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La Naometria e il brano Versus de instantis temporis fato imminente (Lilia nympha colit)

di DAVIDE ROMANO (2017)

Si tratta di uno dei libri più misteriosi e inaccessibili, che per secoli solo pochi privilegiati
hanno avuto la fortuna di vedere. Fino al 2014 è stato sistematicamente negato il permesso di
consultarlo o di ottenerne una riproduzione (anche il sottoscritto, tramite l’Istituto Universitario
Europeo, ci ha provato invano, e tra gli studiosi circola la voce che anche Umberto Eco si vide
opporre un rifiuto), finché la Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda, presso cui era
custodito, ha deciso inopinatamente di rendere disponibile sul proprio sito la riproduzione digitale
sia del manoscritto della prima versione dell’opera, datata 1596 e mai pubblicata, sia di quello della
seconda, rimasta anch’essa inedita. Si tratta sostanzialmente di due opere distinte, perché la nuova
Naometria, datata 1604, è una rielaborazione radicale e notevolmente ampliata della prima
versione, rispetto alla quale raggiunge dimensioni più che doppie, essendo divisa in due tomi che
assommano a più di 2000 pagine.

Se ormai è venuta meno ogni restrizione alla consultazione della Naometria, non si può certo
dire però che i suoi contenuti siano alla portata di tutti. Sin dal sottotitolo della prima versione
l’opera viene infatti presentata come una “introduzione alla cognizione dei misteri sacri”, mentre
l’obiettivo diventa ancora più ambizioso nella nuova Naometria, che si propone di iniziare i lettori
alla conoscenza di “tutti i misteri della natura” prima ancora che di quelli delle Sacre Scritture.
Ispirato a un passo dell’Apocalisse (XI, 1), il titolo Naometria (alla lettera “misura del tempio”)
prelude a una lunga serie di speculazioni in merito alla struttura e alle dimensioni del tempio
descritto nel libro di Ezechiele (40-43), prefigurazione della restaurazione della vera Chiesa
cristiana universale in seguito alla caduta dell’Anticristo, al secondo avvento di Cristo e alla
distruzione sia del potere papale sia della religione islamica. Lunghi e complessi calcoli basati su
date significative della storia umana e su cicli periodici individuano nel 1620 l’anno chiave della
svolta escatologica, che avrebbe visto il suo definitivo compimento nel 1623 con l’inizio di una
nuova era, dai caratteri molto simili a quella “età dello Spirito” che secondo Gioacchino da Fiore
avrebbe rappresentato il coronamento della storia sacra, dopo le età del Padre e del Figlio. Le
profezie e le dottrine dell’abate calabrese sono ripetutamente citate nella Naometria, alcune
speculazioni numerologiche della quale riprendono inoltre la cifra 1260, che Gioacchino da Fiore
aveva indicato come anno di inizio dell’età dello Spirito.

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L’autore di quest’opera ponderosa è Simon Studion, nato a Urach (nel Baden-Württemberg) il 6
marzo 1543. Poco dopo la sua nascita, il padre Jakob cominciò a lavorare come cuoco presso la
corte ducale a Stoccarda, dove qualche tempo più tardi si trasferì il resto della famiglia. Tra il 1561
e il 1565 Simon studiò teologia all’università di Tubinga, dove ebbe modo di approfondire anche
l’aritmetica mistica sotto l’influsso del rinomato professore di Etica (nonché astronomo e astrologo)
Samuel Heiland. A Marbach (la città natale di Friedrich Schiller) Studion insegnò presso la
Lateinschule dal 1572 fino al 1605, poco prima della sua morte. In questi anni, oltre a comporre
poesie in latino, tra cui un’elegia per la morte del riformatore luterano Johannes Brenz nel 1570
(l’unica sua opera pubblicata) e una lunghissima ode in esametri (1579) per celebrare le nozze del
conte Ludwig del Württemberg (1575), del quale ripercorreva la genealogia, scrisse una storia del
Württemberg e un trattato di archeologia romana. Studion può essere considerato a ragione uno dei
pionieri delle ricerche archeologiche in quella regione, dato che sulla scorta delle sue scoperte di
reperti romani il duca Federico I del Württemberg, successore di Ludwig, promosse alcune
campagne di scavi.

