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L’elettricità, questa sconosciuta. Una approssimazione cognitiva.

Prologo

L’immagine del mondo che si utilizzava era fondamentalmente


cinematica. Ciò andava di pari passo con la restrizione dell’indagine
epistemologica della Natura. Nella trattazione scientifica dei fenomeni
naturali fisici, anche l’elettricità e il magnetismo vennero ridotti a soli
cambiamenti di posizione e movimenti nello spazio. La concezione di una
valida idea di forza è stata ridotta a descrizione di comportamento
geometrico. Lo sviluppo culturale ha creato la convinzione che quella
parte della scienza che ha a che fare con le azioni di forza possa essere
trattata con soli concetti cinematici, al punto che si definisce cinetica la
scienza che studia movimento e forze, trascurando il termine dinamica.

I fenomeni del dominio elettrico hanno una relazione con noi che è
fondamentalmente differente da quella dei fenomeni della luce, del suono
e del calore. Noi in un certo senso “nuotiamo” nella luce, nel suono, nel
calore Non si può dire lo stesso per i fenomeni elettrici. Noi non
percepiamo l’elettricità come una qualità specifica, allo stesso modo in cui
per esempio percepiamo la luce o il tono, o il calore. Anche quando
l’elettricità è “costretta” a mostrarsi, noi la percepiamo come fenomeno
riconducibile alle percezioni termiche o luminose., per esempio nel ferro
da stiro, o nella lampadina. Non c’è un organo sensoriale per l’elettricità
con il quale si possa percepirla. La luce ha letteralmente costruito l’occhio
nell’essere umano per essere percepita, così il suono ha edificato
l’orecchio, e così pure abbiamo un tipo di organo che percepisce il calore.
Per l’elettricità non c’è niente di analogo, noi percepiamo l’elettricità solo
di forma indiretta. Ma siamo oltremodo sensibili alla energia
elettromagnetica che diffusamente avvolge le nostre vite.

Vanno dati qui alcuni cenni sulla percezione e i nostri dodici sensi.
Caratterizzare cos’è la percezione è difficile: noi diciamo cos’è la
percezione… col pensiero, ma appunto, se dico “questo è un tavolo”, sono
già nel pensiero, mi sono rappresentato quello che ho davanti, ma non so
nulla della percezione. Allora come facciamo?
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La verità è che la percezione si può afferrare solo negativamente,
togliendo per così dire tutto ciò che siamo abituati ad aggiungere col
pensiero. Percezione e pensiero vanno sempre a braccetto. Cosa avviene
con la percezione? Un impulso a pensare. Sento con l’udito qualcosa a
distanza; poi questo qualcosa cresce mentre cerco di afferrarne il
significato, fin quando si rivela come il rumore di un aereo appena
decollato, nel momento in cui ne scatta la relativa rappresentazione.
Il mondo ci presenta un aggregato sconnesso: colori, suoni, odori,
sapori…questo aggregato è il contenuto dell’osservazione, ma è ancora
privo di concetti. Davanti questo contenuto c’è il pensare, pronto per
cominciare la sua attività appena incontra un punto di partenza. Quindi
percezione e concetto rappresentativo vanno a braccetto e costituiscono
una polarità primaria: insieme formano l’atto cognitivo.
C’è un processo che si svolge senza la mia partecipazione e c’è un altro
processo che invece dipende da me e si svolge nella sfera concettuale. La
percezione si trova in una regione della coscienza in cui siamo
“addormentati”., mentre come è evidente la rappresentazione si svolge in
una zona della coscienza in cui siamo pienamente svegli. Aggiungo che da
un lato il mondo agisce su di noi, opera su di noi di forma oggettiva, e
dall’altro c’è il lato soggettivo, individuale.
La polarità percezione-pensiero è fondamentale, ma che tipo di polarità
è? Il pensiero è il processo base della conoscenza, e il suo opposto polare
della percezione si ascrive alla misteriosa regione della volontà. C’è la
misteriosa volontà in ogni atto percettivo, c’è la chiara rappresentazione
nell’atto conoscitivo che complementa immediatamente il lato opposto. Di
volontà parleremo molto in questo breve saggio. A titolo di prima
approssimazione, diremo che alla piena coscienza da svegli del
rappresentare e del pensare si contrappone l’attività volitiva che si svolge
in una regione della coscienza opposta, paragonabile al sogno profondo.
Ciò per la attuale fase evolutiva che richiede lo sviluppo chiaro e cosciente
del pensare. Portare a coscienza l’atto volitivo è un compito futuro basato
sull’intuizione spirituale.
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La misteriosa volontà è presente in ogni atto percettivo, e la percezione
qualunque essa sia si svolge in una regione della coscienza in cui siamo
come addormentati. Ma i dodici sensi differiscono l’uno dall’altro per la
funzione che compiono, possiamo aggrupparli nei sensi più squisitamente
conoscitivi, come il senso del suono, del linguaggio, del pensiero e dell’Io,
poi i sensi più affini alla regione dei sentimenti, come il quaternario di
sensi che percepiscono il mondo esterno a noi, essi sono il senso del
calore, senso dell’olfatto ,il senso della vista o colore, il senso del gusto.
Infine ci sono i sensi del tatto, della vita, del movimento e dell’equilibrio
che sono i nostri sensi corporali e che ci informano del nostro stato
interiore e della sua relazione fisica col mondo esterno.
Siamo diversamente “svegli o addormentati” nei dodici sensi. Nei sensi del
polo corporale siamo in pieno nel polo della materia e della volontà,
dunque in una regione della coscienza paragonabile al sonno profondo.
Potrei dire che qui la rappresentazione si mette in moto di forma sopita,
minima. Se faccio un movimento con un arto la rappresentazione non
scatta chiara e continua, ma rimane sul fondo, e devo richiamarla
all’attenzione con uno sforzo se voglio. Un leggero malessere è avvertito
dal senso della vita, ma ne ho una immagine attenuata. Lo stesso vale per
l’equilibrio e il tatto. Viceversa, nel senso dell’udito e del linguaggio sono
molto più “sveglio” e la rappresentazione si innesca chiara e cosciente e fa
di me un essere attento.

Detto ciò, vorrei approssimarmi ai fenomeni elettrici e magnetici dal punto


di vista cognitivo, cercare di inquadrarli dal punto di vista spirituale. Si
parla da più parti dei danni della energia ad essi associata e in generale
dell’impatto globale nella nostra società elettromagnetica. E ritengo
necessario quindi ricorrere a uno studio preliminare di carattere
epistemologico dell’elettricità, la sua origine e la parallela evoluzione delle
nostre capacità cognitive. Ciò per stabilire se sappiamo che cos’è
l’elettricità, se un velo la occulta alla nostra comprensione e come
avvicinarci a questo dominio di pure forze. Dovremo però intraprendere
uno studio preliminare in direzioni trasversali.

Il polo del pensiero.


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Siamo esseri di pensiero, sentimento e volontà. Ma è solo nel pensiero
che siamo realmente svegli e vigili; nei sentimenti altalenanti noi ci
troviamo in una coscienza simile a quella dei sogni; e nella volontà la
nostra coscienza è equivalente al sonno profondo, anche quando siamo nel
bel mezzo della nostra vita da svegli. Noi non sperimentiamo direttamente
la volontà, ma solo indirettamente attraverso le rappresentazioni che di
essa facciamo. Di un atto di volontà sappiamo della intenzione iniziale e
poi dell’immagine che ci rappresenta l’atto compiuto, ma nulla dei
processi intermedi. Il tema della volontà ci occuperà particolarmente,
perché è a questa regione dell’anima che dobbiamo rivolgerci per
comprendere i fenomeni della materia ed elettrici. Può sembrare astrusa la
associazione tra la sfera della volontà e la elettricità, ma risulterà più chiara
e giustificata nel trascorso dello studio.

Riguardo il pensiero, il nostro modo abituale di avvicinarci alla Natura si


avvale innanzitutto dell’Aritmetica, della nostra capacità di contare e
calcolare. E’ uno strumento che possediamo e comprendiamo di forma
indipendente dal mondo esterno. Contare mele o contare cariche elettriche
non fa differenza, si tratta solo di contare. Il secondo strumento du cui
disponiamo prima di avvicinarci alla Natura è la Geometria. Quello che è
un quadrato, o un cubo, o un cerchio, lo sappiamo senza bisogno di
osservarlo nel muondo fuori. Sono concetti che sappiamo tessere e
dominare da noi stessi; possiamo fare un disegno conveniente per aiutare
la memoria, ma non è indispensabile, perché possiamo immaginarlo nella
mente. Il concetto di triangolo o di circolo, per esempio, lo abbiamo tutti.
Le forme geometriche sono una realtà che è distante dalla Natura esterna.

Infine, la terza cosa di cui disponiamo prima di avvicinarci alla Natura è


la scienza del Movimento, o Cinematica. E’ bene realizzare che la
Cinematica è ancora più distante da quelli che chiamiamo fenomeni
naturali. Posso immaginare il movimento ideale che dalla mia posizione
seduto al tavolo mi porta diritto alla porta di ingresso. Pura
immaginazione. Ma potrei ugualmente immaginare di andarci idealmente
con un primo movimento fino al termosifone e poi dal termosifone alla
porta. Sono consapevole nel mio intimo della composizione dei movimenti
nello spazio, cioè come un movimento da A a B sia possibile componerlo
con due altri che producono lo stesso risultato. Si chiama parallelogramma
dei Movimenti. Ma non devo fare disegni o grafici, lo so da me, e

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chiunque altro lo troverebbe valido appena glielo spiegassi. Se poi questo è
applicabile ai fenomeni della Natura, devo scoprirlo osservando che
succede nella realtà, e lo stesso vale per l’Aritmetica e la Geometria.

Quindi abbbiamo tre punti di appoggio preliminari prima di rivolgere lo


sguardo alla Natura, tutti e tre emergono solamente da noi stessi, da
esperienze pregresse; tuttavia questi concetti sono validamente applicabili
a ciò che accade nel mondo esterno. Poi vedremo l’origine di questi
concetti che possediamo.

Il polo della volontà, della massa e della forza.

