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PERCORSI TEMATICI CON ARGOMENTI ALLEGATI

1) L’UOMO E LA TECNOLOGIA PROGRESSO E REGRESSO:

Italiano: Verga: La fiumana del progresso

Concepita come prefazione ai Malavoglia, funge da prefazione all'intero Ciclo dei


Vinti, di cui ne spiega i temi principali. 
Il primo paragrafo è dedicato specificamente al primo romanzo del ciclo, I
Malavoglia. Ne indica il tema di fondo: l'equilibrio di un mondo tradizionale, quello di
una famiglia di un piccolo villaggio di pescatori, rotto dall'insoddisfazione della
propria condizione di vita. 
Nel paragrafo successivo Verga allarga il suo sguardo verso tutti i romanzi del ciclo.
Qui l'attenzione si pone sulla ''fumana del progresso'', cioè quel processo di
trasformazione della realtà economica e sociale, in particolare dell'Italia post
unitaria. La forza motrice di questo processo è data dai bisogni dell'uomo, dalla
lotta per l'esistenza al bisogno dei beni materiali (impostazione fortemente
materialistica).
Il terzo paragrafo contiene invece le fondamentali prese di posizione ideologiche
dello scrittore di fronte alla ''fiumana del progresso''. Verga esprime la sia
ammirazione per la grandiosità del processo arrivando persino a ripetere uno dei
principi basilari dell'ideologia borghese moderna formulato da Adam Smith:
l'individuo, perseguendo il suo interesse personale, coopera inconsapevolmente al
benessere di tutti.
Lungi da levare inni, Verga insiste proprio sugli aspetti negativi: l'avidità, l'egoismo, i
vizi, la meschinità, …
Difatti i protagonisti dei cinque romanzi sono proprio dei ''vinti''.
Alla fine Verga aggiunge che ogni scena va rappresentata con colori adatti, cioè
che ogni forma deve corrispondere al livello sociale rappresentato. Nei Malavoglia il
narratore si adegua all'ambiente popolare, nel Mastro Don Gesualdo il inguaggio
S'innalza in corrispondenza dell'ambiente sociale.

L’approdo al Verismo
Dopo aver scritto romanzi riguardanti temi romantici e scapigliati, Verga (a partire dal
1874) si dedicò alla lettura dei principali autori realisti e naturalisti, che già l’amico Luigi
Capuana stava contribuendo a far conoscere in Italia grazie ai suoi articoli pubblicati sul
Corriere della Sera.
Alcuni critici considerano “Nedda” il primo testo verista di Verga per la scelta di un
soggetto legato al mondo degli umili, ma in realtà la novella anticipa solo i temi del verismo
ma non ne possiede le tecniche narrative poiché ancora compare la figura del narratore
onnisciente in terza persona che commenta le vicende dei personaggi.
Sarà poi “Rosso Malpelo” ad inaugurare la stagione della produzione verista dato che,
anche in questo caso, il protagonista appartiene al mondo degli umili, ma cambia il punto
di vista della narrazione perché si passa dal narratore onnisciente al narratore
impersonale.
La conversione di Verga al Verismo, e in generale la sua poetica, fu influenzata e favorita
da alcune letture che ebbe modo di fare durante la stesura di Rosso Malpelo, tra cui:
- l'Assommoir di Zola
- L'inchiesta in Sicilia di Sonnino e Franchetti ( che aveva messo in evidenza l'arretratezza
e la miseria del meridione italiano → questione meridionale)
I principi della poetica verista
Come già anticipato, i principi della nuova poetica di Verga enunciati in tre testi
programmatici, che costituiscono i manifesti del verismo verghiano:
- la novella “Fantasticheria”
- la lettera dedicatoria all'amico Salvatore Farina della novella “L'amante di Gramigna”.
- la prefazione ai “Malavoglia”
In Fantasticheria: 
Annuncia di voler rappresentare il mondo dei poveri pescatori di Aci Trezza, e di volere
indagare le cause che spingono questa gente a sopravvivere in un ambiente così duro e
ostile, cercando di osservare le cose da loro stesso punto di vista.
Delinea per la prima volta il concetto di “ religione della famiglia” che spinge la povera
gente a voler rimanere il più possibile attaccata alla propria famiglia, e teorizza “ l'ideale
dell'ostrica” ovvero il tenace attaccamento dei poveri a loro mondo.
Nell'Amante di Gramigna: 
Il racconto deve avere la caratteristica di un “documento umano”, ovvero di un fatto
realmente accaduto.
La ricostruzione dei processi psicologici deve essere scientifica, cioè deve indagare “nel
grande libro del cuore”; In modo da giungere a una “scienza del cuore umano, che sarà il
frutto della nuova arte” (concezione dell'artista-scienziato)
Alla base di questa nuova arte deve esserci il canone dell'impersonalità (lo scrittore deve
limitarsi a riprodurre la realtà oggettiva ea mettere in luce i rapporti di causa-effetto che
legano l'uomo al suo ambiente, senza commentare o lasciar trasparire i propri sentimenti e
le proprie opinioni).
Nella prefazione ai Malavoglia, Verga si propone:
di indagare le cause materiali ed economiche che sono alla base dell'agire umano.
di prendere come soggetto nella sua opera “i vinti”, cioè coloro che sono stati sconfitti nel
loro tentativo di conquistare una posizione sociale migliore.
di limitarsi a osservare i fatti narrati in modo impersonale, senza intervenire con commenti
e giudizi, riaffermando in questo modo il principio dell’impersonalità dell'opera letteraria.
Le tecniche narrative
L'esigenza di rispettare i canoni dell'impersonalità dell'opera letteraria, spinse Verga a
creare nuove strategie narrative. Sono principalmente 4:
L'eclissi dell'autore
Il romanzo deve escludere ogni intervento dell'autore che deve invece mettersi nei panni
dei personaggi, così che dal racconto possa emergere una visione oggettiva della realtà
che dia al lettore l'impressione di essere presente all'avvenimento.
La regressione
Dal momento che l'autore si eclissa, il narratore deve appartenere al mondo
rappresentato, quindi per assumere il punto di vista dei personaggi di una determinata
realtà sociale si utilizza l'artificio della regressione:
cioè il narratore regredisce al livello sociale e culturale dei personaggi per meglio
rappresentarli.
Lo straniamento
Consiste nel rappresentare come strano ciò che non lo è, in modo da aumentare il divario
tra la visione del mondo del narratore e dei personaggi della storia e quella dell'autore e
dei lettori che invece sono esterni alla vicenda.

Il discorso diretto libero 


Da un punto di vista grammaticale: 
-È in terza persona, 
- non è preceduto dal “che” o da verbi come “dire” o “pensare”.
L'obiettivo infatti è presentare gli avvenimenti direttamente dal punto di vista dei
personaggi.
il linguaggio ovviamente deve adeguarsi per ricostruire i fatti con la massima precisione e
fedeltà; per questo vengono usati anche modi di dire, proverbi, e una sintassi semplice
che esprime in tutto e per tutto il modo di parlare della gente umile.
La visione della vita nella narrativa di Verga
Nelle opere di Verga è possibile cogliere l'influenza delle maggiori correnti di pensiero
dell'epoca:
- Dal Positivismo → la realtà può essere descritta solo con un approccio scientifico.
- Dal Materialismo → Individua l'origine dei bisogni materiali primari dell'uomo. 
- Dal Determinismo → l’uomo subisce l'influenza dell'ambiente, delle leggi economiche e
della sua razza.
- Dell'Evoluzionismo di Darwin → Verga riprende il concetto di “lotta per la vita” e di “legge
del più forte” che spinge l'uomo ad imporsi o a soccombere.
Il pessimismo verghiano, si manifesta nell’idea (opposta alla fiducia nel progresso
positivista) che gli uomini, nonostante il continuo progresso, sembrano essere sempre
costretti a sottostare ad una legge naturale universale che porta i vincitori di oggi, ad
essere i vinti di domani.
Inoltre, contrariamente a quanto affermava il suo principale modello, Zola, e gli altri
naturalisti francesi, secondo Verga l’arte non è in grado di intervenire per cambiare la
società e non può risolverne i problemi.
Verga vede il lavoro, non come mezzo di riscatto sociale, ma solo come mezzo di
sostentamento per l’individuo e per la sua famiglia. Questo perchè per Verga esisterà
sempre la legge del “pesce grosso che mangia il pesce piccolo”. 
Non trova riscatto neppure nella religione, infatti ne esclude ogni forma di consolazione o
di speranza di una vita migliore nell’aldilà. 
L’unico valore caro a Verga è quello della famiglia. 
Sostiene che l’uomo che si allontana dal proprio ambiente, dalla propria famiglia e dalle
proprie tradizioni è destinato a perdersi e a fallire (ricordiamo che i suoi numerosi viaggi in
tutta Italia lo hanno poi ricondotto a Catania, dove la sua vita è iniziata e finita). 
Per questo motivo, con i personaggi di Verga, si parla di:
- “Religione della famiglia” 
- “Ideale dell’ostrica” (attraverso il quale paragona gli umili a delle ostriche che non
lasciano mai lo scoglio a cui sono attaccate → la famiglia).

Il ciclo dei vinti


Pessimismo e antiprogressismo

Il ciclo dei vinti sarebbe dovuta essere la raccolta di 5 romanzi veristi basati sull'indagine degli
effetti del progresso sugli individui e sulle comunità sociali. incompiuto--> Si sarebbe dovuto
chiamare “La marea”
L' “ideale dell'ostrica” → l’ostrica è fatta dalla natura per vivere attaccata allo scoglio → si stacca
(la molla è il desiderio di migliorarsi) e si allontana. Se in un primo momento può stare meglio poi è
destinata a morire. Fuori dalla metafora, l'uomo sarà costretto a piegare il capo davanti alle
situazioni. 
La logica dei romanzi nel ciclo doveva essere ascensionale, dalle classi più basse a quelle più alte.
Il meccanismo essenziale doveva essere sempre lo stesso pur variando nelle forme → logica “dal
semplice al complesso” già sperimentata da Balzac e Zola.
Il metodo della violenza tra gli uomini si ripropone sempre uguale sia che si tratti di pescatori che di
uomini nobili.

I Malavoglia (realizzato)
Mastro-don Gesualdo (realizzato)
non realizzati:
La duchessa di Leyra 
L'Onorevole Scipioni 
L'uomo di lusso
→ idea negativa del progresso nel ciclo: attestazione di quello che il progresso fa, tutti i
romanzi hanno dentro dei personaggi che sono strappati dalla voglia di progresso ma che
poi si sentono alienati (ideale dell'ostrica).
Vuole manifestare quello che il progresso fa ma scopre facendolo che non era necessario
un ciclo e infatti non lo scrive.
Prefazione dei Malavoglia
• Verga cerca subito di mettere in chiaro il carattere oggettivo del suo romanzo-->non
basta, c’è l’ignoto. “vaga bramosia dell’ignoto”-->è ciò che fa crollare il sistema della
famiglia dei Malavoglia che era sempre vissuta in modo felice-->ideale dell’ostrica. 
• Vuole presentare “il meccanismo” delle passioni umane. “meccanismo” perché secondo
lui gli uomini sono soggetti a leggi necessarie e universali
• Concezione meccanicista del progresso: il progresso è una “fiumana” che travolge tutti
senza lasciare via di scampo. Selezione naturale. Quelli che vengono sopraffatti dal
progresso sono i cosiddetti “vinti”. 
• La sua narrazione non lascia speranze: opporsi al progresso è impossibile

MALAVOGLIA

Il romanzo narra la storia della famiglia Toscano, detta malignamente dal popolo


“Malavoglia”, una famiglia di pescatori del piccolo paese siciliano di Aci Trezza.    
Padron ‘Ntoni è il capofamiglia e l’unità e l’economia familiare sono garantite dalla casa del
nespolo e dal peschereccio, chiamato “La Provvidenza”, ma una serie inarrestabile di
disastri colpirà la famiglia.    
Appunti

Scheda-libro del romanzo "I Malavoglia"

Il giovane ‘Ntoni, nipote di Padron ‘Ntoni, deve partire per il militare e la famiglia è
costretta ad assumere un lavoratore. A ciò si aggiunge una cattiva annata per la pesca e il
bisogno di una dote per Mena, la figlia maggiore, che si deve sposare.  
Il naufragio delle "Provvidenza"Padron ‘Ntoni decide allora di tentare la via del commercio, ma
la Provvidenza - la barca che serve al sostentamento di tutta la famiglia - naufraga e
muore Bastianazzo, figlio di Padron ‘Ntoni e futuro capofamiglia. La nave era carica di
lupini comprati a credito dall’usuraio Zio Crocefisso. Questo evento causa la rovina
economica dei Malavoglia, che perdono anche la casa del nespolo.  
Poco dopo il colera uccide la madre. La Provvidenza, che era stata riparata, naufraga di
nuovo, i membri della famiglia rimangono senza lavoro e sono costretti ad arrangiarsi con
lavoretti poco redditizi. Intanto il giovane ‘Ntoni, partito per il militare, entra in contatto
con il mondo esterno. Finito il servizio militare si rifiuta di tornare a casa per dedicarsi al
duro lavoro che le difficoltà economiche della famiglia gli imporrebbero. Decide di
dedicarsi al contrabbando e a una vita dissipata. Finisce in carcere dopo una rissa con la
guardia che aveva tentato di sedurre la sorella Lia. L’altro nipote, Luca, muore durante la
battaglia di Lissa del 1866. Lia, dopo l’episodio con la guardia, si sente disonorata e fugge a
Catania, dove finisce per lavorare come prostituta. A causa di questo Mena non può più
sposarsi. 
L'epilogo della storiaIl nucleo familiare è completamente distrutto e Padron ‘Ntoni, ormai
malato, si avvicina alla morte. Tuttavia, dopo tanti sacrifici, l’ultimo nipote, Alessi, riesce a
ricomprare la casa del Nespolo e tenta di ricostruire il nucleo familiare senza però riuscirci:
Padron ‘Ntoni muore in ospedale, lontano dalla casa e dalla famiglia mentre il giovane
‘Ntoni, uscito dal carcere, capisce di non poter più esser parte di quella vita e abbandona
per sempre il paese natale.    
 Di cosa parla il romanzo

Ne I Malavoglia vengono narrate le disgrazie di una famiglia di pescatori siciliani.


 Quali sono le cause delle disgrazie

Le sventure sono dovute all’irruzione della storia e del progresso che mettono in crisi il
mondo tradizionale arcaico.
 Nel romanzo ci sono varie opposizioni tra:

o Valori tradizionali / Progresso


o Vicende di ‘Ntoni (struttura lineare) / Vicende della famiglia (struttura circolare imperfetta)
o Tempo circolare/Tempo storico
o Villaggio/Mondo esterno
o Casa del Nespolo/Altri abitanti del villaggio
 La tecnica usata dall'autore

 La tecnica dell’impersonalità dell’arte adottato da Giovanni Verga


comporta l’eclissi del narratore, che impone l’uso di un narratore esterno,
il quale assume il punto di vista dei personaggi e della collettività,
adottandone anche il linguaggio, le espressioni dialettali siciliane, i modi di
dire e i proverbi popolari.
 La sintassi è semplice, con la prevalenza della coordinazione. Servendosi
del discorso indiretto libero, Verga presenta i pensieri dei personaggi
direttamente nella narrazione, senza verbo reggente (disse, esclamò,
affermava, ecc.) né virgolette.

