GIACOMO DA LENTINI:
IL “FONDATORE” DELLA LIRICA ITALIANA
Peis ‘poesia trobadorica con Guglielmo IX, anche la liri-
ca della Scuola siciliana, e quindi quella “italiana” d’arte, si
temente con un autore di grande maturita e
i valore poetico, Giacomo da Lentini, I’“invento-
‘Sonetto e di alcuni componimenti straordinariamen-
i anticipatori (da Meravigliosa-mente [7 1.2] a
a ’n sé vertute con valore [7 1.36]). Prima det
i e di Giacomo sono attestati soltanto sparsi fram-
i poetici in altri dialetti italiani:' tali comunque da
¢, allo stato attuale delle conoscenze, possibile
) di una tradizione letteraria atta a chiarire origini e
della Scuola siciliana e della lirica successiva, né a
‘le prospettive storiografiche comunemente invalse.
egare le origini e la maturita della lirica di Giacomo
‘occorre dunque ancora pensare, oltre che alla
| cultura latina e antico-francese (limitatamente at ro-
manzi) depositata nei componimenti, agli evidenti e intensi
i con la tradizione trobadorica (d'Oltralpe e italiana):
il sistema dei generi, le tematiche e le vere e
traduzioni dal provenzale individuate nella lirica
ani, dal Notaro a Rinaldo d’Aquino a Tacopo Mo-
Te numerose riprese ‘puntuali dai trovatori ac-
a precedente poetico “italiano” pit antico e
‘alla Scuola rimane del resto fissato nelle strofi
proprio di un trovatore, Raimbaut de Vaqueiras,
‘Giacomo (che ne traduce o riprende interi versieea Roberto Antonelli
un genere metrico, il discordo) e ai Siciliani. E infatti Raim.
aut che per primo impiega in sede lirica un dialetto italia.
no: nel contrasto bilingue (provenzale e genovese) Domna,
tant vos ai preiada [BdT 392.7], forse databile intorno al
1183-85, ¢ in quello plurilingue (provenzale, nord-“italia-
no”, francese, guascone, galego-portoghese) Eras quan vey
verdeyar [BdT 392.4], composto tra il 1190 e il 1195. Nel
secondo é addirittura individuabile uno dei rari precedenti
trobadorici di uno schema rimico d’ottava (abababab),
in eptasillabi ma possibile antecedente dell ottetto in ende-
casillabi del sonetto
_ Adifferenza di Guglielmo IX, pero, Giacomo non pud
essere considerato il promotore della prima lirica d'arte
italiana, Lo stimolo decisivo alla nascita e allo sviluppo
della Scuola siciliana va infatti attribuito, come ormai
10, ¢ comunemente accettato, a Federico II
sua politica culturale. Il re e imperatore @ in senso
per molteplici evidenze,’ il grande “committente”
tc liana, i cui poeti sono tutti nobili o funzio-
Magna Curia. Il loro destino poetico se-
di Federico e del figlio Manfredi: al crollo
sveva seguira infatti anche la fine della
a, che non lascera quasi tracce nel Regno
icreato una tradizione nel resto d'Italia e se-
foscana ¢ a Firenze. Se Giacomo non é 1's-
,ef neppure il poeta pitt antico della Scuola,
ct e il grande fondatore letterario,
ola e auctor canonico, per unanime rico-
dei contemporanei. Con lui, e con gli altri
ia la tradizione lirica italiana, dal punto di
ico, metrico e tematico: attraverso le
eli, Cavalcanti e Dante arriverd 4
tutta Europa alla lirica moderna,
ito a.un'invenzione di Giacomo, il sonetto.Introduzione
GIACOMO DA LENTINI, LA SCUOLA SICILIANA
ETL CANZONIERE VATICANO
Di Giacomo e di molti autori della Scuola siciliana, ad ec-
cezione di Federico II e del figlio Enzo, possediamo soltan.
to scarne notizie biografiche: a volte neppure quelle. In
queste condizioni, gli unici dati storico-culturali certi risul-
tano quelli consegnati alla tradizione manoscritta, che re-
sta il punto di riferimento fondamentale, 'unico documen-
tariamente sicuro, per la definizione del corpus siciliano,*
alla cui articolazione interna concorrera anche la presumi-
bile fisionomia dell’ archetipo perduto da cui derivano i tre
maggiori e pit antichi codici, ma soprattutto quanto desu-
mibile dal analisi del pitt ricco e storiograficamente orga-
nizzato dei tre, il Vaticano, che si presenta come una vera e
Propria storia e antologia della lirica prestilnovistica e pre-
dantesca. Il problema del canone dei Siciliani e del ruolo di
Giacomo é innanzitutto il problema dell’interpretazione
del Vaticano e delle possibili conferme esterne a tale cano-
ne, in cui la posizione primaziale di Giacomo da Lentini
indiscutibile,
Con circa 1000 componimenti, il Vaticano latino 3793
(Biblioteca Apostolica Vaticana, comunemente siglato V)
2 il pia ricco manoscritto della lirica italiana antica; gial-
tri due grandi codici di poesia prestilnovistica oltrepassano
appena, insieme, le seicento unita: circa 430 il Laurenzia-
no Rediano 9 (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana,
siglato L: L* per la sezione trascritta da mano Pisana e L’
ber quella fiorentina), 180 Vex Palatino 418, ora Banco
Rari 217 (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, siglato
P). Se fosse mancato il Vaticano, la produzione poetica del
Duecento sarebbe risultata dimexzata; di molti autori non
Sospetteremmo neppure l’esistenza.
La raccolta del codice Vaticano é divisa in due Parti, ri-
Servate a diversi generi metrici: la prima comprende solo
Canzoni (numerate da 1 a 317), la seconda sonetti, anchex Roberto Antonelli
tenzone (ion numerati sul codice ma modernament
4 cep el i ion a 326 4.999). La
" metrici é sotto ilIntroduzione ax
Le canzoni del codice Vaticano: un ordinamento
storico-culturale
Quel che caratterizza particolarmente il Vaticano é lo
sraordinario rigore storico-culturale dell ordinamento, un
vero monumento letterario e critico della poesia prestilno-
vistica. I quaderni compongono infatti un disegno storio-
grafico secondo un progetto dovuto a un unico ordinatore,
corrispondente alla prima mano, lo scriba che copid le can-
zoni 1-292 (pitt Vappendice da 293 a 305) e i sonetti 326-
934, Il copista prepard i quaderni destinandoli ciascuno a
un autore o gruppo di autori, avendo ben presente un qua-
dro complessivo al quale subordinare ogni componimento
antologizzato. Il disegno 2 ulteriormente sottolineato dal
che, salvo numerate eccezioni, tutti gli spazi bianchi
s fine di ogni fascicolo, a volte cospicui, sono riempiti
quasi esclusivamente con componiments anontmi, in modo
da evitare confusione nella classificazione. 6 Lordinatore
dell’antologia vaticana segue rigorosamente un progetto
comprensivo anche di elementi critico-valutativi. Si noti
cbe il Vaticano é V'unico codice duecentesco della lirica ita-
liana fornito di indice (progressivo; il Palatino, nella parte
alfabetica, é di fatto gid un indice, ove perd sono privilegta-
ti componimenti).
