi lasciare», Dopo aver parlato, la vecchietta pigo- lava. Alla fine usciva un ormaccione stravolto, ma non yor leva farlo vedere. Stava per le scale col cappello in testa, non voleva andar via: forse nella speranza ditrovare la for- za per tornare indietro e ottenere un oracolo diverso. Si parlava anche delle solite case abitate dai fantasmt. La « Carletta» era la villa del mio amico Mario Montanari. Pa- reva che, cento anni prima, il padrone della villa avesse strangolato la cugina, dopo averla ubriacata, Dicevano, allora, che certe notti, in cantina, si sentiva un porgo- alfe. Era, secondo Ja gente, la cugina strangolata che in- filava una gomma nella botte, poi in bocca al suo assassi- no, perché non avesse pace ¢ annegasse nel vino perentie- mente, 15 La Romagna: un miscuglio di avventura marinara e di chiesa cattolica, Un paese con questo monte fosca ¢ tro- negeiante di San Marino, Una strana psicalogia arrogante e blasfema, dove si mescolano superstizioni ¢ sda a Dio, Gente senza umorismo ¢ percid indifesa: ma col senso della beifa ¢ il gusto della bravata, Uno dice: mangio otto metri di salsiccia, tre polli ¢ una candela. Anche la candela, Cosé da.circo. Poi lo fa: -subito dopo lo portano via in matoci- cletta, viola in faceia, con l’occhio bianco: e tutti a ridere di questa cosa atroce, la morte per gola, Un tale si chiama Salito Dal Monte. Salita, non — che so — Disceso; che & come immaginare una canmminata su per Varia. Oppure «e Nin», marinaio sempre in gire sui mari, che manda opni tanto delle cartoline apli amici del caffe di Raoul: «Di passaggio nell'isola dei Pappagalli vi ricordo a tutti», Eppute, in questa tetra ci sono cadenze, doleezze infinite, che forse vengono dal mare. Ricorda la yore di una-bimba, un pomeriggio d’estate, in un vicolo piena d'ambra: «Che or é?» «Saran belle le quattro...» rispondeva qualcuno ¢ la bambina cantilenanda come a dire che eta sicuramente pi tardi; «Ah senza belle..:» Intanto, le donne hanno atteggiamenti e slanci di senstia- lita orientale. Quand’ero all'asilo, gia allora, c'era una con- versa coi boccoloni neti e il grembiule nero, una facela ar- rossata dai foruncoli a causa delle eruzioni tmrbolente del sangue. Difficile dire l’eta. La sua femminilita, questo & certo, stava esplodende, come-si dice, Ebbenc, la conver- sa mi abbracciava, mi-strofinava, tra odori di bucce di pa. tate, puzza di brodo rancido e le sottane delle suare. Liasilo, infatti, l'ho frequentato presso le monache di San Vincenzo, quelle col cappellone, Un giorno, mettendo- mi in fila pet una processione, mi diedero da portare una candelina. Una di queste monache, con gli occhiali, pareva Harold Lloyd, mi disse in maniera perentoria, indicando la candela; «Non la fare spegnere,; perché Gesd non vuole», Soffiava un gran vento. Bambino, fui sepraffatto da quella grande responsabilita. C’era il vento ela candela non si do- yeva spegnere, Che cosa mi avrebbe fatto Gest? La pro- cessione, intanto, ‘era mossa, tarda, pesante, a lemti passi a fisarmonica. Una corsetta, un arresta, ancora avanti, pot di nuovo fermi. Che cosa faceyano in testa alla colonna? Th processione si doveva anche cantare. «Noi vogliam Dio, r6 ch’é nostro padre...» In mezzo a quello stuolo di sotta- ne, di frati, di preti, di monache, all'improvviso scoppiava un fragore mesto, di note spente, solenni. Era la banda, che mi spaventava. Alla fine mi misi a piangere. Alle scuole Teatini feci la prima ela seconda elementare. lo stavo in classe con quel Carlini insieme al quale aveva visto Pimpiccato sul Marecchia, Il maestro era uno scaz- zottatore di alunni che civentava improyvisamente buono in oceasione delle feste, quando i genitori gli portavano i regali, che ammonticchiava presso la cattedra, una gran pila came fanno i vigili per |'Epifania. Ricevuti quei grandi re- pali, prima di liberarci per le vacanze ci faceva cantare: «Giovinezza giovinezza, primavera di belleccezza»: a quelle quattro «e» teneva moltissimo. : Gli anni dopo le elementari, fui mandato a farli a Fa- no, presso il piccolo collegio provinciale dei padei Carissi- mi. E di quel tempo l'incentro favoloso con la Saraghina cosi come !’ha raccontato in $44. z ; Tornai a Rimini, al ginnasto, che era in via del Tempio Malatestiano, dove ora sono Ja Biblioteca comunale e la Pinaceteca, Quello del ginnasio mi sembrava un palazzone altissimo, La salitae la discesa delle scale era sempre un‘ay- ventura, C’erana scale che non finivano mai. Il preside, dettc Zeus, una specie di Mangiafuoco, aveva un piede gros- so come una 600, col quale tentava di ammazzare i bam- bini. Dava calci da schiantare le schiene. Fingeva l'immo- bilita: poi, di colpo, arrivava una zampata che ti schiac- clava come uno scarafaggio. iw Quelli del ginnasio sono gli anni di Ometo ¢ della «pu- gna», A scuola si leggeva l'Iliade, mandandola a memotia. Ciaseuno di noi si era identificato con un personagglo di Omero, Io ero Ulisse, stavo un poco in disparte e guarda- vo lontano. Titta, gia corpulento, era Alace Oilea, Mario Montanari Enea, Luigino Dolci «il domatare di cavalli Et- torres ¢ Stacchiotti, il pid anziano di tutti perché aveva ripetuto ogni classe tre volte, era ¢il pie veloce Achille». Il pomeriggio si andava in una piazzetta a fpetere a noi la guerra di Troia, lo scontro fra i trofani € gli achei. Andavamo, appunto, a «fare la pugna». Portavamo i libri legati alla cinghia, come si usava, ¢, brandendo i libri, ce li scaricavamo addosso, mescolando colpi di libri ¢ cin- ies . * . ei iad yeniva rivissuta anche in classe, dove i volti dei 7 ‘ compagni di scuola si erano ormai sovrapposti agli eroi omerici: in tal moda, le avventure di quegli eroi erano pro- prio le nosire. Cosf, quando un giorno, andando avanti nel- la Jettura dell’Tfisde, ci imbattemmo nella definizione di Aiace, chiamato da Omero «stupida massa di catnames, Titta che era Aiace comincid a protestare, preso dall’odio verso Omero, quasi il poeta lo avesse, in tal modo, vilipeso fin dalle origini del mondo, Giunti alla morte di Ettore, Luigino Dolci, che era Erto- re, visse il suo grande momento. Poyero Luigino! ‘Trasci- nate come un verme intorno alle mura di Troia; e il velta tutto bruttavasi, quel volto in pria si bello, allor da Gioye abbandonato all'lra degl'inimict nella patria terra, Luigino era morto, Allatroce spettacolo si svelse la penitricé i crini; e, via gittando il regal velo, un ululato mise che alle stelle n'andd. La classe ammutoliva, Era stato Stacchiotti, con la nuova armatura fabbricata: glida Vulcano, colui che sapeva mettere in fuga i trojant con un sol grido, Perd Stacchiotti aveva un punto debole; il tallone. Al- lora lo'si prendeva in quattro troiani, gli si toglieva una scatpa e, con le squadre da disegno, lo si puniya, piechian- dolo feracemente sul tallone, Stacchiotti aveva una faccia che pareva bollita, rossae unta, tutta piena di sfoghi, ¢ uno sguardo torpido, slavato, lumacosa- come una chiara d'uovo. Sortideva lento, fissa, senza guardarti, non parlava mai con nessuno e teneva sempre le mani in tasca dei calzoni muovendale svelte svelte mentre gli occhi gli diventavano strabici. Oppure, in classe, con In stomaca sul banco sussurrava per ore il no- me della compagna seduta davanti; « Voltati bambina, deb- bo farti vedere una cosa», E quando infine la ragazza sbut- fando si voltava; lui shatteva sul banca l'uccello che era enorme ¢ viola, Farge era pazzo, Era stato anche in prigione e sospeso da tucte le scuole del regno; almeno cosi raccon- tavana ec’era da pensare che Rimini non doveva far parte 18 del regno dal momento che Stacchiotti continuava a venite a seuola con noi. Morf suicida, Lo trovareno una mattina che era ancora buio, rigido e leggero come un burattino, inginocchiato davanti alla chiesa di Polenta, tutto ricoper- to di neve, Pian piano, la conascenza dell'inglese, dei nomi esotici, cl avewa indotto a sostituite Omero con Edgar Wallace. Co- si Aiace, Enea, Ulisse diventarono Tony Thomas (che eta Titta, detto «il Grosso), il conte Jimmy Poltavo, baro in- ternavionale (che era Mario Montanari) ¢ il colonnella Black Dan Bondery (che eto io). 1 Avevamo creato un trio di grassatori. Le imprese consi- stevano nell'organizzare, per esempio, il furto di un pollo al colonnello Beltramelli, il vicino di casa. Poich¢ aveyamo letto che dl colonnello Dan Bondery usava molto la amma ossidrica, per compiere l'operazione contro quest'altra ¢o- lonnello, l'andammo a cereare da un meceatico che non vol- le darcela. Allora ci accontentammo di cesoie, tagliammo Ja rete del pollaio del colonnello e catturammo il pollo, La sua uceisione fu tertificante. Tirare il collo a un pollo é una cosa barbarica, & come un delitta. La sera si andava al mare, scomparendo in banchi di neb- bia, nella Rimini invernale: le saracinesche abbassate, le pensioni chiuse, un gran silenzio ¢ il rumore del mare. Drestate, invece, per tormentare le coppie che facevano amore dietro le barche, ci si spogliava in fretta, quindi ei si presentava nudi, chiedendo all’'uomo dietro la barca: «Scusi, che ora &? » Di giorno, sieccome ero magro e avevo il complesso d’es- ser magto, — mi chiamavano Gandhi o canoechia — non mi mettevo in costume, Vivevo una vita appartata, solitaria; cercavo modelli il- lustri, Leopardi, per giustificare quel timore del costume, quell'ineapacitA di godermela come gli altri, che andavano a guazzare nell’acqua (per questo, forse, il mare & cos! afta- scinante per me, Come una cosa mai conquistata: la zona dalla quale provengono { mostri e i fantasmi). In ogni caso, per riempire quel vucto, mi ero dato al- Parte. Avevo aperto con Demos Bonini una bottega artisti- ca; sulla vetrina cera scritto «Febo». Si facevano catica- ture e titrattini alle signore anche a demicilio. Io firmava To Fellas, chissa perché, e