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carrroto ‘esplosione del debito pubblico 5.1 Un “fidanzamento” e un “divorzio” Vultimo anno dei “trenta gloriosi” si era chiuso col nuovo, violento, shock petrolifero. Il decennio successivo si apri con le sue conseguenze immediate in Italia la crescita del Pil rallento vistosamente Nel 1979, il Pil era cresciuto del 6% (un buon risultato per ultimo anno dei “trenta gloriosi”). L’anno successivo il tasso di crescita si dimezzd quasi, scendendo al 3,4% (ma se non si tiene conto dell'effet to statistico del “trascinamento” dell’anno precedente il rallentamento sarebbe stato ancora pid vistoso). Nel biennio che segul il rallenta- mento si accentud: si registro una crescita dello 0,8% nel 1981 ¢ dello 0,2% nel 1982 (per la prima volta dopo il periodo immediatamente postbellico, Veconomia italiana dovette confrontarsi con i “decimal che avrebbero rappresentato in anni pitt vicini a noi oggi la croce e la Al contempo, l’inflazione raggiunse, se calcolata nelle medie annue, assimo, Nel 1980 la crescita media annua dell’indice dei prezzi al consumo si attesto sul 21,3% rispetto alla media dell’anno precedente. Negli anni successivi sarebbe iniziata, per i motivi che esamineremo pit avanti una Ienta diminuzione del tasso di inflazione, che perd continud a estare “a doppia cifra” per parecchio tempo. esponsabili della politica economica italiana avevano perd gid deciso di mbiare radicalmente strada. Le nuove direttrici facevano affidamento sul 106 Cari010 5 graduale ritorno a un regime di cambi fissi, rinunciando percid, almeno in prospettiva, a far uso del deprezzamento della lira per sostenere la domanda aggregata, e sul contestuale impegno a contrastare l'inflazione, Valtro grande motore della crescita economica del decennio precedente. Per rendere concreto e credibile questo impegno si era deciso di promuo- vere, anche qui gradualmente, ma in modo deciso, l'indipendenza della Banca A'talia. In questo senso si pud dire che il decennio di cui siamo passati a occuparci si sia aperto, per economia italiana, con un “fidanzamento” e un “divorzio”. Il primo riguardava il rapporto tra la lira e le altre monete europee, ¢ si tradusse nella decisione di entrare a far parte, sia pure inizial- mente con una modalita un po’ decentrata ed elastica, del Sistema monetario europeo (SME), ossia del rinato regime di cambi fissi tra le monete dell’U nione Europea. Il secondo riguardava i rapporti fra Tesoro e Banca d’Ttalia. Con le nuove regole (il “divorzio”) la banca centrale non sarebbe pit stata obbligata, come avveniva in precedenza, ad acquistare tutti i titoli che il Tesoro le chiedeva di sottoscrivere. Inoltre veniva chiuso il conto corrente di tesoreria, aperto in precedenza presso la Banca dTtatia-dat quale il governo poteva liberamente attingere per finanziare le proprie spese. Sia 'argomento dello SME che quello del divorzio verranno ripres pil avanti. Prima, perd, dobbiamo interrogarci sul perché di questo radicale cambio di rotta. Proba- bilmente va cercato nel fatto che l'inflazione stava esaurendo, per cosi dire, la propria “spinta propulsiva”: la sua capacita di sostenere la crescita reale si stava affievolendo mentre i suoi costi economici ¢ sociali acquistavano un peso crescente. Ma vediamo meglio. 5.2 L’inflazione non é pit “propulsiva” A rigore non é V'inflazione che sosticne la ripresa economica. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, V'inflazione @ una conseguenza delle risposte espansive della politica economica di fronte agli shock dell’offerta. Questi ultimi (si rieordi il modello di p. 94) hanno Veffetto di spingere verso l'alto i prezzi; la conseguente tendenza alla recessione pud essere contrastata dalla politica economica sostenendo nella misura necessaria la domanda aggregatai ma, siccome il livello dell’attivita produttiva richiede, per essere mantenuto, che i salari reali non vengano compressi, anche i salari nominali devono crescere nella misura necessaria; il loro aumento spinge verso Ialto i costi e percid i prezzi, e tutto ricomineia da capo; la recessione non c’é ma, come contropartita, c’8 Pinflazione (da costi). Insomma, un po’ di inflazione fa da antidoto alla tecessione, o meglio lo scotto da pagare per tenere il prodotto effettivo vicino al potenziale. Su questo sono tutti d’accordo. (Vtsmosione et pero Punic 107 AI Punto che oggi la stessa Banca Centrale Europea definisce nel pro- Pa attte la “stabilita dei prezzi” non come una situazione on inflazione zero ma come una situazione in cui la crescita dei prezzi é vicina al 2% annuo, 5.2.1 Inflazione imprevista versus inflazione attesa Buttavia il meccanismo che abbiamo appena richiamato richiede, per fun: Atami,’ Wie + salari recuperino il potere d’acquisto perchito con a> po’ di Hardo, Alle imprese conviene aumentare la produsions solo nell'intervallo # tempo in cui la crescita dei prezzi Supera quella dei costi, ristabilendo 2 hewn Gi Profitto erosi dallo shock iniziale. Questo intervallo,¢ tanto Bin Iungo quanto maggiore @ il ritardo che precede Vadeguamento dei salari hominali. Se, per ipotesi, l’ade ‘guamento salariale fosse istantaneo, ci sarebbe inflazione ma, appunto, non ci sarebbe la ripresa economica. Ne consegue the l'effetto “espansivo” dell'inflazione @ massimo quando questa si manifesta & sorpresa. In questo caso imprese, Tavoratori e mercati non se Vaspettano tina realt on? con ritardo. Quando perd Vinflazione si trasfecne in ana realtd permanente — soprattutto se il tasso di inflazione non & “picco- oy Pet esempio & “a doppia cifra”) ~ il pubblico tende a mettere in atto emPoriamenti di difesa, che consistono nel giocare d’anticipo Finché V'inflazione @ “bossa”, ossia viene registrata dalle statistiche one Ga ina Passa praticamente inosservata nella vita quotidiana, le Bente tende a comportarsi come se l'inflazione non ci fomse. Cambinn Combortamenti comporta un costo (come cambiare abitudini) per- fag tende a non farlo. Anche un aumento dei prezzi consistente mg sereporaneo (si pensi alle variazioni stagionali dei prezzi dei prodotti ortofrutticoli) non provoca una significativa alterazione dei comporta- imenti. Ma, quando i prezzi tendono a crescere con osservabil rapidita € persistenza, dopo un po’ le cose cambiano, Per esempio, se i lavoratori osservano l'inflazione ¢ prevedono che continnera n futuro, prima o poi @ inevitabile che mettano nel conto che l'aumento dei ma Tidurra il potere d’acquisto delle retribuzioni, e quind; cercheranno di Sntrattare aumenti di salari nominali in grado di compensare in anticipo rosione dei salari reali dovuta all'inflazione futurn Queste strategie non riguardano solo il mereato del lavor Per esem. Pio, sono molto rilevanti anche nei mercati dei prestti, Anche colors 108 CarToi0 5 che prestano fondi (i lenders) tendono ad adeguare } ProP™™ comporta- ‘enti quando prevedono Fnflazione. Possono cio’ chiedeve unt rem nerazione pid alta per concedere i prestiti, ossia pretendere un tasso Ui interesse nominale pid alto per compensare si effetti dell'inflazione ‘atvosa per il periodo di durata del prestito. A p. 92 avevanlt introdot- to la distinzione fra tasso di interesse nominale ¢ tasso di interesse vente, deve appunto quest'ultimo (r) @ il tasso nominale (i) diminuito “lelMaflazione registrata durante il prestito (Ap); Quando concede tim prestito il lender ha wn obiettivo in termini oi tasso reale. Percid per coneederlo chiede un interesse nominale tale da garantirgli appun- to il tasso reale che desidera una volta che dal tasso nominale venga ottratta Vinflazione attesa, Per sintetizzare, @ consuntiv® (ex post) sbbiame r = i— Ap (dove appunto T'inflazione @ quella passata, veri freatasi durante il prestito), mentre @ preventivo (eZ ante) abbiamo jr + Apt, dove 7 @ il tasso reale fissato come obiettiv® ¢ Vapice +e’ ci ricorda che V'inflazione @ quella futura, attesa (expected) per il periodo del prestito. Man mano che queste