Pur in un quadro antologico (dunque in un libro che a
‘sponibilita di materialt rispetto ad altri prevede or-
‘ganicamente una selezione di gusto e/o di valori), Ja scelta
non era scontata. Il Laurenziano corrisponde certamente a
iit evoluto disegno monografico per le sexioni riserva-
a Guittone d’Arezzo, mae alquanto caotico (rispetto al
Vascan) nell’ ordinamento delle altre parti, per quanto ri-
guarda sia la successione degli autori che quella dei compo-
gli unici dati sicurt sono rappresentati dal prima-
@ Guittone, dal prestigio riconosciuto a
e-alla Scuola siciliana e dal valore complemen-
nella sezione fiorentina, alle aggiunte (“st-/XXIL Roberto Antonelli
‘iliane”) introdotte rispetto al materiale gia trascritto nella
prima parte, pisana; il Palatino, sia nelle sexioni dedicate a
Guittone che nelle parti organizzate per ordine alfabetico
dei capoversi delle canzoni (0 per semplice integrazione di
spazi bianchi), mostra scarsi interessi critici.
Il fascicolo II del Vaticano (il I contiene Vindice) e Vin-
tero manoscritto si aprono significativamente col Notaro,
Giacomo da Lentini, in quanto caposcuola. La scelta del
componimento di apertura, Madonna, dir vo voglio [7
1.1], appare anch’essa emblematica: ¢ una grande canzone
‘in settenari ed endecasillabi (la combinazione ritenuta ec-
‘celsa dall’Alighieri in De vulgati eloquentia II v 5), tradu-
z dal famoso trovatore Folchetto di Marsiglia.
III inizia ugualmente con un rimatore rite-
rilievo, Rinaldo d’ Aquino, titolare, dopo
Lentini, del pitt vasto e articolato complesso
wtoci (nel Vaticano otto canzoni contro le
ite a Gtacomo).* Le rime di Rinaldo
i aperte da una grande canzone in
illabi, uno dei rari esemplari a coblas
ento strofico considerato di stile
2, usando gli stesst parametri
0, Rinaldo é trattato come un ve-
1gono canzoni di stile elevato
pitt “alte” di Guido delle
stile “oggettivo” ma mai
cre”. A un ambito stilistico
me “mediano” (compren-
0” che “oggettivo”) apparentroduzione pestis
cui repertorio l’ordinatore trasceglie pero il pexzo
1ico al gruppo e al codice, e da Giacomino Puglie-
molto apprezzato dalla critica romantica pro-
er il suo carattere “popolareggiante” (ma é autore
¢un discordo, a riprova del livello colto, Cielo com-
9 im cui veniva esercitato gia dai Siciliani il genere
9”)
10 V é anch’esso aperto da un autore molto
er posizione sociale e cultura, Mazzeo di
di numerosi componimenti (sei: dopo Gia-
taldo solo lacopo Mostacci, nel fascicolo ILI, gli
tabile). Mazzeo, cui non per nulla Guittone d’A-
135 circa-1294) indirizza una canzone di rilevante
é certamente rimatore tardivo (oppure longe-
me, a maggior ragione, il figlio di Federico, Re
0 prigioniero a Bologna nel 1272, unico so-
al crollo della dinastia sveva); Percivalle Do-
nel 1264), un altro funzionario imperiale (che
anche in rime provenzali), fa parte a buon dirit-
gruppo, notevole per collocazione cronologica
fensi rapporti con UItalia centro-settentrionale,
ato anche da due rimatori indigeni, da collocare
e fra i primi Siculo-toscani (Compagnetto da
10 ovvio Neri de’ Visdomini, fiorentino).
icolo IV potrebbe dunque costituire uno spartiac-
stilistico) fra circolo propriamente federiciano e
ct ‘Promossero concretamente, in prima perso-
ivello cronologico (Percivalle é gia attestato nel
el secolo), il radicamento della poesia di corte
tentrionale e che tentarono in parte
e (lo stesso Giacomino del resto=v Roberto Antonelli
per Semprebene] di Bologna, Tomaso da Faenza), ovvero
dalla terra della prigionia di Enzo, per arrivare quindi ai
Comuni toscani che precedettero 0 accompagnarono la pro-
gressiva egemonia fiorentina (Pisa, Siena, Lucca) e che fu-
rono in relazione con Guinizzelli, E. un momento di straor.
dinaria importanza nell'economia dell’antologia vaticana,
poiché, se si deve attribuire un senso alla composizione e
collocazione del quaderno, occorre partire dalla posizione
iniziale assegnata a Guido Guinizzelli, quando invece, co-
munemente, nelle storie letterarie, il “primo Guido” col.
locato, cronologicamente ¢ culturalmente, dopo Guittone
d’Arezo. =
Scuola siciliana e lirica comunale nel codice Vaticano
Lantologia vaticana, mentre conferma l eccezionale valore
un i duecentisti all’esperienza della Ma-
in modo molto articolato le presenze
ino temporale (ostensione di sincro-
per noi a volte oscurate dalla
2 geografico (concorso, concorren-
i dell Italia centrale). Gui-
(1276) solo quattro anni
ima di Guido delle Colonne, e qua-
e (1294), che forse, a sua volta,
jotaro (1301)..E cosi via: incer
cati dal Vaticano nel gruppo poetico di primo rifer'-
mento), Se il fascicolo VI, il primo dopo i Siciliani, si apr?
a deve essere assunta
on come una sorta di incoeIntroduzione xy
renza dell'ordinatore: soprattutto se notiamo che Re Enzo,
compreso nel fasctcolo immediatamente precedente, risulta
in qualche modo presente anche nel VI, attraverso una pro-
pria canzone, S’eo trovasse Pietanza [A 20.2], ivi attribui-
ta a quel «ser Nascimbene da Bologna» (pur effettivamente
esistito), sotto cui si nasconde in realté, quale possibile “ri-
maneggiatore”, il notaio Semprebene di Bologna, rimaneg-
giatore anche di Percivalle Doria (di nuovo, fascicolo V).
Lo stesso varra per i municipali toscani, “lentiniant” co-
me Bonagiunta, lucchese, o presunti “guittoniani” come
Galletto e Lunardo del Guallacca, pisani (per quel che pos-
sono valere tali etichette critiche in una situazione realmen-
te molto fluida e complessa). Se ogni apertura di fascicolo
ba un valore, non c’é dubbio che la posizione primaziale ri-
coperta da Guinizzelli si presta anche ad altre suggestioni,
determinate non solo dalle predilezioni dantesche. Proprio
in presenza, nello stesso fascicolo, di un autore importante
come Bonagiunta, cui il Vaticano concede pit del doppio
dei testi rispetto a Guido," mentre i dati documentari non
1o indicano certo come pit giovane, occorre pensare che a
Guido e a Bologna non venga attribuita solo una primazia
cronologica ma probabilmente anche poetica, in relazione
con il ruolo di Re Enzo e con quel primato culturale che lo
stesso Bonagiunta riconosceva, proprio mentre lo contesta-
va, a Guinizzelli. Dalla Magna Curia a Bologna, insomma,
secondo Vordinatore del Vaticano e, come vedremo, secon-
do Dante (e i Memoriali bolognesi),° pur nell’ apparente
neutrale registrazione di dati “oggettivi”. Del resto proprio
il codice guittoniano, il Laurenziano, attribuisce a Guido
una posizione di preminenza, ponendolo all’inizio della se-
xione antologica di mano pisana (quaderno X, c. 43r*), se-
guito nuovamente dai pur pisani Galletto e Lunardo, ma
precedendo anche il Notaro (nello stesso ordine del Vatica-
n0 per tre componimenti su quattro).!*
I! Vaticano conferma dunque il ruolo “paterno”, di pre-
decessore pitt che di iniziatore, che Dante volle poi attri-XXVI Roberto Antonelli
buire a Guinizzelli, e ribadisce anche il ruolo-chiave svol.
to da questi e da Bonagiunta nel trapiantare nell Italia
municipale i modi lentiniani della corte federiciana. Gui
nizzelli appare un grande contemporaneo, almeno, di
Guittone, con una sua propria cifra stilistica, pin aulica e
meno articolata rispetto a quella municipale guittoniana,
ma percepita e denunciata come eversiva, dunque “nuo-
va”, anche nel Vaticano, nella sezione dei sonetti (quader-
no XXIV, n' 785-786), proprio da Bonagiunta (un concor-
rente sullo stesso terreno), e solo pitt tardi pienamente
recuperata: prima di tutti da Cavalcanti, ferocemente anti-
guittoniano, e poi da Dante, la cui convinzione critica pitt
ferma e costante, lungo tutta la carriera poetica, 2 proprio
individuabile nell’esposizione di antiguittonismo e filo-
guinizzellismo.
