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INDICE ..............................................................................................» p. 3
INTRODUZIONE ...............................................................................» p. 5
1. PERCHÉ VIAGGIARE?
4. VIAGGIARE IN UN GEMELLAGGIO
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INTRODUZIONE
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note - dei rimandi interni al volume stesso.
In questo scritto il mio sforzo, dicendolo con Calvino, è stato quello di dire le
cose più pesanti con la maggior leggerezza possibile1.
1 Cfr. Leggerezza in Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Oscar
Mondadori, Milano, 1993.
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1. PERCHÉ VIAGGIARE?
7
capace: esso non sa più scegliere il suo senso, la sua direzione, il suo scopo.
8
tra gli esseri umani: mi riferisco alla dignità di ogni singola persona, al diritto alla
convivenza pacifica, all'opportunità di realizzare la propria soggettività e soprattutto
a quello che mi piace chiamare il “diritto alla conoscenza”7.
7 Il ruolo sociopolitico che assume la conoscenza è messo in luce da Gramsci quando afferma che
“la tendenza democratica [...] non può solo significare che un operaio manovale diventa
qualificato, ma che ogni 'cittadino' può diventare 'governante' e che la società lo pone, sia pure
“astrattamente” nelle condizioni generali di poterlo diventare; la democrazia politica tende a far
coincidere governanti e governati (nel senso del governo col consenso dei governati), assicurando
a ogni governato l'apprendimento gratuito delle capacità e della preparazione tecnica generale
necessaria al fine [...] formandolo come persona capace di pensare, di studiare, di dirigere o di
controllare chi dirige”: Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere. Gli intellettuali e
l'organizzazione della cultura, Editori Riuniti, Roma, 2000, pp. 141-142. Ho tratto da Massimo
Baldacci, Personalizzazione o individualizzazione?, Erickson, Trento, 2005, p. 54.
8 http://it.wikipedia.org/wiki/Societ%C3%A0_dell%27informazione, (29/07/2010).
9
ai fini del ritorno economico. Viene dunque da chiedersi se i bisogni degli esseri
umani siano riconducibili solo al denaro. E se la risposta fosse negativa si
giungerebbe al nodo problematico della parola “conoscenza”. Essa infatti non indica
solamente le competenze spendibili nel mercato del lavoro. Il significato di
“conoscenza” ingloba dentro di sé una storia umana lunghissima, durante la quale ci
si è interrogati, non solamente su temi economici, ma anche sulla felicità, sulla pace,
sulla giustizia e su molto altro ancora. La conoscenza è utile ma non
necessariamente è utilitaristica. Conoscenza vuol dire anche esperienza, alfabetismo
emotivo, vissuti di condivisione con gli amici, filosofia, gioco e altro ancora; aspetti,
questi, che necessitano di tempi lunghi: il tempo della conoscenza reciproca, il
tempo dello studio, il tempo del pensiero, il tempo della scrittura. Agli occhi di molti
nostri concittadini, tutta questa parte di significato sembra risultare invisibile. Di
certo non i suoi effetti.
Nella prospettiva di far acquisire senso alla nostra realtà ritengo che sia più
corretto usare il termine “società dell'informazione” piuttosto che quello di “società
della conoscenza”. Oltretutto, in tal modo, si specifica meglio il riferimento esistente
all'information technology.
Dice Morin:
9 Edgar Morin, La testa ben fatta. Riforma dell'insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello
Cortina Editore, Milano, 2000, p. 45.
10
«[...] le parole della cronaca, quelle che rivendicherebbero l'oggettività, la fedeltà
del descrivere e raccontare: [...] risultano inaffidabili, nell'eccesso del loro proporsi e
riproporsi gridato, rivolto all'effetto, e insufficienti a produrre conoscenza,
confermando il celebre interrogativo “di quanta perdita di conoscenza è responsabile
l'eccesso d'informazione?”»10 (Contini).
10 Mariagrazia Contini, Elogio dello scarto e della resistenza. Pensieri ed emozioni di filosofia
dell'educazione, CLUEB, Bologna, 2009, p. 122. Il corsivo è mio.
11 Ivi.
11
Il linguaggio visivo, poi, ha un elemento di complessità relativo all'attività di
traduzione. Acquisire consapevolmente il contenuto di un'immagine vuol dire
poterla “metterla in parole” attraverso una descrizione e una spiegazione. “La
descrizione di un'immagine richiede un passaggio dalla modalità simultanea, che
caratterizza la visione, a quella lineare alla quale costringe il linguaggio”12. Nella
quotidianità, però, non abbiamo a disposizione il tempo necessario per elaborare tutti
i segnali multimediali che ci pervengono durante la giornata e questo comporta il
rischio di perdere il significato dei segni in cui siamo immersi. Oltre a ciò, i ritmi
frenetici del linguaggio visivo proposto dalla televisione e dai videogiochi,
costituisce un fattore di rischio per l'insorgere di problematiche di distrazione,
incapacità di soffermarsi e irrequietezza.
Scrive Salvatore Natoli: “le parole risultano sapienti di per sé e per questo, ogni
volta, prima ancora di pronunciarle, bisognerebbe ascoltarle: come all'inizio dei
tempi. Infatti, non sono nostre, le parole, ma ci sono state donate, le abbiamo
apprese. Perché non suonino vane è necessario che non se ne perda l'eco profonda,
12 Hilda Girardet, Vedere, toccare, ascoltare. L'insegnamento della storia attraverso le fonti, Carocci
Faber, Roma, 2004, p. 84.
13 Cfr. Enrico Testa (a cura di), Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000, Giulio Einaudi Editore,
Torino, 2005.
14 Marco Dallari, La dimensione estetica della paideia. Fenomenologia, arte, narratività, Erickson,
Trento, 2005, p. 221.
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che nel dirle si sia capaci di risentirle – quasi a trattenerle – per evitare che con il
suono ne svanisca anche il senso”15.
«Secondo me è un periodo che non si capisce più niente. No, dico nelle
conversazioni, no? Sia che si parli di noi, sia che si parli del mondo.
No, perché io posso anche capire che uno abbia delle idee politiche… beato lui. Che
si spieghi. Ecco, che non dica parole che non vogliono dire niente… o tutto. Che poi
io gli rispondo, e lui mi risponde, e io gli rispondo, e mi fa incazzare, e finisce che si
litiga senza avere neanche capito bene di che cosa stiamo parlando.
15 S. Natoli, Povere parole senza peso, nel tempo della chiacchiera, “L'Unità”, 16 Maggio 2006, in
M. Contini, op. cit., Elogio dello scarto..., p. 122.
16 Nome d'arte di Marco Castoldi, già leader del gruppo musicale Bluvertigo.
17 “Altrove”, prima traccia dell'album Canzoni dell'appartamento, Columbia, 2003.
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Stop! Stop!".
Mi evitano. Solo perché voglio che ci si accordi sul senso. Ma certo, anche per
difendermi. Ma dico, se uno a tavola ti dice "compagno", tu non sai se ti sta dando
del cretino o no! Si potrebbe capire sapendo lui come la pensa, questo sì, ma se te lo
dice uno per strada, eh? "compagno"... Dal tono forse:
E poi, anche se si capisse, a questo punto non si sa più perché bisogna usare le
parole. Basterebbe fare: "Heee… blll… huuu… huuu...".
Bisogna decidere, su! O essere delle mucche o ridare un senso alle parole. Un senso
storico. Perché è la storia che come sempre fa casino, capisci? Ti cambia da un
giorno all’altro il significato delle parole, perché lei, la storia, c'ha un suo percorso,
no? e allora tu prima di parlare con uno devi sapere a che punto sta lui della storia,
no?
Mi evitano.
E fanno male, perché non stanno attenti, sono disordinati. Ma dico io, se uno non sta
dietro alle cose nell’arco di una vita una parola come "coppia", ecco "coppia",
"coppia"… quando ero piccolo erano due persone che si volevano bene. Poi c’è stato
un periodo che erano due persone… nemmeno due persone, era una schifezza
proprio! Adesso sta rimontando, vedi? Per coppia si intende "coppia critica", e cioè
loro sanno che è una schifezza ma va bene così. Perfetto! Perfetto! Va benissimo, si
sono accordati sull’imperfezione dell’amore, eh!
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Ma allora bisogna usare solo parole come cane, gatto, albero, cavallo! Ecco, se uno
mi dice "cavallo" lo so cos’è, eh! Non mi diverto ma lo so. Eh sì, perché se la gente
parlasse solo di animali, di verdure… di cassapanche, non si gode ma ci si capisce.
E invece allora parole di pace, di inflazione: stop! Energia, Einstein: stop! Cultura:
stop! Sfratti, religione: stop! Politica: stop! Stop! Stop! Accordiamoci sul senso!
Il senso?
Ora, nella nostra prospettiva, queste considerazioni possono essere il motore che
ci muove verso l'attivazione di un ciclo di negoziazione ermeneutica sul “senso”
delle parole. Dobbiamo recuperare il piacere dell'ascolto, quello che ci consente, per
dirlo con Gaber, di individuare “a che punto sta della storia” la persona che ogni
giorno vive accanto a noi. E questo, poi, non è altro che l'attitudine educativa
auspicata dalla Contini del “realizzare se stessi realizzando l'altro”: stile esistenziale
che, si badi bene, non ha niente a che vedere con uno spirito di sacrificio dal sapore
religioso. Infatti, se ci si pensa, la serenità della persona all'interno di un contesto di
convivenza è possibile solo se è realizzata la serenità dell'altro; e questo non avviene
respingendo nel nostro profondo i desideri e le legittime aspirazioni ma, anzi,
consentendone la vitale fuoriuscita.
Per poter giustificare in maniera esaustiva l'importanza della figura del viaggio è
necessario però fare ancora qualche riferimento teorico che ci aiuti ad interpretare lo
Zeitgeist attuale.
Abbiamo già osservato come certi significati e certe direzioni di senso siano
18 Monologo Il senso di Gaber e Luporini, inserito nello spettacolo “Io se fossi...Gaber”, andato in
scena al Teatro Giulio Cesare di Roma dal 4 al 10 Marzo 1985, registrato da Polygam Italia e
reperibile nell'album musicale omonimo. In data 29/07/2010 il testo è consultabile su
http://wikitesti.com/index.php/Il_senso_-_Giorgio_Gaber (29/07/2010).
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messi da parte nella contemporaneità, con conseguenze nefaste per la vita degli
esseri umani. Tra questi, però, va menzionata anche la visione dicotomica tra mente
e corpo: sapere dell'esistenza di tale concezione ci permette di leggere con più
compiutezza quel “contesto che non c'è”19, nel quale noi tutti siamo immersi. Infatti
una tradizione culturale che va da Platone a Cartesio fino ai giorni nostri ha maturato
la comune concezione, nel mondo occidentale, di una dualità gerarchica tra corpo e
mente che vede quest'ultima come legittima dittatrice sull'altro.
Scrive Platone: “e così, liberati dalla follia del corpo, ci troveremo, come è
plausibile, in compagnia di esseri simili, e conosceremo, da noi stessi, tutto ciò che è
semplice, ossia ciò che, con ogni probabilità, è la verità stessa”20.
Liberati dalla follia del corpo conosceremo la verità, scrive dunque nel Fedone il
filosofo ateniese, avviando un tipo di sguardo sui corpi che permarrà, con
sostanziale continuità di fondo, almeno fino a metà del Novecento. Questo modello
risulta però fortemente inadeguato per interpretare il mondo in ottica olistica e in una
prospettiva di felicità esistenziale. Come spiegare i fenomeni diffusi di
autolesionismo, di ipocondria, di angosciante disamore per il proprio corpo, e anche
gli episodi di innamoramento, di empatia o di improvvisa collera se non in termini di
relazione col corpo? Non è possibile far finta che questi aspetti dell'essere umano
non esistano, magari relegandoli alla categoria di “malattia genetica”21; non accettare
la propria gettatezza22 vuol dire, in ultima analisi, avere difficoltà di adattamento
all'ambiente. È opportuno quindi riferirsi a un modello diverso che veda mente e
corpo come parti di un'unica entità: il processo cognitivo, infatti, è incarnato
nell'azione corporea ed è fondamentale dunque un'educazione “all'essere il nostro
corpo”, ascoltandolo e rendendolo oggetto di riflessività, opponendosi all'idea
diffusa di “avere il nostro corpo”. Accolgo quindi “l'accezione husserliana, che
differenzia il Leib, il corpo vivente – e dunque il soggetto che io sono, imparentato
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con Leben, la vita e Liebe, l'amore – dal Körper, organismo oggettivato”23,
scegliendo il Leib come figura guida del mio agire pedagogico. Assimilare nei nostri
pensieri il concetto di Leib significa riconoscere a noi stessi e a gli altri una storia
personale24, con la straordinaria conseguenza di poter cogliere le ragioni profonde di
un certo tipo di fusionalità25 o di conflittualità di un soggetto. Trovare nelle radici
esperienziali, culturali, famigliari, le possibili ragioni di un certo modo di
comportarsi vuole dire avere la possibilità di fare i conti “con quella storia, narrarla a
se stessi e all'altro, interpretarla, re-interpretarla e sollecitarne interpretazioni
altrui”26. In altre parole in questo modo possiamo instaurare una comunicazione
autentica, l'unica veramente feconda nella prospettiva di convivenza pacifica e di
serenità individuale. “ È a partire dalla comprensione che si può lottare contro l'odio
e l'esclusione”27.
17
indispensabile nel contesto educativo. “La pedagogia infatti non può non ricorrere
alla psicologia come sua scienza fonte privilegiata, e in assenza di una visione
psicologica complessiva, il processo educativo viene di norma descritto solo alla
luce delle fasi evolutive del bambino e senza tener conto di possibili dinamismi
evolutivi dell'adulto, che pure costituisce sempre l'altro inevitabile polo della
relazione educativa”29.
Facciamo ora un ultimo passo indietro per tentare di completare una visione
teorica d'insieme che possa consentire una comprensione adeguata della proposta
pedagogica che si sostiene in questo lavoro.
18
da Morin, ossia quello che “situa ogni evento, informazione o conoscenza in una
relazione di inseparabilità con il suo ambiente culturale, sociale, economico, politico
e, beninteso, naturale”32. Questo si riflette anche nella reciprocità con cui viene
concepita la duplice natura umana: “l'umanità non si riduce affatto all'animalità; ma
senza animalità non c'è umanità”33.
Un assunto importante è che “il problema morale non è posto per il singolo né
deve essere risolto dal singolo, ma è posto per l'umanità e risolto nell'umanità”34. La
verità non esiste “in sé”: si può dire che essa è prodotta dal nostro Leib, il quale –
attraverso la ragione - la fa esistere.
19
continuum tra i due opposti che, considerando la situazione storica contingente,
l'educatore può scegliere la direzione che meglio rispecchia il suo obiettivo. Questo
a sua volta è allineato con quello di preservazione della dignità e della serenità di
tutti gli esseri umani, che sono diversi tra loro per natura.
