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Centro Internazionale di Semiotica e di Linguistica Documenti di lavoro @ pre-pubblicazioni Dario Mangano, Anne Beyaert-Geslin, Maria Pia Pozzato, Gabriele Monti Semiotica e fotografia 1 Universita di Urbino 357-358-359 “Carlo Bo” - Urbino (Italia) | ottebre-novembre-dicembre 2006 | serie F Semiotica e fotografia 1 documento di lavoro* La macchina fotografica. Forme dell’interazione’ . Greimas, in un famoso saggio, parla di Diderot e del fatto che costui, aun certo momento, avesse cominciate-a guardare al fare degli artisti ritenendolo un altro livello espressivo rispetto a quello pili comunemente considerato. In quel caso, si ricordera, si trattava di distinguere tra una dimenstone figurative dell’ immagine, nefla quale vengono resi pertinenti gli oggetti rappresentati fun cavallo, una donna etc:), euna dimensione plastica, in cui a essere considerati sono i rapporti fra forme e colori al di la del loro essere riconoscibili come imitazione di “qualeosa” che sta nel monde (Greimas 1984), Quello che cercheremo di fare in questo articolo é offrire un ulteriore salto prospettico che, nel contesto che abbiamo appena evoeato, equi- yale aconcentrarsi sul pennefio e sugli strumenti usati dall’artista; oceupandoei di fotografia, si tratterd di guardare all appareechio fotografice. Ci concentreremo, in particolare, sul modo in cui lo strumento agisce sull“opera” o, pill preeisamente, alP opera in quanto nsultato dell’ incontro tra uno spectrum?” , un essere umano ¢ una. macchina. A interessarci ¢ dunque I’ ibrido (Latour 1996) che si costituisce quando un attore enira in contatto con uno strumento che trasforma le sue compelenze rendendolo eapace di fare qualcosa che prima non era in grado di fare. E tultavia, nel momento in cui 'uomo viene messo in condizione di fare questo “qualcosa in pit”, anche la maechina cambia, guadagnando, se non altro, la capacita di fare. Librido, allora, non é la banale somma di una persona pit una machina, ma eece- de tale equazione obbligando a riesaminare la prevedibilita dei risultati associati all’intetazione fra idue. [1 nostro scopo & conoseere meglio come funziona questo ibrido 0 —se si preferisce — questo attanfe. Per farlo cercheremo di guardare alle modalita di realizzazione del contatto tra uomo ¢ macchina in cui azioni ereazioni ‘vengono in superficie. A venire analizzati non saranno soltanto i punti dave questo * Lire testi qui riuniti sono stati presentati nel quadro del convegno “Semioticae fotografia”, coordinato da Jan Bactens (Université de Leuven) - Hilde van Gelder (Centre de recherehes photographiques, Leuven) e Isabella Pezzini (Universita La Sapienza, Roma), (Urbino, C,1,S.¢L., 13-14-15 luglio, 2006). contatto ¢ fisico ma, pil in generale, i Juoghi in cui emerge |’incontro/scontro fra “modi di fare”. Naturalmente le possibilita sono in questo senso innumereveli, edunquesi rende necessario un criterio di pertinenza che ci consenta di non deragliare sulla via di una descrizione puramente tecnica del’ oggetto. Tale criterio é stato rintracciato nel fare folografice come sequenza di attivita che possiamo schematizzare in questo modo: 1) impugnare, 2) inguadrare, 3) regolare, 4) seattare Vedremo, fase per fase, quali forme di interazione si rendono possibili ¢ quali effetti sono ipotizzabili, Precisiamo, prima di spingerci oltre nell’analisi, che gli esempi che presenteremo provengono da un corpus di analisi del quale fanno parte fotocamere sia digitali sia analogiche prodotte negli ultimi 35 anni, In particolare, é stata esami- hala in matiera pressoché completa da produzione di Canon e Nikon che, in quanto aziende concorrenti ai vertici di mercato, sono costrette a interpretare il proprio approccio alla teenica in maniera oppesta, Con minore metodicita sono stati altresi considerati gli apparecchi di tutti gli altri produttori presenti sul mercato. Gli esempi scelti hanno la funzionedi illustrare al meglio le osservazioni che faremo ¢ pertanto nen rispettano un ordine cronologico. Inolire, é stata volontariamente omessa qualunque considerazione sulle differenze intrinseche fra fotografia analogi- ca cdigitale. Riteniame interessante lasciare che le differenze tecniche emergano a partire dagli apparecchi e dunque dal modo in cui si trovano realizzate concreta- mente, piuttoste che essere P assunto a partire dal quale li consideriamo. In una pro- spettiva sociosemiotica, infatti, le differenze-non si danmo apreseindere dalle realizza- zioni, al contratio, le seconde sono in qualche maniera costitutive delle prime. Impugniare I luoge di contatte tra uemini ¢ macchine affte solitamente grandi spunti di riflessio- né per |’analisi della tecnica, Nel caso della macchina fotografica, in particolare, Varticolazione dell’ impugnatura ¢ stata da sempre aspetto di particolare rilievo, co- stituende per la storia di questa pratica un argomento di grande importanza. La fortuna e il suecesso di fotografi come Henry Cartier-Bresson o Robert Capa & almens parzialmente dipesa dal diverse modo di niprendere reso possibile dall’ap- Pareechio che questi duc importanti autori - fia i primi - decisero di utilizzare (Newhall 1982). Nel 1925 la Leica, infatti, fula-prima a consentire, grazie alle dimensioni contenute eal mirino di nuova concezione, di impugnare la macchina portandola al volto e dunque di fotografare rapidamente e senza essere visti’ . 