I codice Vaticano, uso toscano prestilnovistico
¢ Giacomo da Lentini
Lordinatore del Vaticano peraltro ha ben chiaro, e in par-
te condivide, l’uso toscano prestilnovistico. Al grande dit-
tatore precavalcantiano e antilentiniano, Guittone, per
quanto aretino, il fiorentino Vaticano dedica due interi fa-
scicoli (VII e VIII), aprendo inoltre il secondo con la gran-
de canzone politica (n° 150, Ai lasso, or & stagion) per la
rotta di Montaperti (1260), cost come fara per Chiaro Da-
vanzati (n° 224, Ai dolze e gaia terra fiorentina, composta
dopo la battaglia di Benevento, 1266). Se Guittone é il
vertice prefiorentino per quantita dei reperti (se non per
piano ordinatore interno), Chiaro Davanzati e Monte An-
drea lo sono per i fiorentini, che occupano tutto il fascico-
lo IX, cos affollato da non lasciar spazio per componi-
menti anonimi.
Chiaro e Monte sono il fine ultimo cui tende l'intera an-
tologia, per quanto possa oggi riuscire strana una tale valu-~
Introduction i
yatione, tributari come siamo della sistemazione dantesca,
Entrambi sono inseriti con tutta Vopera conosciuta dall’or-
dinatore (praticamente l'intera produzione): Chiaro con
siudi sessanta canzoni (due quaderni e mezzo, X, XI e XII,
Fultimo chiuso da anonimi), Monte nel quaderno XIII
(con minor numero di canzoni ma pur sempre ragguardevo-
le), aperto con una rubrica, «Mo», rivelatrice di notevole
familiarita, 17 fino a suggerire una probabile vicinanza del
‘mercante e finanztere-poeta fiorentino a chi progetto il Vati-
cano. Nel commento a quest’edizione il dato risulta confer-
mato ed & quindi particolarmente importante per compren-
dere il ruolo di Giacomo da Lentini nell intera tradizione
predantesca: per quanto ideologicamente vicini a Guittone,
Monte e ancor pi Chiaro riutilizzano infatti continuamen-
te, fino alla vera e propria citazione e “contraffazione’, sug-
gestioni, tematiche, lemmi e interi versi di Giacomo, La se-
zione delle canzoni si chiude come é iniziata: sotto il segno
del Notaro.
~ Monte Andrea conclude con tutta evidenza il piano del-
Vordinatore: il fascicolo XIV riprende, per la prima volta
massicciamente, senza alcun ordine, poeti gia antologizza-
ti, Bonagiunta, Guido delle Colonne con Amor, che lun-
giamente m’ai menato [7 4.4], al n° 305 (una delle gran-
di canzoni citate quali eccellenti da Dante), lo stesso
Monte, questa volta fuori dalla serie, con nome non ab-
previato: desunti, con ogni probabilita, da una fonte non
disponibile al momento della composizione degli altri fa-
Scicoli, XIII compreso.
_ A chiusura del fascicolo XIV e all’inizio del XV scribi
Wwersi integreranno UV'opera della prima mano (i fascicoli
XVI e XVII mancano). La seconda mano, in particolare,
trova modo finalmente (ancora agli inizi del Trecento) di
taserire Dante e il vero manifesto del «dolce stil novo»,
ch’avete intelletto d’amore (con relativa risposta),
é una serie di canzoni anonime (n' 307-311, con cui,
Seconda sezione, i sonetti n' 935-995, di lezione tan-XXVIT Roberto Antonelli
to buona da essere ritenute autografe. Lo stile poetico del.
Lanonimo (molto vicino anch’egli al dettato di Giacomo)
@ tanto “moderno” e al tempo stesso tanto “antico” da non
poter esser definito “stilnovistico” (come taluni avevano
proposto, identificando in lui nientemeno che Dante): la
dizione “Amico di Dante’, utilizzata da Contini,"® si atta-
glia ancora bene a un autore che é il solo a inserire il no-
me e la poesia di Dante in un’antologia ove, a Trecento
iniziato, se ne ignorerebbe altrimenti l'esistenza.
La sezione dei sonetti
Nello stato attuale, la seconda sezione del Vaticano, dedi.
cata appunto ai sonetti, pur lasciando intravedere un dise-
gno storiografico non lontano da quello rilevato per le
canzoni, manifesta un certo numero di asimmetrie interne
ed esterne rispetto alla prima parte.
Il fascicolo XVIII si apre di nuovo con il Notaro, ossia
con la tenzone in cinque sonetti con V'Abate di Tivoli sulla
natura d'amore. Sono i primi sonetti databili della lettera-
tura italiana (intorno al 1241), precedenti laltra tenzone
sullo stesso argomento fra Giacomo, Iacopo Mostacci e
Piero della Vigna (tradita dal codice Barberiniano latino
3953 della Biblioteca Apostolica Vaticana). Entrambe di-
verranno per tutto il Duecento un termine di confronto
obbligato per il dibattito sulla fenomenologia d'amore,
ovvero sul tema dominante della nuova lirica romanza ed
europea. A un'altra tenzone di ambito “lentiniano’,”” sul
medesimo tema, segue una serie di sonetti dello stesso
Giacomo; quindi una sequenza di sonetti di rimatori sicu-
lo-toscani di varia estrazione municipale (Ugo di Massa,
Megliore degli Abati, Balduccio d’Arezzo, perfino una se-
rie di Chiaro Davanzati), intervallati da sonetti del Nota-
ro (il che forse potrebbe alludere anche a un intreccio di
Sonti, confermando al contempo un dato comunque evi-Introduzione ihe
dente: la composizione in serie e non in parallelo delle se-
zioni “canzoni” e “sonetti’, quaderno XIV, forse, escluso).
Iitentativo di ordinare il fascicolo secondo un progetto or-
nico trova un primo punto d'arrivo con la serie dedicata
a Giacomo da Lentini (n' 333-336),
Il quaderno seguente (XIX), infatti, & predisposto per
Guittone d’ Arezzo: é sua l'imponente serie iniziale di qua-
si ottanta sonetti, con un’esigua parte (come nelle canzo-
ni) dedicata a “Frate Guittone’ e il grosso riservato al
Guittone “cortese”. Il poeta aretino & seguito da altri ri-
matori toscani fra i quali, con un solo esemplare, Guiniz-
zelli (poi integrato nelle tenzoni col sonetto gnomico e
“teorico” Omo ch’é saggio non corre leggero, scambiato
con Bonagiunta).