Fare una scelta vuol dire anche accettare l'elemento di finitudine: è un gesto di
coraggio che, insieme alla paura e all'angoscia, offre però anche chances di
cambiamento e di felicità. È attraverso il conflitto infatti che è possibile
l'adattamento all'ambiente e di conseguenza, come idea limite, la felicità. La ragione
problematicista è innanzi tutto un'esigenza, che può essere assecondata o meno dal
soggetto umano, e che contempla e accetta la dimensione del tragico come parte
dell'esperienza.
20
divergente rispetto ai modi di pensare e di sentire del 'gregge' del suo tempo”36.
Osserviamo che oggi è inattuale tutto ciò che è scarto: quindi quello che è scarto,
rispetto a “ciò che conta”, richiede nella contemporaneità una visibilità sociale
maggiore. È necessario un riavvicinamento allo scarto inteso anche come distanza
temporale, come “tempi lunghi”, appunto.37 Insomma si profila un atteggiamento
pedagogico che sia, come sostiene la Contini, un esercizio di resistenza rispetto al
pensiero comune.
Ora siamo pronti ad accostarci, con una consapevolezza migliore del contesto di
riferimento, al nostro tema del viaggio. A partire dalla visione del mondo che sin qui
si è descritta, possiamo ricostruire una direzione di senso che vede nel viaggio un
potente strumento concettuale a cui può ricorrere l'educatore. Nelle sue sfaccettature
il viaggio può assumere una forte valenza formativa.
21
degli alunni, alla ricerca di tracce che ci aiutino a ricostruire un possibile contesto
nel quale inserire i nodi problematici della realtà scolastica. È poi direttamente
sequenziale la necessità di una competenza linguistica che permetta di distinguere e
confrontare le osservazioni e le ipotesi quotidiane. Sono questi strumenti razionali
che costituiscono quel “certo percorso” che l'insegnante segue nel suo viaggio
educativo.
22
civili incisi sulla pelle di una collettività»39.
Ecco allora che uno spostamento dello sguardo – ma anche dei corpi – al di fuori
delle mura dei plessi scolastici, sembrava, negli ultimi anni ottanta, un'urgenza
pedagogica. Ma ben pensando alle riflessioni sin ora fatte le cose non sembrano
essere cambiate molto, o, quanto meno, tale urgenza rimane all'ordine del giorno.
Infatti la società, dovendo confrontarsi con il fenomeno dell'immigrazione, con i
cambiamenti sociali repentini e clamorosi, con un'informazione sensazionalistica e
senza misura ed essendo spesso orfana di istituzioni politiche “illuminate” ed
eticamente responsabili, appare eccessivamente pervasa da paure e aggressività
sintomatiche. Mi spiego meglio. Paura e aggressività sono dettate in primo luogo
dall'incapacità emotivo/cognitiva di far fronte alle sfide e alle difficoltà quotidiane, e
le cause sono da ricercarsi in una perdita del “senso del Sé” 40: la propria soggettività
sembra smarrirsi nelle tante identità che ci vengono proposte come migliori, come
vincenti41. Ciò avviene proprio a discapito delle esperienze “diverse” e cioè di una
ricerca della propria identità attraverso il confronto con le persone che ci circondano.
A sua volta questo fenomeno è riconducibile a quella “sovrastruttura” economica
che in larga parte coincide con lo “spirito dei tempi”. Se a ciò si aggiunge un deficit
politico rispetto agli investimenti economici ed umani destinati alla scuola pubblica
e un deficit rispetto alla promozione della cultura in genere, il quadro che ne
scaturisce non è dei più incoraggianti. È l'istituzione formativa pubblica, infatti, che
gioca nella società un ruolo nevralgico per conferire quegli strumenti esperienziali
che poi consentiranno la maturazione dell'individuo e che potranno condurlo verso
un'esistenza serena, integrata nel tessuto sociale. Affinché si realizzi pienamente
l'umanità deve essere mantenuto vivo il ciclo di trasmissione culturale.
L'organizzazione esistente fra gli uomini è frutto di una lunga storia di entusiasmi,
errori e prese di coscienza, e tutto questo bagaglio di conoscenza straordinario non
può essere precluso a nessuno. Conoscere i fatti, che eppure in molte nazioni è una
39 Franco Frabboni in Riccardo Massa (a cura di), Linee di fuga. L'avventura nella formazione
umana, La Nuova Italia, Firenze, 1990. Sono di Frabboni le idee di sistema educativo aperto e di
aule didattiche decentrate.
40 Cfr. Lis, Stella, Zavattini, Manuale di psicologia dinamica, Il Mulino, Bologna, 1999, pp.
266-267.
41 Ci si chiede: cosa vuol dire vincenti?
23
possibilità esistente, non basta. Serve un cammino in direzione di analisi, verso
ipotesi di risoluzione dei problemi: ma, per fare questo, l'educazione (quella “vera”)
deve rimanere tra le pietre miliari delle istituzioni. Oggi siamo carenti di educazione
pedagogica e di educazione psicologica (educazione al rapporto amoroso di coppia,
alle differenze di genere, al sentimento, alle emozioni), di educazione alle nuove
tecnologie (nel senso tecnico di come si costruiscono) e, ancora, di educazione
filosofica e storica. A sproposito si parla di “società della conoscenza”, quando
invece i saperi sono sempre più divisi in compartimenti stagni, con bassissime
occasioni di interscambio42. I saperi sono sempre meno visibili alla società; mancano
occasioni educative serie e pianificate su vasta scala.
Riprendendo le fila del discorso, possiamo dire che il fatto di “mettere il naso”
fuori dalla scuola, usufruendo, come suggerisce Frabboni, delle risorse culturali e
umane del territorio, costituisce un punto qualificante dell'istituzione educativa, che
in questo modo abitua il bambino ad avere fiducia nelle esperienze di conoscenza.
Infatti esperienza vuol dire in buona sostanza incontro col diverso, sua assimilazione
nel proprio Sé e infine serenità. Ecco dunque la ragione ultima che giustifica
l'opportunità di muoversi fisicamente dalla propria scuola. Essa è la possibilità di
accostarsi ad un luogo sconosciuto e a ritmi temporali inconsueti; è l'opportunità di
prendere confidenza con la distanza dalla famiglia e di incontrare persone diverse.
Oltre a ciò, l'intento educativo è quello di “seminare” tra gli alunni una sorta di
“germe cosmopolita”. Esso, col tempo - che è quello scarto che fa maturare i
risultati - permetterà loro un'integrazione migliore all'interno di quello che Hannerz
chiama “ecumene globale”. A tal proposito l'antropologo svedese afferma che:
24
prontezza, dell'abilità personale nell'orientarsi nelle altre culture, ascoltando,
guardando, intuendo e riflettendo, come pure della competenza culturale nel senso
più stretto del termine, un'innata capacità di muoversi con destrezza in un particolare
sistema di significati. [...]
«molte persone viaggiano con l'idea di “casa più”: Spagna è “casa più sole”, India
è casa più servitori, Africa è “ casa più elefanti e leoni”. E per alcuni, naturalmente,
viaggiare è idealmente “casa più affari migliori”. Qui non si dà nessuna apertura di
massima a qualsivoglia imprevedibile varietà di esperienze; i benefici della mobilità
25
sono strettamente regolati. Viaggiare in questo modo non è da cosmopoliti e non
crea cosmopolitismo»44.
Ben diverso è il caso dell'esule, per il quale “la vita in un altro paese può essere
'casa più salvezza', o 'casa più libertà', ma spesso semplicemente non è casa: egli è
circondato dalla cultura straniera ma non ci si immerge”45.
La necessità del contatto col diverso e con ciò che sta “fuori dalla scuola” è
importante perché la vita sociale contemporanea richiede un'assimilazione all'interno
della propria identità di un vastissimo e complesso contesto culturale che non può
esaurirsi dentro le mura scolastiche. Per quanto la scuola non sia l'unica agenzia
formativa che si occupa delle nuove generazioni, essa rimane un cardine
fondamentale.
26
La questione multiculturale non si esaurisce chiaramente lungo il confine di
questi aspetti: strettamente connessi figurano i problemi politico economici a livello
internazionale, i quali impediscono un confronto autentico fra i cittadini del mondo.
27
singolo, aumentiamo anche il “materiale” a cui egli può attingere per il suo pensiero
creativo, alimentiamo quello che Calvino chiama il “cinema mentale” che non è
altro che il nostro processo immaginativo di invenzione, ossia quella visione
interiore necessaria alla creazione effettiva48. A ben pensare questo tipo di pensiero
ha risvolti che vanno oltre il mondo dell'arte in senso stretto: infatti esso nutre quello
che J.I. Guilford ha definito pensiero divergente, ossia quella capacità di organizzare
gli elementi intellettuali in maniera originale, permettendo, ad esempio, di dare
risposte diverse allo stesso quesito. È un'attitudine questa che consente al soggetto di
svelare stereotipi e pregiudizi.
28
anni dalla fine della guerra :
Appare subito chiaro che l'avventura determina la rottura con la routine e prevede
l'incontro con la diversità: questo fa paura e attrae allo stesso tempo. Le parole
“vicenda”, “caso”, “impresa” ci riportano alla dimensione istantanea più che a quella
processuale o a lungo termine che invece suggerisce il viaggio. Ma non si può
pensare di eliminare dall'esperienza di viaggio il suo aspetto avventuroso, il quale ne
è parte costitutiva e integrante. Alla luce di alcune argomentazioni che a tal
proposito fa il filosofo e musicologo francese Jankélévitch, possiamo considerare
l'avventura come un modo di concepire il tempo che, nonostante si esprima nel
presente, si rivolge al futuro, all'avvenire appunto. Nell'avventura si sa che ci sarà
un futuro ma non si sa come esso sarà: per essa c'è attrazione ma allo stesso tempo
spavento. L'avventura è gioia del cominciare e del creare ma, soprattutto, è un
sentimento passionale riconducibile in una certa misura all'Es freudiano. Ora,
facendo nostra un'altra istanza individuata da Jankélévitch, possiamo dire che il
viaggio è connotato da serietà, ossia dalla capacità di coordinare razionalmente il
tempo nel suo insieme. Esso deve fare i conti non solo con i tempi dell'avventura ma
anche con i tempi della noia (altra istanza posta in essere dal filosofo)54. Per dirlo
integrando alcuni termini psicodinamici, potremmo affermare che la serietà è il
29
nostro Sé, il quale per vivere e farci sopravvivere ha bisogno di accettare e di
“incorporare” la sua libido; libido che, a sua volta, ora tende verso la noia ora tende
verso l'avventura. Quest'ultima quindi, per la sua natura “libidinosa”, racchiude in sé
una dose di morte possibile, di tragedia, cioè quel rischio di perdere il controllo
sulle cose, di non riuscire a dominarle. Vivere un'avventura significa sapersi
vulnerabili. Anche nel caso dell'“avventura amorosa” essa si compie quando si è
riusciti, per un momento, a lasciarsi alle spalle i fantasmi, quelle paure primigenie di
abbandonarsi unicamente all'istinto. È per queste ragioni che l'avventura può
configurarsi come tabù: è in essa che stanno gli elementi di rottura e di trasgressione
che sono propri del viaggio.
Il viaggio oltre che essere esperito in prima persona nelle sue molteplici forme -
come sin ora abbiamo visto - può essere trasmesso attraverso mezzi e codici: ci
interessa ora soffermarci sulla trasmissione attraverso la scrittura e la narrazione.
Nel prossimo capitolo ci soffermeremo sull'immaginario del viaggio nella letteratura
per l'infanzia ma prima di fare questo è necessario chiarire le ragioni teoriche che ci
spingono ad occuparcene.
Le fiabe e certi tipi di storie molto conosciute hanno un peso sociale spesso non
riconosciuto. Queste narrazioni sono caratterizzate dalla fama che riscuotono nella
società e dalla “presa” che hanno al suo interno. Esse racchiudono in sé qualcosa di
straordinario, qualcosa, potremmo dire, di mitico. Secondo Vanna Iori il mito “è la
narrazione poetica di eventi remoti e straordinari, di personaggi eccezionali,
fantastici e tuttavia reali, che esprime, nel contesto collettivo della civiltà che lo
produce, una interpretazione della realtà o modelli di comportamento o qualità a cui
aspirare”55. È nelle ripercussioni che questi miti hanno sulla società – che a sua volta
è quella che li ha generati – che sta il loro peso sociale, la loro influenza, la loro
importanza. “Bruner teorizzava, già nei primissimi anni Settanta, la necessità di una
società 'mitologicamente istruita', in cui cioè si fosse consapevoli sia della funzione
orientativa della metafora, della fiaba e del mito nei processi educativi, sia della
irrinunciabilità della funzione mitologizzante nella vita umana; infatti da questa
55 V. Iori, Il mito evento educativo originario, in AA. VV., Pedagogia al passato prossimo, La
Nuova Italia, Firenze 1991, p. 17. Ho tratto da M. T. Moscato, op. cit. , p. 98.
30
tendenza irrinunciabile deriva la costante rigenerazione di miti contemporanei, oggi
variamente manipolati dai mass media”.56 Si pensi a certi modi di pensare
riconducibili alla mitologia contemporanea: l'immaginario di diventare “famosi”,
magari tutto d'un tratto, quando qualcuno si accorgerà del nostro talento
straordinario; l'immaginario inconfessabile di diventare ricchi e potenti, magari
proprietari di villa con piscina, con donne o servitori a piacimento, invidiati dagli
altri; e ancora l'immaginario del furbo, magari anche belloccio, che alla fine vince
sempre e ha successo. Questi sono alcuni esempi che estraggo dall'inconscio
collettivo della contemporaneità il quale, a ben vedere, ha tanto il sapore di una
nevrosi sociale. Infatti molti elementi di questa mitologia sembrano essere
totalmente disadattivi all'ambiente, totalmente lontani da un orizzonte di convivenza
serena. Non ci sorprende scoprire che questo immaginario mitologico sia
accompagnato dallo svuotamento di senso di parole come “felicità”, “amore”,
“giustizia”, “maturazione”, “vincita”, “successo”, “femminilità”, “mascolinità”.
56 Ivi.
57 Ivi.
31
tutte le culture e che ritroviamo in tutti gli immaginari fiabeschi del mondo.
Cercheremo di individuare quelle narrazioni di viaggio che più ci sembrano
assumere una valenza formativa.
32
2. LETTERATURA PER L'INFANZIA E VIAGGIO
33
mondo ma anche alle rappresentazioni che gli individui costruiscono di se stessi.
L'immagine dell'identità personale è dunque un'identità narrata, e ciò che costruisce
l'unità e la condivisibilità dell'identità personale di un individuo è il suo 'sé
narratore'”.60 Vediamo qui come la narrazione sia cruciale, ancora una volta, per
l'emergere di quel “Sé” che abbiamo considerato come elemento deficitario nella
contemporaneità.