faceva il disegno: Bonini che era un vero pittore ci metteva i colori. La bottega della ditta Febo stava proprio davanti al Duomo che d'estate diventaya ancora pid bianco, un osso di seppia, ¢ la notte faceva luce come la hina, Quella cal- carea apparizione casi estranea e solenne che non assomi- gliava a nessuna altra chiesa, a nessuna altra costruzione, mi aveva sempre affascinato con un sentimento di mistero é ci soggezione. D'estate, qualche volta, vi-entrave, quando non c'era nessuno; i sedili-di marmo erano freschi; le tombe, i vesco- vi ¢ i cavalieri medievali vegliavana, protettivi e un poco sinistri nell’ombra. Gera un pulpito di pietra antica con una scaléetta sulla quale saliva l’arciprete — allora si dice- ya: Varciprete —, un altro -violento distributore di schiafte- ni, che la domenica, da quel pulpito, faceva la predica. Una volta, d'agosto, la chiesa era vuota, mi sono infila- to su quel pulpito. La pietra era gelata come una tomba. Ho guardata, dal pulpita, Ja chiesa yuota: Ho dette piano: eDiletti figlioli...» Poi, un poco phi forte: « Diletti figlio- li...» Poi, ancora pid forte, finché la chiesa rimbombava pet l’eco: «Diletti figlioli.., » Quando scesi dal pulpite fui presa dalla tentazione di yuotare la cassetta delle elemosine: un colpo tentate con Titta, il quale fingeva di pregare, mentre noi si calava nella fessura della cassetta, con uno spago, una striscia di plom- bo calamitata, Ma le monetine non si attaccarono, Meglio, perchd la cosa mi dava fastidio. La chiesetta dei Paolotti, invece, aveva un piccolo tem- pio a forma di battistero, staccato dalla costruzione princi- pale, dove, ogni tanto, le «baflone» portavano gli animali per farli benecire dai frati, Si chiamavano «baflone» per la peluria dorata o brana che visibilmente ricopriva il lab- bro e il polpaccione soda, suizzante, Noi, fuori, contava- mo febbrilmente le biciclette accatastate contro il muro del- la chiesa per sapere quante «balfone» erano venute git. Da un fanalino retto, da un pedale senza gommino, da certi agsesai fabbricari in casa e-applicati con spranghe ¢ spaghi ai manubri, sapevamo se dentro la cappella c'era anche la abaffona» di Sant’Arcangela, coi capelli rossi, che portawa il maglione «argentina», senza tegaipetto- sotto; o le due sorelle di Santa Giustina, quadrate ¢ spavalde, che si allena- vano per partecipare al giro d'Italia, La bicicletta che solo 20 a vederla ci faceva battere il cuore svelto svelto, era quella della gattaccia di San Leo, una gladiatrice torva € possente, con un gran nuvolone di capelli neri, gli occhi fostorescen- ti come i leoni, ti guardava lenta, indifferente, senza’ ve- derti. Sbireiavamo ansiosi dentro il tempietto risonante di be- lati, starnazzamenti, tagliacci. Finalmente le «baftone» uscivano coi polli, le capre, i conigli, ¢ montavano in bi- cicletta, Era questo il grande momento! | musi appuntitt delle selle infilandosi rapidi come sorei tra le sottane sci- volose di satin nero lucente, scolpivano, gonfiavano, face- yano scoppiare, in uno scintillio di riflessi abbaglianti, i pia bei culoni di tutta la Romagna. Non si faceva in tempo a goderseli tutti; molti esplodevano contemporancamente, a Gestra a sinistra davanti di dictro, non potevamo girare come trottole: un minime di contegno dovevamo pur con- servarlo, € questo ci costava molte perdite. Fortunatamen- te, alcune «baffone » gia sedute sul sellino restayano ancora un po’ a chiacchierare tra loro, un piede a terra e Taltro sul pedale, inarcavano la schiena, dondolandesi con movimen- ti vasti e lenti come le onde del mare al largo; poi il pol- paccio dorato si gonfiaya nella prima faticosa pedalata, le baffone se ne andavano salutandosi a gran voce, qualeuna gia cantava, tormayano in campagna. La chiesa dei Servi era quell’immenso altissime mura- glione senza finestre che veniva subito dopo il cinema Ful- gor, Per anni.non mi sano accorte che era una chiesa per- ché la facciata ¢ V'ingresso erano nascosti in una piazzetta sempre ingombra delle tende di un mercato, II parroco era don Baravelli, insegnante di religione nel nostro liceo. Pic- colotto, robusto, completamente calva, i] brav’uomo si sforzava di esercitare la virtd eristiana della pazienaa: Per non strangolarci, don Baravelli entrava in classe con gli oc- chi chiust, cercando a tentoni Ja cattedra © cosi rimaneva per turta Pora di lezione: non voleva vedere! A volte si-co- priva anche il volto con tutte e due le manone da contadino, e abbassava la testa sulla cattedra, Apri gli occhi solo una valta ¢ vide un aan fueco acceso tra i banchi-e noi che gli ballavamo attorno come i pellerossa; La chiesa dei Servi era buia, tetra, d'inverno si gelava, tutti ci siamo ammalati la dentro, Era diventato un modo di dire: «Ha preso l'influenza nella chiesa dei Servi», Un ltro modo di dire era: «Tu, per dieci lire, ci passeresti 2. chiusa dentro una notte inteta? » Bedassi, detto «quel pata- ca di Tarzan», accetté la scommessa e una sera, con wn chi- fo di lupini ¢ due salsicce, si nascose dentro un confessio- nale, La mattina dopo, alle sei, quando in chi¢sa ¢’erano gia le prime veechine, si senti all’improvviso il raglio di un somaro raflreddato: era Bedassi, sprotondato nel confes- sionale in mezzo alle bucce dei lupini, che russava a bocca aperta; quando apri gli occhi, disse al sacrestano che era riuscita a svegliarlo a forza di scossoni: «Ma, 'e caflate (Mamma, il caftelatte). Per anni il confessionale di Bedassi, meta di pellegrinag- gio incredulo ¢ ammirato, fu pii importante dei quadri sul- Valtare maggiore. La chiesa nuova dei Salesiant = per continuare.a parlare di chiese — l’abbiamo vista costruire, Era anzi diventata la tappa obbligatoria delle passeggiate domenicali in carrozza, «Andiamo a vedere i Javeri della chiesa nuova, si diceva. Ma poi, siccome era domenica, i lavori non c’erano e si re- stava li a guarclare le impaleature silenziose, le grandi sru immobili, i muechi di sabbia, di caleina, All'inaugurazione cifurone molti discersi. Le carnpane a festa sbatacchiavano cosi sonoramente che non si capiva una patola. Il seniore della milizia, un certo L., che aveya sempre la barba blua- stra anche quand’era appena uscito dal barbiere, a meth del suo discorso sul pulpito, vieino al prete, incrocié le brac- cia e, con le yvene del collo che gli scoppiavano, si mise a scandire urlando; «Cam-pa-ne ba-sta! Ba-sta cam-pa-ne! » é subito tutti i fascisti che erano in chiesa gridavano anche loro Vordine del capo, alle campane, Qualche anno pin tardi, aveva dieci anni, ho passato un’estate intera dai Salesiani della chiesa nuova: ero a mez zoconvitto, La sera mi venivano a riprendere. Ricordo con un senso di grande sconforto la squallida fossa del cortilac- cio con i due lugubri pali della pallacanestro e tutto attor- no un muraglione con sopra una rete metallica alta due me- tri. Al di da di quella rete si sentivano le campanelle delle earrozze, le trombe delle automobili, le grida, i tichiami della pente Libera che andava aspasso col gelato in mano, Un lumacone di ragazzo:sui vent’anni, che non sisapeva bene se era prete one, color della cera, voleva sempre at- taccar discorso con me e con un mio amica che aveva gli oechi lunghi e dole: da odalisea, Ci offriva delle appiceicose caramelle, sospirava, avrémmo doyuto essere pitt buoni, 22 pitt bravi, e andare con lui in una delle aule deserte, perché yoleva insegnarei il bel canto. Il lumacone aveva una bella yocina, infatti, e sapeva a memoria certe canzoncine che al- lora mi sembravano neiese eche molti anni dopo he senti- to di nuovo alle Terme di Caracalla nella Lucia di Lavrrer- moor, Di un‘altra chiesa mi ricordo, quella dei frati Cappucet- ni, che si chiamava la «Colonnella», perché davanti al por- tone, sul sagrate, spuntava un’antica colonta romana tutta smozzicata, La prima volta che ci andai era di sera, Mi ae- compagnava mia nonna, non la Franzscheina - ‘Toro Seduto, ma l'altra: questa era chiamata «La nonna piccola», per- ché era tutta rimpicciolita, con un faccino minusealo e grinzoso, rattrappito come le teste dei cacciatori di teste dei libri di Salgari, Non avevo mai visto l'interno di una chiesa dopo il tramonto, Era immensa, altissima, il rumo- re dei passi risuonava in alto, nel buio, sotto le volte, come se un altro camminasse appresso a me lasst in aria. In fondo, vicino all’altare, in mezzo a una selva di ceri accesi, c'era Bonfante Bonfantoni, che era un pittore ¢ lavorava a un grande affresco sul muro; Le sette piagbe d’Egitto. E io dovevo far da modello, non so per quale piaga, ma forse, poiché da ragazzino ero molto magro, ai trattava di rappresentare la carestia, C’erano state un sacco di discussion con inia madre, Non si fidava molto del Bonfantoni, diceva che nel quadre, chi lo sa, potevana anche esserci donne nude, magari con ali d'angela, comun- gue il bambino avrebbe riportato uno sconvolgimento del- Venima, Intervenne il yescovo, paralitico e santo: fece sa- pere, per bocca del padre guardiano, che apprezzaya le nabi- li ansie di mia madre e garantiva personalmente, Allora mia madre mi lava le.oreechie, mi pettind ¢ la «nonna piccolas mi portd alla Colonnella. Sul muro della chiesa, attraverso le fammelle tremolanti dei ceti, si vedeva una gran nuvolaglia nera-attraversata da sactte ¢ lingue di fuoco, eppoi una montagna che si spac- cava, ¢ greggi, pastori, cani, precipitavano nell’abisso, On- de da maremoto scagliavano in aria barehe ¢ inveri equi- paggi. lo dovevo stare a pancia sotto sul pavimento, con un braccio sollevato, came a difendermi da qualeosa che mi precipitava addosso (forse i greggi, o le barche, non so), e sul volte doveve avere una smorfa di terrore. Perd sdra- jato vicino a me c'era Pilcc, un mendicante con un oechio 23 sola; anche lui era stata scelto per la sua