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NUOVO GRANDE COMMENTARIO BIBLICO 57

25
DANIELE
Louis F. Hartman, C. SS. R.† - Alexander A. DiLella, O.F.M.'

BIBLIOGRAFIA
25:1
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Roma 1969].

INTRODUZIONE

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(I) Titolo. Il titolo è dato non dal nome dell'autore ma del protagonista, del quale si dice che visse a Babilonia
durante il regno degli ultimi re dell'impero neo-babilonese e dei loro primi successori, i re dei Medi e dei Persiani –
e cioè durante la maggior parte del secolo VI a.C. Il nome Daniele, in ebraico “il mio giudice è Dio” o “Dio (o El)
ha giudicato”, secondo il Cronista era portato anche da uno dei figli di Davide 1Cr 3,1 = Kileab di 2Sam 3,3) e da
uno dei giudei che tornarono dall'esilio babilonese al tempo di Esdra e Neemia Esd 8,2 Ne 10,7 nella seconda metà
del secolo V. Nessuno dei due, ovviamente, può essere identificato con il Daniele del libro. Il profeta Ezechiele
parla di un certo Daniele (o, più esattamente, Dan'el, secondo il testo consonantico ebr.) il quale era rinomato per la
sua pietà (Ez 14,14; 14,20) e saggezza (Dan 28,3). Siccome, però, di questo Daniele si dice che visse molto prima
di Ezechiele, al tempo di Noè e di Giobbe (Dan 14,14-20), difficilmente l'autore di Dan e i suoi primi lettori
potevano pensare che fosse vissuto nel VI secolo: essi conoscevano troppo bene la loro Bibbia per commettere un
simile errore. Il Daniele di Ezechiele va forse collegato in qualche modo con il dn'l (Dio giudica) che svolge un
ruolo importante nel racconto ugaritico di Aqhat, databile più o meno alla metà del secolo XIV (cf. ANET 149-
155). Un'eco lontana di questo saggio e pio Daniele dell'epica ugaritica, il quale “giudica la causa della vedova e
decide il caso dell'orfano” (2 Aqhat 5,7-8), lo troviamo nel giovane giudice, tanto saggio, della storia di Susanna
Dan 13.

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(II) Contenuto. Così come è stato conservato nel TM, Dan si presta a un'ovvia divisione in due parti grosso
modo uguali. La prima parte (Dan 1-6) contiene sei racconti edificanti su Daniele e i suoi tre compagni alla corte
reale di Babilonia; la seconda parte (Dan 7-12) è composta di quattro visioni in cui Daniele vede, in immagini
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simboliche, la successione dei quattro “regni”, che dominarono il popolo di Dio, i Giudei, daltempo della conquista
babilonese della Giudea fino alla instaurazione del regno di Dio per loro. Il libro, come ci è pervenuto nella sua
forma greca, contiene anche due aggiunte nel c. 3 e tre racconti di gesta di Daniele con Susanna, con i sacerdoti di
Bel e con il drago (Dan 13-14).

(III) Sfondo storico. Per capire la natura letteraria di questo libro, dobbiamo avere una qualche idea delle
relative circostanze storiche. Nel secolo VIII, gli Assiri avevano trasformato il regno d'Israele in una provincia del
loro vasto impero e avevano ridotto il regno del sud a uno stato vassallo. Verso la fine del secolo VII, Ciassarre, re
dei Medi, con l'aiuto dei Babilonesi, aveva conquistato Ninive e distrutto dalle fondamenta l'impero degli Assiri.
Nabucodonosor di Babilonia ben presto si impadronì della maggior parte dell'Es impero assiro e riuscì addirittura
ad estendere i suoi domini conquistando nel 587 Giuda, ma sotto i suoi successori la potenza babilonese andò
sempre più indebolendosi finché il re dei Persiani Ciro il Grande, dopo aver conquistato la Media ed essere
diventato re dei Medi e dei Persiani, conquistò Babilonia nel 539 togliendola al suo ultimo re Nabonide e a suo
figlio Baldassarre. Da allora, l'antico Vicino Oriente fu sotto il potere dei Persiani successori di Ciro il Grande, tra i
quali l'unico re che si distinse fu Dario I il Grande; nel 331 Alessandro Magno ridusse in suo potere il Vicino
Oriente. Nel secolo ni, la Palestina era governata dalla dinastia greca dei Tolomei, la cui capitale era Alessandria
d'Egitto. Nel p secolo fu sotto il dominio della dinastia greca dei Seleucidi, la cui capitale era Antiochia di Siria.
Per la comprensione di Dan è utile un quadro sinottico (vedi p. 531) dei re di queste dinastie che dominarono
sul Vicino Oriente dal VI al II secolo a.C. (→ Storia, 75:117-139).
La maggior parte della gente che sopravvisse alla conquista di Giuda da parte di Nabucodonosor, fu deportata
in Babilonia tra il 598 e il 582. Ma dopo il 539, quando Ciro permise agli esiliati il ritorno in patria, si ebbe un
lento ma costante aumento degli abitanti della Palestina. Sotto i loro dominatori persiani e tolemaici essi godettero
di una limitata autonomia politica e di una completa libertà religiosa. Il re seleucide Epifane IV, invece, cercò, per
motivi sia politici che culturali, di ellenizzare i Giudei della Palestina costringendoli ad abbandonare la loro antica
religione e a praticare il culto pagano diffuso nel suo regno. Risultato finale di questa sanguinosa persecuzione, fu
la rivolta armata dei Giudei narrata in 1 e 2Mac. Il conflitto tra la religione dei Giudei e il paganesimo dei loro
dominatori stranieri è anche il tema fondamentale di Dn. Tuttavia in Dan il conflitto viene considerato dal punto di
vista di Dio, come già da lungo previsto e permesso da Lui, sia per manifestare la grande superiorità della sapienza
d'Israele su tutta la filosofia pagana, sia per dimostrare la verità che il Dio d'Israele è il signore della storia, che
“depone i re e li innalza” (2,21), finché non stabilirà negli ultimi tempi il suo regno universale su tutta la terra.

