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82 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE all'incelligenza e alla natura (ovdév 5é Kata CUpPEBNKds Eo. mpotepov tov Kad adtd, SHAOV St OSE TO Kata oUEPEPNKdS aitiov npdtepov tod Ka@’ avbto. botepov Gpa 10 adtdpuatov Kai 4 tHxN Kai vod Kai OvoEwS). Di conseguenza, se anche il caso 2 causa, quanto pit: @ possibile, del cielo, & necessario che lincelligenza e la natura siano per prime cause di mole altre cose e di questo tutto» (Phys. B 6, 198a 5-13). Questo primo argomento critico si basa su alcune del- le nozioni e definizioni formulate nel corso dell'indagine sull‘avtopatov. La tesi relactiva alla prioricd della natura e della celeologia sul caso dipende dalla definizione degli e- venti casuali come eventi finalistici in senso lato, e dalla di- stinzione tra cause per sé e cause accidenrali. Includendo gli eventi casuali nella stessa classe di quelli teleologici e distinguendo queste due sottoclassi in term rispettiva- mente di cause accidentali e cause per sé, Aristotele ha a di- sposizione gli strumenti per confurare l'idea che i fenomeni naturali siano casuali: l’anteriorita che caratterizza le cause per sé rispetto alle cause accidentali permette di dimostrare che la prima causa di tali fenomeni é la natura e non il caso. Questa dimostrazione si basa perd sull’assunto che la finalita esista e che sia effettivamente operante nell’ambito dei fenomeni naturali. Tale assunto @ infatti stabilito da Ariscotele all'inizio di B 5? ed @ implicico nell’inclusione degli eventi casuali all’interno della classe allargata di quelli teleologici. Cid che viene dimostrato, quindi, non @ che i fenomeni naturali sono teleologici, bensi che, se la teleolo- gia naturale esiste, allora é anteriore al caso. 3.2 I/ secondo argomento: Physica B 8, 1986 10-199a 8 La vera e propria dimostrazione del carattere teleologi- co dei processi naturali @ sviluppata nel capitolo ottavo3. 2 Cfr. Phys. B5, 196b 17-22. 3 J.M. Cooper (1982, pp. 207-12; 1987, pp. 250-3, 269-7 1) e M. Bradie- LA DIMOSTRAZIONE DELLA TELEOLOGIA NATURALE, 83 Qui, infatti, Aristotele si impegna dichiaratamente a spie- gare perché la natura @ una causa finale!. Per far cid, egli sembra invertire la prospettiva dell’indagine. Se fino ad ora si era assunta I'csiscenza della teleologia € si erano interpre- tati gli eventi casuali come eventi che soddisfano la defini- zione allargata di “finalita”, cioe come fenomeni che sono in vista di un fine in senso lato, ora Aristotele pone il seguen- te problema: che cosa esclude che i fenomeni naturali siano casuali ¢ solo in apparenza teleologici? Che cosa esclude che la realizzazione di un bene sia sempre dovuta all'operare dell’abtopatov ¢ che in ogni processo, costituito da un mo- tore, un mezzo € un risultato positivo, la finalita sia solran- to apparentes? L’abtéyatov, infacti, almeno sulla base dell'indagine condotta in B 5-6, sembra capace di produrre i medesimi risultati della causa finales. Con cid I'esistenza stessa della finalita nell’ambito dei fenomeni naturali @ messa in discussione. Aristotele imposta il problema nei termini di un’alternativa tra teleologia e caso: i processi naturali sono © teleologici (in senso stretto) 0 casuali, fertium non datur?. Lobiettivo sembra quello di estendere la dimostrazione della finalic’ naturale non solo contro quanti ricorrono e- ED. Miller (1984, pp. 135-6), invece, ritengono che la vera € propria dimo- strazione del caratcere teleologico dei processi naturali sia sviluppata in Physica B 9, dove Aristotele stabilirebbe che la materia @ causalmente insufficiente a decerminarli. Secondo questi interpreti, l'argomento e- sposto in Physica B 8, 198b 10-199a 8 & pitt debole, perché si basa sull’assunto che la materia sia di per sé in grado di garantire l'occorrenza degli organismi. A proposito di Physica B 9, cfr. infra, 4.6. 4 Cfr. Phys. B8, 198b 10-1. 5 Cfe. Phys. B 8, 198b 27-31. 6 Come si @ git osservato (cfr. supra, pp. 60-6 ¢ nota 39), in Physica B 5,197a 6-7, Aristotele afferma che la Savoia ¢ 1a txn sono relative alle medesime cose, ciod che uno stesso risultato pud essere determinato sia dall'una che dall’alera. 7 Cfr. Phys. B 8, 199a 3-5. Sulla giustificazione dell’alternativa caso-teleologia, cfr. infra, pp. 93-5. 108 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE di qualche impedimento, non si sono conclusi con il pro- prio téAos. Nel secondo argomento menzionato, infine, Ariscotele sembra inferire il carattere teleologico dei processi Kata gvoiv dalla loro nacuralica. Tale argomento rappresenta quindi non una dimostrazione, bensi un semplice richiamo alla definizione di “teleologia naturale", Nel capitolo quin- to, infacci, Aristotele aveva stabilito che un processo é fina stico se determinato da una causa per sé, e che cause per sé sono la d:avota per le azioni € la borg per i fenomeni natu- rali. Affermare che un processo, come la costruzione del nido da parte di una rondine o la crescita delle foglie di una pianta, @ celeologico perché naturale, equivale pertanto ad applicare tale definizione e fornirne esempi: “naturale” significa “causato dalla natura” e “causato dalla natura” significa “teleologico”4!. 40 E. Berti (1989-90, pp. 24-5), invece, ritiene, che questo sia largomento decisivo per dimostrare il carattere teleologico dei processi naturali. 4l In alternativa, si potrebbe ricenere che questo argomento rappre- senti uno sviluppo del precedente, e che quindi il carattere teleologico dei fenomeni naturali sia inferito dalle loro modalita di svolgimento, cioé dal fatto che essi procedono (come le produzioni tecniche che av- vengono in vista di un fine) secondo un certo ordine e una certa sequenza di operazioni successive. Anche se inteso in questo modo, tuttavia, largomento non sembra costituire una dimostrazione efficace del carat- tere teleologico dei fenomeni naturali. CAPITOLO QUARTO. IL SIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA” L’analisi dell’argomentazione sviluppata da Aristotele nei capitoli quattro, cinque, sei e otto di Physica B ha per- messo di ottenere, fino ad ora, una serie di risulcati: una definizione di “caso”, una di “teleologia”, sei dimostrazioni del carattere finalistico dei fenomeni naturali e qualche in- formazione circa il ruolo della causa finale. Il caso @ una causa motrice accidentale di cid che non si verifica né sempre né per lo pid allo stesso modo e che avviene in vista di un fine solo in senso lato. Casuali sono quindi i processi costituiti da una causa motrice accidenta- le, un mezzo e un risultato positivo, il quale consiste in una combinazione infrequente tra due o pid entita, cio’ in un insieme variabile e non unitario di proprieta accidenta- li. I processi teleologici si compongono invece di una causa motrice per sé, un mezzo e un risultato positivo. La causa motrice dei processi teleologici naturali, inoltre, é non solo una causa per sé, ma anche una causa interna, e il loro risul- tato @ qualcosa che si verifica sempre o per lo pit allo stesso modo, cio un’encita dotata di un insieme unitario e relati- vamente invariante di proprieta essenziali (cioé un’entita do- tata di una forma sostanziale) e di accidenti per sé. Che il ri- sultato dei processi naturali si verifichi sempre o per lo pitt allo stesso modo costituisce la principale prova del loro ca- rattere teleologico. Quanto alla funzione della causa finale, essa sembra consistere nel garantire la regolaritd dei fenomeni 110 CAUSA [ALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE naturali e, con cid, l’esistenza della forma, intesa come insieme unitario e relativamente invariante i proprieta essenziali. La ricerca fin qui condotta, cuctavia, & stata relativa quasi esclusivamente allo schema formale dell’argomen- tazione aristotelica. Pur essendo in possesso di quesce defini- zioni, quindi, ignoriamo ancora che cosa propriamente si- gnifichino, cioé quali siano i modelli causali che corrispon- dono rispettivamente al concetto aristotelico di “caso” € a quello di “teleologia”. Per approfondire la questione @ quindi indispensabi- le, a questo punto, ricostruire il significaco delle nozioni a partire dalle quali Aristotele sviluppa la sua indagine e formula le sue definizioni e dimostrazioni: le nozioni di “causa per sé”, “causa accidentale”, “causa interna” e “causa esterna”. L’obiettivo @ quello di comprendere quali sono la struttura e la dinamica di svolgimento dei processi casuali e di quelli teleologici naturali, e quindi di verificare e ch rire 1) se e perché il risultato di un processo casuale @ un insieme variabile e non unitario di proprieta accidentali, 2) se € perché, invece, il risulcato di un processo teleologico naturale @ un’entita dorata di un insieme unitario e relati- vamente invariante di proprieta essenziali e di accidenti per sé, 3) se e perché i processi descritti dai Fisiologi in termi- ni di necessita sono di tipo casuale, cioé tali che il loro ri- sultato non si verifica né sempre né per lo pit allo stesso modo, 4) e, infine, perché la presenza di una causa motrice per sé/interna rende teleologico un processo naturale, cioé dotato di una causa finale. 4.1 La distinzione tra cause per sé e cause accidentali In base a Physica B 5, le cause per sé € quelle acciden- tali rappresentano i due membri di una contraddizio- ILSIGNIFICATO DELLA DEFINIONE DI “TELEOLOGIA™ lll ne/privazione!. Le cause per sé, infatti, sono determinate e, nell'ambito di cid che avviene in vista di un fine in senso lato, corrispondono alla Stdvoia, intesa come aitia di pro- cessi intenzionali, ¢ alla ovat, intesa come aitia di processi naturali. Le cause accidentali, invece, sono indetermina- te/infinite ¢, sempre nell’ambito di cid che avviene in vi- sta di un fine in senso lato, corrispondono all’assenza del- la Siavora e della gdatg. Come si @ gid notato?, almeno rispetto all'ambito dei mpaxtd, l'idea che le cause per sé € quelle accidentali siano esclusive ed esaustive sembra coerente con I’uso linguistico econ il senso comune. Siamo, infatti, soliti chiamare “ca- suale” un’azione, quando non é intenzionale, cioé quando non @ determinata dall’intenzione di compierla. E, nel ca- ratterizzare un’azione casuale in negativo come “non inten- zionale”, lasciamo indeterminato il dominio delle sue pos- sibili cause, assumendo implicitamente che qualsiasi altra intenzione potrebbe esserne stata il fattore responsabile. Un’azione determinata dalla Sidvora, cioé dall'intenzione di ottenere il risulcato che di fatto viene conseguito, invece, & generalmente considerata finalistica. La distinzione tra cause per sé/determinate e cause ac- cidentali/indeterminate viene perd applicata da Aristotele anche all’ambito dei fenomeni naturali, dove le sue ragioni € giustificazioni sembrano meno evidenti. Si tratta quindi di comprendere qual é il criterio generale in base al quale Aristotele scabilisce un’alternativa netta tra la presenza del- la Siavora e della gvo1c, da una parte, e la loro assenza, dall'altra, cioé qual @ il tratto comune a tutte le cause per sé e quale invece quello comune a tutte le cause accidentali. Qualche informazione in proposito é fornita da Physica B 3. In questo capitolo, dopo aver presentato I’elenco comple- | Cfe, Phys. B5, 196b 23-7 e supra, p. 58 nota 26. 2 Cfr. supra, pp. 59-60, 67. 112 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE to delle specie (eiSn) delle cause (formale, materiale, motrice e finale), Aristotele passa a considerarne i modi (tpdno1). Esistono sei modi delle cause, ciascuno dei quali pud essere detto in potenza o in atto. I primi due tpdxoi corri- spondono alla distinzione tra l'individuo (ta xa®" Exaotov) e il genere in cui l'individuo rientra. Per esempio, rispetto alla saluce, il primo tpézog é rappresentato dal medico, e il secondo dall'artigiano: il medico rientra, infatci, nel genere dell'artigiano. Il cerzo e il quarto, invece, sono i tpdxot dell'accidente e dei suoi generi superiori. Affermare che Policleto é causa del- la statua equivale a fornire l'aitia nel modo dell'accidente, perché “essere Policleto” @ un accidente dello scultore: allo scultore capita di essere Policleto. E poiché Policleto rientra nel genere “uomo”, il quale rientra a sua volta nel genere “a- nimale”, dire che causa della statua é l'uomo o I'animale equi- vale a fornire l'aitia nel quarto modo: il genere dell’accidente. Il quinto e il sesto modo, infine, si hanno quando la causa @ presentata come composta e come semplice. Nel primo caso, per esempio, si dice che causa della statua @ Po- licleto lo scultore. Nel secondo, invece, viene nominato so- lo uno dei due termini. Nello sviluppare queste distinzioni, Aristotele precisa che tra i primi quattro modi delle cause intercorre una re- lazione di anteriorita e posteriorita. L'individuo (il medico) é anteriore sia al genere in cui @ compreso (I'artigiano) che all'accidente (Policleto) e ai generi dell'accidente (l'uomo e l'animale). Ma anche nell’ambito delle cause presentate nei modi dell’accidente o del genere dell’accidente vi sono rela- zioni di anteriorita e posteriorita: dire che causa di una sta- tua @ il bianco o il musico, infacti, significa ricorrere a una causa “pit lontana” (noppatepov). «Riguardo alla specie, le cause sono dunque tali e di tale numero. I modi delle cause, invece, sono numericamente molti, ma, se vengono sintetizzati, risultano anch’essi di ILSIGNIFICATO DELLA DEFINIZONE DI “TELEOLOGIA™ 113 meno. Causa, infatti, si dice in moleti sensi, e tra le stesse cause che sono identiche per specie intercorrono relazioni di anteriorica € di posteriorita (Kai adtov tov dpoetsov Tpotépas Kai botépws GAO GAAOV). Per esempio, della salu- te [@ causa] sia il medico che I'artigiano, ¢ dell’ottava sia il tapporto di due a uno che il numero, e sempre cid che con- tiene rispetto agli individui (ta a6’ xactoy) [che sono contenuti]. Inoltre, [causa] si dice nel senso dell’accidente e dei suoi generi: per esempio, di una scultura in un certo senso @ causa Policleto, e in un altro lo scultore, perché & capitato allo sculcore di essere Policleto. E [sono dette cau- se] anche le cose che contengono I’accidente: per esempio, se un uomo 0, in generale, un animale fosse causa di una statua, Anche tra [le cause] accidentali alcune sono pit lon- tane ed altre pitt vicine (ott 5€ Kai tév ovpPeBnKdtov GALA GAAwv noppwtepov Kai éyybtepov): per esempio, se si dices- se che il bianco o il musico é causa della stacua. Di cutte [le cause], sia quelle dette in senso proprio che quelle dette per accidente (navta 6& Kai td oikeiws Aeyoueva Kai ta kata ovpBeBnkdc), alcune si dicono nel senso della potenza ealtre nel senso dell’atto: per esempio, causa della costru- zione di una casa é l’architetto o l’'architetto che costruisce. Allo stesso modo si diranno le cose di cui le cause sono cause: per esempio, [la causa causa] di questa particolare statua o di una statua 0, in generale, di una figura; e [la causa @ causa] di questo particolare bronzo o del bronzo 0, in generale, di una materia. Allo stesso modo [si dira] ri- guardo agli accidenti. Inoltre, sia le cause che cid di cui so- no cause saranno dette in maniera composta: per esempio, {causa della statua] non [@ detro] né Policleto né lo sculto- re, bensi Policleto lo scultore. Nondimeno, tutte queste [cause] sono sei di numero, e sono dette in due sensi: in- fatti, [si ha una causa] o nel senso dell'individuo, o nel senso del genere, o nel senso dell’accidente, o nel senso del genere dell’accidente, 0 combinando queste [cause], oppure dicendole separatamente. Tutte, inoltre, [sono dette] o in atto o in potenza» (Phys. B 3, 195a 26-b 16). Il tema dell’anteriorita e posteriorita @ ripreso anche alla fine del passo, dove compare un riferimento alla causa “superiore” (axp6tatov) o “anteriore” (npdtepov), di cui, se- 114 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE condo Aristotele, bisogna sempre andare alla ricerca. Se, per esempio, l’uomo costruisce una casa in quanto architet- to, e l'architetto in virct dell'arte architectonica, allora Varce architettonica rappresenta la causa anteriore. «Bisogna sempre cercare la causa superiore (axpotatov) di ogni cosa, come riguardo alle altre cose (un uomo, per e- sempio, costruisce una casa poiché @ un architetto, e Varchitetto [costruisce una casa] in base all’arte architetto- nica; questa ¢ dunque la causa anteriore (npdtepov), ¢ allo stesso modo riguardo a tutte le cause)» (195b 21-5). Il capitolo si conclude con una serie di prescrizioni: quando I'effecto @ un genere, anche la causa fornita deve esse- re un genere; quando I'effetto @ un individuo, anche la causa deve essere un individuo; infine, quando l'effecto @ in atto o in potenza, anche la causa deve essere in atto o in potenza. «Inoltre, [bisogna sempre cercare] i generi [come causa] dei generi e gli individui [come causa] degli individui (per esempio, lo scultore [come causa] di una statua, e questo particolare [scultore come causa] di questa particolare [sta- tua]). E [bisogna sempre cercare le cause] in potenza [come cause] di cid che é in potenza e quelle in acto [come cause] di cid che @ in acto. Sia quindi per noi sufficientemente stabilito quali sono le cause e in quale modo sono cause» (197b 25-30). Benché la terminologia utilizzata da Aristotele in que- sto passo non sia del tutto identica a quella di Physica BS, sembra nondimeno che i modi dell’accidente e dei suoi ge- neri siano equivalenti alle cause accidentali, e quello dell'individuo ¢ del genere dell'individuo alle cause per sé. In Physica B 5, infacti, nell'illuserare la distinzione tra le cause per sé e quelle accidentali, Ariscotele introduce esem- pi molto simili a quelli presencati in B 3 in riferimento al > Cfr. CA. Freeland (1991, p. 55). IL SIGNIFICATO DELLA DEFINIZJONE DI “TELEOLOGIA™ 115 tpdnog dell’individuo e a quello dell’accidente: rispetto ad una casa, la causa per sé é l’architetto, mentre le cause acci- dentali sono il bianco o il musico‘. Il bianco e il musico di B 5 sono accidenti dell’architetto, cosi come Policleto di B 3 @ un accidente dello scultore. Sia in B 5 che in B 3, inol- tre, Aristotele accenna negli stessi termini alle relazioni di anteriorita e posteriorita che intercorrono tra le cause acci- dentalis. Ma anche I'anteriorita della causa per sé rispetto a quelle accidentali - anteriorita sulla quale Aristotele basa la prima dimostrazione del carattere teleologico dei processi naturalié - sembra in B 3 teorizzata: il primo tpdnogé pre- sumibilmente anteriore non solo al genere, ma anche all'accidente?. E ancora, in B 3 Aristotele definisce il primo e il secondo tpdmog come “cause dette in senso proprio” (t& oikeias Aeyopeva) e le contrappone alle “cause dette per ac- cidente” (t& Kata ovpBeByxdc), ucilizzando con cid espres- sioni che sembrano equivalenti a quelle di B 5, dove la di- stinzione @ formulata in termini di cause per sé (Ka®'adta) e cause accidentali (kat& ovpPeBnKdc). In ultimo, un indizo non irrilevante a favore di que- sta interpretazione @ rappresentato dall’obiettivo di B 3. Physica B 3 @ finalizzato a fornire un elenco completo delle specie e dei modi delle cause’. Che l'elenco sia completo o considerato completo é reso evidente dal fatto che, in B 4- 6, Aristotele intende dimostrare che il caso non costituisce una causa ulteriore e distinta rispetto a quelle gia indivi- duace?. Definendolo come “causa motrice accidentale”, Ari- stotele lo riconduce quindi alle distinzioni tra ety e tpdmor di aition formulate in B 3. E se cid vale per la causa motrice 4 Cfr. Phys. B 5, 196b 24-7, 197a 14-5. 