Verga utilizza la tecnica dell’impersonalità e fa raccontare i fatti a un narratore popolare.

TECNICA DELL’IMPERSONALITA’ : L'impersonalità  narrativa è una  tecnica  narrativa in base


alla quale il narratore non deve partecipare emotivamente agli avvenimenti, commentando,
condannando, approvando giudicando, infatti le conseguenze si riveleranno
spontaneamente.

Mastro-don Gesualdo (1889)

La trama
Il romanzo è ambientato a Vizzini, piccolo comune nel catanese. 
Narra la storia di Gesualdo Motta, un uomo avido che ha avuto come unico scopo nella vita
quello di accumulare ricchezze. Compie un percorso che da Mastro, ovvero da muratore, lo
porta a diventare Don, cioè diventa nobile, grazie al suo matrimonio con una donna nobile
di nome Bianca Trao., che però non lo ama. Bianca è stata costretta a sposarlo, sia perché
la sua famiglia era in difficoltà economiche sia perché era incinta di un cugino di nome Ninì
Rubiera, che non poteva sposare. 
Per questo matrimonio interesse Gesualdo rinuncia a sposare la serva Diodata, dalla quale
ha diversi figli. Ma il matrimonio si ritorce ben presto contro di lui. 
La moglie lo evita, e tutto il paese lo disprezza poiché è un uomo dedito solo ai suoi
interessi. Bianca muore giovane di colera ma gli dà una figlia, Isabella, che in realtà è figlia
di Ninì Rubiera. 
Isabella, benché viziata enormemente da Gesualdo, prova a vergogna per le sue umili
origini e lo disprezza a causa delle sue imposizioni, infatti Gesualdo prima la allontana da
casa e dalla madre per mandarla in un prestigioso collegio, poi la costringe ad un
matrimonio infelice.
Quando si ammala; rimasto completamente isolato, Gesualdo viene preso dal genero e
portato nella sua residenza di Palermo dove può constatare di persona come il marito della
figlia abbia distrutto il suo patrimonio. 
Mastro don Gesualdo muore solo e disperato.

I temi
Il tema principale è il fallimento dell’avidità economica e, per estensione, la sconfitta di ogni
individuo che aspira al progresso. 
Il pessimismo è radicale: l'avvento dell'epoca moderna e tutti i cambiamenti sono avvertiti come
una tragedia. La visione pessimistica si estende al periodo storico che porta all'Unità d'Italia: il
romanzo infatti è ambientato proprio in quegli anni tra la fine del Settecento è il 1860.

Lo spazio e il tempo
Le vicende si svolgono non solo a Vizzini ma anche a Mangalavite (un podere in cui il
protagonista si trasferisce per evitare il contagio di colera), e a Palermo (dove Gesualdo si
trasferisce a casa del genero e dove muore). 
Mancano rimandi cronologici precisi, ma alcuni fatti accennati ci fanno capire che le
vicende del romanzo si sono sviluppate tra la fine del Settecento e i primi anni
dell'Ottocento.

Mastro Don Gesualdo, commento


Il ciclo dei vinti si fermerà al quest’opera. Non va avanti perché mano a mano che sale la
scala sociale, Verga smette di inquadrare situazioni collettrice ma si individualizza nei
singoli personaggi, significa che il narratore concentra la propria attenzione sul singolo. Il
narratore si trasforma, da popolare, polifonico uniformandosi in un ambiente individualista.
Nei Malavoglia il narratore assume più punti di vista, questo possiamo evincerlo già dal
titolo. Ma quando Verga decide di proiettare problematiche nella vita del singolo, il
narratore diverrà individualista così come il protagonista. La forza iniziale si perde nel
passaggio alle altre opere. Di fatti, la comunità di Acitrezza si riduce in Mastro Don
Geusaldo, in un individuo che si mostra come un eroe negativo. Nei Malavoglia questo è
Ntoni, che ha la capacità di recidere il cordone ombelicale. La prospettiva di Verga è una
prospettiva di ammirazione anche se è un vinto. Lui è un eroe nero che si distingue dagli
altri, così appare Mastro Don Gesualdo. Si evince una doppia personalità e astrazione
sociale, in virtù della sua ricchezza entra nel mondo della ricchezza. L’incontro tra le
famiglie porta alla trasformazione di questo personaggio, lui ha accumulato in vita la “roba”
e sa che l’interesse che gira intorno a lui è dato solo dal suo patrimonio. Mastro Don
Gesualdo ha questa consapevolezza, ce l’ha fatta, si è inserito nella borghesia, ma è
rimasto solo. Quindi non è solo un vinto dal punto di vista morale, ma a questo si aggiunge
anche la consapevolezza della sua misera condizione. Un solo sentimento positivo è dato
dall’amore per una donna di nome Diodata, dalla quale ha dei figli illegittimi . L’unica cosa
che resta a Gesualdo è sapere che quello è l’unico rapporto che lui abbia e che possa
vivere. L’opera finisce che Gesualdo viene colpito da un cancro allo stomaco e muore
sotto gli occhi disprezzanti di un servo al fine di rappresentare questa situazione di dolore
fino alla fine. 
È tutta una riduzione a uno, non abbiamo più un narratore polifonico ma monodico, un
narratore con prospettiva e focalizzazione singola, interna soltanto al protagonista e con
un punto di vista inattendibile. 
Nel secondo romanzo del “ciclo dei vinti”, Mastro Don Gesualdo, Verga sposta il suo punto
di osservazione; la “bramosia del meglio” non viene più analizzata ai livelli elementari della
lotta per la sopravvivenza. Mastro- don Gesualdo è riuscito, infatti, da semplice muratore a
compiere la sua scalata economica divenendo un ricco imprenditore. L’occasione gli è
offerta dal matrimonio con la nipote della Baronessa, un matrimonio di interesse e di
accomodamento. Gesualdo inoltre rinuncia per questo matrimonio all’amore dell’umile
Diodata: è la vittoria sui sentimenti degli interessi economici e sociali. La scelta, tuttavia,
non sortirà l’effetto ricercato da Gesualdo: guardato con sospetto dalla nuova classe di cui
è entrato a far parte egli rimarrà sempre più solo. Mastro don Gesualdo è dunque
anch’egli un vinto, ma non sul piano materiale bensì su quello psicologico e morale,
rappresentante e vittima di un mondo che si presenta dominato dalla legge dell’interesse
privato, della competizione economica e sociale, che non lascia posto neppure per i valori
elementari.
A questa visione realistica, si accompagna una diversa soluzione linguistica: essa deriva
dalla focalizzazione della narrazione su un solo personaggio principale. Sfumano il
processo di regressione e, soprattutto, il narratore corale. Qui l’”eclisse” è realizzata
attraverso la forza drammatica del dialogo, che “lascia parlare i personaggi” e,
principalmente attraverso il punto di osservazione del protagonista, per il quale Verga fa
largo uso del discorso indiretto libero. In questa focalizzazione il romanzo, preannuncia la
svolta verso il romanzo psicologico del 900.
Il romanzo inizia con un incipit in Medias res, ovvero con l’incendio di Casa Trau. Verga
scrive quest’opera 10 anni più tardi rispetto ai Malavoglia. Romanzo realistico, sociale, nel
momento in cui Verga lo va a contestualizzare va ancora più indietro col tempo con
l’analessi. Fa questo salto perché l’anno è il 1848, caratterizzato dai moti rivoluzionari,
questo ci dice che Verga sta procedendo e che si sia incupito nel suo pessimismo, un
pensiero fisso nella sua mente riguardava le conseguenze del progresso in Sicilia. Pensa
che l’inizio della fine della Sicilia coincida con i moti rivoluzionari ovvero quando è arrivata
la modernità nel sud. Nei moti rivoluzionari alla fine del 1848 nascono in Italia gli stati
liberali. Per limite “post quest” (dopo il quale) parte la digressione nel sud per Verga è dal
1848. Durante questo incendio si vede fuggire un uomo dalla casa che induce il lettore a
pensare che la moglie di Gesualdo avesse in casa un amante, quindi l’unica figlia legittima
non sarebbe nemmeno sua. Questa situazione non è definita perché non abbiamo un’altra
verità con cui confrontarci dato che il punto di vista è inattendibile.
Gesualdo è stato parossisticamente ossessionato dall’accumulo della roba. Gesualdo
rappresenta il cosiddetto “self-made man”, ovvero l’uomo che si fa da solo, l’uomo eroe
che è riuscito a costruirsi da se. Qui c’è un’ammirazione da parte di Verga il quale si è
divertito a dare la misura di questa dimensione interiore.

FUTURISMO E L’ESALTAZIONE DELLA MACCHINA


Con il termine "Futurismo" si indica un movimento artistico-letterario d’avanguardia,
fondato da Filippo Tommaso Marinetti. Il Manifesto del Futurismo è stato pubblicato sul
quotidiano francese “Le Figaro” nel 1909. Successivamente sono stati pubblicati altri
manifesti, che definivano i caratteri generali delle varie arti: letteratura, teatro, pittura,
scultura, architettura e musica. 

I punti principali del Manifesto del Futurismo, a cui tutti gli intellettuali devono adeguarsi,
sono: 
- proiettarsi verso il futuro e verso il progresso;
- cantare l’audacia, il pericolo, la velocità, il movimento, la dinamicità e la ribellione;
- opporsi alla cultura Ottocentesca, immobile e assonnante;
- considerare la lotta e la guerra come sola forma di igiene del mondo;
- provare disprezzo nei confronti della donna, considerata portatrice di valori deboli ed
ispiratrice della poesia sentimentale;
- distruggere le biblioteche ed i musei, colpevoli di produrre una cultura stereotipata. 

I futuristi sono contrari alla realizzazione di opere artistiche in serie e arrivano a rompere il
canale di comunicazione col pubblico: scrivono opere illeggibili e incomprensibili. Nel 1912
viene pubblicato il Manifesto letterario Futurista, nel quale i futuristi spiegarono come si
sarebbe concretizzata la rottura del canale di comunicazione col pubblico: distruzione della
sintassi, verbo all’infinito, disposizione di sostantivi automatica, distruzione dell’Io e della
psicologia, abolizione di avverbio e aggettivo, abolizione della punteggiatura, testo scritto
in orizzontale, verticale, e diagonale, introduzione di peso, odore e rumore nella letteratura
e dell’immaginazione senza fili.

Il futurismo contrappone al passato la moderna civiltà della macchina, la bellezza e


l’ebbrezza della velocità. Si rifiuta l’immobilità pensosa, l’estasi ed il sonno del passato e si
esalta l’aggressività, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il
pugno, la guerra, il patriottismo e le belle idee per cui si muore. In Italia il Futurismo si è
orientato sempre di più verso la destra in senso nazionalista e interventista, fino a sfociare,
dopo la guerra, nel Fascismo e a diventare l’arte ufficiale del regime.

Uno dei principali aspetti del Futurismo è proprio il mito della macchina. La letteratura
italiana era rimasta legata per lungo tempo, a causa dei ritardi dello sviluppo economico e
sociale, ad una realtà contadina. All'inizio l'industrializzazione e i primi segnali della
Rivoluzione industriale causavano reazioni di sconcerto anche tra gli intellettuali. Giosuè
Carducci invece, nell'Inno a Satana del 1863, aveva celebrato l'arrivo della locomotiva,
come un segnale del trionfo della scienza e del libero pensiero. A poco a poco anche in Italia
iniziò ad avvertirsi l'esigenza di una cultura industriale. La macchina diventa così un mito
nel quale si raccolgono le aspirazioni della modernità, del rinnovamento e delle
trasformazioni sociali. Nella letteratura l'avvento della macchina assume il valore di un
simbolo, capace di alimentare le fantasie dell'immaginario collettivo. L'esaltazione della
macchina diventa una sorta di religione: la macchina si trasforma nel mezzo e nel fine della
creatività artistica e della sensibilità estetica. La macchina diventa una metafora
dell'esistenza ed offre l'illusione di un fondamento concreto e oggettivo in una visione del
mondo per molti aspetti astratta, delirante e irrazionale.

Poeti e artisti futuristi organizzavano le “serate futuriste”, durante le quali venivano


recitate poesie ed effettuate rappresentazioni teatrali. Queste serate si concludevano spesso
con lancio di ortaggi da parte del pubblico. Nel campo letterario tra i futuristi si ricordano
come scrittori Filippo Tomasso Marinetti, Luciano Fòlgore, Gian Piero Lucini;
come poeti Aldo Palazzeschi, Corrado Govoni, Giovanni Papini; nelle arti figurative Carlo
Carrà, Gino Severini, Umberto Boccioni. Il Futurismo ha influito su altri movimenti
d’avanguardia del ‘900 ed ha promosso la dissoluzione dei vecchi contenuti e delle vecchie
forme per giungere ad una poesia e ad un’arte nuova, più adeguata ai mutamenti dei tempi
e dei costumi.

Pirandello e quel progresso


disumanizzante che non
tollerava
149 anni fa nasceva Luigi Pirandello, il 28 giugno 1867. L’analista dell’animo
umano non individuava nel progresso tecnico nulla di buono e ne ha
denunciato i limiti nei “Quaderni di Serafino Gubbio operatore“.

Nell’agosto del 1915, quand’ancora l’entusiasmo del radioso maggio infuocava i


cuori dei rampolli d’Italia e le avanguardie futuriste cantavano, con voce quantomai
fiera, la “bellezza della velocità”, Pirandello pubblica la prima edizione dei
“Quaderni di Serafino Gubbio operatore”. La più ostinata, esplicita, netta
testimonianza ad inchiostro della sua avversione nei confronti dell’emergente
tecnologia cinematografica.

Il conservatorismo pirandelliano non meraviglia, ma la condanna della cinepresa,


etichettata bestialmente come “grosso ragno nero in agguato”, è mossa da ragioni
ben più profonde di quelle ascrivibili ad un mera ed aprioristica laus temporis acti.
Serafino, il protagonista, è un operatore per la casa cinematografica “Kosmograph”,
un cameraman, per non indignare i cosmopoliti; e da operatore, non necessita di altro
se non della sua mano e della sua richiestissima impassibilità. Non gli serve un
cervello, non uno spirito. Nessun guizzo creativo è utile alla sua professione, sulla
fermezza della mano e l’impassibilità del volto e del cuore di fronte alle scene
recitate viene misurata la sua abilità lavorativa. Ed in queste prerogative Serafino
eccelle, un vero professionista, a costo di soffocare il “tarlo della filosofia” che gli
rode dentro, di spogliarsi dalle sue vesti umane per ridursi ad accessorio, a
manovella della macchina. Anche quando gli capita la sventura di innamorarsi della
signorina Luisetta, si convince a distogliere da sé la tentazione del sentimento
amoroso, umano, troppo umano, e quindi, pericoloso. Quando, durante le riprese,
l’attore Aldo Muti viene imprevedibilmente sbranato dalla tigre-attrice della casa
cinematografica, a Serafino è richiesta la prova del nove: registrare la scena
ghiottissima senza proferire parola alcuna, senza azzardarsi ad intervenire, senza
turbarsi. La sfida è vinta. Serafino non spegne la sua fedele macchina e si certifica
come il più competente dei cineoperatori. Cosa importa se per trattenere l’urlo resterà
per sempre muto? Se sarà condannato ad una traumatica alienazione dal reale? Se
sarà costretto a rinunciare a qualsiasi rapporto umano, alla sua stessa umanità?