strategie si diffondono, la capacit® dell’inflazione di voadiuvare le politiche di sostegno della domanda aggrege® Pe promuovere Ja ripresa dell’attivita economica si indebolisce fino a vanificarsi del tutto. I modell macroeconomico di cui ci siamo serviti permette di concludere che aoe tlavione perfettamente prevista non ha pith aleun effetto espansivo sul livello del Pil Nei termini del grafico, & come se, ont volta che la politica economica sposta a destra ja curva AD, lavoratori & imprese, prevedendo corret- Temente che questo spostamento provochera in fuluro wn aumento dei prezzi, stipulino ammediatamente contratti a salvaguardia del salario reale che fanno salire subito la curva AS, com la consegueh?™ appunto, che i] Pil non si muove mentre i prezzi continuano a salire. Si pud mostrare, anzi, che un’inflazione permanente ed elevata (almeno “a doppia cifra”) ha effetti depressivi sul Pil, effert che il modello macroeco- nomico di cui ci siamo serviti non pu catturare perché @ troppo semplice LVinflazione pud essere (@ in molti casi @ stata) ancora Pit alta: a tripla cifra come quella della Germania degli anni venti del secolo eorso 0 dellTtalia della meta degli anni: quaranta, pet nov parlare dlelViperinflazione, Convenzionalmente si parla di iperinflazione quan- ddo la crescita del livelo generale dei prezzi raggiunge © supera il 50% Lesmtosione pe: Dearo u8uCo 109) mensile. Di nuovo, non stiamo parlando di un’astrazione. B succes: so in passato (per esempio in Argentina alla fine del secolo seors®) ¢ continua a suceedere, sia pure per intervalli di tempo molto brevi, in qualche paese del mondo, Per ora ci limitiamo a segnalare uno di questi effetti depressivi. Vivore in tina realta in eut i prezzi crescono continuamente comporta l'indebolimento dt correnza. Ci ‘ano dei meccanisini attraverso cui il mercato fa funzionare la con ‘Hferiamo alla sorveglianza della dinamica dei prezzi da parte degli acquirenth, Ia quale fa si che, quando si osserva l'aumento del prezzo di wn prodotto, si cnanifesta una tendenza alla riduzione della domanda di quel prodotto, cosa he, a gua volta, rende riluttanti i venditori a far salire i prezzi. Ne consegtie Che, indebolendo quella sorveglianza, Minflazione prolungata (ed elevata) ha Yeffetto di far_crescere il grado di monopolio_det_venditori. “Dato che un Gumento del grado di monopolio fa salire i prezzi (vedi p. 88) ne risulta, a parita di tutto il resto, un effetto recessivo sul Pil (vedi ancora P- © seguente) Questo @ appunto quel che stava succedendo nell’economa 5 aliana alla fine degli anni settanta. T consumatori e i risparmiatori, i lavorator © le imprese si stavano abituando a convivere con un’inflazione clevata. Percid da una parte giocavano sempre pit: d'anticipo nella difesa del valore reale dei propti redditi e dei propri risparmi; ¢ dallaltra tendevano ad attribuire beni aumento di prezzo osservato alla tendenza generale per cui tutti | Prez! Sumentavano. In questo quadro diventava pin agevole, pet chi aveva il potere FE fecare i prezzi, sfruttare l'aumentato grado di monopolio per farlicrescet tin po’ pid della media, Per tutti questi motivi Vatuto alla croscita del Pil fornito dall’inflazione nel corso del deceninio diventava sempre pit debole, offrire’ tendendo a esaurirsi del tutto. Insomma, per la politica economica, fnflazione conveniva sempre meno 5.2.2 Aumentano anche i costi dell’inflazione Abbiamo visto in precedenza (p. 65) che una importante conseguens Finflazione (sia quella moderata sia quella elevata) @ di provocare un’ Te Gistriburione dei redditi ¢ della ricchezza dai creditori (i lenders, ossia, in Kestanva, j risparmiatori e i possessori di patrimoni) ai debitori (I borrow. ia, ossia, prevalentemente, le imprese ¢ lo Stato). E abbiamo appena visto ibe ci si pud difendere da questa redistribuzione incorporando nel cont: ETinflazione atiesa. Questo, perd, vale solo per i nuowi contratti, mentr® on vale per tutti i contratti stipulati in