5 Cfr. Phys. B5, 197a 21-5. 6 Cf. Phys. B 6, 198a 5-13 e supra, 3.1. 7 Cfr. Phys. B 3, 195a 34-5. 8 Cfr. Phys. B 3, 194b 16-7, 195b 28-30. 9 Cfr. Phys. B 4, 195b 31-6; BG, 198a 1-5. 116 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE accidentale, vale presumibilmente anche per la causa motrice per sé. Ammessa l’equivalenza tra i primi due tpdm01 e le cau- se per sé da una parte, e il terzo e quarto tpdnocg e le cause accidentali dall’altra, si cratta ora di comprendere qual é il tratto comune a tutte le cause per sé e quello comune a tutte le cause accidentali. Il primo tpémog @ identificato con l'individuo ed e- semplificato dal medico come causa della saluce. Non si tratta tuttavia dell'individuo inteso nella sua particolarita e considerato in quanto individuo. Ippocrate, infatti, sareb- be presumibilmente classificato tra le cause accidentali e considerato come accidente del medico (cioé della causa conforme al primo tpér0¢), cosi come lo é Policleto. Sembra piuttosto che l'individuo sia qui inteso come l’esempli- ficazione di una specie: il medico @ causa della salute ed il- lustra il primo tpdnog in quanto medico e non in quanto Ippocrate. Alle righe 196a 26-7, infatci, nel prescrivere in che modo si debba fornire la causa adatta ad ogni diverso tipo di effecco, Aristotele illustra il tpdmog dell’individuo facendo riferimento sia allo scultore che a un_particolare scultore, ma non a Policleto. Il primo tpdz0g costituisce quindi una causa per sé, perché @ il membro di una specie, intesa presumibilmente come termine ultimo della divisione di un genere, al di 1a del quale comincia il dominio dell’accidente e della partico- larita. Ma la causa per sé non @ il membro di una specie qualsiasi: lo scultore non @ la causa per sé della salute, né il medico quella della stacua, benché entrambi siano membri di una specie indivisibile. Piuttosto, lo scultore @ la causa per sé della statua e i] medico la causa per sé della salute. Da cid sembra possibile inferire che il criterio di identifica- zione della causa per sé, (cioé della specie di cui essa @ e- semplificazione), @ dato dalla relazione che intercorre tra ILSIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 117 causa € causato: @ per sé quella causa che ha lo stesso “con- tenuco” di cid di cui @ causa!?, cioé che ad esso formal- mente idencica!!, Il medico, infacti, @ causa della salute in quanco possiede l’arte medica, la quale rappresenta la forma della salute presence nella sua anima!2. Cid sembra confermato da quanto Aristotele afferma a proposito della causa “superiore” o “anteriore". Quest'ultima @ il faccore esplicativo a cui gli altri tpdxor sono riducibili. Rispetco ad una casa, per esempio, l'uomo é causa perché é architetto, e l'architetto perché possiede I’arte architetconi- ca. E che l'arte architettonica rappresenti, in questo caso, la causa anteriore/superiore potrebbe significare che essa non @a sua volta riducibile ad alero. Tale irriducibilica sembra dovuta al fatto che I’arte architettonica coincide con la for- 10 In Metaphysica E 2, 1027 3-4, il fatto che il cuoco sia la causa accidentale della produzione di cibo salutare viene spiegato sulla base dell’idea che non @ in virci dell’arte culinaria che il cuoco é causa di cibo salutare. 1 Nel caso del secondo tpdz0s, quello del genere dell'individuo, invece, non si ha una vera e propria identita formale tra causa ed effetto: lartigiano, inteso come genere del medico, @ causa della salute, Benché anche il secondo tpénog sia una causa per sé, Aristorele sembra cuttavia conferire maggiore rilevanza al primo. Cid ? suggerito dalle osservazioni sull’anterioriti del primo tpénog rispetto al secondo (195a 29-32), e sul- la causa superiore/anceriore (195b 21-5). Alle righe 195b 25-30, inol- tre, Aristotele prescrive di porre come causa di un genere un genere, di un individuo un individuo e di un particolare individuo un particolare individuo. Da cid sembra possibile inferire che, nell'esplicazione causa- le, bisogna sempre seguire il criterio dell’identita di “contenuto” tra causa motrice ed effetto. Le cause che corrispondono al secondo tpdx0¢ sono anch’esse per sé e non per accidente, presumibilmente perché costi- tuiscono il genere in cui le cause conformi al primo tpénos rientrano. 12 Sulla base di considerazioni € di passi in parte differenti da quelli qui presentati, anche J.G. Lennox (1982, p. 227) ritiene che i processi casuali, in quanto determinati da cause accidentali, siano pri- vi di un’identita formale tra motore ¢ fine, € che i processi teleologici, in quanto determinati da una causa per sé, ne siano invece caratteriz- zati: la struteura di questi ultimi @ chiamata da Lennox “formal reduplication pattern”. 118 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE ma della casa, ed ha quindi lo stesso “contenuto” di cid di cui @ causa: l'arte architectonica non @ causa della casa in quanto altro, bensi proprio in quanto arte architettonica. Lidea che motore e fine, o che forma, motore ¢ fine costituiscano un’unita e siano identici per specie rappre- senta d’altra parte una tesi ricorrente nel corpus aristotelico e, nell'ambito di Physica B, & esplicitamente formulata nel settimo capitolo!s, Essa crova la sua pid immediata spiega- zione nella teoria aristotelica della generazione ¢ in quella dell'ingenerabilicd della forma. La generazione di qualcosa avviene, secondo Aristote- le, quando la materia riceve una forma per opera di una causa motrice che gia la possiede. Cid che si genera, infacti, non @ la forma, bensi il composto di materia e forma. Quest'ulcima @ quindi ingenerabile e preesiste nella causa motrice, la quale si limita a riprodurla, trasferendola alla material. Il criterio di identificazione delle cause per sé, cio il criterio in base al quale Aristotele stabilisce un‘alternativa netta tra presenza della dudvog e della ¢borc, da una parte, e loro assenza, dall'altra, sembra dunque l’identita formale tra motore e risultato!s. Tale criterio fa si che solo una cau- Sa possa essere per sé e, inversamente, che infinite cause 13 Chr, Phys. B7, 198a 23-6. 44 Cfr, Metaph. Z 8, 1033a 28-34. '5 Cid suggerisce che la distinzione tra cause per sé ¢ cause acciden- tali sia applicabile solo ai principi del movimento. Questa ipotesi pare confermata anche dagli esempi che Aristotele utilizza per illustrare cale distinzione. Sia in Physica B 3 che in Physica B 5-6, infacti, le cause per sé e le cause accidentali sono sempre principi del movimento. Stesso di- scorso sembra valere anche per Metaphysica E 2, 102Gb 6-10, 1026b 37- 1027a 8 ¢ A 30, 1025a 25-30. Diversa 2 invece l’opinione di C.A. Free- land (1991, p. 58) e di L. Judson (1991b, pp. 79-80), secondo i quali tutti e quattro i tipi di cause distinti da Aristotele possono essere per sé 0 accidentali. ILSIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA~ 119 possano essere accidencali'¢. Di qui la determinatezza della prima ¢ l'infinitd ¢ indeterminatezza delle seconde!7. 16 Come si é gid osservato, in Metaphysica A 3, 1070a 4-9, dopo aver stabilico l'ingenerabilicd della forma ¢ I’idea che ogni sostanza si genera da un‘altra sostanza ad essa formalmente identica (cioé l'idea che motore ¢ fine sono formalmente identici), Aristotele distingue i processi casuali dalle generazione naturali ¢ dalle produzioni tecniche, caratterizzando la loro causa come privazione della natura o dell’arte. La stessa tesi sem- bra formulata, seppure meno esplicitamente, in Metaphysica Z 9, 1034a 18-21, Secondo L. Judson (1991b, pp. 90-1) e SS. Meyer (1992, p. 807), invece, una stessa cosa € uno stesso evento possono avere pitt di una causa per sé: come le cause accidentali, cosi anche quelle per sé sono molteplici, ¢ la molteplicita di queste ultime non & data dalla distin- zione tra il tpér0g dell'individuo ¢ quello del genere dell'individuo. 17 La distinzione tra cause per sé e cause accidentali 2 stata oggetto di numerose e differenti interpretazioni. W.D. Ross (1936, p. 516-9), per esempio, ritiene che la causazione per sé si distingua da quella acci- dentale, perché nel caso della prima l’effetto E & prodotto sempre, date certe condizioni C, mentre in quello della causazione accidentale Yeffetto E & prodotto occasional mente, date certe condizioni C, nel senso che per la produzione di E sono necessarie altre condizioni B che si ac- compagnano solo occasionalmente a C, L’infinica e l'indeterminatezza delle cause accidencali, inolere, sarebbero dovute al fatto che la causa C di un evento casuale E pud avere infiniti concomitanti, ciascuno dei quali pud, insieme a C, essere causa di E. Secondo L. Judson (1991b, pp. $e 9), Aristotele ha teorizzato due diversi modelli di connessione acci- dentale tra causa ed effetco. In base al primo, C & una causa accidentale di E, perché C 2 un accidente di B, ¢ B rappresenta la causa per sé di E. Questo schema sarebbe esemplificato dall'architetto che cura un malato o dal bianco che costruisce una casa. In base al secondo modello, C @ una causa accidentale di E, perché C 2 la causa per sé di B, ed E rappresenta un accidente di B: il cuoco produce cibo salutare. Secondo SS. Meyer (1992, pp. 801-5), la differenza tra le cause per sé ¢ quelle accidentali consiste nel fatto che le prime, a differenza delle seconde, sono tali da sovradeterminare il loro effetto, nel senso che sono capaci di produrlo in tutte o nella maggior parte delle situazioni attuali € controfatcuali in cui le condizioni sono appropriate. C.A. Freeland (1991, pp. 56-72) & dell'opinione che la nozione di “causa accidentale” si basi sulla nozione di “causa per sé” ¢ sulla relazione metafisica di unit& accidentale. W. Charlton (1970, pp. 103-4), infine, ritiene che la distinzione tra cause per sé € cause accidentali consista in una distinzione tra diversi tipi di descrizione di una stessa causa. Fornire la causa per sé equivale a presen- tare la causa mediante la descrizione in base a cui essa & causalmente 120 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE Nell'ambito dei npaxtd, l'applicazione di questo crite- tio permette di individuare nell’intenzione corrispondente al risultato la causa per sé del processo e di qualificare come accidentali cutte quelle intenzioni che non manifescano un'identita “formale” con I'effetto. Stesso discorso vale per la tecnica e la natura. La causa per sé di un artefatto & Vartigiano che possiede nella sua anima la forma del pro- dotto. Accidentali sono invece tutte quelle cause che di tale forma risultano prive. La causa per sé di un organismo, in- fine, sia nella riproduzione che nell'aucoconservazione, sembra rappresentata dalla forma: un uomo genera un uomo, ¢ l’'anima in virth della quale ogni singolo uomo vi- ve e si conserva é la forma di uomo. Tutte le cause che non possiedono tale forma o che non ne rappresentano esempli- ficazioni sono invece accidentali. E accidentale @ quindi la materia, a cui ricorrono i Fisiologi nella spiegazione dei fe- nomeni naturali's. responsabile dell’effetto. Fornire la causa accidentale, invece, equivale a presentare la causa mediante una descrizione in base a cui essa non & causalmente responsabile dell'effetco. 18 A proposito dei rapporti tra Physica B 3 ¢ Physica B 5-6 mi sem- bra cuttavia importante sottolineare che, per quanto la ton ¢ Vabropatov siano cause accidentali, cid non significa che tutte le cause accidentali si identifichino con la ton o con l'abtopatov. La ty € laixépatoy, infatti, sono le cause accidentali di quegli eventi che non si verificano né sempre né per lo pit e che, pur potendo essere determinati dalla Stdvoia o dalla gous, mow sono determinati né dall'una né dall'altra, Da cid segue che cratto caratteristico degli eventi casuali 2 il facto di non essere determinati dalla loro causa per sé. Affermare che cau- sa della statua @ il bianco o il musico, quindi, per quanto il bianco 0 il Musico siano cause accidentali della statua, non implica che la costru- zione della casa sia un evento causale, Se, infatti, il bianco o il musico é uno scultore, la costruzione della casa non @ un evento casuale. In altre parole, affinché un evento sia casuale non é sufficiente che venga ricon- dotto dal punto di vista esplicativo ad una causa accidentale. E necess rio, piuttosto, che non sia determinato dalla sua causa per sé, vale a dire che sia determinato da una causa accidentale la cui presenza corrisponde all'assenza della causa per sé. A questo proposito, diversa & invece Yopinione di C.A. Freeland (1991, pp. 66-72), L. Judson (1991, p. 92) ILSIGNIPICATO DELLA DEPINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 121 Almeno rispetto ai mpaxtd € ai momntixd, I'identifi- cazione della causa per sé con cid che presenta la stessa for- ma del risultato permette inoltre di chiarire perché e in che modo la presenza di una causa per sé renda teleologico un processo. Ma anche |’ipotesi che il risultato di un processo determinato da cause accidentali sia un accidente o un'unita accidentale sembra trovare proprio nel dominio della npdétce della noinots le maggiori conferme testuali. Liidea che un’azione determinata dall'intenzione di compierla sia teleologica sembra infatti coerente sia con il senso comune che con la teoria di Aristotele. Dire che una persona va al mercato con |'intento di riscuotere del denaro equivale a dire che va al mercato al fine di riscuotere del denaro. In base alla teoria aristotelica formulata in De anima I 10, 433b 10-8, il risuleato di un’azione intenzionale ne rappresenta la causa finale in quanto & oggetto di pensiero o di rappresentazione. Esso muove l’appetizione, la quale a sua volta determina I'azione che portera al risultato!. Anche nell'ambito della produzione tecnica, la dina- mica del processo teleologico sembra abbastanza chiara e intuitiva. Ciascuna arte, come l’intenzione, infatti, @ relati- va acid di cui é arte, ossia al risultato della produzione. In base alla teoria aristotelica formulata in Metaphysica Z 7, 1032b 6-10, 14-7, la noinots si sviluppa in due fasi. Du- rante la prima, a partire dalla forma o definizione del suo prodotto, l'artigiano ricostruisce mentalmente i passi e le ¢ W. Charlton (1970, pp. 103-4). Secondo C.A. Freeland, sia il caso che, in generale, le cause accidentali sono sempre accidenti di una causa per sé. L. Judson @ dell’opinione che un evento sia casuale, non se @ privo di una causa per sé, ma se né la gvoig né la npoaipecis del soggetto sono le sue cause per sé. Secondo W. Charlton, infine, come si @ gid osservato (cfr. supra, p. 119 nota 17), le nozioni di “caso” ¢ di “causa accidentale” sono relative esclusivamente alla modalita dell'esplicazione causale. 19 Sulla ceoria aristotelica relativa al finalismo delle azioni, cfr. D. Charles (1984). 122 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE operazioni necessarie a realizzarlo, fino ad arrivare a quell’operazione che @ in suo potere effetcuare. Una volra giunto a questo punto, comincia la seconda fase, quella in cui l'artigiano passa dal pensiero all'azione. Egli realizza Vultima operazione individuata nella prima fase ¢ prosegue in successione fino al compimento dell’opera. Quanto allo status ontologico del risultato di un pro- cesso casuale, in Metaphysica A 30, 1025a 25-30 Aristotele definisce accidentale l’arrivo ad Egina di colui che ha navi- gato senza l'intenzione di giungervi. E in Metaphysica E 2, 1026b 37-1027a 4 la stessa qualifica viene attribuica alla produzione di salute da parte di un architetto o di un cuo- co. In entrambi i casi, qualora a determinare il processo fosse stata una causa per sé, il risultato non sarebbe stato accidentale. Non @ infatci un accidente che un navigante intenzionato ad arrivare ad Egina, vi giunga, né che un medico guarisca un malato. Stesso discorso sembra valere anche per gli esempi di processi intenzionali e tecnici pre- sentati in Physica B. Diversa @ invece la situazione per quanto riguarda i fenomeni naturali. L'idea che la causa per sé (la natura) sia formalmente identica al risulratco non sembra chiarire per- ché i processi naturali sono celeologici, cioé determinati da una causa finale2?. Né si comprende se e in che modo la causa accidentale e quella per sé possano far si rispettiva- mente che gli enti naturali siano accidenti (cioé entita do- tate di, o consistenti in, un insieme variabile e non unita- 20 J.G. Lennox (1982, p. 223), invece, ritiene che l'identica formale tra motore € fine (cio? quello che lo studioso chiama “formal reduplication Pattern”) sia sufficiente per rendere conto del carattere teleologico dei pro- cessi naturali, Secondo Lennox, in virti: di questa identica formale, la forma al termine del movimento @ responsabile del fatto che il movi- mento ha la struttura ¢ la direzione necessarie per svilupparsi verso essa. Anche SS. Meyer (1992, p. 805-12) ¢ T.H. Irwin (1988, pp. 94- 116) sono dell'opinione che la nozione di “causa per sé” sia tale da spie- gare la celeologia naturale aristotelica. ILSIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 123, tio di proprieta accidentali) e sostanze (cioé entita dotate di un insieme relativamente invariante e unitario di proprita essenziali e di accidenti per sé). Bisogna tuttavia considerare che la natura non é sol- tanto una causa motrice per sé, bensi un tipo particolare di causa motrice per sé, cio€ una causa motrice interna. E alla definizione del concetto di “causa motrice interna”, 0 me- glio, di “principio interno del movimento e della quiete” Aristotele dedica l'intero primo capitolo di Physica B. Si tracta quindi di verificare se i cratti definitori della nozione di “principio interno del movimento e della quiete” per- mettono di risolvere i problemi suesposti. 