Diverso è ora il caso delle forze, perché quando una forza reale è
applicata a un corpo non posso immaginare cosa accadrà, debbo in qualche
modo misurarla, devo approssimarmi alla Natura, devo passare dal
pensiero astratto al mondo dei fatti e dei fenomeni. Con l’attività mentale
posso approssimarmi ai movimenti, ma non alle forze. E’ maturo il
momento per avvicinarci al mondo esterno con il nostro essere completo.
Allora devo ricorrere alle esperienze quotidiane, e qui mi accorgo che
conservo due parole nel linguaggio, ed esse mostrano esperienze valide
prima di una riflessione scicntifica.

La forza e la massa sono concetti primordiali della nostra esperienza di


esseri umani qui sulla Terra, è innegabile. Ma come riconoscerle?
Solamente per mezzo dei loro effetti. Invece, le verità geometriche le
otteniamo dalla nostra vita di pensiero e possiamo poi eventualmente
applicarle ai processi della natura. Per le esperienze fisiche dobbiamo fare
un salto nel dominio delle forze naturali, e per comprendere ciò che c’è
nella Natura dobbiamo considerare attentamente i nostri stati di coscienza.

In fondo, avvicinarci ai fenomeni della Natura e dell’elettricità


dall’unico punto di vista completo, cioè quello spirituale, significa
considerare i diversi stati di coscienza per i quali passiamo. Senza ricorrere
ad essi, senza considerare l’essere umano completo, non possiamo
conoscere alcunchè della Natura. La scienza materialista ci presenta una
visione fantasmagorica dei fenomeni fisici perché si limita all’intelletto

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dell’osservatore esterno. Non possiamo vivere in piena coscienza da svegli
in tutto ciò che chiamiamo massa o forza.

Nonostante ciò, viviamo in essa di forrma ottusa col nostro essere


completo durante tutta la giornata! La coscienza che abbiamo della massa
e del peso associato è la stessa di quella ottusa e addormentata con cui
viviamo la nostra volontà.

Basta la semplice auto osservazione. Sappiamo bene della esistenza della


forza per mezzo del fatto che noi stessi dobbiamo esercitare forze
continuamente per muovere il nostro corpo. Per muovere il corpo
ricorriamo continuamente a atti volitivi, a forze che sorgono
misteriosamente in noi e che applichiamo. La resistenza del nostro corpo a
cambiare il suo stato di movimento perché composto di materia inerte ci dà
l’esperienza della forza come qualcosa che ci accomuna al mondo esterno.
In questa esperienza della forza, è subito implicita quella della massa
inerte, e possiamo rinforzarla sperimentando con qualche oggetto fisico.
Prendiamo un oggetto pesante, lo sosteniamo nella mano, lo alziamo ed
abbassiamo più volte, osservando attentamente questi gesti che pur sono
comunissimi nella vita di tutti i giorni.

L’esperienza di mettere in movimento un corpo inerte, ovvero


l’esperienza della forza che dobbiamo esercitare per superarne la
resistenza, già accomuna la massa alla forza necessaria per muoverla.
Possiamo dire che la massa non è altro che una particolare manifestazione
della forza a cui si associa. Questa forza che applichiamo continuamente ai
corpi che ci circondano nella vita di tutti i giorni, è frutto della nostra
volontà applicata. Mentre l’attività concettuale ha il suo fondamento
corporale nel cervello e le appendici nervose, l’attività volitiva si basa in
processi che hanno la loro parte corporale nei muscoli, arti e metabolismo.
Si osserva che la volontà agisce di forma incosciente e legata a processi
vitali.

Dicevo che bisogna osservare attentamente i gesti del sollevare ed


abbassare. Perché? Per la ragione che la percezione si trova nel polo della
volontà, opposto al pensiero che la completa. Come detto, percepiamo ma
con diversi gradi di coscienza. Dove siamo maggiormente dormienti
riguardo la percezione? Tra il senso del movimento, dell’equilibrio, della
vita e del tatto è un poco come la mezzanotte della coscienza dei sensi.
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Quindi siamo massimamente “addormentati” quando abbiamo una
percezione di equilibrio e quando abbiamo una percezione di movimento.
Con i sensi del movimento, della vita, dell’equilibrio e del tatto ci
troviamo nel polo della materia, sono i sensi con i quali apprezziamo
principalmente la nostra corporeità. Appartengono alla sfera misteriosa
della volontà, sono immersi nella materia.

E’ all’inizio difficile immaginare che il polo della volontà sia associato ai


processi vitali e metabolici, al senso della vita, del movimento, equilibrio e
tatto, e allo stesso tempo i rispettivi sensi siano vissuti con una coscienza
addormentata. L’associazione della volontà con la materia, e dunque con il
nostro vivere da svegli nella gravità ovvero la forza, segnalato
dall’equilibrio, percepito dal movimento, confermato dal senso della vita e
esplorato per il tatto, è perfettamente comprensibile se valutato senza
pregiudizi.

Ma dall’altro lato della polarità ci sono i processi nervosi conoscitivi,


vissuti in piena coscienza equivalente alla veglia, e ai quali non possiamo
atribuire se non la morte e la distruzione.

Invece siamo massimamente svegli fra l’udito ed il linguaggio che sono


sensi conoscitivi spirituali, e questo lo apprezzeremo meglio dopo.

Quando muoviamo un arto, sappiamo solo, eventualmente, della


intenzione che attiva la misteriosa volontà e dà ad esso la direttiva, e poi
sappiamo dell’azione terminata. Accompagniamo quindi il movimento con
una coscienza addormentata. Posso sapere delle posizioni intermedie e di
come esse corrispondano alla intenzione perché faccio ricorso alla
rapresentazione. Il senso del movimento è una percezione portata a
coscienza, ma appunto, è un sapere, una rappresentazione. Ma nulla ci è
dato sapere dei cambiamenti complessi che occorrono nella fisiologia per
realizzare quella azione, risultato della nostra volontà.

Pensiero e volontà a confronto.

Allora, abbiamo un dominio in cui siamo pienamente coscienti e svegli


nel pensiero, laddove afferriamo per esempio i concetti matematici.
Abbiamo poi una regione fondamentale della nostra vita animica nella
quale navighiamo nella volontà con una coscienza offuscata ma non meno
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reale. Tra le due sfere del pensiero e della volontà c’è la regione dei
sentimenti. Sebbene distinte per i rispettivi modi d’essere, le tre sfere sono
diffuse nel corpo intero, adiacenti e interpenetranti, ma sarà la
predominanza di una sfera sull’altra a impartire quella particolare qualità
dell’anima in ciascuna regione del corpo. A titolo di esempio, su cui
torneremo ulteriormente, basti pensare al senso della vista, in cui le tre
sfere si sovrappongono.

Se paragoniamo p. e. il senso della vista e il senso dell’olfatto si nota con


quale differente grado di coscienza essi convoglino le impressioni, e come
siano diversamente mescolati i rispettivi elementi di rappresentazione,
sentimento e volontà. Noi non ci allontaneremmo da un oggetto dal colore
obbiettabile così come da un odore spiacevole! La vista ha in gran misura
le qualità di “senso intellettuale” che fa scattare soprattutto la
rapresentazione. Ma la qualità speciale della visione non è libera da certi
elementi di sentimento e volontà. Il sentimento gioca un ruolo nella
percezione del colore; la volizione interviene nell’osservazione delle forme
e l’ordinamento percettivo degli oggetti che guardiamo. Appunto, dei
colori abbiamo coscienza “sentimentale” e l’attenzione percettiva per
apprezzare sempre meglio una forma non è altro che volontà applicata al di
sotto della coscienza.

Nella nostra evoluzione dalla nascita all’età adulta cambia soprattutto la


ripartizione delle attività animiche e di conseguenza il contenuto del
mondo interiore. Come vedremo, la nostra capacità di pensare in termini
geometrici e cinematici è il risultato evolutivo delle nostre prime
esperienze intuitive dell’ordine dinamico del mondo. Da adulti la memoria
di quelle esperienze pristine generalmente si attenua in modo da
permetterci di sviluppare l’auto coscienza basata sul pensiero astratto e la
opposizione agli oggetti esterni a noi, mentre la volontà retrocede nella
coscienza.

L’esempio della prima infanzia.

Consideriamo la costituzione psico fisica del bambino nel suo


fondamentale processo di assumere la posizione eretta. In quella
condizione infantile, il bambino è soprattutto un essere volitivo,
interamente immerso nella volizione e tutt’uno col mondo esterno a sè. Nel
bambino c’è ancora molto poco contrasto tra organi vivi e “non viventi”,
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come in lui c’è poca differenza tra il dormire e lo stare svegli. Mai più
difatti l’anima eserciterà la volontà allo stato puro e così intensamente
come nei giorni in cui essa agisce per far assumere al corpo la posizione
eretta, mai più agirà con forza e con la stessa determinazione per
raggiungere lo scopo a cui si dirige.

Vediamolo nei tentativi di alzarsi impiedi nella posizione verticale ed


acquisire la facoltà di mantenersi in questa posizione. Che cosa la sua
anima sta sperimentando ed apprendendo? E’ alle prese con la struttura
dinamica dello spazio esterno, ha a che fare con la forza di gravità che
tiranneggia sul suo corpicino, e con tutto ciò che la sua forza di volontà
sperimenta attivando il senso del movimento. All’inizio della nostra
camminata terrestre la forza di gravità diviene esperienza interna del
nostro organismo, e con essa l’apprendimento dello spazio, del sopra e
sotto, dell’avanti e dietro. Il bambino apprende attraverso il movimento, è
immerso nella forza e impara a convivere con essa mentre esplora lo
spazio. Il senso del movimento comincia a svilupparsi ora: esso si afferma
e specializza, ci fa sapere lo stato generale dei nostri movimenti corporali,
anche dei più piccoli. Avere il senso del movimento significa percepire che
le membra del nostro organismo si muovono insieme o separatamente,
“sapere” quando curviamo un braccio o una gamba, finanche quando
parliamo perché allora la laringe si muove. Ciò che portiamo con noi nella
forma di geometria intuitiva e movimenti sperimentato nell’assumere la
posizione eretta e nei primi passi, si trasformarà poi poco a poco nella
nostra capacità concettuale, mediante la metamorfosi di quelle forze di
volontà nella elaborazione di concetti geometrici e cinematici.