Pirandello, maestro del teatro umanissimo, non può, non riesce a tollerare
l’inganno del cinema, nel quale gli attori sono privati del gratificante sollievo
di un plauso, il pubblico della possibilità di approvare o disapprovare in
diretta, l’operatore della sua essenza umana. Proprio lui, che ha scandagliato
l’animo umano fino all’ultimo umore, fino al sedimento più recondito e duro,
come può non avvertire il disagio della degradazione di quell’animo,
delladisumanizzazione del cinema che è, più in generale, la disumanizzazione
imposta dalle macchine, dell’esasperazione tecnica, della presunzioni
scientifiche, degli slanci progressisti che non poggiano sulla base
sempreverde della tradizione? I “Quaderni” meritano attenzione maggiore
rispetto a quella riservata dalla critica sino ad oggi. Qui, infatti, si confronta
con l’avveniente età industriale; qui emerge la sua posizione di radicata
diffidenza nei confronti della meccanizzazione smodata; qui condensa tutte le
tragicità dell’uomo moderno; qui possiamo raccogliere gli stimoli riflessivi che,
con lungimiranza e lucidità, il nostro più grande prosatore ci ha offerto sulla
questione uomo-tecninca, prima che questa diventasse veramente attuale.

La natura secondo Leopardi

La natura, nella sua eccezione classica, rappresenta il complesso delle cose


e degli esseri dell’universo, che hanno in sé un principio costitutivo che ne
stabilisce l’ordine e le leggi. Per Giacomo Leopardi la natura è la
personificazione delle forze, dei fenomeni, perennemente considerata in
contrapposizione all’uomo.
In un primo momento della sua vita, Leopardi guarda alla natura con occhio
benevole, in quanto nonostante conduca costantemente l’uomo innanzi a
difficoltà o eventi che causano unicamente sofferenza, essa ha dotato il
genere umano di immaginazione, facoltà peculiari e fondamentale per
l’essere umano che, facendone uso, evade dalla realtà infelice della vita
abbandonandosi ad un mondo interiore.
In questa direzione si afferma in Leopardi l’opposizione all’illuminismo, che
avendo portato alla luce verità naturali fino ad allora ignote, è come se
avesse fatto passare il mondo da uno stato di fanciullezza (età caratterizzata
dall’immaginazione), ad uno stato di maturità (età caratterizzata dalla
ragione).
La natura del pessimismo storico Leopardiano, benigna con i propri figli, si
trasformerà presto in natura maligna, con l’accentuarsi nel poeta della
concezione meccanicistica del mondo. Tutto accade in natura perché mosso
da una relazione causa – effetto che porta qualsiasi essere all’ineluttabile
morte, intesa in Leopardi come annientazione e oblio.
Durante l’ultima parte della sua vita, il poeta sviluppa una concezione di
natura ben lontana dalla precedente. Considera la natura come fonte di
illusioni  e come forza suprema, incurante dell’uomo. Essa deve solo
rispettare un ciclo vitale, meccanico, senza risparmiare dolori  o condizioni 
dolorose all’uomo, poiché esso è solo una componente del grande
meccanismo naturale.
Nel “Dialogo della natura con un islandese”, è ben espressa tale concezione
del pessimismo leopardiano; la natura deve seguire il suo corso e di certo
non si placherà a causa dell’infelicità o felicità dell’uomo, che nel mondo è un
essere qualunque destinato a subire e perire sotto i colpi della natura.
Il pessimismo storico e il pessimismo cosmico, sviluppati da Leopardi
durante tutto l’arco della sua vita si spengono con la Ginestra, invitando gli
uomini  a compiere una lotta titanica contro la natura denunciandone
l’essenza maligna; tale lotta avrà fine solo con l’irrimediabile morte dell’uomo.
FILOSOFIA

La Scuola di Francoforte
La scuola di Francoforte rappresenta un gruppo di studiosi che indirizzarono i loro sforzi
intellettuali, intorno agli anni Trenta, verso i temi della filosofia e della sociologia. Il luogo
attorno al quale svilupparono le loro ricerche fu l’Istituto di ricerche sociali, con sede appunto a
Francoforte.

L’attività accademica e di ricerca fu momentaneamente interrotta dall’avvento in Germania


del nazismo; molti collaboratori si trasferirono dapprima a Parigi, e nel corso della seconda
guerra mondiale a New York. Dopo il 1945 molti studiosi fecero ritorno a Francoforte, mentre
altri rimasero stabilmente negli Stati Uniti.

Il tema principale, oggetto di studio dell’Istituto, fu quello della cosiddetta “teoria critica della
società”. Con questa espressione si indica l’elaborazione intellettuale tesa a criticare
l’ideologia capitalistica, evidenziandone le falle interne e con l’intento di offrire modelli
d’interpretazione alternativi.

Pur condividendo l’apparato teorico centrale, ognuno degli studiosi appartenenti alla Scuola di
Francoforte puntò l’attenzione su aspetti diversi del problema. Ecco i principali esponenti e il
loro campo di studi.

Max Horkheimer fu il fondatore dell’Istituto di ricerche sociali presso Francoforte, nonché


principale esponente delle “teoria critica”. Con l’avvento del nazismo si trasferì prima a Parigi
dove, con la collaborazione di Fromm e Marcuse, redasse gli Studi sull’autorità e la famiglia. In
quest’opera sostenne che la famiglia è il luogo sociale in cui si crea e si rafforza il consenso
dominante, frutto del capitalismo. Nel periodo statunitense scrisse un altro libro, Eclisse della
ragione, in cui criticò la società dominata dalla tecnica. Le teorie elaborate da Horkheimer
derivano in parte dalla conoscenza approfondita della teoria marxista e dall’uso della
psicanalisi.

Theodor Adorno, come la maggior parte dei suoi colleghi, dovette abbandonare Francoforte in
seguito alle politiche repressive naziste, per fuggire prima a Parigi e successivamente a New
York. Assieme a Horkheimerscrisse il libro Dialettica dell’Illuminismo. Il pensiero sociologico
che perseguì ruotò attorno a tre punti:

 il concetto di razionalità strumentale, ovvero l’abuso degli ideali illuministi da parte del
capitalismo, con lo scopo di aumentare il consenso e il controllo sull’uomo;
 l’industria culturale, cioè la sistematica opera di omologazione e appiattimento delle
diversità degli uomini, al fine creare bisogni sempre più uguali con l’aiuto indispensabile
dei massmedia;
 il mito della personalità autoritaria, riprendendo le idee di Horkheimer, che dà alla
famiglia la maggiore responsabilità nella creazione del consenso.

 Herbert Marcuse diede un forte impulso alle rivolte studentesche del ’68. Le sue idee
muovevano da un’esigenza di affrancamento dall’ordine soffocante della società industriale. Pur
partendo da idee marxiste, se ne distacca quasi immediatamente, non condividendo la classica
contrapposizione tra borghesia e proletariato (quest’ultimo già ben inserito nella società dei
consumi), ma vedendo negli studenti e nei soggetti emarginati gli elementi più eversivi. Tra le
sue opere si ricordano Eros e civiltà e L’uomo a una dimensione.
Con Erich Fromm viene interamente trattato il tema della società capitalistica, in rapporto alla
personalità dell’individuo, grazie all’uso della psicanalisi. Secondo Fromm, la società attuale
non riesce, per sua natura, a soddisfare i naturali bisogni dell’individuo, necessari per la sua
realizzazione. Compito della psicanalisi è quello di aiutare il singolo a riconoscere le proprie
esigenze e, attraverso la creatività, a realizzare se stesso. Alcune opere da lui scritte
sono L’arte di amare, Dalla parte dell’uomo e Avere o essere.

