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MUSICHE E MUSICISTI IN SARDEGNA A cura di Myriam Quaquero 1 | SUONI DELLA TRADIZIONE Introduzione di Testi di Piero G. Arcangeli Pietro Sassu Acura di Piero G. Arcangeli Carlo Delfino editore Introduzione Piero G. Arcangeli 1, Formazione e vocazione Gli anni °50 e i primi ’60 del Novecento sono stati davvero quelli della ricostruzione, in ogni ambito ¢ in ogni senso. Per la cultura italiana si trattava di ricostruire, alla lettera, le ragioni stesse della un compito immane, sentito come imperativo particolare — sanamente di parte ~ soprattutto dalla “intellettualita militan- te”, sia che si proponesse di dar vita ad un vero € proprio nuovo cominciamento, sia che priorita- riamente si impegnasse a riallacciare i fili interrot- ti con i grandi temi del pensiero “de yocratico” occidentale. In comune, un metodo (0 quanto meno una prassi) da riaffermare: quello del con- fronto libero delle idee, in un momento straordi- nario per la circolazione di aria nuova e di nuove iniziative. Proclamata, la liberazione andava ora realizzata; € proprio sul terreno culturale, ovvero delle discipline “umanistiche”, la scommessa doveva apparire esal- tante quanto temeraria, Quando poi si aveva a che fare con “quistioni” come il nazional-popolare, il patrimonio etnico o spirituale ¢ cosi via (e quindi con discipline vecchie ¢ nuove come la demologia, la storia della religiosita ¢ delle tradizioni popolari, antropologia culturale... 'etnomusicologia), allora Vimpresa doveva davvero impensierire: prima ancora di dotarsi di attrezzi concettuali adeguati e aggiornati, bisggnava infatti bonificare un terreno seminato di mine ideologiche di potenza devastan: te, sia sul versante del dibattito scientifico che su quello “estetico”, delle concrete scelte artis stilistiche. Fuor di metafora: si immagini un Carpitella tren- tenne alle prese con l'autorevolezza (e il sarca- smo) del professor Mila, il quale paventava che dietro le prime raccolte sistematiche din “etnica” italiana si nascondessero. spiritelli usica postromantici pronti a intessere “Sinfonie e Con- certi grossi” su temi popolari.' Oggi sarebbe sem- mai il caso — per rimanere in regione ~ di (rijleg- gere ed eventualmente riproporre le composizioni del “respighiano” Ennio Porrino; ¢ perd allora il “progressista” musicologo torinese non aveva tutti i torti: & vero che il poema sinfonico Sarde. gna risale al 1933 (XIE. E), ma le “tre danze pri- mitive” Nuraghi, dello stesso maestro cagliarita no, sono del 1952! Giusto in quegli anni ¢ in quel clima, quando il CNsMP (Centro nazionale per gli studi di musica popolare) dell’Accademia nazionale di $. Cecilia ~ nato nel 1948 grazie a Giorgio Nataletti - pro- muoveva le prime ricerche, € quando Yomonimo Conservatorio dava vita al Collegio del Foro Ital co ~ dove iniziava a insegnare Diego Carpitella -, un ragazzo sassarese neppure adolescente era Allievo cornista e figlio di arti- sbarcato a Roma. giano, la carriera di brillante orchestrale di Pietro Costantino Sassu (come quella di tanti suoi colle ghi al Collegio) era probabilmente assicurata Lincontro con il giovane professore di Storia della musica segna per Pietro un nuovo inizio: la scoperta di un’altra storia, la “sua”, di una voca~ ione che andava oltre 'esecuzione di partiture altrui, per riconoscere la musica di cui era porta- tore, sia pure inconsapevole. E l'avvio di un per- corso di studi che richiedeva intanto una ricollo- cazione, una diversa scelta di mestiere” musica- le, un’opzione per il lavoro intellettuale, pur for- temente impiantato sul fare musicale, ed anzi sulla musica come pratica espressiva “orale”, tra- dizionale (con tutte le contraddizioni che il termi- ne era capace di implicare}, di un mondo ancora ben vivo, ma gia seriamente compromesso dalla “modernizzazione” in atto, di cui era prioritario raccogliere le voci. 10 Il metodo della ricerca culturale ~ quello indicato appunto da De Martino prima ancora da Lévi Strauss? — offre il vantaggio di non tollerare pro- cedimenti fondati su assunti ideologici, che non