Quindi la nostra capacità di pensare in concetti cinematici è il risultato


evolutivo della nostra esperienza previamente aquisita dell’ordine
dinamico del mondo. Quest’ordine dinamico lo sperimentiamo vivamente
nella più tenera età, poi essso rimane nel fondo mentre comincia ad
emergere imperiosa la nostra capacità intellettuale. Crescendo, perdiamo
contatto e memoria con quelle esperienze dinamiche con la forza realizzate
da piccoli nel dominio della volontà, mentre acquistiamo capacità
intellettuale e visione geometrica della realtà. Con ciò ci separiamo dal
mondo esterno.

Va detto ora che nell’evoluzione dall’infanzia all’età adulta noi


ricapitoliamo in piccola scala fasi precedenti dell’evoluzione dell’Umanità.
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Infatti in quei tempi lontani nell’operare delle forze esterne vedevamo la
manifestazione degli esseri spirituali e in noi stessi sperimentavamo la
forza interiore. Quando poi nel corso del tempo l’Umanità ha raggiunto lo
stadio in cui doveva emergere l’auto coscienza, si è per così dire
“soffocata” questa realtà vivente della forza. Lo abbiamo fatto perché se
avessimo continuato a sperimentare in tutta la vitalità il rapporto col
mondo esteriore non saremmo giunti all’auto coscienza. Senza
l’indebolimento di questa vitalità ci saremmo sentiti membri di una unità
più grande, organi di un organismo più grande. Sono le attuali condizioni
di sviluppo della nostra anima che esigono lo smorzamento del rapporto
vivente col mondo e lo sviluppo dei concetti astratti. Ciò accade dal secolo
XVI in poi, e in forma crescente.

L’emergere nel bambino della coscienza individuale intellettuale dalla


condizione puramente volitiva dell’anima è una replica in piccolo del
processo maggiore per il quale l’Umanità occidentale è passata nel corso
del suo sviluppo. L’essere umano non è stato sempre il pensatore cerebrale
che è oggi.

(Alla sveglia dal sonno notturno si presenta a noi un cambio brusco verso
l’indurimento. Quando ci addormentiamo entriamo in una fase di
ammorbidimento.)

Cause meccaniche e cause volitive.

Il nostro corpo è quindi un oggetto di studio illuminante, vediamo per


esempio che cosa succede quando muoviamo un arto. Naturalmente, il
moto di una parte del corpo sarà sempre realizzato dal movimento delle
corrispondenti parti ossee dello scheletro. Questo a sua volta si mette in
moto per mezzo di certe contrazioni ed allungamenti dei muscoli collegati.
Ora, il modo in cui i muscoli fanno muovere le ossa riposa nella categoria
delle cause meccaniche. Per cause meccaniche si intende che certe
porzioni di materia sono messe in moto da corrispondenti movimenti di
parti adiacenti. Il muscolo si muove e muove l’osso associato.

Ma l’immagine cambia quando cerchiamo le cause a cui i muscoli


devono il loro movimento. Infatti, il movimento dei muscoli non è effetto
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di cause esterne, ma si deve alla pura forza volitiva spirituale che agisce
direttamente sulla loro sostanza. Quello che gli strumenti sono atti a
registrare in forma di effetti fisici, chimici ed elettrici presenti nella
sostanza muscolare rappresentano solo un effetto di questa interazione.

Da quanto detto, ossa e muscoli stanno in una data relazione tra di loro;
nell’evoluzione generale hanno subito trasformazioni differenti e
rispondono a cause diverse. Possiamo dire che ogni sostanza era tempo
addietro viva e fluida; poi nel corso delle epoche una parte si è separata
passando ad una condizione più mineralizzata. I muscoli in un certo modo
sono persistiti vivi, in una condizione che può essere soggetta a cause non
meccaniche, all’azione della volontà. Le ossa invece no, hanno perso gran
parte della vitalità.

Prime considerazioni su soggettivo ed oggettivo.

Abbiamo visto che l’Aritmetica, la Geometria e la Cinematica sono idee e


immagini mentali valide che hanno luogo esclusivamente dentro una
regione del nostro pensiero. Vediamo per esempio la nota formula v=s/t
per la velocità v. La velocità viene espressa dividendo la distanza s del
mobile per il tempo trascorso. Nulla di più facile, o no? Abbiamo
l’opinione che ciò ci viene dato della Natura, la distanza percorsa dal
corpo e il tempo che impiega a percorrerla. Supponiamo di ottenere la
velocità v dividendo la distanza per il tempo, come una funzione che
risulta dalla divisione.

Ma nella Natura non è così. Delle tre grandezze velocità spazio e tempo,
la velocità v è l’unica a possedere realtà. Ciò che è reale nel mondo esterno
è la velocità, mentre s e t li otteniamo separando per così dire la velocità
data in due entità astratte per un processo mentale. La velocità è un ente
primordiale che osservo nel mondo esterno. Un corpo si muove nello
spazio con una certa velocità; che abbia una certa velocità è l’unica cosa
reale. Non ravviseremmo la totalità se smembrassimo quello che è reale in
due astrazioni. Poiché abbiamo una velocità, abbiamo di conseguenza uno
spostamento e quindi un tempo. Dalla velocità per mezzo del nostro
processo di pensiero abbiamo separato lo spazio e il tempo, ma lo spazio in
questione è un risultato della velocità così come il tempo. Lo spazio e il
tempo, se paragonati con la cosa reale che indichiamo con v, sono delle

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astrazioni che noi stessi deriviamo da essa. Dobbiamo fare i conti con la
realtà esterna.

Siamo noi che abbiamo creato questa dualità di spazio e tempo, mentre
la sola cosa reale fuori di noi è la velocità e null’altro. Quanto allo
“spazio” e al “tempo” siamo noi ad averli creati in virtù di due astrazioni.
Ma allo stesso tempo, con lo spazio e il tempo noi siamo tuttuno, mentre
non siamo uniti con la velocità che è là fuori. Dalla velocità in effetti
possiamo separarci mentre dallo spazio e tempo no. Non dovremmo semza
precauzioni assegnare ai corpi esterni cio a cui noi stessi siamo uniti.
Possiamo solo dire che attraverso lo spazio e il tempo apprendiamo a
conoscere e comprendere la velocità reale. Non dovremmo dire “il corpo si
muove attraverso tale distanza” ma piuttosto dire che il corpo ha una tale
velocità.

Per mezzo di s e t noi solo misuriamo la velocità, essi sono i nostri


strumenti, a noi legati. Qui osserviamo la sottile linea che separa il
soggettivo spazio e tempo dalla cosa oggettiva, la velocità. Ma v non è
solo il quoziente tra s e t. anche se numericamente lo è. Con questo
numero si manifesta una realtà matematica con diritto di esistenza, la cui
essenza sta però nel fatto che il corpo possieda una velocità. Noi facciamo
certamente uso di s e t nel percepire la realtà della velocità fuori nel
mondo. In effetti, s e t sono dentro di noi ma anche fuori. Il punto è che
noi ci uniamo con s e t ma non ci uniamo con la velocità.

Quanto detto per s e t è vero per qualcosa in più. Così come siamo uniti
per mezzo di s e t con la realtà obbiettiva, mentre dobbiamo prima cercare
la velocità nel mondo esterno, allo stesso modo siamo nello stesso
elemento con i cosiddetti corpi, ogni volta che li contempliamo per mezzo
della luce. Non dovremmo assegnare obbiettività alla luce più che allo
spazio e al tempo. Noi “nuotiamo” nello spazio e il tempo proprio come i
corpi vi “nuotano” con le loro velocità. Così anche noi “nuotiamo” nella
luce proprio come i corpi “nuotano” nella luce. La luce è elemento comune
a noi e alle cose esterne, i corpi. Supponiamo di aver gradualmente
riempito la stanza buia con luce, lo spazio rimane riempito con qualcosa in
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cui noi siamo immersi e pure le cose esterne. E’ un elemento comune in
cui noi e le cose esterne “nuotiamo”. Ma come facciamo a nuotare?
Certamente non col corpo fisico, ma facendo vortici col corpo eterico.
Nuotiamo col corpo eterico nella luce, nell’etere di luce….

L’occhio, l’orecchio e la laringe

Dobbiamo approfondire altri aspetti della nostra relazione con la Natura,


in particolare le nostre percezioni visive ed auditive. Partiamo dall’occhio.
L’occhio è un organo attivo. Quando la luce lo raggiunge, passa dapprima
per la cornea trasparente, poi attraverso l’umore acqueo e il cristallino che
è mobile per mezzo di muscoli. La luce raggiunge di qui l’umor vitreo che
riempie lo spazio interno, e finalmente la retina, che è una ramificazione
del nervo ottico. Il fluido che si trova tra cristallino e cornea è molto simile
a un liquido ordinario, il che indica come nella sua natura corporale
sembra essere preso dal mondo esterno. Il cristallino o lente è “obbiettivo”
in alto grado, ed essenzialmente privo di vita.

Non così quando raggiungiamo l’umor vitreo e qui si osserva vitalità, e


quanto più dentro procediamo più vita incontriamo. C’è quindi una
differenza tra occhio esterno ed occhio interno. Si nota inoltre la
formazione di nuove cellule a partire da quelle più esterne e periferiche. Il
che fa capire che il tessuto del cristallino e dell’umor acqueo sono formati
da organi adiacenti da fuori verso dentro, mentre il corpo vitreo cresce da
dentro per venir loro incontro, per così dire. Questo è un fatto notevole.
Difatti, è al lavoro la natura della luce esterna che porta avanti le
trasformazioni da cui prendono origine la lente e l’umor acqueo. Si osserva
allo stesso tempo dall’interno qualcosa che rassomiglia a una spinta verso
fuori di un organo più vitale, l’umor vitreo.

