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Le leghe e le miscele polimeriche sono una consolidata realtà nello sviluppo di nuovi materiali
polimerici. A causa dell’elevato costo e dell'incertezza sulla tossicità associata con lo sviluppo di
nuovi monomeri, la maggior parte dei nuovi materiali polimerici vengono ora sviluppati attraverso
la creazione di leghe e miscele, o cambiando l'architettura della catena polimerica (polimeri a
innesto, blocco, ecc.).
Leghe Polimeriche
Una miscela (eterofasica o no) è un "polimero multicomponente". Quasi tutti i polimeri
multicomponente sono formati da più fasi e per questo sono chiamati anche polimeri multifase. Per
enfatizzare l'importanza delle interazioni chimiche e/o fisiche delle catene polimeriche ad un livello
molecolare, ci si riferisce a questo tipo di materiali anche con il termine di “leghe polimeriche”.
Una lega polimerica è normalmente formata da due o più omopolimeri miscelati insieme. Anche
alcuni copolimeri a blocchi mostrano la separazione di fase tipica delle leghe polimeriche. Per
ottenere proprietà ottimali nelle leghe, si dovrebbe avere un aumento sinergico delle proprietà
rispetto a quelle delle singole componenti.
Per esempio, il polistirene ad alto impatto è un polistirene tenacizzato con una fase gommosa.
Con l'uso di speciali tecniche, le particelle di gomma possono essere completamente disperse nella
matrice di polistirene. Con questa struttura, si ottiene un effetto soddisfacente di tenacizzazione con
un’aggiunta di gomma solo del 5-10%. Un altro esempio di tenacizzazione di un materiale a base
stirenica è il copolimero chiamato ABS, materiale bifasico la cui matrice è il copolimero statistico
stirene-acrilonitrile e la cui fase dispersa è, ancora una volta, gomma polibutadienica. Si comprende
pertanto come la ricerca sulle miscele susciti così tanta attenzione sia in ambito accademico che
nell'industria.
La morfologia delle fasi delle miscele determina le loro proprietà e può essere valutata
mediante molte tecniche di caratterizzazione. Le informazioni sulla struttura di fase inoltre
includono l'interfaccia delle fasi stesse. Per capire il meccanismo per formare queste strutture, è
necessario fare delle considerazioni sulla termodinamica delle miscele, che è stato l'argomento di
interesse per gli studiosi dei polimeri per molto tempo. La prima descrizione sistematica dei sistemi
polimerici fu fatta da Flory, il quale afferma che due polimeri sono reciprocamente compatibili tra
di loro soltanto se la loro energia libera di interazione è favorevole, cioè, negativa. Di fatto, nella
maggior parte dei casi, la miscela di due o più polimeri è endotermica: la compatibilità nella pratica
è un'eccezione. Tuttavia, da allora, sono stati segnalati un numero sempre maggiore di casi di
compatibilità; si è capito che le interazioni segmentarie tra polimeri sono cruciali per comprendere
questi fenomeni ed alcune delle interazioni sono introdotte espressamente nei sistemi per
aumentarne la compatibilità. [1]
1
1 - TIPOLOGIE
1.1 COPOLIMERI
Il termine copolimero indica tutte quelle macromolecole la cui catena polimerica contiene
monomeri di due o più specie differenti. Quando invece un polimero è costituito dall'unione di
monomeri di un solo tipo viene detto omopolimero. Una prima classificazione dei copolimeri si può
effettuare in base alla disposizione dei diversi monomeri all'interno della catena polimerica. Se si ha
un copolimero formato da due diversi monomeri A e B, si possono presentare i seguenti casi:
– copolimero alternato: quando due monomeri sono disposti in modo alternato nella catena
polimerica
…-A-B-A-B-A-B-A-B-…
– copolimero statistico o random: i due monomeri sono presenti nella catena senza un
ordine preciso
...-A-B-B-B-A-A-B-A-B-B-A-B-A-A-A-...