Rivoluzione industriale e Età giolittiana

Rivoluzione industriale e Età giolittiana

La fabbrica fu il cuore della seconda rivoluzione industriale. Grazie ai motori


elettrici, le vecchie macchine a vapore furono sostituite da macchinari molto
più precisi e perfezionati. Nelle grandi fabbriche queste innovazioni si
tradusse in un nuovo sistema di organizzazione del lavoro, il Taylorismo.
Secondo i suoi principi, la lavorazione di un prodotto fu suddivisa in tante fasi,
in cui ogni operaio eseguiva solo i compiti relativi a quel segmento di
lavorazione. Il principio del taylorismo fu integralmente applicato nella catena
di montaggio, introdotta da Henry Ford per produrre automobile nelle sue
fabbriche di Detroit. Era nato un nuovo modo di produrre, in grado di fornire
su vasta scala prodotti standardizzati: la produzione di massa.
Il nuovo modo di produrre rimbalzò al mercato, rendendo possibile i consumi di
massa. La produzione industriale, dovendo soddisfare le esigenze di un mercato di
vaste dimensioni, fu affidata a fabbriche e ad aziende sempre più grandi. Quelle più
forti cominciarono ad assorbire le più deboli all'interno di vaste concentrazione
industriale (i trust); inoltre, imprese che operavano nello stesso ramo produttivo
pensa accordi (i cartelli), per eliminare la concorrenza, stabilendo i prezzi delle
merci o spartendosi quote di mercato. Le industrie maggiori, che tendevano a
controllare in esclusiva interi settori dell'attività produttiva, furono dette Monopoli.
Si aggiunsero nuove potenze economiche come la Svezia, la Norvegia, la
Finlandia, l'Italia, il Giappone, la Russia, l'Olanda e l'Ungheria. L'Olanda completò
l'occupazione dell'Indonesia. Il Portogallo estese il proprio controllo all'Angola e al
Mozambico. L'Inghilterra si impadronì dell'Egitto, del Sud, del Kenya, della
Rhodesia, del Sudafrica e della Nigeria. La Francia occupò la penisola indocinese.
Il Belgio si impadronì del Congo, la Germania del Camerun e del Tanganica. La
Russia estese il suo dominio in Asia centrale. L'Italia occupò l'Eritrea, la Somalia e
più tardi la Libia. Il Giappone estese la sua influenza alla Cina settentrionale e alla
Corea, e per questo si scontrò con la Russia.
Nel 1877 la regina Vittoria si proclamò imperatrice delle Indie. Da questo evento
possiamo far derivare il termine imperialismo, con cui i contemporanei definirono
l'espansione europea della fine dell'800. Si trattava di un fenomeno nuovo,
l'iniziativa fu presa direttamente dagli Stati che si sostituirono alle compagnie di
sfruttamento e ai privati, determinando la totale adesione giuridica e amministrativa
dei territori dominati.
Subentrarono quindi le istituzioni statali, come eserciti, funzionari ministeriali,
burocrati, e insieme a loro arrivarono anche ondate di colori bianchi, che si
insediarono stabilmente. Un flusso continuo di materie prime fu convogliato dai
paesi colonizzati verso le fabbriche europee, alimentando la spinta alla produzione
di massa.
Le conquiste furono definite guerre asimmetriche, sia per quanto riguarda la
sproporzione della quantità dei mezzi bellici impiegati dagli opposti schieramenti,
sia per quello del numero dei morti e delle perdite accusate da uno solo dei
contendenti. Gli eserciti europei si scontrarono con deboli forze irregolari, inferiori
per armamento, disciplina e organizzazione. Il Sudan quando tentò di sfidare gli
inglesi, fu sterminato da cannoni, fucili a ripetizioni e proiettili dum-dum. Altri casi di
ribellione furono stancati dai tedeschi nella Namibia: la repressione assunse tratti di
un vero e proprio genocidio. Solo in due casi gli scontri si svolsero su un piano di
relativa parità configurandosi come guerre simmetriche. Il primo fu la guerra che si
svolse in Sudafrica tra gli inglesi e i Boeri, i contadini olandesi già insediati da secoli
in quelle regioni. I boeri furono sconfitti, si avviò una politica di integrazione dei
coloni inglesi e dei Boeri, a danno della maggioranza nera e asiatica della
popolazione. Il secondo conflitto si svolse in Asia, dove si scontrarono Giappone e
Russia, poiché entrambi avevano come obiettivo il dominio della Manciuria e della
Corea. I russi ebbero la peggio e questa fu la prima sconfitta di una potenza
europea in uno scontro con uno stato asiatico.
Ci furono anche altri conflitti minori, come quello che oppose gli Stati Uniti alla
Spagna la quale, sconfitta, fu costretto a ritirarsi dalla sua ex colonia di Cuba e a
cedere le Filippine agli americani.
Una delle differenze tra il vecchio colonialismo ottocentesco e il nuovo imperialismo
fu l'invenzione di Stati nazionali in territori come quelli africani. Lo Stato liberale
ottocentesco, fondato sul principi ideologici del liberalismo, era definito dalle
seguenti caratteristiche: un territorio omogeneo racchiuso all'interno di confini
naturali e geografici facilmente riconoscibili , una sovranità accettata da tutti gli altri
paesi della comunità internazionale , una dimensione abbastanza vasta da
permette uno sviluppo economico autonomo, un'unica Costituzione e norme
giuridiche valevoli per tutti i cittadini e la possibilità di vedere tutelati i diritti civili e
politici fondamentali. Con l'eccezione degli Stati Uniti, gli stati di questo genere
esistevano solo in Europa. Il modello europeo era anche quello più adatto a
promuovere lo sviluppo del capitalismo industriale. La crescita del capitalismo
procedeva attraverso grandi balzi in avanti, seguiti periodicamente da crisi
rovinose, causate dallo squilibrio tra la quantità dei beni prodotti (l'offerta) e la
capacità del mercato di assorbirli (la domanda): quando l'offerta supera va la
domanda si verificava una crisi di sovrapproduzione. La più grave fu la Grande
Depressione, che ebbe inizio nel 1873 fino alla metà degli anni 90. Alle difficoltà del
settore industriale si aggiunsero gli effetti della crisi che investì l'agricoltura
europea. Il grano proveniente da grandi paesi cerealicoli extraeuropei, soprattutto
gli Stati Uniti, invase i mercati del Vecchio Continente. Ci fu un eccesso di offerta
che provocò un catastrofico ribasso dei prezzi. A risentirne furono soprattutto i
paesi con un'economia prevalentemente agricola e per moltissimi contadini l'unica
scelta possibile fu quella dell'emigrazione. Per fronteggiare gli effetti della crisi la
Germania e l'Italia adottarono tariffe doganali altissime, in modo da impedire
l'afflusso di merci straniere sul mercato interno e proteggere così i prodotti
nazionali. Queste furono le basi del protezionismo. Gli stati si faceva carico
direttamente dei problemi dell'economia e fu così che per alcune industrie e per
alcune attività di servizio pubblico si iniziarono esperimenti di gestione diretta da
parte dello Stato. Il gigantismo delle nuove fabbriche aveva scaraventato masse
enormi di uomini e donne nel mercato del lavoro. Diventarono di massa i consumi, i
mezzi di comunicazione e la guerra. Il secolo che è alle porte si annunciava come il
secolo delle masse. E anche la partecipazione politica non poteva più essere
riservata alle ristrette élite sociali del vecchio Stato liberale. Dopo il 1870 diventò
sempre più chiaro che la democratizzazione della vita politica era inevitabile e in
questo senso si parla di massificazione della politica.
Furono introdotte nei principali paesi europei nuove legge elettorali finalizzate ad
ampliare il diritto di voto. Nacquero i partiti politici di massa portatori di un'unica
ideologia, di un progetto generale per il governo, di un programma politico esplicito
e facilmente riconoscibile. Del processo di allargamento furono protagoniste anche
le donne del movimento suffragiste e le iniziative promosse dal loro movimento, in
Inghilterra guidato da Emmeline e Pankhurst. La lotta si conclude vittoriosamente
negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale. Nel 1918 la Gran
Bretagna concesse il diritto di voto alle donne sposate di età superiore ai 30 anni.
In Francia e in Italia per il suffragio esteso a tutte le donne maggiorenni bisognò
attendere il 1946.
Per la prima metà dell'Ottocento, l'amore per la patria aveva coinciso con il
rafforzamento dei legami di solidarietà tra i cittadini. Dopo il 1870 questo tipo di
patriottismo lasciò il posto alla sua variante molto diversa, il nazionalismo, in cui
l'amore per la propria patria era strettamente unito alla avversione per la parte degli
altri. A determinare questo cambiamento contribuì la competizione imperialista che
si scatenò tra le grandi potenze. Si trattò di un ideologia aggressiva. Il nazionalismo
divenne un ingrediente fondamentale dell'ideologia delle destre, che utilizzarono
valori come quelli della patria o della bandiera nazionale come armi da brandire
contro i vari politici o contro gli stranieri a favore dell'espansione aggressiva del
proprio stato. Questa ideologia trovò un consenso diffuso in particolare tra gli strati
medi della società, i piccoli borghesi, ovvero sui commercianti, sugli artigiani
autonomi e su parte degli agricoltori, minacciati dalle crisi e spaventati da uno
sviluppo industriale che rischiava di tagliarmi fuori dal progresso e dalla ricchezza.
Si diffuse un forte movimento antisemita verso gli ebrei non tanto per la loro
religione ma per il loro status sociale, il loro essere banchieri o commercianti.
Emblematico di questo clima fu il cosiddetto affare Dreyfus. Dopo un processo fu
deportato all'isola del diavolo, l'opinione pubblica si spaccò in due: per i suoi
avversari fu l'occasione per scatenare una furibonda campagna antisemita, con toni
razzisti; per i suoi sostenitori Dreyfus era vittima di un complotto delle gerarchie
militari e tutta la Francia democratica aveva l'obbligo morale di schierarsi al suo
fianco. Il nuovo capo dei servizi francesi scoprì la montatura e Dreyfus fu
nuovamente processato e ancora riconosciuto colpevole, ma fu subito graziato dal
Presidente della Repubblica francese. Dopo la Grande Depressione molti contadini
e artigiani diventarono operai.
La culla del sindacalismo fu l'Inghilterra. Qui i sindacati (Trade Unions) avevano
ottenuto uno status giuridico e privilegi eccezionali. Quando il porto di Londra fu
paralizzato per oltre un mese da un grande scontro sindacale, la Union dei Dockers
uscì con una clamorosa vittoria. Nel decennio successivo l'arma dello sciopero si
rilevò decisiva per la crescita della forza delle organizzazioni sindacali. I primi partiti
operai apparve a partire dagli anni 70, ma erano strutture ancora deboli, fatta
eccezione per il Partito socialdemocratico tedesco (SPD). Intorno al 1890 anche gli
altri partiti conobbero una fase di grande sviluppo e in buon numero i socialisti
entrarono per la prima volta nei parlamenti di vari paesi europei. Con l'intento di
fissare gli obiettivi generali del movimento operaio e di coordinare le lotte per
aggiungerli, fu costituita la Seconda Internazionale socialista, in cui la
socialdemocrazia tedesca ebbe un ruolo decisivo riuscendo a unificarne il
programma e l'elaborazione teorica e creando una piattaforma comune in cui si
riconobbero tutti gli altri partiti nazionali. Così, se l'Inghilterra fu la culla sindacale
del movimento operaio, la Germania fu quella politica. In Inghilterra un partito
operaio nacque tardi rispetto agli altri paesi industrializzati e non si chiamò
socialista, ma laburista. Tranne che in Inghilterra, i partiti operai si chiamarono
dunque socialisti o socialdemocratici.
L'anarchismo era l'altra grande corrente ideologica presente nel movimento operaio
in cui si rifiutava ogni forma di organizzazione. Divennero forti in Russia, in Italia e
soprattutto in Spagna. All'interno del socialismo stesso si verificò una frattura: da un
lato chi teorizzava un percorso concentrato sulla difesa dei diritti e delle condizioni
dei lavoratori all'interno delle strutture del capitalismo attraverso riforme immediate;
dall'altro un progetto rivoluzionario, non più finalizzato a ottenere solo le libertà
costituzionali, e quindi l'uguaglianza di fronte alla legge, ma la fine dello
sfruttamento, e perciò l'uguaglianza di fatto.
Anche le classi rurali furono coinvolte nel processo di massificazione della politica,
dando vita a partiti cattolici di massa. Fu significativa la nascita del modernismo,
una contestazione teologica, filosofica e politica dell'ortodossia cattolica. Il
movimento fu condannato nel 1907 da Pio X. In Italia fu presente un componente
sociale che si poneva dichiaratamente in contrasto con il socialismo sul piano
dell'organizzazione del movimento operaio. Ebbe come protagonisti Don Luigi
Sturzo e Romolo Murri, un sacerdote che venne scomunicato da Pio X. Essi
sostenevano la necessità di un impegno forte e coerente dei cattolici nella vita
politica, fino a immaginare la formazione di un partito che avrebbero voluto
chiamare della Democrazia Cristiana. Pio IX nel 1860 aveva condannato tutto ciò
che era moderno, critica quindi i socialisti ma anche l'eccesso del capitalismo, che
porta alla distruzione della famiglia e alla schiavizzazione dell'uomo. Questa la
base della dottrina cattolica per tutto il Novecento.
Papa Leone XIII scrisse il rerum novarum nel 1891 in cui indicava nella
composizione pacifica dei conflitti di lavoro la strada per evitare la lotta di classe, le
lotte sociali, le tentazioni rivoluzionare che serpeggiavano tra le masse operaie.
Criticava sia il capitalismo, per la sua egoistica ricerca del profitto e della ricchezza,
sia il socialismo, per la sua avversione alla proprietà privata di cui si ribatteva
l'intangibilità. Era necessaria la condivisione tra operai e padroni dei problemi e
delle responsabilità.
Nei paesi industrializzati il vero grande fenomeno culturale di quegli anni fu lo
sviluppo dell'istruzione popolare. La scuola era intrisa di razionalismo e di fede nel
progresso, che nella scienza indicava la strada maestra per emanciparsi dalla
Chiesa, identificata con il mondo della superstizione e dell'oscurantismo. Il
progresso e il benessere economico apparvero strettamente collegati con lo
sviluppo scientifico. Ad alimentare la fiducia nella scienza contribuirono i successi
riportati contro le malattie. L'espressione di questo clima fu il positivismo, una
corrente di pensiero che attribuiva il valore alla scienza come sapere certo e la
collocava alla base del progresso. Nascono l'economia, la sociologia e la
demografia. La figura centrale del positivismo fu Darwin che fece le teorie
sull'evoluzione della specie nel 1850. Le specie si evolvono in base alla selezione
naturale dei principi che rendono la specie più adatta alla sopravvivenza.
Ci fu un lungo periodo di pace, la belle époque, che durò dal 1870, in cui ci fu
l'ultima guerra franco prussiana, fino al 1914. Un accordo stipulato da Bismarck tra
le grandi potenze regolava pacificamente le questioni internazionali. L'unico vero
focolaio di tensione fu la cosiddetta questione d'Oriente, legato all'impero ottomano,
l'unico territorio europeo dove si registrarono dei conflitti. I conflitti armati si
susseguirono sia per la debolezza dell'impero ottomano, sia per la concorrenza tra
Russia e Austria, entrambe smanioso di estendere la propria egemonia e di
sostituirsi alla potenza turca, la prima intendeva conquistare uno sbocco al mare
sugli stretti dei Dardanelli e del Bosforo, la seconda voleva espandersi
finanziariamente e avere commercio nei Balcani. Bismarck per preservare
l'equilibrio europeo fece il Congresso di Berlino nel 1878, convocato per affrontare
la crisi innescata dalla guerra tra Russia e Impero Ottomano. Lo zar, essendo
uscito vincitore dal conflitto aveva imposto agli Ottomani un trattato di pace che
prevedeva condizioni estremamente favorevole per le ambizioni russe e quindi
allarmanti per le altre potenze europee. Il cancelliere tedesco appoggiò Vienna
contro San Pietroburgo, il congresso ridimensionò le protese territoriali della Russia
(Bessarabia e Armenia), fornì compensi territoriali a Londra (Cipro) e Parigi
(Tunisi). Le grandi potenze disegnarono in oltre i confini della Bulgaria, facendo
nascere uno stato nazionale ben poco omogeneo. Inoltre, il Congresso sancì
l'indipendenza di Romania, Serbia e Montenegro e stabilì che la Bosnia e
l'Erzegovina fossero provvisoriamente affidate all'amministrazione dell'Impero
Austriaco.
Non era stato solo il consolidarsi di due fronti contrapposti (Triplice alleanza e
Triplice Intesa) a logorare il sistema di equilibrismo bismarckiano, ma era stato lo
sviluppo del capitalismo a spingere in inevitabilmente il mondo nella direzione di
una accentuazione delle rivalità statali, dell'espansione imperialistica, del conflitto e
della guerra.

Età giolittiana
Anche l'Italia fu coinvolta nelle trasformazioni avviate dalla seconda rivoluzione
industriale tra il 1896 è il 1908, ebbe come protagoniste le industrie meccaniche. La
rete dei trasporti migliorò non solo nelle città. Lo sviluppo ferroviario riguardò in
particolare le coste Tirrenica e Adriatica dove sorsero nuovi nuclei urbani, nuovi
commerci e i primi decenni del turismo di massa. Lo spazio cittadino si affolò anche
di ritrovi. L'automobile era un bene di lusso, per muoversi si ricorreva soprattutto
alla bicicletta, nacque il Touring Club Ciclistico italiano che organizzò il primo Giro
d'Italia. Nel 1911 la gestione delle scuole primarie, in precedenza affidata alle
amministrazioni comunali, fu presa in carica dello Stato. L'ingresso delle masse nel
mondo della produzione industriale coincise con un complessivo aumento della
consapevolezza dei propri diritti civili, che si tradusse in una forte spinta alla
partecipazione politica e alla vita democratica. Questa fase corrispose all'età
giolittiana.
Giolitti durante il governo di Zanardelli mise fine alla cosiddetta crisi di fine secolo.
Di fronte alla protesta, Giolitti, che come primo ministro degli Interni era
responsabile dell'ordine pubblico, elaborò una strategia politica fondato su
l'imparzialità del Governo di fronte alle controversie economiche tra lavoratori e
imprenditori; sul dialogo con le associazioni dei lavoratori; sulla repressione dei
moti non organizzati dai sindacati e sugli accordi parlamentari con i socialisti e i
cattolici. Lo Stato, insomma, doveva garantire il libero svolgimento della lotta
sindacale, limitandosi a reprimere la violenza e gli eccessi. Sul piano legislativo
comportò l’abolizione di ogni restrizioni alla libertà di organizzazione e di azione
politica e il varo di una serie di provvedimenti di garanzia e di tutela per il mondo
del lavoro (assicurazione contro gli infortuni, previdenza per la vecchiaia e la
maternità, innalzamento dell'età minima per l'ingresso nel mondo del lavoro).
Giolitti, inoltre, si impegnò per allargare la partecipazione politica. Una nuova legge
elettorale del 1913, estese il voto a tutti i cittadini maschi, anche ai nullatenenti e
agli analfabeti, purché avessero compiuto 30 anni e svolto il servizio militare.
Giolitti al Sud trascurò le esigenze delle masse contadine diseredate. Numerosi
intellettuali si interrogarono in quella fase sulla cosiddetta "questione meridionale".
Alcuni invocavano anche per il Meridione l'avvio di un processo di
industrializzazione, altri chiedevano all'opposto una riforma agraria in grado di
valorizzare la vocazione agricola.
Giolitti tentò di usare una spedizione militare per allentare la pressione dei propri
oppositori e per incanalare verso un nemico esterno le tensioni accumulatesi. La
guerra contro l'impero ottomano alla conquista della Libia durò un anno e si
concluse vittoriosamente con la pace di Losanna, che riconosceva all'Italia il
possesso oltre che della Libia, anche delle isole di Rodi e del Dodecaneso. Tra i più
accesi sostenitori della guerra ci furono i principali esponenti del mondo degli affari
industriali e finanziari. A spingere Giolitti erano stati soprattutto i nazionalisti, che
avevano come punto di riferimento Gabriele D'Annunzio. I loro motivi ispiratori
oscillavano tra la nostalgia per il mondo preindustriale e rurale e lo spirito di netta
rottura con il passato che animava il futurismo. I nazionalisti auspicavano alla
formazione di una nuova Élite politica che avrebbe dovuto garantire una guida
solida e autoritaria; inseguivano un modello raccolte intorno al concetto di nazione.
Tale modello presupponeva il conflitto dall'interno all'esterno del paese. Il modello
di società ruotava attorno al concetto di nazione: doveva essere compatta al
proprio interno e capace di unire in un unico blocco tutte le classi sociali,
proponendo come obiettivo comune la grandezza e la prosperità delle Italia. A
sinistra c'era il Partito Socialista con la leadership di Filippo Turati, in cui era
prevalsa una concezione sostenuta anche dalla maggioranza del movimento
sindacale CGDL, fondata sul presupposto che in Italia esistesse una borghesia
moderna con la quale ci si poteva alleare per attuare una politica di riforme. Di
parere opposto erano le correnti del sindacalismo rivoluzionario, guidate da
Labriola. Nel luglio 1912 si arrivò allo scontro tra i leader riformista, Bissolati, e
quello rivoluzionario, Benito Mussolini. L'estremismo di Mussolini prevalse
privilegiando una linea politica centrata sulla pratica dell'azione diretta e dello
sciopero generale, in toni sempre più violenti. Al centro si era consolidata una forte
rappresentanza politica del mondo cattolico. In precedenza il Non Expedit aveva
impedito la partecipazione dei cattolici alla vita politica del nuovo Stato unitario. Poi
con l'allargamento della partecipazione politica il loro impegno crebbe. Era una
scelta centrista che privilegiava i soggetti esclusi dalle due gradi forze su cui si
fondava il compromesso giolittiano, il proletariato industriale e la borghesia
imprenditoriale. All'opera di Giuseppe Toniolo, il principale sostenitore, si affiancò
l'enciclica di Leone XIII, il Rerum novarum che, criticando sia il capitalismo sia il
socialismo, incoraggiava l'impegno sociale dei cattolici e l'associazionismo operaio.
Nacque l'Unione elettorale cattolica. Il progetto giolittiano poteva funzionare solo
attraverso una pace. Ma ormai le forze politiche più rilevanti si ponevano tutte al di
fuori del sistema giolittiano. Il Patto Gentiloni avevo offerto il voto dei cattolici in
funzione antisocialista a quei candidati che ci fosse impegnati a salvaguardare in
Parlamento le posizioni della Chiesa in materia di istruzione e dei diritti civili.
Svaniranno i termini politici del compromesso giolittiano, tanto che le dimissioni di
Giolitti furono l'epilogo. Il nuovo capo del governo, fu Salandra nel 1914, era un
liberale di destra.