2. Sebbene una analisi storica di lungo respiro su questo particolare aspetto dell’ appa- recchio sia possibile, il nestro interesse é rivolto a tempi anoi pid vicini in cui, piaccia: ono, la questione dell’impugnatura deve essere ebbligatoriamente declinata facen- doriferimento al ergonomia, Pensare a qualcosa progettato secondo i criteri det- tati da questa disciplina significa per tutti pensare a qualeosa di “comodo” che asseconda la forma del nostro corpo e ci consente di svolgere “meglio” una certa azione, L’oggetto insomma si adatterebbe al corpo in funzione del compito da ese- guire, Questo in leoria, perché nei fatti |'ergonomia é presto diventata la caricatura disestessa finendo per rimanere associata a un immaginario diffuso fate di certe “forme” (superfici continue ¢ rotondeggianti) ¢ certe ‘consistenze” materiali (merbi- do, caldo, nigoso) che dell’ ergonomia raccolgono semplicemente il patrimonio di marche espressive sfruttandolo per significare l’idea di moderita e di razionalita. Basta andare al supermercato per trovare oggetti di ogni tipo che |’epiteto “ergonomice” e una forma vagamente streamline bastano a proiettare d'un colpa nel future. Lemacchine fotografiche hanno risentito degli influssi dell’ergonemia in primo luego nella struttura del corpe, in particolare nelle parti deputate alla presac, in seconda battuta, nella posizione e forma dei comandi. Pochi anni sono stati suflicienti affinche si passasse da una forma come quella rappresentaia in fig. 1 ad un’altra in cui il “punto di presa” risulta molto pit evidente (fig. 2). Fig, |—Nikon F2 (produzione 1971 1980) (fotografia dell’ autore) | Fig. 2—Nikon F4 (produzione 1988 |1996) (fotografia detl’autore) Se, in linea teorica, |’impugnatura pill ampia e la sua conformazionealla mano do- vrebbero servire al fotografo per prendere meglio l’apparecchio, nei fatti si da allo Stesso tempo I’effetto opposto: lamacchina prende in manicra ben salda l’individuo elamano é obbligataa seguire i centomni del cafco (Fontanille 2004) che é il punto 3 di presa. L'impugnatura non pué dirsi allora passiva, al contrario, essa struttura i] modo in cui? eperator terra P apparecchio influenzando di conseguenza il modo di inquadrare il seggetto. Anche la facilita con cui questi raggiungera certi comandi e dunque fa frequenza con la quale decidera di usarli é naturalmente legata alla posi- zionedellamano. C’é da chiedersi, allora, quanto le decisioni relative ad unacerta ripresa possano essere impulate unicamente all’ operator ¢ in che misura possa avervi eveniualmente contribuito l’apparecchio. Un certo modo di impugnare la macchina e1'attivazione di alcuni comandisone senz*altro agevolati, ma siamo pro- prio sicuri che questa impugnatura, cosi perfettamente adattata, non finisea per fa- vorire alcune posizioni a scapito di altre? Qualcune, per esempio, deve essersi accorto che con la grande impugnatura della Nikon F4 diventava difficile fare fotografie i verticale. La FS (fig. 3), infatti, non solo la modifica nella forma, assottighiandola e rendendola meno “aggressiva”, mavi incorpora un secondo pulsante di scatto ricavato nella parte bassa dell’apparecchio che finisce per trovarsi a “portata di dito” quando si impugna la macchina in questo modo, Non ci stupirebbe allora scoprire che i proprietari della Nikon F5 sono pitt interessati alla verticalita di quelli della F4 escattano pitt immagini sfruttande que- sto oricntamento. Non pensiamo, naturalmente, ad alcuna forma di condizionamento, semplicemente, il nuove pulsante, rendendo pil agevole un certo comportamento, invoglia a metterlo in pratica. Si crea, insomma, una tensione verso un fareche, in questo modo, ha pit probabilita di trasformarsi im att, Fig. 3 - Nikon F5 (preduzione 1996-2004) (fotografia dell’autore) Pud risultareutileallora pensare all interfaceia uormo-macchina ¢, pitt in generale, al coniatto (ra essi come aun contraite ai termini del quale entrambe le parti contri- buiscono. Qualunque adattamento ¢ sempre una rinegoziazione di un rapporto ¢ mai qualcosadi unilaterale. Quando una delle parli, come in questo caso l’apparec- chio, cerca di adattarsi all’altra, produce una riconfigurazione di tale rapporto che ha effetti non facilmente circoserivibili. Non é un caso che apparecchi come la Leica, 4 tanto cara a Cartier-Bresson, abbiano mantenuto fine a ogi una forma che direm- mo “tradizionale” se non antiquata. Non si tratta soltanto di un artificio estetica volta amantenere una continuita con il passato per rafforzare l’identita di marea ma, in senso pit profondo, una strategia per mantenere un rapporto con i fotografi che amano quel modo di fotografare e dunque quel tipo di fotografia. Inluce di quanto detto, Pergonomia deve essere intesanon come adattamento di un oggetto a un.utilizzatore in vista di una funzione, ma.come costruzione di un fienzio- namento a partire da un rapporto fra cose ¢ persone in un determinato contesto (Marsciani 1999), Ncl passaggio dalla funzione al funzionamento entra in gioce la complessita ¢ la multidimensionalita di un rapporto che deve prendere in conside- razione tutte le possibili dimensioni della fienzfone: da quelle che privilegiano una forma di azione-concreta sul mondo materiale a quelle che, apparentemente meno tangibili, hanno a che fare-con la sfera del senso. Salvo poi il fatto che, come dice Eco parlanda del trono (Eco 1968), capita che la funzione principale di una sedia sia completamente messa in ombra dalla sua funzione seconda. Non ¢ a sedersi che serve il trono, piuttoste a vedere altre persone che vi si inginocchiano davanti (Greimas 1983, Floch 1995, Landowski-Marrone 2002), Per vedere fino a che punto una forma pud riconfigurare tanto i rapporti tra operator eapparecchio quanto quelli tra questi e lo spectrum, prenderemo in esame la Nikon $4, una macchina digitale non reflex che, come vedremo, sembra disegnala per consentire di variare tali rapporti dando vita a pratiche d’uso originali. idea che guida il progetto é semplice ed efficace: si tratta di rendere indipendente 'impugna- tura dall obiettivo. [I mirino, che trattandosi di una digitale é costituito daun picealo monitor, resta solidale all’impugnatura epud essere orientato in vari modi, consen- tendo di variare le posizioni di scatto. Fig. 4 - Coolpix $4 (produzione 2005) (fotografia dell’autore) L?apparecchio pud essere tenuto sia davanti al viso, sia pil in alto, sopra Ja testa, come anche pitt in basso, ad altezza dello stomaco. Jn tutti questi casi sara sufficien- te riorientare il mirino rispetto al corpo per avere una perfetta visione di cid chee inquadrato. Naturalmente le diverse posizioni dell ‘operator producono effetti non soltanto sulla qualita dell’inquadratura (Ja foto dal basso, dall’alto ete.), maanchee soprattutto sul tipo di relazione che costui instaura con chi yieneritratto. Non essen- do necessario, per esempio, allineare occhio, obiettivo ¢ soggetto, come avviene conlereflex tradizionali, 1a ripresa pud aver luogo anche tenendo la macchina all’al- tezza dello stomaco ¢ guardando il nostro soggetto dritto negli occhi. Cambiano allora del tutto i regimé di visibilita (Landowski 1989) di operator ¢ spectrin: nen soltanto | operator pud attuare pit facilmente formedi nascondimento (darsta non vedere) ma, dal lato dello spectrum, si configurano nuove modalita nel darsia vedere. Inoltre, il contatto visivo pu aver luogo durante 1a scelta dell’inquadratura edunque sono possibili forme di relazione tra operator ¢ spectrum del tutto singo- lari, Al fotografo viene a mancare, per esempio, quella forma di distacco che si da quando le sguardo passa attraverso un apparecchio folografico. Inolirerisulta per essere necessariamente modi ficato P'approccio che questi ha con fa realté. Un ap- precio che Cortazar descrive cosi nel racconto Le bave del diavolo* : “il fotografo subisce una specie di trasformazione della sua persenale maniera di vedere le cose in virtt di un’altra manicra che la macchina insidiosamente gli impone |. ..] gli basta- vauscire senza la Contax per recuperare il tono distratto, la visione senza inquadra- tura, la luce senza diaframma e senza 1/250”. Tl soggetto, dal canto suo, cambia il suo modo di darst a vedere. Il punto non é soltanto che é pili facile “sorprenderlo” senza che si accorga di essere fotografate, ma che cambiano le forme di imbarazzo, le circostanze in cui si gradisce di essere fotografati. Nuove possibilita di ripresa configurano altrettanti criteri di riprendibilita per cose € persone. Inquadrare “Una di queste pratiche mi era preclusa ¢ io non dovevo cercare di interrogarla: non sono un fotografo, neanche dilettante: troppo impaziente per esserlo: io ho bisogno di vedere subite quello che ho prodotte (Polarsid? Divertente, ma deludente, tranne quando a porvi mano é un grande fotografo). Potevo supporre che l’emozione dell’ Operator (e pertanto l’essenza della Fotografia-secondo-il-Fotografo) avesse qualche rapporte con il «piccolo fora» (fero stenopico) attraverso il quale egli guarda, limita, ic e pone in prospettiva cid che vuol «cogliere» (sorprendere)” Roland Barthes, La camera chiara, pag. U1 6 Quando bisogna serutare con un occhio chiuso ¢ I’altto aperto in un piccolo forellino posto sul retro di un apparecchio fotografico, fare una fotografia pud essere consi- deraio sen?’ altro un atto individuale. Vavventura dell'occhio che seeglie ¢ immagi- naéqualcosa di solitario in cui il parere dell’ amico pué arrivare selo molto tempo dopo, quando quella frazione di seconde é ormai una stampa su carta. Il piacere della sceltaé allora un piacere intimo, in cui l’unica cosa ad poter avere un ruolo & proprio la macchina fotografica, Gli apparecchi a telemetro come la Leica di Cartier- Bresson, per esempio, sono apparecchi che hanne un ruclo attivo nella costruzione di questo piacere, ssi non mostrano-nel mirino soltanto ed esattamente tutto cid che poi apparira nella pellicola; per una caratteristica intrinseca del metodo di focheggiamento, infatti, ésempre presente il cosiddetto “errore di parallasse”’, Il fotografo deve allora immaginare a partire da alcune lineetie che si sovrappongono acid che vede cosa effettivamente sara ripreso ¢ cosa rimarra fuori dall’ inquadrata- ra. Deve, in altre parole, “conoscere” il propria apparecchio. Perpoter analizzare ! inquadrare come attonel suo farsi, enon soltanto come effetta in una immagine stampata, abbiamo scelto di osservare una