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(IV) Genere letterario. Per sviluppare questa tesi, l'autore usa due generi letterari che ai lettori mo→ derni
possono risultare strani: il genere haggadico e quello apocalittico. Quest'ultimo, impiegato nei cc. 7-12 consiste in
una certa misteriosa 'rivelazione' ricevuta in una visione fantastica o trasmessa da angeli, sia circa la storia presente
e passata sia circa l'instaurazione escatologica del regno messianico di Dio. Siccome questa finzione letteraria fa
uso di alcuni famosi personaggi di un lontano passato come destinatari di questa rivelazione, fatti che per l'autore
sono storia passata sono presentati come profezie di eventi futuri. In senso lato, tuttavia, questa forma di scrittura
può essere vista a buon diritto come una sorta di profezia, perché da una interpretazione della storia nel nome di
Dio, come vista da lui.
Il genere haggadico, usato nei cc. 1-6; 13-14, prende il suo nome dal termine ebraico usato nella Misna,
haggâdâ, che significa “esposizione”, “narrazione”. Spesso esso è usato per indicare un “racconto” che con i fatti
reali ha una relazione vaga o addirittura nulla, ma viene narrato per inculcare una lezione morale. Se un simile
racconto è una libera rielaborazione di alcuni fatti reali della storia, viene più esattamente detto “midras
haggadico”. Ma il racconto può essere anche una pura “haggadah”, cioè una libera composizione che con la storia
non ha nulla a che vedere. Spesso è impossibile dire in che misura un racconto haggadico sia basato sulla storia,
ammesso che lo sia.
I racconti su Daniele sono chiaramente haggadici; nella loro totalità non possono essere presi come storia in
senso stretto. Dato che l'autore non li intende come storia, non può essere accusato di errore quando fa delle
affermazioni inesatte dal punto di vista storico. Non siamo in grado di sapere se il Daniele di questi racconti fosse
un personaggio storico reale, sul quale a poco a poco crebbero le leggende popolari, oppure se si tratti
semplicemente di una creazione del folklore giudaico. Un caso analogo è quello della leggenda ara-maica di
Ahiqar, il quale come saggio consigliere di re assiri (cf. ANET 427-430) non è troppo diverso da Daniele. Per
l'autore ispirato del nostro libro, questo problema non aveva alcuna importanza. A lui interessava il messaggio
spirituale che voleva trasmettere per mezzo di questi racconti haggadici (→ Apocrifi, 67:133).
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(V) Data e autore. Questi modi di scrivere tipici dell'antichità vennero a lungo dimenticati: di conseguenza,
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fino ad anni relativamente recenti, Ebrei e Cristiani consideravano Dan vera e propria storia contenente autentica
profezia. Siccome i cc. 7-12 sono scritti in prima persona, era naturale supporre che Daniele nei cc. 1-6 fosse un
personaggio storico reale e che fosse l'autore di tutto il libro. Ma oggi, ben pochi biblisti sarebbero disposti a
sostenere seriamente simili opinioni. C'è una valanga di prove a favore di una data di poco anteriore alla morte di
Antioco IV Epifane avvenuta nel 164. Un autore vissuto nel VI secolo difficilmente poteva scrivere il tardo ebraico
usato in Dan, e l'aramai-co del libro è certamente posteriore a quello dei papiri di Elefantina, i quali sono della fine
del V secolo. La prospettiva teologica dell'autore, con il suo interesse per l'angelologia, la sua visione più
apocalittica che profetica, e soprattutto con la sua fede nella risurrezione dei morti, indica inequivocabilmente un
periodo molto posteriore all'esilio babilonese. La sua prospettiva storica, spesso confusa per gli eventi del periodo
dei re babilonesi e persiani ma molto più chiara per gli eventi relativi alla dinastia dei Seleucidi, indica l'età
ellenistica. Infine, la sua dettagliata descrizione della profanazione del Tempio di Gerusalemme da parte di Antioco
IV Epifane nel 167 e della successiva persecuzione (Dan 9,27; 11,30-35) in contrasto con la genericità del
riferimento alla brutta fine che avrebbe sicuramente fatto un uomo così empio (Dan 11,45), fa pensare ad una data
di composizione di poco anteriore alla morte del re avvenuta nel 164, e quindi al 165.