Crispi e Giolitti
A favore dei datori di lavoro A favore dei lavoratori
Manda l'esercito contro i lavoratori che chiedevano più libertà Dialogo tra lavoratori
Reprime tutte le rivolte Reprime solo i moti non organizzati dai partiti
Fa erigere statua a Giordano Bruno per dispetto al Vaticano (la Chiesa aveva
condannato Giordano Bruno) Accordi parlamentari con cattolici e socialisti
Le cause della guerra furono:
- il nazionalismo che aveva infilato una marcata aggressività verso
l'esterno
- il positivismo e le scoperte scientifiche che avevano incubato i germi del
razzismo e della xenofobia
- la libera concorrenza che aveva prodotto l'esaltazione della competizione
economica
- le innovazioni della seconda rivoluzione industriale che avevano messo a
punto le prime armi di distruzione di massa
- lo Stato che era intervenuto nell'economia e aveva dilatato le spese
militari
In Germania quando nel 1888 salì al trono il nuovo imperatore Guglielmo
II, la carriera politica del cancelliere Bismarck si concluse e le forze
Imperialiste (grandi proprietari terrieri prussiani, la monarchia, l'esercito è
il corpo diplomatico), trovarono il proprio punto di raccordo nel
pangermanesimo, cioè nel progetto della creazione di una grande
Germania, capace di stendere i propri confini fino a contenervi tutti i
popoli tedeschi sparsi per l'Europa. Gli storici ritengono che la rivalità tra
Germania e Gran Bretagna è la vera causa scatenante del conflitto. C'era
anche quella tra Francia e Germania, che risaliva al contenzioso sui
territori dell'Alsazia e della Lorena, passati ai tedeschi dopo la sconfitta
francese del 1870; a sua volta era rilevante i contrasti tra l'Austria-
Ungheria e la Russia, entrambe ansiose di acquisire una maggiore
influenza nei Balcani. Si tratta però di conflitti in grado di dare vita a crisi
regionali e non è una conflagrazione mondiale. L'Inghilterra aveva assunto
una posizione difensiva, che mirava a preservare la sua leadership
mondiale. L'aspirazione della Germania era quella di diventare una
potenza globale, dotata di una flotta in grado di garantire un solido
dominio internazionale. Dal punto di vista inglese, pertanto la costruzione
di una flotta tedesca era una minaccia diretta poiché il controllo degli
oceani era una risorsa strategica vitale per la Gran Bretagna. Le rivalità tra
le potenze inglesi e tedeschi si manifestarono nelle numerose crisi che
investirono il sistema politico, in particolare in occasione delle due crisi
marocchine del 1906 e del 1911. La Germania aveva infatti avanzato
pretese sul Marocco, scontrandosi con le analoghi aspirazione francesi. La
conferenza di Algeciras indusse i tedeschi a rivedere i loro propositi. Nel
1911 quando inviarono una loro cannoniera a impadronirsi del porto
marocchino di Agadir, i tedeschi furono nuovamente costretti a ritirarsi,
anche questa volta per il fermo intervento degli inglesi schierati al fianco
della Francia. A rendere ancora più incandescente la situazione,
intervennero anche le crisi interne e i moti rivoluzionari che squassarono
paesi come l'impero ottomano e la Russia. L'impero Ottomano fu scosso
dall'ascesa dei Giovani Turchi, guidati da Mustafa Kemal detto Ataturk, un
militare che rappresentò l'emblema della modernizzazione del mondo
arabo. I Giovani Turchi era un movimento politico costituito da
intellettuale militari che si adoperarono per rafforzare l'esercito e
promuovere lo sviluppo economico. Nel 1908 organizzarono un
un'inserzione militare ottenendo un regime costituzionale e una crescente
influenza all'interno del governo. Tutti si affrettano ad approfittare della
crisi turca: l'Austria-Ungheria decise di annettere al proprio territorio la
Bosnia-Erzegovina, questo passo creò lo scontento della Serbia e della
Russia; Creta fu annessa alla Grecia e la Bulgaria ottenne l'indipendenza.
In seguito alla sconfitta nella guerra con l'Italia, l'impero ottomano fu
costretto a cedere anche la Libia e il Dodecanneso (1912). La Serbia, la
Bulgaria, la Grecia e il Montenegro si allearono militarmente contro il
governo turco, l'impero ottomano fu sconfitto e dovette abbandonare tutti i
suoi territori dei Balcani. Nel 1913 una nuova guerra oppose la Bulgaria
alla Serbia, alla Grecia, alla Romania, al Montenegro e all'impero
ottomano, con la sconfitta della Bulgaria.
Le crisi internazionali e le crisi interne si fusero insieme. Con i moti
rivoluzionari del 1905 ci fu il prologo della grande rivoluzione russa del
1917. L'impero zarista era una grande potenza per tre motivi: la vastità del
territorio, il numero degli abitanti e la forza militare. I contadini erano
oppressi da tasse elevate e dalla povertà, erano organizzati in comunità di
villaggio (mir), che amministravano i terreni agricoli dividendoli in quote
tra le famiglie dei coltivatori, ma la terra a disposizione era poca e le tasse
non si poteva evadere. Durante il regno degli Zar Alessandro III e Nicola
II (fucilato dai rivoluzionari) fu questo il flusso di denaro ad alimentare lo
sviluppo industriale. Durante il regno dello zar Alessandro II era stata
avviata una cauta liberalizzazione, il cui principale risultato era stato
l'abolizione della servitù della gleba, tuttavia malgrado la diffusione nel
paese di ideali liberali la Russia conserva un regime politico autocratico e
reazionario. Anche in Russia cominciarono ad affermarsi i primi partiti
politici: il partito costituzionale Democratico, rappresentava la borghesia e
nobili progressisti, i socialisti rivoluzionari, promotori di rivolte contadine
con il frequente ricorso a metodi terroristici, i socialisti di ispirazione
marxista, confluiti nel partito socialdemocratico con un forte seguito tra gli
operai industriali. Nel 1905 l'umiliazione per la guerra contro il Giappone
fece precipitare i motivi protesta, che iniziano con la domenica di sangue.
Lo zar stretta concedere alcune riforme: fu istituito un Parlamento, la
Duma, furono concesse libertà politiche e civili. Il primo ministro Stolypin
fece una riforma agraria, che prevedeva la frantumazione del mir; li mette
in vendita e così solo i contadini più ricchi le possono comprare. Nasceva
così un ceto di contadini ricchi (kulaki) con una mentalità imprenditoriale
dinamica, ma politicamente conservatrice. Per rafforzare il proprio potere,
lo zar alimentò inoltre una rinascita del nazionalismo, puntando
sull'esercito anche per recuperare il prestigio perduto dalla guerra contro il
Giappone. L'Austria-Ungheria, schierata a fianco dei progetti
espansionistici della Germania, era scossa da tensioni nazionalistiche e
dalla rivalità tra i due gruppi egemoni, tedeschi contro magiari, e dei
contrasti politici, che contrapponevano i cattolici ai socialisti. Il paese
restava essenzialmente rurale, soprattutto nella parte ungherese. Una
politica di modernizzazione aveva avviato una serie di riforme: alcune
misure di legislazione sociale e il suffragio universale maschile. Gli Usa a
partire dalla fine della guerra civile (1865) erano stati attraversati da uno
sviluppo impetuoso che li portarono ad essere i primi produttori di ferro,
carbone, petrolio, rame e argento. L'espansione verso ovest era proseguita
grazie alla rete ferroviaria che superava per estensione quella di tutti i
principali paesi europei messi assieme. Gli Stati Uniti potevano usufruire
delle risorse di immigrazione massiccia. L'economia era rurale, ma si
trattava di un'agricoltura in grado di creare un enorme ricchezza poiché
poteva utilizzare tecnologie avanzate. Gli Stati Uniti acquisirono l'Alaska
dalla Russia, ci fu l'annessione delle isole Hawaii, conquistò le Filippine,
dove costruirono un protettorato, il conflitto con la Spagna portò al
controllo di Cuba, che rimase indipendente, e alla conquista di Portorico e
dell'isola di Guam nel Pacifico. Il Giappone era stato escluso dalla prima
rivoluzione industriale, fu però coinvolto nella seconda perché poté
attingere dalla manodopera a basso costo. Nell'era meiji una serie di
riforme investirono le istituzioni come la pubblica amministrazione, la
scuola e l'esercito. Ad alimentare la modernizzazione fu l'incremento della
produzione agricola, seta e riso divennero i settori portanti
dell'esportazione, consentendo di ricavare le risorse finanziarie per creare
le nuove attività produttive necessarie allo sviluppo del Paese. Nel 1880
furono i grandi gruppi economici privati, gli Zaibatsu, a controllare una
miriade di filiali industriale finanziarie, guidata da un Consiglio Direttivo
formato dei membri delle famiglie fondatrici. Con gli Zaibatsu si
svilupparono le industrie pesanti, meccaniche e minerarie che
contribuirono ad attribuire un carattere puramente autoritario al regime
politico. Il suffragio era estremamente distretto. L'imperatore conservava i
poteri illimitati e le caste militari restavano indipendenti dall'autorità
politica. Costruì un'imponente flotta da guerra, e a farci le spese furono la
Cina e la Russia.
Il 28 giugno 1914 a Sarajevo, nel cuore della Bosnia, lo studente serbo-
bosniaco, Gavrilo Princip, uccise l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al
trono austriaco. L'Austria inviò alla Serbia una dura nota di protesta che
esigeva la fine della propaganda antiaustriaca, l'arresto di alcuni sospetti, la
partecipazione di propri poliziotti alle indagini sull'attentato. Poi
nonostante la Serbia avesse accettato buona parte di quelle richieste, il 28
luglio dichiarò la guerra. Seguì una reazione a catena:
- la Russia, tradizionale protettrice dei Servi, ordinò la mobilitazione
generale, e fu imitata il giorno dopo dalla Germania e dell'Austria -
Ungheria
- la Russia dichiarò guerra agli imperi centrali (Germania e Austria-
Ungheria)
- la Germania dichiarò a sua volta guerra alla Francia
- la Gran Bretagna entrò in guerra a fianco della Francia della Russia
I duellanti iniziali erano dunque gli Imperi Centrali (Germania e Austria-
Ungheria) contro le potenze della Triplice Intesa (Russia, Francia e Gran
Bretagna). Nel 1914 entrò in guerra il Giappone a fianco dell'intesa e
l'Impero Ottomano a sostegno degli Imperi Centrali, nel 1915 Italia si
schierò con l'intesa e sul fronte opposto la Bulgaria, nel 1916 la Romania,
gli Stati Uniti, la Grecia e la Cina si allearono all'intesa.
In Europa i fronti principali della guerra furono quello occidentale, dove
combatterono i tedeschi contro i francesi e gli inglesi e quello orientale,
dove si affrontano la Germania e l'Austria - Ungheria da una parte, la
Russia e la Serbia dall'altra. Con l'ingresso in guerra di altre potenze, altri
fronti furono aperti. Con l'intervento italiano fu creato contro l'Austria un
fronte meridionale. I fronti di guerra si estesero anche agli oceani, la Gran
Bretagna si impegnò per bloccare i rifornimenti marittimi agli imperi
centrali e ciò culminò con la dichiarazione da parte della Germania della
guerra sottomarina illimitata. Per la prima volta nella storia le operazioni
belliche venivamo estese a tutti i continenti. Sul fronte occidentale si
cominciò a sparare. Per evitare di essere impegnato su due fronti, la
Germania attaccò immediatamente la Francia per approfittare dei tempi
lunghi di mobilitazione dell'esercito russo. Il piano Schlieffen, predisposto
dal capo di stato maggiore tedesco, prevedeva l'invasione della Francia
passando per il Belgio e Lussemburgo. I due piccoli stati erano neutrali,
ma questo non impedì ai tedeschi di occuparli, in aperta violazione
del diritto internazionale. L'offensiva tedesca si arrestò soltanto sul fiume
Marna. Nel 1914 il fronte si stabilizzò lungo una linea chilometrica di
trincee e di filo spinato, esteso del canale della Manica alla Svizzera.
Anche sul fronte orientale l'iniziativa dell'attacco fu presa dai tedeschi, che
registrarono due importanti vittorie contro l'esercito russo nelle battaglie di
Tannenberg e dei laghi Masuri. I russi invece sconfissero gli austriaci in
Galizia. Nel 1915 dalla Galizia parti un'offensiva dagli Imperi Centrali che
costrinse l'esercito russo ad arretrare. Il cedimento non si trasformò in
crollo e anche questo fronte si stabilizzò. La Serbia, rimasta sola,
accerchiata dalla Bulgaria e dall'Austria, fu travolta, poi toccò alla
Romania. Alla fine del 1916 nessuno dei due schieramenti in campo aveva
conseguito una vittoria decisiva. Allo scoppio della prima guerra mondiale
l'Italia era ancora legata agli imperi centrali della Triplice Alleanza. La
formulazione però avevo un valore esclusivamente difensivo, tale cioè da
far scattare la sua applicazione solo in caso di aggressione militare ai danni
di uno dei suoi contraenti da parte di un altro Stato. Nel momento in cui si
accese la Grande Guerra, poiché era stata l'Austria a dichiarare guerra alla
Serbia, prima l'Italia si proclamò neutrale, poi arrivò un clamoroso
rovesciamento delle alleanze che la portò a schierarsi contro la Germania e
l'Austria - Ungheria. Tutti i governi delle potenze in lotta avevano avuto il
consenso dei socialisti e dei borghesi. In Italia invece, i socialisti erano
contrari e la borghesia era divisa tra quanti volevano schierarsi contro
l'Austria e coloro che non volevano l'entrata in guerra. I neutralisti
rappresentavano un vasto stiramento politico, in cui erano confluiti i
liberali giolittiani, i socialisti e la maggioranza dei cattolici, mentre ad
affollare il fronte opposto, quello interventista, si trovavano sindacalisti
rivoluzionari, nazionalisti, liberali di destra che avevano in Salandra un
punto di riferimento, democratici, irredentisti (coloro che rivendicavano
l'annessione all'Italia dei territori sottoposti all'Austria-Ungheria, il
Trentino e la Venezia Giulia) e gli ambienti giornalistici legati al più
importante quotidiano italiano, il Corriere della Sera. A sostegno della
guerra, dopo un'iniziale neutralismo, si schierò anche Benito Mussolini. I
neutralisti avevano la maggioranza in Parlamento, ma gli interventisti
erano in grado di accendere le passioni delle piazze. Colloqui segreti
portarono alla firma del Trattato di Londra, stipulato all'insaputa del
Parlamento: l'Italia si impegnava ad entrare in guerra entro un mese in
cambio del Trentino e dell'Alto Adige, della Venezia Giulia, dell'Istria, di
buona parte della Dalmazia, di Valona e delle isole del Dodecaneso. Le
truppe italiane iniziarono le ostilità contro l'esercito austro-ungarico il 24
maggio 1915. Il piano offensivo del generale Cadorna si basava sul
tentativo di forzare lo sbarramento austriaco, aprirsi la strada verso i
Balcani e il Mediterraneo e porre quindi le premesse territoriali per la
trasformazione dell'Italia in una grande potenza. Gli assalti ottennero
scarsissimi risultati, lentamente il fronte si stabilizzò e la guerra si
trasformò in una guerra di posizione e di trincea. Nel Medio Oriente per
indebolire la resistenza dell'Impero Ottomano, la Gran Bretagna e la
Francia promisero l'indipendenza ai popoli arabi promuovendo una vasta
guerriglia antiturca. Queste promesse però non erano del tutto sincere.
Gran Bretagna, Francia, Russia e Italia si accordarono infatti segretamente
per spartirsi i territori dopo la guerra: l'Iraq sarebbe andato alla Gran
Bretagna, la Siria alla Francia, Costantinopoli e gli stretti alla Russia,
Smirne all'Italia. Con la Dichiarazione Balfour il governo inglese fece
balenare agli ebrei sionisti la possibilità di avere una loro sede nazionale in
Palestina. I giovani turchi avevano l'obiettivo di costruire uno Stato
etnicamente omogeneo, non lasciando spazio alle minoranze nazionali. La
prima guerra mondiale offrì ai giovani turchi la possibilità di portare a
compimento questo progetto, di questo genocidio furono le vittime più
numerose gli armeni.

