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Introduzione di Fernando Tempesti Uno degli scopi di questo commento, forse il maggio- re, comunque in pid: immediato, é quello di awvicinare il lettore di oggi al capolavoro del Collodi in tutta la sua franchezza, attualita, felicita. Fra Le avventure di Pinocchio e noi, sarebbe ipocrita nasconderlo, si alza sempre pit: alta una dura paratia, fatta non di noia, di mala abitudine scolastica, com’é il caso del Manzoni, ma di variazioni, amplificazioni, tra- scrizioni, che finiscono per svogliare e mettere fuori strada il lettore, spingendolo sulle secche di lungaggini e cervellotici andirivieni, fastidiosi e banalizzanti almeno eae i sempre ritornanti stereotipi sul conto del Collo- ie sul non molto che sappiamo della sua vita. troppo chiedere che al lettore, nella liberta alla quale ha pieno e totale diritto, sia dato accostarsi all'opera di un autore, chiunque sia, sostanzialmente in condizioni di parita; quanto dire nel rispetto di quella li- berta alla quale chi ha scritto ha - 0 quanto meno avreb- be — diritto quanto lui? Un commento, come osserva Geno Pampaloni nel suo commento esemplare ai Promessi Sposi, & gia un saggio, anche se distribuito in tante note. Per quanto ci riguarda, almeno nelle intenzioni, un saggio che si sfor- za di chiarire e confrontare gli aspetti stilistici, linguisti- ci, storici, strutturali, simbolici e allusivi del testo; fatti salvi quelli che il lettore intende chiarisce e confronta da solo. Se cosi é, un’introduzione, in questo caso, non do- vrebbe andare molto al di 1a dell’enunciato di alcune informazioni e premesse. Intanto in tema collodiano non esistono soltanto rifa- cimenti e amplificazioni. Chi presta orecchio sente il brusio discreto di un‘operosita che continuamente scava e confronta, intorno alle non molte risultanze che tocca- no della vita del Lorenzini, e a quelle molto pitt numero- se che riguardano i luoghi e il mondo nel quale visse. Una certa esiguita biografica, come altrove si é detto, che forse e in primo luogo dipende dalla pit semplice delle ragioni, dal fatto che il Nostro non avendo “studiato da grand’uomo”, non ha mai pensato a metter da parte gesti ¢ motti buoni da costruire una “vita d’autore”; e gli altri, se possibile, ci hanno pensato anche meno di lui. Quello che risulta da queste ricerche, che di decennio in decennio si arricchiscono e lentamente diventano di dominio comune, il lettore che volesse conoscerle pud procurarsene una rassegna affidabile, ma non arida, che accompagna, con la scorta di buoni documenti, il Collo- di dalla nascita nel 1826, in una delle meno floride stra- de della sua citta, Firenze, fino alla morte nel 1890, sulla porta di casa, in una delle strade del centro ricco della citta. Si vuole, con la perifrasi che precede, segnalare il ca- talogo della mostra che nel 1990, nell'occasione centena- ria, I'Istituto per l'Enciclopedia Italiana ha organizzato a Roma, nelle sale del Vittoriano, dal 28 novembre al 18 dicembre. Titolo della mostra e del catalogo: Carlo Lo- renzini oltre l'ombra del Collodi. Carlo Lorenzini — Collodi nel Centenario & invece il ti- tolo del volume di Atti del convegno che si affianco alla mostra, e ne approfondi le risultanze e gli intenti; anche questo volume é@ uscito a cura dei Servizi Culturali dell'Istituto dell’Enciclopedia, nel 1992. Se si affida a queste due agili “guide”, una biografica ma non solo biografica; e l'altra bibliografica, ma non solo bibliografica, i] lettore pud trovare tutto, o quasi, quello che gli servira nel caso voglia approfondire |'argo- mento Collodi. E naturalmente trovera ben indicate, prime fra tutte, le pubblicazioni della Fondazione Nazionale C. Collodi, che nata negli anni Cinquanta dal 1974 organizza im- portanti convegni, nazionali e internazionali, nei quali si confrontano, da allora, studiosi e appassionati di tutto il mondo, Da aggiungere non abbiamo che qualche nuova informazione o domanda. La prima riguarda la militanza del Lorenzini, dopo i suoi inizi negli ambienti mazziniani, nelle file della mas- soneria. Che il figlio del cuoco cortonese nel corso della sua vita avesse murato liberamente, per dirla col nostro grande Giorgio Pasquali, lo si era gia pensato. Né pochi erano i segni, o gli accenni, che incoraggia- vano tale ipotesi, anche se positivamente il suo nome non compare in nessuna di quelle raccolte storiche, nel- Je quali si vanno a cercare i nomi dei massoni illustri, di- stintisi nelle scienze o nelle discipline umanistiche. Lipotesi, tuttavia, aveva un tale fascino in sé, che due specialisti, Nicola Coco e Alfredo Zambrano, nel 1984, ur rispettandola come tale, fondavano su di essa un ungo lavoro, che