– copolimero a blocchi: tutti i monomeri di un tipo e quelli dell'altro sono raggruppati in due
blocchi distinti ma uniti ad un estremo. Un copolimero a blocchi può essere pensato come
due omopolimeri uniti alle estremità terminali:
...-A-A-A-A-A-A-A-B-B-B-B-B-B-B-...
|
-A-A-A-A-A-B
|
B
|
B-A-A-A-A-A-
|
B
|
B
|
2
1.2 MISCELE POLIMERICHE
Per ottenere un materiale che abbia alcune caratteristiche di un polimero ed alcune proprietà di
un altro, anziché cercare di sintetizzare un polimero completamente nuovo con tutte le
caratteristiche desiderate, si miscelano talvolta due polimeri per formare una miscela che abbia le
caratteristiche di entrambi.
Miscelare due tipi diversi di polimero può essere complicato. Accade molto raramente che due
tipi diversi di polimero possano essere miscelati. Si vedano ad esempio il polietilene e il
polipropilene in figura 1.
Per motivi entropici non sono miscibili tra loro. In un polimero allo stato amorfo tutte le
catene sono aggrovigliate una con l'altra in modo casuale e caotico con la conseguenza che
l’entropia è molto elevata. Un polimero amorfo è talmente disordinato da solo che non riesce ad
acquisire molta altra entropia quando viene unito ad un altro polimero. Quindi la miscela dei
componenti non è facilitata. [2]
3
Figura 3 - Micrografia al Microscopio a Trasmissione Elettronica (TEM) di un HIPS [5]
Figura 5 - Modello della struttura lamellare del blend PET – PVA [3]
4
Morfologia
Viene definita morfologia la struttura creata dalle due fasi e l'arrangiamento delle due fasi. La
miglior cosa che si possa fare per agire sulla morfologia di una miscela eterofasica è controllare la
quantità relativa dei due omopolimeri.
Se si cerca di fare una miscela eterofasica con due polimeri A e B, utilizzando più polimero A
che B, quest’ultimo si separerà in piccole sfere. Le sfere di polimero B si separeranno le une dalle
altre nella fase costituita dal polimero A, come si può vedere nella figura più a sinistra di figura 6.
In questi casi, il polimero A viene definito componente maggiore (o fase continua) ed il polimero B
componente minore (o fase dispersa). Aumentando il contenuto di polimero B nella miscela
eterofasica, le sfere diverranno sempre più grosse, fino ad unirsi fra loro, formando una fase
continua. Quando succede questo, si dice che la fase del polimero A e del polimero B sono "co-
continue". Questo tipo di miscela eterofasica assomiglia alla figura centrale di figura 6.
Continuando ad aggiungere il polimero B, il polimero A formerà delle sfere isolate accerchiate da
una fase continua del polimero B, in cui la situazione iniziale si è invertita, come si può vedere nella
figura di destra di figura 6.
5
Un'altra interessante morfologia è quella a domini a barre che si ha quando un polimero è
disperso in una fase continua di un altro polimero. Questo avviene quando una miscela eterofasica è
posta sotto uno sforzo monodirezionale, come accade durante un processo di estrusione.
Per una miscela eterofasica 80:20 di polietilene ad alta densità e polistirene, il polistirene è il
componente minore e forma domini sferici separati con dimensioni tra i 5 ed i 10 micron di
diametro. [3]
6
Figura 9 - Esempio di copolimero a blocchi [3]
Anche i copolimeri ad innesto possono essere utilizzati come compatibilizzanti, come avviene
nel HIPS dove lo stirene è innestato su una catena di polibutadiene.
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1.4 COMPOSITI
Un composito è un insieme, generalmente non omogeneo e non isotropo, ricavato mettendo
insieme materiali di forma e/o composizione diversa allo scopo di riuscire a combinare le proprietà
e le caratteristiche dei vari costituenti in modo da ottimizzarle nel prodotto finale, ottenendo
particolari requisiti a costi possibilmente limitati. [13]
Nel seguito si tratterà di compositi polimerici. Di particolare interesse sono i compositi
rinforzati da fibre. Si tratta di materiali nei quali una fibra formata da un materiale è immersa in un
altro materiale.