Per “allontanarci” da una società che censura i propri desideri e le proprie paure,
e per marcare le distanze dalla prospettiva di una collettività di persone “insicure”,
defraudate del diritto ad avere un'identità integra e originale e, ancora, per vivere
una società che tenda utopicamente alla serenità di tutti e alla libertà del pensiero, è
necessaria una seria e consapevole educazione al linguaggio e alla narrazione.
Immergendoci fra le righe di un libro o ritagliandoci qualche tempo per prendere in
mano una penna e scrivere, ci rendiamo più liberi, ampliamo le nostre possibilità di
stupirci ed emozionarci; ma soprattutto impariamo a gestire le nostre ansie, le nostre
paure, a ipotizzare quelle degli altri, scopriamo di avere delle idee personali da
difendere e, alla luce di nuove conoscenze e consapevolezze, mutiamo il nostro
giudizio su qualcuno o qualcosa. Tutto ciò grazie alla cifra analitica e ordinata della
narrazione. A tal proposito, scrive Morin:
«È il romanzo che estende il regno del dicibile alla complessità infinita della
nostra vita soggettiva, che utilizza l'estrema precisione della parola, l'estrema
sottigliezza dell'analisi per tradurre la vita dell'anima e del sentimento»61.
Quindi noi come educatori - per professione e non - siamo tenuti a far edificare e
a far vivere quel “regno del dicibile” di cui ci parla Morin. Come fanno i nostri
alunni, i nostri figli o i bambini che timidamente salutiamo per strada, a vedere
riconosciuto il loro diritto ad avere una personalità equilibrata, il loro diritto di
affrontare con coraggio le sventure e di prendere godimento dei momenti felici, se
non offriamo loro le occasioni per padroneggiare in maniera eccellente il
linguaggio? Come faranno costoro a gestire i loro conflitti interpersonali se non
34
avranno conosciuto attraverso la lettura la possibilità di “mettersi nei panni”
dell'altro, se non sapranno cogliere le sfumature psicologiche sempre mutevoli di cui
ognuno di noi è portatore? Sì, perché per quanto la “narrazione per storie” possa
essere considerata un elemento umano innato, in una società complessa e ambigua
come l'attuale - che nei secoli ha maturato conoscenze mirabili – si rende
indispensabile un sostegno in questo senso da parte dell'istituzione scolastica, e poi,
a ruota, da parte di ogni singola persona. Bisogna impegnarsi in prima linea per
conservare - “nella narrazione” - quello splendido patrimonio culturale umano,
patrimonio di conoscenze scritte e di conoscenze “parlate”, di cui siamo portatori.
Per avvicinare il bambino alla narrazione vi sono naturalmente varie modalità
didattiche possibili: su queste per ora non ci soffermeremo.
Se prendiamo in esame alcune fiabe a caso, salta subito agli occhi la profonda
analogia che intercorre fra di esse, da cui si evince il loro legame con qualcosa di
comune, con qualcosa di archetipico appunto. Il linguista e antropologo Vladimir
Jakovlevič Propp prese cento favole dell'antica tradizione popolare russa, e scoprì
35
che in esse potevano cambiare gli attributi dei personaggi, le loro identità, i modi di
esecuzione delle loro azioni ma mai le loro “funzioni”: Propp ne enumerò trentuno 62.
Marco Dallari riassume lo schema della fiaba individuato dallo studioso russo nel
seguente modo:
Si aprono così le porte verso un altro modello di analisi che non sia unicamente
formalista ma che invece osi penetrare le perturbanti dinamiche psichiche dell'essere
umano. Sulla scorta di Freud e Jung infatti possiamo rilevare, sia nel sogno sia nel
linguaggio fiabesco, le espressioni dei desideri repressi, degli impulsi irrazionali e
delle ancestrali paure “abbandoniche”. Quantomeno l'approccio psicoanalitico
spiegherebbe la presenza nella fiaba del desiderio di trasgredire e insieme quello di
non perdere “la strada verso casa” e anche la presenza della componente magica che
aiuta ad affrontare le paure e i timori più orrorifici. La magia, rileva Schwarz, “è
legata ai sentimenti infantili di onnipotenza, ed ha un ruolo nella lotta del bambino
contro il suo ambiente”64. La valenza mitico-archetipica della struttura individuata
62 Cfr. Vladimir Ja. Propp, Morfologia della fiaba. Con un intervento di Claude Lévi-Strauss e una
replica dell'autore, a cura di Gian Luigi Bravo, Einaudi, Torino, 1988 (ed. orig. 1966).
63 M. Dallari, La fata intenzionale. Per una pedagogia della fiaba e della controfiaba, La Nuova
Italia, Firenze, 1980, p. 11. Il corsivo è mio.
64 E.K. Schwarz, Studio psicoanalitico delle favole, in H. Marys, Psicoterapia infantile, Roma,
Armando, 1970, pp. 69-70. Ho tratto da M. Dallari, op. cit., La fata..., p. 15.
36
da Propp starebbe quindi nel fatto di essere la proiezione verso l'esterno di alcune
dinamiche psichiche proprie della natura umana. Scrive Schwarz:
«Le favole le troviamo in tutte le culture di tutti i tempi. Il loro scopo, conscio o
inconscio che sia, è quello di elaborare in forma simbolica alcuni problemi dello
sviluppo»65.
Per quanto lo studioso si riferisca più esattamente alla favola, anche la fiaba,
direi, assolverebbe a precisi bisogni psichici.66 Osserviamo quindi come la
morfologia della fiaba sia connessa in maniera biunivoca alle istanze psichiche della
biologia umana. Con Piaget, potremmo dire che il linguaggio simbolico svolge una
funzione di assimilazione, la quale infatti fatica ancora - in questa fase di sviluppo
del soggetto - a realizzarsi sul piano concreto.
Lo spavento che il bambino vive sul piano simbolico immergendosi in una fiaba,
lo aiuta a vivere più serenamente i momenti di spavento che vivrà nelle situazioni
esperite in prima persona nella realtà. Egli non ha ancora le conoscenze e la maturità
biologica per controllare e prevedere l'ambiente che lo circonda: la dimensione del
magico - mantenuta sul piano simbolico - lo soccorre in tal senso, consentendogli il
mantenimento dell'equilibrio psichico in questa fase dello sviluppo. Ci accostiamo in
questo passaggio alla valenza catartica della fiaba: essa traspone sul piano simbolico
le paure e i conflitti che animano il bambino nel suo viaggio verso l'adattamento.
Anche l'animismo - che secondo Bettelheim, rimane una peculiarità del bambino
sino alla pubertà67- permettendo di trasporre in oggetti o animali qualità umane o
magiche, diventa uno strumento potente di rielaborazione del materiale psichico del
soggetto che matura. Dallari nota con acutezza un'altra possibile funzione del
“magico”:
65 Ivi.
66 La distinzione tra fiaba e favola non è netta. La differenza verrà chiarita più avanti. In questo
passaggio ci basti osservare che entrambe sono componimenti brevi, e che entrambe sono generi
che rientrano nella letteratura per l'infanzia (sebbene la loro fruibilità non si esaurisca in essa).
67 Cfr. M. Dallari, op. cit., La fata..., p. 23. Bruno Bettelheim (1903-1990), psicoanalista austriaco.
37
del “non sempre controllabile” e quindi a prepararsi ad essere esistenzialmente
disponibile ad una interpretazione del mondo di tipo non necessariamente
meccanicistico e chiuso [...]»68.
38
L'insegnante/educatore sarà in grado di gestire la propria didattica muovendosi
consapevolmente fra il polo del “fiabesco” e il polo del “favoloso”, ossia fra la scelta
di narrazioni che lasciano libero spazio alla fantasia e la scelta di narrazioni che
propongono in forma allegorica messaggi morali e quindi che richiamano a una
dimensione più realista. Resta da osservare che la dimensione più autenticamente
infantile è quella del fiabesco, mentre quella più legata al pensiero adulto è la
dimensione del “favoloso”. Quello che piace al bambino di una favola, di una storia
o di un romanzo non è l'aspetto “favoloso” ma l'aspetto fiabesco. Inoltre, stando alle
considerazioni sin ora fatte, quello che mi pare l'aspetto da privilegiare è proprio
quest'ultimo, perché è tramite esso che l'individuo può costruirsi una morale, ossia
può costruirsi autonomamente il “proprio mondo favoloso”.
70 Milena Bernardi, Infanzia e fiaba, Bononia University Press, Bologna, 2005, p. 261.
71 La fiaba e anche il libro in sé possono essere considerati “oggetti transizionali”. Cfr. D. W.
Winnicott, Sulla natura umana, Raffaello Cortina, Milano, 1989, pp. 121-123.
39
l'occasione per il bambino di vivere delle iniziazioni che, seppure siano metaforiche,
conferiscono autostima e senso di autonomia. Nella contemporaneità, per via della
struttura sociale che si è venuta creando, vengono meno i riti di passaggio72 (li
intendiamo qui, in particolare, come occasioni di distacco dagli affetti primari). Ve
ne sono di falsi, quelli che a ben vedere sono più che altro dei surrogati, incapaci di
restituire al giovane quel senso di soddisfazione, fiducia in sé, autostima e
autonomia che invece produce il vero rito di passaggio. Non vi sono cioè delle prove
personali che mettono davvero il ragazzo di fronte al compito di trovare la propria
identità: la realtà scolastica, e la società contemporanea in genere, ci rivelano una
situazione di eccessiva protezione del genitore nei confronti del figlio anche nei
momenti in cui questi avrebbe bisogno di non averne. Si registra un problema
collettivo di ansietà e preoccupazione. Ecco allora che il fiabesco può rappresentare
un piccolo tassello che sviluppi nel futuro adulto la consapevolezza di quel vitale
bisogno di mettere alla prova le proprie idee, senza vivere l'errore come una
tragedia. Ci si aspetta che il rito di passaggio vissuto in forma simbolica nel
fiabesco, possa un giorno essere vissuto in forme uguali e diverse nella vita adulta e
reale. Il giovane che non si mette alla prova non riuscirà ad adattarsi all'ambiente,
non riuscirà ad essere sereno. Nella fiaba i bambini, che sono dei non-iniziati,
incontrano personaggi che stanno tra la vita e la morte, dialogano con le paure più
intime trovando strategie per farvi fronte; mettono in scena quel teatro mentale in
cui sperimentano emotivamente le problematicità che dovranno affrontare nella vita
adulta. Tutto ciò avviene in un contesto protetto in cui, per dirlo con Freud, “nulla ti
può accadere”73. Stiamo parlando, tra l'altro, di quella funzione evolutiva che ricopre
anche il gioco simbolico.
72 Cfr. Arnold Van Gennep, I riti di passaggio, Boringhieri, Torino, 1981 (ed. orig. 1909).
73 Cfr. Sigmund Freud, Personaggi psicotici in scena, in Opere, vol. 5, Torino, Bollati Boringhieri,
1989.
40
toni della fiaba. Ciò si sposa con la prospettiva di una fruizione solitaria, ovverosia
consumata in una cornice di incantamento e non di condivisione, in una cornice che
non necessita la presenza dell'adulto, che fa a meno di un sostegno emotivo che
possa sostenere gli stati di ansietà. Dallari ci spiega cosa significa tutto ciò in termini
pedagogico/didattici:
«Si tratta dunque di un problema che gli psicologi definirebbero “di soglia”;
esiste dunque un livello al di sotto del quale la presenza di coscienza di un contesto
pauroso, inquietante o anche angoscioso, può avere degli effetti educativi nella
complessità del suo portato pedagogico; ed esiste una soglia al di sopra della quale
non possono scattare che meccanismi di rifiuto che annullano e addirittura
contraddicono la positività dell'operazione “uso della fiaba”»74.
Il grande valore del dolore, che è ciò che si vive affrontando la paura, lo si può
cogliere constatando che la sparizione, la perdita, la morte, il problema, il
“danneggiamento” in genere, costituiscono le condizioni indispensabili per la
narrabilità. Un fiaba, una storia, un romanzo, non possono essere scritti senza queste
caratteristiche: non vi potrebbe essere attribuzione di significato, di senso. Nella vita
è lo stesso: se si vuole la serenità del soggetto, bisogna essere formati al coraggio di
affrontare le paure e le difficoltà. Dice la Bernardi:
41
Mi pare d'uopo puntualizzare che la magia presente nelle fiabe non è una
componente che esaurisce la sua funzione nel contesto evolutivo dell'infanzia, ossia
per compensare alla mancanza di alcune competenze o di dati biologici necessari ad
affrontare le paure dell'adattamento. Dobbiamo riconoscere che la magia, quella
narrata nella finzione, continua a svolgere un suo ruolo anche nella vita adulta.
Spiega ancora la Bernardi che “il pensiero di Block intorno al fiabesco inserito nel
corpus della cultura popolare, rivaluta gli aspetti utopici delle fiabe di magia quali
'proiezioni dell'insoddisfazione umana rispetto alle condizioni esistenti'76 e in tal
senso, come Zipes spiega, ci parla del bisogno di utopia a cui i vari tipi di pubblico
del fiabesco o delle sue innumerevoli citazioni anche frammentarie, rispondono
quasi sempre inconsapevolmente”77.
A questo punto appare prendere forma una caratteristica peculiare della fiaba che
è quella di “permanere migrando”. La Bernardi ipotizza infatti “un movimento
migratorio continuo della fiaba, sia come 'estetica del fiabesco', sia come struttura
testuale, sia come scheletro di storia dell'umano e di temi arcaici, sia come sintesi
estrema del bisogno e del desiderio di sogno, d'utopia e di risarcimento e non di
meno come deposito di memoria storica e fantastica del cammino della vita. Ciò non
impedisce al fiabesco di sviluppare una propria mutevolezza dovuta alle diverse
esigenze sociali e culturali attraverso cui si trova a transitare”78.
76 Jack Zipes, Spezzare l'incantesimo, Mondadori, Milano, 2004, p.157. Ho tratto da M. Bernardi,
op. cit., Infanzia..., p. 216.
77 M. Bernardi, op. cit., Infanzia..., p. 216.
78 Ibidem, p. 210.
79 L. Marchetti, Il fanciullo e l'angelo. Sulle metafore della redenzione, Palermo, Sellerio, 1996, p.
241 in M. Bernardi, Infanzia e metafore letterarie. Orfanezza e diversità nella circolarità
dell'immaginario, Bononia University Press, Bologna, 2009, p. 11.
42
2.2 Analisi di alcuni viaggi nella letteratura per l'infanzia
È affascinante ora rivolgere le nostre attenzioni alla letteratura per l'infanzia del
Novecento alla ricerca di tracce di viaggio, e di viaggio che vada d'accordo con le
scelte pedagogiche che abbiamo fatto sin qui.
Sul piano formale l'autore si richiama molto alla favola. Infatti troviamo, in
ciascun breve componimento, la struttura in versi, e spesso l'ultima strofa, pur
mantenendo un certo stile dissacrante e aggiornato, presenta un'eco moralizzante.