reggerebbero alla verifica delle ipotesi di lavoro, € quindi di cancellare demarcazioni indebite fra il momento dell'indagine sul campo e quello della elaborazione che accompagna, pit che seguire, la in definitiva, “implica la ricerca. Un metodo ch essa in causa del sistema nel quale si & nati e cre- sciuti” e vede teoria e prassi come momenti indi- sgiungibili di un medesimo processo euristico, fondato sul coinvolgimento critico della cultura “osservante”: una scelta intellettuale fondamen- talmene “onesta”, che accetta di rinunciare a qualche privilegio pur di perdere i propri pregiu- dizi. impegnativo viaggio di Pietro Sassu inizia col ritorno nelPisola, con una prima ricerca nella sua citta, com’é giusto, stimmagina per consiglio dello stesso Carpitella, Nell’anno 1961, Pietro ha ventidue anni ¢ ripercorre i vicoli di Sassari dove @ nato, ascoltandone come fosse la prima volta i suoni ora attutitie le voci nascoste, con sensibilita acuita dallarte della distanza. E interessante qui notare che la prima indagine con intenti di documentazione scientifica é stata da lui condotta su un gruppo di “informatori” artigiani, operai e casalinghe e su di un reperto- rio, quello della Gobbula, che si presentava com- plesso nelle sue forme ¢ funzioni e di disgregazione: un banco di prova tutaltro che facile © breve, che si conclude nel 1968, con la pubblicazione del suo lavoro da parte dell’ Archi- vio etnico linguistico-musicale (ALM), da poco inaugurato presso la Discoteca di Stato. Nel frat- tempo aveva contribuito alla nascita dell Istituto sardo di studi etnomusicologici (Isse) ¢ l'anno di pubblicazione della Gobbula é lo stesso del primo incarico di insegnamento di Storia della musica presso il Conservatorio di Sassarit la scelta pro- fessionale @ compiuta, anche in merito al tipo di impegno didattico. Della fine degli anni °60 sono le ultime registra- Zioni (cui Pietro aveva dato un apporto determi- nante) di quella che Diego Carpitella presenta come la «prima antologia sonora di musica fol- Klorica sarda», owvero i 3 LP con libro poi pub: blicati per la collana “Albatros” nel 1973. Che sara poi anno del “I Convegno sugli studi etno- musicologici in Italia”: nato sotto il duplice segno della musicologia e degli studi socio-demologici (basti scorrere Pindice degli Atti, publicati sedici mesi dopo),? per certo fu un'indimenticabile ocea~ sione d’incontzo e di resoconto delle raccolte in atto ~ ed in veste di ricercatori vi partecipammo anche noi che potevamo considerarci, a seguito dei pionieri, la “prima leva” dell"etnomusicologia ~ ma é altrettanto certo che Diego Carpitella, il tuo ideatore e primo relatore, aveva assegnato al nsieme in via convegno innagei tutto il compito di apripista per il decisivo accreditamento della “nuova” discipli- na in Ambito accademico. L’obiettivo poteva esse- re raggiunto solo tramite esibizione del suo sta~ tus ¢ la conseguente enfatizzazione dei suoi requi- siti di “autonomia”. A distanza di oltre tren’anni, non sara di scanda lo dire che quell’approdo — contraddittorio quan- to determinante ai fini dello sviluppo e del ruolo delletnomusicologia nel dibattito e nella “cultura sarda. ! volume annesso ai 3 LR diffusa” del nostro Paese - fu anche allorigine di una certa, autoreferenziale marginalita, di cui la disciplina avrebbe sofferto negli anni successivi. In altri termini: nata in “terra di nessuno”, per natura un po” asistematica, cresciuta per spinte di tipo interdisciplinare e militante, paradossalmen- te letnomusicologia italiana doveva pagare lo scotto dellarroccamento specialistico, per farsi accettare nella sua piena maturita “scientifica”. (Come non ricordare che quando, in privato, a Pietro capitava di pronunciare quest’ultima paro- la, Jo faceva mimando la balbuzie di Gassman ne I soliti ignoti?). Innegabili, del resto, erano i sosperti di una parte consistente della musicologia storica, verrebbe da dire ufficiale, quella che reputava degni di atten- zione unicamente i suoni “documentati” e cioe “scritti” della musica d’arte, nei confronti di chi veniva (non del tutto a