Questa la prima pecularità dell’occhio. La seconda è la retina vista come


espansione del nervo ottico, con la insensibilità nelle vicinanze nel punto
di entrata. Certamente è il nervo ottico che percepisce la luce, tuttavia, è
insensibile proprio al punto di entrata.

Un fenomeno mattutino ci illustra la prima peculiarità Alla sveglia,


accade che i profili degli oggetti circondanti non sono chiari e delineati,
ma spesso avviluppati in un alone nebuloso, che dopo pochi istanti
svanisce. E’ dovuto al fatto che mentre il cristallino è formato da fuori,
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l’umor vitreo è formato da dentro, e al mattino non sono ancora adattati
l’un l’altro. Quindi l’attività dell’occhio da una parte si differenzia in
quella del cristallino e umor acqueo, simile a un apparecchio fisico, e in
quella dell’umor vitreo vivente, dall’altra è una attività integrata in modo
che ciascuno si adatti all’altro.

Noi percepiamo il calore nella relazione con l’ambiente a cui siamo


esposti. C’è una gran differenza significativa tra la percezione della luce e
quella del calore. Possiamo localizzare la percezione della luce
chiaramente nell’apparecchio fisico dell’occhio. Ma mentre la percezione
della luce è localizzata in un particolare luogo del capo, non è così per il
calore, perché per esso è l’intero corpo che funge da organo del senso. Per
il calore il corpo intero equivale all’occhio per la luce. Al realizzare
questo, possiamo chiederci che cosa stiamo realmente percependo quando
entriamo in relazione con la condizione termica dell’ambiente. E’ una
immersione nell’ambiente termico.

Facciamo il seguente esperimento. Mettiamo le mani in acqua tiepida;


poi mettiamo la sinistra in acqua ben calda, e la destra in acqua ben
fredda. E poi di nuovo nell’acqua tiepida. L’acqua tiepida sembrerà ora
caldissima per la mano destra che era divenuta fredda, e freddissima per la
mano sinistra che era divenuta calda.

Che cosa succede allora? Il nostro proprio calore ci fa sentire la


differenza tra noi e l’ambiente esterno. E’ il calore di ogni mano che
“nuota” nell’ambiente esterno. E’ lo stato di calore dovuto ai processi
organici, e noi stessi viviamo e nuotiamo nel nostro calore interno.
D’accordo con lo stato del nostro proprio calore noi “conversiamo,
comunichiamo e scendiamo a patti” con l’elemento di calore esterno. C’è
dell’altro. Quando ci troviamo più caldi dell’ambiente di calore esterno,
sentiamo come se ci stesse assorbendo, succhiando calore. Quando siamo
più freddi, sentiamo qualcosa che dall’ambiente ci viene dato. Questo è
nuotare nell’elemento di calore.

Ora vediamo l’orecchio. Così come la luce stimola il nervo ottico, allo
stesso modo le oscillazioni del suono stimolano l’orecchio. Quello che
sorge nel mondo esterno come onde di rarefazione e compressione viene
trasmesso all’orecchio interno, alla coclea con il suo fluido e da qui al
nervo auditivo. Prima della coclea vi sono tre canali semicircolari ad
14
angoli retti tra loro, in sintonia con le tre dimensioni dello spazio.
Possiamo allora tentare una comparazione tra la vista e l’udito, ricordando
anche quanto detto del ritmo ascendente e discendente del liquido cerebro
spinale, e di come esso interagisce con quello che succede più
esternamente nell’aria esterna. Dovremo anche considerare se per caso
ciascun senso è in sé compiuto, oppure se c’è una totalità che li abbraccia
tutti.

Cominciamo con osservare gli aspetti puramente fisici del suono. E’


facile provare che una campana al vibrare pone in vibrazione l’aria
circondante. Abbiamo quindi il movimento dimostrabile delle particelle
dell’aria, e possiamo arguire che c’è una connessione tra questo e la
percezione del suono. Non abbiamo dubbi, le vibrazioni sono intorno a noi
quando udiamo suoni, e se non ci fosse l’aria non udiremmo nulla.

Già, l’aria. Noi siamo ovviamente legati all’aria, nuotiamo nell’aria che
abbiamo dentro di noi. Siamo dopo tutto corpi solidi in piccola quantità, e
poi per il 90% o quasi siamo composti di acqua e liquidi. L’acqua in noi fa
da intermediario tra lo stato solido e quello aeriforme. Possiamo
sperimentare coscientemente di trovarci nell’elemento aeriforme, e la
nostra coscienza si avvicina allo stato corrispondente, così come nella luce
e nel calore rispettivamente. Dobbiamo distinguere tra diversi livelli di
coscienza. Uno di essi quello in cui viviamo con l’elemento di luce, dato
che noi stessi ne prendiamo parte. Un altro livello di coscienza è quello del
calore, ed un altro ancora è quello dell’aria. La nostra coscienza è capace
di immergersi nell’elemento aeriforme. Possiamo comunicare ed arrivare
ad accettare quello che ha luogo nel nostro intorno aeriforme, è come una
comunicazione. Allora viviamo nell’elemento aeriforme del nostro intorno
e siamo quindi abili per percepire i fenomeni del suono e del tono
musicale. Dobbiamo avere qualcosa dell’elemento aria dentro di noi in una
forma differenziata così da essere in grado di percepire l’elemento di aria
differenziato fuori.

C’è il nostro processo di respirazione, inspiriamo aria e la espiriamo


nuovamente. All’espirare il diaframma viene spinto verso l’alto, e ciò
implica un rilascio di tensione e un rilassamento degli organi sotto il
diaframma, e allora il fluido cerebro spinale in cui nuota il cervello è
spinto verso il basso. Ora, il fluido cerebro spinale non è altro che una
modificazione condensata, così per dire, dell’aria, perché è realmente l’aria
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espirata che spinge avanti il processo. Poi quando inspiriamo nuovamente,
il fluido cerebro spinale è spinto in su. Per mezzo della respirazione,
viviamo sempre in questa ondulazione ritmica, su e giù, su e giù del fluido,
che diviene chiaramente una immagine dell’intero processo di
respirazione.

In quanto l’organismo prende parte in queste oscillazioni del processo


respiratorio, c’è una differenziazione interna che ci abilita a percepire e
sperimentare l’elemento aria nella coscienza. E’ la coscienza della
respirazione. In virtù di questo processo stiamo vivendo nel ritmo di vita
che consiste in una differenziazione interna dell’aria. In questa oscillazione
su e giù delle forze ritmiche si produce un organismo di vibrazione
altamente complicato che si alterna senza interruzioni.

E’ tale organismo interno di vibrazione che portiamo nel nostro orecchio


per cambiare e influenzare quello che ci arriva da fuori; per esempio,
quello che la corda di uno strumento musicale emette, una nota. Facciamo
cioè che uno incida sull’altro. Così come al mettere la mano nell’acqua
tiepida si percepisce lo stato di calore della mano e il calore dell’acqua,
allo stesso modo si percepisce il tono per mezzo dell’impatto e la
interazione dello strumento musicale interno, meravigliosamente
construito, con il suono che si manifesta nell’aria da fuori. L’orecchio è il
ponte per cui la nostra Lira di Apollo trova la sua relazione in un gioco
bilanciato e compensato con il movimento d’aria differenziato che arriva
da fuori. Questo è in realtà l’udito.

Quindi abbiamo tre stadi nella nostra relazione col mondo esterno, lo
stadio della luce, quello del calore e quello del suono. E’ col corpo eterico
che viviamo nell’elemento luce. Non così con il calore. Noi viviamo nel
calore con il nostro corpo intero, con il corpo fisico. Nell’elemento suono
invece noi entriamo in relazione mediante l’organismo vivo aeriforme, col
corpo della respirazione.

Come organismo vivente di aria viviamo nella aria esterna differenziata.


Non è l’etere, è la materia fisica seppur aeriforme. Allora vivere il calore
col corpo fisico è un po’ una linea di confine intermedia tra la luce ed il
suono. Per la luce ascendiamo in una sfera eterica più in alto con la nostra
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coscienza. Invece, scendiamo al di sotto di questo livello quando
percependo il suono articolato; come esseri d’aria “conversiamo e
giungiamo a un accordo” con l’aria circondante.

Se ricordiamo quanto detto dell’occhio troviamo che esso si trova tra un


livello fisico esterno e una dimensione vivente interna, cioè in
quell’organo localizzato abbiamo il confine tra il fisico e l’eterico e siamo
in un certo senso in “equilibrio” con il nostro ambiente.

Con il nostro calore corporale incontriamo il calore ambientale e


percepiamo la differenza, quindi non abbiamo un organo specializzato ma
tutto il nostro corpo fisico è l’organo del senso del calore. E se scendiamo
ulteriormente all’essere aeriforme dove comunichiamo con l’aria
circondante differenziata, abbiamo di nuovo un organo localizzato dove la
Lira di Apollo, nel gioco ritmico del nostro organismo, di cui l’altalena del
fluido cerebro spinale è immagine, incontra l’esterno. Qui siamo al di
sotto del livello medio, qui possiamo osservare la grande differenza tra
l’occhio e l’orecchio.

Approfondiamo meglio il suono e la velocità con la quale si propaga.


Ricordiamo l’esempio classico del lampo e del tuono che segue, e
stimiamo il tempo trascorso per arrivare a quella velocità esterna di
propagazione del suono. Poi ricordiamo anche il fenomeno della
risonanza., o vibrazione simpatetica per arrivare al contenuto di una nota
musicale. Essi sono l’intensità, poi il tono, poi la qualità intrensica del
suono che è come un colore associato. Il problema è accertare che cosa
corrisponde al tono. Vediamo.

Quando percepiamo un suono o una nota musicale, c’è sempre un


fenomeno oscillatorio che lo accompagna e corre parallelo ad esso. I
movimenti oscillatori della corda o dello strumento si trasmettono all’aria
e quindi all’orecchio per mezzo di onde longitudinali di rarefazione e
concentrazione dell’aria, o diluizioni e condensazioni dell’aria.