carcassa scheletri- ca ma aveva preteso mezzo litro di vino ogni seduta, e sic- come era alcolizvato dalla nascita, bastava la vista di un tappo a farlo impazzire. Adesso, infatti, in chiesa, con un flato tremendo, si stava masturbando a velocira da scim- mia, chiamando, con ragli e latrati, la moglie del denti- sta, Una signora strabica ma famosa per le tettone dritte © puntute come due dirigibili, Bonfantoni bestemmiava e gli tirava addosso dei barattoli vuoti; Piloce rideva e bestem- imiava anche lui, ma non si fermava un momento, ¢ { frati si mettevano 4 cantare. | Tl vescovo santo che avewa piti di cente anni mort all'im- provviso, versa mezzogiorno, € il vescove move, che ce l’aveva con i frati della Colonnella, interruppe gli anticipt a Bonfantoni, che un bel giorno piantd tutto e andd in Bra- sile, L'affresco quindi timase cosi, con un gran telone sudi- elo che lo ricopriva tutto e che io qualche volta alzavo, in basso, nell’angolo a sinistra, per vedere la mia mano (io sapevo che era la mia) levata verso Valto in un gran pa- strocchio sempre piti nero di pecore, barche e cant pastori, Tn quel tempo, per partecipare alla cricca dei vissuti, si stava con gli amici al bar di Raoul, il «calté degli amici», a meta del Corso, Raoul era grassottello, con una faccetta to- tonda, molto attivo. Il bar, fatto sull’esempia dei milanesi Wallora, era frequentato dagli artisti, dalla giovent in- quieta, dagli sportiyl. Vi si faceva un po’ di fronda politica, un timide aceenno, Era il logo di citrovo dei vitelloni, d'in- vertio (d’estate, tutto si spostava al mare, da Zanarini, Im- portante; a Rimini esiste una divisione netta tra le sta gioni, E un cambiamento sostanziale, non sola metereola- gico, come inaltre citta. Sono due Rimini diverse). Una volta, comunque, al bar di Raoul nacque la proposta di iniziare i] nuovo anno nelle carceri, Avremmoa portato, tramite la complicita di secondini che erano nostri amici, salsicce e panini ai detennti, per mangtarll con loro. La Rocca, la prigione di Francesca, era, allora, piena di ladtuncoli di sacchi di cemento e di ubriachi, Quel tozza e tetro edificio m’é setnpre rimasto in testa come una pre- senza nera, nel ricordo della mia citta, Davanti alla Recca c'era un piazzale polveroso, sul qua- le sostavano i circhi; un piazzalone sbilenco, dove finiva la 24 citta. [| clown Pierino si esibiva col suo circo, scambiando invettive col carcerati che, attraverso le sbarre delle fine- stre, gridavano cose tremende alle cayallerizze, Una mattina, in fondo al piazzale, oltre la polvere, vidi apritsi il portone delle cacceri. Ne usciva un tale, diceva qualcosa auna guardia, si allontanava rapido per avere fini- to la pena: ma, arrivato in mezzo al piazzale, si fermava in- certo, quindi rientrava in carcere. IL Grand-Hotel, al contratio, era la favola della ticchez- za, del lusso, dello sfarzo orientale. Quando le descrizioni nei romanzi che legpevo non era- no abbastanza stimolanti da suscitare, nella mia immapina- zione, scenari suggestivi, tiravo fuori il Grand-Hotel, come certi scalcinati teattini che adoperano lo stesso fondale per tutte le situazioni, Delitti, rapimenti, notti di folle amore, rigatti, suicidi, il giardina dei supplizi, la dea Kali: tutto avveniva al Grand-Hotel, Gli giravamo attorno come topi per darci un’occhiata dentro; ma era impossibile. Allora curiosavamo nel grande cortilone dietro (sempre in ombra, con le sue palme che ar- rivavano al quinto piano), pieno di maechine dalle targhe affaseinanti e indecifrabili, Isotta Fraschini: Titta titava un moccolo carica di ammirazione, Mercedes Benz: altro moccolo sottovace. Bugatti... Gli autisti con i gambali sein- tillanti, fumavane passeggiando su é git, Al zuinzaulic te- nevano cagnetti piecolissimi ¢ feroci, AlValtezza dei marciapiedi, grandi grate guardavano nel- le immense cucine. Lageiti in fondo, i cuochi, seminudi e sudati, non alzavana nemmeno la testa, tra lo sfriecichia del- te padelle, i ruggiti di certe fammate che si alzavano all'im- provviso fino al soffitto, Ricordo une dei cuochi, a picco sotto di me, un giova: nottone che d'inverno faceva l’infermiere ¢ guidava Pauto- ambulanza come alle mille miglia, Era fradicio di sudore, aveva solo le mutande, cantava «© biondo corsar, sortidi ma non trétnars e sbatteva una fettina di carne sul pane grattugiato. Le sere d’estate il Grand-Hotel diventava Istanbul, Bag- dad, Hollywood. Sulle sue terrazze, proverte da cortine di fittissime piante, forse si svalgevano feste alla Ziegfield. Si intravvedevano nude schiene di donne che ci sembravano d'oro, allacciate da braccia maschili in smoking bianco, un venticello profumato ci portava’a tratti musichette sinco- . 25 pate, languide da svenite, Erano i motivi det film america- ni: Sonny boy, T fove you, Alone, che l'inverno prima ave- yamo sentito al cinema Fulgor e che poi avevamo mugolato per interi pomeriggi, con l'Auabasi di Senotonte sul tavo- lino @ gli occhi perduti nel yuoro, la gola-stretta. Soltante d’inverna, con l'umidita, il buia, la nebbia, riu- scivamo-a prendere possesso delle vaste terrazze del Grand- Hotel fradice d'acqua. Ma era come arrivare a un accampa- mento quando tutti sono andati via da un pezzo € il fuece é spento. Si sentiva nel buio l'urlo del mare: il vento ci soffiava in faccia il pulviscolo gelato delle onde. Il Grand-Hotel, chiu- so come una piramide, le sue cupole e | pinnacoli inghiot- titi dalla nebbia, era per noi ancora piti estraneo, proibito, irraggiungibile, Per consolarei, venendo via, Titta imitava i rintocchi del- la torre di Westminster; il conte Jimmy Poltavo sparava attraverso la tasca del cappatte tre colpi col silenziatore; Titta, sacrarmentando, si metteva alla ricerca di un posto asciutto dove, ferito a morte, consumava una sua strana agonia a base di pernacchie, Ma una volta, una sola, una mattina presto d'estate, ho preso la tincorsa su per la gradinata, ho attraversato a te- sta bassa il terrazzone abbagliante di luce © sano entrata,., Li per If non ho visto niente. C'era una grande penombra, un frescolino profumato di cera come in Duomo il lunedi mattina, Una pace e un silenzio d’acquario. Poi; un po’ alla volta, ho visto divani vasti come barche; poltrone pitt gran- di di un letto; la puida rossa saliva curvando lentamente in- sieme alla gradinata di marmo verso Io. scintillio di vetrate colorate; fori, pavoni, sontuosi grovigli di serpi con le lin- gue intrecciate; da un’altezza vertiginosa piombava glu, re- stando miracolosamente sospeso. a mezz‘atia, il pi prande lampadario del mondo. Dietro un bancone, riceo di fregi come un carro da morto napoletano, c’era un signore alta, coi capelli d'argento, gli eechiali d'oro lampeggianti, vestite come il becchina di un funerale di lusse. Col braccio teso, senza guardarmi, m'in- dicava la porta, La vita andava via lenta, anche al caffé Commercio, che stava all’angolo di piazza Cavour, un caflé per bene, fre- 26 quentato dalla borghesia, dai professionisti, il parquet di legno, il cioecolato alle cinque del pomeriggio, il biliardo, gli seacchi, Tl caffé dei vecchi, che intimidiva un po’. Al caffé Commercio ¢’eta Giudizio, un ritardato, che aiu- tava le donne a scaricare il furgone, che lavorayva come un somaro, perché era un somaro. Alle sei di sera, Giudizio ab- bandonava di colpo quei lavori fatti pet niente e se ne an- dava a passegwiare sul lungomare, vestito come un clown. In mezzo agli stranieri, infatti, veniva colto da una sorta di rapimento mondano. D'inverno, invece, rimetteva in piedi i birilli del biliardo per qualche sigaretta. Conosceva tutte le carambole, Di notte, faceva un ulteriore servizio di vigi- lanza notturna. Si cacciava in testa un berretta trovato da qualche patte e andava in gito a mettere, sotto le saracine- sche dei negazi, dopo il cartelling « Visitato» della vera wi- gilanza, un altro cartelline can su seritto: «Anche io», Una notte, stavamo nel caffé a fare le solite interminabili discussioni, quando nella strada si senti lo stridio di una macchina. Si apti la porta e apparvero tre persone stranie- re: come dire Hans Albers.con Anita Ekberg ¢ Marilyn Monroe. Tutti noi guatdavamo in estasi l'apparizione. L'ua- mo, che portava una @rande pelliccia, chiese un liquore di una matea che non c’era esi accontentd di un’altra marca. Una delle due donne, Ja pid. sconvolgente, guardava nel vuoto, Poi uscirono, montarono sopra una macchina fan- tastica e sparirano nella notte. Tutti noi eravamo ancora annichiliti quando Giudizio, nel silenzio, disse: «Mé, se quella um dés z’quenta french, ai daria ‘na bata» (Io, se quella mi desse cinquanta franchi, me la farei). La Romagna di «e Guat», che era scuro di pelle ed ave- va gli occhi insanguinati come i goatti, quei pescl reti che si pescano nel porto solo di marzo, Diceva di avere fatto la guerra del ‘15-28; ma i conti non tornavano perché «e Guat», se dimostrava cinquant’anni, non ne aveva pil di trenta, Conciava le pelli, era bravissimo nel suo lavoro, La bottega era una°specie di grotta senza porte ¢ lui ci stava dentro tutto il giorno, senza parlare mai con nessuno, Sol: tanto quando e'eta un film di guerra entrava nel cinema al- le due ed usciva a mezzanotte stralnato, parlande da salo, La «botta da matto» prendeva «e Guat», all'improvviso, come sentisse una voce, un comanda, Subito piantava Ii tutto ¢ indogsava in gran fretta una delle sue divise (ardita, marinaid, alpino, ne ayeva di tutti i tipi, sbrindellate, carne- a7 yalesche, insieme a un arsenale di pugnali, baionette, bom- be a mano, un po’ vere € un po’ finte), Poi tirava giti la sa- racinesca della bottega e, sttisciando come un gatto lungo i muti delle ease, con un pugnale tra i denti e una bomba per mano, arrivaya in piazza, dove si buttava in terrae re- stava If spiaccicato, la faccia contro i selci, immobile, pat- lottando a bassa voce freneticamente. 