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3 wo 4 GLI STUDI DEMOETNOANTROPO- LOGICI IN ITALIA Lo sviluppo dell’antropologia in Italia é stato lento e disuguale, e ha seguito un cammino che si é talvolta discostato da quello degli altri paesi europei. Le ra- gioni possono talvolta risultare di difficile compren- sione, soprattutto se osservate dall’esterno, anche a causa di ambiguita terminologiche che in parte per- sistono ancora ai nostri giorni. Sebbene le questioni terminologiche abbiano talvolta innescato dibattiti sterili o siano state utilizzate come pretesti per lotte di potere accademico, esse riflettono anche la parti- colare posizione di un paese come I'Italia che, pur possedendo una propria tradizione di ricerca almeno parzialmente orientata verso lo studio della societa e della cultura italiane, é stato esso stesso oggetto di studio di antropologi stranieri, soprattutto britannici e nordamericani. Per quanto si siano oggi molto at- tenuati, questi contrasti hanno segnato lo sviluppo della disciplina ¢ influito sulla struttura ¢ sull’or. ganizzazione dell’insegnamento e della ricerca. In effetti, non solo lo stato attuale dell'antropologia in Italia, ma anche le sue prospettive di sviluppo posso- ro essere correttamente valu ee te solo ripereorrendo una storia che abbraccia un arco di poco meno di un secolo ¢ mezzo e che & passata attraverso due grandi mi che 'hanno profondamente caratterizzata 3.14.1 DALLE ORIGINI ALLA META DEL NovEcENTO L/antropologia italiana 2 nata istituzionalmente nel 1869 con la creazione di una cattedra di Antropologia a Firenze, allora capitale del Regno d'Italia. In quel periodo il termine “antropologia” rinviava princi- palmente all’antropologia fisica ¢ il primo titolare della nuova cattedra, Paolo Mantegazza, aveva una formazione medica. Rispetto a molti suoi contempo- ranei Mantegazza aveva tutta pia del campo d’interessi della nuova scienza: aveva viaggiato molto in Europa e in America del Sud, e non provava alcuna simpatia per coloro che voleva- no ridurre l’antropologia a una disciplina che si oc- cupasse «pid del cranio che del pensiero, pitt delle raze che della psicologia comparata dell’ umana fa- miglia» (Mantegazza 1871: 19). Questo lo portd in pi occasioni a sostenere l’importanza di «quella parte della nostra scienza, che fu detta etnologia, 0 scienza dei popoli» (ibidem: 26), e non é un caso che la prima societi di antropologia italiana, fondata a Firenze nel 1870 con Mantegazza tra i suoi principali ispiratori, si sia chiamata Societa Italiana di Antropologia ed Et- nologia. Nata a Firenze, antropologia si sviluppd di lia poco anche in altre citta attraverso I’istituzione di nuove cattedre e la fondazione di societd fiche, di riviste e di musei. Questa crescita fu par- ticolarmente visibile a Roma, la nuova capitale del Regno dal 1871. La scena romana fu a lungo domi nata da Giuseppe Sergi, professore di Antropologia dal 1884 al 1916 e fondatore, nel 1893, di una Societa romana di antropologia che si staccd da quella fio- rentina, Nel 1876 una cattedra di Paleoetnologia era perd gia stata affidata a Luigi Pigorini, che in quello stesso anno cred a Roma un museo di Preistoria e di etnografia che presto ecliss6 il museo di Antropolo- gia aperto a Firenze solamente qualche anno prima da Mantegazza. a Il moltiplicarsi dei musei in questo periodo é in buona parte legato alle campagne etnografiche con- dotte da viaggiatori e esploratori (Puccini 1999). 51 Capitolo 3 Panoramica delle teorie antropologiche Lamberto Loria, forse il pits conosciuto tra tutti que- sti pionieri dell’etnografia italiana, effettud lunghi soggiorni in Africa, Asia e Melanesia e dond la sua collezione etnografica ai musei di Roma e di Firenze, Tuttavia, cid che fa di Loria un personaggio partico- larmente interessante é la sua conversione tardiva al- lo studio della cultura popolare italiana (demologia), Nella primavera del 1905, gid cinquantenne e intento a organizzare una spedizione in Africa, Loria si tro- Vo a visitare una cittadina del sud italiano, Circello nel Sannio, ¢ questa esperienza lo portd inattesamen- tea riorientare i suoi interessi. Come lo stesso Loria spiego al VI Congresso geografico italiano, «fui for- temente impressionato dalla