A Guittone, come gid nella prima sezione (quindi con
"un certo parallelismo complessivo nell’ ordinamento degli
autori e det gruppi),?° seguono, in un nuovo fascicolo
(XX), i fiorentini e una serie di minori, chiusa da Monte
Andrea che stavolta precede la lunga teoria di quasi ses-
santa sonetti con cui Chiaro inizia il fascicolo successivo
(XX. I tre quaderni seguenti sono occupati interamente
da tenzoni di ambiente toscano-municipale! Vi troviamo
nomi gid conosciuti, da Guittone a Chiaro, Monte, Bona-
giunta, Guinizzelli, accompagnati da rimatori noti solo at-
traverso questi sonetti: é la conferma dell’autonomia e
della specializzazione del sonetto nel genere “tenzone”. Di
conseguenza appare sempre pia verosimile che il Vaticano
attribuisca particolare importanza alla posizione iniziale
assegnata alla tenzone fra il Notaro e l’Abate: se avesse
voluto, del resto, V'ordinatore avrebbe potuto iniziare il fa-
Scicolo XVIII anche con altri sonetti sciolti del Notaro.
Il fascicolo XXV (non numerato) é aperto da Rustico
Filippi (gia introdotto in una lontana tenzone), ma in mo-
tale, «Rustico medesimo», da far sospettare a taluno la
Perdita di molti altri componimenti e addirittura di un fa-
Sticolo” Tolti alcuni esemplari, il resto del quaderno
=XXX Roberto Antonelli
XXV é occupato anch’esso da tenzoni, fra le quali il note
vole e fitto dibattito politico, in diciassette sonetti (n! 882
898), fra Monte Andrea, ser Cione, ser Beroardo, Federiga
Gualterotti, Chiaro Davanzati, Lambertuccio Frescobaldi,
tutti fiorentini ragguardevoli, poeti-dilettanti (?) apparte.
nenti alle Arti maggiori:®
Simmetricamente a quanto avvenuto alla fine della pri-
ma parte, anche al termine della sezione dedicata ai sonet
1 una seconda mano pitt o meno coeva, 1"“Amico di Dan-
te”, aggiunge una considerevole serie di componimenti
(circa sessanta, n! 935-995) prima che altri pita modesti o
discreti possessori lascino tracce singole del loro passaggio.
TI sonetto ¢ l’espansione tumultuosa della Scuola siciliana
Una spiegazione per la relativa incongruenza con la quale,
rispetto alle canzoni, Vordinatore ha raccolto il materiale
nella sezione dei sonetti pud essere fornita dal carattere
specifico del genere, aperto ai pitt vari impieghi stilistici ¢
tematici (amoroso, gnomico, “comico”, politico ecc.), ma
soprattutto impiegato nella corrispondenza polemica e nel
dibattito (anche fittizio, ad esempio fra Amante e Amore.
si veda Monte Andrea, n‘ 870-881). Proprio le tenzoni oc-
cupano la gran parte della sezione (tre interi quaderni ¢
un buon segmento di un quarto su complessivi otto, oltre
a quelle iniziali), le partecipazioni incrociate che vi si rea-
lizzano, e la mescidanza tematica e stilistica, al di la della
provenienza geografica dei protagonisti, erano probabil-
mente tali da scompaginare eventuali ripartizioni storico
geografiche e gerarchiche rigorose, ammesso che nel gene-
re “basso” avessero un senso: non @ probabilmente un caso
se in tutti e tre i grandi libri-antologia toscani duecente-
schi la sezione dei sonetti é sempre quella meno coerente
(come avviene del resto per le tenzoni anche nei mano-Introducione a
seritti trobadorict) E come se il segno distintivo potesse
necessartamente essere affidato alle sole canzoni.
Nel genere “minore”, di corrispondenza, & certamente
vi, evidente quel che era implicito, ma di pitt complicata
individuazione, nell'aria rarefatta e assoluta del genere
“alto”. Lespansione della prima lirica volgare nell'Italia
comunale avviene in modo rapido e perfino tumultuoso,
con varie correnti e tendenze che si sovrappongono e coe-
sistono, a volte negli stessi individui e nelle diverse realta
politico-culturali cittadine. Una sistematione storiografi-
ca coerente di un tale magma eccedeva probabilmente la
distinzione fra genere “alto” e “basso”, fra una prima se-
dione riservata alle canzoni e una seconda dotata dei soli
sonetti. Lordinatore avrebbe dovuto poter pensare secon-
do categorie critiche e poetiche differenti da quelle per lui
disponibili: soltanto Dante, e solo nella Vita nuova, attra-
verso la mescolanza dei generi (canzoni e sonetti, prosa),
arriverd a un diverso paradigma, anticipando la successiva
riflessione petrarchesca. L’ordinatore prestilnovista pote-
va soltanto ribadire, recependola dalla tradizione, la ge-
rarchia dei generi (ovvero la principale modalita della ri-
cezione retorico-poetica contemporanea), senza peraltro
deragliare irrecuperabilmente, nella seconda parte, dai
criteri suggeriti nella prima (e tuttavia evidenziando, nel-
Ia stessa quantita dei materiali raccolti, la grande impor-
tanza storico-culturale, per la poesia “municipale”, del
nuovo genere “minore”). Che anche la seconda parte inixi
da una tenzone del Notaro é operazione che comunque va
aldi la del suo pur notevole valore storiografico e simboli-
00: mentre conferma Vunitarieta e il valore assoluto del
Patadigma svevo (fortemente ridimensionato soltanto nel
Primo Trecento), suggerisce, attraverso la funzione “ten-
one’, le ragioni stesse che presiedettero, presso t Sicilia-
i, all’invenzione del metro emblematico della poesia oc-
cidentale, il sonetto.*XXXxIL Roberto Antonelli
DANTE, IL CODICE VATICANO, LA SCUOLA SICILIANA
EGIACOMO DA LENTINI
Se rinunciamo dunque a considerare il Vaticano soltanto
come un testimone utilizzabile per ricostruire il testo “ori-
ginale”, “autentico”, dei singoli autori in esso contenuti
(secondo il metodo cosiddetto “lachmanniano”), ma pen-
siamo all’insieme culturale che esso rappresenta quale vei-
colo materiale oltre che formale della tradizione, potremo
intanto osservare che Dante nel De vulgari eloquentia fa
notoriamente ricorso proprio a un affine del Vaticano,
L-Alighieri, per di pit, seppure con tendenziosita rovescia-
ta, si comportera, proprio in un trattato di eloquenza volga-
re, secondo una visione storiografica e ideale complessiva-
mente vicina a quella del Vaticano. Fornira un dettagliato
quadro storico-geografico, passandolo perd contemporanea-
mente, ed esplicitamente, al vaglio del suo gusto e della sua
poetica personale. Utilizzera dunque, in sintonia con Ca-
valcanti, un attacco a fondo contro Guittone e i suoi se-
guaci e per contro il totale silenzio sui due fiorentini prin
cipi del Vaticano, Chiaro e Monte, per imporre la propria
poesia e il proprio gruppo quali paradigmi autorevoli,
“classici”, della nuova letteratura in volgare. Semmai vi
sarebbe da notare che, mentre Dante si limita a teorizzare
il proprio volgare “illustre” riconoscendolo preliminar-
mente in altri, senza ovviamente poterlo imporre alla pra-
tica dei suoi predecessori, il Vaticano riduce alla norma
fiorentina, fin dove é possibile, tutti i materiali trascrittt: &
un comportamento assolutamente normale nella prassi di
copia ma non per questo meno importante per la veste for-
male e culturale di un’opera antologica che inaugura una
tradizione letteraria.