Qui per inciso va ricordato che gli studi scientifici del suono furono
condotti dai Gesuiti nel secolo XVII e seguenti, e ci fu la tendenza
spiccata a non entrare in considerazioni spirituali dei processi della Natura,
come l’esempio dei fenomeni sonori. Lo spirituale doveva essere riservato
alla vita religiosa, non c’era bisogno di penetrare lo spirituale nella Natura.
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Tra i Gesuiti si considerava pericoloso applicare alla Natura forme
spirituali di pensiero laddove invece si stimava opportuno approssimare i
fenomeni naturali in un senso materialistico. In qualche modo furono i
Gesuiti tra i primi a coltivare idee materialistiche che poi hanno prevalso
nei tempi successivi, fatto storicamente fondato ma purtroppo dimenticato.

Cosa succede quando percepiamo note di diverso tono e come sono i


fenomeni di vibrazione rispettivi? Le note sono collegate al numero di
vibrazioni che si imprimono nel mezzo in cui si propaga il suono. Una
singola oscillazione di rarefazione e concentrazione occupa una distanza
che si chiama la lunghezza d’onda, diciamo s. Se n di tali oscillazioni
sorgono in un secondo, l’onda avanza n volte s in un secondo. Ricordiamo
ora quanto detto circa le cose che sono cinematiche e quelle altre che
consistono di realtà esterna a noi. Le raltà esterne non possono essere
solamente spaziali, o aritmetiche, oppure solo spostamenti. Le velocità
invece sì sono realtà esterne, e così è per la velocità del suono.

Né s né n possiamo sperimentarli come realtà esterne, in quanto s è solo


spaziale e n è un numero puro. L’ente reale è la velocità del suono, è
quello che stiamo cercando. Ma se divido la velocità in due astrazioni, in
esse non ho la realtà. Se voglio cercare la realtà del suono devo
concentrarmi sulla facoltà propria del suono di avere una velocità. La
realtà qualitativa del suono risiede nella facoltà di avere velocità. Ma c’è
l’abitudine mentale di argomentare che il suono come tale non è là fuori di
noi. Là fuori, si dice, ci sono solo le oscillazioni, non è chiaro? Ci sono le
onde di rarefazione e condensazione, poi quando il nostro orecchio si trova
nell’atto di “udire” quello che è fuori di noi, qualcosa di sconosciuto
dentro di noi trasforma le onde in esperienze soggettive, trasforma le
vibrazioni dei corpi vibranti nella “qualità” di suono o tono.

Quindi fuori ci sono le vibrazioni, in noi gli effetti. Un po’ come dire
che chiunque pensi che l’immagine in corsa di un corridore corrisponda a
qualcosa di reale si illude di grosso. Oppure, immagino di avere davanti a
me un gruppo di persone. Avrei davanti in tal caso le mie proprie
impressioni soggettive di luce e suono. Nessuno sarebbe lì davanti a me
nel modo in cui lo vedo, solo le oscillazioni dell’aria tra me e loro mi
porterebbero le oscillazioni che sono in loro. Sarei condotto a concludere
che la loro vita interna e spirituale, anche senza negarla, non è lì per niente.
Per me, la vita di interna di quelle persone sarebbe solo l’effetto sulla mia
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mente, mentre per il resto tutto quello che è realmente là sono solo un
cumulo di vibrazioni. Se neghiamo alla luce e al suono la vita interna e
l’essenza che anche noi sperimentiamo in modo soggettivo, è come se
fosse se guardassi tutto quello che davanti a me come una parte della mia
vita soggettiva,e quindi finissi per negare loro l’esperienza della vita
interna e dell’Io.

Lo scienziato non si propone di studiare il suono come tale, né entra in


aspetti qualitativi. Solo indaga i processi spaziali esterni, e li astrae dalla
totalità.

E della totalità si tratta. Sebbene l’orecchio sia sempre rappresentato


come l’organo dell’udito, esso da solo non rappresenta la realtà. Quello
che è trasmesso all’interno tramite l’orecchio deve dapprima interagire in
un certo modo con il ritmo manifestato nella marea ascendente e
discendente del liquido cerebro spinale. Ma tutto quello che ocorre nel
ritmo e nel cervello è anche fondamentale a ciò che appare in un’altra parte
del corpo, cioè nella laringe e organi adiacenti quando stiamo parlando.
C’è l’atto di parlare, e i suoi organi ovviamente inseriti nel processo di
respirazione. Nell’intero ritmo che si istalla quando respiriamo, noi
inseriamo da un lato il parlare attivo e dall’altro l’udire. Allora abbiamo la
totalità; essa si manifesta in un modo più intellettivo e percettivo nel nostro
udito e in un modo più volitivo nel parlare.

Solo così possiamo parlare di totalità quando mettiamo insieme


l’elemento volitivo che pulsa nella laringe e l’elemento più sensitivo o
intelligente che sorge nell’udito. Separare laringe ed orecchio è una
astrazione, le due funzioni si appartengono, questo è un fatto e così va
visto.

Riconosciuto questo, consideriamo ora quello che rimane se togliamo via


il corpo vitreo e anche la retina dell’occhio, ipoteticamente. Allora
vedremmo i muscoli ciliari, la lente e il liquido esterno acquoso.

Che tipo di organo esso rappresenterebbe? Non si potrebbe comparare


mai con l’orecchio, ma sì con la laringe. L’occhio non una metamorfosi
dell’orecchio, bensì della laringe. Basta osservare l’aspetto materiale di
come i muscoli della laringe allargano o chiudono la apertura delle corde
vocali, da un lato, e come i muscoli ciliari fanno muovere il cristallino che
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è inerentemente mobile. Nella parte più interna l’occhio è un orecchio
metamorfosato, avvolto da fuori da una laringe metamorfosata. Se si
prendono la laringe e l’orecchio insieme come un tutto, si ottiene un
occhio metamorfosato su di un altro livello.

Mentre in verità l’orecchio può essere comparato solo alla parte


dell’occhio al di dietro del cristallino, cioè la parte più vitale ed interna,
quella parte più esterna e di carattere più muscolare deve farsi
corrispondere alla laringe. La teoria della metamorfosi è in sé difficile se
non si osservano le qualità dinamiche interne.

Quindi la visione è in effetti fondamentalmente diversa dall’udito.


Quando sto …….., al mio occhio succede la stessa cosa di quando ascolto
e parlo allo stesso tempo. In un dominio superiore, certa attività simile a
quella del parlare accompagna….. l’attività percettiva e ricettiva
dell’occhio. Se diveniamo coscienti che nell’occhio sono saldate insieme
due funzioni assegnate ad organi dissimili, allora realizzaremo anche che
nell’occhio abbiamo una specie di monologo, come quando parliamo e ci
capiamo. L’occhio agisce come se fossimo in ascolto ogni volta per capire
ciò che stiamo ascoltando, ripetendo a voce alta.

Tale è l’attività dell’occhio, come se fossimo in ascolto di qualcuno ed


allo stesso tempo ripetendo parola per parola ciò che udiamo. E’ come
ripetere ad alta voce qualcosa fino a comprenderlo. Questa è l’attività
dell’occhio e il fenomeno della luce! Solo diviene la esperienza piena della
visione ciò che diviene cosciente per mezzo della parte vitale interna
all’occhio al riprodurre quello che corrisponde alla laringe esterna.

Etericamente stiamo parlando con noi stessi quando vediamo. L’occhio è


ingaggiato in un monologo e non è esatto dire che la visione equivale
all’udito solo, ma essa è un processo duale.

Supponiamo inoltre di avere un globo provvisto di una apertura e u


rubinetto di arresto. Col rubinetto aperto non succede nulla se la densità
dell’aria dentro è la stessa di fuori. Ma se c’è il vuoto dentro, l’aria di fuori
riempirà lo spazio vuoto. Diremmo forse che l’aria che ora il globo
contiene esiste in virtù di ciò che continuava ad esserci dentro del globo?
Diremmo: l’aria è venuta da fuori e lo spazio vuoto la ha succhiato in
qualche modo.
20
Allo stesso modo, con la ruota rotante bucherellata e il soffio continuo
d’aria, noi creiamo le condizioni affinchè sorga un certo tipo di risucchio.
Il suono che apparirà quando metto in moto la sirena e faccio oscillare
l’aria, questo suono è già in esistenza, solo che si trova fuori dello spazio.
(etere del suono) Non è ancora nello spazio. Le condizioni per manifestarsi
entrando nello spazio non si danno fino a quando io le ponga in atto, come
non sono date le condizioni, fin quando non apra la chiavetta, affinchè
l’aria esterna nell’esempio precedente entri nel globo.

Le ondulazioni sonore si possono comparare con il vuoto esistente nel


globo vuoto, e quello che sorge udibile si può paragonare a ciò che penetra
da fuori nel vuoto quando le condizioni sono date affinchè accada. In
sostanza, le ondulazioni hanno a che fare col suono come un processo di
suzione che si produce per trarre il suono dal suo dominio non spaziale a
quello spaziale.

La geometria e la cinematica sono quindi valide immagini mentali da


applicare al mondo esterno, ma non esauriscono affatto la realtà. Sono il
risultato evolutivo delle prime esperienze con la forza di gravità mentre
esploriamo lo spazio all’assumere la posizione eretta e poi mantenerla.
Queste esperienze della forza e dello spazio passano poco a poco dietro la
scena per fare luogo alla capacità di pensare e concettualizzare, ivi
compresa la geometria e la cinematica degli spostamenti. Per fare da adulti
esperienze con la forza dobbiamo invece prima cercarle e sperimentarle
nel mondo esterno, applicando poi ad esse le conoscenze innate di
Matematica. Ci troviamo allora in una situazione imbarazzante.

La ragione è che il mondo intorno a noi è essenzialmente un mondo di


forze attive, e la natura di queste forze è tale che è impossibile riconoscerle
a causa della restrizione della coscienza di osservatore agli strumenti
cinematici e geometrici, che sono divenuti una specie di letto di Procuste
per le esperienze dinamiche. Specialmente all’inizio dell’era scientifica,
l’uomo-osservatore si convinse di poter formare una immagine del mondo
dalle osservazioni disponibili a lui, ma allo stesso tempo aveva un certo
sospetto che questa immagine carente di ogni contenuto dinamico non
avesse relazione con la natura reale del mondo. Incapace di trovare dentro

21
di sé questa realtà, si pose a suo modo a cercare quello che mancava e si
rivolse come consueto al mondo esterno.