si concretava in un ampio e denso vo- lume dal titolo non equivoco: Pinocchio e i simboli della “Grande Opra” (Roma Atanor). La prova, che avrebbe voltato I'ipotesi in certezza, co- me spesso le prove e altri piccoli e grandi tesori, era pit a portata di mano di quanto, a tutti quanti che cercava- mo, era dato immaginare. Dormiva da pit: di un secolo nella chiusa di una lette- ra, inviata dal Nostro i] 4 marzo 1884 a un massone no- torio, Piero Barbéra, figlio del pit: risorgimentale Gaspe- ro. Lettera che si poteva leggere anche a stampa dal 1980, perché pubblicata da Maria Jole Minicucci nel vo- lume degli Arti, titolo Pinocchio Oggi, pp. 230-231, di un convegno che aveva avuto luogo a Pescia fra il settembre e l'ottobre del 1978. In questa lettera il Lorenzini conclude (il corsivo é nostro): “In ogni modo mi creda il fratello Collodi”. Appena trovata la prova ne demmo concisa notizia, quasi subito, a p. 13 dell'introduzione al catalogo della mostra Cento anni di editoria per ragazzi a Firenze, che curammo per la provincia di Firenze e che resto aperta nel febbraio e nel marzo del 1988. Salta agli occhi che i] 1884 non @ una data precoce nella vita del Lorenzini: questo vorrebbe dire che aveva aspettato cosi tanto per farsi uomo di loggia? Induce a pensare il contrario sia il pochissimo che sappiamo di storia della massoneria, propensa a recluta- re non fra i giovanissimi ma nemmeno fra gli anziani, sia una frase del “nemico” Giovanni Prati, che nel 1855, rispondendo al duro attacco del Collodi dell'anno prima a proposito del Rodolfo (celebre stroncatura in otto pun- tate) nell’introduzione al nuovo poema Satana e le Grazie (p. 14) mette il Lorenzini fra i “lunatici apostoli d’un sim- bolo politico e religioso, nel quale la mia natura, |'espe- rienza, la tradizione del mondo e dei miei studi mi vietan di credere”. Frase in sé non poco sibillina fino a quando non si legge in quel simbolo il simbolo massonico. Bastera questa notizia finalmente provata per dare non diciamo una certa stabilita, ma per ridurre la banda di oscillazione, di quello che si dice intorno alle idee e agli atteggiamenti politici del Lorenzini? Tutti ce lo auguriamo. Come ci auguriamo che d’ora in poi, anche se non taceranno, saranno un po’ fatte pru- denti certe letture “sanfediste”, per dirla con l’'amico Bertacchini, del suo capolavoro. Genere di letture che, a quanto ci risulta, Piero Bargellini ided e mise in circola- zione, anche se poi i molti che le hanno fatte proprie, mostrano qualche difficolta a ricordarselo, Ma anche certe letture accesamente esoteriche nascono da qui. E ci si ricorda di Emilio Servadio, psicanalista collo- dista e massone: chissa come avrebbe esultato al sapere per certo che il “suo” Collodi si firmava fratello. D’altra parte non sara privo d’interesse leggere ora il sapere collodiano in questa prospettiva, insomma nella prospettiva massonica. Fin d’ora é facile capire che sara da “marcare stretto” un punto, che anche con quella il Collodi non era certo un tipo che si era finito sui libri; e come che fosse — mi si perdoni la grande banalita — tut- to, e per tutti, allora avweniva in un‘epoca prefreudiana; insomma proprio tutta un’altra cosa di quello che si é vi- sto e sentito dopo, E veniamo al 1853, un anno prima dei cachinni in ot- to puntate sul Rodolfo del Prati, e “passiamo” quest’altra notizia rimasta fin qui inedita. Inedita in quanto non se- polta ma chiusa in un’opera di quelle come se ne faceva- no ancora prima della prima guerra mondiale. Sono due grossi volumi di un’edizione privata nei quali Gabardo Gabardi, che sara in diplomazia e corri- spondente da Firenze, nel 1890, firmera il necrologio del Lorenzini sul “Corriere della Sera”, come si legge a p. 41 10 del catalogo della mostra di Roma, che non finiamo di consigliare a quelli dei nostri lettori che vogliono tirarsi su per collodisti: due volumi nei quali sono raccolti pitt di cinque decenni di vita culturale, ma non solo cultura- le, in Italia. Un'epopea tutt’altro che stucchevole o privata, che ha due centri geografici, Firenze e Modena, e un centro personale, la madre del curatore (morta nel 1893) titolo: Mia madre I suoi tempi — I suoi amici, Firenze 1900- 1902. Prima di sposare il modenese vedovo Olivo Gabar- di si chiamava Isabella Rossi ed era stata corteggiata da Giuseppe Giusti, amabile poeta, ma come marito... In questa festa di notizie non stantie e di documenti di prima mano, molti riprodotti in fac simile, a p. 263 del primo volume incontriamo il nostro Lorenzini non ancora trentenne frequentatore non depresso di salotti, in questo caso quello dell’Amelia Calani-Carletti, nel quale per colpa sua “sono successi dei guai”: in una Strenna