Dante é soprattutto completamente d’accordo col Vati
cano nel riconoscere il primato non solo cronologico ma
linguistico e poetico alla Magna Curia degli «illustres he
roes» Federico I e Manfredi, unico luogo storico in cuiIntroduzione oom
si erano ritrovati i «doctores illustres» d'Italia, coloro
che avevano parlato e scritto in quel volgare illustre, car-
dinale, regale e curiale che era per Dante il veicolo e il
segno della grande cultura e della grande poesia: «cosic-
ché tutto cid che a quel tempo producevano gli Italiani
pid nobili d'animo vedeva dapprima la luce nella reggia
di quei sovrani cosi insigni; e poiché sede del trono rega-
Ie era la Sicilia, ne ¢ venuto che tutto quanto i nostri pre-
decessori hanno prodotto in volgare si chiama siciliano:
cid che anche noi teniamo per fermo, e che i nostri poste-
ri non potranno mutare».” Ovvero: la grande poesia ita-
liana 2 nata alla corte “siciliana” di Federico II e Manfre-
died éda quella, e solo da quella (con esclusione dunque
di ogni esperienza precedente e di tutta la lirica comuna-
Ie, tacciata di “municipalismo”), che é nata e st é svilup-
pata la tradizione linguistica e poetica in volgare illustre,
italiano.
Aldi la delle profonde differenze® c’é percié una con-
sonanza profonda fra il “codice” letterario dantesco, inteso
anche come manoscritto materialmente letto da Dante, e
i Vaticano: la lista degli auctores volgari fornita dal De
vulgari eloquentia (alcuni tramandati a noi esclusivamen-
te dal Vaticano) non é frutto solo del caso, della disponibi-
lita di una fonte rispetto a un'altra. Essa appare come la
scelta di una linea poetica le cui bast primigenie coincido-
no con quelle del Vaticano. La Magna Curia degli «illu-
stres heroes» Federico II e Manfredi, dei notai, dei funzio-
nari, del caposcuola Giacomo é il paradigma unitario cui
rimanda Dante come unica sede storicamente data per tl
volgare illustre e i suoi «doctores».
Da un punto di vista linguistico e stilistico, potremmo
sostenere che il codice @ anche la sede materiale e ideale
del volgare illustre. In assenza della Curia & proprio un
manoscritto, ovvero la Tradizione, che raduna le membra
sparse della reggia e raccoglie il profumo della pantera che
Si sente ovunque ma che non risiede in nessun luogo (DeXXXIV Roberto Antonelli
vulgari eloquentia I xvi 5 ¢ xvi 1). E stato infatti gia da
tempo osservato che, se Dante pud emettere giudizi cos}
lusingbieri sul volgare utilizzato dai poeti della Magna
Curia (dal Notaro, da Rinaldo d’Aquino e Guido delle
Colonne, presente peraltro nel Vaticano con una sola delle
canzoni citate nel De vulgati, per di pitt fuori dalla sede
canonica, in V 305), lo deve soprattutto alla lettura di co-
dici e di una tradizione in cui il siciliano illustre era gia to-
scanizzato e ormai ben commestibile per tl suo palato esi-
gente. La lingua letteraria italiana dell’uso dantesco sara
meno fiorentina di quella del Vaticano (raffinatissimo per-
fino nella rappresentaztone del sistema fonematico fioren-
tino), ma non molto distante.
E una riduzione infine coerente con quella ideologica e
tematica. Alla luce di Donne ch’avete, tutta l'elaborazio-
ne amorosa «di qua dal dolce stile», del Notaro, di Guitto-
ne e di Bonagiunta, viene collocata da Dante sullo stesso
piano (Purgatorio XXIV 49-63): esattamente come fa, «
parti invertite, 'antologia vaticana che, pur raccolta ai pri-
mi del Trecento, dopo l’affermazione poetica di Dante e
Cavalcanti, considera lo Stil nuovo ancora un “al di la” da
non nominare e rappresenta quindi tutta la poesia ad esso
precedente come un sistema organizzabile sotto il primato
ideale del Notaro e della tradizione da lui iniziata, fino ai
fiorentini predanteschi, che alla poesia lentiniana fanno
continuamente ricorso, tanto da dar luogo persino ad ac-
cuse di plagio («per te lo dico, novo canzonero, / che ti ve-
sti le penne del Notaro / e vai furando lo detto stranero: /
si co’ gli agei la corniglia [‘cornacchia’] spogliaro, / spo-
glierati per falso menzonero, / se fosse vivo, lacopo nota-
ro», vv. 9-14 di un sonetto, Di penne di paone e d’altre
assai, attribuito net manoscritti a Chiaro Davanzati ea
Maestro Francesco).
Non ci si stupir@ dunque che Madonna, dir vo voglio
[7 1.1], la grande canzone incipitaria del Vaticano, sia an
che quella che apre la serie delle citazioni “apule” illustriXXXVI Roberto Antonelli
CRONOLOGIA DI GIACOMO DA LENTINI
Dante riteneva certamente Giacomo il caposcuola dei Sich
liani, come risulta dalla famosa terzina di Purgatori,
XXIV (55-7 «"O frate, issa vegg'io”, diss’elli, “il nodo )
che ’l Notaro e Guittone e me ritenne / di qua dal dolce
stil novo ch’’odo!”»), ma non sapeva molto della sua bir,
grafia, tanto da ritenerlo apulus, ‘pugliese’. Noi sappiamn,
qualcosa in pitt, a cominciare dal fatto che era certamente
nativo della Sicilia, Una nobile famiglia di origine nor.
manna, «de Lentino»/«da Lentini», é effettivamente atte
stata a Lentini: rimane invece dubbio che Giacomo vi fosse
imparentato, se non alla lontana.”" I pochi dati documenta
ri sottolineano invece con sicurezza la vicinanza del Notaro
alla Magna Curia di Federico e at suoi vari interessi nel pe-
riodo 1233-40, mentre é possibile, e anzi altamente proba-
bile, retrocederne Vattivita al decennio precedente, almeno
sulla base delle relazioni intertestuali con Re Giovanni di
Brienne. Due privilegé redatti «per manus lacobi de Lent
no notarii et fidelis nostri» sono emessi da Federico II nel
marzo del 1233 a Policoro e nel giugno dello stesso anno «
Catania; nell’'agosto 1233 & pure di mano di Giacomo una
lettera dell’imperatore al papa Gregorio IX sulla questione
lombarda, scritta a Castrogiovanni («per manus Iacobi no
tarii et fidelis nostri scribi iussimus»). La sua mano é stata
riconosciuta anche in una donazione emessa da Federico a
Messina e forse in un atto palermitano (ma é& dubbio), ri-
spettivamente del giugno e del settembre dello stesso 1233
Come «lacobus de Lentino domini Imperatoris notarius»
appare in una testimonianza resa a Messina il 5 maggio
1240, ove é la sua firma autografa.* A lui é forse pitt dub
bio riferire lettere e documenti imperiali dell’aprile e de
maggio 1240: nel primo caso sarebbe da riconoscere it
Giacomo il «nuntius» all’imperatore (che ne serive da Li
cera il 3 aprile) del giustiziere di Sicilia oltre il fiume Salso,
nell’altro il castellano di Carsiliato presso Lentini.?°XXXVI Roberto Antonelli
CRONOLOGIA DI GIACOMO DA LENTINI
Dante riteneva certamente Giacomo il caposcuola dei Sici
liani, come risulta dalla famosa terzina di Purgatorio
XXIV (55-7 «“O frate, issa vegg’io”, diss’elli, “il nodo /
che ’l Notaro e Guittone e me ritenne / di qua dal dolce