diversita delle usanze, dei costumi e della psiche di quelle popolazioni me- ridionali [...] e mi chiesi se non fosse pitt conveniente di raccogliere documenti e manufatti etnici in Italia che non in altre lontane regioni» (Loria 1907: 5). Pas- sando dall’etnografia “esotica” allo studio del mondo popolare italiano, Loria si avvicinava cosi a folklori- sti come Giuseppe Pitré, per pid di quarant‘anni im- pegnato in ricerche etnografiche “domestiche” nella nativa Sicilia, e i cui meriti accademici furono ricono- sciuti nel 1910, quando una cattedra di Demopsico- logia (“psicologia dei popoli”) fu creata per lui a Pa- lermo. I1 1910 vide anche la fondazione della Societa di Btnografia Italiana da parte di Loria, dello storico Francesco Baldisseroni e dell’ antropologo fisico Al- dobrandino Mochi, Alla vigilia della Prima guerra mondiale il venta- glio delle scienze antropologiche comprendeva quin- di discipline che andavano dall’antropologia fisica allo studio delle tradizioni popolari italiane passan- do per la preistoria e l'etnologia. Il primo congresso della Societa di Etnografia Italiana tenutosi a Roma nell‘autunno 1911 portd tuttavia in superficie un di- saccordo nascente tra gli antropologi fisici e gli etno- logi e avvid un proceso di reciproco allontanamento che si concluse con una separazione pressoché com- pleta agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso. Fu il primo grande scisma della storia delle scienze antropologiche in Italia ed ebbe effetti a lungo ter- mine. Gli antropologi fisici persero interesse per I'et- nologia e accentuarono lo statuto “scientifico” della loro disciplina; di conseguenza l'antropologia fu da allora insegnata solo nelle facolta di scienze natural, Quanto all’etnologia, cessd di essere considerata una branca dell‘antropologia e fu assegnata epistemologi- ‘camente e istituzionalmente al campo delle discipline umanistiche. La nuova autonomia non condusse tut- tavia a un suo sviluppo accademico: la prima catte- dra di Etnologia fu istituita solo nel 1967 all’Universi- ta di Roma. Quando I’antropologia fisica e I’etnologia si separarono, quest’ ultima era molto pit debole dal punto di vista accademico e I’atteggiamento ostile della filosofia idealista allora dominante non fu certo d’aiuto. E ben nota l’avversione di Benedetto Croce, disposto a concedere non piit che un ruolo ancillare a una disciplina consacrata allo studio di quei “popoli primitivi” che egli poneva risolutamente al di fuori del processo spirituale e morale della storia. Margi- nale in ambito universitario, l'etnologia ebbe occasio- ni limitate di sviluppo professionale anche nel campo degli studi coloniali, fatta eccezione per alcuni pro- getti lanciati poco prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale. L’etnologia italiana del periodo tra le due guerre si distinse per ’importanza centrale accordata allo studio delle religioni, orientamento dovuto in buona parte all’influenza di Padre Willhelm Schmidt, leader indiscusso della scuola etnologica viennese e per al- cuni anni anche direttore del Museo Missionario Et- nologico, fondato a Roma nel 1927 con sede nel Pa- lazzo del Laterano: il suo rifiuto dell’evoluzionismo, i suoi metodi di analisi di impronta diffusionista e le sue tesi sulle origini del monoteismo furono parte in- tegrante del discorso etnologico italiano fino a meta degli anni Sessanta del Novecento (Leone 1985). Oc- corre notare che al di fuori dell’ambiente cattolico le teorie di Schmidt furono frequentemente contestate ¢ che uno dei suoi critici pitt accesi e autorevoli fu un italiano, il celebre storico delle religioni Raffaele Pet- tazzoni. Per quanto si trovasse in disaccordo con le sue tesi, Pettazzoni condivideva tuttavia la propen- sione di Schmidt a ridurre, © quasi, l’etnologia allo studio comparato della religione primitiva. Questo ebbe conseguenze non da poco sull’insegnamento dell’etnologia in Italia, dal momento che Pettazzoni. fu una figura chiave nella lotta per la sopravviven- za accademica della disciplina negli anni difficili che seguirono la separazione dall’antropologia fisica: pur occupando la cattedra di storia delle religioni a Roma, egli insegnava infatti anche etnologia e fu lui a creare nel 1947 una Scuola di Perfezionamento