torto) percepito come out- sider : una sorta di genio guastatori di impalcatu- re estetico-ideologiche ben piantate su fondamen- ta inattaccabili, Sul retroscena non era difficile scorgere, naturalmente, le ombre di meno nobili questioni di potere. Le due cattedre di etmomusicologia della “Sapien- za” romana ¢ del Dams bolognese diventarono presto, ¢ cid nonostante, centri notevoli di riferi- mento € di irtadiazione per la conoscenza della musica etnica o, pil correttamente, “di tradizione orale”. Ne nacquero iniziative di rilievo isticuzio- nale ¢ altrettanto significative sul piano divulgati- vo, come la costituzione della Societa Italiana di Emomusicologia ¢ quindi la pubblicazione di Culture musicali, Quaderni di etnomusicologia, a partire dal 1981/’82, fino al ’91/'92: nell’insieme 13 volumi, che raccolsero int itinere — anche con intento monografico 0 per ampie aperture di campo — i resoconti analitici ¢ di studio delle ricerche che continuavano o che iniziavano un po? ovunque. Per non dire degli incontri, 0 delle edizioni discografiche che si susseguirono in que- gli anni, per merito soprattutto di un infaticabile Roberto Leydi. Non so dire se fosse evitabile che — come la Socie- 18 Traliana di Musicologia sembrd esaurire il suo mandato con la pubblicazione della Storia della ‘musica (EDT) fra il’76 e i primi anni ’80, per poi dividersi in due fazioni la Societa emomusicolo- gica, prima presieduta da Carpitella e poi da Leydi, sacrificasse la propria esistenza (sebbene nessuna assemblea ne abbia mai dichiarato lo scioglimento, avvenuto di fatto ben prima della scomparsa del suo secondo presidente) ai difficili equilibri delle forze in campo per la conquista dei nuovi spazi aperti... ma sostanzialmente in termi- ni di postazioni accademiche. E non a caso Pietro Sassu rimase piuttosto defila- to rispetto alle vicende interne della Str, cosi come non usci mai un suo articolo (e non ne scrisse) per i quaderni di Culture musicali, avvertiti probabil- mente da lui (fosse 0 meno nel giusto) come pale- stra di addestramento della “seconda leva”, desti- nata in parte, almeno quella pitt attrezzata, alla carriera universitaria. Pietro ~ che era stato il primo allievo i Carpitella, sed ante academiam, e che risiedeva a Bologna ~ era o rimase extra par- tes. Intendiamoci, non & che nonyfosse interessato alla didattica (come potevano testimoniare a deci ne gli allievi dei vari Conservatori), anche nello specifico approdo universitario, che anzi riteneva in certo senso dovuto; ma che non gli andava di “studiare da professore” ¢ di scrivere libri sui libri, come si conviene a tal fine. La sua formazio- ne ¢ la sua vocazione rifuggivano (pur avendo, 2 come si dice, “le carte in regola”), da un certo specialismo ¢ da quel «premiante conformismo» (Iespressione @ di Leydi), che finiva per negare le stesse ragioni fondative dell’etnomusicologia. A Diego Carpitella, negli ultimi anni, piaceva dire che letomusicologia & «una microscienza che non esiste», € volenticri lo ricordava lo stesso Roberto Leydi.* Verita dei paradossi: proprio a loro — i grandi provocatori — cosi consapevoli delle motivazioni ultime, appassionanti e “rivol zionarie” fino all’ utopia, delle proprie rigorose invenzioni, cra toceato in sorte di condurre i suoni “non scritti” della tradizione oltre la soglia delle prestigiose (e un po’ sorde) aule dell’Univer- sita italiana. Ho voluto tracciare un quadro (che pud darsi risulti “politicamente scorretto”), dell’afferma- zione della disciplina etnomusicolgica negli anni "70 © °80 — peraltro gli stessi delle prime affer- mazioni come studioso di Pietro Sassu -, rite nendolo necessario proprio per suggerire a chi non lo ha conosciuto, per quanto possibile, i tratti migliori della sua personalita, quelli che poi colpivano in modo pitt immediato ed empa tico; ¢ in fondo per cogliere, di quanto ci ha lasciato, la dimensione pid irrinunciabile, Ia qualita umana, Invece di star liad investire sulla definizione e ridefinizione della “microscienza” (sulla quale poi far consistere la sua consisten 2a), Pietro sentiva il proprio