stil novo ch’i’odo!”»), ma non sapeva molto della sua bio-
grafia, tanto da ritenerlo apulus, ‘pugliese’. Noi sappiamo
qualcosa in pitt, a cominciare dal. ‘fatto che era certamente
nativo della Sicilia. Una nobile famiglia di origine nor-
manna, «de Lentino»/«da Lentiniv, é effettivamente atte-
stata a Lentini: rimane invece dubbio che Giacomo vi fosse
imparentato, se non alla lontana.” I ‘pochi dati documenta-
ri soltolineano invece con sicurexza la vicinanza del Notaro
alla Magna Curia di Federico e ai suoi vari interesst nel pe-
riodo 1233-40, mentre é possibile, e anzi altamente ‘proba-
bile, retrocederne Vattivita al decennio precedente, almeno
sulla base delle relazioni intertestuali con Re Giovanni di
Brienne. Due privilegi redatti «per manus Iacobi de Lent
no notarii et fidelis nostri» sono emessi da Federico II nel
marzo del 1233 a Policoro e nel giugno dello stesso anno a
Catania; nell’agosto 1233 é pure di mano di Giacomo una
lettera dell'imperatore al papa Gregorio IX sulla questione
lombarda, scritta a Castrogiovanni («per manus Iacobi no-
tarii et fidelis nostri scribi iussimus»). La sua mano é stata
riconosciuta anche in una donazione emessa da Federico a
Messina e forse in un atto palermitano (ma & dubbio), ri-
spettivamente del giugno e del. settembre dello stesso 1233
Come «lacobus de Lentino domini Imperatoris notarius»
appare in una testimonianza resa a Messina il 5 maggio
1240, ove @ la sua firma autografa.?® A lui é. forse pitt dub
bio riferire lettere e documenti imperiali dell’aprile e del
maggio 1240: nel primo caso sarebbe da riconoscere ift
Giacomo il «nuntius» all’imperatore (che ne scrive da Lu
cera il3 aprile) del giustiziere di Sicilia oltre il fiume Salso,
nell’altro il castellano di Carsiliato presso Lentini®Introduzione XXXVI
Quand’anche nella lettera dell’aprile si trattasse pro-
prio di Giacomo, occorrerebbe constatare che, almeno dal
punto di vista documentario, Uattivita del Notaro a corte
sembrerebbe svolgersi tutta all’interno del Regno, con
particolare riguardo alla Sicilia orientale, fra Lentini e
Messina, intorno ai luoghi comunque di origine della sua
‘famiglia (il passaggio per Tivoli sarebbe dunque una visto-
sa eccezione). Garufi aveva gia sottolineato tali limiti, de-
sumendone pero conclusioni estreme: il servizio di Giaco-
mo a corte sarebbe stato circoscritto non solo nello spazio
ima anche nel tempo.” Giacomo sarebbe stato cioe assun-
to come notaio “straordinario” proprio in occasione del
viaggio compiuto da Federico II in Sicilia nel 1233: tale
conclusione serbra pero contraddetta innanzitutto dai fit-
ti rapporti letterari intrattenuti dal Notaro nel tempo (fin
circa al 1241, se la dataztone della tenzone con |'“Abate di
Tivoli” & esatta) con alcuni grandi personaggi della corte
federiciana o che intorno ad essa gravitarono, non solo in
Sicilia (Piero della Vigna, Iacopo Mostacci, Ruggeri d’A-
mici, VAbate di Tivoli, lo stesso Federico Il, se a Giacomo
va attribuita, come sembra probabile, la canzone anonima
Membrando I’amoroso dipartire [7 1D.1]).
Caposcuola dei Siciliant, per riconoscimento degli stessi
contemporanei, Giacomo non sembra, si & detto, che pos-
sa esserne ritenuto anche il promotore: Federico II, pur
autore di prove poetiche certamente meno alte e impegna-
tive, vanta al riguardo maggiori titoli, per forti e docu-
mentate ragioni di politica culturale, rafforzate dalla sco-
perta del frammento della canzone Ispendiente [A 17.8] di
Giacomino Pugliese, databile al 1234-35. Il frammento
zurighese, coevo all’attivita poetica dell’autore, conferma
la retrodatazione degli inizi della Scuola siciliana al perio-
do immediatamente successivo al rientro nel Regno dt Fe-
derico II, nel decennio 1220-30, dopo Vincoronazione a
imperatore: il frammento costituisce infatti gia il prodotto
di molteplici trascrizioni e passaggi. Sono del resto colloca-NXXVITE Roberto Antonelli
bili alla stessa epoca almeno il discordo Donna, audite co.
mo [7 5.1] di «messer lo Re Giovanni» (di Brienne, uni-
ca candidatura possibile, malgrado i dubbi al riguardo),
databile prima del 1228, e la canzone di crociata di Rinal-
do d’Aquino, Giamii non mi conforto [7 7.6], databile
intorno al 1228 per i riferimenti all’unica reale crociata
condotta da Federico II (soltanto una reazione eccessiva
alle esagerazioni positivistiche ha potuto infatti negare il
valore della connessione).2 Sono entrambi autori, si noti,
in cui & documentabile un fitto scambio dialogico con la
poesia lentiniana.
Lattivita di Giacomo quale notaio imperiale, attestata
appunto negli anni 1233-40, potra dunque essere anticipa-
ta di qualche tempo, dati i prelievi intertestuali di Rinaldo
Aquino e Re Giovanni, Un suo eventuale ruolo di pro-
motore potrebbe risultarne forse rafforzato, se non vi fos-
sero tante evidenze favorevoli a Federico II: sicuramente
ne escono confermati il suo primato poetico e Ta sua altez-
za cronologica (due aspetti almeno storiograficamente
quasi collegati). E un primato avvalorato anche dalle fitte
e continue citazioni da Giacomo reperibili negli altri ri-
matori della Scuola, a partire dai pitt antichi e solidali (co-
me Piero della Vigna, lacopo Mostacci, Ruggeri d Amici,
oltre a Rinaldo d’Aquino e Re Giovanni, tutti in corri-
spondenza o in fitto dialogo con lui). Giacomo deve dun-
que essere nei fatti considerato come il primo poeta, 0 uno
dei primissimi poeti, certo il pitt significativo, della Scuola
siciliana. La datazione al 1204-1205 di una sua canzone
formalmente molto provenzaleggiante, La ’namoranza di-
siosa [7 1.6], poggia su esili riscontri storici ed & per di
pit fondata su un solo verso, il 37, di dubbia e controversa
interpretazione. Risulta invece probabile la datazione al
1233-34 di un’altra canzone, Ben m’é venuto [7 L7],eal
1241 della tenzone con l'Abate di Tivoli sulla natura d'a-
more, coerentemente con quanto acquisibile dai documen
ti d’archivio relativi all’“Abate’.Introduzione OOK
IL «NOTARO»
E interessante notare che nei canzonieri italiani duecente-
scbi la formula completa, «Notar iacomo dallentino», &
portata soltanto nella rubrica del manoscritto probabil-
mente pit antico, comunque tl pitt vicino stemmaticamente
all’archetipo, tl Laurenziano (nella sezione di mano pisa-
na), e soltanto nel primo componimento con cui si apre la
serie delle canzoni di Giacomo, Madonna, dir vo voglio
[7 1.1]. Questa formula dunque doveva aprire anche Var-
chetipo (senza con cid ovviamente inferirne deduzioni cr
nologiche), in tutte le altre rubriche, cosi come negli altri
due manoscritti all’incirca duecenteschi, il Palatino e il
Vaticano, troviamo esclusivamente «Notaro jacomo» o
«Notaro Giacomo». Soltanto i trecenteschi Chigiano L.