Anche se alla lontana, l'aspetto “favoloso” lo si rileva anche nella personificazione
degli oggetti, come è il caso degli “uomini-nuvoloni” o degli “uomini di carta”. Il
richiamo alla tradizione latina di Esopo e Fedro non impedisce a Rodari di chiedere
in prestito qualcosa anche alla fiaba, la quale, così facendo, rimane fedele al quel
“permanere migrando”81 di cui abbiamo parlato. Infatti il tema stesso del viaggio
80 Vedi biografia su http://it.wikipedia.org/wiki/Gianni_Rodari (15/08/2010).
81 Vedi p. 42 del presente lavoro.
43
attraverso paesi e città, le cifre dello strano e del perturbante – in versioni
edulcorate – la presenza di figure come il cavallo e il re, sono tutti elementi di
matrice chiaramente fiabesca.
Subito appare chiaro che gli elementi fantastici sono aggiornati ad una
contemporaneità fatta di famiglia nucleare, vita borghese, vita cittadina, vita
industrializzata. La potenza dell'Altrove fiabesco permane, incarnandosi nella
82 Cfr. Ivo Monighetti, La lettera e il senso. Un approccio interattivo all'apprendimento della lettura
e della scrittura, La Nuova Italia, Firenze, 1994, p. 170.
83 Renzo Zuccherini, Il manuale del parlare. Una retorica per i ragazzi, La Nuova Italia, Firenze,
1988, in particolare pp. 111-118.
84 Vedi p. 30 del presente lavoro.
85 “[...] la metafora non è solamente una questione di linguaggio, cioè di pure parole. [...] I processi
di pensiero umani sono largamente metaforici, ed è questo che intendiamo quando diciamo che il
sistema concettuale umano è strutturato e definito in termini metaforici”: George Lakoff & Mark
Johnson, Metafora e vita quotidiana, Bompiani, Milano, 2004 (ed. orig. 1980), p. 22. Nel 1980 i due
autori tracciano nel loro libro una mappa del senso comune della cultura americana analizzando le
metafore che vi sono sottese. Sulla valenza formativa del pensiero analogico: cfr. P. Manuzzi, op.
cit., Pedagogia del gioco e ..., pp. 123-125. Sulla comunicazione didattica più opportuna in relazione
al linguaggio metaforico insito in essa e quindi sull'opportunità - in seno ai pensieri di Antonio
Gramsci e Aurelio Agostino - di insegnare come atto di porgere le conoscenze alla mente: cfr. M.
Baldacci, Personalizzazione o individualizzazione?, Erickson, Trento, 2005, pp. 66-74.
44
stranezza di questo paese; compaiono espressioni scientifico-industriali – ma
domestiche – come “Glucosio il Dolcificatore” (che non è altro che il nome del re
del paese) o come “Zolletta” (il nome di una persona). Si evidenzia nella descrizione
che viene fatta da Rodari il doppio piano della dolcezza: quella sensoriale del sapore
e quella metaforica delle emozioni. Nell'ultima strofa l'autore “smaschera”
un'espressione codificata con un gioco di parole azzeccato: infatti con sarcasmo, e
aggiustando un po' il tiro rispetto allo stile “sdolcinato” usato sino a quel punto,
l'autore fa dire a Giovannino:
86 Gianni Rodari, I viaggi di Giovannino Perdigiorno, Emme Edizioni, Trieste, 2007 (ed. orig.
1973).
87 Ibidem.
45
insieme al formatore, un'occasione di “segmentazione”88 alfabetica del codice
scritto.
Dopo essere stato nel paese de “Gli uomini di ghiaccio”, ossia niente meno che
nel frigorifero, ambientazione più che mai domestica e “moderna”, Giovannino
capita nel paese de “Gli uomini di gomma”. La loro testa è piena d'aria e non
possono pensare. Ecco che l'autore in modo surrettizio ci dà il suo messaggio morale
e fa dire al piccolo protagonista:
Con una navicella spaziale il “nostro eroe” sbarca su “Il pianeta nuvoloso”, dove
però le troppe facce scure lo spingono a spostarsi verso altre galassie.
46
Dopo essere stato, senza soddisfazione, ne “Il pianeta malinconico”, Giovannino
approda su “Il pianeta fanciullo”. Qui tutti vogliono rimanere piccoli per non avere
“brutti pensieri” come invece hanno “i grandi”. Ma in chiusura Rodari esterna il suo
spirito di scommessa sul futuro facendo dire al protagonista: “Arrivederci, fifoni!”.
La filastrocca successiva dal titolo “Gli uomini PIU'”, descrive un paese in cui
ciascuno degli abitanti “è campione del mondo in qualche specialità”, fino al
paradosso che l'uomo “PIU' buono” non sa nemmeno di esserlo. Anche qui è chiaro
l'ironico intento moralizzante. Interessante ed espressiva è la scelta grafica di
scrivere la parola “più” in carattere maiuscolo.
Dopo il viaggio nel paese de “Gli uomini di carta”, dove la vita gli appare troppo
finta, il piccolo eroe giunge nel paese de “Gli uomini di tabacco”, dove però le cose
non sembrano andare molto meglio:
In questo paese tutti fuggono nella stessa direzione degli altri, seguendo il vento.
Il piccolo eroe però cammina controvento perché “di gente fatta così” ne ha “già
47
veduta anche troppa”.
L'ultimo episodio ha come titolo “Il paese del 'ni'” e narra di gente timida che non
prende posizione: “volete la pace? Ni; “volete la guerra'? Ni”. A questo “insulso
paese” però Giovannino Perdigiorno dice “tre volte no”.
Nelle ultime due facciate del libro Rodari spiega, con una filastrocca a metro
libero, che il nostro protagonista ha “perso la via” e ha pure “perso la testa”, che
però “era vuota”. Questo elemento di paura, di inquietudine e di perturbante -
benché abbia qui una forma sfumata - è qualcosa che abbiamo visto nel fiabesco ed è
parte integrante dell'esperienza di viaggio. Oltretutto, nell'illustrazione di Valeria
Petrone, Giovannino è ritratto con la testa che si stacca dal corpo e che assume un
colore e una trasparenza da fantasma; l'espressione del suo viso è di perplessità e
spavento. Il sogno di un paese senza errore, dove tutto sia perfetto e bello non è stato
soddisfatto dall'esperienza di viaggio; certo gli stili di vita “estremisti” o “univoci”
non sembrano essere fonte di appagamento ma la ragione forse sta nel fatto che
quella fonte va cercata dentro noi stessi. Gianni Rodari col suo sguardo critico sulla
società ma allo stesso tempo con la sua vena ottimista e con la sua spinta alla
curiosità e all'utopia, ci parla di un viaggio dentro e fuori noi stessi che ci può
portare a “perdere la testa”, come succede al nostro protagonista, ma anche un
viaggio che, alla fin fine, è condizione necessaria per maturare e per raggiungere
“l'allegria”. È infatti con questo spirito che si chiudono le avventure di Giovannino:
48
La seconda opera che prendiamo in esame è dello stesso Rodari e si intitola
Gelsomino nel paese dei bugiardi. Questo libro dalla forte valenza allegorica, con
illustrazioni sempre di Valeria Petrone, viene considerato dall'editore Einaudi come
adatto a partire dai sette anni. La pedagogia alla base del testo è la medesima che
abbiamo osservato nei “Viaggi di Giovannino Perdigiorno”; si aggiunge la
promozione del valore dell'amicizia. La forma prosaica, e più estesa, permette una
maggiore articolazione dei temi e dell'universo fantastico che viene rappresentato.
Gelsomino se ne va dalla terra natia e finisce “nel più strano paese di questo
mondo”. Lo coglie un senso di rabbia al confrontarsi con la gente di questo nuovo
90 G. Rodari, Gelsomino nel paese dei bugiardi, Einaudi ragazzi, Trieste, 2010 (ed. orig. 1958), p.
19.
91 Ibidem, p. 106.
92 Ibidem, p. 114
93 Ibidem, p. 152.
49
posto: tutti gli sembrano “parlare alla rovescia”. Ad esempio la gente chiama
salumeria quella che invece è una cartoleria, e viceversa ... Avviene in questo
passaggio un dialogo fra Gelsomino e la sua voce/alter ego. Essa vorrebbe gridare a
squarciagola contro quel paese in cui “tutto va storto”94: questa situazione ci
restituisce l'eco degli eroi fiabeschi che parlano fra sé e sé dentro il bosco/Altrove95.
Poi ecco comparire “l'aiutante magico”, ossia un gatto parlante disegnato sul
muro il quale grazie alla voce potente del nostro eroe acquista la libertà di muoversi.
È un gatto di nome Zoppino - per via di una gamba mancante - il quale spiega a
Gelsomino che non è capitato in un mondo alla rovescia ma nel paese dei bugiardi.
Qui per legge tutti devono dire bugie. Il paese è governato dal Re Giacomone Primo
il quale ha promulgato delle leggi che rendono obbligatoria la bugia, attuando altresì
una riforma del vocabolario. Con ironia Rodari ci dice che tutto ciò, per i “somari”
in matematica, “era una vera bazza”. Il Re è il primo a credere alle proprie bugie e
“nel paese dei bugiardi, la più piccola verità fa più rumore di una bomba atomica”.
Zoppino in qualche modo incita gli altri gatti alla rivolta contro il governo, dando
inizio a un'operazione di cambiamento su larga scala insieme a Gelsomino. Lungo la
narrazione compaiono i personaggi più interessanti e strani che più o meno
consapevolmente si alleano alla rivoluzione culturale promossa da Zoppino e
Gelsomino: Bananito, Zia Pannocchia, Romoletta, Benvenuto-Mai seduto. Chi dice
la verità è considerato un pazzo e finisce in galera o in manicomio. Molto
94 Ibidem, p. 24.
95 Dialoghi con se stessi si rintracciano in varie fiabe: in “Cappuccetto Rosso” dei fratelli Grimm
quando la protagonista smarrisce la strada nel bosco: “ Cappuccetto Rosso pensò: per tutta la vita
non correrai più da sola fuor della strada nel bosco quando la mamma te l'ha proibito”; in
“Pinocchio” quando il burattino ascolta il suo alter ego, il grillo: “Non ti fidare ragazzo mio, di
quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. Per il solito, o sono matti o
imbroglioni! Dài retta a me, ritorna indietro”; in “Pollicino” di Perrault in cui i fratelli
rappresentano una parte della soggettività del protagonista stesso: “non temete, fratelli, i nostri
genitori ci hanno abbandonati qui, ma io vi ricondurrò esattamente a casa, dovrete solo seguirmi”;
o, ancora, in “Barbablù” quando la moglie si chiede se sia una buona idea trasgredire alla
proibizione del marito: “[...] riflettendo che le sarebbe potuto capitare qualcosa di brutto per
essere stata tanto disubbidiente”. Cfr., nell'ordine, Jacob e Wilhelm Grimm, Fiabe, Einaudi,
Torino, 1992 (ed. orig. 1812), p. 99; Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, BUR, Milano,
1999 (ed. orig. 1883), p. 61; Charles Perrault, Fiabe, Fabbri Editori, Milano, 2002 (ed. orig.
1683), p. 147 - ma anche p. 150 - e p. 103.
Questa doppiezza dei personaggi rimanda oltretutto a quel concetto di monologo interiore -
pedagogicamente utile - di cui parla la Contini rifacendosi al pensiero dello psicologo Ellis. A tal
proposito: cfr. M. Contini, op. cit., Per una pedagogia..., pp. 70-75; A. Ellis, Ragione ed
emozione in psicoterapia, Astrolabio, Roma, 1989 (ed. orig. 1962), p. 47; in generale, M. B.
Arnold, Emotion and personality, Columbia University Press, 1960.
50
interessante per noi è il personaggio di Benvenuto-Mai seduto, il quale non è mai
stanco di viaggiare e di aiutare le persone che incontra, anche se ciò lo fa
invecchiare più velocemente. Si ferma nel Paese dei Bugiardi per aiutare le sue
genti, genti che gli appaiono profondamente infelici.
«Ogni anno il giornale organizzava una corsa nei sacchi a tappe, che non veniva
disputata per nulla. Certi ambiziosi, per avere il loro nome sul giornale, pagavano
per iscriversi e offrivano ogni giorno una certa somma per vincere la tappa. Chi
offriva di più veniva proclamato vincitore, e le sue gesta venivano narrate nel
giornale con cascate di paroloni che lo definivano “un eroe”, “un superasso”
eccetera. L'ordine di arrivo era soltanto l'ordine delle offerte»96.
51
pubblico, Rodari, con ironia e sapienza pedagogica, prospetta per l'ex sovrano
un'iscrizione al “Club dei calvi” che a più riprese definisce, questa volta senza
ironia, “dignitosissimo”. Alla fine della storia, una piccola bambina di nome
Romoletta diventa maestra, Gelsomino studia musica per poter dare un “vero
concerto”, i ministri del nuovo governo sono democratici, non vogliono più fare la
guerra: al suo posto vogliono una partita di calcio. Si nota dunque, alla fine del
viaggio narrativo, un'acquisizione da parte dei personaggi - e di riflesso da parte del
lettore - di un'esperienza di problematicità, di un'integrazione con l'ambiente e di
una certa maturità.
L'appendice, alla fine di “Gelsomino nel paese dei bugiardi”, raccoglie qualche
filastrocca di Rodari attinente la storia. Ne riporto di seguito una, che in una società
che vede come esteticamente piacevole solo la giovinezza, mi pare utile:
Capelli bianchi
Ed il vecchio maestro,
quanti capelli ha bianchi?
Uno per ogni scolaro
cresciuto nei suoi banchi.
Prima di lasciare Rodari, voglio spendere qualche parola sulla sua opera Le
favolette di Alice, indicata dall'editore Einaudi come adatta a partire dai sette anni.
Questa è una piccola raccolta di storielle che vedono come protagonista una
bambina minuscola che ha il brutto vizio di cascare dentro ogni cosa: Alice
Cascherina. L'antologia racchiude “favolette” pubblicate in momenti e luoghi
52
diversi: talune furono pubblicate per la prima volta nel “Corriere dei Piccoli” e poi
inserite in “Favole al telefono”, altre sono totalmente inedite su volume, o trovate fra
le carte dell'autore. Le illustrazioni sono di Francesco Altan.
«[...] Nel curiosare in cucina era caduta nel cassetto delle tovaglie e dei tovaglioli
e ci si era addormentata. Qualcuno aveva chiuso il cassetto senza badare a lei.
Quando si svegliò, Alice si trovò al buio, ma non ebbe paura: una volta era caduta in
un rubinetto, e là dentro sì che faceva buio [...]»98.