4.2 Il concetto di “natura” come principio interno del movimento e della quiete: Physica B 1 Il primo capitolo di Physica B si articola in due parti. Nella prima (192b 8-193a 9), viene formulata una defini- zione di natura in termini di “principio interno del movi- mento e della quiete”, il cui principale e pit evidente o- biettivo & quello di distinguere gli enti naturali da quelli non naturali. Nella seconda (193a 9-b 21), invece, Aristo- tele espone una serie di argomenti volti ad identificare la gbvotg ora con la materia ora con la forma. Nella sezione iniziale, la definizione di natura viene costruita in maniera progressiva € a livelli sempre pit ap- profonditi di indagine. Come di consueto, Aristotele da avvio alla ricerca prendendo le mosse dai daivopeva, per poi enuclearne i significati e le implicazioni filosoficamente rilevanti. L’incipit @ infacti costituito dalla distinzione tra le cose che sono per natura e quelle che sono dovute ad altre cause. Segue, quindi, un elenco degli enti che vengono ge- neralmente considerati naturali (gli animali e le loro parti, le piante € i corpi semplici), e, in ultimo, una definizione di “ente naturale” e di “natura”: “essere per natura” signifi- 124 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE ca avere un principio interno del movimento e della quiete, sia esso secondo luogo, secondo crescita, diminuzione o al- terazione qualitativa. «Degli enti, alcuni sono per natura, mentre altri in vircd di alere cause (Tav dvtov ta pév Eott OdGeI, ta Se St GAAGG aitiac). Sono per natura gli animali e¢ le loro parti, le pian- te e i corpi semplici, come la terra ¢ il fuoco e Varia e l'acqua (diciamo infacti che queste e simili cose sono per natura), Tutte queste cose appaiono diverse da quelle che non sono costituite per natura. Ciascuna di queste cose, infatti, ha in se stessa un principio del movimento e della quiete, alcune secondo luogo, altre secondo aumento e diminuzione, altre ancora secondo alterazione (tobtwv pév yap Exaotov Ev Eavtd apy exer Kivijoews Kai otdoews, Ta Wev Kata Toro, Ta SE kat’ avénow Kai oiow, ta S& Kat GAAoiworv)» (Phys. B 1, 192b 8-15). Con cid, Aristotele ha fornito, in termini approssima- tivi, un criterio di distinzione tra enti naturali ed enti non naturali: gli enti naturali si distinguono da quelli non na- turali, perché i loro processi sono determinati da un prin- cipio interno. Ma che cosa significa avere un principio interno? Qua- li sono le condizioni necessarie e sufficienti per ricondurre un movimento ad una causa di questo tipo? II passo se- guente é finalizzato a rispondere a questi interrogativi. In particolare, alle righe 192b 20-23, Aristotele precisa che qualcosa @ un principio interno, se appartiene primaria- mente a cid di cui é principio, ¢ se é interno ad esso per sé € non per accidente. «...la natura @ un certo principio e una cerca causa dell’essere mosso € dello stare in quiete in cid a cui appartiene prima- riamente di per sé € non per accidente (gv @ dmdpxer paras kad’ avt6 Kat Hi) Kate OULBEeNKdg)» (192b 20-3). IL SIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA" 125 L™appartenere primariamente” (bndpyewv mpdtus) e il “per sé" (kaO' atht6) costituiscono quindi i due cratti defi- nitori del concetto di “principio interno del movimento e della quiete”. Di ciascuno di essi Aristotele fornisce una spiegazione. La prima, quella relativa all’appartenere pri- mariamente”, & esposta alle righe 192b 16-20. Qui, il si- gnificato dell’bndpyetv apdtag viene illustrato in negativo, cio’ attraverso il riferimento ad una causa che non appar- tiene primariamente a cid di cui é principio: la materia de- gli artefatti. «Un letto e un mantello, ¢ ogni altra cosa di questo tipo, considerati dal punto di vista di questa denominazione ¢ nella misura in cui sono prodotti della tecnica, non hanno nessun impulso connaturato di movimento (fj pév tetbxnkEe Tig KaTHYopiacs Exdoms Kai Ka8' doov Eotiv and Téxvng, oddepiav Oppiv exer petaBoatis Eudvtov); in quan- to, invece, capita loro di essere costituiti di pietra o di terra o di un misto di questi elementi, e nella misura in cui sono tali, lo possiedono (qj 5& oupBéBnKev adtots eivat ABivors H yntvotg H piKtois ex todtov, exer, Kai Kata tocodtov)» (192b 16-20). In base a questo passo, un artefatto ha un principio interno soltanto perché cid di cui é costituito ha un prin- cipio interno, ossia soltanto perché la sua materia é un ente naturale che, in quanto tale, ha un principio interno. Gli artefatti, quindi, hanno un principio interno solo in ma- niera derivata e non di per sé. II principio interno, infatti, appartiene loro non in quanto artefatti, ma in quanto com- posti di qualcos’altro che ha un principio interno. Da cid sembra possibile inferire che, a differenza degli arcefatti, gli enti naturali sono dotati di un vero e proprio principio interno, perché il principio del movimento ap- partiene loro proprio én quanto enti naturali, ossia proprio in quanto se stessi e non in quanto altro. In altre parole, il principio del movimento degli enti naturali @ un principio 126 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE interno, non semplicemente perché si crova fisicamente al loro interno, ma perché gli enti naturali ne rappresentano il soggetto primo?!, e quindi compiono i movimenti di cui il principio é causa in quanto se stessi e non in quanto altro”. La terra, per esempio, @ il soggetto primo del suo principio di movimento, perché si muove verso il basso proprio in quanto terra e non in quanto altro. E poiché la terra @ il soggetto primo del suo principio di movimento, quest'ulcimo le appartiene primariamente e rappresenta un vero e proprio principio interno. Un vaso, al contrario, non é il soggetto primo del suo principio di movimento, perché si muove verso il basso non in quanto vaso, ma in quanto (costituito di) terra. Di conseguenza, poiché il vaso non é il soggetto primo del suo principio di movimento, quescultimo non gli apparciene primariamente, né rappre- senta un vero e proprio principio interno. Con questo primo tratto definitorio, Aristotele sem- bra voler stabilire che cid che @ dotato di un principio in- terno @ un’entita le cui caratteristiche dinamiche non sono riconducibili ad altro, ma rientrano nella sua identita e in cid che esso &. Ma dire questo equivale presumibilmente ad affermare che qualcosa @ un principio interno del movi- mento e della quiete, se rappresenta allo stesso tempo il principio di identitd di cid di cui @ causa. Soltanto a questa condizione, infacti, sembra possibile caratterizzare un ente naturale come qualcosa che compie determinati movimenti in quanto se stesso € non in quanto altro. 21 Sull'espressione dndpyew mpdrug ¢ sul concerto di “soggetto primo”, cft. Am. post. A 19, 81b 30-1; B 16, 79b 25-8. 2 Alle righe 192b 35-6 Ariscotele precisa che si dice “per natura” € “secondo natura” cutto cid che appartiene per sé (xa8’ aitd) ad un ence naturale, come al fuoco il fatto di muoversi verso l'alto. In base a Am. post, A 4, 73a 34-b 3, sono per sé quegli attributi nella cui definizione & con- tenuto il soggetco di cui si predicano ¢ quegli atcribuci che sono essi stes- si contenuti nella definizione del soggetto di cui si predicano. IL SIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 127 Per quanto efficace nel distinguere la ovat dalla mate- tia degli artefatti, questo primo tratto, tuttavia, non sem- bra costituire ancora una definizione esclusiva ed esaustiva del concetto di “natura”. Anche I'arte, infatti, lo soddisfa: Varte medica, per esempio, appartiene al medico primaria- mente, perché il medico @ il soggetto primo del movimento causato dall'arte medica, cioé perché compie tale movimento (il guarire) in quanto se stesso ¢ non in quanto altro. La differenza che intercorre tra la natura e la tecnica @ quindi individuaca mediante il secondo tratto definitorio, il xa8" adt6, vale a dire mediante l'idea che la natura rap- presenta un principio interno per sé € non per accidente. Come il primo, anche il significato di questo secondo tratto definicorio viene illustrato in negativo, cioé attraverso il riferimento ad una causa che non é un principio interno per sé, ma per accidente. II principio interno per accidente é esemplifi- cato dall'arte medica presente nel medico che cura se stesso. «Dico non per accidente, perché uno, essendo medico, po- trebbe essere a se stesso causa della salute (Agyw 5& 10 yy Kata ovpBeBnkds, dui yévort Gv avdtdg adtd tig aittog Dyteias Gy iatpdc). Tuttavia, non possiede I’arte medica in quan- to @ oggetto di guarigione, ma capita che lo stesso indi- viduo sia medico e oggetto di guarigione. Percid si sepa- rano talvolta l'uno dall’altro (GAX' Spas ob Ka8d dyraletar Thy iatpixiy get, GAAG ovpBEPyKev tov adtdv iatpov eivat kai byratopevov’ 816 Kai xopiCetat not’ dx’ GAAHAOV). Stes- so discorso vale per ciascuno degli altri prodotti della tec- nica. Infatti, nessuno di essi ha in se stesso il principio della produzione, ma alcuni lo hanno in altre cose ed ester- namente (td ev Ev GAAOIg Kai EEwOev), come una casa e cia- scuno degli aleri manufatti, mentre altri lo hanno in se stessi, ma non di per sé, come quelle cose che possono essere per ac- cidente cause di se stesse (ta 5' év arbtois pév GAN’ od Kad’ adta, 60 Kate ovpPePnkos aitia yévort’ Gv abtoic)» (192b 16-32). In base a questo passo, l'arte medica presente nel me- dico che cura se stesso e la dvotg degli enti naturali hanno 128 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE un elemento comune, perché sono entrambi principi interni, e una differenza, perché il primo @ un principio interno per accidente e la seconda un principio interno per sé. L’elemento comune pare consistere nel fatto che, in entrambi i casi, cid che possiede il principio del movimen- to non solo ne é il soggetto primo, ma rappresenta anche Voggetto e il risulcato del movimento: motore e¢ fine del processo si trovano e si realizzano nella stessa entita. La differenza, invece, sembra data dalla modalita di questa compresenza e dal tipo di processo a cui i due prin- cipi danno luogo. Il medico che cura se stesso esemplifica un principio del movimento che @ interno per accidente, perché il soggetto del movimento é solo per accidente an- che il risuleato del movimento. L’arte medica, infatci, @ presente nel medico in quanto guarisce, cioé in quanto & Yagente della guarigione, e non in quanto viene guarito, cioé in quanto é il paziente o l'oggetto della guarigione24. Nel caso del medico che cura se stesso, l’arte medica si tro- va in colui che viene guarito, solo perché colui che guarisce @ per accidente anche colui che viene guarico. Cid @ presu- mibilmente dovuto al fatto che l'arte medica é causa di un processo che comporta una distinzione, dal punto di vista dell'essere, cra colui che agisce e colui che patisce, tra sog- 23 Sembra che l'espressione Ka6" avtd sia riferita al concetto di “principio interno” ¢ che venga introdotta per qualificarlo ulteriormen- te. Cid & suggerito sopratcutto dalle righe 192b 30-2. Qui, infatti, Ari- stotele afferma che il principio di alcuni artefacti, pur essendo interno, non é tale per sé. WD. Ross (1936, cfr. P. 501) invece, ritiene che, in questo passo, l’espressione ka0" ait6 sia utilizzata per indicare una rela- zione tra soggetto € predicato analoga a quella che intercorre tra il trian- golo ¢ l'avere gli angoli interni uguali a due retti. Anche O. Hamelin (1931, pp. 37-9) non la interpreta come una specificazione del concettodi “ptincipio interno”, ma come espressione di una relazione essenziale tra soggetto e predicato. SS. Meyer (1992, pp. 815-6), infine, ¢ dell’opinione che in questo passo (192b 16-32) Aristotele stabilisca la distinzione tra il concetto di “causa per sé” ¢ quello di “causa accidentale”. 24 Cfr, Phys. B 1, 192b 24-6. ILSIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI ~TELEOLOGIA™ 129 getto e risultato del movimento: essendo un principio dell’agire ¢ non del patire, essa si trova di per sé nel sog- getco del movimento, e, se si trova anche nel risultato, cid avviene solo per accidente. Questa interpretazione sembra confermata dai nume- rosi passi del corpus in cui l'arce @ definita come un princi- pio del movimento in altro o nella cosa stessa in quanto altra (év étépo i} f Etepov)2>. In uno di questi passi, inoltre, ciot in Metaphysica A 12, 1019a 15-20, per illustrare la nozione di “principio del movimento nella cosa stessa in quanto al- tra”, Aristotele ricorre proprio all’esempio del medico che cura se stesso. Da cid sembra possibile inferire che, a differenza dell'arte medica presente nel medico che cura se stesso, la ovat degli enti naturali é un principio interno per sé, perché é causa di un processo il cui soggetto e il cui risultato non sono differenti dal punto di vista dell'essere, ma costituiscono la stessa e identica entita. La natura, infatti, ¢ spesso definita, in opposizione all’'arte, come un principio del movimento ne/- Ta cosa stessa in quanto tale (ev avrd h abt6)2s. In altre parole, l'arte medica presente nel medico che cura se stesso @ un principio del movimento interno per accidente (o un principio del movimento nella cosa stessa in quanto altra), perché il processo da essa determinato @ una semplice attivita riflessiva (cio€ un processo in cui il soggetto e il risultato, pur essendo numericamente la stes- sa cosa, sono differenti dal punto di vista dell’essere). La ovotc, invece, 2 un principio del movimento interno per sé (o un principio del movimento nella cosa stessa in quanto tale), perché il processo da essa determinato &@ una vera € propria auto-produzione (cioé un processo in cui il sogget- 25 Cfr. Metaph. A 3,1070a 7-8; 4 12, 1019a 15-20; De gen. an, B 1, 735a 2-4.; De cael. T 2, 301b 17-9. 26 Cfr. Metaph. A 3, 1070a 7-8; A 4, 1014b 18-20, 1015a 11 sgg5 © 8, 1049b 6-10; De gen. an. B 1,735a 2-4; De cael. F 2, 301b 17-9. 130 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE to e il risultato sono identici dal punco di vista dell’essere). Per questo, mentre il medico possiede l’arte medica solo in quanto ® il soggetto della guarigione e non in quanto ne rappresenta il risultato2?, un ente naturale, invece, possie- de una natura iw quanto & sia il soggetto che il risultato del Proceso. Sulla base di queste considerazioni, la differenza che intercorre tra l'arte e la natura, stabilica atcraverso il secon- do tratto definitorio, sembra poter essere riformulata in una differenza tra due tipi di forme?s. L'arce @ un principio del movimento in altro o nella cosa stessa in quanto altra (o un principio interno per acci- dente), perché la forma che svolge il ruolo di causa motrice é diversa da quella che funge da risultato del processo: la prima é solo ed esclusivamente un principio del movimento, mentre la seconda é solo ed esclusivamente il risultato di un movimento, cioé un’organizzazione statica della materia. La natura, invece, @ un principio del movimento nella cosa stessa in quanto tale (o un principio interno per sé), perché la forma che svolge il ruolo di causa mo- 27 Cfr. Phys. B 1, 192b 24-6. 28 Olere che da questo secondo tratto definitorio (“I'essere un prin- cipio interno per sé”), I'idea che il ruolo di principio interno sia svolto dalla forma é suggerita da diversi indizi cestuali e da diverse considera- zioni: dal primo tratto definitorio della nozione di “principio interno”, in base al quale qualcosa @ un principio interno del movimento, se rap- presenta al tempo stesso il principio di identita di cid di cui 2 causa (cfr. supra, pp. 125-6); dal fatto che il principio interno per accidente ¢ l'arte medica, cioé la forma della salute presente nell’anima del medico (cfr. Physica B 1, 192b 24-6); dal fatto che, in base a Physica B 6, 198a 5-13, oltre ad essere un principio interno, la nacura ¢ anche una causa per sé e, in quanto tale, ¢ formalmente identica al risultato del processo da essa determinato (cfr. supra, 4.1); eda Metaphysica A 4, 1015a 13-9, dove Ati- stotele sembra identificare la forma e il principio interno. Molti incer- preci, invece, ritengono che non solo la forma, ma anche la materia, sia un principio interno del movimento (cfr. W. Charlton (1970, pp. xvi, 90-3), J.M. Cooper (1982, pp. 198-9), J.G. Lennox (1997, p. 182), O. Hamelin (1931, p, 43), T.H. Irwin (1988, p. 96)). ILSIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 131 trice non produce una forma differente, ma produce e riproduce se stessa: il risultato del processo da essa de- terminato @ a sua volta una causa motrice, e non un'organizzazione statica della materia. Mentre, infatti, un arcigiano, nell'esercitare la sua arte, non produce un artigiano, ma un artefatco che non é dotato di capacita produttiva, un uomo, oltre a conservare se stesso (cioé oltre ad essere numericamente causa di sé), genera un 20 Non é chiaro se il secondo tratto definitorio della nozione di “principio interno” sia applicabile anche ai corpi semplici. II problema 2 dovuto al facto che esso sembra implicare l'idea che il principio inter- no sia un principio del muovere ¢ Ia causa di un processo di auto- produzione. Ma, in base a Physica © 4, 255b 30-1 ¢ De caelo A 3, 310b 16-26, 311a 9-12, i corpi semplici sono dorati di un principio dell’essere mossi ¢ non del muovere. Inoltre, il movimento proprio di ciascun corpo semplice & una traslazione rettilinea e non un‘auto- produzione. Cid potrebbe suggerire che solo il primo tratto della defini- zione di “natura” sia relativo a cutti gli enti naturali ¢ che il secondo, invece, riguardi esclusivamente gli organismi viventi. Tutcavia, se & vero = come cercherd di mostrare pit avanti (ct. infra, p. 132 nota 31)- che la generazione di un uomo da parte di un uomo, cioé la generazione circo- lare degli organismi, rappresenta l'esempio patadigmatico di un proces- so determinato da un principio interno, allora anche il secondo tratto definitorio potrebbe essere esteso ai corpi semplici. Anch’essi, infatci, sono coinvolti in un proceso di generazione circolare. Inoltre, in Meta- physica © 8, 1050b 28-30, Aristorele afferma che i corpi semplici imi- tano gli enti incorruttibili e sono sempre in atto, perché hanno in se stessi edi per sé il movimento (ka®’ abta Kai év abtois Eyer thy Kivnow). In Physica © 1, 250b 14-5, infine, il movimento eterno che si verifica in natura viene definito come una sorta di vita per cutti gli enti nacurali olov Co 1g oben toig gvaeL ouvectdar naow. Cid quindi suggerisce che la generazione circolare dei corpi semplici & un processo tipologi- camente simile all’activira vitale. Sugli stretti nessi che intercorrono tra la generazione circolare dei corpi semplici ¢ la traslazione retcilinea propria di ciascuno di essi, cft. De gen. et corr. B 10, 3374 7-15. 30 In Metaphysica © 6, 1048b 18-36, Aristotele stabilisce che le tre principali funzioni virali (il vivere, il percepire e il pensare) non rappre- sentano movimenti, bensi attivita (évépyeia), cioe processi che hanno il fine in se stessi. Benché, in Metaphysica © 6, nel definire l'évépyeva, Ari- storele non faccia riferimento al tipo di causa che la determina, l'idea che tale causa, almeno nell'ambito della natura sublunare, sia un prin- cipio interno @ suggerita da Metaphysica © 8, 1050a 30-b 3. Qui infatti 132 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE uomo;!, il quale pud a sua volta generare un uomo € cosi via all’infinito32. Alla definizione di “natura” e alla spiegazione dei suoi due tracti definitori segue quindi un intermezzo (192b Aristotele presenta il vivere, il percepire ¢ il pensare come esemplific zioni di processi che si realizzano non in altro, bensi nella cosa stessa (Ev abtoig imapyet h evépyera). 