Theodor W. Adorno
Filosofia
della musica
moderna
Con un saggio introduttivo
di Luigi RognoniStrawinsky costituisce uno degli estremi dell’attuale movimento
musicale, anche in quanto se ne puod registrare la capitolazione nella
sua musica, da un’opera all’altra, quasi per il suo stesso peso di gra-
vita. Ma oggi diviene palese un aspetto che non gli si pud addebitare
direttamente e che é accennato solo in modo latente nel variare dei
suoi procedimenti e precisamente il crollo di tutti i criteri di giudizio
per musica buona o cattiva, come si erano sedimentati fin dagli albori
della borghesia. Per la prima volta vengono lanciati dappertutto dei
dilettanti come se fossero grandi compositori. La centralizzazione eco-
nomica della vita musicale assicura loro il riconoscimento ufficiale.
Venti anni fa la montatura di Elgar appariva un fenomeno locale e
quella di Sibelius un caso specifico di ignoranza critica: ma fenomeni
di livello simile, seppure di quando in quando pit liberali nell’uso di
dissonanze, sono oggi la norma.
A partire dalla meta del secolo xrx la musica d’arte si & del tutto
distaccata dal consumo. La coerenza della sua evoluzione é entrata
in contraddizione con i bisogni manipolati e nello stesso tempo com-
piaciuti del pubblico borghese. La cerchia numericamente esigua dei
conoscitori venne sostituita da coloro che si possono pagare una pol-
trona e che vogliono dimostrare agli altri la propria cultura. Gusto
pubblico e qualita delle opere si scissero. La qualita si impose solo
frazie alla strategia dell’autore, che era di cattivo giovamento alle
Opere stesse, o grazie all’entusiasmo della critica e dei periti musicali.
Su tutto questo la musica radicale moderna non poteva pit contare.
Mentre si pud giudicare la qualita di qualsiasi opera d’avanguardia
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Falsa
coscienza
musicalenegli stessi limiti di un’opera tradizionale, — e anche con la stessa va-
lidita se non meglio addirittura, dal momento che non v’é pit un
linguaggio musicale universale il quale esoneri il compositore dalle
difficolta della esattezza tecnica, — i presunti mediatori di professione
ci hanno rimesso la capacita di decidere in tali frangenti. Da quando
il processo compositivo si commisura unicamente sulla conformazione
propria di ogni singola opera e non su ragioni generiche tacitamente
accettate, non € piti possibile una volta per sempre « imparare » a di-
stinguere la musica buona da quella cattiva. Chi vuole giudicare, deve
guardare in faccia ai problemi e agli antagonismi impermutabili della
creazione individuale, su cui non lo erudisce piti nessuna generica
teoria musicale e neppure la storia della musica. Nessun altro sarebbe
adatto a questo compito quanto il compositore d’avanguardia, a cui
perd per lo pit’ manca ogni disposizione discorsiva, mentre non pud
piti fare afidamento su mediatori tra il pubblico e se stesso. I critici
si attengono letteralmente all’alto discernimento del Lied di Mahler 4
valutando secondo quel che capiscono o meno; e gli esecutori, direttori
in prima linea, si lasciano sempre guidare dai momenti della pitt di-
retta ed esteriore efficacia e comprensibilita del pezzo da eseguire. Ecco
perché la convinzione che Beethoven sia comprensibile e Schénberg
non lo sia é, da un punto di vista oggettivo, un inganno. Mentre per
il pubblico, tagliato fuori dalla produzione, appare sconcertante nella
musica nuova la superficie, i pili tipici rappresentanti di questa musica
sono pur sempre condizionati dagli stessi presupposti sociali e antro-
pologici che condizionano gli ascoltatori. Le dissonanze che li spaven-
tano parlano della loro condizione personale, ¢ unicamente per questo
riescono loro insopportabili. D’altro canto, il contenuto di quell’altra
musica ormai a tutti familiare é talmente distante da cid che oggi
1 Allusione al Lob des hohen Verstandes, il decimo dei 12 Lieder per canto e orchestra
da Des Knaben Wunderhorn di Arnim e Brentano, Il cuculo ¢ I'usignolo scelgono a giudice del
loro canto un ciuco, il quale da la palma al cuculo: « Das sprech’ ich nach mein’ hoh’n Ver-
stand! » Nell’originale la poesia va sotto il titolo Wettstreit des Kukuks mit der Nachtigall (Gara
del cuculo € dell’usignolo) (N.d.T.}.