categoria interessante di fotografi: i turisti. Si é trattato semplicemente di posizionarsi in aleune localita partico- larmente attraenti ¢ affollate e di rivolgere il proprio sguardo achi fetegrafava. Lesempio specifico di cui parleremo é tratto da una postazione realizzata al museo Guggenheim di New York (fig. 5), la location non é casualein quanto offre oceasioni straordinaric per il tipo di osservazione alla quale siamo interessati, Questo celebre museo deve infatti molta della sua fama alla forma particolare e al percorso che istitu- isce per la sua visita: una grande spirale i] cui diametro aumenta man mano chesi sale su di essa. Fig. 5 - Interno del Guggenheim Museum a New York (fotografia dell’autore) Le pareti della rampa spiraliforme ospitano di volta in volta le mostre temporanee entre le sale, che a vari livelli si affacciano su di essa, contengono lacollezione del museo. La particolarita che rende singolare questo luogo ¢ che viene consentito di fare fotografie soltanto nell’ancllo pitt basso, al piano terra. Questa regola fa si che quel punto diventi il centro di un incontrollabile attacco di bulimia fotografica da parte del turista, provocata dalla bellezza dell architettura acu ita dalla frustrazione derivante dall’impossibilitA di ulteriori riprese in seguito. Non solo tanti scatti dun- que, ma.anche tutti rivolti alle stesse poche cose: la splendida rampa € sé stessi (01 propri parenti ¢ amici). Fig. 6- fotografi in batteria Fig. 7 - fotografi in batteria (fotografia dell’autore} (fotografia dell’ autore} Tl fotogralo & costretto a indagare tutte le possibilitd che ¢ffre il luego ma anche, perchéno, tutte quelle che offfrone gli appareechi fotografici. Eilmomente di prova- re quel certo effetta che in passato non abbiamo mai sperimentato per mancanza di tempo o di vedere che cosa suecede a premere quel certo bottone misterio! Adesso che tutto il tempo fotografico deve essere concentrate ¢ che ilsoggetto, fondo, non offre poi cosi tante possibilitd, la tecnica diventa Jasola via per ricavare soddisfazione da una situazionealtriment frustrante. | Fig. 8- La fotografia sociale (fotografia dell’autore) Uno dei risultati pid interessanti che abbiamo ricavato da queste osservazioni riguar- da il modo in cui l’uso del monitor al posto del mirine tradizionale cambia l’atto folografico (fig. 8), Si tratta, in effetti, di quello che potremmo indicare come il passaggio della ripresa fotografica da ato individuale ad atio (apertamente) sociale, Aben guardarc la fig. 8, infatti, risulta evidente che chi impugna lamacehina non ésolo di fronte alla realta, non impone il suo sguarde sul mondo, ¢’¢ qualcune alia sua destra che guarda ¢ che, anche solo guardando, fa qualeosa prima che immagine sia fissata. L’atto del fotografare é diventato condivisibile e dunque nen pitiil luogo private di una scelia ma un luogo di interazione e di negoziazione. ‘Un altra variazione rispetto alla fotografia tradizionale risiede nel rapporto tra cid che é inquadrato (nel senso piii vicino all’ etimologia della parola, ossia messo in quadro, racchiuso in una cornice) (Stoichita 1993)¢ ¢ié che rimane fuori dall” in- quadratura. H display, infatti, deve essere guatdato da una certa distanza e cié fa si che sia possibile una forma di continuite: percetteva tra il frammente di monde che stiamo selezionando ¢ che risultera presente nella nostra inquadratura ¢ cié che lasciamo fuori. L’occhio non smette di vedere il “contesto”, ha sempre presente cid che non sta inquadrando. Tale caratteristica produce pratiehe come quella vista poc’anzi della “foto sociale” ma cambia anche il coinvolgimento sensoriale com- plessivo del fotografo. Al contrario di quello si possa pensare, infatti, non la vista l'unico senso coinvolto nella ripresa folografica, Nel caso del mirino classico, ehe impedisce di vedere cid che non é puntato dall’obiettivo, per esempio, Pabilita del fotografo sta nel sapere cié che accade nella parte di mondo che questi non sta guardando in quel momento, Sia perché li pud aceadere qualeosa di pil:interessante rispetto quanto succede all'interno della sua inquadratura, sia perché qualcosa pro- veniente dal “fuori campo” pué fare la sua improvvisa comparsa rovinando una buona immagine. Ff il caso dell’automobile che passa quando non dovrebbe a del passante svampito che si fermaa dar da mangiare ai piecioni davanti al nostro ebiet- tivo proprio quando abbiame la perfetta inquadratura del portale della chiesa di San Marco a Venezia. In tulti questi casi fotografare diventa una questione di rapidita, di occhiate fulminee (fuori dal mirino) e, per quanto possa sembrare insolito, di uedite. Ebbene, con l’avvento delle macchine digitali e dei loro monitor I’ abilita di pereepire il contesto durante |’atto di ripresa si trasformae, in un certo senso, viene (rasferita all’apparecchio: ora é possibile semplicemente guardarsi intormo inveee che aguzza- re]'udito e mettere in atto strane pratiche al limite del sesto senso. Un"abilita prima necessaria diventa superflua ¢ con la sua inevitabilesparizione probabilmente cam- bia anche un moda di “vedere” mentre si fotografa. . Nel passaggio da fotografia analogica a digitale cambiano anche, e in maniera radi- cale, pratiche fotografiche molto diffuse esedimentate come