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Fritjof Capra, fisico austriaco e scrittore di fama internazionale, da anni si impegna nella 

diffusione di quel pensiero rivoluzionario di stampo ecologico che egli stesso definisce come 
pens

di   Matteo   Andreozzi   ­   09/06/2010

Vi proponiamo la prima parte dell'intervista di Matteo Andreozzi al fisico austriaco Fritjof 
Capra.  Scrittore di fama internazionale e direttore del Center for Ecoliteracy di Berkeley 
(California) è da anni impegnato nella diffusione di quel pensiero rivoluzionario di stampo 
ecologico che egli stesso definisce come pensiero sistemico. Un pensiero ispirato a studi fisici, 
biologici, ecologici, di scienze cognitive e sociali, che affonda le proprie radici nella teoria della 
complessità sorta negli anni ’70 e presto diffusasi all’interno di numerose discipline.

 Ho avuto modo di conoscere  Fritjof Capra  di persona al IX Congresso Nazionale di Medicina 


Omeopatica organizzato dalla FIAMO (Federazione Italiana Associazioni e Medici Omeopati) a 
Verona dal 28 al 30 maggio 2010, presso il Centro Carraro. La sua è stata una partecipazione 
d’eccezione (è un fisico, e non si occupa direttamente di omeopatia), ma i suoi interventi sono stati 
precisi, ben strutturati e soprattutto molto graditi ai presenti. Dopo il suo intervento l'ho incontrato 
per un'intervista.

Professor Capra, lei nella sua carriera si è occupato, nell’ordine, prima di scienza (e per certi 
versi anche di spiritualità), ecologia, economia e politica, poi di istruzione e negli ultimi anni 
sta scrivendo dei libri che riguardano un personaggio poliedrico come Leonardo Da Vinci. 
Quale   autore   è   stato   la   sua   principale   fonte   di   ispirazione,   visto   che   il   suo   lavoro   è 
culturalmente così ampio?

Ho  cominciato la mia carriera come scienziato, occupandomi di fisica teorica e laureandomi  a 
Vienna. A diciotto anni, quando ero ancora studente, mi ricordo di avere letto un libro di Werner 
Heisenberg dal titolo Fisica e filosofia. All’epoca ne capii solo la metà, ma mi ispirò moltissimo. 
Nel testo Heisenberg raccontava con grande passione dei problemi non solo razionali, ma anche 
emotivi ed esistenziali, che gli scienziati atomici dell’epoca si trovavano a dovere fronteggiare nel 
tentativo di descrivere una realtà che quanto più veniva studiata nel dettaglio tanto meno sembrava 
avere   un   senso.   La   cosa   mi   affascinava   molto.
Ci vollero circa dieci anni perché si potesse costruire una teoria radicale che rompesse con alcuni 
concetti fondamentali classici, come spazio assoluto, tempo lineare, oggetti ben definiti e catene di 
rapporti causa­effetto. Una frase di quel testo che mi impressionò molto sosteneva però che l’ormai 
superata divisione cartesiana tra mente e materia era ormai entrata così a fondo nel nostro inconscio 
che ci sarebbero voluti moltissimi anni prima di superarla accettando la nuova realtà descritta dalla 
fisica   quantistica.
Condizionato moltissimo da questa affermazione, io sto semplicemente cercando di dedicarmi a 
velocizzare questo processo, promuovendo un cambiamento di paradigma culturale che implica una 
profonda   rivoluzione   sociale   e   culturale.

Ora   si  sente  quindi più  uno scienziato che si dedica alla divulgazione o più  uno scrittore 


socialmente impegnato?
Il libro e le considerazioni di Heisenberg sono rimasti sempre con me e negli anni ‘60, quando ero 
ormai impegnato nell’attività di ricerca universitaria, mi accorsi di alcune analogie tra il nuovo 
mondo della fisica quantistica e quello descritto da svariate filosofie orientali che, in quel periodo di 
rivoluzione culturale, stavano iniziando a diffondersi un po’ ovunque. Ciò mi portò a scrivere il mio 
primo libro, Il Tao della fisica. In quel periodo non avrei mai pensato di divenire uno scrittore: mi 
sentivo   ancora   un   fisico   che   aveva  semplicemente   scritto  un   testo  in   base   ad  alcune   intuizioni 
originali. Il libro ebbe però molto successo e iniziarono a contattarmi (e persino a venirmi a trovare) 
moltissimi   scienziati   che   mi   illustrarono   come   anche   nel   loro   specifico   campo   fosse   di   fatto 
possibile interpretare le più recenti scoperte tramite concetti filosofici simili a quelli da me descritti.