precedenza e, pit in generale Det tts | contratti in cui non si @ tenuto conto dellinflazione futura. F non 110 CaPro10 5 vale, naturalmente, per le scorte di moneta, per la ricchezza detenuta in for- ma liquida. Insomma la ricchezza incorporata nei patrimoni fissi in termini nominali (ossia non indicizzati o non agganciati in qualche altro modo alle vicende dell’inflazione futura) viene erosa dall’inflazione che appunto riduce il valore reale di quei patrimoni. E come se questi patrimoni fossero sot- toposti a una tassazione la cui dimensione dipende appunto da quanto elevato il tasso di inflazione (gli economisti la chiamano proprio “imposta da inflazione”) I patrimoni, esclusi quelli detenuti in forma di moneta (contanti e con- ti correnti), possono essere difesi dall'inflazione futura in vari modi: (2) possono essere costituiti da beni (0 da azioné delle imprese) i cui io meno in linea con I’inflazione; (ii) possono essere costituiti da titoli (0 altre attivita finanziarie) indicizzati (il sottoscrit- tore, alla scadenza del titolo, incassa il valore nominale all’atto della sottoscrizione maggiorato appunto dell’inflazione maturata nel frat- tempo); (iii) possono essere costituiti da titoli a tasso variabile (come abbiamo visto prima, quando ’inflazione aumenta il tasso di interesse nominale tende a salire; ma questo non vale per i titoli a tasso fisso, che percid perdono di valore; i titoli a tasso variabile permettono di aggirare questa difficolta); (iv) pud essere costituito da titoli in valu- ta, ossia denominati nella moneta di un paese in cui T'inflazione sia pid bassa. Tutte queste soluzioni si sono diffuse anche in Italia, ma, appunto, dopo gli anni settanta. Finché i patrimoni erano prerogativa di pochi ricchi, 'imposta da inflazione non aveva conseguenze sociali rilevanti Ha pero conseguenze economiche (recessive): come ogni imposta, ha Veffetto di ridurre il reddito disponibile delle famiglie ¢ percid il loro consumo. Ne consegue un calo della domanda aggregata e percid del prodotto effettivo. Pit in generale, gli studi di macroeconomia hanno messo in luce una relazione positiva tra livello della ricchezza reale € livello del consumo. L’hanno chiamata “effetto ricchezza”. Dato che Vinflazione riduce il valore reale di tutta la ricchezza fissa in termini nominali, ne consegue un “effetto riechezza” che, ridimensionando il consumo, incide negativamente sulla domanda aggregata e percid sul prodotto effettivo. E vero che i ricchi dispongono sempre di molti modi per difendersi da quel- Vimposta, per esempio investendo in riechezza reale (fabbricati, terreni, azioni, Lesetosione oe. cea Pussuico 114 eu rifugio, ecc.) oppure portando i soldi all’estero (investendo in valuta) Ma nei trent’anni di crescita sostennta che precedono il 1980 le cose era. eeareechio cambiate. La ricchezza aveva cominciato a diffondersi verso 1, sumpre pid) ampie della popolazione. Sempre maggiore era il numero pelle famiglie che eramo ormai in grado di risparmiane che destinavano i ropri risparmi, oltre che alla casa d. Proprieta, all'acquisto di titoli, soprat- itto del Tesoro. Questo significa che 'imposta da nflazione cominciava a pordere anche le famiglie dei lavoratori, i cui redditi continuavano a essere difesi dai contratti e dai meccanismi di indicizzazione ma i cui patrimoni on l'eccezione delle case) non lo erano, All'inizio degli anni settanta il “partito dell inf lazione”, composto dai Brandi debitori, ossia le imprese e lo Stato non doveva contrastare una forte PPosizione. I lavoratori vue Sostanzialmente neutrali (i loro redditi erano felativamente tutelati e V'inflazione sostenova Patt vita economica e occu. Mae). 