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(VI) Unità di autore. Finora abbiamo parlato di 'autore' supponendo che Dan fosse opera di una sola persona.
La cosa è possibile, perché dall'inizio alla fine, la prospettiva religiosa, lo spirito del libro, gli scopi si presentano
fortemente unitari. Se gli autori sono più di uno (il che è più probabile), essi come minimo condividevano la
medesima scuola di pensiero. L'unità di autore, naturalmente non escluderebbe la possibilità di un uso di fonti più
antiche, anche scritte, per i racconti della prima parte del libro; anzi pare che le cose stiano proprio così. Alcuni
esegeti (p. es., Ginsberg, Hartman e Di Leila) sono del parere che le visioni dei cc. 7-12 siano state scritte da due,
tre o addirittura quattro persone; ma non tutti gli studiosi hanno trovato convincenti gli argomenti proposti a
sostegno di questa ipotesi. Comunque pare che il libro, anche nella forma in cui ci è pervenuto nel TM, abbia
ricevuto aggiunte successive alla sua composizione originaria; una simile supposizione spiegherebbe alcune
incongruenze del testo. La preghiera in Dan 9,4-20, che non è del tutto appropriata al contesto ed è scritta in un
ebraico molto migliore di quello del resto del libro, può essere una composizione più antica che venne poi inserita
nell'opera originaria.

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(VII) Lingua. Un problema ancora insoluto è la strana mescolanza di ebraico ed aramaico in Dan. La
differenza di lingua corrisponde solo in parte alla divisione del libro nelle sue sezioni haggadica ed apocalittica.
Quest'ultima è scritta in ebraico, con l'eccezione della prima visione (c. 7) che è in aramaico; la prima è in
aramaico, fatta eccezione per Dan 1,1-2,4 che è in ebraico. Probabilmente tutto il libro (eccetto la preghiera di Dan
9,4-20) era originariamente scritto in aramaico e in seguito (per assicurare al libro un posto nel canone, oppure per
ragioni nazionalistiche?) l'inizio e la fine furono tradotti in ebraico; questa teoria spiegherebbe certi difficili passi
ebraici come traduzioni inesatte. Oppure l'autore delle visioni ebraiche dei cc. 8-12 premise forse alla sua opera
un'antica raccolta aramaica di quattro racconti (cc. 2-6) ed una visione (c. 7), e poi completò il tutto componendo o
traducendo in ebraico il racconto introduttivo del c. 1 e, per avere un collegamento più scorrevole, i versetti iniziali
del secondo racconto (Dan 2,1-4).

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(VIII) Canonicità e sezioni deuterocanoniche. Non ci sono mai state difficoltà circa il carattere ispirato di
Dan come tale, anche se, mentre il TM lo colloca tra gli Agiografi, terza parte del suo canone (dopo Est e prima di
Esd, i LXX e la Vg lo collocano tra i profeti (dopo Ez. La difficoltà nasce dal fatto che il On canonico dei LXX e
della Vulgata è notevolmente più lungo del Dan canonico del TM. In realtà ci sono motivi per credere che questo
libro circolasse dapprima in più di due forme. Oggi, dai manoscritti rinvenuti a Qumran, sappiamo che su Daniele
circolavano un numero di racconti maggiore di quelli contenuti in una qualsiasi Bibbia moderna (→ 20). Ad ogni
modo, la versione greca è molto più lunga di quella aramaica del TM nel Da 3, dove il greco riporta, in più, la
preghiera di Azaria (Dan 3,24-45) e l'inno dei tre giovani ebrei (Dan 3,46-90). Queste sezioni non furono eliminate
dal TM: esse non fecero mai parte dell'edizione rappresentata dal TM. Inoltre, la versione greca contiene, con titoli
diversi e in posizioni che variano a seconda dei manoscritti (quindi, originariamente come opuscoli distinti), i tre
racconti di Susanna, Bel, e il drago, che nella Vg e nelle traduzioni cattoliche in lingue moderne si trovano alla fine
di Da, rispettivamente come Dan 13,1-64; 14,1-22; 14,23-42. Queste sezioni aggiunte del testo greco vengono da
originali ebraici o aramaici, e questo vale probabilmente anche per il racconto di Susanna, nonostante il gioco di
parole nel greco di Dan 13,55-59 (→ 36). Il testo greco di Dan ci è giunto in due forme. La prima è quella di quasi
tutti i manoscritti detti (in mancanza di meglio) “Daniele-Teodozione” (cf. HARTMAN – DI LELLA, Daniel, 76-85).
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La seconda è quella dei LXX, che fino a non molto tempo fa era nota grazie a un solo manoscritto, anche se il
Papiro 967, pubblicato recentemente, contiene gran parte di Dan secondo questa forma. Dato che la chiesa dei
primi tempi accettò come proprio canone le Scritture secondo il testo greco, i cattolici hanno sempre considerato le
sezioni aggiunte (dette anche “deuterocanoniche”) come divinamente ispirate allo stesso titolo del resto del libro.