Proprio il conte Federico, cultore di studi alchemici e occultistici, è il dedicatario della


Naometria, a cui Simon Studion cominciò a lavorare nel 1592. L’opera attirò anche l’attenzione di
Philipp Ludwig, duca del Palatinato-Neuburg, alla cui proposta di pubblicare lo scritto si deve la
revisione culminata nella seconda versione, che si conclude con il brano musicale a 6 voci, Versus
de instantis temporis fato imminente. Secondo le attuali conoscenze, la sua prima esecuzione
pubblica risulta avere avuto luogo il 6 maggio 2017 a Firenze presso Villa Salviati, ad opera del
coro dell’Istituto Universitario Europeo diretto dal maestro Valerio Del Piccolo. Il titolo Versus de
instantis temporis fato imminente compare però in un CD a cura dell’Università Rosa-Croce
Internazionale (URCI), che ha inserito il brano nel quarto libro dell’Antiphonarius Rosae+Crucis,
una raccolta di musica per i rituali speciali dell’AMORC (Antico e Mistico Ordine della Rosa-
Croce). Nelle poche righe che introducono il componimento alla fine della Naometria viene
precisato che fu musicato da Johannes Brauhart, una figura molto oscura di cui non si sa altro se
non che fu collega di Simon Studion, verosimilmente in qualità di Kantor, presso la Lateinschule di
Marbach, che oggi continua a esistere come Friedrich-Schiller-Gymnasium.

Il testo del brano celebra la presunta lega evangelica segreta tra Enrico IV (i gigli), Giacomo I
d’Inghilterra (il leone) e il duca Federico I di Württemberg (la ninfa). L’origine di questa
“confoederatio militiae evangelicae”, i cui membri sono detti crucesignati (da qui il riferimento del
testo alla “imago crucis”), risale secondo Studion al 17 luglio 1586, quando a Lüneburg si tenne un

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incontro tra alcuni principi ed elettori evangelici e i legati di Enrico di Navarra, del re di Danimarca
e della regina Elisabetta (v. Naometria [1604], I, ff. 35, 122) allo scopo di contrastare le manovre
della Lega cattolica, che a quel tempo si opponeva all’ascesa al trono francese da parte di Enrico di
Navarra. È da leggere in quest’ottica anti-cattolica l’allusione al “volucer Quirini” (Quirino divenne
l’epiteto di Romolo dopo la sua deificazione), che rappresenta, in questo caso, il Sacro Romano
Imperatore.

Sebbene non sia attestata da altre fonti, la presunta alleanza segreta tra Enrico IV, Giacomo I e
Federico I riflette le speranze diffuse negli ambienti protestanti tedeschi, che nei decenni precedenti
avevano coltivato relazioni privilegiate con l’Inghilterra della regina Elisabetta e che si auguravano
di vedere confermate le alleanze diplomatiche dopo l’ascesa al trono del suo successore Giacomo I
nel 1603. Analoghe considerazioni valgono a maggior ragione per il resoconto dell’incontro che
avrebbe avuto luogo a Lüneburg il 17 luglio 1586. Anche in questo caso non sono note conferme
documentarie dell’evento, che rispecchia tuttavia le iniziative in politica estera di alcuni consiglieri
di Elisabetta d’Inghilterra a sostegno dei protestanti tedeschi, francesi e olandesi, presso i quali la
regina era considerata come il baluardo contro le forze della reazione asburgica e cattolica. Uno dei
più attivi propugnatori di una lega protestante fu Philip Sidney, che nel 1577, in occasione della
missione diplomatica alla corte imperiale di Rodolfo II (a cui doveva presentare le condoglianze per
la morte del padre Massimilano II), aveva saggiato le possibilità di un’alleanza tra i principi
protestanti tedeschi. Tra costoro si era mostrato entusiasta soprattutto il conte Giovanni Casimiro
del Palatinato, una regione che avrebbe mantenuto a lungo un ruolo di primo piano nel progetto di
coalizione degli stati protestanti tedeschi, realizzato infine nel 1608 sotto la guida del nipote di
Giovanni Casimiro, Federico IV, il quale era legato da rapporti particolarmente stretti con i signori
delle vicine regioni: Maurizio, langravio di Assia-Kassel (il primo a notare il talento musicale di
Heinrich Schütz e a offrirgli protezione) e Federico, duca del Württemberg.