ruolo, ne interpre- tava le relative responsabilita “politiche”, spen- dendosi ad aprire, a connettere, insomma a capi- re nel far capire; perché, come ripeteva, dopo il tempo della descrizione (dei fatti musicali, delle loro interazioni e metamorfosi) era ormai giunto quello della spiegazione. Anche in questo senso va compresa la sua prefe- renza per la “estroversione ermeneutica”, dialogi- ca, risperto allintroversione della scrittura: un dia~ logo che iniziava sul luogo della ricerca ~ sempre autenticamente interessata alla persona tutta intera € non soltanto come portatrice di memoria -, per continuare a volte senza interruzione in Conser- vatorio, come pitt tardi in Facolra. La raccolta degli scritti “sardi® di Pietro Sassu, merito di questa pubblicazion 2 stata concepita entro limiti necessitati e consapevoli: essa infatti non ha per oggetto ~ se non per alcune eccezioni irrinunciabili — gli scritti di carattere diverso o quelli riguardanti ricerche etnomusicologiche in altre regioni, né pud awvalersi di una antologia sonora a fronte. E nondimeno particolarmente doloroso, per la figu- ra di Pietro, non poter dare testimonianza in voce e per immagini del suo personale talento per la comu- nicazione orale: un’arte della significazione (dell'i segnare) senza traccia di retorica, sobria e tuttavia straordinariamente efficace, forse la pitt affascinan- te delle sue doti. Si pud dire che fosse rimasto indenne da quel processo di scissione (tipico a certi livelli fra la parola detta e quella scritta, che si tra- duce in forme ed elaborazioni a diverso grado “alie nate” rispetto all’oggetto stesso della comunicazio- ne. Il suo modo di porgere rendeva invece Ja pitt vivida testimonianza all'inter-esse della “materia”, quanto memoria del “mentalita orale”. 1a ancor pit il frutto di al suo essere bene comune, nonio sommerso del pat Virtii innata? D'accordo, un’adesione senza remore, lucida e ipersensibile, al mondo umano e di suoni di cui come pochi sapeva farsi interpret. Si capisce allora che, per la sua speciale propensio- ne exoterica, la cattedra universitaria non poteva considerarla un punto d’arrivo, piuttosto che una base di partenza, luogo d'incontro e moltiplicatore di ricerca, E dunque furono inseparabili dal suo ruolo di professore da un lato la rispettosa disponi- bilita ad ogni occasione gli venisse offerta di inter: venire sui problemi della didartica musicale; dallal- tro Vattitudine per la mediazione artistica ~ da base” (come si diceva allo- geam- “operatore culturale di ra), ovvero (prima ancora) da sciano”, ma coryinflessioni “edonistiche” — dandosi ellettual spesso (a partire dai concerti dei Collogui di musica ‘mediterranea di Sassari) 'opportunjt di condivid re con il pubblico il piacere delle scoperte musical, r la bellezza riposta nel senso. Cosi come non si pud ridurre ad inelinazione late- mozione dei sensi per rale, a sfizio saltuario, la sua attivita creativa, sia che si trattasse di comporre musica “originale” (dai tempi della cooperativa “Teatro e/o musica”, fino alla colonna sonora peril film Ybris di Gavi- no Ledds “barocea” d’autore con l'aspra polifonia di tradi zione, o una corale semi-amatoriale con la voca- di una confraternita. In ogni ), che di porre insieme una Passione lita “professionale caso, lintento dichiarato era quello di indurre 0 di lasciar irrompere la “differenza” per mettere in crisi il risaputo. Di qui veniva quella sua aria di amabile irrequie~ tezza, di chi non 2 mai soddisfatto di cid che sta facendo, di tutto qui nsieme “dissipan- do”, ¢ tuttavia non vi rinuncerebbe per tutti gli onori del mondo. nto va 2. «Ora qualcosa sappiamo Non ci @ dato sapere in che modo Pietro Sassu avrebbe interpretato la presentazione dei suoi “testi sardi”, in che modo avrebbe fatta attra. versare dalla sua molteplice esperienza. Probabil mente non si sarebbe contentato di un lavoro di revisione consuntiva declinata al passato; per certo alcune ramificazioni della sua ricerca sareb- bero confluite nell'alveo sardo, magari non in ter mini di sintesi definitiva (non era nel suo stile), ma