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Idee di lingua nazionale nel primo ottocento Modelli linguistici e rapporto tra lingua nazionale e dialetti Lingua nazionale nel primo Ottocento Gia nel corso del Settecento, e soprattutto, come abbiamo visto, in eta illuminista, emerge la richiesta di rinnovamento linguistico e di una lingua unitaria. Gli illuministi, tuttavia, anche i pit radicali del Caffé, continuano a pensare ad un ammodernamento di una lingua di tradizione letteraria comune alle persone colte di tutt’Italia, anche nella versione pill allargata di una «universale lingua italiana», cioe aperta a «ogni parola che sia intesa da tutti gli abitanti di Italia», come scriveva Pietro Verri, oppure, come proclamava il fratello Alessandro nella Rinunzia, la «lingua che s'intende dagli uomini colti da Reggio di Calabria fino alle Alpi». Lingua nazionale nel primo Ottocento Alla lingua scritta guardano anche innovatori come Cesarotti e Vincenzo Monti, i! maggior esponente del classicismo primo-ottocentesco di radic| illuministe, che stabiliva (in una lettera al marchese Trivulzio del 1817) alcuni Corollari riguardo alla particolare situazione linguistica italiana: Corollario 1. Una nazione di molti governi e molti dialetti, acciocché i suo/ individui s’intendano fra di loro, ha mestieri d’un linguaggio comune. 2. Questa via di comunicazione non pud essere il linguaggio parlato, perché ognuno di questi popoli ha il suo particolare dialetto. Dunque é forza ch’ei sia linguaggio scritto. Lingua nazionale nel primo Ottocento Uesigenza di un’unita della lingua, che deve coincidere con lo strumenta vivo della comunita dei parlanti di una nazione, si fa strada chiaramente solo con le idee romantiche ed é affrontata con risolutezza da Alessandro Manzoni, prima di diventare questione prioritaria e ineludibile con il costituirsi dello Stato nazionale. Si trattava, dunque di recuperare la dimensione unitaria e la funzione sociale della lingua, in conformita agli ideali di una letteratura popolare e attenta alla realta, colmando la secolare frattura tra scritto e parlata che il nuovo culto del passato letterario contribuiva ad approfondire. Allinizio dell’ Ottocento, infatti, il moto di reazione all'influenza francese, ulteriormente accresciuta in eta napoleonica, determina un recupero dei valori del patrimonio letterario e linguistico italiano, e un culto fortissimo della lingua come vincolo della nazione e stimolo del sentimento di italianita. Purismo Coni idono questi ideali le correnti del purismo e del classicismo, che perd si differenziano tra loro nei modelli ¢ negli obiettivi. I purisme, il cui caposcuola é il sacerdote veronese Antonio Cesari, ereditando tendenze gid settecentesche, aspira a una lingua naturale, semplice, popolare, e guarda al Trecento come al «secol d’oro della lingua toscana», in cui «tutti scrivevano bene», proponendo di ricorrere alle scritture trecentesche anche per trovare i termini nuovi e necessari nei settori tecnicie scientifici. La lingua antica @ vista «come una fanciulla vergine delle pitt belle, ma di bellezza e color nativo, senza ornamenti né i», contrapposta alla moderna, «una sgualdrina azzimata, lisciata, carica di belletto, cascante di vezzi posticcin (si allude chiaramente all’influsso del francese e dell'inglese) Purismo Ai criteri puristici era ispirata la ristampa veronese della quarta edizione del Vocabolario della Crusca, con molte Giunte (la cosiddetta Crusca veronese), pubblicata tra il 1806 ¢ il 1811 sotto la direzione del Cesari. E la stessa prosa dei puristi rispondeva a queste indicazioni: ad esempio, in un’opera d’attualita come la Storia della guerra della independenza degli Stati Uniti d’America (1809), o storico piemontese Carlo Botta dichiara di servirsi «di vocaboli, 0 di frasi toscane lontane dall’uso volgare d’oggidin, e usa arcaismi come civanza ‘guadagno’, misfore ‘far male’ ecc II modello di prosa puristica avra lunga fortuna, anche attraverso la diffusione scolastica. Classicismo Il classicismo invece, spesso ispirato alla teoria della lingua italiana comune dantesco-trissiniana, guarda ai valori artistici, letterari e nazionali della tradizione linguistica, soprattutto cinquecentesca. Nel suo indirizzo piui aperto, di