Uno dei primi compositi polimerici rinforzati da fibre fu creato da Charles Macintosh, che
prese due strati di tessuto di cotone (forma della cellulosa, un polimero naturale) e li imbevve in
gomma naturale (nota anche come poliisoprene), combinando l'idrorepellenza del poliisoprene al
comfort del cotone.
I compositi moderni sono formati di solito da due componenti, una fibra ed una matrice. La
fibra è quasi sempre vetro, ma può essere Kevlar, fibra di carbonio, o polietilene. La matrice è
spesso un termoindurente, come resina epossidica, polidiciclopentadiene o poliimide. La fibra è
inserita nella matrice per renderla più resistente. I compositi rinforzati da fibre hanno due punti a
loro favore. Sono resistenti e leggeri. Spesso sono più forti dell'acciaio ma pesano molto meno.
Un composito rinforzato con fibre di vetro molto comune è il FiberglassTM. La sua matrice si
ottiene facendo reagire un poliestere, con doppi legami carbonio-carbonio nella catena principale, e
stirene (vedi figura 11).
8
Per rendere il composito ancora più resistente si allineano le fibre nella stessa direzione lungo
la quale viene allungato. Se, al contrario il composito viene allungato perpendicolarmente alla
direzione delle fibre non è assolutamente resistente. Talvolta invece è necessario che il composito
sia resistente in più di una direzione e ciò si ottiene orientando le fibre in più direzioni.
La matrice tiene insieme le fibre. Inoltre, anche se le fibre sono resistenti, possono essere
fragili, invece la matrice, che può assorbire energia deformandosi, aggiunge tenacità al composito.
Infine le fibre, pur avendo un buon carico di rottura (ossia sono resistenti alla trazione), di solito
hanno una bassissima resistenza alla compressione, che viene fornita dalla matrice. [4]
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2 - TECNOLOGIE PRODUTTIVE
Gli stadi fondamentali dell’estrusione sono l’alimentazione del pellet attraverso una tramoggia,
la plastificazione ed il trasporto del fuso. Lo stadio di plastificazione avviene fornendo al granulo il
calore necessario per portarlo allo stato fuso attraverso due meccanismi fondamentali: trasferimento
di calore per conduzione da un cilindro riscaldato e/o per dissipazione viscosa via attrito meccanico
tra i pellets oppure tra questi e le componenti interne dell’estrusore. A questo punto il polimero fuso
viene trasportato, con modalità che dipendono dal comportamento reologico del materiale, dalla
geometria della vite e dalle condizioni di esercizio, ed estruso (dal latino ex trudere, spingere fuori),
nella parte finale detta “testa”, attraverso un orifizio opportunamente calibrato; la sua geometria
determina infatti lo spessore ed in generale la geometria dell’estruso.
Altra apparecchiatura fondamentale per l’aspetto del prodotto finito è il sistema di rulli
(calandra), che permette al polimero di raffreddarsi e di assumere lo spessore più consono alla
destinazione finale. Come riportato in Tabella 1, le varie tipologie di manufatti piani ottenibili
estrudendo i polimeri stirenici, sono in genere suddivise in base al loro spessore.
A parte qualche caso nel quale film o lastre costituiscono il prodotto finito, il materiale
proveniente dall’estrusione viene inviato ad uno stadio di lavorazione successiva, che con eccezioni
trascurabili è quello noto come termoformatura. [8]
tram
velocità di Utilizzo secondario
spessore, mm Utilizzo principale
traino, m/min come prodotto finito
arredamento (box
Lastra 1,8 - 8,0 3-4 a termoformatura
doccia, ecc.)
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2.2 TERMOFORMATURA
La lastra o la foglia, ottenuta per estrusione, è in genere destinata ad un successivo passaggio,
dove la tecnologia nota come termoformatura consente al materiale di assumere le geometrie più
disparate.
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2.3 STAMPAGGIO AD INIEZIONE
La tecnologia dello stampaggio ad iniezione si basa sulla capacità dei polimeri termoplastici,
una volta riscaldati oltre la propria Tg, di riempire rapidamente uno stampo, anche di geometria
complessa; dopo raffreddamento e quindi solidificazione della materia plastica, il manufatto avente
la forma dello stampo può essere estratto ed utilizzato.