Non appena l’elettricità fu scoperta, attrasse il pensiero scientifico


irresistibilmente nella sua propria realtà. Qui lo scienziato si trovò con una
coscienza completamente cieca alla dinamica in una sfera di forze
dinamiche troppo reali. Emerge un moderno paradosso: l’essere umano da
un lato restringe i suoi poteri cognitivi a un campo di esperienze in cui il
concetto di forza come realtà obbiettiva autonoma è impensabile, dall’altro
è stato condotto da una linea di ricerca, e da una incedibile serie di
scoperte dovute ad errori o a coincidenze, che lo ha fatto arrivare fino alle
forze nascoste del Cosmo, alla loro attività. Infatti, quello che distingue le
attività elettriche da tutte le altre forze di natura fisica è che esse per
operare non dipendono dalla resistenza offerta dai corpi materiali limitati
dallo spazio. Esse rappresentano un mondo di dinamica pura in cui non
trovano posto le limitazioni spaziali.

Potremmo pensare che le abbiamo quando ci dirigiamo ai fatti esterni


della Natura e ci lavoriamo sopra con la ragione. Noi udiamo con le nostre
orecchie e vediamo con i nostri occhi. Tutto quello che i nostri sensi
percepiscono noi lo analizziamo con l’intelletto in un modo semplice e
spontaneo con categorie di pensiero qualitative, senza calcoli o geometrie
o forme di movimento. Poi, viene il momento di applicare idee scientifiche
di algebra geometria e cinematica, categorie radicalmente diverse. Come
detto, queste idee non emergono dal mondo esterno, ma esse provengono
dalla nostra propria vita interna, dalla nostra intelligenza. Ma non da quella
capacità che sappiamo applicare quando lavoriamo alle idee derivate dalla
vita dei sensi, bensì dalla parte intelligente della nostra vita di volontà
metamorfosata. Noi le estraiamo dalla parte volitiva della nostra anima.

La differenza è immensa tra tutte quelle idee in cui viviamo come esseri
intelligenti e le idee geometriche, matematiche e cinematiche. Le prime le
deriviamo dalla nostra esperienza col mondo esterno, le altre emergono
dalla parte inconscia di noi, dalla regione della volontà che ha come
organo esterno il metabolismo. E se ora applichiamo queste idee
geometriche ai fenomeni di luce o di suono, nel processo cognitivo stiamo
unendo quello che sorge da dentro con quello che percepiamo da fuori.
Facendo così, rimaniamo piuttosto inconsapevoli dell’origine della
geometria che stiamo usando. Sviluppiamo teorie come la teoria
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ondulatoria della luce o la teoria corpuscolare di Newton, unendo quello
che emerge dalla parte inconsapevole del nostro essere con quello che si
presenta nella vita cosciente da svegli. Ma le due cose non appartengono
una all’altra, così come la facoltà di formare idee che si svolge quando
siamo mezzo addormentati, simboliche e non consistenti, appartiene alle
cose esterne che percepiamo nel sognare mezzo addormentati.

Spieghiamo meglio. Abbiamo dal nostro lato due origini delle nostre idee,
quelle derivate dalle nostre esperienze quotidiane e le altre con carattere
matematico e spaziale. I problemi sorgono quando applichiamo le idee
matematiche ai fenomeni che ci vengono incontro. Da un lato ci sono i
fenomeni della luce e dei colori, del suono e poi del calore. Dall’altro ci
sono i fenomeni associati alle forze. Nel caso di luce suono e calore,
cerchiamo di “unire” due sfere di esperienze che appartengono a domini
diversi, quello che ci viene incontro per mezzo delle percezioni e quindi la
nostra vita cosciente da svegli, con quell’altro dominio che sorge dalla
nostra vita inconsapevole della volontà. Nell’altro caso delle forze, siamo
messi ancora diversamente, intanto non percepiamo l’elettricità, e poi
disponiamo di strumenti cinematici inappropiati per fenomeni puramente
dinamici.

Emerge un enigmatica correlazione tra massa inerte e volontà.

Abbiamo visto che per avere una esperienza reale della forza dobbiamo
ricorrere…a noi stessi, per cercare di sollevare un poco il velo che avvolge
questa realtà dinamica terrestre. La forma usuale di misurare una forza è
geometrica, si basa sullo spostamento di un ago o sull’allungamento di una
molla. Appunto, grandezze cinematiche. Per avere invece l’esperienza vera
della forza, per carpirne l’intimo segreto, basta sollevare con la mano un
oggetto pesante, più e più volte. Entra in azione il braccio, il muscolo, e
come si è detto , la volontà in azione. C’è bisogno della nostra volontà per
sollevare ed abbassare il braccio, la volontà si trasforma in forza, e mentre
solleviamo ed abbassiamo il braccio siamo coscienti della forza, facciamo
esperienza con la forza, ci rappresentiamo questa volontà in azione.

Emerge una enigmatica relazione tra la forza di gravità e la massa ad essa


correlata da un lato, e la volontà come principio che scorre nello sfondo
23
della coscienza. Nella volontà come si è detto noi abbiamo una coscienza
equivalente al sonno, in questa fase della evoluzione. Questa l’esperienza
primordiale.

Sia detto con chiarezza: dobbiamo considerare l’essere umano, non nella
forma astratta abituale, ma integrando lo spirituale e il fisico, avvicinarli.
Allora, quando mi chiedo che cosa sia la massa e il peso, devo chiedermi
se c’è qualcosa in me che corrisponda ad essi, una affinità. Infatti, per
la percezione del suono come vedremo c’è un ponte tra interno ed esterno,
e così pure per la percezione del calore e poi del colore. Nel caso della
massa e della forza di gravità devo invece ricorrere all’esperienza
quotidiana per scoprire quella affinità, e la trovo nello studio senza
preconcetti su come è fatto il mio corpo e come reagisce alla pressione e
quindi alla forza..

Posso avere una nozione chiara di ciò che significa la massa e il peso, allo
stesso modo in cui capisco la nozione di velocità dalle nozioni di
geometria e di movimento? No, a rigore non posso averla, infatti devo
realizzare un semplice esercizio, fare pressione con un dito contro una
parete per esempio, per familiarizzarmi con la pressione. Dopo tutto, la
massa e il peso si rivelano a noi attraverso la pressione, la massa la
comprendo per il peso che esercita, ha la qualità di esercitare pressione. Se
spingo forte la parete col dito, ne ho una esperienza diretta.

C’è qualcosa che emerge in me quando esercito la pressione che


corrisponda a quando ho la chiara esperienza di un corpo in moto e della
sua velocità?

C’è, ma se cercassi di spingere con sempre maggiore pressione… potrei


perdere la coscienza! In piccola scala, senza arrivare agli estremi, posso
dire che lo stesso fenomeno di riduzione della coscienza occorre lo stesso
quando la pressione è limitata, ma sufficiente per darmi una nozione di ciò
che la pressione produce, e in ultima analisi della massa vista come
manifestazione naturale della forza di gravità.

Seguendo il ragionamento, posso dire che tutto ciò che è luce, suono e
calore si presenta chiaramente nella nostra coscienza, così come quello che
è geometrico e cinematico. Ma non possiamo dire lo stesso della massa,
perché ora la nostra coscienza è attenuata ed offuscata nel nostro
24
esperimento. Quindi, ciò che è percepito o calcolato rimane vivo nella
nostra coscienza, ma appena andiamo oltre questo la coscienza tende a
chiudersi. Dobbiamo ammettere che la nostra esperienza nel mondo
esterno contiene sia la massa sia la velocità, ma la normale coscienza non
ci consente di afferrare la massa. La massa, per così dire, si ritira dalla
coscienza, questa è la relazione reale con l’essere umano. Per comprendere
che cos’è la massa in Natura, dobbiamo per forza ricorrere agli stati di
coscienza, e senza ricorrere ad essi non possiamo andare al di là di ciò che
è cinematico, non possiamo raggiungere il dominio meccanico.

In ogni modo, possiamo ”vivere” in quello che è implicito con la massa


con tutto il nostro essere. Noi “viviamo” nella massa e nel peso con la
nostra volontà.

Per capirlo, basta ricordare la legge di Archimede, e il fatto che un corpo


immerso in acqua diviene più leggero. Il nostro cervello pesa in media
1250 grammi, e se nella nostra testa realmente pesasse 1250 grammi,
eserciterebbe una pressione così forte sulle arterie di sotto da non poter
essere rifornito di sangue. Ma la verità è che il cervello in nessun modo
pesa così alla base del cranio, pesa solo 20 grammi circa, perchè nuota e
galleggia nel liquido cerebrale! La forza verso l’alto del fluido cerebrale
dovuta al volume del cervello è circa 1230 grammi, così che il cervello ne
viene enormemente alleggerito e finisce per pesare solo 20 grammi. In
virtù del galleggiamento, il cervello è realmente spinto in sù ed alleggerito.

Invece le rimanenti porzioni del nostro corpo, dalla base del cranio ai
piedi, sono tirate in giù, vivono soggette alla gravità che inesorabile spinge
verso il basso. La nostra volontà vive nella spinta verso il basso, si unisce
con la pressione in giù, e precisamente è questo fatto che priva di
coscienza il resto del nostro corpo e fa sì che siamo come incoscienti nella
volontà! Infatti, questa è la caretteristica essenziale del fenomeno della
volontà. Essa è “assorbita” e ne viene estinta la coscienza per causa del
fatto che si unisce con la forza di gravità verso il basso.

La nostra intelligenza invece si illumina e diviene chiara quando si


unisce alle forze del galleggiamento che bilanciano la gravità. La nostra
vita si unisce con l’elemento materiale in modo da sommergere la volontà
nella materia e di illuminare il pensiero che si eleva. L’intelligenza non
potrebbe sorgere se la vita dell’anima fosse solo legata alla tendenza verso
25
il basso. Questo significa considerare l’essere umano in posizione
intermedia tra lo spirito e la materia. Ci realizziamo come esseri umani tra
galleggiamento e gravità La nostra intelligenza è comunque in piccola
misura permeata dalla gravità, per via di quei 20 grammi di differenza che
non sono compensati. Ma sempre abbiamo la tendenza ad andare su e fuori
della nostra testa quando pensiamo.