Una metropoli (in greco antico μήτηρ = madre e πόλις = città/popolazione) è


una città di grandi dimensioni con più di 1 milione di abitanti con un'area
comunale fortemente popolata, centro economico e culturale di una regione o
di un Paese, e spesso nodo di comunicazioni internazionali.
Nell'antica Grecia il termine veniva usato nelle colonie per riferirsi alla città da
cui erano partiti i fondatori, dal tempio della quale era stato portato il fuoco
sacro che avrebbe arso nel primo dei templi edificati. Successivamente,
in latino la parola venne a designare il capoluogo di una provincia o di
un'arcidiocesi importante, sede di provincia ecclesiastica. [1]
Nell'uso moderno la parola può designare un'area metropolitana, un insieme
di città interconnesse con servizio di treni metropolitani intorno a un centro
maggiore. Il termine "metropolitano" significa dunque "che interessa l'intera
metropoli", "proprio della metropoli", in contrapposizione a ciò che è esterno,
provinciale.
In francese e portoghese la parola sta a identificare la porzione di territorio
del Paese sul continente europeo, in opposizione ai territori d'oltremare.
Nell'accezione comune è ritenuta metropoli una città con almeno un milione
di abitanti nell'area comunale.
Storia
La prima metropoli in tutta la storia fu di sicuro la Roma antica che superò, prima nella storia
umana e imbattuta fino alla Londra vittoriana, il milione di abitanti grazie agli schiavi e ai molti
provinciali che vi si trasferirono; le successive città di oltre un milione di persone furono il frutto
della rivoluzione industriale che portava gli abitanti delle campagne a trasferirsi in città. Le
metropoli odierne sono il frutto della terziarizzazione e della globalizzazione che si verificò
soprattutto nel terzo mondo. In Italia, dopo l'unificazione, la prima città a superare il milione di
abitanti è stata Napoli.

Metropoli d'Italia
In Italia sono tre le città con popolazione residente superiore al milione di abitanti (nella loro area
urbana): Roma, Milano e Napoli. Tale cifra però sarebbe ampiamente superata se nella loro area
amministrativa venissero inglobati i comuni limitrofi, fortemente conurbati coi due capoluoghi. Ciò
nonostante, le tre città italiane generalmente e storicamente considerate metropoli sono Roma,
Milano e Napoli. Di fatto la nozione di metropoli, come città di oltre un milione di abitanti, non
coincide con quella, più ampia, di città metropolitanacosì come contenuta nell'art. 114
della costituzione, che tiene conto di aspetti demografici, urbanistici e amministrativi. Sono dieci le
aree metropolitane statali individuate[2], più le quattro appartenenti alle regioni autonome
di Sicilia e Sardegna: i comuni
di Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Catania, Venezia, Mes
sina, Reggio Calabria e Cagliari insieme ai rispettivi insediamenti limitrofi, con cui intercorrono
rapporti di stretta integrazione territoriale e relativi ad attività economiche, servizi essenziali alla
vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali.

FISICA
Energie rinnovabili
Sono da considerarsi energie rinnovabili quelle forme di energia generate da fonti il
cui utilizzo non pregiudica le risorse naturali per le generazioni future o che per loro
caratteristica intrinseca si rigenerano o non sono "esauribili" nella scala dei tempi
"umani".
Le fonti di energia considerate rinnovabili (il sole, il vento, ecc...), il cui utilizzo
attuale non ne pregiudica la disponibilità nel futuro, e quelle non rinnovabili, le quali
sia per avere lunghi periodi di formazione di molto superiori a quelli di consumo
attuale (in particolare fonti fossili quali petrolio, carbone, gas naturale), sia per essere
presenti in riserve non inesauribili sulla scala dei tempi umana (e quindi il nucleare
con l'uranio-235), sono limitate nel futuro.Da questo punto di vista, l'inclusione o
meno di una particolare fonte, come la termovalorizzazione, è dunque soggetta a
molti fattori non necessariamente scientifici, creando di fatto situazioni di non
uniformità di giudizio tra i diversi soggetti interessati (ONG, governi,
amministrazioni locali).
Come già enunciato, non esiste una definizione univoca dell'insieme delle fonti
rinnovabili, esistendo in diversi ambiti diverse opinioni sull'inclusione o meno di una
o più fonti nel gruppo delle "rinnovabili". Secondo la normativa di riferimento
italiana, vengono considerate "rinnovabili":

- Energia idroelettrica;
- Energia mareomotrice (o delle maree);
- Energia del moto ondoso;
- Energia talassotermica (o anche energia mareotermica) è una fonte di
energia, classificata come rinnovabile, che sfrutta le differenze di temperatura
tra la superficie marina e le profondità oceaniche. Spesso viene anche indicata
come OTEC, acronimo inglese);
- Energia geotermica 
- Energia solare
-Solare termico e termodinamico 
- Solare fotovoltaico 

- Energia eolica 
- Energia da biomasse 
- Biogas 
- Oli vegetali 
- Biodiesel 
- Termovalorizzazione 
- Combustibile derivato dai rifiuti (o "CDR")

INGLESE

Industrial Revolution and Innovations

The increasing production of all kinds of goods needed cheap and


reliable transport. Industrialists soon realised that heavy items could be
carried on the water more easily. Moreover, the main advantage
of transport by water was that it was cheap. The first canal was built in
1761, and in the next fifty yaers over 6 000 kilometres of new canals were
dug. They formed a network which linked the main industrial towns of
England and Wales with London and the sean ports.
Then several inventions came together to create the age of Britain. In
1814 George Stephenson built his first locomotive. The railwaysaffected
people’s lives considerably: fresh milk, fruit and vegetables from the
countryside were brought into towns; fish could be trasnported rapidly and be
sold while it was still fresh. People travelled more frequently and went on
seaside holidays.
Before railways were built, clocks in different towns were faster or slower
than each other, but now standard time was intoduced
everywhere; national newspapers could be sent all over the country, and
local accents and dialects became less extreme because people from
different parts of Britain had more contact with one another.
With the growth of Britain’s empire overseas trade expanded and by the
end of the 18th century Britain became the most powerful trading nation in
the world. Britain exported textile, coal, manufactured goods and silver, and
imported raw cotton silk and spices from India, silk from China, and furs and
fish from Canada.
The social effects of the industrial revolution were enormous. It increased the
gap between rich and poor; the new class of factory owners made large
fortunes, and some of the skilled workers also became better off, but other
workers easily lost their jobs, because when buisness became slack they
were laid off. Moreover, newly invented machines often took jobs from
workers, who reacted by smashing up the new machinery.
The trade union movement began in spite of numerous difficulties, because
employers were suspicious of unions. Parliament passed two Acts which
forbade workers to meet and form trade unions.
Another important consequence of the Industrial Revolution was the shift of
population from rural areas to towns, so that the old boroughs were left with
very few people but could still send the same number of MPs as before.
These consituencies were called “Rotten Boroughs”. On the other hand, the
new industrial towns with growing populations were not adequently
represented in Parliament. It was the Reform Bill of 1832 that put an end to
this unjust situation.
Britain’s leadership in the Industrial Revolution saw its climax with
the Great Exhibition of 1851, which was a magnificient display of British
Scientific and technological progress.
The important changes in technology, the economy, and social organisation
trasformed society and became the main indicator of the modern way of life.

Mary Shelley - Life

Mary was brought up in a quite progressive family in fact her father William Godwin was a
great philosopher and her mother Mary Wollstonecraft was the author of A vindication of
the Rights of Woman, a primitive book about famine rights. Then Mary will take the
surname of the man she loves and she will elope with, the romantic poet Percy Bysshe
Shelley, who is even more famous than her. When Mary and Shelley eloped they were just
17 and Shelley was already married, but he broke up his marriage and her former wife
committed suicide by drowning herself. Their escaping also represents the typical
formation travel which was common among young people of aristocracy (the so called
Grand Tour which implies visiting Europe in country such as France, Italy, Greece
etc.)Italy was a great place where to have a travel : the same Goethe was very affasinated
of Sicilia. The place where Mary and Shelley went with Byron, another great romantic poet
is Villa di Odoati, in Geneva. Here they spent a very rainy summer and so they have to
stay at home all day long and decided that each one had to make a ghost story, which was
a very fashionable theme in that time. Mary has the idea for Frankenstein in a waking
dream; she write the novel in a very short time, with the help and the suggestions of her
husband. Frankenstein maybe be thinked from this Ghost stories. Mary Shelley was quite
famous in her life, more than his husband Percey.
Frankeinsten 
The novel was written in 1816 and first published in 1818. Although in common parlance
nowadays quite everyone refers to the monster with the name of Frankenstein, it is not
true, because the creature has no name, Frankenstein is the name of its creator. In all the
novel the pronoun used for the monster is “it”, because he has no name, it’s the monster,
the thing, it isn’t worth having a name. here in the novel there’s the theme of double,
because Frankenstein and the creature, which is his “son”, are strongly connected, they
can’t live without each other, they share an identity.
Prometheus was a Titan who challenged the divinities to help humans and for this reason
was convict. The other name for the novel is The modern Prometheus because as
Prometheus “gave life” to humans revealing them divinities’ secrets, Frankenstein give life
to the creature in a more strict sense; and as Prometheus challenged the divinities, in the
same way Frankenstein challenge God, by pretending to be like him, on his level, being
able to create life. Despite being a Gothic novel, Frankenstein is also very different from
the other novels of the same genre, in fact the setting is not a ruin medieval building, as it
was usual, but it was different also under other aspects: Gothic novels was built around a
quite conventional kind of plot, with a woman persecuted by a villain and the all story
implies witchcraft. But none of this elements are found in Frankenstein, here there are
suspence, fear, scientific theme (which replace the supernatural), macabre. The theme of
science is here used, but it’s not properly science, in fact it has lots of strange and
supernatural elements, however, this presence makes the novel one of the forerunner of
science fiction.

Mary Shelley - Frankenstein, Limits of science

Frankenstein is a Gothic novel written by Mary Shelley, a famous female writer from the Romantic
Age. The story is about a scientist, whose name is Victor Frankenstein, who manages to create a
human being exploiting the latest scientific discoveries in the fields of chemistry, evolutionism and
electricity.

Then why am I talking about limits of science? Well, I’m talking about the limits of science
since Frankenstein attempts to create a monster without respecting the rules of nature as
far as creation and life are concerned. In facts, he joins parts selected from corpses and
the result is ugly and revolting. The scientist regrets his creation and becomes afraid of it.
On one side, it's impressive how the scientist manages to give life to something that's
already dead; on the other, the monster become a murderer and in the end he destroys his
creator.
One of he main theme of this novel is the penetration of nature's secrets.
Frankenstein examines the pursuit of knowledge within the context of the industrial age,
shining a spotlight on the ethical, moral and religious implications of science. The tragic
example of Frankenstein serves to highlight the danger of man's unbridled thirst for
knowledge. 
Victor is the main symbol that the acquirement of knowledge is dangerous.
Science without morality is detrimental because it can be used for negative purposes such
as nuclear weapons, genetic modification, and unethical medical research.
There's a little contradiction, though.
While Shelley exemplifies the disastrous effect of unmitigated desire to possess the
secrets of the earth, she says that such curiosity is innate to human condition

ARTE

L'art nouveau nasce negli ultimi decenni dell’800 e negli anni che precedono la prima
guerra mondiale, questa corrente si sviluppa in una situazione di benessere e si diffonde
in tutta europa con nomi diversi e alla fine si diffonderà anche negli Stati Uniti e
caratterizzerà i nuovi edifici.
L’art nouveau si ispira alle forme della natura e in particolare al mondo vegetale (foglie e
fiori). 
L’art nouveau è un impulso che viene dato a tutte le arti decorative e dilaga anche nella moda,
prende questo nome che significa arte nuova da un negozio d’arredamenti di Parigi. L'art
nouveau coinvolge tutti i campi, dall’arredamento alle stoffe, alla ceramica, al ferro, agli abiti ai
gioielli ecc... e quindi coinvolge tutta la società in generale.
L’art nouveau viene applicata all’architettura ma anche all’ambiente urbano.
Nell’architettura si affermano le superfici ondulate con motivi decorativi come se ci fossero sopra
delle piante rampicanti e inoltre le vetrate creano superfici scintillanti e colorate.
Nell’ambiente urbano invece, l’art nouveau interessa i lampioni, le panchine, le insegne e i luoghi
come la stazioni e le metropolitane vengono abbellite con ferro e vetro.
Antoni Gaudì è un architetto spagnolo che si è distinto nell'architettura dell'art nouveau, il quale
fonde il tardo gotico con rivestimenti di maiolica e da colori accesi.
Le facciate delle sue opere sembrano delle rocce che sono state erose dalle intemperie, nel quale
l’acqua ha scavato buchi nelle finestre e nelle porte.
L’opera piu famosa di Gaudì nell'ambito dell'architettura dell'art nouveau è il tempio de la
Sagrada Familia , a Barcellona, alla quale lavorerà per trent’anni fino alla sua morte.
Gustav Klimt è il maggior esponente dell’art nouveau in pittura. Egli studia alla scuola di arti
decorative e infatti egli inizia la sua attività come decoratore di edifici pubblici.
Klimt è appassionato di storia dell’arte e fa anche un viaggio a Ravenna e dopo un certo periodo
comincia ad usare l’oro nei suoi dipinti ed elabora una tecnica chiamata “mosaico”, il quale puo
avere forme e dimensioni diverse.
Per le sue opere Klimt usa le tele quadrate e le figure dei suoi dipinti sono rappresentate sempre in
modo asimmetrico. 
Un dipinto famosissimo di Klimt è “Le tre età”, nella quale egli rappresenta tre donne per
descrivere l’arco della vita umana.
Nel settore della grafica oltre alle illustrazioni per i libri si diffonde la produzione di manifesti che
pubblicizzano prodotti commerciali o gallerie d’arte e spettacoli.
Dopo l’incendio del 1871 negli Stati Uniti che distrusse tutte le costruzioni, si dovettero ricostruire
moltissimi edifici. Questi edifici erano costruiti in legno, ma grazie alle nuove scoperte di come
utilizzare gli altri materiali, per esempio il ferro, i nuovi edifici furono costruiti con un armatura in
metallo, la quale permetteva anche la sovrapposizione di numerosi piani, i quali potevano essere
raggiunti facilmente grazie ad un'altra scoperta: l’ascensore. Ogni edificio veniva ancorato al suolo
con una base di cemento armato.
Un nuovo edificio che si va diffondendo grazie a queste nuove scoperte è il grattacielo,
che consente di concentrare molte abitazioni in una area abbastanza piccola dato che
queste costruzioni si sviluppavano soprattutto in altezza.
Sempre grazie a queste nuove scoperte fu possibile anche progettare ponti sospesi 
come quello di Brooklyn a New York che venne inaugurato nel 1883.
La caratteristica dell’urlo di Munch è quella di utilizzare soprattutto le linee curve. 
In questo dipinto c’è un anima disperata su un ponte. Quest’anima disperata è con gli
occhi sbarrati, le sue mani sulle orecchie per proteggersi dal suo stesso urlo.
Sempre sullo stesso ponte in fondo , ci sono altre due figure che si allontanano. Il pittore
con questo dipinto vuole rappresentare l’angoscia che prova, quando durante una
passeggiata con gli amici viene colpito da una malinconia provocata dal rosso-sangue del
tramonto e gli amici che sono con lui si allontanano senza accorgersi di averlo lasciato
indietro.
Il quadro vuole rappresentare lo stato interiore dell’artista.
Questo pensiero di esprimere i propri sentimenti è alla base di un nuovo movimento artistico che si
chiama espressionismo, proprio al contario dell’impressionismo.