quella del “farsi foto- grafare da uno sconosciute”. Si tratta, come consta ad ognuno, di una pratica diffu- sa trai turisti che ad un certo momento sentono sempre la necessita di essere tutti quanti visibili in qualche immagine (Dondero 2005). Per quello che riguarda il caso della fotografia tradizionale pessiamo dividere tale pratica in quattro moment: 1) scelta dell’ eroe (quasi sempre un turista come noi) e richiesta; 2) passaggio di com- petenza che si riduce di solito all"universale“é facilissimo” di incoraggiamento segui- toda “basta premere questo battone qui”; 3) performance, ¢ in ultimo il4) ringra- ziamento di rito che sanziona una attivita sulla quale nessuno ha inrealtacontrollo: la vera sanzioncatrivera in contumacia al momento-dello sviluppo. Con il digitale le cose sono molto diverse. Nei video raccolti al Guggenheim é pos- sibile rendersi conto con precisione di cosa sia cambiato. Vediamole a partire da uno dei vides, il cui prime fotegrammia é rappresentato in fig. 9. Le fasi iniziali del] 'interazione rispecchiano grosso modo quelle gia viste nel caso della macchina chimica. H soggetto, in questo specifico caso due donne, sulle primesi guarda intor- no per cercare qualcuno adatto alla bisogna. Solitamente si tratta di un altro turista e questo per varie ottime ragioni: Pabbondanza di soggetti, la loro disponibilita di tempo ¢ il codice cavalleresco secondo il quale non si dice di no.ad un collega. i i | Fig. 9 - Farsi fotografare da uno sconasciuto al Guggenheim museum di New York (fotografiadell’autore) Fatta la seelta e pronunciata la frase di rito che investe il fotografo della competenza necessaria a espletare l’atto, costui seattac riconsegna la macchinetta alle due turiste. Le due ringraziano ea questo punto linterazione dovrebbe concludersi ma le cose nen yanno eos}. Appena ricevuta fa macchina le due amiche immediatamente riguardano la fotografia, Nel frattempo !’uomo non Gandato via, ¢rimasto a guardare verso le ragazze in attesa di um giudizio sul suo operato, evidentemente pronto a ripetere ato. Hal secondo ringraziamento delle due fanciulle con relativo cenne di assenso con il capo che il fotografo si sente autorizzato a distrarsi con un sorriso soddisfatto per il bel lavore prestato. 10 Larivoluzione ¢ totale. Non solo la performance diminuisee in valore (pud sempre essere ripetuta), ma eambiamenti importanti si danno in eid che avviene prima e in eid che avviene dopo. Per quanto riguarda il dopo, 1a novita é che l’operate del gentile fotografo pud essere valutato a ragion veduta, ¢ puntualmente tale giudizio oltre a poter essere somministrato ¢ di fatto atteso. | grazie raddoppiano: uno san- ziona la buona volenta ¢ altro le capacita. Per cid che concerne quante-ayviene prima dello scatto, a cambiare é la procedura di selezione da parte delle fotografande della persona giusta.a cui chiedere la cortesia. Quando non era possibile nvedere lo scatto immediatamente-cra una attivita molte delicata. Era indispensabile assicurarsi lacollaborazione un fotografo che fosse capace di non lasciar fuori dall”inquadratu- ra la testa delle due amiche; pertanto era necessario inferire ’abilitd del potenziale fotografo prima di chiedergli il favore equesto conduceva - in maneanzadi indica- tori maggiormente validi - a un’attenta valutazione della sua attrezzatura. Buoni can- didati erano coloro che dimostravano la lero passione (da cui dovrebbe discendere una certa cura) csibendo importanti attrezzature e pesanti borse eorrede. La novita sta nel fatto che un dispositivo tecnico si incarica di alleggerire dal dover giudicare chi sari a fare la fotografia: nellapeggiore delle ipotesi, in fatti, sara sempre possibile chiedere a qualeun altro. Al contraria, per chi fa la foto la tensione aumenta: si tratla di un vero ¢ proprio csame, senza vole magari, ma pur sempre un esame. Deelinare Pinvito potrebbe in qualche caso sembrare la migliore soluzione. Naturalmente, non va tralasciata la possibilita.del fer da te che si é diffusa talmente grazie alla fotografia digitale-da diventare un vero ¢ proprio genere dotato di una sua estetica, Potendo rivedere la foto subito dopo la ripresa molti si azzardano a seattarsi da soli una fotografia alla cieca contando sulle decine di ulteriori scatti che potrebbero even- tualmente tentare se non dovesse andare bene il primo. Un motivo in meno per scambiare due parole con uno sconosciuto, Proprio la questione della moltiplicazione degli scatti ¢ la possibilita di rivedere que- sti ultimi subito dopo lanpresa ci sembra un aspetto crueiale della rivoluzione in atte nella fotografia ad opera del digitale. A pensarei bene, infatti, scardina uno dei eapi- saldi sul quale la fotografia stessa ha basato la sua identita: Punicita dell”atto. Quan- do lemacchine fotografiche, funzionande a pellicola, obbligavano-a differire [a visio- ne dell’istante“catturato” rendevano, di fatto, la ripresa un atto unico e puntuale: un errore nell’esposizione o nell’ inquadratura si rivelava giorni dope ¢ aque! punto titrovare le stesse condizioni dello scatto era pressoché impossibilc, Con il digitale, Inveee, possiamo rivedere la fotografia un istante dopo lo seatta, quando siamo ancora in tempo per fare qualche modifica (una regolazione diversa, un leggero spostamento