in Scienze Etnologiche. Verso il 1950 gli etnolog italia- ni si dividevano dunque fondamentalmente in due schieramenti contrapposti: da un lato gli allievi e so- ‘stenitori di Schmidt, dallaltro gli studiosi che si era~ no formati alla scuola di Pettazzoni o che comunque ne condividevano le posizioni. Tutti assegnavano pe- 1d un‘importanza preminente allo studio etnologico Sella religione, e tutti si iconoscevano nella tradizio~ ne teorica delle scuole storico-culturali che avevané Gominato il mondo germanofono ¢ avversavano i funzionalismo di Malinowski e Radclffe-Brown. Dal punto di vista terminologico, si pud const tare che fino al 1960 in Htalia I'uso si confor eerialmente al modello continentale europe? quale “antropologia” significava antropologia mentre “etnologia” designava quella che ny °° do anglosassone era chiamata antropologia c.™ culturale. Anche se in alcuni paesi euro, zione ® soprav vissuta fino a tempi recent, in le cose stavano cambiando. In Francia per ean come ha rilevato Maurice Godelier (1997: 3) ap logie fu gradualmente rimpiazzato da anthro sociale, termine «esplicitamente mutuato dallme pologia britannica da Lévi-Strauss e da altri stud, si che ambivano in tal modo a emancipate la lon disciplina dallo studio esclusivo dei gruppi etn, a conferirle uno statuto di scienza sociale universal mente applicabile», Anche in Italia il termine “etno. logia’” comincid a perdere terreno, a favore peri non tanto di “antropologia sociale” quanto piuttosto di “antropologia culturale”, denominazione importata dagli Stati Uniti da Tullio Tentori, un allievo di Pet tazzoni che aveva poi studiato con Robert Redfield a Chicago. Cid che occorre qui notare & che in Italia questo termine non stava semplicemente sostituen- dosi a “etnologia”, ma andava acquisendo peri sui sostenitori un significato specifico e dichiaratamente polemico per designare un orientamento teorico che mirava a contrapporsi a quello che veniva associato al termine “etnologia”. L’essenza di questo orienta- mento alternativo, esposto da Tentori e da un gruppo 4i suoi colleghi in un famoso memorandum (Bonacini Seppilli etal. 1958), consisteva in un atteggiamento assai critico verso ’etnologia, intesa come studio del- le “societa primitive”, e in un interesse preminente € quasi esclusivo per le societa complesse del mondo contemporaneo e specialmente per la societa italia- na. I suoi fautori concepivano inoltre I‘antropologia culturale come una scienza sociale applicata, capace di incidere sui Processi decisionali e di riforma socia~ le. Questo orientamento innovativo e politicamente impegnato fu indubbiamente uno dei fattori che con- Sauugn semessetemeae cae i iccademica: verso la meta degli anni Settanta, nel linguaggio comune per “antropo- Joga mlendevaoxma Fantropologa culture n gia fisica. B una vicenda che a prima vista ricorda storie simili in altri paes! dell/Eu- ropa ne tl caso italiano presenta tuttavia alcune singolarita, legate sopratturee di buona parte ameno degli esponecen a ean logia culturale a dar vita a una disciplina che com. prendesse insieme lo studio delle socteta “aenny™ delle societa “complesse”, come si cercava minty fare in quegli stessi anni in altri paesi. Essi tendecara piuttosto a lasciare lo studio delle «lontane regions (per riprendere l'espressione di Loria) agli etneion 2 erigere I'antropologia culturale come discipling’ <, gi es la Sociale Pei la distin, parata e diversa. Fu questo il secondo grande seisma nella storia delle scienze antropologiche in Italia ea ebbe luogo in un momento in cui il declino della fy- losofia idealista, un interesse crescente per le scienre umane e sociali e il passaggio da un‘universita dele a una di massa aprivano spazi nuovi allo sviluppo istituzionale della disciplina, 3.14.2 UNO sviLUPPo IsTITUZIONALE FRAMMENTATO Fino a meta degli anni Sessanta del secolo scorso I'et- nologia era insegnata come disciplina “complemen- tare” in una dozzina di universita italiane, in qualche caso da professori di altre discipline, in altri da pro- fessori “incaricati” nominati annualmente, mentre gli insegnamenti di antropologia culturale erano ancora meno numerosi. La prima cattedra di Etnologia fu istituita alla vigilia delle manifestazioni studentesche del ‘68 ¢ della riforma del 1969, che cambid alla radi- ce Vassetto del sistema universitario italiano: da un lato, infatti, la riforma consentiva a tutti coloro che erano in possesso di un diploma di scuola secondaria di entrare all’universita, con un conseguente aumen- to del numero degli studenti; dall’altro, la distinzio- ne tra materie “fondamentali” obbligatorie e materie “complementari” facoltative fu resa assai meno rigi- dae venne quasi a cadere, soprattutto sul versante degli studi umanistici, offrendo cosi a discipline sino ad allora considerate di second’ordine la possibilita di acquisire una “piena cittadinanza” accanto alla filosofia, alla storia e alle lettere classiche. In questo clima l’antropologia culturale contribui ad avvalora~ re la tesi, rivoluzionaria per quegli anni, secondo la quale anche le “classi subalterne” possedevano cul- ture degne di essere riconosciute. La crescente forza e visibilita della nuova disciplina é testimoniata dall stituzione della prima cattedra di Antropologia cul- turale, nel 1970 presso la Facolta di Scienze Politiche dell Universita di Bologna. Occorre sottolineare che i membri della prima ge- nerazione di antropologi culturali italiani non erano tutti d’accordo con Tentori ¢ i suoi colleghi, o non ne condividevano lo stesso retroterra: alcuni erano filo- antropologia era stato susci- strutturalismo di Lévi-Strauss, mentre altri avevano ricevuto la loro formazione a ‘di fronte alle non insofferenti) ! dispute terminologiche che stavano creando distin- oni ia. Quest’ ultimo gruppo com- titolare della prima culturale, che si era Capitolo 3 Panoramica delle teorie antropologiche 53 formato come etnologo a Roma ma aveva poi studia to antropologia sociale con Isaac Schapera a Cape Town. Altri infine giungevano all’antropologia pro- venendo dalla demologia: la tesi del memorandum se~ condo la quale l'antropologia culturale doveva prin- cipalmente occuparsi delt'Italia getto un ponte con le linee di ricerca perseguite da quegli studiosi italiani di tradizioni popolari che avevano praticato l'etno- Srafia all'interno dei confini nazionali. Ne risultd che le frontiere fra antropologia culturale e demologia si affievolirono e i due campi si fusero per dar forma a una varieta assai distintiva di antropologia naziona- le, fortemente influenzata dalle riflessioni di Anto- nio Gramsci sullo studio del folklore ¢ dalle idee € dall’esempio di Ernesto De Martino, uno storico del- le religioni che preferiva definirsi “etnologo” piutto- sto che antropologo, ma che era stato tra i primi a condurre ricerche sul campo in numerose localita del Mezzogiorno italiano. Sebbene qualche linea di faglia sia tuttora avver- tibile, negli ultimi decenni i contrasti ¢ le differenze fra le tre principali correnti dell’antropologia italia~ na (etnologi, antropologi culturali, demologi) sono considerevolmente diminuite e il termine antropo- logia & oggi comunemente utilizzato per designare un campo in gran parte unificato. La triplice origine dell‘antropologia italiana ha tuttavia lasciato un se- gno nella designazione originariamente proposta da Alberto Mario Cirese ~ uno dei maggiori esponenti della demologia, ma al tempo stesso grande conosci- tore del lavoro di Lévi-Strauss e piit in generale delle principali tendenze dell‘antropologia internazionale ~ che é ancora ufficialmente utilizzata nel linguaggio ministeriale: “discipline demoetnoantropologiche” (Angioni 1994). 3.14.3 CAMP! DI RICERCA, ORIENTAMENTI TEORICI ATTUAL! E NUOVE SFIDE Lo spinoso dilemma con il quale gli antropologi ita- liani furono costretti a confrontarsi negli anni Sessan- tae Settanta del Novecento era se fosse pits oppor- tuno seguire la via battuta dai loro colleghi in altri paesi quali la Francia, la Gran Bretagna e gli Statt Uniti, 0 se dovessero piuttosto tentare di volgere a loro vantaggio gli stimoli politici e culturali offerti tanto dalla particolare storia del paese quanto dalla icolare situazione di quegli anni e cercare un mo- Go specificatamente italiano di fare \'antropologia. Optando per la seconda alternativa gli antropologi culturali correvano certamente il rischio non soltanto Gi esser trascinati da una deriva verso lo sciovinismo

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