14pesa sul destino umano, che l’esperienza personale del pubblico non
comunica quasi pitt con quella attestata dalla musica tradizionale. La
dove credono di capire non fanno che percepire Vimpronta morta di
cid che custodiscono come patrimonio indiscutibile, ¢ che @ gid per-
duto nel momento in cui diviene un « patrimonio », ormai neutraliz-
zato, privato della propria sostanza artistica, indifferente materiale da
esposizione. In effetti, nella concezione che ha il pubblico della musica
tradizionale, conserva un’importanza solo l’aspetto pitt grossolano, idee
musicali facili da tenere a mente, passaggi nefastamente belli, atmo-
sfere e associazioni: ma la struttura musicale che ne forma il senso
resta, per l’ascoltatore ammaestrato dalla radio, non meno nascosta
in una sonata giovanile di Beethoven che in un quartetto di Schénberg.
Questo, perd, almeno lo ammonisce che il suo cielo non vibra tutto
di quei violini del cui dolce suono egli si pasce. Con cid non si vuole
affatto dire che un’opera sia comprensibile solo nella sua epoca e che
sia altrimenti destinata alla depravazione o alla storiografia specializ-
zata. Ma la tendenza sociale generale, che ha arso via dal conscio ¢
dall’inconscio dell’uomo quell’umanitd che una volta stava alla base
del patrimonio musicale oggi corrente, fa st che l’idea dell’umanita si
ripeta senza carattere di necessita ancora e solamente nel vuoto ceri-
moniale del concerto. D’altra parte V’eredita filosofica della musica
d’arte andata in sorte solo a cid che disdegna questa eredita. L’in-
dustre maneggio della musica, che avvilisce il patrimonio esistente esal-
tandolo e galvanizzandolo come un sacrario, conferma solo lo stadio
di coscienza degli ascoltatori in sé, per i quali l’armonia raggiunta dal
classicismo viennese a prezzo di rinunce ¢ la Sehnsucht erompente del
romanticismo sono divenuti indifferenziatamente atti al consumo, come
ninnoli casalinghi. In realt& un ascolto adeguato di quegli stessi pezzi
di Beethoven di cui l’ometto della metropolitana fischietta i temi, esige
uno sforzo ancor maggiore che non la musica piti avanzata: ¢ cioe
quello di togliere di mezzo la vernice di falsa esibizione e di formula
reazionaria ristagnate col tempo. Ma poiché V’industria culturale ha
educato le sue vittime ad evitare ogni sforzo nel tempo libero che vien
15loro commisurato per il consumo di beni spirituali, esse si aggrappano
con caparbieta ancor maggiore all’apparenza che preclude l’essenza.
Il tipo di esecuzione musicale oggi in auge, lustrata, anche nella mu-
sica cameristica, ad un estremo fulgore, vien largamente incontro a
tutto questo. Non solo le orecchie della popolazione vengono a tal
punto inondate di musica leggera che l’altra musica la raggiunge solo
pit come l’opposto coagulato di quella, in quanto « classica »; non
solo i ballabili onnipresenti rendono la capacita percettiva talmente
ottusa che la concentrazione di un ascolto responsabile é impossibile,
compenetrata dai residui mnestici dell’arbitrio; ma anche la sacrosanta
musica tradizionale é diventata, nel carattere dell’esecuzione ¢ per la
vita stessa degli ascoltatori, identica alla produzione commerciale di
massa: € non ne resta incontaminata nemmeno la sua sostanza. La
musica partecipa di cid che Clement Greenberg chiamé la scissione di
tutta l’arte in falsita e avanguardia: e il Kitsch*, parola d’ordine del
profitto sulla cultura, se ne é ormai da tempo assoggettata la sfera
particolare, socialmente riservata. Per questo le riflessioni sullo spie-
gamento della verita nella oggettivita estetica vengono confinate uni-
camente all’avanguardia, esclusa dalla cultura ufficiale: una filosofia
della musica oggi é possibile dunque solo come filosofia della musica
moderna. Unica difesa, la denuncia di quella cultura ufficiale: poiché
questa cultura, di per sé, serve unicamente a incoraggiare proprio
quella barbarie contro cui si adonta. Si potrebbe quasi pensare che gli
ascoltatori colti sono i peggiori, quelli che ad un pezzo di Schénberg
dicono prontamente : « questo non lo capisco » — un’affermazione la
cui discrezione razionalizza l’ira come competenza.