È di nostro interesse la favola dal titolo “Alice nelle figure” nella quale la piccola
cade dentro un libro di favole illustrate e interagisce a casaccio con i personaggi
delle diverse storie. Questa sorta di “meta-favola” può essere un'occasione per
rivisitare con disincanto le storie classiche già conosciute dal bambino. La tipologia
di viaggio che fa Alice è proporzionale alle sue dimensioni: basti pensare che il
viaggio più lontano - a bordo di una bolla di sapone - lo fa nel terrazzo dei vicini di
casa. Interessante rilevare la presenza di un elemento fiabesco che caratterizza lo
98 G. Rodari, Le favolette di Alice, Einaudi Ragazzi, Trieste, 1995 (ed. orig. 1980), p. 10.
99 L'opportunità di costruire le conoscenze a partire dalle esperienze vissute dal bambino, ci spinge a
considerare le ambientazioni di Alice Cascherina come pedagogicamente accettabili. In fondo
oggi è la casa cittadina l'ambiente più vicino al bambino, è da lì che inizia la scoperta del mondo.
Lo stesso Rodari osserva che “la prima avventura del bambino, appena è in grado di scendere dal
seggiolone o di uscire dalla prigione del 'box', è la scoperta della casa, dei mobili e delle macchine
che la popolano, delle loro forme e dei loro usi. Sono essi che gli forniscono la materia delle
prime osservazioni ed emozioni, che gli servono per fabbricarsi un vocabolario, che funzionano
per lui come indizi del mondo in cui cresce”: G. Rodari, Grammatica della fantasia. Introduzione
all'arte di inventare storie, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1973, p. 103.
53
sviluppo della personalità femminile, il segreto: “[...] Alice non raccontò mai a
nessuno quello che le era capitato”100.
Di Alice, però, quello che ci interessa di più è la sua piccolezza. Infatti questa
caratteristica ha un connotato “repertuale” e archetipico; è rielaborazione in chiave
moderna – e quindi edulcorata – della fiaba di “Pollicino” di Charles Perrault che a
sua volta, come del resto anche “Hänsel e Gretel”, ha radici medievali. Sebbene non
sia presente nelle avventure di Alice un dato orrorifico e perturbante paragonabile a
quello di “Pollicino”, possiamo fare rientrare la nostra eroina nella cerchia di quelli
che Milena Bernardi chiama i Pollicini. Ci interessa infatti la valenza metaforica e
formativa che questa figura rappresenta attraverso il suo connotato resistenziale e
attraverso la sua capacità di adattamento. Lascio la parola alla Bernardi:
«Il pollicino può essere metafora dell'infanzia che guarda se stessa nella sua
piccolezza straordinaria, nell'atto eroico della nascita, nell'estrema vulnerabilità della
condizione infantile.
Per fare una summa del viaggio che abbiamo fatto attraverso gli immaginari di
alcune opere di Rodari, dobbiamo registrare gli elementi formativi che in esse ho
individuato: utopia, scommessa sul futuro, sguardo critico ma sereno, metafora,
resistenza sociale, autonomia, maturazione, cambiamento/metamorfosi, tempi
lunghi, habitus colto. Non possiamo fare a meno di rilevare il basso tasso di
“criminalità” e di “perturbante”, presente in queste storie, che però si potrà
compensare con qualche lettura di genere fantasy o qualche fiaba tradizionale. Si
sente quel sapore contemporaneo di animazione “disneyana”. Tuttavia per bambini
molto piccoli queste opere restano valide anche sul piano del perturbante. Sul
versante formativo rimangono decisivi i punti di forza individuati, i quali a ben
vedere possono essere raccolti tutti insieme a confluire nella nostra figura-guida: il
100 G. Rodari, op. cit., Le favolette..., p. 18.
101 M. Bernardi, op. cit., Infanzia e metafore... , p. 10.
54
viaggio.
Già abbiamo notato come la cosiddetta letteratura per l'infanzia abbia in realtà un
pubblico che attraversa tutte le età. Quel linguaggio simbolico che il bambino ricerca
inconsapevolmente, l'adulto lo riconosce consapevolmente, lo rielabora in funzione
delle sue esperienze di vita e magari vi ritrova la via verso se stesso. L'Altrove, dove
tutto è possibile, seduce il bambino così come l'adulto. Una “buona” letteratura che
favorisca lo sviluppo nel bambino di un immaginario esistenziale che consenta la
sua e l'altrui serenità, è un tassello importante che consentirà al futuro adulto di non
dovere fare i conti con dei “fantasmi infantili” per nulla risolti. In questo senso la
celebre opera di Antoine De Saint-Exupéry Il piccolo principe sembra essere un
valido strumento che, a partire dagli otto anni, può donare all'uomo contemporaneo
preziosi spunti filosofici, esistenziali ed emotivi. I loro effetti nella società
potrebbero manifestarsi nella più concreta vita quotidiana.
Anche nel caso del “Piccolo Principe” è in atto un viaggio fantastico - con
elementi “fiabeschi” ed elementi “favolosi” - e già in questo vediamo la sua valenza
pedagogica. Però ciò che qui vogliamo fare è isolare un episodio specifico che
ritengo di grande impatto “mitologico” e di natura quasi “parabolica”: mi riferisco
all'incontro con la volpe. Essendo tale episodio della storia ormai noto mi limito a
metterne in luce gli elementi di pregnanza pedagogica. Mi interessa analizzare il
concetto di “addomesticare” e il concetto di “rito”, due consapevolezze di cui la
contemporaneità è deficitaria.
55
dice ancora che: “non si conoscono che le cose che si addomesticano” e aggiunge
che per farlo “bisogna essere molto pazienti”104. Anche l'acqua che i due personaggi
hanno cercato in mezzo al deserto viene addomesticata. Leggiamo:
«Quest'acqua era ben altra cosa che un alimento. Era nata dalla marcia sotto le
stelle, dal canto della carrucola, dallo sforzo delle mie braccia. Faceva bene al cuore
come un dono»105.
«Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad
essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le
quattro, comincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma
se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore... Ci
vogliono i riti».
Un rito “è quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre
ore”106. Dalle parole che ci regala l'animale evinciamo un'idea di rito come
ricorrenza temporale che consente di addomesticare la realtà e che, creando
104 Ibidem, pp. 93-94.
105 Ibidem, p. 108.
106 Ibidem, p. 94.
56
aspettative nell'animo, genera benessere ed emozioni.
57
prenderanno forma e vita sulle pareti non saranno solo ornamento: potremmo dire
che esse costituiranno una sorta di “sfondo integratore”107 mutevole e vitale, il quale
registrerà la storia di una profonda amicizia. Le immagini create sulle pareti saranno
il frutto di un intenso confronto fra il bambino e il pittore: Sakumat infatti spiega al
piccolo: “devi accompagnarmi a fare un viaggio nel tuo pensiero”. Il pittore non
vuole assecondare l'invito del ragazzo a prendere spunto dalle illustrazioni di un
libro: infatti “le figure dei libri” le vuole “raccontate dalle parole”. I due amici
vogliono in qualche modo rappresentare “il mondo” ma, per fare questo, devono
“mettere un po' di ordine” al loro “progetto”108.
«Il mio corpo e la mia mente sono ben vivi, e in mio possesso, signore. Non c'è
un solo istante del tempo che passò in questa casa che non sia da me voluto ed
amato».
Osserviamo che quella del pittore è una visione che vede l'errore e l'attesa come
parti integranti della vita; è una visione che interconnette virtuosamente corpo e
mente, dando luogo a un “senso del Sé” stabile, il quale guida la persona a vivere
con convinzione e appagamento ciò che ha deciso di fare (senza magari avere il
bisogno di ricche ricompense).
«Il bambino riunì le mani sulla coperta, appoggiandole quietamente sul ventre.
Era uno degli atteggiamenti di Sakumat, e spesso, volendolo o no, Madurer li
imitava».
107 Cfr. P. Zanelli, Uno sfondo per integrare, Cappelli, Bologna, 1986 e anche P. Manuzzi, op. cit.
Pedagogia del gioco...
108 Roberto Piumini, Lo stralisco, Einaudi Ragazzi, Trieste, 1993, p. 25.
58
Questa acutezza osservativa di Piumini svela quelle modalità di cambiamento e di
assunzione identitaria insite nella relazione umana. In quest'ultima i corpi e le menti
si influenzano e dialogano fra loro di continuo.
Sakumat se ne andrà dalla casa del bambino, il quale morirà della malattia che lo
affliggeva. Il pittore per la sua opera non vorrà ricche ricompense, tornerà nella sua
città di origine, rimarrà lì per un breve periodo e poi si ritirerà in un villaggio vicino
al mare. Smetterà di dipingere, conoscerà nuovi amici, berrà tè... Il viaggio concreto,
simbolico e umano che fa lo cambierà profondamente. Il viaggio - è evidente - è non
solo del bambino ma anche del pittore.
59
dell'atto di lettura e scrittura, senza rinunciare a ricorrere a strumenti accattivanti e
con l'obiettivo di restituire a questa azione piena significatività. La volpe del Piccolo
Principe spiegherebbe che il codice scritto va addomesticato. Individuo poi un
obiettivo ideale, che è quello di avvicinare il più possibile l'alunno a quella che -
sotto il profilo pedagogico - si ritiene essere la migliore letteratura per ragazzi. Nel
presente capitolo ho fatto delle scelte in questa prospettiva.
Nella Scuola Primaria la didattica da attuare con le opere che ho proposto, è una
didattica integrata, ovvero inserita in maniera coerente nella programmazione
didattica annuale. Il lavoro con una di queste opere dovrà avere attinenza con un
progetto in atto nella comunità scolastica, in maniera che possa dare la possibilità di
vedere uno stesso oggetto di studio da punti di vista diversi (la pittura per esempio).
L'attinenza e la coerenza tra loro delle attività didattiche permette di attribuirvi
senso e di renderle più facilmente narrabili e quindi più facilmente memorizzabili. È
auspicabile che la programmazione integri stimoli culturali esterni alle mura
scolastiche: spettacolo teatrale, proiezione cinematografica, museo... Il metodo
didattico da usare consiste nel costante ascolto e nella costante osservazione dei
bambini: è da loro che devono partire le nostre azioni. Quindi, ad esempio,
bisognerà indagare il livello di gradimento di un opera rispetto ad un altra o rifarsi
agli interessi e alle propensioni che rintracciamo nei discenti. Il monitoraggio in
questo senso dev'essere costante.
Il role playing, o talune forme di gioco, ci possono venire in aiuto per rielaborare
i contenuti di una fiaba o di un romanzo. Dallari propone fin'anco una
destrutturazione della fiaba in chiave dissacrante e creativa - quella che lui chiama
controfiaba110 - che favorisca una rielaborazione di tipo attivo e che allontani dal
pericolo di un pensiero rigido, ripetitivo e unico. Questo pericolo si nasconde in
particolare nella letteratura per i bambini più piccoli, che in alcuni casi può assumere
connotati stereotipici.
60
apprendimento realizzato dall'alunno in circostanze e prospettive diverse. Dallari
sostiene che “gli insegnanti che vogliono fare uso dell'elemento fiabesco debbono
porsi come primo compito quello di tenere a lungo in piedi un lavoro attorno allo
stesso nucleo fiabesco o addirittura alla stessa fiaba”111.
61
62
3. VIAGGIO VIRTUALE: IL COMPUTER E LA NAVIGAZIONE
112 Tecnologia deriva dal greco τεχνολογία, letteralmente “trattato sistematico di un'arte”, dove arte
indica il saper fare, la tecnica. Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Tecnologia (26/08/2010);
http://www.treccani.it (26/08/2010); Luigi Guerra (a cura di), Educazione e tecnologie. I nuovi
strumenti della mediazione didattica, Edizioni Junior, Bergamo, 2002, p. 8.
113 http://www.treccani.it (26/08/2010).
63
sarebbe invece più corretto definire strumenti elettronici. È importante essere
consapevoli di questi intrecci di significato perché le traduzioni da un codice all'altro
possono sempre nascondere delle ambiguità. A noi ciò appare ancora più importante
perché la parola in questione ha, nella nostra prospettiva e per i nostri scopi
educativi, un'importanza notevole. Vedremo fra breve il perché. Intanto “possiamo
considerare la tecnologia come l'attività incessante di riflessione sulla natura della
tecnica”114.
114 Daniele Castellani, La coda del topo. Principi di educazione info-ambientale, Edizioni Junior,
Azzano San Paolo (BG), 2007, p. 61.
115 Cfr. Devoto-Oli.
64
calato116.
Ritengo che sia proprio nel potere seduttivo e di finzione ipnotica117 che stia la
cifra di ambiguità delle nuove tecniche elettroniche. Esse catturano l'attenzione
dell'essere umano sino al punto di farlo incorrere nel rischio – osservabile nel
disagio psicologico – di smarrire la coscienza della realtà “non rappresentata”, cioè
di quella realtà che mi piace chiamare vivente. La realtà vivente sembra l'unica in
grado di soddisfare a pieno i bisogni ineludibili dell'essere umano. Ecco allora che
un'eccessiva esperienza virtuale può generare nel giovane, e nelle persone in
generale, problemi di adattamento a quella parte di ambiente che non è
rappresentazione ma è ambiente biologico vivente. Mentre la narrazione teatrale o
cinematografica in senso stretto provocano uno straniamento in cui il “'qui ed ora' si
dilata, si espande e si trasforma in Qui e Altrove”118 (dando vita a un viaggio
virtuoso verso un contesto rappresentativo più ampio), le nuove tecniche
informatiche rischiano di produrre una coscienza alterata in cui il Qui è Altrove,
ossia rischiano di produrre una fantasticheria. Senza scadere in alcuna
stigmatizzazione tout court del computer e della sua virtualità, va riconosciuto che è
necessario conoscerne i fenomeni sottesi per acquisire piena coscienza delle
problematiche tecnologiche che si pongono.
Il computer può rappresentare per l'individuo un fine di per sé. Questo è un dato
di fatto col quale il soggetto dovrà sempre misurarsi. La consapevolezza dei pericoli
insiti nell'uso di tale strumento, però, consente di “vivere” l'apparecchio elettronico
anche e soprattutto come mezzo per raggiungere i propri scopi. Ciò consente di
gestire i propri comportamenti in direzione di senso e di equilibrio emotivo.
65
bambini davanti al computer per fare educazione tecnologica. Il maestro infatti
riflette sul modo di utilizzare i media, si concentra sul processo che vuole innescare;
egli è il portatore di una padronanza tecnologica prima che tecnica. Più avanti
menzionerò qualche esempio di uso didattico del computer. Adesso resta ancora da
chiarire qualche cosa.
66
fantasticheria. Consideriamo che questo rischio lo si può correre anche facendo un
uso eccessivo della narrativa. Però, a differenza della finzione narrativa, la realtà
virtuale ha dei connotati molto più pervasivi in virtù della suggestione ipnotica e
multimediale di cui è capace. È per questo che come educatori dobbiamo essere più
prudenti rispetto a questo mezzo, la cui potenza va saputa gestire.