insomma in modo da delineare i contorni di un’indagine di senso compiuto, utile, da mettere a disposizione del lettore di oggi (e di domani), augurabilmente non soltanto dello specialista. Larticolazione che ne abbiamo proposto non fa altro che incrociare il criterio cronologico con quello monografico, per agevolare la fruizione dei testi nella loro piit naturale © pid: approssimativa collocazione tematica. E tuttavia ci siamo conces- si alcune sortite “fuori tema”, quanto basta per illuminare di taglio lo stesso materiale sardo, per indicare tratti di relazione teorica/empirica indi- spensabili alla sua migliore recezione. Questo per ché, si & gia capito, gli stessi itinerari esistenziali di Pietro erano (e si sono) intimamente connessi a quelli conoscitivi. II titolo che abbiamo premesso a questa seconda parte di introduzione — perentorio (e un po’ ironi- co} tratto di modestia, eloquente nella sua st gatezza - labbiamo derivato dall'incipit del suo intervento al Convegno di Santu Lussurgiu del 7915 e la dice lunga sulla cocrenza intellettuale di Pietro Sassu. ‘Ma qui fa gioco convertirlo in forma di domanda: € noi, ora, cosa sappiamo di lui e del suo lavoro? Sono riconducibil le tension, pitt o meno risolte, che percorrono le pagine scritte da Pietro nell’ar- co di un trentennio, ad una unitaria linea di ten- denza, all’interno della quale evidenziare posto € importanza dei “testi sardi”? In ultima analisi: cosa ci manda a dire, oggi? Nell'intrico un po’ contraddittorio dei pensieri ¢ dei ricordi personali, si fa strada il passo di un “padre apostolico”, ultimo articolo pubblicato in esilio, nel 4944 (!), dal titolo Race Purity in ‘Music. Vado a verificare i citati Scritti di Bartok a cura di Carpitella, e trascrivo: «Sp dunque @ lecito sperare che la musica popolare si conservi in un avvenire vicino e lontano (speranza peraltro assai dubbia dato il ritmo veloce con cui Palta cultura penetra anche nei continenti pitt lontani) & perd evidente che la artificiosa costruzione di una ‘muraglia cinese’ per separare un popolo dall’al- tro @, dal punto di vista appunto della musica 14 popolare, molto dannosa, Voler rifiutare radical- mente ¢ totalmente ogni influenza straniera, significa la sicura decadenza del canto popolare. Al contrario, se bene assimilati gli apporti esterni costituiscono un vero arricchimento del materiale folklorico musicale.‘ Splendido e attualissimo. Essendo ostile ad ogni retorica delle “radici”, ho sempre cercato di ricordare ~ ¢ ho condiviso con Pietro - quella verita dallaspetto di paradosso per cui la tradizione vive se e in quanto si trasfor- ma, con buona pace dei “tradizionalisti”, i quali finiscono con il togliere valore e respiro a quanto vorrebbero si conservasse nella sua “autentica” integrita. Altrettanto deprecabile ed ideologico @ l'errore speculare di chi — quasi sempre per “puro” inte- resse di mercato ~ alimenta le pid disinvolte pra~ tiche di “contaminazione” fra diverse tradizioni musicali; le quali pratiche, proprio perché indorte © motivate da una tranquilla ignoranza (o dal dominio della falsa coscienza), non colgono che la superficie dei fenomeni, e nondimeno si rivela- no esiziali acceleratori verso quell’insulsa indi- stinzione, quella insipida “misticanza cosmica” che passa sotto Vetichetta di “world mu: qual cosa troppo poco ha a che fare con le “dina- miche” socio-culturali, e di quel poco @ lecito dif- fidare. Ci ricorda Lévi-Strauss, tradotto da Primo Levi con parole difficili da accettare, forse, ma inequi- vocabili: «si deve ammettere che questa diversiti risulta in buona parte dal desiderio, presente in ogni cultura, di opporsi alle altre culture che la circondano, di distinguersene [...J le varie culture non si ignorano, all’occasione si scambiano pre- stiti, ma, per non dissolversi, hanno bisogno che sotto altri rapporti sussista fra loro una certa impermeabilita» (cc. nm). Al termine del suo libro, lo stesso antropologo porta a sconfinare sul terreno francamente politi- cole sue riflessioni sulla liberta, valore quant’altri mai “occidentale”, in polemica con ogni “giaco- binismo” antico © moderno: «Contrariamente a Rousseau, che voleva abolire nello Stato tutte le societa parziali, una certa restaurazione delle societa parziali offre un ultimo strumento per rendere alle liberta malate un po’ di salute». Lad- dove per liberta reale intende «quella delle lunghe abitudini, [..] in una parola delle usanze;[...] una forma di liberta contro cui si accaniscono tutte le idee teoriche che vengono proclamate razionali». Perché «la liberta si mantiene dall'interno; quan- do sicrede di costruirla dal di fuori, mina se stes- sa» (cc, nn.).? Occorre allora che il punto di vista dello studioso il suo orientamento etico siano capaci di superare la settorialiti e a volte, addirittura, Palibi della deon- tologia professionale, per diventare il piti possibile senso comune, quanto meno coscienza culturale diffusa, Alla luce dell’esperienza di Pietro Sassu, credo di poter dire che la giusta osservazione sia offerta appunto ~ se non garantita ~ da un regard ade- guatamente éloigné, quel tanto che consenta una itida messa a fuoco dei fatti (musicali e non solo) e insieme una loro messa in relazione pertinente, all’occorrenza “ironica”, con il contesto comples- sivo di riferimento. Alcontempo, tale distacco critico non pud che gio- varsi di un’altrettanto precisa competenza tecnica, che perd non perviene a maturazione se non attra- verso lo scavo, fino alla simpatetica interniti rispetto ai fenomeni studiati, fino a raggiungere ill senso nascosto ma non negoziabile (direbbero i filosofi), e con esso la differenza non riducibile a merce umana, a beneficio dell’organizzazione industriale del consumo di massa, Non é difficile riconoscere queste attitudini come proprie di Pietro Sassu, come strumenti del suo mestiete nomade, perfezionati strada facendo. Un mestiere che ~ tenendo sempre costante Pesigenza (e lattualita) del confronto con le altre discipline = tichiede anche,di adottare nel tempo o volta per volta di privlebare diversi angoli di visuale: da quello semiologico e “strutturaljsta” a quello socio-antropologico e comportamentale, fino a quello pid teoretico degli ultimi anni. Al centro, rimane l'insieme dei fatti osservati, in quanto riconducibili alla oralita musicale. 1 suo stesso andarsene e tornare acquista in retro- spettiva una valenza ermeneutica: la stessa esigen- za di “spicgare il microsistema sardo”, di farsene mediatore, & all’origine di quella singolare dialet- tica alternita/internita che ne ha segnato i diversi percorsi di ricerca, tutti in fin dei conti scaturiti dal medesimo intento di des-isolare Isola. Percid bisognava uscirne per tornarvi, in un processo di conoscenza reale (e quindi di smitizzazione) che potesse giovarsi delle “riserve” sarde per scoprire angoli inauditi di “continente”, e delle successive icerche ~ dal Nord friulano al Sud lucano della penisola ~ per spiegare la Sardegna, Significativamente, una delle prime ¢ delle pitt esemplari riflessioni/digressioni teoriche sulla polivocalita tradizionale sarda la si trova — per comparazione — nel rapporto di Pietro Sassu sul repertorio lombardo dei canti di Premana.$ Deprecando la non adeguata collocazione dell’et- nomusicologia italiana nell’ambito della sociolo- gia e dell’antropologia culturale, I'Autore avverte con forza Pesigenza di andare oltre a mera descrizione dei fatti osservati, i quali — essendo musicali ~ vanno spiegati con la musica, con le stesse strutture musicali; il che vale, come per la musica colta, anche per quella di tradizione orale, E questo in una situazione in cui la ricerca deve registrare lo stato di disgregazione delle tradizio- ni, tanto da dover trasferire in secondo piano la classificazione per esplicite occasioni-funzioni dei documenti (ammesso che siano rilevabili), se non come aspetti superficiali o residuali di “funzioni latenti”, da individuare appunto alPinterno dei dispositivi structurali espressivi (musicali e poet ci), come nuclei persistenti ¢ di resistenza alla definitiva scomparsa della memoria tradizionale, della cosiddetta “mentalita orale”. Ed @ il caso di ricordare