eredita illuminista (il cosiddetto “classicismo illuminato”), rivaluta la moderna cultura scientifica e filosofica, da cui ritiene che si debbano trarre gli elementi indispensabili per un moderato rinnovamento linguistico. Classicismo E questa la posizione di un intellettuale come Giacomo Leopardi: egli biasima i gallicismi ma non gli europeismi sette-ottocenteschi, ed @ contrario al modello francesizzante e coupé della prosa, a cui oppone, nelle sue Operette morali (1835), un esempio di classicita elegante e modernamente “filosofica”. In questa corrente si inserisce anche I’attivita critica e lessicografica del gia citato Vincenzo Monti, autore della Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca (Milano, 1817-26), e feroce oppositore del purismo e del Cesari Classicismo | dialetti (e la valorizzazione della letteratura dialettale) erano visti dai classicisti come Monti o come Giordani come «moneta che non corre fuori paese» e ostacolo alla diffusione nazionale della «comune lingua» italiana. Sulla questione dei dialetti nacque un’accesa diatriba tra autori classicisti e romantici. Un esempio significativo fu ’intervento contro i dialetti di Pietro Giordani sul periodico Biblioteca italiana (1816) e la rispettiva risposta del poeta romantico Carlo Porta che gli indirizzo dodici sonetti satirici in dialetto milanese (Dodes sonitt ail’Abaa Don Giovan) Romanticismo A fronte di queste posizioni affiorano i nuovi ideali del Romanticismo, i cui rappresentanti sono riunitiintorno a riviste come // Conciliatore (S. Pellico, L. Di Breme, G. Berchet,...). Con essi emerge la richiesta di una lingua comune che potesse essere strumento sociale (non solo letterario), di comunicazione scritta e parlata. I romantici rivalutano I’uso dei dialetti, studiati e apprezzati da Pietro Borsieri nelle sue Awenture letterarie di un giorno (1816) come «immagine fedelissima delle abitudini, dei costumi, delle idee e delle passioni predominanti dei popoli che le parlano». Viene dunque apprezzata anche la letteratura dialettale, considerata strumento educativo per diffondere pili facilmente la coltura nel volgo, e anche di nobilitazione, di equiparazione dei dialetti alla lingua. Da lingua della letteratura a lingua d’uso nazionale Riflessione manzoniana dalla lingua per il romanzo alla lingua per la Nazione Riflessione e opera di Manzoni Contro i dialetti “particolari” si poneva anche Alessandro Manzoni, che pure condivideva con i romantici il concetto del dialetto come lingua viva e vera Proprio su questa base egli arrivera a scegliere la lingua viva e parlata di Firenze, il dialetto fiorentino colto, come strumento di unificazione linguistica nazionale. Lo scrittore giungera attraverso una lunga e sofferta riflessione, che accompagna l’elaborazione del suo romanzo storico, i Promessi sposi, a questa soluzione teorica cosi radicale, ma secondo Manzoni indispensabile nella situazione italiana, di accettare una lingua «bell’e fatta», chiedendola «a chi V’ha gia» (come riferisce Niccolo Tommaseo). Riflessione e opera di Manzoni Le redazioni del romanzo storico di Alessandro Manzoni sono tre e corrispondono alle tre fasi linguistica e di riflessione teorica dello scrittore sulla lingua italiana: i elaborazione * I Fermo e Lucia, scritto tra il 1821 e il 1823 e non pubblicato * La 1? edizione dei Promessi sposi (1825-27, detta “Ventisettana”) * La 2? edizione, definitiva (1840-45, detta “Quarantana”). Opere giovanili di Manzoni Gli inizi della sua riflessione linguistica coincidono con il prima abbozzo del romanzo, il Fermo e Lucia, terminato nel 1823. ‘Ad esso Manzoni lavora dopo l’'abbandono delle esperienze poetiche giovar in cui aveva continuato a utilizzare la lingua della tradizione anche per nuove tematiche, non solo nei componimenti di gusto neoclassico (come il Trionfo della Liberta), ma negli Inni sacri, nelle tragedie e nelle odi civili: nel Cinque Maggio, Vode scritta in occasione della morte di Napoleone (1821), egli rivitalizza anche il sicilianismo nui (in rima con fui; wy. 31-36): Fu vera gloria? Ai posteri / 'ardua sentenza: nui / chiniam la fronte al Massimo / Fartor, che volle in lui / del creator suo spirito / pid: vasta orma stampar.

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