La sola cosa che si può sostenere è la possibilità che la realtà virtuale, attraverso
nuove macchine, muti ancora, giungendo a risultati ancora più suggestivi e
affascinanti. Credo, a tal proposito, che nelle nostre coscienze vadano distinti bene i
due tipi di realtà anche perché il rischio di confusione fra le due potrebbe ancora
aumentare di pari passo con gli sviluppi tecnici. Di qui l'urgenza di una
consapevolezza educativa rispetto a questo fenomeno. Il computer e la realtà virtuale
sono incredibilmente suggestivi ma devono rimanere soprattutto strumenti propri
della realtà vivente. Strumenti di piacere o di lavoro ma pur sempre strumenti.
Abbandonarsi a questi mezzi come proprio fine è una prospettiva da assumere di
rado e in casi eccezionali: è un atteggiamento che non alimenta in alcun modo la
serenità se non per pochi istanti. Tale ottica sembra più che altro funzionale agli
interessi economici delle aziende produttrici di macchine elettroniche.
67
individua sette miti fortemente interconnessi120:
● il mito dell'utilitarismo per cui ogni entità vivente e non vivente acquista
un determinato valore solamente in funzione dell'utilizzo che l'uomo ne può
fare;
● il mito della libertà individuale per cui ogni individuo può scegliere da
solo quali comportamenti adottare tenendo essenzialmente conto del
120 L'autore usa il termine mito sottolineando ironicamente il paradosso che ne scaturisce. Qui con
tale parola infatti si indicano dei modi di pensare che si basano su un presunto razionalismo
tecnico-scientifico (in realtà alimentano risposte emotive ed irrazionali ai problemi).
68
soddisfacimento dei propri bisogni materiali e spirituali»121.
Per fare ordine e per comodità possiamo distinguere due tipi di viaggio virtuale:
il viaggio immersivo123, che può essere vissuto sia in rete telematica che solo
121 D. Castellani, op. cit., p. 12.
122 Ibidem, p. 100.
123 Immersivo è un neologismo che si sta diffondendo in Rete e nell'uso corrente, non è riportato nei
comuni vocabolari. È un'espressione più efficace per dire coinvolgente, suggestivo. Il punto di
vista è immerso nello spazio virtuale costruito.
69
attraverso il computer; esso è connotato da una grafica coinvolgente e il suo grado di
immersività varia a seconda dei casi; è contraddistinto da una visione grafica
verosimile ed è quindi emotivamente coinvolgente; il viaggio immersivo per
eccellenza è quello che si compie nella Realtà Virtuale in senso stretto (indicata con
l'acronimo RV124) ossia quella che si propone di avvicinarsi il più possibile ad una
riproduzione fedele di un contesto, proponendosi cioè di coinvolgere tutti i cinque
sensi;
il viaggio informativo, che può essere vissuto sia attraverso la Rete sia per mezzo
di archivi in forma ipertestuale su cd-rom; può essere intrapreso in generale
attraverso tutti i mass media ed è finalizzato alla ricerca di informazioni; esso ha un
grado di seduzione minore rispetto al tipo precedente ma è pur sempre un viaggio
“in potenza”.
70
Sebbene presentino un grado di immersività minore a causa dell'impossibilità di
partecipare attivamente all'interno dello spazio grafico riprodotto, anche negli
archivi multimediali come You Tube, Google o Vimeo sono possibili viaggi virtuali
immersivi. Attraverso i video infatti si può “viaggiare” agevolmente in spazi e tempi
diversi da quelli in cui si sta vivendo. Ai video si integrano le componenti di
interattività - blog, forum, indici di gradimento, possibilità di condividere il proprio
materiale - e anche di ipertestualità, che consentono di visualizzare i video divisi per
categorie e di accedere al materiale correlato. Inoltre i motori di ricerca inclusi in
questi tipi di portale, attraverso l'uso delle tag, consentono di accedere a video
specifici digitando delle parole chiave. I filmati messi a disposizione da tali siti
Internet possono essere ottimi strumenti didattici in particolare per motivare
emotivamente gli alunni o per approfondire un argomento disciplinare o una
questione problematica emersa in classe.
71
sfruttate dall'insegnante e dagli alunni per procurarsi materiale per i percorsi
didattici. Sono diversi i Progetti che hanno dato vita a biblioteche digitali
accreditate: Progetto CIBIT (Centro Interuniveristario Biblioteca Italiana
Telematica), http://cibit.humnet.unipi.it; Progetto Manuzio,
http://www.liberliber.it/biblioteca; Progetto Gutenberg (la più antica iniziativa nel
settore128), http://www.gutenberg.org; menzioniamo anche un metacatalogo
multilingue: http://www.babelot.com129.
Alla voce La disponibilità di beni tecnologici nelle famiglie si registra che “in
Italia i beni tecnologici più diffusi sono il televisore, presente nel 95,4% delle
famiglie e il cellulare (88,5%). Seguono il lettore DVD (59,7%), il videoregistratore
(58,1%), il personal computer (50,1%) e l'accesso ad Internet (42%)”. Tra le
famiglie si osserva inoltre “un forte divario tecnologico da ricondurre a fattori di tipo
128 Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Progetto_Gutenberg (28/08/2010).
129 Cfr. E. Pacetti, op. cit, p. 217.
130 L'indagine dell'Istat (Istituto nazionale di statistica, ente di ricerca pubblico) aveva come
campione 19 mila 573 famiglie per un totale di 48 mila 861 persone. Cfr. www.istat.it
(17/09/2010).
72
generazionale, culturale ed economico. Le famiglie costituite da sole persone di 65
anni e più continuano ad essere escluse dal possesso di beni tecnologici: appena il
7,1% di esse possiede il personal computer, soltanto il 5,5 % ha l'accesso ad Internet
[...]. All'estremo opposto si collocano le famiglie con almeno un minorenne che
possiedono il personal computer e l'accesso ad Internet rispettivamente nel 74,3 % e
nel 60,9% dei casi.”
Alla voce L'utilizzo delle tecnologie da parte degli individui si osserva che i
soggetti di sesso femminile dai sei ai dieci anni hanno utilizzato Internet negli ultimi
dodici mesi nel 21,4% dei casi, mentre quelli di sesso maschile nel 23,1% dei casi.
Un'altra rilevazione che può essere di nostro interesse è che “le persone di 6 anni
e più che si sono connesse ad Internet negli ultimi 3 mesi hanno utilizzato la Rete
prevalentemente per comunicare attraverso l'uso della posta elettronica, ovvero per
mandare o ricevere e-mail (76,1%), per cercare informazioni su merci e servizi
(66,3%) e per apprendere (58,3%)”.
131 Dal rapporto Istat del 27 Febbraio 2009, www.istat.it (17/09/2010). Il corsivo è mio.
73
3.2. Una Rete di soggetti: come viaggiare
Dopo aver considerato che cos'è il viaggio virtuale in relazione agli strumenti
informatici diffusi nella società e aver preso atto dell'utilità didattica che esso può
assumere, resta da descrivere il come esso vada intrapreso quando si realizza nella
Rete.
Per fare questo vediamo prima di capire meglio che cos'è il Web e che cos'è
Internet.
La Rete, anche dal punto di vista metaforico e della sua struttura, è uno strumento
che ci appare molto valido. È indispensabile però acquisire le conoscenze per saperci
navigare. Così come condurre una nave in mezzo al mare richiede una certa
preparazione, in particolare per le insidie e gli imprevisti che si possono presentare,
così anche la navigazione su Internet richiede l'educazione a certe consapevolezze.
132 Cfr. A.A.V.V., Progetto A3. Fondamenti di informatica, Zanichelli, Bologna, 2007 (due volumi).
74
Abbiamo già rilevato nel sottocapitolo precedente che la “navigazione” è
finalizzata a raggiungere una obiettivo/meta, e che è inopportuno usare il mezzo che
si ha a disposizione come se esso stesso fosse il fine. Nella scuola le macchine sono
facilitatori, sono strumento accessorio dell'ambiente di apprendimento. Rolando
Dondarini è su questa lunghezza d'onda quando spiega che la visita virtuale al
museo può essere sì un ottimo espediente didattico ma lo è solo in qualità di mezzo
propedeutico volto a preparare e motivare a quella che sarà poi la visita “vivente”
ossia la visita al museo vero e proprio133:
Per ciò che riguarda in particolare la Rete bisogna considerare che dentro di essa
quasi chiunque può comunicare su qualsiasi argomento. È una rete abitata da
soggetti che possono avere degli scopi discutibili o che si lasciano andare agli istinti
più irrazionali. Quindi è fondamentale fare un uso critico dello strumento Internet.
Bisogna tener viva quell'attitudine ad allargare il contesto di analisi dell'oggetto. Ad
esempio dobbiamo interrogare i documenti e i materiali che stiamo consultando
cercando la presenza di riferimenti a enti accreditati o a libri. Bisogna valutare i
possibili scopi dell'autore del prodotto che stiamo visionando, consapevoli del fatto
che il prodotto multimediale può essere falsato, manipolato, distorto. Risulta
indispensabile non essere vittime del potere seduttivo e decontestualizzante
dell'immagine, la quale distoglie la nostra attenzione dallo scopo ultimo della
133 Castellani individua due filoni storici di utilizzo del computer nella didattica, propendendo per il
secondo: “uno tecno-centrico che assume il computer come strumento positivo per definizione e
vincola l'attività didattico educativa centrandola sul suo utilizzo; uno edu-centrico che vincola la
presenza e l'utilizzo del computer solo in precisi momenti delle attività di insegnamento e
apprendimento, progettati secondo logiche tutte pedagogiche: didattiche ed educative”. D.
Castellani, op. cit., p. 76.
134 R. Dondarini, op. cit., p. 137.
75
comunicazione. Molti documenti scritti sui siti Internet sono privi di bibliografia e
spesso non sono firmati o sono firmati genericamente dallo “staff del sito”. In
sostanza bisogna rifarsi al metodo storiografico e filologico che utilizzano gli
studiosi. Risalire alle origini e alle ragioni di un certo materiale reperito significa
ricercarne l'attendibilità e l'autenticità. I bambini necessitano di un'educazione che li
orienti nel mondo dell'informazione. In particolare devono conoscere le tecniche
pubblicitarie, i loro effetti, gli abusi di potere che possono essere commessi per fini
di arricchimento spropositato. I nostri alunni devono sapere che, dietro l'accattivante
apparenza di uno schermo colorato e che si anima, sono nascosti dei soggetti con le
loro personali volontà. Queste ultime devono essere prese in esame e confrontate
con la propria identità alla ricerca di accordi e dissonanze.
135 Un sondaggio condotto dalla BBC e pubblicato il 9 Marzo 2010 rivela che il novanta per cento
degli intervistati (27.000 adulti provenienti da 26 paesi) ritiene che l'accesso ad Internet vada
annoverato fra i diritti fondamentali dell'uomo. Cfr.
http://news.bbc.co.uk/2/hi/technology/8548190.stm (29/08/2010).
76
attuale, una libertà di espressione e informazione maggiore rispetto ad altri mezzi di
comunicazione come la televisione o la radio. Infatti c'è una sorta di filosofia e di
etica nel popolo di Internet, emanazione forse dalla sua stessa struttura reticolare. In
linea di massima non sembra che gli aspetti critici del Web abbiano compromesso la
sua cifra di sostanziale libertà. A questo ha contribuito il farsi strada di una maniera
di costruire e vivere il Web che va sotto il nome di Web 2.0.
Il Web 2.0 è uno stato di evoluzione del WWW caratterizzato da uno spiccato
livello di interazione sito-utente. Infatti la tendenza degli ultimi anni è rendere più
semplice il processo di authoring e permettere a tutti di scrivere contenuti anche
senza avere specifiche conoscenze tecniche136. La figura del lettore e dell'autore è in
larga parte sovrapponibile, come alle origini del Web137. Tale tendenza generale vede
la partecipazione, l'interattività, la collaborazione e la condivisione come elementi
caratterizzanti. Blog, forum, chat e sistemi quali Wikipedia, You Tube, Facebook.
Myspace, Twitter e Gmail sono applicazioni online che riflettono questo
cambiamento di paradigma comunicativo sul Web. I wiki in particolare sono siti
Web di pagine ipertestuali i cui contenuti sono modificabili direttamente durante la
navigazione da tutti gli utenti. Il padre del primo wiki fu Ward Cunningham il quale
ne inventò il concetto stesso nel 1995138.
136 Questo anche grazie a intuitivi strumenti di modifica “WYSIWYG” (What You See Is What You
Get, ossia “quello che vedi è quello che ottieni”).
137 Cfr. Progetto A3..., op. cit.
138 Cfr. Progetto A3..., op. cit. Il termine deriva dalla locuzione di lingua hawaiana “wiki wiki “che
significa “rapido”, “molto veloce”.
139 Letteralmente “cultura veloce”: wiki, “veloce”; -pedia, suffisso con significato di “cultura”.
Wikipedia annovera fra i suoi sostenitori Umberto Eco il quale cita spesso dai suoi contenuti (si
veda a titolo di esempio A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico, Bompiani,
Milano, 2006).
77
regolano l'uso del portale stesso. Wikipedia si propone poi, come regole basilari
d'uso, “cinque pilastri” non modificabili che rappresentano la filosofia stessa del
wiki e nei quali si rimarca la necessità di usare e citare fonti attendibili che
consentano agli utenti di fare delle verifiche; si descrive altresì una sorta di etica del
wikipediano. I pilastri che vengono descritti sono consultabili su
http://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Cinque_pilastri e si intitolano: Wikipedia è
un'enciclopedia, Wikipedia ha un punto di vista neutrale, Wikipedia è libera,
Wikipedia ha un codice di condotta. L'aspetto qualificante di questa enciclopedia
pubblica, che si propone di favorire la diffusione del sapere nel mondo, è che le voci
che costituiscono l'ipertesto non sono sotto il controllo di un singolo o di
un'oligarchia di soggetti, ma sono sotto il controllo di tutti gli utenti.
Il paradigma del Web 2.0 è rappresentato anche dalle reti sociali in linea, i
cosiddetti “social network”: Facebook, Orkut, LinkdIn, Myspace ne sono degli
esempi. Sono la manifestazione di una sempre maggiore partecipazione attiva degli
utenti sul Web. Entusiasti di questa tendenza che rientra nei nostri principi
pedagogici - costruzione attiva del sapere, diritto alla conoscenza, condivisione,
collaborazione - siamo però anche attenti agli aspetti critici riguardanti la
multimedialità e il Web.
Imparare come viaggiare nelle Rete ha un'utilità trasversale a tutti gli ambiti della
vita. L'approccio critico ai fenomeni è uno strumento fondamentale che il maestro
deve fornire all'alunno per formarlo ad uno stile esistenziale sereno ed equilibrato140.
140 Per educare all'approccio critico all'informazione può essere utile analizzare insieme ai bambini
la stessa notizia riportata da giornali diversi.