1 tognini! Maledetti tognini! I tognini erano i tedeschi, Con un urlaccio da so- mato, «¢ Guat» saltava in piedi e partiva all’attacco in mezzo a una tempesta sibilante di proiettili, ululati_ di obici, altri moccoli, esplosioni, crolli, avanti Savoia, viva ['Tralia! Di solito, artivato all'altezza del caffe di Raoul ali ap- plausi, gli schizvi di sifone in facia da parte dei yitelloni che li lo aspettavano, coincideyano con la fine della batta- glia, Fradicio d'acqua, ¢e Guat» salutava_militarmente, girando sui tacchi da tutte le parti; poi, con la bocca imita- va il suono mesto e lontano d'una tromba che suonava il si- lenzio; lo faceva cosi bene, con tale accoramento, che anche i vitellonacci pitt feroci, quelli che un minuto prima gli ave- vano tirato. in mevzo alla faccia un bombolone alla crema, si immalincanivano e lo stavano a sentire fino alla fine. Una mattina vedemmo.l’autoambulanza della Croce ver- de ferma davanti al bar di Raoul, Ci mettemmo a correre. L'autista infermiere era dentro a bersi un caflé ¢ raccon- tava a tutti quello che era suceesso, Un «togninos, un tedesco di quelli che girano il mondo in bicicletta con | cal- zoni corti in testa un cappelluccio pieno di medaglie e di penne, si era fermato davanti alla bottega del «Guat» per chiedere da che parte si doveva andare, Senza rispondere una parola «e Guat», che in tutta la sua vita non aveva mal dato fastidio a nessuno, con une dei sui coltellacci gli ave- va staccato un orecchio. Adesso lo portayano a Imola: al manicomic, Spiccando grandi salti, riuscimmo a guardare, per un at- timo, attraverso i vetri impolverati dell’autoambulanza; sulla branda, legato come un salame, con un fazzolettone blu che eli segava la bocca, c'era ae Guat», Gli occhi rossi giravano attorno stupefatti, smarriti, Li chindeva e Ii tia- priva lentamente come quelli dei polli al mereato. E Fafinon? Fafinon era un vecchio di $an Leo che stava sempre dalle parti del lavatoio, alla perifetia di Rimini, IL soprannome completo era « Falinon de foss» perché, quan- 28 do aveva bisogno di liberarsi il corpo, si sdraiava di traverso sul fess, come un ponticello. Stava If pomeripgi interi, nu- do dalla pancia in gid, con il sedere a mallo nell’acqua fre- sca € lischiava beato alle rondini ¢ ai passeri, Qualche vol- ta gli uccelletti venivano gid a spirale dal cielo e gli zam- pettayano sulla fronte, sul petro. Le lavandaie, un giorno, andarono a chiarnare il parroca: era uno scandala che non si poteva sopportare, Fafinon ti- spondeva che anche san Francesco parlava con i passeri, «Ma non stava nudo dentraun fosso come fai tu, porcones, si sgolava il prete dall’argine. Per noi bambini incontrare Fafinon era una festa: Lo cir- condavamo, lo tirayamo per la giacca, non lo lasclavamo andar via se prima non ci aveva aecontentati: perché il vee- chio Fafinon, oltre a conoscere il linguaggio degli uccelli, aveva un altro talento: poteva produrte peti in numero pressoché illimitato, Gli bastava picchiettare con la punta delle dita certe zone della pancia, concentrarsi un pochino, quindi era pronto, Poteyate chiedergli suoni di ogni to- nalita, le imitazioni di tutti gli strumenti musicali e di tutte le bestie da cortile e da campagna, Che allegrezza! Che en- tusiasma! | fuochi d'artificio, richiesti con urla ¢ salti, era il gran finale, dove il vecchio, a volte, sorprendeva se stes- so. Ci buttavamo:a terra dalle risate, gli occhi pieni di Ja. crime: che nomo meraviglioso! Non molto simpatici, l'uno irritante, l'altro tetyo, erano, invece, Gigina ¢ Bestemmia, Gigino, robustissimo (lo invidiavo), stava sempre alla spiaggia o sul molo, con grandi maglioni, giacche di camo- scio, 0 nudo quasi del tutto, in mutandine, Una volta, sul molo, incontra un amico vestito, in compagnia della ragaz- za. «Mi pare patacchino, — gli dice con la sua vocetta, — che tu sia troppo infagottato!» E ld scaraventa nel canale, A questi scherzi degradanti, tutti ridevano, timorosi, Gi- gino veniva al café, stande accantg al biliardo. Commen- tava: «Questa boccetta’é proprio una patacchina. Quest’al- tra ¢ pitt patacchina ancora!» Pol se ne andava: «Buona- noite, patacchini, Vado dalla mammina». Finehé, una sera, avendo incontrato il suo barbiere con una tagazza, disse a lei che il barbiere era sposato. E il barbiere lo massacrd di botte, vendieando tutti i giovani del paese. Bestemmia eta un bestemmiatare, e lo avevano sopran- nominato con una bestemmia. Cosf, tutti quelli che lo chia- * 29 mayano, dovevano bestemmiare, Bestemmia tirava dei moccoli che faceyana pensare: «adesso artiva il Padteter- noe fulmina Rimini», Aveva occhi che parevano pugna- late, Se qualcuno appoggiava la bicicletta sulla sua, en- trava nel caflé © minacciava: «Ti faccio mangiare Ia sta- tua del vescovo con tutti i piecioni», Oppure: «Ti faccio mangiare il biliardo», Oppure, ancora: «Ti cavo i balfetti, te li faccio mangiare, poi ti do la purga e te li rifaecio man, giate ». tl, ae aoe Era un personaggio buio, Questi tali li vedevo in piazza, in una sorta di gloriosa dimensione topografica. Poi li sco- privo nella loro casa, in una stradetta, Veclevo una povera camera da letto ¢ Bestemmia, buttato sul letto, com uma ca- nottiera piena di buchi. Jue ak Davanti al caflé Commercio passava anche la Gradisea. Vestiva di un raso nero che mandava fulgori d’acciaio; portava i primi ciglioni finti, i ricciolini biondi incollati uno per uno sulla testa come dei tortellini e anche in pie- no inverno le sue leggendarie tettone s‘intravedeyano re- spirare gonfie, satolle sotto camicette quasi trasparentl, Nel café tutti spiaccicavano i nasi sul vetro. La chiama- vano Gradisca, ma il suo nome era un altro (e tuttavia, a Rimini, molte donne portavano nomi come Gradisca, ° Podgora, ce-n’era una che si chiamava Maria Piave, perché erano nate ai tempi della pritna guetta mondiale), La no- stra Gradisea perd si chiamava cos{ perché pare che una volta, essendosi fermato in citra un principe del sangue, gli aveyano proposto lei, e a lei si erano raccomandati che si comportasse, nell’oceasione, con rispetto; allora, quanda fu nuda dayanti al principe, per tenet fede a quelle racco- mandazioni, gli si offerse dicendo: «Gradisca», Tl passaggio della Gradisca creava enormt struggimentt: appetito, fame, voglia di latte. I Hanconi patevano rote locomotive quando si muoveno; suggerivano quel potente movimento, ' , Siccome, pet via della Bottega dell'Arte, io ero diven- tato un personaggetto abbastanza noto, aveva fatto un contratto col proprietario del cinema Fulgot, Costui asso- migliava a Ronald Colman lo sapeva. Portava l'impermea- bile anche d’estate, i baffecti, « manteneva una costante immobilita, per non perdere la somiglianza, come fanno quelli che sanno di assomigliare a qualcuno. I lavori che facevo per lui — caricature di «divi», interpreti dei film 30 in progtammazione, messe nelle vettine dei negozi a scopo di propaganda — gli erano dati in cambio dell'ingresso gra- tuito al cinema Pulgor. In quella calda cloaca di ogni vizio che era il cinema allora, c'era la maschera Madonna (da noi sidice cosi; Madonnaccia al posta di Cristianaccio, per dire un omaccione grande € grosso). L'aria veniva ammorbata da una sostanza dolciastra e fetida, spruzzata da quella ma- schera. Sotto lo schermo c’erano le pancacce, Poi, uno stec- cato come nelle stalle, divideva i « popolari» dai «distinti». Noi pagavamo undici soldi; dietro si papava una lira e dieci, Nel buio, noi tentavamo di entrare nei «distinti» perché 14 c'erano le belle donne; si diceva. Ma venivamo agguantati dalla maschera, che stava nell'ombea ¢ spiava da una tenda: sempre tradita, tuttavia, dalla brace della sua sigaretta; che si vedeya nel buio, Dopo le caricature, avevo ottenuto l'ingresso gratuito per me, Titta e mio fratello, Una volta che c’ero andato, vidi la (Gradisca sola, nei «distinti». Seavalcai lo steccato, sfuggen- do alla sorveghianza di Madonna; mi fermai a guardare la Gradisca, col batticuore. I! fascio di luce che useiva dalla cabina alonava sui suoi capelli biondi luminosi. Mi sedetti, forse per l'emozione: prima lantano, poi sempre piti vici- no. Lei fumava lentamente coi suoi labbroni, Quando ehbi raggiunto la poltroncina accanto, allungai una mano. La sua coscia opulenta, fino alla giartettiera, sembrava una mortadella chiusa dalle spago. Lei lasciava fare, guardando in avanti, stupenda e silénziosa, Andai oltte, con la mano, fino alla carne bianca, polposa, A questo punto, la Gradi- sea si volt} lentamente ¢ mi chiese con voce buona: «Co- sé che cerchi? » Io non fui pili capace di proseguire, Traumatizzato, tuttavia, da quel ricardo, molti anni de- po andai nei prati di Comasco, in cetca della Gradisca; mi avevano detto che si eta sposata con unm cugino marinaioe desiderava rivederla, Mi inoltrai con la Jaguar in una bor- gata miserabile, un delta fangoso. C’era una vecchietta che stendeva i panni nell'orto. «Scusi, — le chiesi, — dove abita la Gradisea? » «Chi la cerca? » mi domandé a sua volta la vecchietta. «Sono un conoscente, Mi sa dire dove sta? «Sano io», disse la veechietta, Quella era la Gradisca, Ave: Va perso ogni traccia, anche la pitt lontana, di quello sfavil- lio carnevalesco, trionfante. Facendo i conti, infatti, ades- £0 aVeva sessant'anni. Allora, noi si stava sempre in eitta, Poche valte si usciva 30 nei dinternt, Ricordo la Collina delle Grazie, un santuario ¢on Ia via crucis, cul si puod far risalire il quaresimale terrifi- cante, miracolistica, apocalittico della religione, da me ri- trovate in seguito, in certe sequenze, Su per la collina c’erano tante cappellette a zig-zag, Una volta, per una cerimonia di Quaresima, s'era accampata sul- Ja collina una gran festa: contadini, veechie, fetore, lupini, cartate