31 L'ipotesi che anche i processi di generazione degli organismi vi- venti siano determinati da un principio interno & suggerita da Meta- physica A 3, 1070a 7-8. Qui, infatti, Aristorele presenta l'esempio dell'uomo che genera un uomo come T'illustrazione paradigmatica dell'azione di un principio interno. Questa ipotesi, quindi, implica che tratto caratteristico € distintivo del principio interno é il facto di deter- minare processi di auto-produzione il cui soggetto e il cui risultato sono identici dal punto di vista dell’essere, ma non necessariamente dal pun- todi vista numerico. In base a questa interpretazione, il medico che cura se stesso corrisponde ai soli processi di auto-conservazione dei viventi, perché solo in tali processi il soggetto e il risultato del movimento sono anche numericamente la stessa cosa. Aristotele ricorre a tale esempio probabilmente perché, nell'ambito della produzione tecnica, non vi & nessun processo che @ simile a quello riproduttivo nella stessa misura in cui l'auto-guarigione del medico @ simile all’auto-conservazione di un organismo. 32 La nozione di “principio interno per sé del movimento ¢ della quiete” & stata oggetto di diverse interpretazioni. Secondo C. Wite (1989b, p. 72), la natura si distingue dal principio degli artefatti, per- ché si trova fisicamente all'interno di cid di cui é principio. W. Charlton (1970, pp. 88-9), invece, ritiene che lente naturale possiede un princi pio interno nel senso che i suoi movimenti possono essere spiegati me- diance un esclusivo riferimento all’ente naturale stesso, senza alcuna menzione di fattori ad esso esterni. Secondo S. Waterlow (1982, pp. 27- 9, 38-9, 41), un principio interno é tale da decerminare completamente ¢ indipendentemente da fattori esterni alla sostanza di cui & principio i pattern di movimenti caratteristico di tale sostanza. La natura si distin- guerebbe dall'arte, perché, nel caso degli enti naturali, la sostanza che possiede la natura é lo stesso soggetto in cui il movimento determinato dalla natura si realizza. S.S. Meyer (1992, p. 815-6) ritiene che la nozio- ne di “principio interno” equivalga a quella di “causa per sé”. Secondo S. Kelsey (2003), la natura non @ una causa efficiente/motrice, bensi una authority: in quanto determinati da tale authority, i movimenti degli enti naturali non consistono, come nel caso degli artefatti, in un uso di essi da parte di qualcosa o di qualcuno. IL SIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 133 32-193a 9), in cui vengono individuati e precisati i refe- renci delle espressioni “avere una natura”, “essere per natu- ra” ed “essere secondo natura”, viene stabilico che cutte le cose dotate di una g¥atg sono sostanze, € sancita, in ulti- mo, l'inutilica di chiedersi se la natura esiste o meno: la sua esistenza e quella delle cose che hanno una natura o sono per natura risulea infatti evidence. «La natura @ quindi cid che si @ detto. Possiedono una na- tura le cose che hanno un simile principio. E tutte queste cose sono sostanza: infatti, sono un sostrato e la natura si trova sempre in un sostrato (Kai éotiv navta tadta obcia dnoxeipevov yap tt, Kai Ev WnoKEpevo Eotiv H Odors Gei). Sono secondo natura sia queste cose che quelle che appar- tengono loro per sé, come per il fuoco il fatto di muoversi verso l'alto. Questo, infatti, non @ natura né ha una natura, ma @ per natura e secondo natura. Si @ dunque detto che cosa sia la natura, I’essere per natura e secondo natura. Cer- care, invece, di dimostrare che la natura esiste é ridicolo. E infatti evidente che esistono molti enti di questo tipo. E dimostrare le cose evidenti mediante quelle non evidenti @ proprio di chi non @ in grado di distinguere tra cid che é di per sé conoscibile e cid che non lo é di per sé (non é i- gnoto che cid pud capitare; un cieco dalla nascita potrebbe trarre inferenze circa i colori), ed & di conseguenza necessa- rio che il discorso di costoro sia relativo alle parole, e non al pensiero» (192b 32-193a 9). Alla riga 193a 9 ha inizio la seconda parte del capito- lo. Questa sezione si articola in quattro argomenti. II pri- mo é finalizzato a dimostrare l’identitd tra natura e materia, e gli altri tre, invece, quella tra natura e forma. Primo argomento Liidea che la natura si identifichi con la materia é pre- sentata come opinione dei Fisiologi. In base alla loro teoria, la gvotg degli enti naturali - che qui viene chiamata anche 134 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE ovdoia - é la materia prima di cui sono costituiti e che é di per sé informe. L'argomento avanzato a sostegno di questa tesi é la seguente affermazione di Antifonte: se si sotterras- se un letto e da esso si formasse qualcosa, non si genere- tebbe un letto, bensi del legno. Cid mostra che il letto, cio’ la forma di cui il legno & dotato, in quanto viene me- no, & qualcosa di accidentale. Il legno, al contrario, perma- ne e si mantiene identico attraverso le trasformazioni: in quanto tale, esso rappresenta una ovoia. Se poi la relazione che intercorre tra il letto e il legno, intercorresse anche tra il legno e qualcos’altro, quest'ultimo sarebbe a sua volta la natura e l'ovoiass. La realta & quindi costicuita da una o pid oboiat, e da un insieme di affezioni, stati o disposi- zioni accidentali di essa/e. Tratto caratteristico della natu- raovoia, cioe della materia, @ l'essere eterna e immutabi- le35. Le sue affezioni, cio® le forme, invece, si generano e si corrompono continuamente*. 33 Il passaggio dalla materia prossima, a cui si fa riferimento all'inizio del passo tramite l'esempio del legno e del bronzo (193a 10- 2), alla materia ultima, menzionata alle righe 193a 17-21, sembra giu- stificato dal fatto che per i Fisiologi il criterio di identificazione della gvoic/obcia é l'eternita e l'immucabilita. $. Waterlow (1982, p. 56-8), invece, ritiene che questo primo argomento contenga due tesi distinte (Videa che la natura @ la materia prossima di cui una cosa costituita € Videa che la natura é il costituente ultimo e incomposto di ogni cosa) e che il passaggio dalla prima alla seconda tesi non sia valido. 34 Nell'ambito di questo argomento, il termine odcia sembra uti- lizzato sia nell'accezione di “essenza” (la materia @ l'ovoia degli enti naturali composti; cfr. 193a 9-10, 20) che in quella di “soscanza” (la materia l'unica sostanza, perché gli enti naturali composti sono acci- denti di essa; cfr,193a 24-6). Le due accezioni sembrano intimamente connesse: se la materia @ l'essenza degli enti naturali composti, allora questi ultimi sono accidenti della tAn ¢ la materia @ l'unica sostanza esistente. 35 Cf. O. Hamelin (1931, pp. 43-4). 36 Questo primo argomento é stato og getto di diverse interpretazio- ni da parte degli studiosi. Secondo S. Waterlow (1982, pp. 57, 61), per esempio, il criterio in base al quale i Fisiologi identificano la natura é la capacita di riprodursi. T.H. Irwin (1988, p. 99), invece, ritiene che, in ILSIGNIPICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 135 «La natura ¢ l’essenza degli enti naturali sembra ad alcuni essere il costituente primo e di per sé informe di ciascuna cosa (t6 mp@tov Evundpyov Exdotw appvOprotov Kad" éavtd): per esempio, la natura di un letco é il legno e quella di una statua il bronzo. Antifonte afferma che una prova di cid @ data dal fatto che, se qualcuno sotterrasse un lecto, ¢ la decomposizione avesse la capacita di far spuntare un germoglio, non si genererebbe un letto, bensi del legno. [Cid mostra] che la disposizione stabilica dalla regola della cecnica @ qualcosa di accidentale, mentre l'essenza @ tale da conservarsi continuamente mentre subi- sce queste (erasformazioni] (ag 6 nev Kata ovpBeBnrdg tndpzov, thy Kata vopov dd0eo. Kai thy téxvny, Thy o ovciav odoay éxeivny i Kai Siapéver tadta néoxovoa ovvexac). E se ciascuna di queste cose é nella stessa rela- zione rispetto ad un’altra (per esempio, il bronzo e l’oro rispetto all’acqua, le ossa e i legni rispetto alla terra, ¢ allo stesso modo per qualsiasi altra cosa), questa cosa & la loro natura e la loro essenza (éxeivo thy ovotv eivat Kai thy ovoiav avtév). Percid, alcuni dicono che la natura degli enti é il fuoco, altri la terra, altri l’aria, altri l'acqua, altri alcune di queste cose, e altri ancora tutte queste cose. In- fatti, cid che uno di costoro assunse come tale, sia esso un'unica cosa 0 pid cose, questo e di tal numero dice che rappresenta l'intera sostanza (thv Gnacav obciav), mentre tutte le altre cose sono affezioni, stati e disposizioni di queste (nd8n tobtov Kai &erg Kai SiaGEser), e qualsiasi di queste cose é@ eterna (kai todtov pév dtiodv dTSi0Vv) (non vi é infatti per esse un mutamento da parte di se stesse), mentre le altre cose si generano e si corrompono all'in- finito (1 8 GAG yiyveobar Kai obeipecbar dmetpaxtg). In un senso, dunque, la natura si dice cosi: la materia prima che fa da sostrato a ciascuna delle cose che hanno in se stesse un principio del movimento e del mutamento» (193a 9-30). base al resoconto fornito in questo , la materia @ la gbous, perché i questo passo, pe processi a cui un letto sottoposto non sono dovuti al fatto che @ un letto, bensi al fatto che @ di legno. 136 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE Secondo argomento Il primo dei tre argomenti a favore dell’identicd tra natura e forma si basa su un’analogia tra l'uso del termine “tecnica” e quello del termine “natura”. Aristotele afferma che il termine “tecnica” é utilizzato in riferimento a cid che & costituito secondo la tecnica, vale a dire a cid che possiede quella determinata configurazione che risulta da un proces- so di produzione tecnica, e non a cid che ne é privo o neé dotato soltanto in potenza: la materia di cui un artefatto & costituito, prima di ricevere la forma, non @ xata téxvnv. Stesso discorso vale per il termine “natur: materiali a partire dai quali la carne e le ossa si generano, e che rappresentano carne ed ossa solo in potenza, non hanno la nacura della carne e delle ossa. Quando, invece, ricevono la forma, cio quella configurazione in base alla quale la carne e le ossa vengono definite, allora possiedono la natura di queste parti. Da cid segue che la natura non si identifica con la materia, bensi con la forma3?. gli elementi «In un altro senso [natura si dice] la configurazione e la forma, quella secondo la definizione. Infatti, come di tecni- ca si parla in riferimencto a cid che @ costicuito in base alla tecnica ed @ conforme alla tecnica, cosi anche della natura [si parla] in riferimento a cid che @ secondo natura e che & conforme alla natura, e nel primo caso di nessuna cosa di- remmo che é costituita in base alla tecnica, se é un letto so- 37 Secondo S. Waterlow (1982, pp. 59-61), questo argomento & ba- sato su un gioco di parole ¢ su un’analogia fallace tra arte e natura, per- ché mentre la materia di un artefatco é priva dell’arce, quella di un ente naturale ha una natura, In quanto tale, I'argomento non dimostrerebbe che la materia non si identifica con la ovo1s. Questa interpretazione sembra tuttavia contraddetta dal fatto che la natura/forma a cui Aristo- tele fa riferimenco in questo passo ¢ quella propria della carne o delle os- sa, cio’ quella che si identifica con l'insieme delle loro proprieta caratte- ristiche ¢ distinctive. E una simile natura non pud essere la materia della carne € delle ossa, sopratcutto se la materia ¢ intesa come un‘entita che & di per sé priva delle proprieta caratteristiche ¢ distintive di cid di cui & materia (4ppvOutotov Kad" Eavtd). ILSIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 137 lo in potenza e non possiede ancora la forma del letto, né [diremmo] che vi @ della tecnica, e neppure nell’ambito delle cose che sono costituite per natura (otte S€ éxei no ooipev dv éxew Kata thy tézvnv ovséev, et Svvdper povov éoti KAivny, pi) mo 8 Eyer 10 eldog tig KAivns, O08’ eivar téxyny, odt Ev toig OGEL GvVLOTapEvos). Infatti, cid che & in potenza carne o osso non ha ancora la propria natura, prima di ricevere la forma, quella secondo la definizione, in base alla quale, fornendo la definizione, diciamo che cos’é la carne o l'osso, né & per natura (t0 yap duvaper odpé jj dototv od éyet no thy Eavtod gvoty, mpiv Gv AGB 16 eldog 1d Kata tov Adyov, & OptCopevor AEyonev ti Eott odp— Fj dotodv, otte ovoet éotiv). Di conseguenza, in un altro senso la natura @ la configurazione e la forma - non separa- ta, se non in riferimento al discorso definitorio - degli enti che hanno in se stessi un principio del movimento (cid che & costicuito di queste [la forma e la materia] non é natura, bensi per natura, come un uomo). E questa @ natura pit della materia. Ciascuna cosa, infacci, viene detta in riferimen- toacid che @ quando é in atto, pit che a cid che & quando éin potenza (éxaotov yap tote A€yetat Stav éterexeia 1, UGAAOV 7 Grav Svvdpet)» (193a 30-b 8). Terzo argomento Nel secondo argomento a favore dell’identita tra natu- ra e forma, Aristotele ricorre allo stesso criterio utilizzato da Antifonte per dimostrare che la natura é la materia. Se é vero, come dice quest’ultimo, che la natura si identifica con la materia perché da un letto non si genera un letto, bensi del legno, @ altrectanto vero che la natura si identifica con la forma, perché da un uomo si genera un uomo3s, «Inoltre, un uomo si genera da un uomo, ma non un letto da un letto (éu yiyvetar &vOpwnos && avOpadrov, add’ od kAivn €k KAivns). Percid, essi dicono che la natura non é la figura, ma il legno, perché, se [il letto] germogliasse, non 38 Sul significato della formula “un uomo 2 generato da un uomo", cft. K, Oehler (1963), D.M. Balme (1990). 138 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE si genererebbe un letto, ma del legno. Se dunque questo & natura, allora anche la forma é natura. Da un uomo, infatti, si genera un uomo» (193b 8-12). Quarto argomento L'ultimo argomento si basa infine sul significato di “natura” intesa come “generazione”. Aristotele sostiene che il termine obor<, utilizzato in questa accezione, indica il per- corso verso la natura ed & quindi definito in relazione al ri- sultato del movimento. In quanto tale, esso si distingue morfologicamente dal termine “medicazione”. Quest’ultimo, infacci, & costruito a partire dal sostantivo “arte medica”, ma non significa un processo verso l'arte medica, bensi ver- so la salute. Il termine gvor¢ nel senso di “generazione” im- plica quindi che la natura, in quanto risultato della genesi, si identifica con la forma e non con la materia. La natura che una cosa diviene generandosi, infatti, non é la materia di cui la cosa & costituita € a partire da cui si compone, bensi la forma. «Inoltre, la natura detta nel senso di generazione @ una via verso la natura (680g éottv €ig QvotV). Non, infatti, come & detta la medicazione, [la quale @) una via verso la salute ¢ non verso l'arte medica. E necessario infatti che la medica- zione sia realizzata per opera dell’arte medica e non che pro- ceda verso l'arte medica. La natura non ha nei confronti della natura questo tipo di relazione, ma cid che si forma naturalmente procede da qualcosa verso qualcosa, in quan- to si forma naturalmente. Che cos’ dunque la natura che una cosa diviene generandosi (ti obv gvetat)? Non cid a partire da cui [avviene il processo], bensi cid verso cui. Quindi la natura @ la forma» (193b 12-21). Il principale problema sollevato da questa seconda parte del capitolo @ quello relativo alla sua funzione all'interno di B 1. Che cosa Aristotele intenda stabilire, formulando i quattro argomenti appena riportati, e quale IL SIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 139 relazione essi intrattengano con |'indagine sviluppata nella prima sezione, infatti, non & immediatamente chiaro. In prima approssimazione, si potrebbe ritenere che, dopo aver definito la “natura” come “principio interno del movimento e della quiete”, Aristotele voglia presentare al- tri significati del termine gborc, e che quindi l’intero capi- tolo sia finalizzato ad elencarne le diverse accezioni39. In ba- se a questa ipotesi, il significato principale di votc, almeno dal punto di vista della distinzione tra enti natura- li ed enti non naturali, @ quello di “principio interno del movimento e della quiete”, a cui Aristotele dedica tutta la prima parte di B 1. Benché il ruolo di principio interno sia svolto dalla forma, e benché la forma, nell'ambito de- gli enti naturali, sia sempre un'entita dinamica®, esiste nondimeno un’accezione del termine ovotg in base alla quale la forma @ considerata a prescindere dalla sua fun- zione motrice’!. “Natura”, inoltre, @ derta anche la mate- 39 Questa é l’interpretazione di C. Witt (1989b, p. 78). 40 Cid & suggerito dal fatto che, almeno nel caso degli organismi, il loro stesso essere non & uno stato, bensi un processo: per gli organismi, infacti, essere significa vivere (cf. De an. B 4,415b 11-3). In Metaphysica 44, inolere, pur distinguendo il significato di “natura” nel senso di principio interno del movimento (cfr. ivi, 1014b 18-20) da quello di “natura” nel senso di forma (cfr. ivf, 1014b 35-1015a 11), Aristotele afferma che solo la forma/ovoia degli enti naturali ¢ una natura (cfr. iv, 1015a 11-3). Ma il principale criterio di distinzione tra gli enti naturali quelli non naturali @ il fatto che soltanto i primi sono dorati di un principio interno del movimento. Che solo la forma/obaia degli enti naturali sia una nacura significa quindi che essa sola svolge il ruolo di principio interno del movimento. L’identita tra la forma degli enti na- turali ¢ il principio interno del movimento, infine, sembra stabilita, in Metaphysica A 4, alle righe 1015a 13-9. 41 Bisogna cuttavia notare che all’accezione “statica” del termine gvorg, cio all'accezione in base alla quale la forma degli enti naturali & considerata a prescindere dalla sua funzione motrice, fanno riferimento solo il primo ¢ il cerzo degli argomenti a favore della forma. Nel secon- do, infacti, tramite l'esempio dell’uomo che genera un uomo, Aristorele sembra presentare la forma proprio come principio interno del movi- mento (cfr. infra, pp. 146-7). Nel primo argomento, inoltre, la forma 140 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE ria a partire da cui e di cui gli enti naturali si compon- gono®, Questa interpretazione @ suggerica da diversi indizi testuali. Innanzicucto, l'argomento a favore dell’identita tra natura e materia si conclude con le seguenti parole: “in un senso, dunque, natura é detta la materia prima che fa da sostrato a ciascuna delle cose che hanno in se stesse un principio del movimento e del mutamento™s. Introdu- cendo il primo argomento a favore dell’identitd tra natura e forma, inoltre, Aristotele afferma che “in un altro senso [natura & detta] la configurazione e la forma, quella secon- do la definzione’4. E, a conclusione di questo stesso ar- gomento, viene ribadito che “in un altro senso, la natura é la configurazione e la forma delle cose che hanno in se stes- viene intesa come un’entita statica ¢ non dinamica, perché esso é costrui- tosulla base di un‘analogia tra gli enti naturali ¢ gli arcefatti e, in quan- totale, astrae dalle caratteristiche peculiari e distintive della forma de- gli enti nacurali rispetto alla forma degli artefatci. Nell'ambito del terzo argomento, infine, la forma & presentata come risultato della generazio- ne. Per quanto l'efficacia dimostrativa di questo argomento dipenda solo dal fatto che @ la forma ¢ non la materia a costituire il risultato della ge- nerazione, nondimeno anch’esso sembra richiamarsi alla definizione di “principio interno del movimento” formulata nella prima parte del ca- pitolo, L’idea che la natura rappresenti il risultato, oltre che la causa mo- trice, di un movimento da essa determinato, infatci, costituisce uno dei tratti definitori della nozione di “principio interno”: i] Ka®" abd. Nell'ambito di questo terzo argomento, inoltre, Aristotele contrappone il concetto di “generazione naturale” a quello di “medicazione” e po- trebbe quindi alludere alla distinzione tra processi naturali ¢ processi tecnici (il medico che cura se stesso), tra forme artificiali ¢ forme natura- li, stabilica attraverso il secondo tratto definitorio. Il medico che cura se stesso @ dotato di un principio del movimento che é interno per acciden- te, perché la forma con cui il processo si conclude @ un‘organizzazione statica della materia (la salute). Nel caso dei processi naturali, inv 1 risultato del movimento é una forma dotata, a sua volta, di una funzione motrice, cio® una forma contenutisticamente e funzionalmente identica al principio del movimento: un uomo genera un uomo. 42 Cfr. Metaph. A 4, 1014b 26-35. 