VIIL305 (nell’intera serie lentiniana, comprese le false at-
tribuzioni) e Barberiniano latino 3953 e la cinquecentesca
Giuntina di rime antiche riproporranno la formula com-
pleta, come nel Laurenziano. A conferma ulteriore della
posizione incipitaria della canzone Madonna, dit vo vo-
glio nella serie di rime lentiniane sopravvissute.
«Notaro» é d’altra parte il modo con cui si autodefini-
sce lo stesso Giacomo («ch’é nato da Lentino», Meravi-
gliosa-mente [7 1,2] 62-3) e con cui sara noto fino a Dan-
te, che tale lo definira per antonomasia (Purgatorio
XXIV 56), rispettando un uso evidentemente consolidato
(«ser Giacomo» ancora per il contemporaneo Abate di Ti-
voli, Con vostro onore [7 1.18e] 2, e «Lentino» al v. 4
quale citta natale, ma «Notar Giacomo valente» per l'ano-
nimo V 72 Amor, non saccio [7 25.6] 57, «ch’é nato da
Lentino» al v. 56; «Notaro» e «lacopo Notaro» per il so-
netto, gia citato, Di penne di paone 10 e 14, a rimprovero
di un plagiario). Emblema di un caposcuola ma anche di
una collocazione sociale che segna con le sue coordinate
culturali la nuova poesia italiana, nella corte di Federico e
nell’espansione successiva nell’ intera penisola, in partico-xL Roberto Antonelli
lare nelle citta comunali toscane e a Bologna: il fatto che il
notariato fosse anche uno strumento di promorzione socig.
Le per persone di modesta origine sembrerebbe d'altra pay.
te ulteriormente escludere una discendenza diretta dally
nobile famiglia dei Lentini, 0 indicare comungue una con.
dizione cadetta.
LA TRADIZIONE DELL'OPERA,
La produzione del Notaro occupa, si é detto, il primo po.
sto nella sezione dedicata alle canzoni nel codice Vaticano,
Lordinamento del Vaticano é confermato dal Laurenziano
e doveva dunque essere anche quello dell'archetipo comu.
ne a tutta la tradizione duecentesca: sedici canzoni e un
discordo, riprodotti integralmente soltanto nel Vaticano,
Anche la sezione dei sonetti del Vaticano, ripetiamo,
aperta da una tenzone in cui figura Giacomo, seguita im-
mediatamente da un’altra tenzone, anonima, di due so
netti (Non truovo chi mi dica [7 25.27] e Io no lo dico
[7 25.28), forse con la partecipazione dello stesso Giaco-
mo o comunque di autori a lui molto vicini, come del resto
Vintera serie V 336-340, collegata tematicamente e retori
camente. Alle due tenzoni, entrambe sulla natura d'amore
e certo poste non casualmente in apertura del settore, qua
st a fondarne i presupposti “teorict’, segue immediatamen
te una serte di quattro sonetti del Notaro (V 333-336), che
st trova cosi al primo posto anche nella seconda serione
del manoscritto pit strutturato dal punto di vista storio
grafico e critico fra i tre grandi canzonteri antichi della |i-
rica italiana,
Con gli altri quattro sonetti traditi dal Vaticano (talvolta
affiancato da altri manoscritti, primo fra tutti il Laurenzia
no), gli undici del solo Laurenziano (sezione fiorentina), al
cunt assistiti da altre testimonianze, compresi i frammenti
trascritti dai notai bolognesi nei Memoriali, e il sonetto si
la natura d'amore Amor & uno disio che ven da core [7Introduzione XLI
1,19c], in tenzone con Piero della Vigna e lacopo Mostacci,
del solo Barberiniano, Giacomo risulta pertanto autore del
pitt vasto corpus di sonetti fra i Siciliani (ventidue su circa
trentacingue complessivi, anonimi esclusi: due terzi del to-
tale), pur considerando i soli componimenti univocamente
attribuitigli (e compresi peraltro tutti quelli trasmessi dal
solo Laurenziano). Un dato che testimonia ultertormente
in suo favore quale “inventore” del sonetto.
Con le sedici canzoni di certa attribuzione e il discordo
(accanto a cui andranno ricordati anche la canzone anoni-
ma Membrando l’amoroso dipartire [7 1D.1] e ¢ due so-
netti, in dubia attribuzione con «Meser Monaldo», Lo
badalisco [7 1D.2] e Guardando basalisco [7 1D.3]),
Giacomo é titolare del pin vasto e articolato complesso di
rime non solo fra i Siciliani (circa quaranta componimen-
ti), ma anche fra quasi tutti i rimatori profani duecente-
schi (prima di Cavalcanti e Dante lo supereranno soltanto
Guittone, Rustico Filippi, Chiaro Davanzati e Monte An-
drea): altre dieci false attribuzioni assicurano ulteriormen-
te della sua fama e di un vasto impatto fra i lettori con-
temporanei e posteriori, almeno sino a Petrarca (ma si
ricordi la sua presenza ancora nella Raccolta Aragonese
in quella Bartoliniana, net secoli XV e XVI).
LE “RIME”; UN'ORGANIZZAZIONE SERIALE?
Non abbiamo elementi sicuri per classificare cronologica-
mente tutte le rime di Giacomo o per individuare un ordi-
namento in qualche modo attribuibile all'autore. Possiamo
perd datare con qualche attenaibilita, si é visto, una canzo-
ne, Ben m’é venuto [7 1.7] (intorno al 1234, grazie ad al-
cune allusioni interne), e, con minor certezza, la tenzone di
sonetti con VAbate di Tivoli (assegnabile al 1241, 'anno
in cui Federico I fu a Tivoli: ma vi fu anche Giacomo?).
Di altri componimenti possiamo fissare una cronologia re-
lativa, grazie a inequivocabili citazioni intertestuali (dellexun Roberto Antonelli
quali diamo conto nel commento): la tenzone di sone;
con Piero della Vigna (caduto in disgrazia presso Federic,
agli inizi del 1249) e lacopo Mostacei (verosimilmente j1
Jfaleoniere di Federico IL nel 1240, ambasciatore di Manfre.
di in Aragona nel 1262) é certamente bosteriore (cost come
[a canzone anonima V 72 Amor, non saccio [7 25.6]) all,
scambio di sonetti con l'Abate, tenzone che a sua volta se.
gue la “canzonetta” Madonna mia, a voi mando [A 1.13]
(e/o Poi no mi val merzé [7 1.16]?) ¢ la grande canzone
Madonna, dir vo voglio [7 1.1]; altre cronologie relative
sono ricavabili dallo scambio poetico con Ruggeri d’Amici
testimoniato dalle canzoni Poi no mi val merzé e Sovente
Amore [A 2.1], che arriva a coinvolgere altri rimatori vici.
ni al Notaro. E possibile prevedere ulteriori sviluppi al ri-
guardo, legati a indagini di tipo intertestuale e codicologico,
ma al momento Uunica sicurezza documentaria complessi-
va, almeno a livello di fruizione storicamente accertata, pro-
viene di nuovo dall’ordinamento del Vaticano, sostanzial-
mente confermato anche dal Laurenziano e quindi con ogni
probabilita rappresentativo dell'archetipo comune a tutta la
tradizione toscana,
Scontata la posizione primaziale di Madonna, dir vo vo-
glio, sarebbe possibile per il moderno operatore ricostruire
una sorta di “storia d'amore’, con le sue fortune e disgrazie,
le dichiarazioni d'amore e d'esaltazione della donna, le ri
chieste inevase e soddisfatte, le numerose contraddizioni. Si
tratterebbe pero soprattutto di un’esercitazione dialettica,
basata in sostanza soltanto sulle enunciazioni dei testi ¢
sulla loro rimiscelazione a posteriori, cost come deve esser?