di salame, uno che vomitava. Salivano in ginocchio, cantanda, per rageiungere l'ultima stazione, In testa a tutti don Giovanni urlaya: «...e cadde per la seconda voltae, Poi, avvenimenti ancor pitt drammatici, in un crescendo fo- sco, mortuario, sanguinante. Chi lo sa perché era sempre cosi? Perché tutto quello che aveva a che fare con la reli- ' sione doveva sempre spaventare? In quel periodo, alla religione si aggiunsero le facce dei fascisti. Qualeuno di costoro credo che avesse picchiata mio padre, [o sospettave certi ceffi che stavano al bar in camicia nera, Mio padre mi teneva nascosta la cosa, (Quan- do cadevail discorso su certi argomenti, egli seambiava oc- chiate complici con mia madre, per non farmene pertecipe. La mia confusione aumenta il giorno in cui vidi quei ceffi sospetti cantare in chiesa, insieme all’arciprete. Uno di costoro, un certo $., durante la guerra d’Aftica, fu indotto a partire volontario per la Spagna, Un giorno che ci portarona con le scuole alla stazione per salutare l'in- segnante di pinnastica che parliva per la stessa guerra, c'era anche 8. il quale aveva perso ogni spavalderia, circondato da tre o quattro donnette piagnucolose, Cantammo Faccet- fa vera e il trenaceio parti. Alle edunate io non portavo mai una divisa completa: mi mancavana, volta a volta, le scarpe nere, i pantoloni grigio- verdi, il fez. Era un tiepido sabotaggio per non apparite interamente fascista; da irrepolare, istintivamente insolfe- rente di quel clima militaresca, e mortuario come le proces- sioni. Un giorno, Statace doveva passare per Rimini. Alla sra- zione spunté un trend imbandierato, C’era un gran sole, La banda esplose, squillarono Je trombe, il trena entrava in stazione soffiande un gran fumo bianco. Che apparizione! Poi, diradarosi il fumo bianco, resté Starace, un ometto, con un ptan nasone, che disse: «Camerati timinesi...» La gente impazat, forse perché l'ometto aveva detto: «riminesi»; squillarono di nuovo le trombe: credo che Starace non ab- a2 bia detto altro, Quindi gli fu presentato un mutilato che la gente portava in braccio dopo averlo tolto dalla carraz- zina a rotelle. Era un tale che vedevamo-al caffe, coi calzoni vuotl petché era senza gambe, In quelle sccasioni venivano portati avanti, diventando improvvisamente importanti, ciechi, storpi, zoppi: quanti ne vedemmo, allora, sui bal- coni, nelle piazze, nei teatri, Il re, invece, lo andammo a vedere a Forli, allineatt sui mareiapiedi della stazione, Siccome c'era un gran caldo mi ero allontanato dal cordone per andare a rubare un'araneia in una baracchetta che ci stava alle spalle, quando, ancora una volta, squillarono le trombe. Io, che avevo iniziata a sbuceiare l’arancia con la baionetta del moschetto, non tiv- scivo pill ariinnestarla: e l'insegnante di ginnastica bestem- miava. Poi attivé il treno e apparve un veechietto con un piccolo ciuffa di baffetti bianchi sotto il naso, Era il re, Pero ci si divertiva, anche, Un Iuogo affascinante, di Ri mini, era il cimitero. Mai visto un poste meno lugubre. Intanto stava di 1a da un passaggio a livello, perei era pre- ceduto dalla yisione emozionante, allegra, del treno. Le sbarre si abbassavano suonando: si vedeva, di la, un muret- to chiaro, con tanti cunicoli, come casette di bambini, L,"ho scoperto quando mori il nenno, Noi nipoti fummo caricati sopra una carrozza. Il vetturino, per fare tacete, inflava fa frusta in un foro della berlina chiusa, cercando di colpirei. Fu una grande scampagnata, Cominelammo a correre fra le tombe, a nasconderci, Ricordo il fascino di tutte quelle farce: le foto sulle tombe. Che la gente vestisse, prima di allota, in un altro modo, "ho scoperto al cimitero, Vedevo altrettanci nomi, tuttl conasctuti: Baravelli, Béenzi, Renzi, Fellini, le famiglic riminesi. 1] cimitera era sempre in co- struzione, quindi c'eraun’aria di festa, | muratori, laveran- do, cantavano, Una stupenda contadina, che teneva la ba- racea dei fiori, Ja mattina passava in bicieletta, Preparava t mazzi di fiori con lo spago, che spezzava con i suoi denti to- busti. Bionda, se ne staya in un vestito slacciata di satin nero, a piedi sealzi, bagnata, Se ne parlava ancora, di questa contadina, durante i] «passeggino» lungo il Corso: tutte le ‘sere, mezzo chilo: metro compiuta.a passa di lumaca. Dalla pasticceria Dovesi fine af caflé Commercio, Come si accendevano le luci, co- minciava il «passeggino», fatto di ammiccamenti, brevi tisate. Erano due correnti in senso inverso, che si tincar- 33 revano, A furia di camminare, pareva che la gente consu- masse sempre pit la parte inferiore del corpo. Oltre piazza Cavour, uno dei capolinea, laggid in fondo cera il buio della campagna, Dall’altra parte, oltre piazza Giulio Cesare, un altro buio. Cosi il «passeggino» avve- niva, caldo, trepido, appassionaro, tra quelle due zone di bute. La stazione era, invece, il luogo dei sogni avventurosi. [ treni, Il campanellina del treno. I binari che si biforea- yano in mezzo alle siepi. Appena lo scampanellio cessava, si vedeva il treno allincrocio dei binari, silenzioso: il ru- more veniva dopo. Una volta vedemmo un treno tutto blu. Era il vagone letto, Si al2d una tendina, apparve un signo- re in pigiama, Un‘altra volta, dopo una giornata strana, non sapevamo pitt cosa direi, con Tirta, Montanari e Luigino Dolci ci fa- cemmo fare un’ultima fotografia al mare, andammo in pel- legtinapgio per i nostri luoghi, poi Titta, Montanati e Lui- aino mi accompagnarono alla stazione, Nel piazzale c'erano dei tipi che mi guardavano. Prendemmo un vermouth nel bar della stazione, noi che non si beveva mai! quindi mon- tai sul treno, Montanari disse: «Adesso Federico diventa internazionale»., E Titta: «Porca ma...» La trombetta, uno scossone che schiodava i vagoni, il trena che andava via, le case; il cimitero. Sono partite da Rimini nel ’37. Ci sono tornato nel "46. Sono arrivato in un mare di mozziconi di case. Non c’era phi niente. Veniva fuori dalle macerie soltanto il dialetto, la cadenza di sempre, un tichiamo: «Duilio, Severino!» guei nomi strani, curiosi, Molte delle case che avevo abitato non c’erano piu, La gente parlava del fronte, delle grotte di San Marino in cui si erano tifugiati ¢ io provave la sensazione un po’ vergo- gnosa di essere stato fuori dal disastro. Poi, facemmo il gira per vedere cos'era rimasto, C'era ancora la piazzetta medievale della «pugnar, intatta: in quel mare di macerie, pareva una costruzione di Cinecitra fatta dall’architetta Filippone. Mi colpi l'operosita della gente, annidata nelle baracche di legno; ¢ che parlassero gid di pensioni da costruire, di a4 alberghi, alberghi, alberghi: questa voglia di tirar su le CHse, _ A piazza Giulio Cesate i nazisti avevano impiccato tre riminesi. Adesso c'erano dei fori per terra, pcre che eT una reazione infantile, Quello spetta- Colo Mm pareva un olirageio sproporei aoe gio sp porzionato, Ma come, non Pil LW Foliteama, non c’é pid guell'albera, la casa, il ee il caflé, la senola! Mi pareva che avesse dovura renatl il Tispetta per certe cose. Sta bene, & la puerra: ma perché distruggere propria tutto? Poi i portarono a vedere un grande plastica, in una ve- trina. Pareva che gli americani avessero promesso-di tico- aoe tutto a proprie spese, come un atto di riparazione, I plastica, infatti, prefigurava la Rimini futura, [ riminest guatdavano, Poi dicevano: «Sembra una citta americana, Ma chi la vuole Ja citta americana? » Forse Rimini io l'avevo gi cancellata per mio conto, in precédenza, La guetta aveyva compiuto anche l'atto materia- le. Allora mi pareva, poiché la situazione s'era fatta irrever- sibile, che tutto, Invece, dovesse restare, Thtanto, pero, Rimini, io laveve ritrovata a Roma, Ri- mini, a Roma, & Ostia, a ; : : : Prima i quella sera, Ostia non l’avevo mai cercata, Ne avewo sentito parlate come della «spiaggia decisa dal duce», «Roma adesso ha il sua mare», cié che me la rendeva anti- patica. Tra] altro, stando a Roma, non sapevo nemmeno da che parte fosse il mare. : Una sera, cera gid l'oscutamento, eli autobus passavana silenziosi, schermati di luce azzurra; la penombra rendeva ancor pid la citti: quel paesone che &, remota © solitaria, ate festeggiando qualcosa in una pizzeria, coi col- ce i, con Rupgero Maceari, Avevamo bevuto; pareva che il ristorante dovesse rovesciarsi. Nel mezzo di quell’allegria ubriaca Ruggero dice: « Venite con me, Prendiamo un tran- VeECtom, Seeso dal tram, dopo il viaggio natrurna, sentii all’in- Provviso un'aria pii fresca. Eravamo a Ostia, I viali de. serti, ali alberoni che si muovevano a causa del vento: he visto, di li da una balaustra di cemento, comea Rimini, che cera il mare, Un mare nero: che mi fece venire la nostalgia di Rimini; e che era anche una scoperta ploiosa, segreta, come pensare: vieino a Roma c’é un poste che & Rimini, Questa di Ostia @, infatti, una passepgiata sulla quale di- 33 rigo spesso la macchina, anche inconsapevolmente, A Ostia ho girato I vifelloné perché una Rimini inventata: & pit Rimini della vera Rimini. [] luogo ripropone Rimini in maniera teatrale, scenogratica e, pertanto, innocua, EB il mio paese, quasi pulito, nectato dagli umori viscerali, sen- za agetessioni ¢ sorprese, Insomma & una ricostruzione scenografica del paese della memoria, nella quale puoi pe- nettare, come dire?, da turista, senza restare invischiato. «Adesso ci sono 1500 tra alberghi ¢ pensioni, pri di 200 bar, 50 sale da ballo, una spiaggia lunga 15 chilometri. Arrivana, ogni anna, mezzo milione di persone, meta stra- nieci « meta italiani, Gli aerei coprona il cielo ogni giorno, dall’Inghilterra, dalla Germania, dalla Francia, dalla Sve- ia... Sono tornato a Rimini per via di questo libro’ Chi mi da le notizie é il figlio del mio compagno di scuola, Ora; sono i figli che si