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Il Sole 24 Ore

17 settembre 2004

Nell'era globale si vince con la ricerca


Il credito deve aiutare chi ha idee veramente innovative - Impensabile rinunciare all'attività manifatturiera

MILANO Tre sfide devono essere affrontare per rilanciare l'industria italiana: la crescita delle
dimensioni di piccole e medie imprese, l'aumento del tasso d'innovazione, l'internazionalizzazione. E
poi occorre valorizzare al massimo le aziende, e sono parecchie, che stanno già vincendo la sfida delle
dimensioni. Ognuno deve fare la sua parte: certo gli imprenditori, ma anche banche e governo. Corrado
Passera, amministratore delegato di Banca Intesa, è tra i banchieri più convinti della necessità
d'interventi radicali sul fronte dell'economia per dare ossigeno allo sviluppo delle aziende industriali:
L'impresa manifatturiera è destinata a perdere peso percentuale, spiega, ma è necessario fare
attenzione: l'intero sistema, compresa una parte importante dei servizi, è legato all'industria. Guai
pensare di poterne fare a meno.

Qual è la strada da seguire per la ripresa?

Siamo un Paese che cresce pochissimo in un continente che cresce poco. L'integrazione europea
sempre più stretta è la caratteristica fondamentale di questa fase e non possiamo pensare di
programmare il nostro futuro da soli. Per questo occorre una politica industriale europea. E questo
discorso ci porta all'esigenza sempre più sentita di una politica europea economica e non solo
monetaria. Senza non andremo da nessuna parte. L'Unione europea determina anche vincoli precisi: gli
aiuti di Stato alle imprese non sono più possibili e la finanza pubblica ha precise regole da seguire.

Da dove conviene partire?

In un mondo globalizzato l'Europa vince puntando sull'innovazione e non soltanto sulla riduzione dei
costi di produzione. La scelta europea è stata appunto di muoverci con decisione in questa direzione,
puntando a recuperare il gap con gli Stati Uniti. L'obiettivo è portare gli investimenti nella ricerca al
3% sul prodotto interno lordo in tutti i paesi dell'Unione. Attualmente in Italia siamo invece scesi
all'1%, contro l'1,5% di quattro anni fa. Una vera svolta potrebbe avvenire utilizzando meglio il budget
della Commissione Europea. Attualmente il 40-45% è destinato a sussidi per l'agricoltura. La
possibilità è far affluire almeno una parte di quelle risorse ai centri di eccellenza presenti nei vari Paesi
europei attraverso una nuova Agenzia europea per la ricerca, sul modello degli Stati Uniti.

Chi deve prendere l'iniziativa nei vari Paesi?

Fare sistema è la scelta giusta, ormai lo diciamo tutti. Occorre che i diversi protagonisti lavorino
insieme, con un programma condiviso e una regia unica. Ma il rischio è la ripetizione ossessiva di
concetti su cui l'accordo è generalizzato. Il problema è che agli obiettivi e agli slogan non seguono fatti
concreti.

Come devono muoversi le banche?

Dobbiamo cercare di fare bene il nostro mestiere: le aziende, piccole e grandi, sono la nostra principale
base di clientela e dobbiamo contribuire al loro sviluppo per crescere insieme. Gli imprenditori hanno
sempre più bisogno di credito per crescere e non di credito generico. Le banche, anche in contatto con
le università, devono spingere l'innovazione, contribuire alla valutazione dei progetti di espansione,
aiutare anche chi non ha i capitali necessari, ma idee e progetti vincenti.

Che tipo d'intervento pubblico è immaginabile?

Le vecchie politiche delle partecipazioni statali non esistono più e, ovviamente, non devono tornare.
Occorre altro, tenere presente che non si fa politica industriale aiutando questa o quella azienda, ma
creando le condizioni per favorire lo sviluppo dei settori che possono produrre crescita nel medio
periodo. Il pubblico può fare molto mettendo a disposizione del sistema infrastrutture adeguate,
eliminando costi inutili, assicurando il funzionamento dell'amministrazione e della giustizia come pure
il miglior collegamento del mondo dell'istruzione e della formazione con quello del lavoro. Un caso
clamoroso di ostacolo da rimuovere è rappresentato dalla legge fallimentare, datata anni Quaranta,
quando il mondo era ben diverso.

Perché non funziona?

E' una legge fatta apposta per portare le aziende al fallimento e non per salvarle. Il risultato è che le
banche quando intervengono finanziando aziende in crisi rischiano sia di perdere soldi, sia di avere
guai penali. Andare avanti così non è possibile.

Come va investito il capitale pubblico disponibile per sostenere il mondo della ricerca
industriale?
Servono risorse maggiori delle attuali e, certamente, possiamo recuperare parte di quelle finora
utilizzate per contributi poco focalizzati. Bisogna premiare i centri di eccellenza, e sono numerosi, che
producono brevetti e credibilità per il nostro Paese. Tutte le proposte della Confindustria presentate da
Pasquale Pistorio sono da condividere.

F.TA.

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