1 soli avversari erano percid i piccoli risparmiaton (socialmente, almeno all’inizio, poca roba). Percio. Vinflazione aveva la strada spianata ala fine del decennio le cose erano cambiate. F parecchio, Da quel mo- tento il consenso sociale per V'inflazione si andd riducendo sempre di pit. Il Fag ewivo ridimensionamento dei benefici e la contestuale lievitazione dei sti fecero si che 1’inflazione diventasse un nemic » da combattere. Tra Valtro, stava diventando sempre pit rilevante un effet 0 redistri- butivo “perverso” sempre associato all'inflazione. Dato ei il siste ine tributario italiano prevedeva un'imposta progressivn sul reddito ("inrer) basata su scaglioni fissi, man mano che 1 dditi nominali real) an) assieme all aumento dei prezai (e percid a parita di redditi reali), cresceva anche Pimposizione su tali reddit (che venivano tassat ase ad aliquote pid elevate), sicché i redditi reali netti Jiminuivano. f amant® Gel cosiddetto fiscal drag (la “draga fiscale”), che facevs anche i redditi “protetti” dalle indicizzazioni. venissero erosi dallinflazione tito cid sp almeno in parte, la svolta maturata in quel periodo nell’at famento delle politiche economiche 5.3 Le nuove linee di politica economica 5.3.1 Ritorno ai cambi fissi Nel 1979 i paesi della Comunita Europoa, su iniziativa di Francia e Germania “ecezione (anche allora!) del Regno Unito, decisero ii.dar vita per 112 Camr0105 le proprie monete, a un nuovo regime di cambi regolamentati: il Sistema Monetario Europeo (SM). ‘Allora nella Comunita Europea c’erano meno paesi (¢ il mio sospetto, che cercherd di argomentare nei capitoli suecessivi, @ che il successi- vo allargamento non abbia fatto bene all’Europa). Oltre a Francia, Germania (occidentale) e Italia, gli altri paesi aderenti allo SME era: no Olanda, Belgio, Lussemburgo, Danimarca e Irlanda. Altri paesi aderirono successivamente. Per esempio, la Spagna aderi nel 1989, iI Portogallo nel 1992, Austria nel 1995 e la Finlandia nel 1996. Tl Regno Unito aderi solo per un periodo limitato (dal 1990 al 1992)- Senza entrare troppo nei dettagli, il trattato che istituiva lo MB prevedeva Ih ereazione di una unita di conto europea (ECU), in sostanza un paniere delle varie monete aderenti al sistema, e un regime di cambi (quasi) fissi dello singole monete rispetto all’ECU. “Quasi” perché a ciascuna moneta crano consentite limitate variazioni del tasso di cambio. Era ciod prevista tna “banda di oseillazione” del 2,25% in su o in gid rispetto alla “parita cot tale” (il tasso di cambio uffciale della singola moneta con 'scu). AU Italia ra stata concessa una banda allargata al 6%. Il trattato prevedeva Vobbligo per le banche centrali di intervenire quando una moneta raggiungeva illimite Mella banda di oscllazione, e istituiva, per facilitare questi interventi,linee di tredito reciproco tra le banche centrali (SWAP). Prevedeva inoltre, nel caso di andamenti fortemente divergenti delle economie, la pos di modi- fiche delle parita central (riallineamenti) da parte del Consiglio dei ministr fnansiari della Comunitd Europea. Nelle intenzioni det paesi aderenti, lo sate era stato concepito come il primo passo lungo un percorso di crescente integrazione monetaria e finanziaria, i cui passi suecessivi dovevano essere la Tiber cireolazione dei capitali allinterno dellarea e, in una prospettiva pid lunga, V'istituzione di una moneta unica. ‘Questo titorno ai cambi fissi avveniva, perd, in una situazione molto di- versa da quella che aveva caratterizzato V'esperienza del sistema di Bretton Woods e della golden age. E prefigurava anche una strategia di politica eco nomica molto diversa non solo da quella degli anni immediatamente proce denti, ma anche da quella degli anni cinquanta e sessanta. L'elemento che tomava era quello di affidarsi alla disciplina di un wincolo estero. L’adesione allo sae veniva giustificata sia come il modo per impedire il facile ricorso al deprezzamento del cambio nominale per recuperare (temporaneamente) competitivita, sia come il modo per agevolare wna gestione dell’offerta di moneta capace di contrastare le pressioni inflazionistiche LLesmosone bet ovaro music 113 Come si é detto in precedenza (vedi p. 49), in regime di cambi fissi i margini di autonomia sul eontrollo delVofferta di