Il ponte nasce a Dresda nel 1905 ed è un movimento espressionista.


Le idee dei pittori che fanno parte di questo movimento chiamato il ponte sono quelle di
“costruire” un ponte, attraverso il quale avverrebbe il passaggio dal vecchio al nuovo e che
chiunque voglia liberare i proprio impulsi creativi deve passare questo ponte.
I temi maggiormente rappresentati sono le scene della vita metropolitana.
I colori utilizzati sono nerastri e in generale caratterizzati da colori scuri come verde acido,
blu elettrico e rosso violento e questo colore viene steso con pennellate vistose e dense.
Questo gruppo si scoglie nel 1913 senza essere riuscito ad acquistare favore dal pubblico,
infatti le loro opere verranno rivalutate solo dopo 50 anni.
Le figure nel dipinto “5 donne nella strada” sono quasi caricature, dritte come pali e prive
di espressioni.

Questa corrente nasce nel 1905 in Francia.


Alcuni pittori che fecero parte di questa corrente esposero le loro opere in un importante
mostra e un critico de tempo li definisce fauves.
Il termine fauves significa belve e viene dato questo nome per i loro colori accesi e
innaturali, che sembrano “sbattuti” sulla tela.
Un componente di questa “corrente” dice che il colore deve scoppiare come una cartuccia
di dinamite per esprimere uno stato e deve trasmettere energia a chi guarda.
Questo gruppo si scoglie solo dopo due anni, nel 1907 e gli artisti prendono vie diverse.
Il caposcuola è Henri Matisse. 
Una caratteristica fondamentale presente nei dipinti di Matisse è il suo modo di
accompagnare le figure a linee arabescate, senza nessun rifermino ne alla profondità ne
alla prospettiva.
Un suo famoso dipinto è : “la danza” nella quale egli usa solo tre colori fondamentali

FUTURISMO IN ARTE : I futuristi incentrarono la loro poetica sulla velocità,


sull’aggressività, sull’industrializzazione e sulla metropoli. Il Futurismo fu il primo
movimento d’avanguardia italiano, nacque ufficialmente nel 1909 con la pubblicazione del
Manifesto del futurismo da parte di Marinetti sul giornale parigino “Le Figaro".
I Futuristi erano un gruppo di giovani intellettuali innamorati del progresso che si
proponevano lo scopo di rompere i legami con il passato e attuare una rivoluzione
all’interno della società attraverso opere volutamente provocatorie. 
Contro le tendenze della pittura tradizionale e contro il passatismo
borghese, Marinetti inneggiò alla nascita di un’arte fortemente caratterizzata in
chiave dinamica, espressione di una nuova società urbanizzata e industrializzata,
capace di fornire nuovi miti portatori di una nuova bellezza: la velocità. I soggetti
principali del movimento furono “le grandi folle agitate dal lavoro e dalla
sommossa”, le rivoluzione delle capitali moderne, il fervore notturno dei cantieri
incendiati dalle violenti luci elettriche, le automobili da corsa, i piroscafi e gli
aeroplani, tutto ciò che rappresenta il ritmo frenetico della trasformazione della
società contemporanea compresa la lotta violenta e la guerra rigeneratrice.
Nel 1911 a Milano i pittori divisionisti Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo
Balla, Gino Severini e Luigi Russolo firmarono il Manifesto Tecnico della pittura
futurista. Dal punto di vista strettamente pittorico i futuristi intesero opporre
all’antica pittura, statica, una nuova pittura dinamica, capace di rendere l’idea del
movimento, della velocità e di porre l’osservatore al centro del quadro. Il moto delle
figure venne rappresentato con linee di forza che ne indicavano la scia oppure
attraverso visioni simultanee. Per esprimere i ritmi frenetici della vita moderna tutti i
soggetti dei quadri e l’ambiente vennero deformati e resi attraverso la
compenetrazione di piani, volumi e visioni. In queste opere scomparve la differenza
fra oggetti e spazi, fra elementi immobili e dinamici.
Inoltre i futuristi avranno un ruolo di primo piano tra gli interventisti e i fascisti:
l’atteggiamento aggressivo non sarà più riferito solamente alla loro produzione
letteraria e artistica ma anche alle loro posizioni politiche e ai loro comportamenti. 
Spinti dal culto per l’azione su posizioni interventiste, allo scoppio della prima
guerra mondiale alcuni futuristi partiranno per il fronte. Tra di essi Umberto
Boccioni, che morirà a Verona nel 1916 per una caduta da cavallo. Dopo la sua
morte Giacomo Balla diventerà il protagonista del movimento

POP ARTE E CONSUMISMO:Durante la seconda metà del XX secolo si sviluppa,


principalmente negli Stati Uniti, una nuova forma d’arte che sposta l’attenzione del soggetto
artistico sui miti e sui simboli della società dei consumi presentandosi come una critica al
fenomeno tipico di tutte le società industrializzate dell’acquisto indiscriminato di beni di
consumo e della glorificazione degli idoli del cinema e della televisione. Questo tipo di
movimento prende il nome di “popular art” o “pop art” in cui il termine “popolare” non va
inteso nella più comune accezione di arte del o per il popolo ma più che altro come arte di
massa, ovvero arte prodotta in serie che rappresentando i prodotti di consumo più diffusi,
dalle lattine di coca-cola ai barattoli di zuppa di pomodoro,si presenta in forma anonima: i
prodotti di massa non hanno volto ma sono conosciuti da tutti, grazie alla costante pubblicità
che bombardava le menti dei telespettatori. I maggiori rappresentati della pop art furono
Roy Lichtenstein, che avvicinandosi all’espressionismo astratto cominciò ad introdurre nella
propria arte elementi e personaggi tipici del mondo dei fumetti, George Segal e quello che è
ritenuto il padre assoluto della pop art: Andy Warhol.
Quello di Andy Warhol è infatti il primo nome che ci viene in mente quando parliamo di
Pop Art. Nato a Pittsburgh nel 1928 e morto a New York nel 1987 dopo un intervento non
riuscito, Warhol fu senza dubbio un talento eccezionale che lasciò un’impronta
inconfondibile in ogni campo artistico: egli si distinse si da subito, oltre come che
pittore,come regista cinematografico e scultore. L’influenza di Warhol si può notare infatti
in una grande quantità di artisti che ebbero la fortuna di collaborare con lui e di far parte
della sua “Factory”. La Factory era lo studio di New York City in cui Andy Warhol si
incontrava con la sua fitta schiera di collaboratori e creavano quelle opere d’arte che da li a
poco avrebbero bombardato il mondo, il laboratorio artistico di Warhol è conosciuto non
solo a causa dei suoi meriti artistici ma anche per via dell’ambiente anticonformista ed
intellettualmente stimolante che era andato a crearsi: tra i visitatori abituali della Factory vi
furono anche personalità iconiche del calibro di Lou Reed, David Bowie, Bob Dylan,
Truman Capote, Jim Morrison, Salvador Dalì ecc.

Dal punto di vista artistico Andy Warhol fu il pittore che al meglio ha rappresentato questo
genere artistico. Nelle sue opere Warhol prese di mira il consumismo esagerato dilagante
nella società a lui contemporanea e il divismo hollywoodiano, in una serie di serigrafie da
lui realizzate ci vengono presentati diversi prodotti ed idoli della massa come le lattine della
coca cola o ritratti di personalità di culto come Mao Tse Tung e Che Guevara moltiplicati su
vasta scala in modo da svuotarli da ogni significato che acquisiscono in chi le osserva.

L’opera certamente più famosa dell’artista newyorkese è quella che rappresenta l’icona
hollywoodiana Marilyn Monroe, il ritratto della diva fa parte di una serie di 10 serigrafie
che si aggiunge ad una collezione più ampia che ritraeva altri personaggi della cultura del
tempo. Dal punto di vista tecnico si distingue per una forza cromatica intensa e priva di
sbavature; delle varie cartelle dedicate ai personaggi della cultura questa è quella più famosa
e ha come caratteristica principale il contrasto cromatico che si viene a creare tra diversi
colori come il rosa, l’azzurro, il giallo e il rosso. Questi colori assumono tinte fredde e che
danno un’impressione esaltata di rilievo che sottolineano ancora di più il contrasto
cromatico tra i capelli biondi della Monroe e i colori di sfondo.

La serigrafia viene preferita da Warhol rispetto alla pittura ad olio perché meglio si adatta a
replicare i ritmi dell’industrializzazione; è l’idea che l’arte debba sopperire ai meccanismi
industriali che spinge infatti Warhol verso questo tipo di rappresentazione. Ma perchè
proprio Marilyn Monroe? Nei primi anni sessanta l’America stava vivendo un periodo in cui
sentiva un sentimento di inferiorità dal punto di vista artistico e culturale verso l’Europa,
Warhol era consapevole di questo e dichiarò di ammirare il modo in cui la sua nazione era
capace di creare idoli dal nulla, di prendere prodotti e figure popolari e di venderle sul
mercato trasformandoli in  prodotti di massa annullandone ogni interiorità. Quello su cui
Warhol punta l’attenzione è la falsità teatrale della società americana negli anni sessanta:
una società in  cui l’apparire conta più dell’essere e in cui i significati intimi dell’individuo
vengono annullati per essere venduti su larga scala come un prodotto di consumo.
METAFISICA

Scuola pittorica nata in Italia ad opera di Giorgio de Chirico e Carlo Carrà, cui


aderiscono poi Morandi, Savinio (fratello di De  Chirico) e in parte de Pisis, Sironi, Casorati e
altri.

Caratteristica della Metafisica è la massima importanza attribuita al sogno,


all'onirico, alla dimensione dell'interiorità dell'uomo. 

Si distingue dal Surrealismo per l'aspetto più contemplativo, classico, legato a


fattori fortemente culturali, con precisi legami con la tradizione dell'arte. 
 

Elementi di vicinanza sono invece la poetica dell'enigma ossia del fenomeno


non spiegabile con i soli mezzi della ragione e della scienza, l'accostamento
imprevedibile e spiazzante di elementi totalmente estranei e
incongruenti tra loro come possono esserlo un manichino, un biscotto e una
statua antica nel mezzo di una piazza deserta attraversata da un treno,
l'ammissione di leggi ultrafisiche della realtà che trascendono la logica
ordinaria.

Negli stessi anni rutilanti del Futurismo, contemporaneamente all'affermarsi delle


avanguardie artistiche più polemiche verso il sistema sociale e culturale, matura
da più parti una sorta di ritorno all'ordine con la finalità di rivitalizzare un certo
linguaggio pittorico messo in crisi da eccessivi sperimentalismi e di riaffermare
determinate valenze formali quali l'equilibrio, il rigore compositivo e la chiarezza,
oltre che la solidità dell'impianto figurativo. 

Non potendo però più prescindere dai nuovi risvolti assunti dall'arte
contemporanea attraverso l'apporto dell'avanguardia, la ricerca è orientata verso
una sorta di modernità scevra di tutti i clamori avanguardistici e  tesa a riflettere
sugli elementi dello specifico pittorico: colore, forme e volumi inseriti in un
pacato impianto compositivo che nelle migliori prove si tramuta in assunzione di
motivi della tradizione trasposti in un linguaggio inconfondibilmente nuovo.

La collocazione culturale della pittura metafisica è infatti a metà strada tra


questa necessità di ritorno ai canoni estetici tradizionali e la poetica dell'oggetto
inutile, casuale, del movimento Dada, che si identifica qui con l'indecifrabilità del
significato degli oggetti nello spazio.