nell’inquadratura etc.) ¢ riscattare la foto, B chiare ehe se il nostra ab} soggetto é un uomo in corsa non petremo mai ritrovaelo nella stessa posizione, mai altre situazioni in cui il soggetto & pit stabile non é difficile “migliorare” Ia ripresa. L’attimo fuggente ha smesso di correre. Non si trata pili dell"istante unico ed irripetibile ma di wn istante non troppo unico e non troppo irripetibile, frutto di aggiustamenti e modifiche, Espressione controllata di un autore la cui intentio é costruitanon grazie ad un’ esperienza fatta di delusioni e meditazioni a posteriori ma ad una sorta di fast food dell’ estetica che si concretiza in rapidi pentimenti ¢-veloci revisioni. Regolare Rientranoin questo momento del fare fotografie questioni che vanno dalle moda- lita di esposizione, alla messaa fuoco, al controflo dell’ inquadratura tramite lo zoom. Qui, per ragioni di spazio, ci occuperemo soltanto di quello che accade nella messa a fuoco enell’erganizzazione dell’ inquadratura tramite lo zoom. Con la messa a firoco manuale il fugco viene trovalo progressivamente. Si inquadra la scena ¢ poi si comincia a muovere pitt o meno lentamente la ghiera posta sul- V'obiettive per raggiungere il {loco ottimale. Cid implica che effetti comequelli di fig. 10, in cui il fuoco risulta essere decentrato rispetto all’ inquadratura, possone darsi per puro caso. Quando si muove Panelio, infatti, il fueco “passa” su diverse parti del immagine che possono trovarsi.o meno al centro del fotogramma, Lasorpresa é quando un fuoce decentrate fa emergere come soggette qualcasa a cui non ave- eressante di quella pit canonica vaio pensalo e questa composizione ci scmbra pit con il soggetto al centro. Fig. 10 — esempio di messa a fuoco decentrata (fotografia dell’ autore) Con l’avvento dell’autofacus pratiche come quesia sono diventate impossibili da realizzare, L'automatismo, infatti, rileva la nitidezza dell immagine attraverse dei sensoti pesti al centre dell’ area inquadrata e quindi, in qualche maniera, si fa porta- tore del modelio estetico che prevede il soggetto al centro inserivendoia nel suo stesso principio di funzionamento, Ottenere un effette come quello descritto ¢ mo- strato in preeedenza é possibile, ma per farlo bisogna prima “puntare” con il centro 12 del mirino alla zona che si yuole sia nitida, bloccare lamessa a fuoco, e poi ricomporre Vimmagine. I due modi di procedere, sein linea teorica possono produrre glistessi risultati, nella pratica non lo fanno sempre. Nel secondo caso, infatti, oecorreayere ben chiara fin dal principio Porganizzazione compositiva finale dell’ immagine (sape- recosa vogliamo a fuoco ¢ dove deve essere posizionato), mentre nel primo essaé il frutte di una esplorazione e viene di fatto co-costruitanell’interazione con lamac- china. A conferma di tale“‘mancanza” da parte dell’autofoeus arriyano evviamenie le“soluzioni tecniche” delle macchine pili recenti che cercano di recuperare le pos- sibilita perse per strada. Il cosiddetto “eye control” lanciato da Canon qualche tenj- po fa, tenta di reintrodurre la pratica che é stata negata. Con questo sistema ¢ possibile comandare all’autofoeus di focheggiare un punto diverse dal centro del mirino semplicemente guardando quel punto: un sensore rileva la posizione della pupillaed il gioco é fatto’ , Tale soluzione tecnica tuttavia non resuscita il modo di fare che scomparso. Non soltanta i punti di messa a fuoco sono un numero limita- to edunque, data una certa immagine, consenteno un numero fissate di piani di fuoco, ma nen ¢”é un vero ritorno all’esplorazione, al bricolage, al contrario rimane forte una progettualita di tipe ingegneristico. Locchio deve pur sempre fissare il punto di fuoce decentrato ¢ dunque l’interesse per quel punto deve preesistere all’ operazione di messa a fuoce. In altri termini la composizione delle immagine deve ancora una volia essere chiara preventivamente. Tra il classico “punta & rieomponi l’immagine” e "eye control la differenza é, allora, soltanto apparente per- chénon influisce minimamente sul modo di trovere Pimmagine, Valtra forma di regolazione di cui ci occupiamo ¢ la vari: azione della focale consen- tita dall’obiettive zoom, Si trata, come énoto, di un particolare tipo di obiettiva che consente di “avvicinare” (ingrandire) o “allontanare’ (rimpicciolire) cid che stiamo inquadrando senza bisogno che siamo noi a muoverci, Questo sistema, la cui diffu- sioneé cresciuta notevolmente negli ultimi 30 anni, ha di fatto rimpiazzato quasi del tutto F ottica fissa, Il motivo ¢ ovviamente da ricercarsi nella flessibilité di un obietti- vo che, in un unico corpo, sembra comprendeme diversi altri, Malarado i suoi me- titi, lo Zoom non raccoglie perd unanimi consensi, I manuali di fotografia, per esem- pio, sono molto critici nei suai confronti, accusandole di rendere pit difficile a quanti imparano a fotografare sviluppare una adeguata sensibilita perla composizione. La focale fissa, sostengono i manuali, abitua |’occhio ad una “prospettiva”, educa ad una visione, Come insegna Latour (1992), un buon esereizio per comprendere il ruolo di una tecnologia in una pratica d’uso ¢ pensare a cosa essa fa al posto nostro. Cosa fa lo zoom che dovremmo fare noi? La rispostaé semplice: ci fa avvi Insintesi ci move, muove il