moneta da parte della banca centrale si riducono drasticamente. Questo, appunto, perché gli inteventi della banca centrale sono condizionati dall’impegno a tenere fisso il cambio. L’accento sulla lotta all’inflazione faceva una grande differenza. Il segno delle politiche della domanda aggregata era completamente rovesciato rispetto agli anni precedenti: mentre prima la politica di bilancio ¢ la politica monetaria erano “assegnate” all’obiettivo di sostenere l’attivita economica, ora appari- vano “assegnate” agli obiettivi della stabilita del cambio, del. rientro dell’in: flazione e, come illustreremo tra poco, del riequilibrio dei saldi di finanza publica (vedremo in seguito con quali risultati). Prima dobbiamo occuparci brevemente dell’altro pilastro della nuova strategia di politica economica, 5.3.2 L’indipendenza della banca centrale Come abbiamo detto all’inizio del capitolo, sul finire degli anni settanta si era consumato il “divorzio” fra Tesoro e Banca d'Italia. La nuova normativa climinava lobbligo che la banca centrale aveva in precedenza di acquistare tutti i titoli emessi dal Tesoro alle aste e non sottoscritti dal mercato. L’emissione di titoli pubblici é il modo principale attraverso cui ill Tesoro finanzia il proprio disavanzo. Questi titoli vengono emessi pe- riodicamente (per i titoli con scadenze pint brevi, i Buoni ordinari del Tesoro, 0 BOT, con cadenza annuale, semestrale, mensile e quindici nale) mediante un meccanismo d’asta. Prima del “divorzio” la Banca Ctalia era appunto obbligata ad acquistare tutti i titoli rimasti in venduti all’asta. I pagamento avveniva immettendo nuova moneta in cireolazione. Di conseguenza il controllo della quantita di moneta che complessivamente circolava nell'economia (la cosiddetta. “offerte di moneta”) era, sia pure indirettamente, nelle mani del Tesoro. Dopo il “divorzio” la Banca d'Italia poteva decidere autonomamente la quan- tita di titoli da acquistare alle aste, e aveva anche piena liberta di acquistare e vendere titoli nel mercato secondario. Tl mercato secon @ quello in cui vengono scambiati titoli “vecchi ossia emessi in passato ma non ancora in seadenza. Il mereato primario @ invece quello in cui i titoli vengond emessi, ossia appunto le aste periodiche del Tesoro, 114 Coon010 5 Nel corso degli anni suecessivi le regole del “divorzio” divennero via via pit restrittive. In una seconda fase si passo alla proibizione, per la Banca d'Italia, di intervenire alle aste. In anni pit vicini a noi venne ridimensionata drasti- camente anche la possibilita di intervenire nel mercato secondario dei titoli pubblici. La finalita strategica di tutti questi passi era quella di realizzare una sempre pitt completa emancipazione della banca centrale dal governo fino al raggiungimento della sua piena indipendenza, Lindipendenza della Banca d'Italia veniva vista come la condizione per perseguire due obiettivi principali: (i) rendere pid efficace la lotta all’in- flazione, un obiettivo giustificato dal fatto che ~ come abbiamo visto prima quest'ultima presentava ormai molti pid costi che vantaggi; (é#) disciplinare il Tesoro costringendolo a mettere ordine nel proprio bilancio, non poten- do pitt contare su un finanziatore obbligato a sottoserivere qualunque suo fabbisogno. La tesi che le banche centrali dovessero essere indipendenti era sostenuta anche da un profondo mutamento nel clima della letteratura macto- economica: alla fine degli anni settanta eravamo nel pieno di una pronunciata, eclisse delle posizioni keynesiane. Le idee che andavano allora per la mag- giore erano quelle di chi riteneva che gli obiettivi della riduzione dell’ output gap (nel breve periodo) e della crescita del prodotto potenziale (nel lungo periodo) potessero essere meglio perseguiti, invece che attraverso il sostegno della domanda aggregata, attraverso interventi di riforma dal lato dell’of ferta aggregata, capaci di ridurre i costi, di accrescere la produttivita e di promuovere la concorrenza