Il duca Federico era peraltro un anglofilo entusiasta che durante il regno di Elisabetta visitò più
volte l’Inghilterra, dove il prestigio di cui godeva gli consentì di essere ammesso all’Ordine della
Giarrettiera nel 1597. La sua cerimonia d’investitura ebbe luogo però soltanto nel 1603 a Stoccarda,
dove il nuovo re Giacomo I inviò una delegazione speciale. Molto probabilmente fu questo gesto,
che sembrava far presagire l’intenzione del sovrano inglese di rinnovare le alleanze con i principi
protestanti tedeschi, a ispirare l’idea della confederazione celebrata nel canto finale della Naometria
(che fu portata a termine, non a caso, l’anno successivo all’investitura di Federico).

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La stessa cerimonia produsse una potente impressione su un giovane studente di Tubinga,
Johann Valentin Andreae, a cui è attribuito il terzo manifesto della leggendaria confraternita dei
Rosacroce, Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz [Chymische Hochzeit Christiani
Rosencreutz], un romanzo allegorico pubblicato a Strasburgo nel 1616 che faceva seguito alla Fama
fraternitatis (Kassel, 1614) e alla Confessio fraternitatis (Kassel, 1615). Curiosamente, l’anno che
figura sulla seconda versione della Naometria, il 1604, coincide con il momento in cui, a detta degli
autori del primo manifesto rosacrociano, fu scoperto il sepolcro del mitico fondatore della
confraternita, Christian Rosenkreutz. L’evento, dalle evidenti valenze simboliche, rappresentava
l’inizio di una “riforma universale e generale dell’intero universo”, basata su una nuova filosofia, o
meglio sulla riscoperta di antiche e segrete conoscenze capaci di produrre una diffusa illuminazione
spirituale. Si sa con certezza che Johann Valentin Andreae ebbe modo di leggere la Naometria e di
apprezzarne in particolare le previsioni escatologiche, che egli menziona in un’altra sua opera, la
Turris Babel (Strasburgo, 1619), inscrivendole nella tradizione profetica avviata da Gioacchino da
Fiore e proseguita con numerosi vaticini molto popolari nel Cinquecento, quali quelli di santa
Brigida, dell’astrologo Johannes Lichtenberg, di Paracelso, di Guillaume Postel “e di altri
illuminati” (Turris Babel, p. 15).

Diversi studiosi hanno messo in luce i contatti tra gli ambienti dei primi Rosacroce e Giordano
Bruno, in particolare per il tramite del teologo e alchimista svizzero Raphael Eglin, che il nolano
incontrò nel 1591, allorché si trattenne per qualche mese a Elgg, vicino a Zurigo, nella residenza del
patrizio augustano Johann Heinrich Hainzel, cultore di alchimia e di occultismo. Il testo delle
lezioni tenute da Bruno in quella sede venne pubblicato nel 1595 (e ristampato con integrazioni nel
1609) proprio da Raphael Eglin il quale, condotto dapprima in rovina dai propri esperimenti
alchemici e fuggito poi a Kassel, dove godette della protezione del langravio Moritz (che nel 1606
gli valse peraltro la cattedra di teologia a Marburg), fu più tardi coinvolto non solo nella diffusione,
ma nella creazione stessa di almeno alcuni dei manifesti rosacrociani: a lui, infatti, può essere
probabilmente ascritta, sotto lo pseudonimo di Filippo di Gabella, la Secretioris philosophiae
consideratio brevis, il testo che precedeva la Confessio fraternitatis nell’edizione del 1615. Alla
luce di queste considerazioni, nonché del fatto che sia nel 1590 sia nel 1591 (prima e dopo i mesi
trascorsi in Svizzera), Giordano Bruno soggiornò a Francoforte per poi dirigersi a sud verso
Venezia, non è troppo azzardato ipotizzare che in quel periodo Simon Studion abbia potuto
conoscere il filosofo nolano e trarre ispirazione da alcune sue idee per la composizione della
Naometria, intrapresa di lì a poco, nel 1592.