nostro occhio nello spazie senza che il corpo debba aceompagnarlo, Ma quali conseguenze pud avere un tale tipe di movimento ? Eb- bene, muoversi nello spazio significa sempre essere agiti dallo spazio, venire tra- sformati. Non soltanto a livello dellerelazioni con esso, ma anche delle relazioni con gli aliri individui che lo popolano e rispetto ai quali lo spazio si da come-imprescin- dibile campo di esistenza scmantica, Insommia, quando un fotografo si muove nello spazio lo spazio lavora su di lui allo stesso modo in cui lui Iavora sullo spazio, Spo- starsi non comporta soltanto una ristrutturazione visiva di cid che ci circonda ma anche, pil ampiamente, sensoriale e relazionale. Lo spazio non ¢ dato, ¢ sempre uno spazio percorso, vissuto, costruito. A maggior ragione quando pereorso con una macchinaal collo ed una “visione” - quella di un certo obiettivo di una certa focale - nel proprio eechie, Non éun caso che il solito Cartier-Bresson fosse molto affezionato al suo 50 mm. Quell’ obiettivo non era soltanto cid che aveva di prefe- renza “nel suo occhio”*, era anche quello che gli consentiva di avere una certa rela- zione con il mondo econ gli altri, Altri fotografi naturalmente preferiscono altre focali, inrelazione alla loro estetica ma anche, diremmo, alla lore etica. La pereezione, sostiene Merleau-Ponty (1945), ¢un fenomeno paradossale in quanto jo strumento che mi serve per percepire, il mio corpo, ¢ parte di cid che mi accingo apercepire. “Il soggetto della sensazione non énéun pensatore che annota una qualita, né un ambito inerte she sarebbe colpito o modificato da essa, bensi una potenza che co-nasce a un certo contesto di esistenza o si sincronizza con esso” (Merleau-Ponty 1945, p. 288 trad. it.}. Nel sensibile si trova allora “la proposta di uncerto ritmo di esistenza”’ che passa sempre attraverso tutti i senst. L’individuo non percepisce mai soltanto attraverso la vista l'udito. Anche se di volta in volta i sensi passono essere chiamati in causa in misura differente, attribuire la mia esperienza, unicamente ad uno di essi significa “mettere la percezione nel percepite” (Merleau- Ponty 1945 p. 290 trad. it.) quando invece il sensibile pone .a tutte il corpo “una specie di preblema confuso” (Merleau-Ponty 1945 p, 291 trad. it.) per il quale “é necessario che io trovi l’atteggiamento che gli dara modo di determinarsi” (Merleau- Ponty 1945 p. 291 trad. it.). Nel caso del fotografo, perd, tutto diventa pit complesso. Come abbiamo visto, il soggetto della percezione non é un corpo “semplice”, bensi il corpo di un atiante costituito da un ueme pill un apparecchio fotografico. La macchina non si da sem- plicemente come qualeosa in pitt da percepire, un altro pezzo di mondo con cui confrontarsi, ma qualcosa che interviene sulla percezione aun livello che non & quello dei s ma non énemmeno quello del mondo, Nel momento in cui si forma Pattante, la sensorialita dell’ individuo risulta sconvolta, Se la sensazione una co- 14 munione (Merleau-Ponty 1945 p. 289 trad. it.), nel caso del fotografo questa co- munione é una comunione seconda che si realizza a seguito di un‘altra che ha cam- biato la base sensoriale del percipiente. Insomma, i! soggetto della percezione in questo caso é un ibrido le cui caratteristiche devono essere definite prima di poter valutare gli esit? di ogni sua azione sul mondo, compresa quella percettiva. Macome yalutareallora l'ibrido in quanto soggetto della percezione? Se possiamo conside- rare fa percezione non un momento passive in cui qualcosa fa irruzione nella co- scienza ma. un momento attivo di co-costruzione di senziente ¢ sensibile, allera l'interazione pud diventare la chiave per conoscere anche l’ibrido-senziente. Nelle modalita con eui soggetto € appareechio fotografico agiscono |’uno sull’altro, si trovano le marehedi quet rapporti - mai pacifici - che conducono alla determinazio- ne di una strategie peveettiva nei eonfronti del mondo ¢ che, pertanto, definiscono le condizioni affinehé si realizzi lacomunione con esso. La comunione non é tale se non partire da un insieme tutto castruito di valori, credenze e, naturalmente, prati- che. Limmagine fotografica ¢allora il frutto di un fenomeno percettive complesse & articolate su pil livelli in cui il risultato di uno di questi livelli (I ibrido) si da come base per quelli successivi (la pereezione¢ in seguito la fotografia), Lo seatto “...sttanamente, quando sono fotografate, l’unica cosa che io sopporto, che amo, che mi é familiare, @ il rumere della maechina fotografica. Per me, l'organo del Fotografo non é Tocehio (che mi ineute terrore), ma il dito: cid che & legato alle scatlo dell’ obiettiva, allo scorrimento metallice delle la- stre (negli appareechi che ancora ne fanno uso). fo amo questi rumori metallici quasi voluttuosamente, come se, del- la Fotografia, essi fossero precisamente quello - e quello. soltanto —a cui il mio desiderio si afferra, spezzando con il lore breve schiacco i] velo mortifcre della Posa.” Roland Barthes, La eamere chiara, pag. 17 Lo scatto, per ultimo, arriva.a darci conferma del ruolo che assume la sensorialita. Anche quando il suono metallico, voluttuosamente amato da Barthes, é semplice- mente emulato, come accade in pressoché tutte le macchine digitalt compatte in vendita. E un recupero che rende conto, uno pertutti, delle perdite cui il digitale pid omeno velatamente ¢i sottopone, H suono é allora puro effetto di senso, perché non. 15 c’énessuna ragione “tecnica” ad imporre che si oda un qualche suone e, seprattut- to, proprio quello dello scatto. I rumore, anche se artificiale, ci tranquillizza. Com- pleta un’espericnza che, per altri versi (lo zoom, |’impugnatura etc.) é stata trasfor- mata fin troppo. Universita di Palermo Mangano Bibliografia BARTHES, R. (1957) Mythologies, Paris, Seuil [trad. it, (1974) Miti doggl. Torino, Finaudi). BARTHES, R. (1980) La chambre clewre, Paris, Gallimard-Seuil [irad, it, (1980) La camera chia- ra. Torino, Einaudi]. CORTAZAR.J. (1994) Fraceouii, Torino, Einaudi, BASSO FOSSALI, P. DONDERO M. 