nei mercati. Abbiamo gia discusso alcuni limiti di questo approccio allla politica macro- economica nel terzo capitolo (vedi p. 48). Certo @ perd che raggrupparle sbrigativamente sotto letichetta dispregiativa di “neoliberismo”, come spes- so si é teso a fare (e come spesso si tende a fare tuttora), @ riduttivo, im- proprio e controproducente, anche per coloro che propugnano un approccio alternativo. Ancora pi sbrigativa e ingiustificata @ la tesi di attribuire legemonia di queste posizioni presso la maggioranza dei governi dei paesi occi- dentali a una non meglio precisata influenza dei “poteri forti,” della “grande finanza internazionale” e delle “multinazionali” La validita e I'efficacia di un approccio di politica economica vanno discusse nel merito e valutate sulla base dei risultati ottenuti. Per esempio, il modello macroeconomico di cui ci siamo serviti nel capitolo precedente, nonostante sia estremamente semplificato, permette di discutere la logica dell’approccio dell’offerta aggregata. Partiamo dal solito grafico di p. 89 e assumiamo che la posizione di partenza dell’economia sia identificata dal livello del prodotto Leseuosone oe eso pussuco 115, Y, mentre Yo sia il livello del prodotto potenziale (c’é appunto un output gap). Supponiamo ora che interventi di riforma dal lato dell’offerta riescano ad abbassare i costi, ad accrescere la produttivita ea ridurre il grado di monopolio. Ciascuno di questi interventi (0 anche uno solo di essi) ha l’effetto di spostare in basso la retta orizzontale AS (che scende al di sotto della posizione AS;). Ne consegue un aumento del prodotto effettivo e percid una riduzione dell’ output gap. Questo nel breve periodo. Anche gli effetti di Ingo periodo sono “virtuosi”: come abbiamo visto nei capitoli precedenti Yaumento della produttivita ¢ la riduzione del grado di monopolio fanno aumentare il prodotto potenziale Questo non significa, naturalmente, che !’approccio delle riforme dal lato dell offerta non presenti aspetti problematici. Alcuni riguardano il timing: si fa prima (esi incontrano meno resistenze) a spostare la curva AD a destra che non spostare la curva AS in basso; questo significa che, a parita di efficacia e di risultato finale, le politiche dell’offerta comportano recessioni pitt lnghe e riprese pid lente; insomma il “breve periodo” delle politiche dell’offerta aggregata tende a non essere tanto breve ¢ a confondersi col lungo periodo, sicché non é facile convincere chi paga di persona il costo di una recessione economica che @ il caso di aspettare con pazienza, confidando nella promessa di un futuro ricco di vantaggi Due annotazioni aiutano a valutare meglio quanto appena detto. L prima. Come abbiamo appena visto, alla fine degli anni settanta, ef ficacia delle politiche della domanda appariva piuttosto compromessa. La seconda. Il timing lungo degli interventi dal lato dell’offerta si scon ra con V'impazienza dei governi, i quali, anche per motivi di consenso politico ed elettorale, preferiscono ottenere risultati spendibili nel pid breve tempo possibile Altri aspetti problematici riguardano la scelta degli interventi: se per sempio la riduzione dei costi, I’'aumento della produttivita ¢ la promozione della concorrenza vengono perseguiti concentrando gli interventi sui livelli e la dinamica dei salari, sulle forme di contrattazione e, pit in generale, sui rapporti di forza nel mercato del lavoro, allora é inevitabile che ’emergere di un conflitto sociale offuschi e renda difficoltosa e controversa la strategia delle riforme.' Un terzo aspetto problematico riguarda la coerenza dell’approccio nel quadro complessivo delle scelte di politica economica. Se questa coerenza manca, i risultati possono essere molto diversi da quelli desiderati. Come ‘Stiamo parlando dei primi anni ottanta del secolo scorso, Gli attuali critic devono pazientare ancora per qualche capitolo prima di esclamare “I’avevo de

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