43 Cfr. Phys. B 1, 193a 28-30. 4 Cfr. Phys, BL, 193a 30-1. ILSIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI! “TELEOLOGIA™ 141 se un principio del movimento". Nell'incipit di B 2, infi- ne, come volendo riassumere i risultati della precedente ri- cerca, Aristotele sostiene di aver chiarito in quanti sensi viene utilizzato il termine “nacura”4, La struttura argomentativa del passo, cuttavia, sug- gerisce che quello di elencare altri significati del concetto di “natura”, ¢ di esaurirne con cid l'area semantica, non & l'unico obiettivo della seconda parte del capitolo. Qui, in- facti, Ariscotele non si limita ad esporre e ad illustrare que- sti aleri significati - come fa, per esempio, in Metaphysica A 4 - ma avanza, per ciascuno di essi, dei veri e propri argo- menti: uno a favore dell’idencita tra natura e materia, e ben tre a favore dell'identita tra natura e forma. L'idea che la natura si identifichi con la materia, inoltre, @ presentata come opinione dei Fisiologi, e l'argomento ad essa relativo @ non solo attribuico ad Antifonte, ma anche collegato a tesi decisamente non aristoteliche: l'idea che l’ovoia degli enti naturali @ la materia, che tutte le forme sono entita ac- cidentali e che gli enti naturali composti costituiscono ovpBeByxorta della bAn. I tre argomenti successivi, vicever- sa, sono costruiti come altrettante critiche alla teoria dei Fisiologi. Sulla base di queste considerazioni sembra quindi plausibile ipotizzare che, nella seconda parte di B 1, Ari- stotele intenda anche impegnarsi in un confronto con i Fisiologi e dimostrare, contro di essi, che non solo la ma- teria, ma anche la forma @ natura, e che anzi la forma @ prioritaria rispetto alla materia‘’. Alle righe 193b 6-7, 45 Cfr. Phys. B 1, 193b 3-4. 46 Cfr. Phys. B 2, 193b 22. 47 Molti interpreti, invece, ritengono che la seconda parte di B 1 (193a 9-b 21) sia finalizzaca a stabilire che sia la materia che la forma costituiscono una natura nel senso di “principio interno del movimento” (cfr. W. Charlton (1970, pp. xvi, 90-3), J.M. Cooper (1982, pp. 198-9), J.G. Lennox (1997, p. 182), O. Hamelin (1931, p. 43), T.H. Irwin (1988, p. 96). 142 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE infacci, viene stabilico che la forma @ pid (waAAov) natura della materia‘. 4.3 Natura, regolarita, sostanza ed essenza Nell'ambito del capitolo relativo alla dimostrazione a- ristotelica delle teleologia naturale, sviluppata in Physica B 8, si @ avanzata l'ipotesi che il téAog (e, con esso, la natura, intesa come causa motrice per sé/interna o principio inter- no del movimento) sia dotato di una triplice funzione: esso fappresenta un fatcore causale indispensabile 1) per deter- minare la regolarita dei fenomeni naturali (cioé il facto che gli organismi sono dotati di un insieme unitario e relati- vamente invariante di proprieta specie-specifiche), 2) per garantire il carattere sostanziale degli organismi (cioé il fat- to che la forma di cui sono dotati rappresenta una forma sostanziale e un‘ovoia) e 3) per assicurare la possibilita di assumere gli organismi ad oggetto della conoscenza scien- tifica’?, Si cracta ora di verificare se la definizione di “natura” come “principio interno del movimento e della quiete”, formulata da Aristotele in Physica B 1 ¢ analizzata nel para- grafo precedente, confermi 0 meno questa ipotesi. In base a tale definizione, come si @ gia osservato, la natura/principio interno é una forma che svolge una fun- zione motrice e che causa di processi di auto-produzione, i quali si realizzano in maniera strutturalmente identica sia nella vita e nella conservazione di ogni singolo organismo che nella riproduzione. La particolare modalita di svolgi- mento di tali processi dovuta al fatto che la forma, in 48 Questa ipotesi ¢ suggerita anche dal fatto che nel capitolo succes- sivo la prioriti della forma rispetto alla materia & data per certa (cfr. Phys. B 2, 194a 12-5). Uno degli obiettivi di B 2, infacti, ¢ quello di dimostrare, contro Platone, che lo studioso della natura non deve occu- parsi della sola forma, ma anche della materia, intesa come sostrato € mezzo della forma/fine (a questo proposito, cfr. infra, 4.5). 49 Cf. supra, 3.3. ILSIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 143 quanto principio interno del movimento, produce e ripro- duce se stessa, cio? una forma che @ dotata a sua volta di una funzione motrice e che @ quindi capace di reiterare in maniera ricorsiva la stessa dinamica. Poiché infatti il risul- tato del movimento non @ un’entita statica, ma una causa motrice formalmente € funzionalmente identica a quella che ha determinato il processo, quest’ultimo procede inin- terrottamente e si configura come un movimento circolare, cio? come quel tipo di movimento che, secondo Aristotele, @l'unico ad essere eterno’. Cosi intesa, la nozione di “natura/principio interno” sembra quindi in grado di spiegare la regolarita dei feno- meni naturali, cioé il fatto che gli organismi di ogni specie presentano per lo pit le stesse parti ¢ le stesse caratteristi- che’!, In vireti della natura/principio interno, gli organismi sono dotati di un insieme unitario e relativamente invariante di proprieta specie-specifiche: un uomo genera un uomo®?. Per quanto riguarda lo status ontologico degli orga- nismi e della loro forma, invece, le informazioni fornite in Physica B 1 non sono altrettanto chiare. In questo capitolo, infatti, Aristotele non stabilisce esplicitamente che gli or- ganismi sono sostanze, cio® entita dotate di una forma so- stanziale, in guanto possiedono una natura, intesa come 50 Cfe. De gen. ef com. B 11,338a 2-17. 51 Il fatto che la regolarit’s dei fenomeni naturali sia spiegata da Aristotele mediante la nozione di “principio interno” e di “processo cir- colare eterno” non implica che, anche in Physica B 8, 198b 10-199a 8, tale regolarita sia intesa come eternita. Nell'ambito della dimostrazione sviluppaca in Physica B 8, 198b 10-199a 8, infatti, proprio per garancire Vefficacia di tale dimostrazione, Aristotele sembra far riferimento ad una regolarita osservabile (cfr. supra, pp. 91-2 e nota. 18). 52 Cid quindi suggerisce che la materia non @ in grado di garantire la regolarita dei fenomeni biologici, perché di per sé priva della forma e, in quanto tale, non pud essere causa di quei processi di auto- produzione in cui la generazione ciclica degli organismi consiste e in cui si manifesta e si realizza Ja regolarita dei processi naturali dei viven- tisublunari (cfr. De gen. et corr. B 6, 333b 3-20). 144 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE principio interno del movimento’s. Tuttavia, non manca- no riferimenci a tale questione ontologica. La definizione del concetto di “principio interno” e soprattucto gli argomenti sviluppati nella seconda parte di B 1, infacti, si intrecciano continuamente con il problema relativo allo status degli or- ganismi, eall’encita che in essi svolge il ruolo di ovota. Innanzicutto, accenni alla questione ontologica com- paiono sin dall'incipit dell'indagine, dove la ovovg viene pre- sentata come causa dell’essere degli enti naturali. Alle righe 192b 8-9, infacti, Ariscotele afferma che “tra gli enti, al- cuni sono per natura, mencre altri in virel di altre cause”. Liidea che la ovotg, in quanto principio interno, non sia semplicemente una causa del movimento, ma anche dell'essere, inoltre, @ suggerita dalla definizione stessa del concetto di “principio interno”. In base a questa definizio- ne, infatti, sembra che il movimento determinato dalla na- tura, in quanto auto-produzione, sia un “movimento es- senziale”, cioe un movimento in cui consiste e in cui si tealizza essere degli enti naturali‘’. Cid sembra conferma- to anche da De anima B 4, 415b 12-5, dove Aristotele sta- bilisce che la forma/anima rappresenta l'ovoia degli organi- smi, cioé la causa del loro essere, ¢ che l’essere, per tali enti naturali, consiste nel vivere’s. Alla righe 192b 32-3 di Physica B 1, inoltre, dopo aver completato la definizione del concetto di “principio interno”, Aristotele sancisce il carat- tere sostanziale degli enti naturali, affermando che tutto 58 L'idea che gli organismi sarebbero accidenti, qualora fossero cau= sati dalla sola materia, intesa come natura, invece, viene esplicitamence stabilita (cfr. Phys, B1, 193b 9-28). 51 W.D. Ross (1936, p. 499), invece, ritiene che il riferimento alla natura come causa dell'essere, che compare alle righe 192b 8-9, sia fuor- viante, perché la natura non ¢ una causa dell'essere, bensi del movimento. 55 A proposito del “vivere” come proceso determinato da un prin- cipio interno del movimento, cfr. supra, p. 131 nota. 30. Ad una verifica di questa tesi ¢ ad un’analisi dei processi biologici & dedicato l'ultimo capitolo di questo lavoro (cfr. infra, 6.1-6.8). IL SIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 145 cid che possiede una natura/principio interno @ una sostan- za: ovo. b& Exet Goa toradmy exer Gpyy. Kai €or navta tadta ovoia. Ma ancora pid significativa, a questo proposito, é la seconda parte di B 1. Qui, infacti, la natura @ chiamata e- splicicamente ovoia degli enti naturaliss. Inoltre, il modo in cui la teoria dei Fisiologi viene illustrata € poi sottopo- sta a confutazione suggerisce che oggetto dell'indagine, in- sieme al problema dei significati del termine ovat ¢ delle relazioni che tra essi intercorrono, é anche la questione rela- tiva al carattere sostanziale o accidentale degli enti naturali composti e della loro forma. Come si é gia osservato, in base al resoconto aristoteli- co esposto alle righe 193a 9-28, la natura rappresenta, se- condo i Fisiologi, l’ovoia degli enti naturali’’. Inoltre, il requisito che un’entita deve soddisfare per svolgere il ruolo di ovod/ovoia é l'essere eterna ed immutabile’’. Da cid i Fi- siologi deducono che solo la materia, in quanto dppvOuotov x6 avid, cio® in quanto di per sé priva delle caratteristi- che di cid di cui @ materia, pud assolvere questa funzione. La forma, infatti, & soggetta a generazione e a corruzione continue, e rappresenta quindi qualcosa di accidentale’9. Gli enti naturali composti, di conseguenza, non sono so- stanze, ma accidenti della materia. Con I’'argomento esposto alle righe 193a 30-b 8, Ari- stotele muove una prima obiezione alla teoria dei Fisiologi: la materia non pud costituire la ovoic/ovoia degli enti na- turali, perché non @ in grado di svolgere il ruolo di princi- pio di identita®. Proprio la caratteristica che, in base alla dot- trina dei Fisiologi, rende la materia eterna, ingenerabile ¢ in- 56 Cfr. Phys, B 1, 193a 9-10, 16, 20-1, 25. 57 Cfr. Phys. B 1, 193a 9-10, 16, 20-1, 24-5. 58 Cfr. Phys. B 1, 193a 16-7, 23-! 59 Cfr. Phys. B 1, 193a 14-7, 25-8. © Cfr. Phys. B 1, 193a 36-b 3. 146 CAUSA FINALE SOSTANZA ESS corruttibile, giustificandone I'identificazione con l'ovaia — cio’ il facto di essere un’encita semplice, di per sé priva delle pro- prietd degli enti nacurali composti (4ppbOjctov Kad’ éavtd) — & infacci cid che le impedisce di rendere conto dei tratti d stintivi in cui consiste il ti gon degli enci di cui ¢ materia. La forma, al contrario, coincide con il ti got € rappresenta pertanto, almeno da questo punto di vista, un candidato migliore della materia a svolgere il ruolo di ovoic/obcias. Con il secondo argomento (193b 8-12), la critica dei Fisiologi diventa ancora pid diretta ed efficace, e sembra configurarsi come una vera e propria confutazione intrinse- ca. Questo secondo argomento, infatti, si basa sullo stesso criterio adottato da Antifonte per dimostrare l'idencita tra ovoicovoia e materia: Aristorele afferma che, se @ vero che la natura si identifica con la materia, perché da un letto non si genera un lecto, bensi del legno, é altrettanto vero che la natura si identifica con la forma, perché da un uomo si genera un uomo. II fatto che da un uomo si generi un uomo mostra quindi che, proprio nel caso degli enti natu- rali, la forma non rappresenta un‘entita generabile e cor- ruttibile®?, e quindi accidentale. Essa é, al contrario, inge- nerabile € incorruttibile: in quanto tale, la forma soddisfa la condizione che, secondo gli stessi Fisiologi, @ necessaria per svolgere il ruolo di ¢voidoboias. Da cid segue che gli 6! Olere che dall'uso dell'espressione ti ott, I'ipotesi che questo argomento sia relativo al problema dell'oboia é suggerita anche dal fac- to che, in Metaphysica A 4, 1015a 3-11, Ariscotele ricorre, quasi testual- mente, alle stesse parole per illustrare il significato di “natura” nel senso di forma/ovoia. 2 Cfr.O. Hamelin (1931, p. 47). 6 TI nesso che intercorre tra le particolari modalita di svolgimento della generazione naturale ¢ il problema dell’odoia viene sottolineato chiaramente in De generatione et corruptione B 10, 336b 27-34. Qui, Ari- storele si richiama innanzitucto al principio finalistico in base al quale la natura cende sempre al meglio. Quindi prosegue affermando che essere @ meglio del non essere, ¢ che gli enti naturali sublunari non possono esistere eternamente. Rendendo eterna la generazione, tuttavia, IL SIGNIFICATO DELLA DEPINIZIONE DI “TELEOLOGIA* 147 enti nacurali composti, in quanto dotati di una simile forma (cioé di una forma sostanziale e non accidentale), ¢ in quanto tale forma é la loro ¢vct¢/ovsia, non sono accidenti della materia, ma sostanze. L'aspetto pitt interessante di questo argomento consi- ste nel fatto che, ricorrendo all’esempio della generazione di un uomo da parte di un uomo, Aristotele sembra conside- rare la forma come un principio del movimento, o meglio, come un principio interno del movimento. L’esempio dell'uomo che genera un uomo, infatti, pare del cutto con- forme all'optopds formulato nella prima parte di B 1. Esso presenta l'essere umano come causa di se stesso, vale a dire come un’encita il cui principio di identita (la forma) svolge sia il ruolo di causa motrice che quello di risultato del mo- vimento. Motore e fine, inoltre, sono identici, nel senso che il fine @ a sua volta un’apyh Kivijoems, capace di reitera- te in maniera circolare (e quindi eterna) la stessa dinamica. Liipotesi che la generazione di un uomo da parte di un uomo sia determinata da un principio interno del movi- mento é inoltre confermata dal fatto che proprio questo e- sempio viene presentato, in Metaphysica A 3, 1070a 7-8, come T'illustrazione pradigmatica dell’azione di un tale principio. Da cid si potrebbe quindi inferire che, secondo Ari- stotele, la forma rappresenta la ovoid/ovoia degli enti na- turali proprio in quanto svolge il ruolo di principio inter- no del movimento, e che tale nozione é fondamentale non solo per distinguere gli enti naturali da quelli non natura- li, ma anche per stabilire, contro i Fisiologi, il carattere so- la divinitd ha “riempito il cutto” (ouverAnpoce 16 6hov) € “connesso lessere” (ouveipoito td eivat), perché il generarsi ininterottamente & cid che & pitt vicino all’oboia (8a 1 éyystata elvan tig oGiag 13 yiveobat dei Kai thy yévectv). Sull'importanza della generazione nacu- rale nell’ambito della concezione aristotelica della forma e dell’eternita, cfr. J.G. Lennox (1985). 148 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE stanziale dei primi e lidencitd tra forma e ovoic/ovoia: se la forma non fosse un principio interno del movimento, non sarebbe una forma sostanziale e un‘ovoia, bensi una forma ac- cidentale, e gli enti naturali composti sarebbero oupBenxdta della materia. Anzi, alla luce di Metaphysica Z 17, 1041b 27-33 e H 3, 1043b 12-23, dove lo status di sostanza vie- ne attribuico ¢ limitato ai soli enti naturali, sembra pla sibile ipotizzare che, in quanto dotati di una forma che svolge il ruolo di principio interno, cioe di una gvorg, gli enti naturali sono le uniche realta che costituiscono vere ¢ proprie ovoiat. Liipotesi che in Physica B 1 Aristotele intenda affron- tare il problema relativo allo status ontologico degli enti naturali e a cid che in essi svolge il ruolo di ovoia & sugge- rita anche dai rapporti che questo capitolo intrattiene con l'indagine sviluppata in Physica A. In Physica A, come @ noto, Aristotele affronta il primo € principale problema che, a suo avviso, deve essere necessa- riamente risolto per fondare la scienza della natura: il pro- blema relativo al movimento e alle sue condizioni di possi- bilita e di intelligibilita. Le aporie e le difficolta che tale questione solleva vengono sciolte e superate, nel settimo capitolo, attraverso la distintione tra forma, sostrato e pri- vazione®. Forma, sostrato e privazione sono considerate, in A 7, come dpyai generali del movimento, vale a dire come suoi elementi structurali: la xivnots consiste nell’acqui- sizione di una forma da parte di un sostrato che ne é privo. Lindividuazione delle condizioni di possibilita e di intelli- gibilica del movimento coincide inoltre con la definizione di cutto cid che si muove come composto di forma e so- Come si gid osservato, anche gli aleri due argomenti a favore della forma sembrano presentare relazioni con il concetto di “principio interno del movimento ¢ della quiete” (cfr. supra, pp. 139-40 nota 41). 