incontrano. «Ti ricordi Anteo, il facchino della stazione? Adesso ha una quantita di alberghi». «I miei con- tadini, — diee Titta, — hanno abbandonata i poderi per met- tere in piedi quattro ristoranti-alberghi alla Barafondas. «Hai visto il prattacielo?» «Un tale di qui ha creato una catena di alberghi — anche in collina per la primavera ¢ lautunno, anche in montagna per l'inverno — perché i suoi clienti dell’estate non vuole lasciarli, li tiene stretti per tut- to Vanna, Questa che vedo € una Rimini che non finisce pid. Prima, intorno alla citti, c'erano molti chilometri di buio e la litoranea, una strada dissestata. Apparivano soltanto, come fantasmi, edifici di stampo fascista, le colonie marine, D'in- verno, quando s'andava a Rivabella in bicicletta, si sentiva il fschio del vento dentro le finestre di quegli edifici, perché le imposte erana state portate via, per far legna. Gra il buio non e’é pid. Ci sono, invece, quindici chilo- metri di locali, di insegne luminose; ¢ questo corteo inter minabile di macchine seintillanti, una specie di via lattea disegnata coi fari delle autemobili, Luce, dovungue: fa notte é sparita, si é-allontanata ne! cielo e nel mare. Anche nella campagna, anche a Covignana, dove hanno aperto un night-club favolosissimo, che non si vede nemmeno a Los 1 La wets Bbw ind, Cappelli, Bologna mez, 3G fingeles, nemmeno a Hollywood: e sta If, proprio dove cerano le aie dei contadini; dove sentivi soltanto latrati di cagnace!, Adesso appalono giardini orientali: © musica, juke-box, gente dappertutta, un carrello di immagini sfol- goranti, il paese dei baloechi, Las Vegas, Ho visto alberghi di vetro e¢ rame e, al di 1a dei verti, gente che ballava, gente seduta su terrazze, Negozi, Magaz- zini immensi illuminati a giorno, aperti mtta la notte, con gli abiti, le mode che rotolano fin Ii, Carnaby Street, gli oggetti della pop-art; mercati notturni con Jo scatolame pit inctedibile, i] risotto alla milanese gid preparata, con lo zaf- ferano; un’annosfera falsa ¢ felice; ¢ questa concorrenza spletata; pensioni dove, con poco piti di mille lire, danna colazione, pranzo, cena, camera; cabina al mare: tutto con una piccola manciata eli soldi, Non sapevo piti dey'ero. Ma qui non c’era Ja chiesa nuo- va? I. il viale Tripoli dove sta? Siamo ancora a Rimini? Si ripeteva la sensazione di quando ero tornato, subite dopo la-guerra, Allora avevo visto un mare di maceérie, Adesso vedeva, con lo stesso sgomento, un mare di luce & di-case, HU fotografo Minghini rideya compiaciuto di questi stu- port ¢ pilotava la macchina in fretta pet mostrarmi l'acqua- rio, alberghi piu belli del Grand-Hotel, i nuovi quartieti, Minghini continuaya a dire: «Tre mesi fa questo non c'eta eadesso il tale ha comprato un terrena anche di la dal fiu- me, Hanno fatto il progetto di quattro grattacieli sul Ma- reechia, uniti da un‘ anello di cement, per un garage che pad tenere duemila automebili». L’anello intorno.ai quat- tro grattacieli sara come una corona, una passeggiata ver- so alto, con gli alberi; un disegna di Flash Gordon, il pa- lazzo di Reba, re del mercuriani. La gente continuava a entrate nei negozi, in piena not- te, venuta da tutte le parti del mondo, con facee gialle, rosse, verdi, illuminate dalle insegne, a comprare gelati im- bellettati, pesce che viene dalla Spagna, pizze fatte male; gente che non dorme mai perché hanno il juke-box persino sotta il Jette; un rombo continuo di canzoni urlate e di chitarre elettriche, ininterrottamen te, per tutta la stagione. Allora, il giorne entra-nella notte e la notte entra nel gior- no, senza una pausa. Una lunghissima giornata di quattro mesi come al Polo Nord, Minghinivcon eli occhi Incidi di soddisfazione, diceva; «Tu sei-andato a Roma, ma qua...» Aveva ragione. To mi sentiva straniero, defraudato, rimpic- 37 ciolito, Assistevo auna festa che non era pit per me. Alme- no non avevo piti la forza, la golosita per parteciparvi. Ed era inutile che si facesse pili notte pet andare a cercare qualche angoletto di memoria, La baldotia non finiva, Las- sti, nei piani alti delle case, sopra le fronde degli alberi, si vedevano finestre illuminate, si udivano fonografi. Sul mo- lo, dove una volta c’era yeramente il buio e qualche cop- pietta allacciata si nascondeva dietro i massi di granito: an- che li c'era musica, camitive di svedesi sulle terrazze det ristoranti ittici, Dall'altra parte del. mole, dove una volta clera qualche lumicino tremolante di pescatore, adesso si vedeva una specie di serpentone di luce, Infine, andammo a sedere sul terrazzo del Club Civico di Rimini. Titta, che era venuto con noi, s¢ ne stava curio- samente silenzioso. Mi venne in mente che, prima della guerra, con Titta, al Circolo dei Filodrammatici, andavamo a rubare nel cappatti dei soci, Una volta rubammo settan- tatre lire, che ci permisera di svernare mangiando paste ¢ cioccolata, Finché una sera, udimmo il proprietario del cap- potto che diceva; «Me, se prendo quei due che mi hanno rubato settantatre lire, gli stacco le palle!» E noi el si na- scondeva, If a un passo, dietro le pagine con la stecca del- Pe lustrazione Italiana». Ma Titta, ora, guardando quel mare di gente che conti- nuave a popolare la notte, si risveglid d'un tratta. Poi chie- sé, wn poco canzonandomi: «Mi dica, signor Fellini, lei che ha indagato tanto, che cosa significa tutto questa? » Subite dopo volle andare a letto, perchd il mattine aye- va una causa a Venezia. Lo accompagnd Minghini. To restai fuori, Soltanto nella cirta vecchia c'era silenzio, c’erano luci pid diserete, Passando pian plano con la mac- china, vidi una canottiera di uno che fumava, seduto in un caflettino, Era Demos Bonini, il socio della ditta Febo, che ora fa belle incisioni su rame, Accanto a lui stava Lui- gino Dolci, «il domatore di cavalli Eteorres. Entrambi te- nevano le gazzose tra le gambe, Demos stava dicendo qual- cosa di comico perché Luigino rideva scuotenda !a testa e strizzandosi le lacrime coi pugni, come a scuola. Continuai a girovapare, Sono passato due-o tre volte da- yantl all'albergo, Non avevo voglia di coricarmi, Mi lascia- yo andare a una specie di yuoto ¢ pacifico ruminare del pen- stera. Provavo, anche, un senso di vapa mortificazione; una cosa gia sistemata, archiviata, ora la ritravavo d'un colpo a8 gigantesca, cresciuta senza il tua permesso, senza-chieder- ti consiglio, Parse ero anche offesa, chissa! Mi sembrava che Roma, ora, fosse pit canfortante, pitt piccola, addome- sticata, familiare. In una parola, pid mia. Ero preso da una comica forma di gelosia, Avrei voluto chiedere a tutta quel. la gente, gli svedesi, i tedeschi: «Ma insomma, che cosa ci trovate di tanto bello? Che cosa ci venite a fare? » ! A questo punto, due ragazzi mi hanno fatto il segno del- Tantostop. Ho aperto lo sportello della macchina, Erano molto civili, cortesi, disereti. Une portava i boccoloni bion- i, Laltro una frangetta alla bebé che gli artivava sul naso, una camicia col pizza settecenresco e i pantaloni di yelluto arancione, Siccome non aprivano bocca, non riuscivo a capice se fos- sero di Stoccolma, di Amsterdam, oppure inglesi, Infine aliel’ho chiésto: «Di dove siete? » «Di Rimini», hanno det- to. E questo € straordinario; sono tutti eguali, hanno tutti una patria comune, «Possiamo scendere qui? » hanna chiesto a un certo pun- ta, Quando ho aperto lo sportello, la musica che gia si era sentita da lontano, era diventata fortissima. Veniva dai campi, da un'insegna luminosa: «L'altro mando». I due ragazzl hanno ringraziato ¢ sono encrati, Dope un attime di incertezza sono sceso anch'io ¢ sono entrato 4 mia volta, Il locale, da una parte, dava sulla strada; dall'altro, correva sopra un plazzalone di terra battuta che finiva nella cam- pagna, mescolando la musica all'odare del fiens. Sotta un tendone da citco c’era un night-club. Migliaia di giovani stavano ballando, Essi non mi vedevano, non ci vedevano, noi che siamo ortal come i garibaldini in congedo, coi nostri problemi che non li interessano. Mentre noi stavamo a discutere di passaggio dal neorealismo al realismo, di pancinor, ecc,, questi giovani sono cresciati in silenzio, per accamparsi d'un colpo sotte i nostri occhi, come l’esercito di-un altro Planeta, inatteso, misteriosa, che ci ignora. Mi sono seduto a un tavolo. Accanto, un tagazzo stava accatezzando una ragazza, la baciava, le erattava dolcemen- te il naso. Era, evidentemente, la sua ragazza, Pol venne un altro, un-amico, a sedersi al suo posto, perché Ini era andato a prendere il cocomero. Mi sorpresi a scoprire che anche I’amico faceya le stesse carezze alla ragazza, Quando il primo dei due fu tornato, rimase a guardare l'amico che ae gli baciava Ja ragazza, mentre lui si mangiava il suo coco- mero, Poi l'amico ando via, spart nel ballo, Allora io mi av- vicinal al ragazzo rimasto €, come per chiedere una spiega- zione di quel palese tradimento, gli dissi; «Ma non é Ja tua ragazza? » «Non é la mia ragazza», rispose quello. «Buna tagazza che sta volentieri con mes, 40 II, Fino al liceo non mi sono mai posto il problema di cosa avrei fatto nella vita; non riuscivo a proiettarmi nel fu- tuto, Pensavo alla professione come a una cosa che non si poteva evitare, come lq messa alla domenica, Non ho mai detto: «da grande fara!» Non mi sembrava che sarei di- ventato gtande e in fondo nen ho neanche shagliato, Dal giorno in cui sono nato fino al mio primo ingresso a Cinecirta la mia vita mi pare sia stata vissuta da qualcun al- tro; da uno che, solo a tratti e quando meno me lo aspetta, decide all’imprayvisa di parteciparmi qualche frammento dei suoi ricordi, Debbo quindi ammettere che i miei film della memoria raccontano ricordi completamente inventati, E del resto che differenza fa? Eceo; da bambino costruive da sole dei burattini. Prima li