che, poco incline com’era alle astrazioni definitorie, Pietro si lascié tentare da chi scrive alla seriteura di due saggi — sulla Musica “liturgica” di tradizione orale e Sui canti del lavoro? — che dovevano avere carattere “con- clusivo” e sintetico quanto si conviene al far parte di una Guida destinata soprattutto agli studen dei vari Dams; ma lo fece proprio perché si tratta- va di una redazione a quattro mani, dialogica, non esente da un certo taglio provocatorio, volto a “scompaginare la materia”, 0 quanto meno a prendere le distanze da alcuni “acquisiti” luoghi 1s comuni in merito (spesso per demerito scolastico). Si capira dunque che non @ stato facile mettere insieme una silloge di scritti “sardi” di Pietro Sassu, non volendo rinunciare alla loro effettiva comprensione come momenti di un unico-e-alter- nato (e sempre aperto) flusso di ricerca Ci auguriamo infine di aver fatto cosa utile - che, forse non gli sarebbe dispiaciuta -, nella fase che stiamo vivendo dall’inizio del nuovo secolo, ancora diversa, se non del tutto imprevi sta, rispetto a quelle che hanno scandito fino ad ora la “storia” dell’etnomusicologia ormai lo stesso precipitare delle trasformazioni in quando atto costringera la ricerca sulle tradizioni orali a superare reticpnze e ind tare problemi cruciali non soltanto © non gid settoriali, per affron intorno alla musica, “colta” © meno che sia, ma intorno all’esito stesso dell’incontro/scontro “di civilta”, nell’orizzonte globale dell inter-/ multi-/ © (pitt realisticamente) della post-culturalita Diego Carpitella, intervistato da Maurizio Aga mennone qualche settimana prima della sua scom: parsa, nel 1990 — per i Cahiers de musiques tradi- tionnelles ~, sulla specificita metodologica dellet: 16 nomusicologia, rispose: «E un tema centrale nel dialogo tra musicologi ed etnomusicologi. Quanto a me, preferisco la definizione storica di musicolo- ‘gia comparata, perché in luogo di costituire un compartimento, esamina delle forme culturali suscettibili di comparazion Una musicologia che non tenga conto del contesto nel quale si svolge Fevento musicale, della langue che pesa sulle spalle del musicista o anche dei livelli sociali e culturali ai quali si produce o si consuma la musica, sarebbe una musicologia ‘in scatola’. D'altra parte, una etnomusicologia che porti in modo insensato ad una ideologia vaga, senza preoccuparsi della ‘strut tura’ dei suoni, mi sembrerebbe altrettanto falli- mentare. Comungue sia, & chiaro che se si esami nano delle zone culturali differenti, si dovranno selerionare ed affinare i criteri ei parametri di ana lisi, per evitare che la specializzazione si trasformi automaticamente in ghetto» (traduzione nostra). Bisognera dunque apprendere a dire “musica” e pensare “musiche sapendo che sol tanto pensando le differenze possiamo tornare a dire al singolare quanto in profond al plural na e ci unisce come specie Per questo motivo abbiamo voluto riproporre alla lettura anche il saggio sull’alterita, che Pietro Sassu firmd nel 1996 per “Sonus”, una rivista meridionale “di musica contemporanea”.1° E uno studio denso ¢ illuminante, che prende corpo ~ oltre che dall’osservazione diretta ~ da una trama di domande e di letture (si scorrano le note bibliografiche) di grande spessore ed attuali- oiché sarebbe stato, ora sappiamo, il suo ulti- mo dono, lo si pud intendere come “consegna a futura memoria”. La strada che Pietro vi indica passa peril rifiuto delle alterita di comodo, buone per confezionare compilation da supermercato, ¢ nello stesso tempo ci invita a non distruggere, a non disfarci delle differenze selezionate da equili- bri storici, oggi utili pid che mai a «cogliere aleu- ne linee di forza del pensiero musicale comples- so»; quelle differenze culturali su cui far risiedere, in ultima istanza, il fondamento antropologico di possibili convivenze future, Riconoscere il “parziale primato” di musiche e di “culture a lungo valutate subalterne” sara compi- to delle nuove generazioni di musicologi e musici- sti tout court, senza prefissi e suffissi, verrebbe da dire: un compito che ~ con un po’ di buon ottimi- smo ~ dovremmo considerare comune ai nuovi Conservatori (oggi, per legge, istituzioni di “alta formazione”), quanto agli istituti universitari che a qualsiasi titolo si occupino di musica. Se la crisi dei “paradigmi culturali” dell"Occiden- te, oltre a scardinare corporazioni e ordinamenti disciplinari, sara capace di prefigurare orienta- menti di studio rigorosamente indisciplinati, fra qualche anno si vedra che la rivalita fra musico- logia “colta” ed etnomusicologia avra portato (in analogia con la marxiana lotta fra le classi) all’estinzione dell'una ¢ dell’altra, per lasciar posto ad una rinnovata musicologia delle diffe- renze, dei comportamenti e delle reciproche inte- razioni, che magari si dedichi allo studio compa- rato delle “funzioni latent” comuni alla musica scritta, d'arte 0 applicata, come a quella di tradi- zione orale, etnica o folklorica 0 comungue la si vorra chiamare; e quindi alla loro emersione nella molteplicita delle forme e delle qualita espressive. 7 Note * Bea BanroK, Scritti sulla musica popolare, a cura e con lintroduzione i Dieso CasPreL.s, Torino, Boringhie- +i, 1986; alla pubblicazione segui la ppolerica con Massimo Mila, riport ta in: DIEGO CaaPrELLA, Musica @ tra dizione orale, Palermo, Flaccovi 1973, pp. 257-266. 2 Epnesto De ManmNo, La tora def rimorso, Milano, lI Saggiator Cr. in particolare ta Prefazione, per concetti come “cattivo ‘passato che non fu scalt ‘su0i lavori, De Martino non ricorda mai Antonio Gramsci, di cui pure erano state pudblicate, postume, le Osservazioni sul folkiore, in Lettera tura e vita nazionale (Opere, vol. VI), Torino, Einaudi, 1950. In ogni modo, nel giro di pochi anni ~ dal 1957-82 al 1959-61 -, lo storicismo ideolagico di Milla si pub dire superato dal'ideal- ‘smo empitico (un bell'ossimoro) di De Martino: pur sempre “‘crociano’ ma “militante”, tanto da porsi esplic tamente il problema di un intervento pit.o meno immediato che “affrettas- se", nel caso specifico, la scomparsa del tarantismo, Paradossalmente, Fintervento (o la “osservazione par- tecipante”) dei ricercatori di varo tipo avrebbe indotto negli anni successivi dei fenomeni - non sempre voluti ~ di Continuita 0 di ripresa delle tradizioni anno 1961 vede anche le pubblice- Zione di RoBenro Leva, La musica dei primitivi, Milano, ll Saggiatore, 1961 (quasi una risposta “universalsta” alla “quistione meridionale”, da parte di un nordico anch’esso trentenne): mentre di poco precedente & l'edizio ne italiana di CLauoe Lév-Strauss, Tri ‘sti tropici, Milano, ll Saggiatore, 1960, 3 L’etnomusicologia in Italia, a cura di Dieco Canela, Palermo, Flaccovio, 1975. Cfr. (fra gl altri) gl interventi di Cinese, RoNcasuia, VaNoOR, RicHiM, ViAb, PoReNA, STEFANI, LOMBARD) Sarani, GALLO, De Sion, BUTTTTA, Zio @ le conclusioni di Pianorra, * Rogearo Levoi, Ricordare Diego, in «Culture musicalin, nn. 15/16, Firen- ze, La casa Usher, 1990. Dello stesso autore, 'anno successivo uscira: Lal tra musica. Etnomusicologia. Come abbiamo incontrato e creduto di ‘conoscere le musiche delle tradizioni popolari ed etniche, Milano, Giunti- Ricordi, 1991 ® Liturgia @ paraliturgia di tradizione orale. Convegno di studi, Santulus- surgiu 12-18 dicembre 1991, a cura di GianeaoLo Mele @ Piero Sassu, Cagian, Universitas, 1993. © Bela BaRTOx, cit, p. 95. ” Clauoe Lew-Strauss, Lo sguardo da lontano, Torino, Einaudi, 1984, p. Xie pp. 343-344 § PierAO Sassu, Canti della Comunita di Premana, in Mondo popolare in Lombardia, 4. Como e il suo territo- ‘io, Milano, 1978, pp. 273-294. ® Pieno G. ARCANGEL! e PleTRO SASSU, Musica “tturgica” ai tradizione orale (pp. 79-93) € Sui canti det lavoro (op. 95-106), in Guida alla musica popols- re italiana, 2. | repertor, a cura di R. Levo), Lucca, LIM, 2001 "9 Pietno Sassu, Lalterité musicale, in «Sonus», Vill, n. 16, 1996. Per un primo commento al testo, ad un anno della scomparsa del'autore, si veda: Pieno G. ARCANGEL!, Ricordare Ia musica, al futuro possibile, in Etno- musicologia. Scritt, Firenze, LoG- sma, 2002.

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