Se rimanessimo nel dominio della cinematica e nelle nostre astrazioni,


non potremmo costruire il ponte da lì alla realtà esterna. Abbiamo bisogno
di una conoscenza con contenuto spirituale forte per tuffarci nei fenomeni
della Natura e sapere come gravità e galleggiamento lavorano in noi. Non
possiamo seguire il vecchio cammino di inventare movimenti ondulatori o
corpuscolari, in astratto, per speculazione. La scienza spirituale deve
trovare il cammino immergendosi veramente nel dominio della materia.

Ora per continuare, che succede per il fatto che, salvo quei 20 grammi in
cui entra la volontà incosciente, con il nostro cervello noi viviamo nella
sfera dell’intelligenza? Succede che facendo del cervello lo strumento
dell’intelligenza, non siamo più appesantiti dalla materia che tira in giù,
perdiamo 1230 grammi di peso. Così alleggeriti, siamo abilitati a portare
in gioco il nostro corpo eterico, esso può fare quello che vuole, ……
mentre nel resto del corpo l’eterico è schiacciato e travolto dal peso della
materia. Abbiamo l’eterico libero nel cervello, mentre è legato nelle
restanti parti. Nel cervello l’organismo eterico in un certo senso travolge il
fisico, metre nelle parti restanti le forze della organizzazione fisica
travolgomo quelle eteriche.

Dicevamo “dell’addormentarci” nella volontà quando esposti a


pressione, ma abbiamo anche relazioni col mondo esterno, quando
apriamo gli occhi e siamo esposti alla luce. E’ tutt’altra relazione rispetto
al soggiacere alla materia e alla pressione. Ora la coscienza diviene molto
pià sveglia e attenta. Esposti alla luce la coscienza diviene più cosciente di
formar parte del mondo esterno. Le forze della coscienza si uniscono con
quello che ci arriva dalla luce.

I colori, la luce e l’oscurità

Quello che ci viene incontro permezzo dei colori realmente porta con sé
due qualità polari ed opposte. Ad un polo c’è quello che chiamiamo gialli e
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colori affini come arancione e rosso. All’altro polo c’è il blu e i colori
vicini indaco e violetta e certi gradi di verde. La polarità dei colori
costituisce il fenomeno archetipico del colore. L’esperimento è così.
Attraverso una fenditura o un buchetto circolare in uno schermo opaco
facciamo passare la luce fino a raggiungere uno schermo. Vediamo una
superficie illuminata con luce solare. Poi mettiamo un prisma di vetro
riempito di acqua sul cammino di questo cilindro di luce. Ora la macchia
di luce non è più lì, si è spostata, appare altrove. E poi si vede un
fenomeno peculiare: al bordo superiore si vede luce bluastra e verdosa;
sotto il bordo è rossastro giallo.

Questo il fenomeno. Passando attraverso il prisma la luce è deflessa dal


suo cammino, forma un circolo allungato, con blu sopra e giallo giù.
Sorgono fenomeni di colore. Se prendiamo un fascio di luce più piccolo, la
macchia di luce è più piccola, e quando è deflessa si muove verso l’alto,
sempre riempita di colori. Appaiono ora tutti i colori dell’arcobaleno, dal
violetto al giallo. Nel prisma, luce e materia si interpenetrano. Non fosse
per il prisma, la luce passerebbe senza deflessione. Ora, se facciamo
passare la luce attraverso un vetro torbido o non limpido, la luce si attenua.
Questo è un fatto. In una certa misura ogni mezzo materiale è sempre un
po’ opaco, e la luce che passa per il prisma è un po’ attenuata. In un certo
modo la qualità di attenuazione che la materia imprime sulla luce la
ritroviamo all’osservare lo schermo. C’è come una penombra.

Quello che è stato attenuato e oscurato irraggia dentro quello che è


brillante e luminoso. Dobbiamo ammettere che l’oscuramento viaggia
insieme alla brillantezza, e se la luce è deflessa verso su, allora la
penombra è spinta verso il basso. L’effetto risultante complessivo è che in
alto l’oscurità viaggia nella luce e allora sorgono le ombre buastre del
colore; in basso la luce sopraffà l’oscurità e sorgono le ombre giallastre
colorate! Questo il gioco tra oscurità e luce per mezzo della deflessione di
entrambe e la reciproca relazione, senza rimanere mesolate nel grigio ma
rimanendo mutuamente indipendenti nella loro attività! Rimanendo fedeli
ai fatti abbiamo la possibilità di comprendere appaiono colori giallastri da
un lato e colori buastri dall’altro.

I colori quindi emergono laddove l’oscurità e la luce lavorano insieme.

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Ora abbiamo bisogno di considerare come i nostri corpi sottili sono
inseriti nei muscoli e negli occhi. Nei muscoli si mescolano con le funzioni
proprie di essi, ma non così negli occhi che invece prevalgono sull’eterico
e da esso rimangono indipendenti. Allora la parte astrale entra in unione
intima con la parte eterica che si riferisce all’occhio. Questo in verità è
detto per l’orecchio, da vedere se vale uguale per l’occhio, considerato che
percepiamo i colori e ne proviamo piacere e dispiacere, quindi ben
presente l’astrale.

Nell’occhio la parte eterica è più indipendente e di una forma diversa dal


resto del corpo. Nel muscolo la parte astrale va insieme al corpo fisico, ma
nell’occhio vi lavora di forma indipendente. E’ una mezza verità dire che il
nostro corpo astrale è lì nel corpo. Nell’occho l’astrale è lì ma
indipendente, non così nel muscolo. Le cose si interpenetrano ma
rimangono anche indipendenti. Così possiamo unire luce ed oscurità per
avere il grigio, come succede analogamente al muscolo e la parte astrale.
Oppure luce e oscuro possono interpenetrarsi come lo fanno l’astrale e
l’organizzazione fisica dell’occhio. In un caso sorge il grigio, nell’altro il
colore.

La difficoltà che proviamo per comprendere questo nuovo modo di


vedere i fenomeni sta nel fatto che siamo abituati a restringerci agli
strumenti della matematica spaziale e della cinematica. Quindi rimaniamo
incerti per pensare in termini di qualità. Ma rimane il fatto che l’unico
luogo dove vediamo colori è im qualche bordo o estremità, una macchia,
della parete o schermo, dove lo scuro incontra la superficie illuminata.
Luce adiacente all’oscurità fa apparire i colori al confine o bordo, è un
fenomeno puro e semplice al bordo tra luce e oscurità. Questo è il
fenomeno primario, i colori sorgono ai bordi dove la luce e l’oscurità si
incontrano. Non vediamo più il fenomeno se riduciamo il cerchietto di
diametro per avere una sequenza di colori, quando i colori si estendono
dall’estremità al centro. Ùna accanto al fenomeno primario c’è anche la
deviazione della luce.

Non abbiamo nessuna esperienza diretta dei fenomeni della nostra


volontà; tutto ciò che siamo capaci di fare nella nostra coscienza sono i
nostri pensieri relativi alle azioni volitive, appunto, la forma in cui ci
28
rappresentiamo la volontà in azione. Analogamente, non abbiamo nessuna
esperienza diretta dei fenomeni elettrici nella Natura, solo sperimentiamo
ciò che essi ci consegnano, ciò che ci mandano nella realtà della luce e del
suono e del calore. Passando dai fenomeni luminosi, acustici e termici ai
fenomeni elettrici stiamo attraversando la stessa soglia che attraversiamo
in noi stessi quando passiamo dal nostro pensare e formare idee e concetti
alla nostra vita di volontà.

Quando scendiamo nel dominio dei fenomeni elettrici stiamo


scendendo nello stesso dominio in cui dobbiamo immergerci quando
affrontiamo il semplice concetto di massa. Infatti studiare elettricità e
magnetismo ci porta a studiare la materia, è proprio nella materia che
discendiamo quando affrontiamo l’elettricità e il magnetismo.

(Detto in altre parole, ciò che riteniamo sia essere la materia non è altro
che elettricità che fluisce, elettricità in movimento. Quindi quando nella
Natura passiamo dai fenomeni di luce, suono e calore a quelli elettrici,
stiamo discendendo nel dominio naturale in quei fenomeni che sono
correlati ai primi come la volontà in noi è correlata alla vita del pensiero.

Inoltre, da un punto di vista occulto, ovunque la volontà agisce a


livello corporale attraverso il metabolismo, è al lavoro qualcosa molto
simile ai fenomeni esterni della elettricità e del magnetismo.)

Quando penetriamo nel regno dei fenomeni elettrici, stiamo in realtà


scendendo nella stessa realtà in cui dobbiamo immergerci ogni volta che ci
imbattiamo nel semplice elemento di massa. Infatti, che cosa stiamo
facendo allo studiare elettricità e magnetismo? Stiamo studiando la materia
in realtà. Stiamo scendendo nella materia quando studiamo l’elettricità.
All’inizio, si cercava in tutti i modi di immaginare l’elettricità basandola
sulla materia. Ora, al contrario, dobbiamo assumere che ciò che
consideriamo essere la materia non sia altro che elettricità fluendo.
Dobbiamo pensare in elettroni che si muovono nello spazio aventi le
proprietà attribuibili alla materia.

Collegato a ciò c’è il fatto che l’attività interna all’anima per mezzo
della quale si cerca di seguire i fenomeni della Natura non era nel secolo
29
XIX sufficientemente mobile né capace di accogliere il mondo dei colori
nel dinamismo ideativo del pensiero. Allora, incapaci di pensare ai colori
propriamente, gli scienziati li sostituirono con quello che invece era
solamente di carattere geometrico e cinematico, cioè con onde calcolabili
in un etere sconosciuto. Certi poteri del Cosmo, che vanno all’essere
umano piuttosto che da lui provenire, hanno spinto il pensare umano a
divenire molto più mobile. Gli scienziati furono in qualche modo indotti a
portare più movimento nel loro ragionare geometrico e matematico. Ma
qual è l’origine di queste idee sul movimento inteso come puro movimento
senza però includere le forze?