6 Cfr. Phys. A7, 190b 17-19 1a 3. ILSIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE D! “TELEOLOGIA™ 149 strato: ogni entita soggetta a movimento @, proprio in quanto tale, costicuita di un broKeipevov e di un elS0c%. Per quanto efficace nel risolvere il problema del mo- vimento, l'indagine condotta in Physica A rappresenta tut- tavia solo un primo passo verso la fondazione della scienza naturale. Proprio perché relativa alla xivnotc ¢ alle sue ge- nerali condizioni di possibilita e di intelligibilita, tale in- dagine sembra lasciare irrisolte una serie di questioni cru- ciali. La prima riguarda la distinzione tra gli enti naturali, oggetto della ovoikh éxtotn, e quelli non naturali. I concetti di “forma” e “sostrato”, infatti, in quanto enucleati a partire da un’analisi del movimento e della sua strutcura, non sono sufficienti per operare questa distinzione: non soltanto gli enti naturali, ma tutto cid che si muove @ un composto di forma e sostrato. La seconda questione é invece relativa alle modalita di questa composizione, cio? allo status rispettivo della forma, del sostrato e di cid che ne é composto, e alla funzione delle dpxai in quanto “costituenti” e cause degli enti naturali. Di nuovo, proprio perché la distinzione tra forma e sostra- to viene enucleata a partire da un’analisi del movimento e della sua strutcura, in Physica A resta ancora inesplicato che cosa siano la forma e il sostrato, e quale sia lo status onto- logico loro e dell’ente naturale. Cid risulta abbastanza chia- ro dal fatto che la distinzione tra eiSog e moKeipevov, cosi come é formulata in Physica A 7, non é di per sé sufficiente per distinguere la generazione assoluta di una sostanza dal- la semplice alterazione. Per poter operare questa distinzio- ne, infatti, @ necessario stabilire l’esiscenza di forme sostan- ziali, differenziandole da quelle accidentali. Ma che esistano forme sostanziali ¢ in A 7 semplicemente assunto 0, me- glio, inferito a partire dall’uso linguistico%. L'indizio pid % Cfr. Phys. A7, 190b 10-7. 6 fr. Phys, A7, 190a 24-6, 31-b 13. 150 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE significativo a questo proposito sembra cuttavia rappresen- tato dalle righe 191a 19-20 di Physica A 7. Qui, infacti, Aristotele afferma di dover ancora chiarire se @ la forma o il sostrato a costituire l’ovcia. E porre questo problema e- quivale ad interrogarsi sullo status ontologico dei principi, ea passare dalla trattazione della forma e del sostrato come apyai del movimento alla trattazione della forma e del so- strato come cause dell’ente naturale. Come si é@ gia osservato, il problema riguardante la distinzione tra gli enti nacurali, oggetco della ovotky émotpn, e quelli non naturali viene affrontato e risolto, in Physica B 1, mediante il concetto di “natura”, intesa co- me “principio interno del movimento e della quiete”. Que- sto concetto costituisce un criterio efficace di distinzione tra gli enti naturali e gli enti non naturali, perché - a diffe- tenza della “forma” e del “sostrato” di Physica A 7 - & defi- nito nei termini dei rapporti che intrattiene con cid di cui é principio: qualcosa @ una natura/principio interno, se ap- partiene primariamente a cid di cui é principio e se interno ad esso per sé e non per accidente. In quanto tale, il con- cetto di “natura/principio interno” corrisponde ad una vera € propria causa dell’ente naturale, e non, come la forma e il sostrato di A 7, ad un principio del movimento. Tutta- via, la definizione del concetto di “natura/principio inter- no” implica che @ proprio la forma ad assolvere questo ruo- lo. I concetto di “natura/principio interno”sembra quindi equivalere ad una ridefinizione della “forma” in termini di causa dell’ente naturale. Che poi la natura sia chiamata anche ovoia, che gli enti naturali dotati di una dvot¢principio interno siano definiti sostanze, e che, in generale, l'indagine sviluppata in B 1 sollevi ripecucamente la questione ontologica, sug- 68 Per considerazioni simili a quelle qui propaste riguardo al rap- porto tra le dpyai di Physica A ¢ la nozione di “natura” di Physica B 1, cfr. W. Wieland (1962, pp. 231-3). ILSIGNIFICATO DELLA DEFINIONE DI “TELEOLOGIA™ 151 gerisce che anche il problema posto e lasciato in sospeso in Physica A 7, 19 1a 19-20 sia affrontato da Aristotele in Physica B 1, mediante la nozione di “natura/principio in- terno": la forma, e non il sostrato/materia, costituisce Vovoia degli enti naturali, in quanto svolge il ruolo di “natura/principio interno”. Nonostante queste considerazioni, bisogna tuttavia riconoscere che la trattazione del problema ontologico rela- tivo allo status degli enti naturali composti e della loro forma @ svolta in B 1 in maniera alquanto ellittica, sintetica e allusiva. Cid potrebbe quindi far supporre che la lettura appena proposta sia troppo forte. Nondimeno, I'ipotesi che la nozione di “principio interno” svolga un ruolo centrale nella concezione aristotelica dell’ovoia & suggerita dal fatto che tale nozione viene utilizzata da Aristotele anche nell’ambito di alcune delle principali critiche alla teoria platonica delle forme: significativemente, nell’ambito di quelle relative al modo in cui Platone concepisce |'eternitd delle idee, cioé in termini di separazione delle idee rispetto agli individui generabili e corruttibili di cui sono principi. Accenni a tali critiche, inoltre, sono presenti anche in B 1 e nel capitolo successivo. Particolarmente interessanti, a questo proposito, sono Metaphysica Z 8 ¢ A 3. In entrambi i capitoli, Aristotele te- orizza l'ingenerabilita e l'incorruttibilita delle forme, critica Platone per averla giustificata ricorrendo alla separazione, e fa riferimento alla generazione naturale, illustrata mediante l'esempio dell’uomo che genera un uomo, per mostrare 6 Secondo S. Waterlow (1982, pp. 22, 27), invece, gid attraverso Vanalisi del movimento ¢ delle sue condizioni di possibilita, sviluppata in Physica A, Aristotele stabilisce che gli enti naturali sono sostanze. La nozione di “natura”, introdorta in Physica B 1, sarebbe finalizzata a sot- tolineare che, proprio in quanto sostanze, cioe proprio in quanto dotati di caratteristiche essenziali, gli enti naturali sono responsabili del tipo di movimenti che manifestano. 152 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE come sia possibile rendere conto del carattere ingenerabile e incorruttibile delle forme, senza incorrere nei problemi che la dottrina platonica comporta. «Sulla base di quanto si é affermato risulta evidente che cid che @ detto come forma o sostanza non si genera, e che la sostanza composta invece, quella nominata in base ad essa, si genera (...) - forse che esiste allora una sfera oltre a queste [sfere] 0 una casa oltre a quelle di mattoni? Oppure, se cosi fosse, non si potrebbe generare un qualcosa di determina- to, ma [la forma] indica piuttosto un quale e non rappre- senta alcunché di determinato e di definito, ma [chi pro- duce e genera] produce e genera a partire da questo un quale, e quando la cosa @ generata @ un questo di un certo tipo (...) E quindi evidente che le cause delle forme, come alcuni sono soliti chiamare le forme, se esistono entita si- mili oltre alle cose particolari, non sono di alcuna utilitd per le generazioni e per le sostanze. E non é sulla base di queste ragioni che si possono porre sostanze di per sé sussistenti. Ed @ evidence che nel caso di alcune entita co- lui che genera @ tale e quale a colui che @ generato, non certo del tutto identico né numericamente unitario, ma formalmente, come avviene per gli enti naturali - un uo- mo genera infatci un uomo - (...). Di conseguenza é evi- dente che non bisogna porre le forme come paradigmi (...) ma @ sufficiente che il generante produca e che sia causa della forma nella materia» (Metaph. Z 8, 1033b 16- 1034a 5). «Dopo cid, [bisogna dire] che né la forma né la materia si generano» (Metaph. A 3, 1069b 35) «Dunque é evidente che, non per questo, debbano esserci idee. Un uomo genera infatti un uomo e l'individuo un altro individuo» (Metaph. A 3, 1070a 27-9). Per quanto riguarda Physica B 1, riferimenti polemici alla teoria platonica compaiono nell’ambito del primo ar- gomento a favore dell'idea che la forma costituisce la gvo1g degli enti nacurali. Alle righe 193b 3-5, infatti, dopo aver ILSIGNIFICATG DELLA DEFINIZONE DI “TELEOLOGIA™ 153 stabilito che la forma @ la natura, perché rappresenta il principio di identicd di cid di cui @ causa, Aristotele precisa che tale forma non é separabile se non Kata tov AOyov. «Di conseguenza, in un altro senso la natura sara la confi- gurazione e la forma, non separabile, se non secondo il di- scorso definitorio (ob yaptotov dv GAN i Katé tov Adyov)» (Physica B11, 193b 3-5). In Physica B 2, il tema della separazione delle forme viene diffusamente trattato. II capitolo, infatti, @ finalizzato a stabilire che gli enti naturali, in quanto soggetti a mo- vimento, a differenza di quelli matematici, non sono sepa- rabili dalla materia. La separazione delle idee platoniche viene criticata alle righe 193b 34-194a 1. «{Gli enti matematici], infatci, sono separabili con il pen- siero dal movimento, e, se vengono separati, cid non pro- voca alcuna differenza, né comporta errore. Non si accorgo- no di fare proprio questo coloro che affermano I'esistenza delle idee. Essi infacti separano gli enti naturali, i quali so- no meno separabili di quelli matematici (t4 yap ovoixa yopiCovor nttov dvta yoptotd tOv paOnLatiKGy)» (Phys. B 2, 193b 34-194a 1). Alla fine dello stesso capitolo, il nesso tra la critica della separazione delle idee platoniche e la nozione di “principio interno” viene reso esplicito: l’idea che un uo- mo genera un uomo é presentata come una prova del fatto che le forme degli enti naturali non sono separate dalla materia. «(il fisico deve conoscere la forma e il che cos’é] in relazio- ne a quelle cose che sono separabili formalmente, ma [si trovano] nella materia (nepi tadta & éott ywptota pev elder, év JAN Sé)? Un uomo, insieme al sole, genera infatti un uomo (GvOponog yap dv@pwnov yew Kai iALog)» (194b 12-3). 154 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE In base a questi passi, pare quindi che la nozione di “principio interno del movimento” sia utilizzata da Aristo- tele non solo nell'ambico della critica dei Fisiologi, ma an- che in quella di Platone. In entrambi i casi, tale nozione ha ache fare con il problema dell’ovoia e, in particolare, della sua ingenerabilita e incorruccibilita”. Contro i Fisiolgi, Ariscotele sembra voler dimostrare che la forma, in quanto principio interno del movimento, non rappresenta un’entita generabile e corructibile, e quindi accidentale, bensi un‘ovoia ingenerabile e incorructibile. Contro Pla- tone, viceversa, egli stabilisce che, per rendere conto dell’ingenerabilita ¢ dell'incorructibilita delle forme, non & necessario porle come entita separate dalla materia e dal movimento”!. Se infatti le forme sono intese come principi interni del movimento, la loro ingenerabiliti e incorrutti- bilita possono essere concepite come il risultato degli stessi processi in cui gli enti naturali sono coinvolti7?: un uomo genera un uomo. Il cema dell’oboia e della sua ingenerabilita e incor- rurtibilita, inoltre, € connesso con una questione episte- mologica di fondamentale importanza. Almeno a partire da Parmenide, infatci, l’erernita ¢ l'immutabilica sono conce- pite dai filosofi greci come la principale condizione di in- 70 Sulle diverse funzioni che al concetto di “natura” sono ateribuice nell'ambito della Metaphysica, cft. T. Buchheim (2001). 71 Una delle critiche pitt radicali della separazione delle idee pla- toniche si trova in Metaphysica 1 10. Qui, Aristotele sostiene che il modo in cui Platone concepisce I'eternita delle idee @ incompatibile con la telazione di idencitd formale tra idee ¢ individui sensibili: se le idee so- no ingenerabili ¢ incorruttibili in quanto entita separate, mentre gli individui sensibili sono generabili e corructibili, allora le prime non possono essere identiche per elog ai secondi, perché gli ateributi “cor- ruttibile” e “incorruttibile”, “generabile” ¢ “ingenerabile” determinano una diversita di genere tra cid di cui sono rispettivamente predicati. A questo proposito, cfr. B. Centrone (2002) e D. Quarantorto (2004). 72 Cfr. De gen, an. B 1, 731b 23-732a 1; Dean, B 4, 415a 26-b 7. IL SIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 155 telligibilita di cid che 73. Questa impostazione solleva tut- tavia un notevole problema. Incendere l'essere come qual- cosa di eterno e di immutabile, infatti, sembra compro- mettere Ja possibilita di una scienza della natura sublunare, perché gli enti nacurali sublunari non sono eterni ¢ immu- tabili, bensi mobili, generabili e corrutcibili. Le strategie adottate dai Fisiologi e da Platone per ri- solvere questa difficolti non trovano il consenso e l'approvazione di Aristotele. Indentificando l’ovoia eterna e immutabile con la materia, infatti, i Fisiologi sono costret- tia ridurre tutti gli enti naturali composti ad accidenti, e ad escluderli quindi dall'ambito degli émomtd. Anche Platone, viceversa, ricorrendo alla separazione per garantire leternita delle forme, si preclude la possibilita di fondare una vera e propria scienza della natura. Cid che immuta- bile ed eterno, infatti, in base alla teoria platonica, non so- no gli enti naturali, bensi le loro forme, intese come entita separate e di per sé sussistenti™4. Aristotele sembra invece affrontare e risolvere tale problema mediante la nozione di “principio interno del movimento”, cioe mediante l'identificazione della forma con il principio interno del movimento. In virti del pos- sesso di un simile principio, infacti, gli enti naturali sono coinvolti in un processo circolare ed eterno di riproduzio- ne, che li rende non solo formalmente identici tra loro, ma anche formalmente eterni?> e quindi suscettibili di cono- scenza scientifica. A differenza delle idee platoniche e della materia/ovoia dei Fisiologi, quindi, la forma teorizzata da Aristotele rap- 73 Aristorele sancisce questa tesi, stabilendo che oggetto della cono- scenza scientifica & cid che @ eterno € necessario, nel senso che non pud essere diversamente da come é (cfr. Eth, Nic. Z 3, 1139b 20-4). 74 Cfr. Metaph. A 6,987b 1-10; A 9, 990a 34-b 8. 75 Cft. De gen. an. B 1, 731b 23-732a 1; Dean. B 4, 415a 26-b 7; De gen. et. corr. B11, 338b 6-19. 156 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE presenta un autentico principio, cioé un’encica relazionale la cui ragion d’essere si esaurisce completamente nel suo ruolo causale: nell’essere principio di qualcosa’6. In quanto principio interno del movimento, infatti, la forma & tale da determinare in cid di cui causa una parcicolare “modalita” essere: l'eterniti’’. In quanto autentico principio, la for- ma é@ cid in virth di cui gli enti naturali presentano una determinata costituzione ontologica e determinate proprie- ta, € non costituisce essa stessa il soggetto di cali proprie- ta78. Ma in quanto principio interno, la forma rappresenta anche l’ovoia degli enti naturali. Essa, infatti, non solo coincide con i tratti caratteristici e distintivi di cid di cui é causa, come le idee platoniche, ma, a differenza di queste ultime, @ anche responsabile, nel senso di una causaliti pro- priamente fisica, di quei processi di auto-produzione in cui l'essere di ciascun singolo ente naturale consiste”’. 76 Sul concerwarisrerelico di “principio”, cfr. W. Wieland (1962, pp.52-9). 77 Frequenti sono le critiche che Aristotele muove a Platone per non aver posto le forme come cause motrici (cfr. Metaph. A 7, 998a 34-b 6;A9, 991a 8-11, 991b 3-9, 992a 24-6; Z 8, 1033b 26-8; De gen. et corr. B9, 335b 7-24). A prima vista, tali critiche potrebbero essere considera- te fuori luogo, cio® come il risultato di un travisamento della dottrina platonica. Alla luce delle considerazioni qui sviluppate, sembra invece che anche queste obiezioni facciano parce integrante della generale scra- tegia confutatoria adottata da Aristotele contro Platone: proprio il fatto di aver trascurato la funzione motrice delle forme ha impedito a Platone di concepire le forme come autentici principi. 78 Cfr. J.G. Lennox (1985). In base a Metaphysica H 3, 1043b 14-8 ¢ H 5, 1044b 21-4, sembra che, secondo Aristotele, le forme siano ingene- rabili ¢ incorructibili nel senso che ora sono ¢ ora non sono, ma senza che il passaggio dall’essere al non essere o dal non essere all’essere costituisca un vero e proprio processo rispettivamente di corruzione e di generazio- ne, e non nel senso che rappresentano entita eterne come le idee platoni- che. Alla luce di De gen. et corr. B 11, 338b 14-9, De gen. an. B.1,731b 31-5 ¢ Dean. B 4, 415a 26-b 7, sono gli individui sensibili ad essere for- malmente eterni. Sui vari significati dei termini “ingenerabile” e “incorrut- tibile”, “generabile” e “corruttibile”, cft. De cael. A 11, 280b 1-281a 1. 79 In Metaphysica AQ, 991a 12-9, 991b 1-9, Aristotele sostiene che Je idee platoniche non possono costituire l'obaia di cid di cui sono idee, perché l'obaia non pud essere un’entita separata ¢ di per sé sussistente. ILSIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 157 Ricorrendo alla nozione di “principio interno del mo- vimento”, Aristotele sembra quindi individuare negli stes- si processi € movimenti naturali i principi dell’essere ¢ dell'intelligibilita degli enti naturali. Con cid, essere e mo- vimento non sono pit concepiti in termini antinomici, perché l’essere degli enti nacurali si realizza nel movimento ¢ tramite i] movimento. La definizione di “natura” in termini di principio in- terno del movimento e della quiete, e il modo in cui Ari- stotele ucilizza tale nozione nell’ambito della critica dei Fi- siologi e di Platone sembrano pertanto confermare le ipotesi formulate nel capitolo precedente a proposito della funzione della causa finale e della natura/principio inter- no®. In quanto dotati di un principio interno del movi- mento, infatti, gli organismi di ogni particolare specie prtesentano una forma che non solo é un insieme unitario e relativamente invariante di proprieta condivise dai membri di una specie, ma anche una forma sostanziale e un’ovoia. In quanto tali, essi costituiscono sostanze piuttosto che ac- cidenti della materia, e rappresentano entita suscectibili di conoscenza scientifica. 4.4 Natura e causa finale: la natura non fa nulla invano, ma agisce sempre in vista di un fine Liidea che la nozione di “natura”, nel senso di “princi- pio interno del movimento e¢ della quiete”, sia fondamenta- Significativo, a questo proposito, ? anche Mesaphysica B 2, 998a 7-16 Qui, Aristotele critica coloro che hanno teorizzato l’esistenza di enti in- termedi immobili, concependoli come principi che si trovano fisica- mente all'interno di quelli sensibili ¢ mobili. L'obiettivo sembra quello di sottolineare I'impossibilica di rendere compatibile l'eternita delle forme con il loro essere principi interni degli enti nacurali, senza una precisa definizione del concetto di “principio interno”. 80 Cfr. supra, 3.3. 158 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE le per la comprensione della teoria aristotelica della teleolo- gia naturale @ suggerica da diverse considerazioni e da nu- merosi indizi tescuali. Come si @ gia osservato, nei capitoli di Physica B relativi al caso e alla teleologia, Aristotele pre- senta la ¢vo1g come il principale criterio di distinzione tra processi teleologici naturali e processi casuali, ¢ sembra in- tenderla come un principio interno del movimento*!: un processo naturale é teleologico, se é determinato dalla natu- ra. Lo stretto nesso che intercorre tra la bot e la finalitd naturale, inoltre, viene ripetutamente sottolineato in Physi- ca B 8. Nell’ambito della terza dimostrazione, per esempio, dopo aver presentato una serie di processi teleologici natu- rali, e dopo aver escluso che la loro finalita sia dovuta alla tecnica o all'intelligenza, Aristotele sembra ricondurre tale carattere teleologico alla natura’. Alle righe 199a 26-9, infacti, afferma che la costruzione del nido da parte di una rondine, la tessitura della tela da parte di un ragno o lo sviluppo delle foglie e delle radici nelle piante avvengono per natura e in vista di un fine. Subito dopo, inoltre, viene precisato che la natura pud essere detta in due sensi, come materia e come forma, e che, in questo secondo significato (cioé intesa come forma), essa si identifica con il téAogs. Con cid, cuttavia, Aristotele non sembra voler inten- dere che la natura é responsabile della finalica naturale solo in quanto forma o risultato del movimento. La crescita delle foglie e delle radici, la costruzione del nido ¢ della te- la, infatti, sono processi e, in quanto tali, richiedono un principio del movimento, o meglio, trattandosi di feno- meni naturali, un principio interno del movimento. 