Ispirato stavolta da questi studiosi, pensai di scrivere un secondo libro, Il punto di svolta, in cui 
mostrai la possibilità di utilizzare, non solo in fisica, ma anche in biologia, ecologia, psicologia, 
sociologia ed economia, un unico medesimo modello interpretativo reticolare. Dopo questo secondo 
libro ne scrissi un altro e un altro ancora e iniziai gradualmente a modificare l’immagine che avevo 
di me stesso: non mi sentivo più uno “scienziato scrittore”, ma piuttosto uno “scrittore scienziato”.

Anche adesso infatti, pur essendo ancora uno scienziato, e pur rimanendo in costante dialogo con 
diversi   colleghi di tutto il mondo,  non sono uno scienziato nel  senso istituzionale  del termine. 
Quello che cerco di fare è inserire le più recenti considerazioni scientifiche all’interno di libri e 
stimolare così le persone a riflettere sulle conseguenze del nuovo quadro della realtà che si può 
ricavare da esse. Mi dedico proprio, perciò, da anni, anche all’attivismo ambientale, a seminari 
universitari, a conferenze aziendali, ma soprattutto ai bambini e all’istruzione in generale.

Mentre la scelta di tornare indietro nel tempo e occuparsi di Leonardo è dettata dal semplice 
desiderio di identificare nel grande Da Vinci una sorta di precursore del suo pensiero o c’è 
dell’altro?

Questo è molto interessante, perché in realtà non è stata una scelta davvero motivata. Curiosamente, 
nonostante   il   percorso   di   studi   e   personale   che   ho   compiuto,  e   che  mi   vede  ora   occuparmi   di 
Leonardo, possa sembrare molto coerente e razionale, in realtà non lo è affatto. Arrivati a una certa 
età – e io ormai ho settant’anni – si sente un po’ l’esigenza di guardare indietro. Negli anni ’70, 
quando   scrissi   Il   Tao   della   fisica,   lessi   per   caso   una   citazione   di   Da   Vinci.   Si   trattava   di   un 
passaggio   in   cui   Leonardo  illustrava  il   proprio   metodo   scientifico   e   rimasi   molto  colpito  dalla 
perfetta corrispondenza tra la sua descrizione e quella del metodo utilizzato oggi.

Mi ricordo che in quel momento pensai che mi sarebbe davvero piaciuto approfondire la figura di 
Leonardo e magari scriverci su anche un libro, ma non feci mai nulla e quest’idea rimase per quasi 
trent’anni nient’altro che un bel sogno. Nel 1995 andai a un’esposizione di un gran numero  di 
disegni di Da Vinci organizzata a Londra e riconobbi con stupore nella sua scienza una scienza di 
schemi   e   processi.  

Pensai che sarebbe stato estremamente interessante analizzarla alla luce della teoria dei sistemi e di 
quella della complessità, ma ci vollero ancora alcuni anni prima che potessi prendere seriamente 
queste mie intuizioni, dedicandomi ad approfondire il pensiero di Leonardo. I miei due libri su Da 
Vinci, che presto diventeranno tre (sono convinto che chiunque si dedichi seriamente a Leonardo 
non possa non subirne il fascino travolgente e coinvolgente), non sono quindi il culmine delle mie 
ricerche, ma un sogno degli anni ’70 divenuto finalmente realtà.

Quindi ora sta lavorando a un terzo libro su Leonardo?
Sì, e sarà un libro ancora più grande e impegnativo degli altri. Si occuperà di tutti i brani della sua 
scienza   analizzati   molto   puntigliosamente.   Proprio   perciò   sarà,   molto   probabilmente,   una 
pubblicazione accademica. Tratterà delle sue teorie sulla dinamica dei fluidi, sulla geologia, sulla 
botanica, sulla meccanica e sull’anatomia. Il perno di tutto il discorso rimane sempre la sua “scienza 
della qualità”, ma questa volta andrò molto nel dettaglio delle sue scoperte nei singoli settori di cui 
si è occupato.

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