78
particolare ci interessa esemplificare alcuni accorgimenti per consentire l'uso sereno
del computer e per preservare la salute del giovane che naviga. Dai dati che abbiamo
proposto alla fine del sottocapitolo precedente emerge che in Italia l'uso del personal
computer e di Internet non è un fenomeno largamente diffuso. Solo la metà circa
delle famiglie italiane possiede un computer e fra i bambini dai sei ai dieci anni
sembrano pochi quelli che navigano su Internet. Il fatto però che le famiglie con
almeno un minore abbiano a disposizione un PC quasi nei tre quarti dei casi e
considerato che ci aspettiamo nei prossimi anni un'espansione del fenomeno
informatico, pare opportuno avviare una riflessione tecnologica e pedagogica. Ciò
giustifica le analisi sinora fatte e quelle che ci apprestiamo a fare.
141 Ossia quel sostegno all'apprendimento di cui parla Jerome Bruner. Letteralmente “impalcatura”.
79
pornografia potrebbe essere utilizzata dal pedofilo per convincere il bambino
che altri bambini compiono atti sessuali.
4. Operare affinché l'uso del PC non divenga totalizzante nella vita del
bambino: le attività con lo strumento informatico devono essere oggetto di
discussione e condivisione in famiglia così come a scuola. La continua
riflessione critica realizzata assieme al bambino nella quotidianità dovrà
dedicare particolare attenzione alle “amicizie” che il giovane può aver fatto
in chat o via mail.142
80
4. VIAGGIARE IN UN GEMELLAGGIO
PROGETTO/LABORATORIO DI CORRISPONDENZA
Il Progetto coinvolge i bambini della classe III A della scuola elementare Capoluogo
dell'Istituto Comprensivo di Sasso Marconi.
Nel corso dei due anni scolastici precedenti si è evidenziato come gli apprendimenti
più significativi siano stati quelli che hanno stimolato e coltivato la curiosità dei bambini:
obiettivo trasversale a tutti i saperi. A seguito di queste considerazioni le insegnanti
avevano già dallo scorso anno ipotizzato un percorso di scambio epistolare che
coinvolgesse attivamente i piccoli. Requisiti da ricercare nei corrispondenti erano:
143 Le origini “archeologiche” del viaggio d'istruzione possono essere individuate nel Grand Tour,
pratica in voga dal Seicento fino all'Ottocento tra i giovani aristocratici europei che, con l'ausilio
di un tutore, allo scopo di fortificare e maturare, compivano un viaggio di mesi o anni attraverso
l'Europa, con particolare attenzione all'Italia. Cfr. Attilio Brilli, Quando viaggiare era un'arte, Il
Mulino, Bologna, 1995.
81
● che fossero bambini di scuola elementare e partecipassero come classe allo
scambio
La richiesta della provenienza era legata alla possibilità di conoscere la storia greca
e romana attraverso gli occhi di coetanei che la vivono come quotidianità di luoghi.
Dapprima si erano contattate le scuole di Siderno (RC) – Comune gemellato con Sasso
Marconi – ma con queste non si è pervenuti a nessun accordo. Si è così ricorsi a
“passaggi di parola” e a contatti forniti da colleghi ed andati a buon fine. Il progetto
messo in campo ha l'ambizione di non esaurirsi in questo anno scolastico ma di
proseguire nei prossimi non escludendo uno scambio reciproco di visita. Inoltre prevede
la ricerca di nuovi corrispondenti sia in Italia che all'estero.
Obiettivi
82
Modalità di lavoro
Si lavora talora per piccoli gruppi e talora nel grande gruppo. Le lettere inviate e
ricevute vengono scritte materialmente dai bambini al computer, pertanto:
c) I bambini vengono divisi in due gruppi di lavoro, di cui, a rotazione, uno lavora
in classe con un'insegnante e l'altro si reca nell'aula d'informatica delle Scuole
Medie “G. Galilei”. Tutte le settimane si effettua il lavoro in piccoli gruppi in aula
e nell'aula delle Scuole Medie durante le ore di compresenza delle insegnanti.
Tempi
I presupposti si erano avviati lo scorso anno sia all'interno del team che coi genitori.
Il lavoro è settimanale e coinvolgerà l'intero anno scolastico essendone parte
integrante. I docenti delle due scuole hanno il proposito di svilupparlo anche nei
prossimi anni scolastici.
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Risorse
Progetti correlati
c) Scuola di musica: finanziata coi fondi messi a disposizioone dal Comune per
un totale di dodici incontri.
Modalità di verifica
Documentazione
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Questo progetto, la documentazione e anche altro materiale usato per
l'organizzazione operativa dell'attività mi sono stati gentilmente messi a disposizione
dalla Dott.ssa Caramalli. Ho approntato un'intervista alla docente sulla base di questi
materiali e alla luce del mio interesse pedagogico sul viaggio.
Dopo qualche saluto cordiale e una lettura congiunta delle domande, si è svolta,
con una certa flessibilità di struttura, la mia intervista.
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fine settimana. Noi non abbiamo avuto l'autorizzazione per portare fuori i nostri a
fare le uscite con loro. Siamo riusciti a farne soltanto una alla Fondazione Marconi
- il sabato che andavano a fare il giro per il centro storico di Bologna non abbiamo
potuto assolutamente portarli - e un'altra a Marzabotto il venerdì pomeriggio: ci sono
stati dati i bambini... Ma assumendoci noi la responsabilità. La scuola non ci
copriva; però ci siamo riusciti. Quindi... erano diversi i fattori.
Loro (gli alunni e i genitori di Pellaro, N.d.R) sono arrivati da noi con delle
ceste... Noi invece li abbiamo accolti con piccole cose. Molto diverso il tipo di
accoglienza, ma nel senso proprio della “forma”. Però siamo riusciti anche noi a fare
alcuni gesti di accoglienza. Poi c'è stato il saluto serale in cui sono venuti tutti i
genitori coi bambini.
Dell'incontro fra gli alunni delle due classi, ti ha colpito qualcosa? Qualche
reazione in particolare?
Le reazioni erano quelle di bambini che da due anni si scrivevano delle cose, si
erano visti in foto, però non si erano mai incontrati. Molto curiosi, nel farsi
domande. Tant'è che, mentre prima mandavano le lettere, però le mandavano in
maniera collettiva o in gruppetti, dopo questo incontro, ogni bimbo si era scelto
individualmente un “amico di penna” ben preciso; hanno iniziato una
corrispondenza mirata tra di loro che si è protratta fino alla nostra visita nel loro
paese. Si è creato sicuramente un legame, che io però non so come sia proceduto,
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perché eravamo già in quinta... Poi c'è stato il momento dell'attesa: quando li hanno
visti arrivare, si era creato inevitabilmente nei nostri l'aspettativa di poter andare là.
Questo è stato il problema successivo perché, non eravamo in una scuola media,
dove dai per scontato che puoi muovere i bambini per più giorni: ottenere
l'autorizzazione per portarli via e farli star via tanti giorni non era una cosa così
scontata.
Quando sono stati qua loro, abbiamo fatto le cose talmente in fretta, con talmente
tanti altri problemi, che la concentrazione era molto più orientata sulla sicurezza dei
bambini: che non si facessero male, che non si perdessero. Io ero fuori con dei
bambini totalmente affidati a me, non avevo coperture. Per cui non è che mi sia
occupata tanto della loro reazione, anche perché una fetta della loro (alunni di
Pellaro, N.d.R) attività per luoghi culturali l'hanno fatta per i fatti loro. Quindi non li
ho visti. C'era una netta differenza fra i due gruppi di bambini: anche se bisogna
considerare che loro si muovevano coi genitori. Quello ti fa la differenza perché,
muoverli con i genitori, significa che diventano “i figlioli che fanno un po' quello
che pare loro”. Quando abbiamo fatto la nostra visita in Calabria, i miei (alunni
N.d.R.) si sono mossi con noi insegnanti, a loro è stato richiesto tutto un altro grado
di maturità, rispetto al distacco dalla famiglia: perché, sembra, ma bambini che non
avevano mai fatto un giorno fuori di casa si sono “sparati” cinque giorni - con le
notti - con emeriti estranei, perché noi eravamo le maestre e la rappresentante di
classe, però eravamo comunque degli estranei.
Non c'è stato nessun problema. Hanno retto, sono stati fantastici, è stata più una
paura dei genitori che una realtà.
Invece, per quanto riguarda i genitori, com'è stato l'incontro fra quelli delle
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due classi?
I loro genitori si sono incontrati con tutti i nostri genitori perché, come ti ho
detto, abbiamo fatto un rinfresco alla fine, per salutarci. Tra le famiglie è andata
benissimo. Tra l'altro, il fatto che fossero venuti i genitori, mi ha creato anche questo
problema e cioè che le famiglie in visita auspicavano che, in occasione del nostro
viaggio a Pellaro, andassero giù anche i nostri, di genitori. Invece su questo siamo
molto diversi! Da noi non esisteva che i genitori potessero venire in viaggio
d'istruzione – giustamente. Mentre per loro erano tutte scampagnate. Così i miei
genitori - c'era qualcuno che tirava a venire, per ansie o anche per curiosità - è stato
più problematico frenarli. Infatti in alcuni casi non ci siamo riusciti. La cosa che
siamo riusciti a fare è stato mantenere distinto il gruppo bambini-insegnanti dal
gruppo genitori. Tant'è che poi, quando i genitori sono venuti giù, si sono andati a
fare dei giri coi genitori calabresi, si sono dati appuntamenti per l'estate dopo, hanno
fatto cene. Si è creato un legame... Poi... Chi più chi meno, con tutte le varie
differenze...
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avrebbe fatto a sgridarla? Non poteva non sgridare sua figlia. Anche rispetto all'altra
collega, i ragazzi sapevano che i conti li dovevano rendere a me e ... “Guai sgarrare”
rispetto a quello che le dicevano. È andata benissimo...
Erano chiari i ruoli... e poi hanno rispettato le regole. I bambini, senza i genitori,
sono d'una maturità incredibile... quando sono piccoli, più di quando sono grandi.
Essendo nel periodo di latenza144... In un certo senso, sì... Se hanno una guida
valida...
Sicuramente devi avere una relazione con loro per cui te la giochi singolarmente
a prescindere, ma questa non te la crei lì, l'hai creata negli altri quattro anni
precedenti. Potevo permettermelo con loro. Perché comunque avevamo una
relazione che si era creata cinque anni prima, non era una cosa improvvisata, se no
non andava... E non solo per questo, perché anche altre classi le ho avute dalla
prima, ma non erano nelle condizioni per poter fare una cosa del genere – al di là
delle ansie dei genitori ... Anche se soprattutto per le ansie dei genitori... Perché, alla
fine, i bambini vivono le ansie dei genitori e, di conseguenza, la relazione che hanno
con loro inficia la relazione con l'altro adulto, e questo non ti aiuta per fare certi
percorsi. Per questo dico che non è irrilevante il rapporto con le famiglie. È
attraverso di loro che capisci qual'è lo spazio di azione che hai effettivamente con i
ragazzi.
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esiste?! È una legge italiana?! (si riferisce al decreto del 1994 per la sicurezza sul
lavoro in Italia, N.d.R.). Fra colleghe ci siamo dette: “e noi ci lamentiamo dei nostri
edifici scolastici!”. Anche i bambini hanno notato la particolarità di questo posto. I
vetri degli infissi erano sottilissimi, vetri che, se ci sbatti contro, “hai ammazzato
qualcuno”. Un dato di pericolosità che era percepibile dagli adulti, dato l'occhio
allenato al pericolo, ma i bambini stessi erano un po' a disagio.
Io, sui miei, questo dato l'ho rilevato tantissimo... erano bambini sicuramente
interessati, famiglie molto attente, già in partenza; il lavoro fatto negli anni ha dato i
suoi frutti; erano appassionati di storia e di geografia, quindi questo era un dato
rilevante.
Voi avevate già parlato delle cose che sareste andati a visitare là?
Sì, le avevano studiate in storia e in geografia... Non li riuscivi a tirar fuori dai
musei. Questo è sempre stato un dato che li ha caratterizzati, a prescindere dal loro
atteggiamento là, anche qua. Quando li portavamo in un museo il nostro problema
era il treno che utilizzavamo per rientrare: rischiavamo di perderlo tutte le volte.
Erano bambini che quando entravano in un museo facevano tantissime domande,
tutte pertinenti, erano interessati alle risposte. Se queste contraddicevano con quello
che avevano studiato, letto o sentito, facevano una “testa così” alla guida. Le guide
poi si divertivano, quindi si presentava il problema di “staccarglieli”. Proprio una
soddisfazione! I miei non ne volevano mezza del gelato, volevano stare nel museo a
vedere i bronzi di Riace, e tutto il resto del museo archeologico. Oltretutto per gli
spostamenti hanno fatto delle marce sotto il sole molto lunghe, senza un lamento.
Fantastici!
Allora. Loro non erano una classe tranquilla. Parti dal presupposto che questa fu
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una classe nella quale in prima ci fu un lavoro di, chiamiamolo, “riconduzione
all'ordine” fuori misura. Erano bambini molto testardi, volevano l'ultima parola su
tutto; in prima erano dodici femmine e sei maschi. Parlavano, si muovevano,
litigavano, le bambine menavano i maschi in continuazione. Dei caratterini! Dopo
l'ennesima sgridata, facemmo un cartello con scritto “siete venuti qua per imparare a
stare assieme, quindi la prima cosa è il rispetto reciproco”; avevamo disposto la
regola di alzare la mano per prendere la parola... Ma quando volevano metterti in
scacco lo sapevano fare anche in modo velenoso. Erano abituati a rispettare le mie
decisioni, “e non si scherza”, ma anche a relazionarsi con l'adulto in modo attivo. Se
avevano delle domande le facevano.
Quindi - per concludere - sotto quali aspetti, secondo te, è stato formativo
l'incontro fra due classi di scuole geograficamente lontane?
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emotivamente il distacco dalla famiglia. C'erano quelli che avevano i genitori dietro
che erano imbufaliti. Non li volevano. Però, questi genitori, sono stati bravi perché
si sono mantenuti a lato. Gli altri alunni avevano il cellulare, ma la regola era che si
utilizzava solo per chiamare i genitori una volta al giorno. Non hanno sgarrato; non
avevi bisogno di richiamarli, neanche di ricordarglielo. L'autonomia, le competenze,
l'identità sono obiettivi che puoi mantenere fino alla fine degli studi. Emerge
l'aspetto di organizzare la tua valigia – per quanto sotto la nostra supervisione –
tener dietro alle tue cose....Poi si rileva l'autonomia affettiva rispetto alla famiglia,
rispetto a un contesto abituale... Perché un conto è dire “vado a dormire a casa di
un'amica a Sasso Marconi” e un conto è dire “vado a ottocento chilometri da casa”.
È stata una verifica, guarda... Era la seconda metà di Maggio della quinta: è valsa
più quell'attività lì di tante altre verifiche. Hai dei dubbi su che voti dare in storia e
geografia a dei bambini che se li porti dentro un museo hai dei problemi a tirarli
fuori? Quando noi siamo andati giù abbiamo girato per i paesi, visto le vetrine. E
c'era una mia alunna che leggeva i cartelli che vedeva lungo le strade, cartelli che a
volte avevano degli errori di ortografia. Come nel caso di quelli di un fruttivendolo.