81 Ce. supra, pp. 55-60, 77-9. L'idea che il caso, a cui la natura vie- ne contrapposta, sia un principio del movimento & esplicitamente stabi- Iica alle righe 198a 2-3 di Physica B 6 (cfr. supra, p. 66). ®2 Cir. supra, pp. 104, 108. 83 Cfr.Phys. B8, 199a 30-2; De part. an. A 1, 641a 25-7. ILSIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 159 Liidea che la natura sia responsabile del carattere teleo- logico dei processi naturali proprio in quanto principio in- terno, d'altra parte, @ sottolineata nello stesso capitolo ot- tavo di Physica B. Alle righe 199b 13-7, infatti, Aristotele afferma che, chi considerasse casuali i processi di generazio- ne seminale, eliminerebbe la natura e gli enti che sono per natura. Questi ultimi vengono quindi definiti come “quelle cose che mosse in modo continuo da un principio ad esse interno, raggiungono un fine determinato” (60a Gnd tivog Ev adtoic Gpyiig GUVEXGs KivOdPEVa adikvEitaL gig tt téA0<). Nella parte conclusiva del capitolo, inoltre, il nesso tra la finalita dei processi naturali e la nozione di “natura” come principio interno del movimento diventa ancora pitt esplicito. Qui, infatti, dopo aver stabilito che la finalita non richiede necessariamente una causa motrice capace di deliberazione, e dopo aver sottolineato che anche le produ- zioni tecniche non sono il risulrato di una deliberazione, Aristotele afferma che la tecnica opererebbe in modo simile alla natura, qualora fosse interna all’oggetto della sua pro- duzione. Al fine di illustrare questa possibile somiglianza, in ultimo, Aristotele ricorre proprio all’esempio che, in Physica B 1, 192b 23-7, aveva utilizzato per chiarire il se- condo tratto definitorio del concetto di “principio inter- no”: l'esempio del medico che cura se stesso. Alle righe 199b 30-2, infatti, viene stabilito che l'operare della natu- ta@ simile a quello di una persona che cura se stessa. «E assurdo non ritenere che qualcosa si verifica in vista di un fine, se non si é visto che il motore ha deliberato. A di re il vero, anche I'arte non delibera. E se l'arte di costruzio- ne delle navi si trovasse nel legno, essa opererebbe come la natura (Kai ei Evi év 16 EvAw H vavmnyiKh, dpoiws av th ovoet énoiet). Di conseguenza, se l'essere in vista di un fi- ne @ presente nell’arte, allora [@ presente] anche nella natu- ra, Cid risulta soprattutto evidente, quando uno cura se stesso. A questo infatti assomiglia la natura (udAtota 5 160 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE SHdov, Stav tig iatpedy abt Eavtdv tovtw yap ~oiKev gvor<)» (Phys. B 8, 199b 26-30). Si cratta ora di comprendere in che modo la presenza di un principio interno del movimento renda teleologico un processo naturale, cio dorato di una causa finale. La de- finizione di “principio interno del movimento” formulata in Physica B 1 sembra fornire a questo proposito qualche chiarimento. In base a Physica B 1, come si é gid osservato’', qual- cosa @ un principio interno, se rappresenta allo stesso tem- po il principio di identita (la forma) e la causa motrice di cid di cui é principio, e se determina un processo il cui ri- sultato @ una forma, che @ dotata a sua volta di una funzio- ne motrice, e che é quindi capace di reiterare, in maniera circolare e ricorsiva, la stessa dinamica: la forma produce e riproduce se stessa; un uomo genera un uomo. In altre pa- role, qualcosa @ un principio interno del movimento, se é causa di un processo di auto-produzione. Da cid sembra possibile inferire che i] movimento de- terminato dalla ovotd/principio interno, in quanto auto- produzione, @ caratterizzato da una direzionalita circolare, cioé dal fatto di procedere verso un fine interno al proprio sviluppo. Poiché il movimento causato dalla natura non ha un fine esterno, bensi interno ad esso, il fine é allo stesso tempo il risultato del processo e il processo medesimo’, cio coincide con realizzazione e la conservazione numerica ¢ specifica degli organismi. Cosi inteso, il fine @ inoltre un bene, non assoluto o universale (GmA@c), ma_ relativo all'oboia di ciascuna cosa (mpdg tt): tale, infatci, é per ogni 84 Cfr. supra, 4.2. 85 Questa @ la caratteristica di quel particolare tipo di processo che Aristotele chiama npdgic e évépyera (cfr. Metaph. © 6, 1048b 18-36) € che, in Metaph. © 8, 1050a 34-b 3, definisce come un processo che non si realizza in altro bensi nella cosa stessa (cfr. supra, p. 131 nota 30). ILSIGNIMICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 161 singolo organismo il suo essere e, tramite la riproduzione, la sua “partecipazione” all’erernita %, In base a questa interpretazione, quindi, la causa fina- le non @ un’aitia a sé stante, capace di esplicare di per sé € autonomamente la sua funzione. II carattere teleologico dei processi naturali, come quello delle azioni e delle produ- zioni tecniche, @ piuttosto dovuto al fatto di essere deter- minati da un particolare tipo di principio del movimento. Cid, cuttavia, non significa che la causa finale sia ridotta al principio del movimento e che si identifichi con esso dal punto di vista dell’etvat. La definizione di “principio in- terno del movimento”, infatti, in quanto definizione della causa di un processo che ha un fine interno al proprio svi- luppo, implica l’esistenza del té40¢, ma non la sua identita funzionale con il principio del movimento: quest’ultimo & cid a parcire da cui il movimento si realizza, mentre il téhog @ cid verso cui e in vista di cui il movimento procede e, trattandosi di un téAog interno, cioé in cui il movimento consiste. In altre parole, la definizione di “principio inter- no del movimento” implica il carattere teleologico dei pro- cessi da esso causati e l'esistenza del téAog cosi come le defi- nizioni di téyvn e di mpoaipeots implicano il carattere teleologico delle produzioni tecniche e delle azioni inten- zionali. In entrambi i casi, il principio del movimento agi- sce ed opera in vista di un fine che, pur essendo contenuto nella definizione del principio del movimento, non si iden- tifica tout court (cid dal punto di vista dell’eivat) con esso. In un certo senso, si potrebbe dire che, nell'ambito degli enti e dei processi naturali, il principio interno del movi- mento svolge il ruolo che, nell’ambito delle produzioni tecniche e delle azioni, @ svolto dall’intenzionalica. Si tratta, tuttavia, di un’equivalenza solo funzionale, perché il carat- 86 Cfr. De an. B 4, 415a 26-b 7; De gen. an. B 1,73 1b 23-732a 1; De gen. et corr. B10, 336b 27-337a 7. 162 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE tere intenzionale delle azioni e delle produzioni tecniche comporta un fine esterno al loro sviluppo. Per i processi naturali, invece, essere determinati da un principio interno del movimento significa avere un fine interno e quindi es- sere essi stessi il fine. Questa interpretazione della teleologia naturale aristo- telica basata sul concetto di gvotd/principio interno del movimento sembra coerente con alcuni dei principali a- spetti della causa finale teorizzati da Aristotele in diversi passi del corpus. Sia nell’'ambito dell'indagine dossografica sviluppata in Metaphysica A 3-10 che in Physica B 2, infatti, Aristotele stabilisce che il téA0g @ causa di enti mobili ed é responsabile dei loro movimenti’’. In entrambi i casi, i- noltre, il téA0g viene identificato con un beness. In Physica B7, 198b 4-9, questa caratterizzazione del téAog in termi- ni di bene é oggetto di un’ulteriore precisazione: il bene o il meglio a cui si fa riferimento in una spiegazione teleolo- gica non é il bene assoluto o universale (@nA dc), ma quello relativo all'ovoia di ciascuna cosa8?. Che questo bene rela- tivo si identifichi, in ultima istanza, con gli stessi processi in cui gli organismi sono coinvolti ¢ in cui consiste il loro essere e la loro conservazione numerica e specifica sembra confermato non solo dalla formulazione aristotelica delle spiegazioni finalistiche, ma anche da De partibus animalium A 5, 645b 14-7, da De anima B 4, 415a 26-b 7 e da De generatione animalium B 1, 731b 18-732a 3. Le spigazioni finalistiche che Aristotele formula negli scritti biologici, infatti, sono sempre o per lo pit’ spiegazioni in cui la for- mazione e la costituzione di un organo vengono ricondot- te, dal punto di vista causale, all'attivita che l'organo svol- 87 Cfr. Metaph. A 9, 992a 29-b 1; Phys. B 2, 194a 27-30; Metaph. B 2,996a 21-32. $8 Cfr. Metaph. A 3, 984b 11-22; A 6, 988a 14-17; A 7, 988b 13-6; Phys. B 2, 194a 32-3. ®9 Cfr. De inc. an. 2, 704b 12-8. IL SIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 163 ge all'interno del corpo vivente, intesa come attivita fun- zionale all'esistenza ¢ alla conservazione del corpo vivente”. In De partibus animalium A 5S, 645b 14-7, dopo aver stabi- lito che ogni strumenco é in vista di un fine e che ciascuna delle parti del corpo @ uno strumento, Aristotele precisa che il fine & una certa attivica (mpG&ig t1¢) e che il corpo in- tero @ costituito in vista di un'attivica complessa®. In De anima B 4, 415a 26-b 7 e in De generatione animalium B 1, 731b 18-732a 3, l'essere eternamente che si realizza trami- te la riproduzione é presentato come un bene e come cid in vista di cui ogni ence naturale agisce. Liidea che la definizione di ovo1g come principio in- terno del movimento sia allo stesso tempo una definizione della teleologia naturale sembra quindi presentare un certo supporto testuale. E, sulla base dell’indagine sin qui svol- ta, si potrebbe anche ritenere che la definizione di ovoig rappresenti la principale giustificazione della formula con cui Aristotele sintetizza ripetutamente la sua teoria finali- stica: “la natura non fa nulla invano, ma tutto in vista di un fine”. Lipotesi appena avanzata @ tuttavia carente e proble- matica da diversi punci di vista. Essa non pare in grado di spiegare quello che, in base a Metaphysica A 7, 988b 6-16 A 10, 1075a 36-b 10, rappresenta il principale tratto di- stintivo di un’autentica causa finale: il fatto di essere un bene che svolge il suo ruolo causale proprio in quanto bene e non in quanto altro, e che quindi rappresenta cid in vista di cai il movimento si realizza™. Sulla base della definizione di 90 Cf. per esempio De part, an. A 3, 677b 31-2; A 12, 694b 6-9. Cid vale anche per Physica B 8, 198b 23-7, dove Aristotele afferma che il fine in vista del quale i denti si formano é il tagliare ¢ il masticare il cibo. 1 Cf. anche De part. an. A 5, 645b 28-32; A 12, 694b 114. 9% Cfr. anche De gen. et corr. B 10, 336b 27-34. 9%3 Cfr. De inc. an, 2,704b 12-8, Sul significato di questa formula, cfr. J.G. Lennox (2001b, pp. 205-23). 4 Cfr. supra, pp. 4-6. 164 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE “principio interno del movimento’, infacci, il fine sembra poter essere inteso, al massimo, come cid verso cui il movi- mento procede. Inoltre, il fatto che il fine sia interno allo sviluppo del movimento determinato dalla gbo1g comporta un’indistinzione tra processo e fine del processo che sembra complicare e confondere ulteriormente le cose. Bisogna cuttavia considerare che, nello sciogliere la definizione di ovoug formulata in Physica B 1, si 8 omesso € trascurato un elemento fondamentale dei processi teleolo- gici naturali: la materia. La materia (cioé il corpo e le sue parti), infacti, rappresenta lo strumento del fine, vale a dire cid che, secondo Aristotele, esiste ed opera in vista di un fi- ne. Per risolvere i problemi suesposti e per verificare Vipotesi sin qui avanzata, si tratta quindi di “calare” la de- finizione di ¢vo1g nella materia, cioé di tradurre il concetto di “auto-produzione” e lo schema astratto dei suoi principi causali in una dinamica di svolgimento concreta. In altre parole, si tratca di comprendere a che cosa corrisponde, dal punto di vista fisiologico, la forma nel suo duplice ruolo di principio del movimento e di fine, e quindi di chiarire che cos’é la forma, che relazione intrattiene con la materia e in che modo si realizza nella materia. A questo sviluppo della ricerca saranno dedicati i prossimi due paragrafi® e soprattutto il sesto capitolo. I prossimi due paragrafi sono relativi rispettivamente a Physica B 2 € a Physica B 9, dove Aristotele definisce la sua accezione causale del termine “materia” come strumento di un fine. L’obiettivo del sesto capitolo, invece, @ quello di verificare le ipotesi formulate sulla base di Physica Be di ri- costruire quella che, secondo Aristotele, & la dinamica di svolgimento dei processi nutritivi e generativi. 95 Chr. infra, 4.5-4.6. ILSIGNIPICATO DELLA DEFINIAIONE DI “TELEOLOGIA™ 165 4.5 Lioggetto della scienza della natura e il rapporto tra la formalfine ¢ la materialmezzo: Physica B 2 In base a Physica B 2, 194a 27-8 € Physica B 3, 194b 32-195a 3, un processo finalistico si compone non solo di un principio del movimento e di un fine, ma anche di un mezzo, cioe di un’entita che si colloca tra i termini estremi del movimento ¢ che rappresenta cid di cui il téA0g é causa. Ammesso, quindi, che un processo naturale sia teleologico in quanto determinato dalla 9vot, intesa come principio interno del movimento, si tratta ancora di chiarire che cosa svolge in esso la funzione di mezzo e in che modo. L'indagine aristotelica sul mezzo @ un'indagine sul ruolo della materia all’interno di una dinamica teleologica. Tale ricerca prende avvio in Physica B 2 e sembra costituire il naturale sviluppo dell’argomentazione svolta in B 1. Nei paragrafi precedenti si @ avanzata l'ipotesi che Vobiettivo di Physica B sia quello di ridefinire la forma e la materia, gia introdotte in Physica A 7 come Gpyai del mo- vimento, in termini di cause dell’ente naturale%. In Physica B 1, infatti, Aristotele si chiede quale delle due rappresen- ti il miglior candidato al ruolo di principio interno del movimento e a quello di ovoia. E, dopo aver discusso le teorie dei Fisiologi e gli argomenti da essi avanzati a favore dell’identita tra la obotc/oboia e la materia, li sottopone a critica, con l'intento di dimostrare che non la materia, ben- si la forma, rappresenta la natura/principio interno ¢ Vessenza di cid che esiste ovcet. Physica B 2 & invece dedicato al rapporto causale che intercorre tra forma e materia. Qui, Aristotele intende pre- cisare che, per quanto la materia non si identifichi con lovoia e con il principio interno, nondimeno é anch’essa dorata di una funzione imprescindibile nella costituzione e 96 Cfr. supra, 4.3. 166 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE determinazione dei fenomeni naturali. L’obiettivo sembra quello di riformulare sul piano eziologico una delle princi- pali tesi stabilite in Physica A 7, cio’ V'idea che gli enti na- turali, in quanto soggetti a movimento, sono composti di eldog e HAN”. Si tracta, in altre parole, di definire la forma e la materia non pitt come entita irrelate o caratterizzate so- lo in base al rapporto che intrattengono in quanto aspetti strutturali del movimento, bensi come membri di una re- lazione che ne garantisce l'unita e ne fissa il rispettivo ruolo causale. Tale relazione é di tipo teleologico: la materia, in quanto causa degli enti naturali, @ un mezzo finalizzato alla realizzazione della forma; quest’ultima, viceversa, rappre- senta il fine della materia. Con cid, la funzione finalistica della forma, che era rimasta implicita nella definizione di “natura” formulata in Physica B 1, viene chiaramente tema- tizzata. E che lo sia proprio in un capitolo mirante a defini- te il ruolo causale della forma e della materia nei termini del loro rapporto non é forse un caso. La materia, infatti, & cid di cui il téAog @ causa. Liidentificazione del rapporto teleologico che lega forma e materia, inoltre, @ funzionale alla definizione dell’oggetto proprio della scienza naturale: tale rapporto é cid che delimita l’ambito della fisica aristo- telica, distinguendola dalla matematica, dalla dottrina platonica, dall'indagine naturalistica dei Fisiologi e dalla filosofia prima. Liindagine sviluppata in Physica B 2 si articola in quattro parti. La prima (193b 22-194a 15) @ finalizzata a precisare che la scienza della natura non si occupa della sola forma e del solo ti éottv degli enti naturali, bensi anche della loro materia, e che il suo oggetto @ un composto di el8oc e van. L’obiettivo polemico é rappresentato dalla dot- trina platonica, cioé dall’idea che gli enti naturali possano 9 Cfr. Phys. A7, 190a 14-6, 190b 11, 17-20. ILSIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI ~TELEOLOGIA™ 167 essere considerati, come quelli matematici, a prescindere dalla materia e dal movimento. Lo spunto che da avvio alla ricerca @ rappresentato dal problema relativo alla distinzione tra fisica e matematica. Tale problema @ sollevato dal riconoscimento del fatto che gli enti naturali, di cui si occupa la fisica, sono dotati di proprieta che costituiscono l'oggetto di studio della ma- tematica, come |’avere una superficie, una lunghezza, una larghezza e simili. A parcire da questa constatazione, Ari- stotele si chiede se si debba limitare l'indagine fisica all'essenza e al ti éottv degli enti naturali, ed escludere quindi quelle loro proprieta a cui si rivolge la matemati- ca, Tale ipotesi @ giudicata subico assurda. I fisici, infacti, nella loro normale ricerca, si occupano di questioni relative al carattere sferico o meno della terra e del cosmo, e utiliz- zano abitualmente i concetti di “superficie”, “figura”, ecc. La parziale sovrapposizione dei due ambiti disciplinari co- stituisce tuttavia un problema, presumibilmente perché ne compromette la rispettiva autonomia. Aristotele risolve questa difficolta € assicura la distinzione delle due scien- ze, precisando che fisica e matematica, pur avendo in comune lo studio di alcune proprieta degli enti naturali, non se ne occupano allo stesso modo. La differenza tra le due éxtotjpat consiste nel fatco che la fisica tratca la lun- ghezza, la larghezza e la superficie come attributi degli enti naturali, mentre la matematica le considera di per sé, cio a prescindere dal soggetto di cui si predicano. «Dopo aver stabilito in quanti modi [si dice] la natura, bi- sogna considerare in che cosa il matematico si differenzia 98 Si tratta di proprieta che Aristotele include nella classe degli “accidenti per sé” (cfr. Phys. B 2, 193b 27-8), cio’ di quei predicati che, pur essendo eterni, cio? pur predicandosi sempre di cid di cui sono attri- buti, non riencrano nell’essenza di cid di cui si predicano (cfr. Metaph. A 30, 1025a 30-4). 