disegnavo sul cartone, poi |i ritagliavo, infine mettevo in- sieme le reste con la creta-o con Povatta: imbevuta di colla. Di fronte a.casa nostra c’era un giovanottone con la barba rossa, faceva lo scultote ¢ veniva spessa a curiosare nel ma- gazzino alimentare di mio padre esaltandosi dayanti alle grandi forme nere e panciute di parmigiano. Per lui erano «pezzi di arte pura», ¢ cercava di conyincere mio padre a brestargliene un paio: per ispirarsi, diceva, ma papa cam- biava discorso. Un giorno mi vide in un angoline che pa- strocchiava per conto mia e¢ mi insegnd a usare il gesso li- quido ¢ la plastilina, Fabbricavo da me anche i colori schiac- ciando i mattoni ¢ riducendoli in polvere. Tn un vicoletto dove passavo sempre per andare a ripetizione (davevo an- dare a tipetizione tutto Panne, perché a scuola non impa- ravo niente) c’era Amedeo, un ometto sdentato che cantic- chiava a bassa voce e faceva dei bellissimi lavori in cucia. Amedeo mi aveva preso in simpatia e mi regalava i ritagli che finivano sotto il bancone, Pid avanti c'erano due fra- telli gemelli, falegnami (si distinguevano perché uno era 4 sordo ¢ laltro fischiava); anche nella loro bottega mi pia- ceva passare del tempo e portavo via delle tavolette di le- gno dolce. Insomma se ci ripenso mi pare che per me la fan- tasia & sempte stata legata al lavoro artiglanale, Non mi sono mai appassionato ad altri giochi all'infuori dei burattini, dei colori e delle costruzioni in cartoncino, quei disegni in pianta e prospettiva che si ritagliavano e¢ s'incollayano, Per il resto, niente: mai dato un‘calcio a una palla, Mi piaceva anche star chiuso nel gabinetta per ore ed ore, mettermi la cipria in faccia e mascherarmi con balfi di stoppa, barbe, sopracciglioni metafistofelici, e basettoni disegnati col sughero bruciata, Al cinema perd non ci andave tanto spesso da ragazzo. Intanto il pitt delle yolte non avevo i soldi, non me li davano. Poi al cinema che frequentayo io, il Fulpor di RI mini, si prendevano le botte. Nei posti «popolari», quelli proprio sotto lo schermo, fatti di panche schiodate, le sce- ne d’ayventura e di guerra scatenavano emulazioni ancora pill selvagge, tra urla, scarpate in testa, rotolamenti satto le panche, e l'intervento finale di «Usciavzax, un bestio- ne violento, ex pugile, ex bagnino, ex facchino dei mereati, ¢ che adesso, con un fez rosso in testa € una visiera di cel- luloide, faceva la maschera al cinema, ¢ scazzottava come un assassino, Tl mio primo ricordo di un film tisale, credo,.a Meeciste allinferno. Stavo in braccio a mio padre, la sala era piena, faceva caldo € spruzzavana un antisettico che grattaya in gola ma anche stordiva, In quell’atmosfera un po’ oppiata ricordo le immagini giallastre con tanti bei donneni. Poi pi- corde le diapositive dai preti, in uno stanzone con le pan- che di legna, immagini in bianco e¢ nero di chiese, Assisi, Orvieto. Ma del cinema ho in tmente:soprattutto i mani- fest, quelli mi incantavano, Una sera con un amico rita- gliai, servendemi di una Gillette, le immagini di un'attri- cé che mi pareva bellissima, Ellen Meis. Stava in un film di Mautizio d’Ancora, Vevere, mi pare: lui metteva la testa sulle rotaie, seguiva un capoccione di Emma Grammatica che diceva ho ¢ lui spostava la testa. Casi, per telepatia, Non conosco i classici del cinema; Murnau, Dreyer, Ei- senstein, vervosnosamente non li ho mal visti. Areiyato a Roma comineiai a frequentare di pid il cine- matografo, una volta alla settimana, una volta ogni quin- dici giorhi. Quando non sapevo dove andare o quando ¢’e- 42 rano film abbinati al varieta. I miei locali erano il Volturna, il Fenice, l’Alcione, il Brancaccio, L’avanspettacalo mi ha sempre emozionato, come il citco. Per me il cinema @ una sala ribollente di voci ¢ di sudori, le mascherine, le caldar- raste, la pipi dei bambini: quell’atia da fine del mondo, da disastro, da retata. I] tramestio che precede il varieta,i pra- fessori che arrivano in orchestra, ali accardi, la yoce del co- mico ei passi.delle ragazze dietro il velario, Oppute la gen- te che esce d'inverno dalle porte di sicurezza, in un vicolo, un po’ timbambiti dal freddo, qualcuno che canticchia il motivo del film, delle risatacce, qualcuno che piscia, Nel mio arrivo a Roma dunque il cinema c’entrava jn qualche modo: avevo visto tanti film americani in cui i pior- nalisti erano dei personapgi aflascinanti. Non-ricorda pit i titoli, sono passati parecchi anni, certo & che rimasi talmen- te impressionato da come vivevano quei giornalisti che de- cisi di diventare giornalista anch'io, Mi piacevano i lore soprabiti, ¢ il modo came portayano il cappella, buttato al- Vindietro, Che anno eta? I1'38, il '39? Facevo il giornalista e il di- rettore del giornale che era un sarta e teneva sempre degli aghi fra i denti quando parlava ed era tutta un inttico di Gili, di nastri, di spilli, voleva un’intervista con Osvaldo Valenti. Cos{ quella mattina era Ia prima volta che entravo a Cinecicta, Fingevo una gran disinvoltura, come Fred Mac. Murtay nel film dove faceva il giornalista, ma in verita ero molto intimidito ¢ sono rimasto sotto il sole a puardare a bocea aperta le torri, gli spalti, i cavalli, le torve palandra- he, 1 cavalieri imbottiti di ferro e le eliche di aeroplani in funzione che sollevavano ovunque nuvoloni di polvere; ri- chiami, grida, trilli di fischietto, il ftasruone di enormi tuo- te in corsa, clangore: di lance, spade, Osvaldo Valenti in piedi su una specie di biga dalle cui ruote spuntavano affli- latissime lame e le urla terrorizzate di una gran massa di comparse, un caos tenebroso, soffacante.., ma, al di sopra di tutta quella canfusione, una voce potente, metallica, tua- nava ordini che parevano verdetti: «Luce rossa aruppo A attacchi sulla sinistra! Luce bfanca aruppa barbari retro- ceda in fuga! Luce verde cavalieri ed elefanti Impennarsi ¢ caricare! Gruppo E e gruppo F rovinare al suolo! tht-mer- DIA-TA:MEN-TE! [1 43 Il timbro della voce attrayvetso il megafono e il genere degli annunci scanditi potevano anche suggerire idea di trovarsi alla stazione o all’aeroporto in un momento di gran- de catastrofe. Non riuselvo perd-a capire da dave prove- nisse la voce. Ero. un po’ allarmato, il cuore mi batteva for- te, Poi tutto a un tratto, in un silenzio improvviso, il brac- cio lunghissimo di una gru comincid a sollevarsi nell'aria éasalire in alto, sempre pid in alta, al di sopra delle co- struzioni, al di sopra dei teatri di posa, oltre gli alberi, ol- tre le torri, su, ancora pid su, verso le nubi, fine a fermarsi sospeso nel riverbero incandescente di un tramonte con milioni di raggi. Qualeuno mi presté un cannocchiale ¢ las- su, a pid di mille metri, su una poltrona Frau saldamente avvitata alla piattaforma della gru, con igambali di cuoia, scintillanti, un foulard al colle di seta indiana, un elmo in testa e tre megafoni, quattro microfoni e una ventina di fischietti appesi al collo c'era un wore: era lui, era il re- gista, era Blasetti. Pensavo.allora di non essere tagliato per la regia, Mi mancavano il gusto della sopraftazione tiratnica, la coe- renga, la pignoleria, la capacita di faticare e tante altre cose, ma soprattutto l’autorita. Tutte doti assenti nel mio tempe- ramento, Da bambino ero un tipetto chiuso, solitario, ag- gredibile, vulnerabilissimo fino allo svenimento. E. sono ri- masto, cheeché ne pensi la gente, molto timido. Tutto que- sto comme si poteva combinare con gli stivali, i] megatono, Vurlata, le armi tradizionali del cinema? La regia di yn film é sempre il comando sulla ciurma di Cristofora Colombo che vuol tornare indietro. Tutt'intorno hai le facce degli elettricisti, il loro muta intetrogativo: «Dotto, e che volé- mo fA tardi pure stasera?» Senza un po’ d'autorita ti spin- gerebbero affettuosamente fuori dal teatro, Gi facevo lo sceneggiatore, andavo- sul set per modif- care situazioni o battute, e mi meravighiavo che il regista potessé avere rapporti distaccati con Je attrici. Mi riusciva difficile di serivere un dialogo in quella confusione; sentiva terribilmente il disagio del lavoro collettivo, tutti insieme a fare una cosa ¢ parlande forte, Eppure, & andata a finite che riesco a lavorare bene solo nella confusione, come quan- d'ero giornalista e scrivevo eli articoli-all’ultimo momento nel caos della recazione. Mi ritrovai pita mio agio nei film pirat fuori, all’aria aperta, In questo davvero Rossellini fu un iniziatore, L'e- 44 sperienza con Rossellini, il viaggio di Paist, ranpresenté per me la scoperta dell’Italia, Fino ‘a quel momento non avevo visto gran che: Rimini, Firenze, Roma e qualche cit- tadina del Meridione intravista quando stavo in giro con Vavanspettacolo, borghi e paesi chiusi in una notte medie- vale come quelli conosciuti da ragazzo, solo con dialetti di- versl, Mi piacque il modo che aveva Rossellini di fare il cineina come un viaggio piacevole, una scampagnata di amici. Fu quello, mi pare, il seme buono, _Seguendo Rossellini mentre girava Paird mi parve im- prowvisamenté chiaro, una gioiosa tivelazione, che si pote- va fare il cinema con la stessa liberta, la stessa leggerezza con cui si disegna e si scrive, realizzare un film godendolo e soffrendolo giorno per giorno, ota per ora, senza ango- sciarsi troppo per il risultato finale; lo stessa rapporto se- areto, ansiose ed esaltante che uno ha con le proprie nevro- si; ¢ che gli impedimenti, i dubbi, i ripensamenui, idrammi, le fatiche, non erano poi molto diversi da quelli che soffre il pittore quando cetea sulla tela un tone e lo scrittore che can- cella e'riserive, corregee e ricamincia, alla ricerca di un mo- do espressivo che, impalpabile ¢ sfuggente, vive nascasto tra mille possibilita. Rossellini cercava, inseguiva il suo | film in mezzo alle strade, con i carri armati degli