Allora mi diceva: “Erika, ma perché a noi ci correggete? Guarda come scrivono!”.
Anche trovare gli errori nei cartelli! Se la organizzi, un'attività così valida, non ti
viene! Erano molto genuini, correggevano la gente... Ci chiedevano: “perché parla
così?”... Perché magari la costruzione della frase era particolare. Gli alunni di
Pellaro, comunque sia, erano scolarizzati, quindi, quando erano venuti a Sasso
Marconi, i miei bambini non avevano notato nessuna particolare caratteristica nel
loro modo di parlare. Invece quando tu vai in giro, là, incontri le persone, che hanno
anche più anni e che magari non è detto che abbiano chissà quale livello di cultura.
Noti molto di più le differenze linguistiche quando sei là, nonostante l'accento dei
bambini di Pellaro fosse spiccato.
Durante il viaggio hai scoperto una caratteristica che non ti saresti aspettata
di qualche bambino, o che ti ha sorpresa o che semplicemente non conoscevi?
Il grado di conoscenza reciproca era molto buono. Vedi, dipende molto da come
fai l'insegnante in classe. Se li osservi i bambini – è vero che ti mancano degli
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aspetti - ma è difficile avere delle grosse “sorprese”. Era un percorso seguito e
monitorato da cinque anni ormai, erano “blindati”. È stato solo uno stare bene
insieme, con tutte le nostre caratteristiche. Come, poi, non è stata una sorpresa per
loro l'adulto che si son trovati davanti per ventiquattro ore, per cinque giorni...
Rigirala dalla loro parte... Tu dici “i bambini”... Ti dico, dipende da come sei te
come insegnante... Devi aver fatto un lavoro prima. Questo viaggio è stato solo un
tassello, tant'è che non è stata nemmeno la conclusione, perché poi la conclusione è
stata dopo... C'è stato un altro contatto epistolare fra le due classi prima della fine
della scuola.
Inizialmente due bambine non potevano venire, stando a quello che dicevano i
loro genitori, a causa della coincidenza del viaggio d'istruzione con il periodo delle
cresime. Abbiamo spostato alla settimana successiva le date del soggiorno, per dare
a tutti l'opportunità di partecipare. La nostra priorità era: “massima partecipazione”.
Ma a quel punto abbiamo capito che in realtà la madre di una di quelle due bambine
non voleva che la figlia venisse, e aveva approfittato della cresima per usarla come
falsa giustificazione. Infatti la signora è arrivata imbestialita perché noi avevamo
spostato le date e, in questo modo, rimaneva esclusa dall'attività solo sua figlia. Noi
abbiamo detto: “lei deve affrontare con sua figlia il fatto che non vuole farla venire!
È rispettabile. Ma non è un problema degli altri genitori. Non rimane a casa un altro
bambino perché lei non è in grado di rendere i conti a sua figlia! O di affrontare le
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sue di difficoltà...” Ah, guarda, è venuto fuori un colloquio che ha rotto un
rapporto... Per fortuna che eravamo alla fine della quinta.
Grazie mille.
Prego, figurati.
145 Sulla differenza fra analisi quantitativa e qualitativa, cfr. Rita Gatti, Che cos'è la pedagogia
sperimentale, Carocci, Roma, 2002; sullo studio qualitativo e micro cfr. Corrado Ziglio, Roberto
Boccalon, L'attività osservativa in educazione. Un paradigma scientifico, UTET, Torino, 2006.
94
aspetti interconnessi che sta la sua utilità formativa.
95
Notiamo come gli aspetti relazionali possano influenzare o compromettere
l'attività didattica o le iniziative professionali dell'insegnante: la maestra senza le
autorizzazioni che avrebbe dovuto fornire la dirigente scolastica si trova a doversi
assumere in prima persona la responsabilità dei bambini in uscita dalla scuola.
Burocrazia, progetti didattici e aspetti relazionali, dunque, si compenetrano
vicendevolmente all'interno del sistema scuola. In questo progetto di gemellaggio
osserviamo come tali difficoltà siano state compensate da altri elementi del contesto,
da altri “nodi della rete scolastica”: penso al rapporto di fiducia coi genitori, alla
collaborazione di una madre che ha dato il suo contributo, a una certa disponibilità
di risorse economiche; senza dimenticarci della professionalità delle insegnanti, le
quali hanno perseguito un progetto con spirito propositivo, attivo ed entusiasta.
Hanno dimostrato sicurezza in sé; hanno saputo offrire agli alunni regole di
convivenza e ruoli chiari.
Altri due punti di peso educativo sono il distacco dalla famiglia e la fiducia.
Infatti è in particolare in quest'ambito che vedo l'utilità di un soggiorno lontano da
casa già a partire dalla prima età scolare. Si è già osservato il valore che riveste nella
nostra prospettiva la paura e il suo superamento ai fini di uno sviluppo sereno della
persona umana. Ecco allora che il distacco relativamente lungo dalla famiglia, in un
bambino di dieci anni, può significare un positivo allontanamento da genitori
iperprotettivi e ansiosi. Il bambino, soffocato in quest'humus famigliare ansiogeno,
può faticare a trovare fiducia in se stesso, autostima e autonomia. Egli rimane
imprigionato dalle paure famigliari. Allora un'esperienza di questo tipo può essere
occasione di emancipazione, di rafforzamento del Sé, di graduale acquisizione di
fiducia nelle proprie possibilità e strumento per conoscere sotto altri punti di vista se
stesso e gli altri. D'altra parte è esperienza comune quella di scoprire solo dopo una
convivenza prolungata - magari in vacanza - di non andare d'accordo con un amico
su certe cose. Attraverso la cosiddetta “gita”, agli “occhi” del bambino, il mondo
aumenta di complessità e di problematicità, aumenta la gamma di esperienze vissute
e quindi anche il bagaglio di conoscenze acquisite: è questo che noi vogliamo.
“tradizionali”, come suggerisce Ziglio, se ne possono aggiungere altre a seconda dello specifico
contesto lavorativo. Cfr. W.R. Bion, Esperienza nei gruppi e altri saggi, Armando, Roma, 1971
(ed. orig. 1948).
96
Inoltre un viaggio può significare per il bambino attestazione di fiducia da parte dei
genitori e da parte degli insegnanti. La fiducia ha un ruolo decisivo in educazione: lo
sostiene Miguel López Melero149 il quale nella sua esperienza nell'ambito
dell'educazione speciale ha individuato tale concetto come decisivo. Ha osservato
come le persone con discapacità motorie o con specifiche patologie visibili a livello
corporeo, siano spesso messe nelle condizioni di non poter esprimere le proprie
capacità. L'ipotesi è infatti che la mancanza di aspettative da parte dei genitori e
degli insegnanti rispetto alle competenze di persone con “bisogni speciali” non
consenta uno sviluppo sufficiente - per dirlo con Vygotskij - lungo la zona di
sviluppo prossimale. La necessità di fiducia in ambito educativo sta alla base del
“Progetto Roma” che il professor Melero ha condotto in collaborazione col professor
Nicola Cuomo dell'Università di Bologna150. Tale ipotesi, d'altronde, è in accordo
con il celebre effetto Pigmalione che, rifacendosi al mito greco, suggerisce l'idea che
l'aspettativa sull'alunno, esprimendosi più o meno consapevolmente nei
comportamenti dell'educatore, finisca col realizzarsi concretamente, assumendo così
le forme di una profezia che si autoadempie. La fiducia nelle capacità e nelle
competenze del bambino, in piena fase di sviluppo corporeo, riveste, in particolare
in questo momento storico, un ruolo importante: rappresenta un'urgenza pedagogica.
97
dimenticare che anche per loro il viaggio è un'esperienza di apprendimento. La
Caramalli dice nell'intervista: “anche io ho imparato delle cose incredibili!”. La
creazione di amicizie fra i genitori, poi, può rappresentare una risorsa per lo stesso
futuro dei figli che avranno un'opportunità di proseguire un confronto con una realtà
diversa da quella in cui abitano, conoscendo nuove persone, nuove realtà, nuovi
affetti. Anche sul piano della coesione sociale, così facendo, si alimenta una spinta
aggregante, una rete di reciproco aiuto che non può che favorire una cultura della
convivenza pacifica e razionale.
Ora di seguito riporto alcuni frammenti epistolari, scritti dagli alunni durante la
corrispondenza. Mi sembra che essi esprimano la valenza emotiva, affettiva e
cognitiva che assume tale attività. Si è rivelata appunto un'esperienza significativa.
«[...] Le nostre maestre sono gentili perché ci spiegano molto bene gli esercizi e
ci fanno fare tante gite scolastiche. Le nostre tradizioni sono, la “Fiera di Sdaz” in
Luglio dove ci sono bancarelle con dolci altre con vestiti o giochi, poi c'è la “Festa
del tartufo” verso Novembre con bancarelle piene zeppe di tartufo e un po' di vino.
Alla “Festa della birra” invece si beve solo birra. La “Festa della salsiccia” la fanno
vicino alla scuola materna e l'altro vicino al chiosco dei gelati dove si può andare a
giocare.
Sì, siamo andati al museo etrusco. Abbiamo visto l'acropoli, dove si facevano le
cerimonie religiose. [...]» (questo stralcio è estratto da una lettera frutto di scrittura
collettiva)
«Cari amici,
98
gradi dell'aggettivo. Li state studiando anche voi? Con l'Erika l'insegnante di
matematica siamo fermi sulle divisioni a due cifre. La Clara ci insegna anche storia e
geografia e in questo periodo stiamo studiando i Sumeri. Di geografia studiamo la
collina. Per Natale noi facciamo un albero decorato con palline di tutti i colori di
collane fatte di perle blu e rosse luci di tutti i colori. Facciamo anche il presepe che
rappresenta Gesù bambino ed è composto dalla gente, da Maria e da Giuseppe. Da
noi c'è ancora la neve. E da voi?
Un saluto da R.»
«Cari bambini
E.»
I bambini di Pellaro
99
animali, ho un gatto che è un gran coccolone, un uccellino tutto giallo e una coniglia
bianca e marrone con un simpatico musetto rosa. A me piace tanto la neve, peccato
però che da noi non cade mai. Nel mio paese infatti fa caldo soprattutto in estate, ma
c'è il mare azzurro e pulito.
B.»
«Cari bambini,
Ciao a tutti
F.»
La mia scuola per ora non possiede la palestra, perché ci sono da tempo lavori di
ristrutturazione, quindi non possiamo svolgere un'attività fisica. Mi piacerebbe fare
un viaggio per conoscere voi, le vostre maestre e la vostra città.
Ciao
A.»
Dalle parole dei bambini emerge la curiosità del conoscere e la ricerca del
confronto con l'altro. Troviamo temi a noi cari come i tempi lunghi e l'attesa. Queste
caratteristiche appartengono da un lato al progetto didattico in generale, il quale ha
coinvolto gli alunni dalla classe terza alla classe quinta, e dall'altro al viaggio, nel
quale l'incontro con gli “amici di penna” è stato un evento lungamente atteso. È
100
avvenuto quello che la volpe del Piccolo Principe chiamerebbe un paziente
“addomesticamento”152.
● Ma 16/05/06 Partenza nella serata alle ore 21.23 dalla stazione di Bologna
Centrale in treno per Reggio Calabria Centrale.
● Gi 18/05/06 Visita alle località della Magna Grecia: Locri, Gerace e Stilo
(pullman privato).
Per la classe V A il lunedì 22/05/2006 non sarà prevista attività didattica. Il sindaco di
101
Reggio Calabria e il dirigente scolastico della D.D. “A. Cassiodoro” del luogo si stanno
interessando per farci avere tutti gli ingressi ai musei gratuiti e anche i trasporti
comunali e non. Le date del 18 e 19 potranno subire un'inversione di programma in
quanto sarà da verificare la disponibilità del pullman.
Come ho già detto in altri casi, anche per il viaggio didattico, è necessario che
esso non sia un'esperienza isolata senza alcun legame narrativo con un prima e un
dopo. È questa consapevolezza che ha condotto le insegnanti della classe di Sasso
Marconi ad inserire l' “uscita” come una tappa di un percorso. Lo stesso vale per la
le visite ai musei. Scrive a tal proposito Rolando Dondarini:
153 Rolando Dondarini, L'albero del tempo. Motivazioni, metodi e tecniche per apprendere e
insegnare la storia, Pàtron Editore, Quarto Inferiore (Bologna), 2007, pp. 136-137.
102
sono tutti esempi di variabili da considerare e che influenzano il sistema della
scuola. Sicuramente però un sostegno economico adeguato da parte dello Stato alla
Scuola Pubblica sarebbe un elemento di facilitazione: ciò potrebbe consentire di
neutralizzare molti degli ostacoli presenti, riconoscendo così ai cittadini “diritto alla
conoscenza” e pari opportunità154.
154 A proposito di viaggio nell'infanzia, può essere interessante quello spostamento dal sud al nord
Italia di oltre 70.000 bambini poveri che venne promosso dall' UDI (associazione femminista) e
dal PCI nel secondo dopoguerra. Ne sono raccolte le testimonianze nel libro di Giovanni Rinaldi I
treni della felicità. Storie di bambini in viaggio fra due italie, Ediesse, Roma, 2009.
103
104
CONCLUSIONI: PER UNA “PEDAGOGIA DEL VIAGGIO”
In questo lavoro si è preso in esame il viaggio come concetto. Esso indica prima
di tutto un'esperienza fisico/emotiva concreta e poi un'esperienza metaforica; può
essere rappresentato attraverso la scrittura o attraverso mezzi multimediali.
1. un movimento fisico/emotivo;
6. una via concettuale che conduce alla scoperta del linguaggio e dei codici
alfabetici come strumenti indispensabili per poter conoscere;
105
raggiungimento di un senso del Sé in continuo cambiamento e motore di
creatività;
106
al rischio e al coraggio;
107
9. educare ad addomesticare: a rendere famigliare, a creare reciproci legami
e quindi al sentimento, all'attesa, all'accoglienza.
10. attestare fiducia agli educandi, e alle persone in genere, nella prospettiva
di “realizzare se stessi realizzando l'altro”. Ciò è possibile solo costruendo il
“senso del Sé”, istanza dinamica che lascia spazio ai desideri del soggetto
facendoli filtrare dalla ragione.
108
avventurose, la spinta al confronto e, in generale, l'allargamento del contesto
esperienziale fanno di esso un strumento educativo estremamente valido
(come in ogni attività educativa, devono essere previste attività
propedeutiche e attività di rielaborazione conclusive: il tutto inserito in uno
sfondo integratore che narra e fa ricordare).
Non mi resta che augurarmi che le mie riflessioni possano offrire spunti per
ulteriori sviluppi nell'ambito della ricerca pedagogica.
109
110
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Su supporto cartaceo
Discografia
116