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(1982) Stoviere tecnica della fotografia, Bari, Laterza. Note ' Relazione presentata al convegno“Semiotica ¢ fotografia", Urbmo, Centre interhazionale di Semiotica e Linguistica, 13-15 luglio2006, Pubblicata in lingua inglese in Recherches sémiotiques/ Semiotic Inquiry (RSISK). ? Brendiamo in prestito il termine da Barthes che ne La camera chiara (Barthes 1980}, per non usare le parole comuni, a suo avviso toppe conotate, chiama Speetrum colui o cid che & fotografato, Operctor il fotografo e Spectator colui che guarda l"immagine 2 Per quanto solitamente si individui nella visibilidé la caratteristica chiave della Leica | rispetto alle precedenti machine in formato 6X6 em, certamente molto pit ingombranti, bisogna consi- derare anche la possibilila che sitratti di un problema di riconoscimento del fotografo pili che della sua individuazione percettiva, In altre parale, fino a prima dell avvento della Leica si cra abituati a degli “attergiamenti da fotografo” che erano legati all'use della machina 6X6 con mirino a pozzette che in seguito, grazie al diffondersi delle macchine 35mm, sone cambiati. Oggi una persona che porta un oggetto al viso, davanti al sue occhio, ci fa pensare subito ad un fotografo in azione mentre qualcuno che guarda in basso verso il suo stesso ventre pit diffi mente potrebbe essere considerate tale, E cambiata la figura del fotografo e, come vedremo nel prosieguo dell'articolo, alcuni carpi macchina sfruttano esattamente questo cambiamento per rendersi “invisibili”. * Ora im Racconti (Cortézar 1994), > Hsistono altre soluzioni tecniche, meno sofisticate dell’eye contro! di Canon che si basano sulla pressione di alcuni tasti per variare il punto di messa a fuoco rispetto a quello centrale. 11 principio di funzionamento tuttavia non cambia ¢ cunque tali e quali rimangono gli effetti che abbiamo riscotrate, Wd L’éthique du portrait : of va la photo de presse 2 Le portrait en photographie est « l'ensemble des rayons Tumineux réfléchis par la personne photographie ». Cité par Denis Roche! Comment faire un portrait pudique de autre ? C’est-a-dire un portrait « juste » qui, poursuivant le mythe d'ume énonciation sans énoneiatcur, ne Jui impute pas un visage mais recueille cclui-ci tel qu’en Ini-méme. Ainsi congue, la pudeur prend le sens de délicatesse et rend compte de la rencontre de deux éthas*, de deux fagons @aborder {autre avee la couverture thématique qui lui revient, en tant que photographe ou en tant que modéle. Barthes ouvre cette autre voie d'accés dla pudeur congue comme délicatesse : « Délicatesse voudrait dire: distance et égard, absence de poids dans ta relation, ef, cependant, chaleur vive dé cette relation. Le principe en serail: Re pas manier Uauire, les autres, ne pas manipuler, renoncer defivemen! aux images (des uns, des autres), éviter rout ce qui peut.alimenter !imaginaire de la relation, Utopie proprement dite, car forme du Souverain Bien. »* En décrivant ainsi ce que scrait la justerelation 4 autrui, Barthes devoile un aspect ablitéré par les réflexions actuelles sur I'éthique. Telle que nous la concevons trivialement, celle-ci consiste en effet a mettre en balance le constat d existence et ces trois jugements solidaires que forment es jugements de valeur (bien ou mal), yéridictoire (vrai ou faux), etesthétique (beau ou laid). Or, si un premier lan nous aménerait Aassocier ’ethique au dépassement du constat d’existence, au dépassement du commode assentiment 4 ce qui existe pour évaluer sa justesse, sa« vérité you sa beauté, Barthes nous suggére, dans la relation 4 |’autre, de nous en tenir au contraire au constat d’cxistence el de renoncer le juger. Prendre I’ autre comme il est, telle serait I’éthique dela relation interactantielle. Mais il nous faut poursuivre la réflexion et, adoptantle point de vue de la sémiotique visuelle, comprendre en quoi Je portrait, en tant qu’image de |"autre, atteste cette délicatess Nous revendiquons alors le parti pris méthodologiqne de ta sémiotique visuelle qui, suivant une légitime inclinaison, s’attache a l’esthétique plutet qu’al'ethique au risque desacrifier a la contusion commune, posée par Ja Phénoménologie el toujours vivace, entre les deux termes*. Cette confusion est aisée car elle prend acte d’une méme irréduictible complexité des deux concepts duc notamment au fait qu’ils supposent l'un comme autre la convergence d’unc approche franscendante (la 18

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