La parte iniziale, nella quale avviene la plastificazione dei granuli, non è tendenzialmente
dissimile da quella già descritta per l’estrusione (vedi figure 16 e 17).
m
A differenza di quanto avviene in quest’ultima però, la vite di plastificazione non è fissa, ma
indietreggia sotto la spinta del flusso del polimero durante la plastificazione. Al termine di questa
fase, la vite, dopo avere sospeso il moto rotatorio, si muove rapidamente in senso opposto,
spingendo con un’azione simile a quella di un pistone il polimero fuso all’interno dello stampo.
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Peculiare dello stampaggio ad iniezione è anche la sezione comunemente definita gruppo di
chiusura, che comprende una parte fissa, dove il polimero è convogliato in canali verso lo stampo e
da una parte mobile, che consente l’apertura dello stampo. Dopo l’iniezione e le successive fasi di
pressurizzazione e raffreddamento, il manufatto può essere estratto dallo stampo. Rispetto alla
termoformatura, lo stampaggio ad iniezione consente tempi di ciclo notevolmente più rapidi e
l’ottenimento di manufatti con geometrie più complicate e a maggiore spessore. Gli svantaggi
principali sono i costi di investimento legati alla progettazione e costruzione degli stampi, oltre alla
difficoltà a gestire stampi di grandi dimensioni. Lo stampaggio ad iniezione, in genere, non si presta
all’utilizzo di polimeri dalla fluidità particolarmente bassa; l’alta viscosità del materiale genera
infatti un incremento dei costi energetici (maggiore forza di chiusura dello stampo). Il
mantenimento di un tempo di ciclo convenientemente rapido, costringerebbe poi ad operare a
temperature più alte, con conseguente impatto negativo sia sugli aspetti energetici che sulla
degradazione del polimero. [8]
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3 – APPLICAZIONI
Data l’enorme quantità di copolimeri (statistici o a blocchi) commerciali, per quanto riguarda
le applicazioni di questo tipo di leghe polimeriche, l’attenzione verrà ristretta nei paragrafi che
seguono ai soli copolimeri dello stirene.
14
25000
20000
15
Alla base del funzionamento meccanico delle strutture eterofasiche di questo tipo è il
fenomeno della concentrazione di sforzo: quando una forza esterna viene applicata al materiale,
all’interfaccia tra la fase continua e ogni particella dispersa lo sforzo locale risulta più grande di
quello applicato esternamente, secondo un fattore che dipende dalla forma dell’eterofase e dal
rapporto tra i moduli elastici dell’eterofase e della fase continua. Anche la geometria del campo di
sforzi risulta alterata, col risultato, ad esempio, che sforzi uniassiali applicati al materiale possono
dare origine a sforzi triassiali (dilatazionali) nelle immediate vicinanze delle eterofasi.
I materiali stirenici eterofasici rientrano sostanzialmente in due categorie: quelli in cui la fase
continua è polistirene omopolimero, denominati HIPS (High Impact PolyStyrene), e quelli basati
invece sul copolimero stirene-acrilonitrile, denominati ABS (Acrylonitrile-Butadiene-Styrene),
ASA (acrylonitrile-styrene-acrylic rubber) ecc. Le eterofasi sono normalmente realizzate con
gomma polibutadienica. In casi particolari, soprattutto nel caso dei materiali a base SAN, si possono
usare gomme diverse (ad es. gomme acriliche nell’ASA per migliorare la resistenza alla
degradazione foto-ossidativa). In tutti i casi le eterofasi gommose in questi materiali hanno valori di
modulo elastico circa 1000 volte inferiori a quelli delle rispettive fasi continue: in queste
condizioni, e con geometria sferica delle eterofasi, il valore del fattore di concentrazione di sforzo
teorico è di circa 2. [7]
3.2.1 HIPS
L’effetto della concentrazione di sforzo locale attorno alle particelle di fase gommosa risulta
evidente se si considerano le curve sforzo-deformazione in trazione di un PS e di un HIPS, tipici
esempi delle quali sono riportati in figura 20. Si osserva che il PS ha comportamento elastico
(andamento lineare della relazione sforzo-deformazione) fino ad un valore limite di sforzo,
raggiunto il quale si ha una brusca frattura del provino con quasi totale assenza di deformazione
plastica. La deformazione massima al momento della rottura non supera di molto il 2%. Ben diverso
è il caso dell’ HIPS: il comportamento è elastico fino ad uno sforzo massimo nettamente inferiore a
quello di rottura del PS, raggiunto il quale si ha un tipico fenomeno di snervamento con successiva
deformazione plastica (a sforzo pressoché costante) fino a valori che possono superare il 50%.