il futuro Collodi ha “stroncato” un certo Muzzi, e questi ha preso cappello e si é adirato con la padrona di casa. “Del resto”, scrive questa alla Rossi Gabardi, “é forza convenire che questo giovane critico é pieno d’in- gegno e di nerbo”. E parlando di romanzi aggiunge: “Egli ne scrive uno intitolato La donna di marmo. Capi- sco che é una satira del nostro sesso; ma io lo confuterd”. Quanti, non credo che siamo cosi pochi, fra le cose preziose della loro biblioteca hanno uno stipo ben chiu- so, dove conservano i libri non scritti, propri e altrui, non ameranno meno degli altri questa Donna di marmo, romanzo che non supera le cento pagine, di un sapore gia vagamente sommarughiano, da parlarne a lungo quando c’incontriamo,. Ancora un documento che sembra fatto apposta, questo, per essere letto nelle due prospettive (roba da se- minario di storia), quella della chiara attualita di “allo- ra” e quella dell'oggi, nel quale sapendo come, nel secolo che intercorre, sono andate le cose, possiamo, se non al- tro, farci belli del senno di poi. Si tratta di una breve e densa recensione, uscita su “La Domenica Letteraria” dell’l1 febbraio 1883 (Anno IT n, 6) diretta da Ferdinando Martini; testo che nella sua concisa spietatezza non richiede molto sforzo d’ingegno per farsi attribuire allo stesso direttore. Leggiamolo. che precedeva il Pinocchio nella U E Feltrinelli, Milano 1972 (1980°). Infine chi legge, pit: spesso il primo del secondo, in- contrera due nomi, Camilli e Pollidori, che rimandano a due studiosi, Amerindo Camilli e Ornella Pollidori Ca- stellani, che forse senza intenzione, sotto il cielo chiaro della filologia, hanno dato vita a un piccolo dramma pri- ma funesto e poi felice, per dirla col vocabolario titolo- grafico di moda. In breve: preparata con lungo amore negli anni bui della guerra nel 1946 l’editore Sansoni di Firenze, in una veste un po’ fuorviante, pubblica a cura di Amerindo Ca- milli una edizione de Le avventure di Pinocchio che ¢ la prima e vera edizione critica del testo collodiano. E tale sara da subito considerata; e seguita dagli studiosi dell’argomento. Verso il 1979, un cultore di questi studi che preferi- sce, in questo caso, restare anonimo, propone di costi- tuire un pool di esperti non per rifare il lavoro del Ca- milli, ma per completarlo e arricchirlo di quegli apparati e indagini collaterali che mancavano alla sua edizione. La proposia aveva da poco visto la luce che fu fatta propria dalla Pollidori Castellani, che ne progetto un’esecuzione in proprio, nella quale, per prima cosa, si accantonavano le meditate scelte del Camilli, che dopo molti esami di circostanze e varianti aveva concluso che collodiana senza ombra di dubbio era soltanto l’ed. del 1883, e quella, senza feticismi, aveva tenuto a fonda- mento. Da parte sua la Pollidori puntava all'’opposto e sceglieva la quarta/quinta ricomposizione del romanzo fatta in tipografia nel 1890. Il 1890 é anche |’anno della morte del Lorenzini. Liberissima, ovviamente, di farlo, salvo poi motivare, in buona filologia, le ragioni della scelta. Assai meno comprensibile appariva il modo come ac- cennava di volo a tutto i] consolidato lavoro del Camilli (a p. LVII della sua ed., Pescia Fondazione Collodi 1983) quasi fosse da cancellare dalla faccia degli studi. E lo stupore, la tormentosa perplessita, ingigantivano al sa- pere che questa specie di soluzione finale intesa a sep- pellire l'opera di uno studioso di carattere schivo ¢ mor- to da alcuni anni, aveva l’avallo dell’Accademia della Crusca (alla sua eta!). 14 Per fortuna, come anticipato dal titolo del piccolo dramma che siamo a riferire, le cose alla fine non sono andate cosi male. Nei fatti, in questi dieci anni, svegliato dalle trombe dei due centenari, quel pool che |'anonimo aveva vagheggiato e proposto, si é costituito. Attenti e turbati, da ogni parte gli studiosi si sono levati; e hanno discusso, valutato, proposto, rendendo al Camilli il po- sto che gli spettava e liberando, per tutti, la possibilita, leggendo e scegliendo, di farsi se vogliono, la propria edizione critica. Come? Con le pezze d'appoggio e gli argomenti che sono riportati, insieme al resto, nel commento che se- gue; e che qui non sarebbe il caso di ripetere. Non basta. Alla fine anche la Pollidori si ¢ avuta la sua giusta parte di meriti e di gratitudine, perché a tutti si é fatto palese che le sue puntigliose fatiche, pur ap- prodate a un’ed. che per critica non la prenderemmo mai, sono state ugualmente utili e importanti, fornendo alla libera discussione non solo tagli ma riscontri e serie di varianti, insaporiti dal pimento della sua, chiamiamo- la, impazienza.

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