avvenuto gia nella tradizione quantomeno toscana: lo di
mostra per alcunt filoni tematici la consecuzione dei com-
Ponimenti, valida e operativa gia per i lettori duecenteschi
‘Si legga la sequenza del Vaticano: Guiderdone aspetto ave
re (V 3), La ’namoranza disiosa (V 6), Ben m’é venuto (V
7), Donna, eo languisco (V 8), Uno disio d’amore sovente
(V 12), Poi no mi val merzé (V 16). Le canzoni ruotan¢Introduzione sum
tutte intorno al tema centrale della ricompensa («guiderdo-
ne») ¢ del servizio amorosi; una ricompensa richiesta, au-
spicata, negata e concessd, infine tolta (se della stessa don-
na sempre si tratta, come almeno simbolicamente occorre
jpotizzare). Intorno a tale asse si potrebbero collocare in va-
rio modo le altre canzoni, comprese quelle apparentemente
pit tangenziali, come la stessa originale e importante Amot
non vole ch’io clami (V 4), rifiuto di una delle pit tradizio-
nali consuetudini cortest, la richtesta di metzé (‘pieta’), ma
all’altro filone pur strettamente apparentata,
AVERE E NON-AVERE: IL SENSO DELL’AMORE,
Laserie del «guiderdone» (V 3-11) riveste importanza fon-
damentale per la storia della lirica prestilnovistica, per Vim-
patto della politica culturale di Federico II nell'Italia due-
centesca e per lo stesso sviluppo della lirica cavalcantiana e
dantesca. Il tema é ripreso, in polemica aperta con i concetti
espressi da Giacomo in Guiderdone aspetto avere [7
1.3]; nella canzone Amor tanto altamente (e nei primi so-
netti amorosi) di Guittone d’Arezzo, a sua volta probabil-
mente contraddetto da Guido Guinizelli, stretto lettore e
successore del Notaro. In Amor tanto altamente Guittone
utiliza integralmente lo schema metrico molto complesso
di Madonna, dir vo voglio [7 1.1] per segnalare l'oggetto
del conflitto: il primato lentiniano nella poesia contempora-
nea. Nella canzone Guittone affronta il tema, centrale gia
nei trovatori, della liceita o meno di richiedere alla donna
una ricompensa in cambio del proprio servizio d'amore, af
Jermando che il buon servitore non deve chiederla, in quan-
40 é il suo servizio stesso che la richiede. La donna, alta-
‘mente «conoscenter, esperta e saggia, sapra capirlo. E un
tentativo, un po’ maldestro, di affermare una concezione
[pparentemente pi elevata, “fine”, d'amore, rispetto a
quella del Notaro, proponendosi come nuovo caposcuola.
Guinizzelli gli risponde in varie occasioni ma soprattuttoxu Roberto Antonelli
con un’altra canzone, Donna, l’'amor mi sforza, ove ripren
de alla lettera, di nuovo, ¢ con citazioni esplicite, Madon:,,
dir vo voglio (la canzone contraffatta metricamente de
Guittone), per riaffermare una concezione tragica, laica .
“sristaniana” dell'amore, ma al contempo ben consapevole
dei punti pin alti e raffinati raggiunti al riguardo nella liricg
provenzale (con Bernart de Ventadorn) e francese.
Siamo all’interno di una concezione d'amore come even.
to naturale e di “destino” che spiega le posizioni elitarie ej
esclusive di Guinizzelli e le ragioni della sua contrapposi.
zione con Guittone d’Arezzo. In Donna, l’amor mi sforza
e nella conseguente discussione con Pallamidesse Bellindo-
te (Amor, grande pecato) e coll’anonimo V 268 (Madon-
na, io son venuto [7 25.16]), a cut era probabilmente asso-
ctato almeno un altro fiorentino, Carnino Ghiberti, con V
173 (Amore pecao forte [7 37.3]), Guinizzelli si presen-
ta esplicitamente quale nuovo Tristano (come gia Giacomo
da Lentini, in molteplici componimenti), riconosciuto del
resto tale dal suo interlocutore Pallamidesse.* Recupera
cosi, consapevolmente, il senso di un famoso dibattito
d'Oltralpe, che aveva visto impegnati due grandissimi tro-
vatori, Bernart de Ventadorn e Raimbaut d’Aurenga (con
Can vei la lauzeta mover [BdT 70.43] e No chant per au-
zel ni per flor [BdT 389.32]), ¢ i pin grande romanziere
medievale, Chrétien de Troyes, nell occasione poeta lirico
(D’Amors qui m’a tolu a moi [RS 1664]). Partendo da
una lettura attenta del Notaro, Guinizzelli riscopre e svi-
luppa ulteriormente il senso lirico profondo del tormento
amoroso e della relazione vita-morte, cosi connessa in Gia-
como al rifiuto della donna e/o alla sepatazione e cost in-
trinseca alla fenomenologia laica d'amore. Il destino del-
l'uomo preso da amore procede conseguentemente in
Guinizzelli secondo una duplice via: da una parte la posst
bilita della morte spirituale, dello «spirito che manca e tor
na in ghiaccio» e del «corpo senza vita» (ofr. la «statiia
dottono» di Lo vostro bel saluto 12-4), dall’altra quell,Introdutione sty
ur strettamente CONNSSA, della lode (o vo’ del ver la mia
Fitna laudare), pot proiettata nella «’nteligenzia del cie
Io» in Al cor gentil 41. Sono entrambe piste gid percorse,
calmeno parzialmente, da Giacomo, per affermare la neces-
sta umana e umanistica di amore, nei sonetts in lode del-
Tamata (da Molti amadori [7 1.23] a A Vaire claro [7
4.26] 4 Diamante, né smiraldo [2 1.35] @ Madonna & 'n
sé vertute [7 1.36]), anch’essi poi riprest e sviluppati dai
toscani e in particolare da Guinizzelli.
‘Del pti grande romanziere francese,¢ lirico, Chrétien de
Troyes, Guinizzelli traduce alla lettera in un sonetto, La-
mentomi di mia disaventura (5-8 «Sta’ a la dura, / non ti
cessar per reo sembiante dato, / ché molto amaro frutto si
matura / divien dolce per lingo aspettato»), proprio le
proposizioni pitt aperte a una concezione sublimata del fatto
‘amoroso senza perd aderirvi pedissequamente. La connes-
sione di amore e morte e il riconoscimento del vicolo cieco
cui era pervenuta Ia lirica cortese, basata sullo scambio tra
servizio amoroso/canto e ricompensa fisica cui la donna era
obbligata, portano Guinizeellt verso una linea fondata sulla
parola (la lode estatica dell'epsfania femminile) e non sullo
scambio, sul corpo. Il nesso che lega Guinizzelli a Giacomo
permette cosi d’individuare un filone fondamentale della
storia della lirica prestilnovistica, restituendo limportanza
dovuta al gruppo di rimatori fiorentini traditi nel fascicolo
IX del Vaticano (con i quali era in corrispondenza Guiniz-
zelli), ¢ consente di comprendere Vimportanza della funzio-
ne “Notaro” e di quella “Guintzzelli” anche nello sviluppo
della poesia cavalcantiana e dantesca.® Il dialogo fra Gui-
nizzelli e i rimatori fiorentini del Vaticano si pone infatti
quale anello di congiunzione tra Giacomo, 1 Siciliant, e il
Dante della lode di Beatrice e della scoperta del valore auto-
nomo e assoluto, salvifico, della parola poetica, ossia diun
Piacere possibile esclusivamente «nelle parole che lodano la
donna mia», nella poesia in quanto tale,