60
50
PS
40
sforzo, MPa
30
20
HIPS
10
0
0 5 10 15 20
deformazione, %
Figura 20 - Curve sfrozo-deformazione in trazione (ISO 527) per tipici campioni di PS e HIPS [7]
16
Quanto queste differenze di comportamento siano legate al fenomeno della concentrazione di
sforzo appare chiaro se si esamina la micrografia TEM (Microscopia a Trasmissione Elettronica) di
un campione di HIPS deformato oltre il limite di snervamento (figura 21).
Figura 21 - Micrografia TEM di un film sottile di HIPS deformato oltre lo snervamento [7]
17
Figura 22 - Immagine TEM di HIPS con struttura delle particelle a “capsule” [5]
100000
10000 PS
HIPS 20%
viscosità, Pa s
1000
100
10
1
0.001 0.1 10 1000 100000
gradiente di velocità, 1/s
Figura 23 – Viscosità del fuso in funzione della velocità di scorrimento a 200°C per un PS (Mw ~
180000) ed un HIPS con fase PS di equivalente peso molecolare e 20% in volume di fase dispersa [7]
18
3.2.2 ABS
La struttura dell’ABS è qualitativamente analoga a quella dell’HIPS. Si tratta di una matrice
vetrosa e fragile, in questo caso il copolimero è il SAN, in cui sono disperse eterofasi pressoché
sferiche basate su gomma polibutadienica. Il meccanismo di tenacizzazione è quindi anche in
questo caso basato sulla concentrazione di sforzo attorno alle particelle. Mentre, però, nell’HIPS la
“nucleazione eterogenea” di deformazione plastica sopra descritta avviene attraverso l’unico
meccanismo attivo che è quello del crazing, nell’ABS entra in gioco anche il meccanismo di
scorrimento di taglio.
Le figure 24 e 25 illustrano due esempi di morfologie della fase dispersa in ABS prodotti con
due diverse strategie, una che opera in regime discontinuo (emulsione) e l’altra che opera in regime
continuo (massa continua). Questi esempi sono solo indicativi: nei prodotti in commercio si
possono osservare differenze notevoli nelle caratteristiche delle eterofasi, che sono continuo oggetto
di ricerca presso i vari produttori.
19
60
50
ABS
40
sforzo, MPa
30
HIPS
20
10
0
0 10 20 30 40 50 60 70 80 90
deformazione, %
Figura 26 - Curve sforzo-deformazione in trazione (ISO 527) di tipici campioni di ABS e HIPS.
Sono riportate anche le immagini fotografiche dei provini dopo rottura [7]
La minore dimensione delle eterofasi nell’ABS determina anche una minore rugosità
superficiale rispetto all’HIPS, e quindi la possibilità di realizzare oggetti dalle superfici “speculari”.
Per contro, le particelle più piccole, a parità di frazione in volume di fase gommosa totale, sono più
vicine tra loro, e questo causa un effetto più “pesante” rispetto all’HIPS, della fase dispersa sulle
proprietà reologiche del materiale.
100000
SAN
10000
ABS 20%
viscosità, Pa s
1000
100
10
1
0.001 0.1 10 1000 100000
gradiente di velocità, 1/s
Figura 27 - Viscosità del fuso in funzione della velocità di scorrimento per un SAN ed un ABS
con matrice equivalente al SAN e 20% in volume di fase gommosa [7]
20