alleati che cl passavana a un metro dalla schiena, gente che gridava e cantaya alle finestre, centinata di persone intorno che cerca: vane di venderei o di rubarci qualcosa, in quella balgia in- candescente, in quel formicolante lazzaretto, che era Napo- li, e poi a Firenze e a Roma € negli sconfinati acquitrini del Po, con problemi di egni tipo, permessi reyocati all’ultime momento, programmi che saltavano, misteriose sparizioni di danaro, nel girotonde frastornante di produttori improv- visatl sempre pin avidi, intantili, mentitori, avventurieri. . Ecco, da Rossellini mi pare di avere appreso — un am- maestramento mai tradotto in parole, mai espresso, mai trasformato in programma — la possibilith di camminate in equilibrio in mezzo alle condizioni piri avverse, pill con trastanti, e nella stesso tempo la capacitd naturale, di yol- gere a proprio vatitaggio queste avversita & questi cantra- sti, teamutatli in un sentimento, in valori emozionalt,in un punto di vista, Questo Taceva Rossellini: viveva la vita di un film come un'avventura meravigliosa da vivere e simul- taneamente raccontare. I] suo abbandono nei confronti della realrd, sempre attento, limpido, fervido, quel sue si- 435 tuarsi naturalmente in un punto impalpabile ¢ inconfondi- bile tra Vindifferenza del distacca € la goflaggine dell'ade- sione, gli permetteva di catturare, di fissare la realtd in tut- ti 1 suoi spazi, di guardare le cose dentro e fuori contempo- raheamente, di fotografare l'aria intorna alle cose, di sve- lare cié che di inafferrabile, di arcano, di magico, ha la vi- ta. Il neorealismo non é forse tutto questo? Pereid, quan- do si parla di neorealismo ci si pud riferire solo a Rossellini. Gli altri hanno fatto del realismo, del verismo, o hanno tentato di tradurre un talento, una vocazione, in una for- mula, in una ricerta. E negli ultimi film, in quelli fatti perché aveva preso un anticipa o perché gli era piaciuta un‘idea subito dimenti- cata, film a volte imbarazzanti, portati avanti svogliatamen- te, anche in questi c’é sempre un momento in cui ritrovi il suo occhio, il suo sentimento della tealta, sempre sospesa in un'ineluttabilita ferma, in una teagicita intatea, quasi sa- era, proprio perché dissimulata nella struggente familiarita dei gestt pid banali, delle consuetudini pid conosciute, delle cose piu note, Eva come se l’occhio quasi distratto ¢ lepee- ro di Rossellini sulle situazioni pit tremende consentisse loro di conservare incontaminata la loro terribile forza, e lo sgomento sembrava nutrirsl della stessa traspatente incon- sapevolezza dell'occhio che lo guardava. Questo sguardo, questo modo di osservare le cose coincise allora con una stagione in cul quello che avveniva era gia storia per conta sO, Efa gia narrazione, era gia personaggio, era gi' dialet- tica. Pinché la realta fu quella dolente, sconnessa, tragica, inafferrabile, del dopoguerra, ¢’8 stata una coincidenza mi- racolosa tra questa realr’ e l’oechio asciutto di Rossellini che la osservava, Dopo, quando le cose sona cambiate e questa stile, que- sto modo di guardare avrebbe avuto hisogne di un maggiot approfondimento perché la realta diventava piti comples- sa, pili dissimulata, meno esteriore, meno esteriormente drammatizzata, Rossellini, che era innamoratissimo della vita-e gli placevya viverla in maniera avventurosa, totale, senza rinunce ¢ senza ritegni, probabilmente ha pensato che costava trappo star fuori dalla vita per guardarla, meditarci riflettetci sopra ¢ riproporla can un occhio che avesse sem- pre quella purezza, quell'intensita, Forse ha pensato che la vita valesse pid la pena viverla piuttosto che starne fuori a perfezionare o a mantenere intesro e intatte questo stru- 46 mento di percezione, a preseryarlo dagli appannameniti, dalla miopia delle passioni, dei desideri, dell’avidita, Non avendolo fatto, € entrato in polemica con questa parte di se stesso, allontanandola da sé, negandola, sostenendo che questa @ una parte immatura, infantile, viziata, aristocrati- cae di cui non c’é nessun bisogno, Ma in quest’ansia di affermare, come faceva da alcuni an- ni il suo dissenso, il suo disprezza per tutto cid che non é dichiaratamente pedagogico, mi sembra di scorgere ap- punto la nostalgia, il risentimento e l'imbarazzo di chi sa di aver rinnegata e tradito qualeosa. Ma forse questa & uninterpretazione mia del tutto personalistica, la proie- zione altrettanto viziata dall'imbarazzo ¢ dalla nostalgia di chi non ha saputo o potuto essere divers. Rossellini é stato una specie di metropolitano che mi ha ajutato ad attravetsare la strada, Nan credo che mi abbia influenzato profondamente nel senso che di solito si da a questa parola. Gli riconosco, nei miei confronti, una pater- nita come quella di Adamo; una specie di progenitore da cui siamo tutti discesi. Individuare esattamente quali sono le cose che ho ereditato da lui non é facile. Ressellini ha fa- vorita il mio passaggio da un periodo nebbioso, abulico, cit- eolare, allo stadia del cinema, F state un incontro impor- tante, sone stati importanti i film che ho fatto con lui; in manicra di destino, perd, senza che ci fosse volonta o luci- clita da-parte mia, lo ero disponibile per qualche impresa ¢ lui era Li. Se in seguito ho avute det dubbi, delle remore ad accet- tare Ja regia del primo film, é a quei lieti ricordi che sono tornato per darmi coraggio, af IIT, Quale ¢ la sua filosofa per quel che riguarda il film? Che scope si prefigge girandolo? O'é un obiettive nascosto, oltre a quello di dare un divertimento al pubblico? Non so mai cosa rispondere a queste damande. Credo che faccio film perche non so fare altro ¢ mi pare che le cose si siano dispo- ste subito in modo molto spontaneo, molto naturale per fa- vorire questa inevitabilita, Ho gia detto che non mi sarei aspettato di diventate regista, ma poi dal primo giorno, dal- la prima volta, che ho gridato; «Motore! Azione! Stop!» ~ mi ésembrato di farlo da.sempre, non avrei patuto fare altro e quello ero io e quella la mia vita. Pertanto, facenda dei film non mi propongo altro che di seguire questa natu- rale inclinazione, taccontare cio’ col cinema delle storie, starie che misono congeniali ¢ che mi piace raccontate in un'inestricabile meseolanza di sincerita ¢ di invenzione, di voglia di stupire, di confessarsi, di assolversi, di desiderio spudorata di piacere, di interessare, di far la morale, il pro- feta, il testimene, il clown.,, di far ridere-e commuovere, C’e bisogno di qualche altro motivo? Lici del varieed Pho ideato ¢ sentita come un film mio; c'erano dentro ricordi, alcuni vert, altri inventati, di quando girave per I'Tralia con una compagniola ditivista, Eranoi primi appunti cinemato- grafici su una certa provincia intravista dai finestrini delle terze classi o dalle quinte di teatrini fatiscenti, in paesetti arroccali su cocuzzoli ventost o annegati nelle nebbie di te- tre vallate. Il film lo dirizemmo in due, Lattuada ¢ io: Lattuada con la sua capacita di decidere, con la sicutezia ptotessionale dell'esperienza, col fischietto, il cappelluceia da regista; era lui che diceva: motore, azioneystop, via tut- ti! Silenzio! To stavo al suo fianeo in una situazione abba- stanza comoda di irresponsabilita, Per Lo sceieco bianco le tose andarono in uno strana modo, I produttore Carlo Ponti aveva acquistato da Antonio- 48 ni un soggettino di tre o quattro pagine sul monda dei fo- toromanzi; tema che il repista aveva pid raccontate in un documentario chiamato L'anzerasa menzogna, Fare un film, voglio dire metterlo in piedi, era allora una avventura; ma del resto, ogel, & forse diversa? Ponti aveva chiamato Pinelli e me per la sceneggiatura. Pitt tardi si sarebbe aggiunto anche Flaiano. L'intenzione era quella di fare un film ironico e amara sulle illusioni sentimentali ¢ romantiche di un mondo so- gnato attraverso i fumetti, Un giorno Pinelli mi disse: «Petché non facciamo la storia di una sposina che seappa di casa per venire a cono- scere il suo divo preferito?» E in pronto come un puma! «Ma allora facciamola fuggire durante il viaggio di noz- ze!» In coro aggiungemmo la visita al Papa, j parenti mi- nacciosi, i] comico eraismo dello sposino abhandonato che vuel nascondere la sua vergogna, Ad Antonioni pero la storia cosf come gliela raccontammo non piaceva troppo, Stava zitto, scuoteva la testa, sembrava perplesso. Inter- venne allora un altro produttore, il commendator Mam- bronio, un milanesone coi capelli grigi laccati, gli occhiali d’ore e un sorriso da uomo di mando, Uno dei piti grand piacer! di Mambronio era quello di riunire attorno al suo tavolo gli sceneggiatori per affermare di non poter vivere in una casa che non avesse almeno tre bagni, Detto que- sto ci fissava uno per uno in silenzio per cogliere sui nostri volti un'eventuale espressione di dissenso, ma noi che aspettavamo l'anticipo o la. rata avevamo solo espressioni cli grande ammirazione. Dopodiché Mambronio diceva che le scarpe si comprano solo a Londra, aggiungendo un po’ ineoerentemente che se la «sua signora» si fosse presentata a tavola senza rossetto, lui si sarebbe tolta la iacea, Nuova occhiata severa a tutti noi, e nostre accese congratulazio. ni, Insomma il Commendator Mambronio proponeva sem- pre lezioni di galateo, repole generali di vita, e indirizzi di hegozi mentre con una lametta Gilette divideva ogni si- garetta in quattro parti che sistemavya poi in un astuccio piccolissima aspettande che qualcuno chiedesse: «Com- mendatore, petché taglia le sigarette cosi?» Allora lui con il sorriso indulgente di chi ha visto tante cose nella vita, rispondeva: «Per fumare meno, caro amico», ¢ aggiungeva con la sua bella yoce da doppiatore: «Le consiglio di fare altrettanto», Perd aveva le dita piene di tagli, 49

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