168 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE dal fisico (i corpi naturali, infatti, hanno superfici, solidi, lunghezze e punti, sui quali indaga il matematico). Inol- tre, [si deve considerare] se l'astronomia @ una parte della fisica o (una scienza] diversa. In effetti, se & proprio del fi- sico conoscere il che cos’é del sole o della luna, ma non gli attributi che appartengono loro per sé, cid & assurdo, anche sopratcucto perché gli scudiosi della natura evidentemen- te si occupano anche della figura della luna e del sole, ¢ i- noltre della sfericita 0 meno della terra e del cosmo. Di queste cose, dunque, tratta anche il matematico, ma non in quanto ciascuna di esse @ un limite di un corpo natura- le; né [egli] scudia [cali] aceribuci in quanco aceribuci di tali [corpi nacurali). Percid li separa (nepi TovTOV hév obv TMpayyatevetar Kai 6 pabnpatixds, GAA’ oby v ovorKod odpatog népag éxaotov’ ode ta oULPeBNKdta Bewpei j torovtoig Odor ouUuPEBnKev’ 810 Kai yopiler)» (Phys. B 2, 193b 22-34). II nesso che intercorre tra questa distinzione e il pro- blema relativo al ruolo causale della materia viene progres- sivamente portato alla luce nelle righe seguenti. Subito dopo aver mostrato in che cosa consiste la differenza tra la matematica e la fisica, Aristotele ne fornisce la seguente giustificazione: che la matematica possa studiare lunghezza, larghezza e simili, astraendole dall’ente naturale, dipende dal fatto che queste proprieta sono separabili dal movi- mento di cui lente naturale @ dotato. Tale separabilica fa si che la particolare impostazione di indagine della matemati- ca non comporti alcun errore e alcuna falsita: in quanto se- parabili dal movimento, tali proprieta possono essere as- sunte come immobili. Cid - precisa Aristotele - non vale, invece, per gli enti naturali di cui gli attributi menzionati si predicano: essi non sono separabili dal movimento a cui risultano soggetti ¢ non possono quindi essere considerati a prescindere da esso, come entita immobili. Da cid segue che sbagliano coloro che pongono le idee e che trattano gli enti naturali come se fossero enti matematici. Che gli enti naturali siano inseparabili dal movimento @ reso evidente IL SIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI ~TELEOLOGIA™ 169 anche dalle definizioni loro e degli attributi che di essi si predicano. Mentre, infatti, gli enti matematici sono defi- nibili senza far menzione alcuna del movimento, la carne, le ossa ¢ J'uomo non possono essere definiti se non in quanto mobili, La differenza tra enti matematici e naturali - con- clude Aristotele - @ analoga a quella che intercorre tra il con- vesso ¢ il naso camuso. «(Questi actribuci] sono infatti separabili, con il pensiero, dal movimento, e [cid] non comporta alcuna differenza, né si genera alcun errore, se li si separa (yapiotd yap Th voroet Kivioeds éott, Kat oddev Sradeper, obse yiyvetat weddog yopdvtwv). Non si accorgono di far cid coloro che afferma- no l'esistenza delle idee. Essi, infatti, separano le cose natura- li, le quali sono meno separabili di quelle matematiche. Cid risulterebbe evidente, se si cercasse, per ciascuna di queste cose, di formulare le definizioni, sia di esse che degli actri- buti. Infacti, il dispari e il pari, il retto e il curvo, e anche il numero, la linea e la figura saranno [definiti] senza movi mento, mentre la carne, l'osso e l'uomo non [saranno defini ti] pitt [senza movimento], ma questi si dicono come il naso camuso e non come il convesso» (193b 34-194a 7). Con quest’'ultima analogia tra gli enti matematici e il convesso da una parte, e gli enti naturali e il naso camuso dall'altra, Aristotele sembra voler collegare il problema del- la rispettiva separabilita e inseparabilita dal movimento a quello della separabilita e inseparabilité dalla materia. IL camuso e il convesso, infatti, si distinguono perché il pri- mo indica la convessita di un naso, mentre il secondo é re- lativo alla sola convessita e prescinde dalla materia in cui @ realizzata”. I] nesso tra movimento e materia viene esplici- tamente sottolineato poco dopo il riferimento al convesso e al naso camuso. Alle righe 194a 12-5, riprendendo la di- ” Cfr. Metaph. E 1, 1025b 30-1026a 1; Z 5, 1035a 4-6, 25-6; Z 11, 1037a 29-32. 170 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELD stinzione tra forma e materia, Aristotele afferma che, in quanto analogo alla camusita, Vente naturale non deve esse- re considerato né indipendentemente dalla materia né se- condo la materia. «Poiché la natura [si dice] in due sensi, la forma e la mate- tia, bisogna studiarla come se si indagasse che cos’e la ca- musiti. Di conseguenza, [bisogna studiare] cali cose né senza la materia né secondo la materia (Got obt dvev bAng ta toradta obte Kata Thy DANY)» (194a 12-5). La materia, quindi, rappresenca un “ingredience” fondamentale nella costituzione ontologica degli enti natu- rali: in quanto intrinsecamente mobili, questi ultimi sono composti anche di materia. Con cid, Aristotele riprende quanto aveva gia stabilito in Physica A 7. La riaffermazione di questa tesi sembra resa necessaria dalla difference pro- spettiva di indagine adottata in Physica B e dai risultati conseguiti in B 1. La confutazione della teoria dei Fisiologi - cioé dell'idea che la materia rappresenti la gvot/ovcia degli enti naturali - e l'identificazione tra forma e principio interno, potrebbero far supporre che gli enti naturali pos- sano essere considerati a prescindere dalla materia e sugge- tire la validita della dottrina platonica. Utilizzando come spunto il problema della distinzione tra fisica € matemati- ca, Aristotele ribadisce invece che la materia, pur non es- sendo l’ovoia e il principio interno del movimento degli enti naturali, svolge nondimeno una funzione importante ¢ imprescindibile nella loro costituzione ontologica. La riaffermazione della tesi stabilita in A 7 tiene cut- tavia conto dei risultati conseguiti in B 1. L’idea che la forma, in quanto ovoia degli enti naturali, sia prioritaria tispetto alla materia, infatti, sembra motivare l'ultima frase citata: “di conseguenza [bisogna studiare] tali cose né senza la materia né secondo la materia” (194a 12-5). Cid significa che, seppure la materia svolge un ruolo importante nella IL SIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA 171 determinazione degli enti naturali e dei loro processi, tale ruolo @ subordinato a quello della forma. Il resto del capitolo é finalizzato a fornire ulteriori in- formazioni circa il rapporto tra forma e materia, € a precisa- recon maggiori dettagli l'ambito di percinenza della fisica. Nella seconda parte di B 2 (194a 15-27), Aristotele affronta nuovamente il problema relativo all'oggetto della scienza naturale. L’intento é duplice: si tratta di sottolinea- re, questa volta contro i Fisiologi, che la fisica non si occu- pa della sola materia, e di giustificare, attraverso un’analisi della relazione tra etSog ¢ An, l'idea che entrambe sono di pertinenza della ovoiKy extotHpN. Dopo un breve richiamo ai due significati del termine gvaig - forma e materia -, Aristotele si chiede se la fisica debba occuparsi dell’una o dell’altra oppure di cid che ri- sulta dalla loro combinazione. La domanda sembra avere a che fare con la questione relativa all’unica dell’oggetto della scienza naturale. Le tre possibilica che Aristotele avanza, in- facti, paiono tali da garantire in modo diverso tale unit: lo studioso della natura pud occuparsi o della sola forma, o della sola materia 0, infine, di cid che risulea dalla loro combinazione, inteso come entita unitaria. Questa terza opzione sembra pit delle altre coerente con i risultati fino ad ora raggiunti: essa @ conforme all'idea, introdotta in Physica A 7 e ribadita nella prima parte di B 2, che forma e materia svolgono entrambe un ruolo nella determinazione degli enti naturali e dei loro processi. Tuctavia, l’ipotesi che la fisica studi cid che risulta dalla combinazione di forma e materia, si rivela subito discutibile, se intesa come soluzione del problema relativo all’unita dell’oggetto della fisica. Non necessariamente, infatti, il risultato di una sin- tesi rappresenta un’entita unitaria. Dire, quindi, che il na- turalista si occupa di cid che risulta dalla combinazione di forma e materia non é di per sé sufficiente per spiegare per- ché la forma e la materia sono un‘unita, e quindi per chia- 172 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE rire se la forma e la materia sono sono oggetto della stessa scienza o di scienze diverse. «Anche riguardo a cid, infatti, ci si potrebbe chiedere, ché due sono le nature, di quale delle due si occupa il fisico (rept notépag tod ovoikod)? Oppure [si occupa] di cid che risulta dalla loro combinazione (fj nepi tod && Gpdoiv)? Ma se [si occupa] di cid che risulta dalla loro combinazione, lora [si occupa] sia dell'una che dell'altra (GAM’ et mepi tod &E dugoiv, Kai nepi tod éxatépag). E dunque compito della stessa scienza conoscere I'una e l'altra o [esse sono oggetto] di scienze diverse (nétepov ovv Tig adtis f GAAns éxatépay yvopiCetv)?» (194a 15-8). Un breve richiamo alla posizione dei Fisiologi viene introdotto per mostrare come la loro pratica scientifica cor- tisponda alla seconda delle possibilita proposte. L'indagine sulla natura sviluppata dai Fisiologi, infatti, a parce qual- che rara eccezione, incarna il modello di una scienza fisica che ha come oggetto la sola materia. L’eccezione @ rappre- sentata dalle teorie di Empedocle ¢ di Democrito, nelle quali compaiono riferimenti alla forma ¢ all’essenza'™. «Chi prendesse in considerazione gli antichi, potrebbe ri- tenere che [la scienza della natura riguardi] la materia (in- fatti, Empedocle e Democrito colsero la forma ¢ l’essenza in piccola parte)» (194a 18-21). A questo punto, invece di richiamare anche la dottri- na di Platone, come esemplificazione della prima possibilicd - cio? dell'idea che la fisica si occupi della sola forma -, Ari- stotele passa direttamente alla terza opzione, avanzando un argomento che sembra finalizzato a giustificarla e a fugare il sospetto che essa non sia in grado di assicurare l'unita dell’oggetto della fisica: un riferimento all’arte viene utiliz- 100 Cfe. De part. an, A 1, 642a 17-28; Dean. AS, 410a 1-3; Metaph, A 10, 993a 17-24; M4, 1078b 19-21. IL SIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 173 zato sia per stabilire che la conoscenza della forma e della materia spetca alla stessa émotin, che per precisare in quale modo forma e materia costituiscono un’unica. Il medico — afferma Aristotele - studia tanto la salute quanto la bile ¢ il flegma, nei quali la salute si realizza. A- nalogamente, l'architetto si occupa sia della forma della casa che dei mattoni € dei legni che di tale forma costituiscono la materia, e cid vale per ogni altra tecnica. Ma il fatto che le arti siano relative sia alla forma che alla materia, non si- gnifica che il loro oggetto costituisca una molteplicita, piuttosto che un’unica. Gli artigiani, infacti, non conosco- no la forma e la materia considerandole come entita separa- te e indipendenti l’una dall’altra. Al contrario, la loro cono- scenza della materia mediata dal riferimento alla forma e viceversa: essi conoscono la forma e la materia fino ad un cer- to punto (uéxpi tov), cioe trattano la materia come sostrato della forma, e la forma come cid che nella materia si realizza. E se questa modalita di indagine assicura l'unitd dell’og- getto dell'arte, allora, posto che l'arte imita la natura, anche la fisica, pur studiando sia la forma che la materia, é relativa a qualcosa di unitario. «Se, invece, l'arte imita la natura, ed @ compico della stessa scienza conoscere la forma e la materia fino ad un certo pun- to (nézpt tov) (per esempio, & compito del medico [conosce- te] la salute, nonché la bile e il flegma, nei quali la salute [si realizza], € allo stesso modo & compito dell’architetto [cono- scere] la forma ¢ la materia, [e sapere che quest’ ultima @] pie- tre e legni; e ugualmente negli altri casi), allora anche della scienza della natura sara compito conoscere entrambe le na- ture» (194a 21-7). Il rapporto che intercorre tra forma e materia, rappor- to in virth del quale Aristotele risolve il problema dell’unica dell’oggetto della fisica e definisce progressiva- mente l'accezione causale dei termini “materia” e “forma”, sottoposto ad un ulteriore approfondimento nella terza 174 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE parte del capitolo (194a 27-b 9). Qui, come si é gid osser- vato!!, viene introdotta per la prima volta in modo esplici- to, nell’ambito di Physica B, la nozione di “fine”, inteso come termine estremo ed ottimo delle cose che presentano un movimento continuo. Aristotele afferma che ¢ compito della stessa scienza studiare non solo la forma e la materia, ma an- che il fine e cid che @ in vista di esso (il mezzo), perché anche il fine costicuisce uno dei significati del termine “natura”. Il riferimento al tédog reintroduce il movimento nell'analisi del rapporto tra forma e materia, E Videntifi- cazione implicita del fine con la forma e del mezzo con la ma- teria viene utilizzata per precisare ulteriormente il modo e la misura in cui il fisico deve conoscere sia la forma che la ma- teria. Lo spunto é di nuovo offerto da un’analogia con l'arte. Nell’'ambito delle scienze produttive vi sono due tec- niche che “governano” e conoscono la materia: la tecnica che la utilizza e quella architettonica. La tecnica architettonica & relativa alla conoscenza della forma: il timoniere sa e deter- mina quale forma debba avere il timone. La tecnica che usa la materia, invece, @ relativa alla conoscenza della An: Vartigiano sa con quale tipo di legno e con quale tipo di operazioni si debba costruire un timone. Ma, per quanto conoscenza della materia, anche la tecnica dell'artigiano - precisa Aristotele - @ in qualche modo architettonica: la scelta dei legni adatti e delle operazioni necessarie per rea- lizzare un timone é infatti guidata dal riferimento alla for- ma. Cid significa che la materia, intesa come causa degli ar- tefatti e degli enti nacurali, cio€ come sostrato e mezzo della forma/fine, @ un’entita intrinsecamente relazionale, la cui natura @ stabilica in rapporto all’eiSod/téA0g di cui & materia: la materia - conclude Aristotele - é qualcosa di re- lativo, nel senso che ad ogni differente tipo di forma corri- sponde un differente tipo di materia. 10 Cr. supra, 2.1. IL SIGNIFICATO DELLA DEFINIZIONE DI “TELEOLOGIA™ 175 «Jnolere compito della stessa scienza [conoscere] anche il cid in vista di cui ¢ il fine, e le cose che sono in vista di questi. Ma la natura rappresenta un fine € cid in vista di cui (delle cose che presentano un movimento continuo, in- facti, vi @ un fine, € questo @ il termine estremo e¢ cid in vi- sta di cui. Percid, il poeta si spinse, per ridere, a dire “ha la fine in vista della quale nacque”. Infatti, non ogni termine estremo é un fine, bensi l’ottimo). Poiché anche le cecniche producono la materia, alcune in tutto e per cucco ¢ altre rendendola funzionale all’opera, € utilizziamo cucte le cose come se fossero a noi finalizzate (anche noi siamo in un cer- to senso un fine. Il cid in vista di cui si dice infatci in due sensi. Se ne @ parlato negli scritti sulla filosofia), Due sono le tecniche che governano la materia e che sono conoscitive, quella che la ucilizza ¢ quella che dirige la produzione. Per- cid, anche la tecnica che la ucilizza, in un cerco senso, é di- rettiva, ¢ [le due tecniche] differiscono perché I'una - quella direttiva - conosce la forma, mentre l’altra - quella che & productiva - [conosce] la materia. II timoniere, infatti, sa e stabilisce di che tipo @ la forma del timone, l'altro invece (sa e stabilisce] a partire da quale legno e tramite quali operazioni ci sara [un timone] ( wév yap Kvpepyyms TOtdy tt 16 eiS0g to mSahiov yvopiter Kar Enitatter, 6 5 &k mdLov EvAov Kai noiwv Kivioe@v éotat). Nell’ambito degli artefatti siamo noi a produrre la materia in vista dell’opera, mentre nell’ambito delle cose naturali la materia sussiste gia. Inoltre, la materia fa parte delle cose relative: ad una diversa forma corrisponde, infatti, una diversa ma- teria Et tOv mpdg tt H DANY GAAW yap Eider GAAN An)» (194a 27-b 9). Con cid, oltre a risolvere il problema dell'unita dell’og- getto della fisica, Aristotele ha anche fornito qualche precisa- zione circa le modalita di subordinazione della materia alla forma, approfondendo quanto alle righe 194a 14-5 aveva stabilito: il naturalista non deve studiare gli enti naturali né a prescindere dalla materia né secondo la materia. La materia non pud essere omessa, perché costituisce, insieme alla for- ma, una causa dell’ente naturale. Tuttavia, occuparsi della materia degli enti naturali non significa trattarla come una 176 CAUSA FINALE SOSTANZA ESSENZA IN ARISTOTELE cosa indipendente che si aggiunge alla forma in maniera estrinseca. Al contrario, la scienza fisica deve studiare la materia in quanto mezzo di un fine, ciot come sostrato a- datto alla sua realizzazione. La quarta ed ultima parte del capicolo (194b 9-15) & dedicata alla forma e sembra finalizzata a precisare in che cosa consiste la conoscenza fisica di essa. Aristotele si chiede fino a che punto lo studioso della natura debba conoscere la forma e il ti ott. La risposta, veicolata da un‘ulteriore analogia con l'arte, @ la seguente: la fisica deve conoscere la forma sulla base della relazione finalistica che la lega alla materia, cioé come téA0g di un insieme di materiali adatti alla sua realizzazione. La conoscenza della forma, intesa co- me entita separata dalla materia, @ invece di pertinenza del- la filosofia prima. «Fino a che punto, poi, il fisico deve conoscere la forma e il che cos’? Come il medico [conosce] i nervi ¢ il fabbro [co- nosce] il bronzo, [cioé] fino a cid in vista di cui ogni cosa é (uéxzpi tod tivog [yap] Evexa Exactov), e [deve conoscere] queste cose che sono formalmente separabili, ma che sussi- stono nella materia (kai nepi tadta & Eott YOpLota pev eidet, év vAn 5€). Un uomo, insieme al sole, genera infatti un uomo (Gv@panog yap GvOpwnov yevva Kai iALoG). De- terminare in che modo esiste cid che é separabile e il che cos’é, invece, compito della filosofia prima» (194b 9-15). B 2 rappresenta, quindi, un capitolo di fondamentale importanza all’interno dell'indagine sviluppata nel secondo libro della Physica. Il suo scopo sembra quello di sottoline- are l'imprescindibilita della materia nell’ambito dell’inda- gine naturalistica, e di delineare per successive approssima- zioni l'oggetto proprio della scienza fisica come composto di forma ¢ materia. E delineare l'oggetto proprio della scienza fisica come composto di forma e materia equivale a definire progressivamente la forma e la materia non pitt come entita irrelate o identificate solo in base al ruolo che

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