Potremmo pensare che le abbiamo quando ci dirigiamo ai fatti esterni


della Natura e ci lavoriamo sopra con la ragione. Noi udiamo con le nostre
orecchie e vediamo con i nostri occhi. Tutto quello che i nostri sensi
percepiscono noi lo analizziamo con l’intelletto in un modo primitivo con
categorie di pensiero qualitative, senza calcoli o geometrie o forme di
movimento. Poi, viene il momento di applicare idee scientifiche di algebra
geometria e cinematica, categorie radicalmente diverse. Certamente,
queste idee non emergono dal mondo esterno, ma esse provengono dalla
nostra propria vita interna, dalla nostra intelligenza, ma non quella che
sappiamo applicare quando lavoriamo alle idee derivate dalla vita dei
sensi, ma dalla parte intelligente della nostra vita di volontà. Noi le
estraiamo dalla parte volitiva della nostra anima.

La differenza è immensa tra tutte quelle idee in cui viviamo come esseri
intelligenti e le idee geometriche, matematiche e cinematiche. Le prime le
deriviamo dalla nostra esperienza col mondo esterno, le altre emergono
dalla parte inconscia di noi, dalla regione della volontà che ha come
organo esterno il metabolismo. E se ora applichiamo queste idee
geometriche ai fenomeni di luce o di suono, nel processo cognitivo stiamo
unendo quello che sorge da dentro con quello che percepiamo da fuori.
Facendo così, rimaniamo piuttosto inconsapevoli dell’origine della
geometria che stiamo usando. Sviluppiamo teorie come la teoria
ondulatoria della luce o la teoria corpuscolare di Newton, unendo quello
che emerge dalla parte inconsapevole del nostro essere con quello che si
presenta nella vita cosciente da svegli. Ma le due cose non appartengono
una all’altra. Esse si appartengono così poco, come così poco si combina
la facoltà di formare idee che si dispiega quando siamo mezzo

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addormentati, simboliche e non consistenti, con le cose esterne che
sogniamo mezzo addormentati.

They belong as little, my dear Friends, as the idea-forming faculty, which


you unfold (spiegare, aprire) when half-asleep, belongs directly to the outer
things which in your dreaming, half-asleep condition you perceive.

(The idea-forming faculty has indeed somehow linked up with the outer
phenomenon, but in a merely symbolizing way, — in no way consistent
with the real object.)

“Quando nella Filosofia della libertà sono menzionate l’elettricità e il


magnetismo (cap. 7 note p. 107) è questione di dare alla percezione e al
concetto, come fattori di conoscenza, la stessa funzione, riguardo le cose
non osservabili, di quei contenuti del mondo che sono accessibili agli
organo sensoriali” Ernst Lehrs.

Così pure, nel pensare geometrico e cinematico si attinge dalla regione


sub cosciente quando lo si connette col fenomeno della luce. Ciò che si fa
in questo modo, non possiede altro valore di realtà di quello che si
manifesta simbolicamente in un sogno dovuto a un fenomeno esterno.
Tutta la elaborazione del mondo esterno, i fenomeni ottici, acustici e i
fenomeni del calore radiante per mezzi geometrici e cinematici sono
difatti un sogno rispetto alla Natura. Per quanto possa sembrare ottimo e
superbo, è un sognare da svegli. Inoltre, fino a riconoscerlo per quello che
è, non sapremo dove ci troviamo nelle nostre scienze della Natura. Quello
che crediamo essere la più esatta delle scienze, è il moderno sogno umano
della Natura.

Ma è ben diverso quando scendiamo dai fenomeni ottici ed acustici, via


i fenomeni termici, giù nella regione delle particelle e delle radiazioni, così
come esse appartengono alla scienza dell’elettricità. Qui veniamo in
connessione con quello che nella Natura esterna è veramente equivalente
31
alla volontà nell’essere umano. La regione della volontà nell’essere umano
è equivalente a questo intero dominio di azione dei raggi e particelle
atomiche e sub atomiche. E’ da questa realtà che sorge ciò che possediamo
nella nostra matematica, nella nostra geometria, nelle nostre idee di
movimento. Questi perciò sono le regioni, nella Natura e nell’essere
umano, che possiamo ben considerare affini l’una all’altra.

Comunque, il pensiero umano nel nostro tempo non ha penetrato ancora


queste regioni. Possiamo ben sognare con le nostre teorie ondulatorie e
simili, ma non siamo ancora in grado di entrare con la percezione
matematica in quel dominio di fenomeni che è affine al dominio della
volontà umana, in cui prende origine la geometria e la matematica. Per ciò
il nostro pensiero matematico deve divenire più saturo di realtà.

E’ stato fatto il tentativo di usare metodi statistici e probabilità, con


alcuni risultati. Ma non si è arrivato molto lontano. Dobbiamo essere
consapevoli della parentela che esiste tra tutto ciò che proviene dalla
volontà umana-da cui viene la geometria e la cinematica- e dall’altra parte
ciò che ci viene incontro in questo dominio separato da noi e rivela la sua
presenza dei fenomeni dell’altro polo. Cioè, quello che dai tubi a vuoto si
rivela come luce, calore, ecc. Qualunque cosa sia l’elettricità stessa, che
fluisce, è impercettibile in ultima istanza. Quindi si dice: se avessimo un
sesto senso, un senso per percepire l’elettricità, noi dovremmo percepirla
direttamente.

Ma solo quando saliamo alla conoscenza intuitiva, che ha le sue basi


nella volontà, solo allora arriviamo in quella regione, anche del mondo
esterno, laddove l’elettricità si trova e si muove. In questi fenomeni siamo
all’opposto dei fenomeni del suono per esempio.

Nel suono e nel tono musicale, in questo mondo di suono e di tono


musicale l’essere umano entra con la sua anima e solo con la sua anima.

Quello che allora entra nel suo corpo, non è altro che ciò che “succhia”
nella reale essenza del tono. Esempio del campanello sotto la campana
priva di aria. Nel suono e nel tono siamo in ciò che è più spirituale, mentre
32
quello che il fisico osserva, non potendo osservare lo spirito né l’anima,
non è altro che il movimento collaterale materiale. Ciò che abbiamo non è
solo il fenomeno fisico materiale del suono e del tono, ma anche quello
che vive in noi, nell’anima e nello spirito. L’essenza del suono e del tono è
naturalmente lì nel mondo esterno ma anche in me.

Invece con i fenomeni elettrici, quello che nel caso del suono può essere
percepito solo nell’anima, si trova nella stessa sfera in cui non ho altro che
onde materiali. Rispetto alla relazione col mondo esterno, le percezioni
del suono e le percezioni dei fenomeni elettrici (osservazioni di elettricità
nei tubi catodici?.) si collocano ai poli opposti.

Quando percepiamo un suono, siamo duali. Nuotiamo per così dire


negli elementi ondulatori, la cui esistenza è dimostrabile esternamente. Ma
c’è dell’altro che la sola percezione materiale. Siamo obbligati a illuminare
la nostra vita animica per apprendere il tono, divenendo consapevoli delle
ondulazioni. Avviciniamo il corpo eterico a quello astrale fino a quando
essi occupano una piccola porzione dello spazio. E allora fruiamo del
suono nella parte concentrata della nostra anima. E’ piuttosto diverso
quando invece incontriamo i fenomeni elettrici. Ora ci sentiamo spinti ad
espandere quello che prima si era concentrato. Ora non c’è più
ondulazione in cui immergersi. Ora spingiamo fuori il corpo eterico e
quello astrale e così percepiamo( osserviamo?) i fenomeni elettrici.

Figure Xb   Figure Xc
Senza includere l’anima e lo spirito dell’essere umano è impossibile avere
una concezione realista dei fenomeni fisici. I fenomeni del suono, della
luce sono affini all’elemento cosciente del pensiero e della ideazione in
noi, mentre quelli della elettricità e magnetismo sono affini all’elemento
sub cosciente della volontà. Il calore si situa tra i due. Tutto ciò è latente
33
nella teoria del colore di Goethe. Così come nel dominio spirituale noi
differenziamo tra Lucifero che è affine alla qualità della luce e Arimane
che è affine alla qualità dell’elettricità e magnetismo, così comprendiamo i
fenomeni della Natura. Tra i due vi sono i fenomeni del calore.

We are going forward to an age when, as I indicated recently, men will


understand what the atom is, in reality. It will be realised — by the public
mind too — that the atom is nothing but coagulated electricity. — The
thought itself is composed of the same substance. Before the end of the
fifth epoch of culture, science will have reached the stage where man will
be able to penetrate into the atom itself. When the similarity of substance
between the thought and the atom is once comprehended, the way to get
hold of the forces contained in the atom will soon be discovered and then
nothing will be inaccessible to certain methods of working. — A man
standing here, let us say, will be able by pressing a button concealed in his
pocket, to explode some object at a great distance — say in Hamburg! Just
as by setting up a wave-movement here and causing it to take a particular
form at some other place, wireless telegraphy is possible, so what I have
just indicated will be within man's power when the occult truth that
thought and atom consist of the same substance is put into practical
application.

The Lemurian epoch was destroyed by fire, the Atlantean by water;


our epoch and its civilisation will be destroyed by the War of All
against All, by evil. Human beings will destroy each other in mutual
strife. And the terrible thing — more desperately tragic than other
catastrophes — will be that the blame (reproche) will lie with human
beings themselves.

A tiny handful of men will make good and thus insure their survival in
the sixth epoch of civilisation. This tiny handful will have attained
selflessness. The others will develop every imaginable skill and subtlety in
the manipulation and use of the physical forces of nature, but without the
essential degree of selflessness.
34
In the seventh epoch of civilisation, this War of All against All will
break out in the most terrible form. Great and mighty forces will be let
loose by the discoveries, turning the whole earth-globe into a kind of [self-
functioning] live electric mass. (INTERNET?)

In a way that cannot be discussed, the tiny handful will be protected


and preserved.

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