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Nell’ottica del cambiamento epocale annunciato da Studion, che delineava una ricomposizione
politica e religiosa dell’umanità nell’ambito di un imperialismo purificato, una delle opere più note
di Giordano Bruno, lo Spaccio della bestia trionfante (pubblicata a Parigi nel 1584 e dedicata a
Philip Sidney), offre una suggestiva possibilità d’interpretazione del riferimento alla costellazione
di Arctophylax (Bootes) nel brano musicale della Naometria. Lo Spaccio descrive una riforma
morale e religiosa che ha inizio in cielo, dove Giove aduna gli dei per riordinare le costellazioni,
dalle quali si propone di scacciare i vizi a esse collegate per ripristinarne le virtù (un processo che si
ripeterà analogamente nel mondo inferiore per effetto degli influssi celesti). Nella rinnovata
“Artofilace” la legge, figlia della “Sofia celeste e divina” e dell’intelletto razionale, sostituisce il
delitto e l’incostanza, promuovendo così una pacifica “conversazione umana” in virtù della quale i
ricchi e i potenti non prevaricheranno i deboli e i poveri e le arti e le scienze prospereranno a
vantaggio della comunità.

Nota anche come “l’aquilone”, la costellazione di Arctophylax (il guardiano dell’Orsa) può
anche essere intesa, nel contesto della Naometria, come un richiamo al nord (o al vento del nord) da
cui, secondo Geremia (1, 14), si sarebbe rovesciata ogni sventura (“ab aquilone pandetur omne
malum”). Nel corso del Cinquecento l’annuncio biblico era stato spesso applicato allo
sconvolgimento prodotto dalla riforma protestante, che nell’immaginario cattolico si sovrapponeva
alle invasioni barbariche. In questo senso la profezia di Geremia viene citata non solo nei celebri
Vaticini dei sommi pontefici erroneamente attribuiti a Gioacchino da Fiore (vaticinio XIV: “Flores
rubei aquam odoriferam distillabunt”, “I fiori rossi distilleranno acqua odorifera”), ma anche in
alcune opere coeve di propaganda anti-cattolica, allo scopo di evocare polemicamente l’imminente
distruzione del papato e del culto fondato su quella istituzione corrotta. Un’analoga allusione è
implicita probabilmente nella conclusione del Versus de instantis temporis fato imminente, che dalla
costellazione di Arctophylax fa discendere la ninfa (Federico I del Württemberg) con i suoi alleati (i
principi protestanti tedeschi). La devastazione del sole e della luna indicherebbe, secondo questa
chiave interpretativa, la distruzione del papa e di Maometto a cui allude il sottotitolo stesso della
Naometria, mentre in una lettura meno politica del brano il nesso stabilito tra i confederati tedeschi
e Arctophylax potrebbe essere un’allusione alla loro simbolica funzione di autentici custodi del Polo
(così come Arctophylax è il guardiano dell’Orsa), con tutte le implicazioni che questo concetto ha
rivestito nella tradizione esoterica come riferimento al centro spirituale del mondo e della sapienza
eterna.

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Hieroglyphicus Simonis Studionis versus de christiana et fatali, sub equestris ordinis titulo,
duorum serenissimorum heroum, primum Henrici quarti Navarrae et Franciae, deinde Iacobi,
Angliae et Scotiae regum, cum illustrissimo principe D. D. Friderico, duce Wittembergico, inita
confoederatione, a Ioanne Brauhart, Scholae Marpachiane collega, sex vocum cantus gratulationis
loco concinnatus.

Versus de instantis temporis fato imminente

Lilia nympha colit; nympham leo; castra leonem


caetera: quos omnes signat imago crucis.
Vastabunt solem, lunam volucremque Quirini,
auxiliante Deo, lilia, nympha, leo.
Lilia terra rotae mittet; maris unda leonem;
nympham cum sociis proferet Arctophylax.

Componimento simbolico di Simon Studion sull’alleanza cristiana scritta nel fato e instaurata,
sotto il titolo dell’ordine equestre, dai due serenissimi paladini – Enrico IV, re di Francia e Navarra,
e Giacomo, d’Inghilterra e Scozia – con l’illustrissimo principe e signore Federico, duca del
Württemberg. Trasposto in un canto celebrativo a sei voci da Johannes Brauhart, collega della
scuola di Marbach.

Canto del fato incombente sull’epoca odierna

La ninfa onora i gigli; il leone la ninfa; le altre guarnigioni


il leone: ed essi tutti sono fregiati dell’immagine della croce.
Con l’aiuto di Dio, i gigli, la ninfa e il leone
devasteranno il sole, la luna e l’alato di Quirino.
Il ciclo della terra genererà i gigli; l’onda del mare il leone;
il Guardiano dell’Orsa farà sorgere la ninfa con i suoi alleati.

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