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(IX) Messaggio dell'autore. L'opera fu scritta principalmente allo scopo di incoraggiare i Giudei a rimanere
fedeli alla religione dei padri in un'epoca in cui non solo subivano il fascino della superiore cultura profana
dell'ellenismo, che era intimamente legata al paganesimo del tempo, ma erano sottoposti ad una sanguinosa
persecuzione perché abbandonassero la legge di Mosè ed accettassero la religione di Antioco IV Epifane. All'autore
di Dn, quindi, preme soprattutto di dimostrare la superiorità della sapienza del Dio d'Israele rispetto alla sapienza
puramente umana dei pagani, e di manifestare la sua illimitata potenza che è in grado di salvare i suoi fedeli dai
loro persecutori e non mancherà di farlo. E non solo per i credenti dei suoi tempi e dei suoi luoghi, ma per i
credenti di tutti i tempi, l'autore di Dan ha un messaggio di valore imperituro: Dio è signore della storia e nel suo
piano, le nazioni che sorgono e che tramontano non sono altro che tappe verso l'avvento del suo regno universale su
tutti i popoli.

(X) Significato teologico. Per molti rispetti, le idee espresse in Dan sono di primaria importanza nella storia
del pensiero religioso. Anche nella sua forma letteraria, quest'opera nei Dan 7-12 presenta il primo chiaro esempio
che noi abbiamo di stile di scrittura apocalittica nel suo pieno sviluppo, un genere letterario che avrebbe avuto una
foltissima influenza per alcuni secoli. Inoltre, nel ruolo significativo che Da attribuisce agli angeli come ministri di
Dio attraverso i quali egli rivela agli esseri umani la sua volontà, questo libro fa un notevole passo in avanti rispetto
ai precedenti libri e segna la via all'angelologia, così ampiamente sviluppata, della letteratura rabbinica e di quella
del cristianesimo primitivo. Un contributo di grandissimo valore è, inoltre, il chiaro insegnamento sulla risurrezione
dei morti (Dan 12,2), che è qualcosa di unico nell'AT ebraico ed è una dottrina molto più significativa, per la
mentalità semitica, che non quella dell'immortalità dell'anima. Infine, il messianismo di Dan porta la speranza di
Israele nella salvezza al suo ultimo stadio prima della sua piena realizzazione nel NT. Anche se “il figlio dell'uomo
che viene sulle nubi del cielo” (Dan 7,13) non si riferisce direttamente a un messia individuale (→ 26), da molto
tempo questo termine era destinato ad assumere una tale connotazione e a diventare l'espressione preferita con la
quale Gesù di Nazaret avrebbe identificato se stesso.

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(XI) Struttura. Ecco le parti principali nelle quali può essere agevolmente diviso il libro di Daniele:

(I) Imprese di Daniele e dei suoi compagni alla corte di Babilonia (1,1-6,29)
(A) La prova del cibo (1,1-21)
(B) Nabucodonosor sogna la statua composita (2,1-49)
(C) I compagni di Daniele nella fornace ardente (3,1-97)
(D) Nabucodonosor sogna il grande albero
(E) La scritta sul muro al banchetto di Baldassar (5,1-31)
(F) Daniele nella fossa dei leoni (6,1-29)
(II) Le visioni apocalittiche di Daniele (7,1-12,13)
(A) Le quattro bestie (7,1-28)
(B) Il montone e il capro (8,1-27)
(C) L'interpretazione delle 70 settimane (9,1-27)
(D) La rivelazione delle guerre ellenistiche (10,1-12,13)
(III) Altre imprese di Daniele (13,1-14,42)
(A) Daniele salva la casta Susanna (13,1-64)
(B) Daniele e i sacerdoti di Bel (14,1-22)
(C) Daniele uccide il drago (14,23-42)

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