 
TECNOLOGIE MUSICALI
Edgard Varèse 4.1 Notizie e cenni sugli scritti §20. Notizie
biografiche Edgard Victor Achille Varèse1 (Parigi, 22 dicembre 1883
- New York, 6 novembre 1965) è stato un compositore francese
naturalizzato statunitense. Nato da padre italiano e madre francese,
Varèse vive a Torino tra i dieci e i venti anni, dove inizia gli studi
musicali con Giovanni Bolzoni, direttore del locale Conservatorio.
Nel 1904 rompe tutte le relazioni con suo padre e si trasferisce a
Parigi, dove studia prima presso la Schola Cantorum con Vincent
d’Indy, Albert Roussel e Charles Bordes, poi, nel 1906, con Charles-
Marie Widor al Conservatorio Superiore diretto da Gabriel Fauré,
senza terminare gli studi. Molto presto compone le sue prime
opere; parte per Berlino, si fa apprezzare da Ferruccio Busoni, da
Richard Strauss e da Claude Debussy, è tra i primi spettatori di
Pierrot Lunaire di Arnold Schoenberg e della Sagra della primavera
di Igor Stravinskij, fino al momento in cui, nel 1915, lascia l’Europa
per gli USA. Conosce personalmente i ruomoristi italiani, in
particolare Russolo, e durante la sua permanenza in Francia
frequenta i dadaisti2 . Pur consacrandosi principalmente alla
direzione d’orchestra e alla divulgazione della musica
contemporanea, Varèse si dedica parallelamente, con Amériques,
che terminerà nel 1922, ad una serie di composizioni che
l’imporranno rapidamente all’attenzione del mondo culturale e
musicale come uno dei rappresentanti della nuova musica tra i più
avanzati nella scoperta di territori inesplorati. Intensa è l’attività
americana di Varèse durante questi anni; ma tra il 1928 e il 1933 è
di nuovo in Francia dove riprende contatto con dei vecchi amici
come Pablo Picasso e Jean Cocteau e fa la conoscenza di Alejo
Carpentier, Heitor Villa-Lobos e André Jolivet, che diventa suo
allievo di acustica e orchestrazione. Nel 1934 comincia per Varèse
un lungo periodo di crisi segnata da un girovagare agitato nel centro
e nell’ovest degli Stati Uniti – dove tenta la fortuna, senza successo,
come compositore di musica per film – fondando nuove istituzioni
musicali e installandosi a Santa Fe, poi a San Francisco e a Los
Angeles, per tornare a New York nel 1941. La sua attività
compositiva continua ad essere limitata: si dedica a studi e ricerche
di natura differente, che non riusciranno 1Notizie biografiche tratte
da http://it.wikipedia.org/wiki/Edgard_Varèse. Link sul web relativi
a Varèse si possono trovare in Zavagna, Segnalibri a Edgar Varèse.
2Gayou, Le GRM Groupe de Recherches Musicales, p. 62. 19 20
CAPITOLO 4. EDGARD VARÈSE a concretizzarsi in opere musicali. Tra
il 1934, data della composizione di Ecuatorial, e il 1950 non
compone quasi più nulla. I quindici ultimi anni della sua vita sono
invece caratterizzati da una ripresa della sua creatività, con dei
capolavori come Déserts e Nocturnal, ultima sua opera, incompiuta
alla morte e completata dal suo allievo ed esecutore testamentario,
Chou Wen-Chung. A partire dagli anni ’50, inizia il progressivo
riconoscimento, sul piano internazionale, della sua rilevanza come
compositore e teorico. Nel 1958, su incarico di Le Corbusier, cura la
parte musicale di Poème électronique, un progetto multimediale
elaborato dall’architetto svizzero e dal compositorearchitetto greco
Iannis Xenakis per l’Esposizione Universale di Bruxelles del 1958.
Numerosi sono i musicisti influenzati, seppur trasversalmente, dalla
sua musica, sia negli Stati Uniti d’America, come Frank Zappa, sia in
Europa, come Giacomo Manzoni. Nel 1950 tenne dei seminari al
“Ferienkurse” di Darmstadt ed ebbe tra i suoi allievi Luigi Nono,
Bruno Maderna e Dieter Schnebel. §21. Nuovi strumenti musicali In
uno scritto del 1916, Credo, Varèse esprime quel malessere nei
confronti della limitatezza degli strumenti musicali già visto in
Busoni 23 anni prima3 : I1 nostro alfabeto musicale deve arricchirsi.
Abbiamo anche un terribile bisogno di strumenti nuovi. Sotto questo
aspetto, i Futuristi (Marinetti e i suoi “rumoristi”) hanno preso un
notevole abbaglio. I nuovi strumenti devono essere in grado di
fornire una varietà di combinazioni sonore, e non semplicemente
ricordarci cose sentite e strasentite. Gli strumenti, in fondo, devono
essere solo dei mezzi di espressione temporanei. I musicisti
dovrebbero affrontare la questione con estrema serietà insieme con
i tecnici specializzati, e col loro aiuto. Nel mio lavoro ho sempre
sentito il bisogno di nuovi mezzi espressivi. Mi rifiuto di limitarmi a
suoni già sentiti. Quello che cerco sono nuovi mezzi meccanici che
siano in grado di mettersi al servizio di qualsiasi espressione del
pensiero e di sostenerla4 . Il tema dei nuovi mezzi per produrre
musica sarà una costante nella ricerca di Varèse, che nel 1922, nello
scritto I nuovi strumenti, afferma: [. . . ] Estendere la sezione delle
percussioni nell’orchestra mi sembra inevitabile. I1 violino è uno
strumento del XVIII secolo, inadeguato per potenza di suono a
un’orchestra di oggi. Perché continuiamo ad aumentare il numero
dei violini? Per la semplice ragione che il violino è debole. E ancora,
nella famiglia degli archi, prendiamo il contrabbasso. Non è in grado
di fornirci le fondamenta che ci occorrono. Nell’orchestra,
dovremmo avere un suono da 64 piedi; non ne abbiamo nemmeno
uno di 32, ma solo uno di 16. L’organo? No, non funziona. E stato
perfezionato un secolo prima del violino ed è perciò ancora più
antiquato rispetto agli scopi dell’orchestra. In più, l’organo ha delle
note fisse che l’esecutore non può modificare. Quel che cerchiamo è
uno strumento che sia in grado di produrre un suono continuo a
qualsiasi altezza. Per ottenerlo, il compositore e l’elettricista
dovranno forse lavorare insieme. In ogni caso, non possiamo
continuare a lavorare con i timbri della vecchia scuola. Velocità e
sintesi sono caratteristiche della nostra epoca. Ci sono necessari
strumenti del XX secolo, perché le possiamo realizzare in musica5 .
3Si veda §2. 4Varèse, Il suono organizzato, p. 37. 5 Ibid., pp. 41-42.
4.1. NOTIZIE E CENNI SUGLI SCRITTI 21 Varèse prosegue nelle sue
riflessioni in merito all’ampliamento dello studio sui nuovi mezzi di
produzione sostenendo, nel 1936 nello scritto Nuovi strumenti e
nuova musica, un più stretto legame con la ricerca scientifica: [. . . ]
Tra sviluppo scientifico e progresso musicale esiste una solidarietà.
La scienza, gettando nuova luce sulla natura, permette alla musica di
progredire – o meglio di crescere e mutare in sintonia coi tempi –
rivelando ai nostri sensi armonie e sensazioni mai provate prima.
Sulla soglia del Bello, arte e scienza collaborano. John Redfield dà
voce all’opinione di molti quando dice: “Dovrebbe esserci almeno
un laboratorio al mondo dove i fatti musicali fondamentali venissero
esplorati in condizioni tali da poter condurre ragionevolmente al
successo. L’interesse per la musica è talmente diffuso e intenso, il
suo fascino è così intimo e acuto, il suo significato per l’umanità così
potente e profondo, che diventa insensato non dedicare almeno
una parte degli enormi investimenti per la musica alla ricerca
attorno alle questioni fondamentali che la riguardano” (Music, a
Science and an Art, New York 1928)6 . Quando strumenti nuovi mi
permetteranno.di scrivere la musica così come la concepisco, nella
mia opera si potranno percepire chiaramente i movimenti delle
masse sonore, dei piani mobili che prenderanno il posto del
contrappunto lineare. Penetrazione e repulsione risulteranno
evidenti, allora, nella collisione di quelle masse sonore. Le mutazioni
che si verificano su certi piani sembreranno proiettarsi su altri piani,
muovendosi a velocità differenti e con diversi orientamenti. Il
vecchio concetto di melodia o di interazione tra melodie sarà
scomparso: l’opera intera sarà una totalità melodica, e scorrerà
come un fiume7 . §22. Suono organizzato §23. Masse sonore §24.
Contatti e frustrazioni Esigenze compositive e analitiche
incominciano a farsi strada negli anni cinquanta e vedono nascere il
fenomeno della musica elettroacustica, il quale ha radici anche nelle
ricerche di acustica e nello studio analitico dei suoni. “Lei ha potuto
constatare che nel mio progetto io tendo a un duplice fine: in primo
luogo la ricerca acustica nell’interesse della musica pura, in secondo
luogo l’elaborazione e l’applicazione di alcuni risultati per un
miglioramento del film sonoro [. . . ]”, scrive Edgard Varèse in una
lettera inviata il I dicembre 1932 a Harvey Fletcher, allora ai Bell
Labs. Trent’anni dopo, alcuni lavori di Fletcher avranno come
soggetto l’analisi e la risintesi di suoni strumentali. Fletcher è uno
dei tanti contatti che Varèse cerca per intraprendere la sua attività
di compositore in un ambito di ricerca scientifica, che gli permetta
quello studio del materiale sonoro ormai emancipato dagli
strumenti acustici tradizionali. §25. Lo spazio 6 “There should be at
least one laboratory in the world where the fundamental facts of
music could be investigated under conditions reasonably conducive
to success. The interest in music is so widespread and intense, its
appeal so intimate and poignant, and its significante for mankind so
potent and profound, that it becomes unwise not to devote some
portion of the enormous outlay for music to research in its
fundamental questions.” In Redfield, Music, a Science and an Art, p.
304. 7 Ibid., p. 102. 22 CAPITOLO 4. EDGARD VARÈSE . . . Il mio
primo tentativo fisico di dare alla musica una maggiore libertà fu
l’uso di sirene in alcuni miei lavori (Ameriques, Ionisation) e penso
che siano state queste traiettorie paraboliche e iperboliche di suono
che hanno portato alcuni scrittori a impadronirsi della mia
concezione della musica, fin dal 1925, come movimento nello
spazio. Ad esempio, Zanotti-Bianco, in «The Arts, scrisse allora di
“masse di suono plasmante come nello spazio” e di “grandi masse in
uno spazio astrale”. Naturalmente si trattava ancora di un trompe-
l’oreille, di un’illusione uditiva per così dire, e non di qualcosa di
letteralmente vero. Fin dal 1927 imparai alcune delle possibilità
fornite dall’elettronica come medium musicale da René Bertrand,
inventore del Dynaphone (questo strumento fu uno dei precursori
del Martenot, oggi largamente utilizzato in Europa); e nel 1934
Theremin, un pioniere in questo campo, costruì, seguendo le mie
istruzioni, due strumenti da utilizzare nella mia composizione
Ecuatorial, con una gamma fino a 12.544.2 cicli. Ma fu solo nel 1954
che ebbi l’opportunità di lavorare in uno studio dotato di
attrezzature elettroniche per comporre su nastro. Nell’autunno
dello stesso anno la Radiodiffusion Francaise mi invitò a terminare i
miei nastri di “suono organizzato” per Déserts nel suo studio di
Parigi. Avevo cominciato questo lavoro sul mio registratore
personale, a New York. Si tratta di un’opera scritta per strumenti
tradizionali e nastro magnetico, nella quale vengono messi a
contrasto strumenti azionati manualmente dall’uomo e sonorità
manipolate elettronicamente, alternandosi senza mai però
combinarsi. Potrei segnalare, tra l’altro, che gli intervalli, nelle
sezioni strumentali, pur determinando volumi e piani sempre in
contrasto e sempre in mutamento, non sono basati su alcun ordine
prestabilito come potrebbe essere una scala, o una serie; sono
determinati dalle particolari esigenze di quest’opera. Vengo ora al
pezzo che ascolterete stasera: Poème électronique. Si tratta della
parte musicale di uno spettacolo di suoni e luci presentato nel corso
della Esposizione di Bruxelles all’interno del padiglione progettato
per la Philips Corporation of Holland da Le Corbusier, autore anche
della parte visuale. Lo spettacolo era fatto di luci colorate in
movimento, immagini proiettate sulle pareti del padiglione e
musica. La musica veniva diffusa da 425 altoparlanti controllati da
venti amplificatori. Era stata registrata su un nastro magnetico a tre
piste a intensità e qualità variabili. Gli altoparlanti erano stati
montati per gruppi e secondo quelli che vengono chiamati “percorsi
di suono” per ottenere vari effetti, come ad esempio quello di una
rotazione della musica attorno al padiglione o quello di un suo arrivo
da direzioni differenti, oltre a riverberi, ecc. Fu quella la prima volta
che sentii la mia musica proiettarsi letteralmente nello spazio8 . §26.
Il Poème électronique Il medium elettronico sta anche aggiungendo
una incredibile varietà di nuovi timbri al nostro bagaglio musicale,
ma, cosa più importante che mai, ha avuto l’effetto di liberare la
musica dal sistema temperato, cioè da quello che le ha impedito di
tenersi al passo con le altre arti e con la scienza [1961]9 . Su invito di
Le Corbusier, che lo aveva imposto allo staff della Philips per
l’allestimento del padiglione all’Esposizione internazionale di
Brussels del 1958, Varèse lavora al progetto 8Varèse, Il suono
organizzato, pp. 151-153. 9 Ibid., p. 165. 4.1. NOTIZIE E CENNI SUGLI
SCRITTI 23 dell’architetto svizzero di un Poema elettronico. Vera e
propria installazione multimediale, con proiezioni di film,
diapositive, e con la ‘proiezione’ del suono nell spazio tramite un
impianto dotato di 150 altoparlanti per le frequenze medio-alte più
25 altoparlanti per le basse frequenze10, il Poème électronique
(possiamo vederne un’immagine nella Fig. 4.1.1) vede coinvolto nel
progetto anche un altro compositore (architetto-ingegnere): Iannis
Xenakis, che comporrà per l’occasione Concret PH, brano di musica
elettroacustica di raccordo fra la fine di una esibizione e l’altra.
John Cage Che si usi un nastro oppure si scriva per gli strumenti convenzionali,
la situazione attuale della musica è cambiata rispetto a prima che entrasse in
ballo il nastro. [John Cage, 1957]4 . John Cage si occupò di sistemi
elettroacustici applicati alla musica fin dai suoi primi esperimenti sui “paesaggi
immaginari”. L’Imaginary landscape n. 15 , del 1939, prevede infatti l’utilizzo
di dischi test da eseguire come fossero uno strumento musicale. Il suo
interesse per il suono in sé, senza riferimenti ad altezze determinate, per le
caratteristiche timbriche degli strumenti e delle loro possibili ‘manipolazioni’
(si veda il caso del pianoforte preparato), faranno dire a Pierre Boulez, che
con Cage intrattenne una corrispondenza6 che testimonia un’epoca di
trasformazioni, John Cage ci ha portato la prova della possibilità di creare
degli spazi sonori non temperati, persino con l’aiuto di strumenti esistenti.
Così, il suo impiego del pianoforte preparato non è soltanto un aspetto
inatteso di un pianoforte-percussione dalla cassa armonica invasa da una
vegetazione insolita e metallizzante. Si tratta piuttosto di una rimessa in
questione delle nozioni acustiche stabilizzate a poco a poco nel corso
dell’evoluzione musicale dell’Occidente, divenendo questo pianoforte
preparato uno strumento capace di fornire, mediante una intavolatura
artigianale, dei complessi di frequenze. John Cage infatti ritiene che gli
strumenti creati per i bisogni del linguaggio tonale non corrispondano più alle
nuove necessità della musica7 .

Pierre Schaeffer e la musique concrète


La prima fase della musica elettroacustica nasce all’insegna del
dualismo fra la musica concreta della scuola parigina di Pierre
Schaeffer (1912-1995) e la musica elettronica dello studio di Colonia.
Le divergenze estetiche tra queste due esperienze pionieristiche non
risiedono nella differente scelta dei materiali, registrati quelli di
Parigi, elettronici quelli di Colonia, ma nel diverso approccio alla
manipolazione e composizione degli eventi sonori. L’approccio
schaefferiano, definito “concreto”, è diretto alla materia del suono,
mentre quello dello studio di Colonia è astratto e progettuale.

Un altro aspetto da sottolineare è il fatto che le prime tre esperienze


europee, e anche molte altre in seguito, nascono all’interno di
istituzioni radiofoniche: solo in questi luoghi i compositori possono
trovare gli strumenti di registrazione, trasformazione, generazione e
riproduzione del suono.Nell’immediato dopoguerra Pierre Schaeffer,
ingegnere e annunciatore della Radio Francese, inizia una serie di
sperimentazioni sulle possibilità di manipolare il suono mediante la
registrazione con dischi in vinile e filo magnetico. Schaeffer intuisce le
potenzialità creative offerte dai mezzi di registrazione e riproduzione
sonora attraverso due principali esperimenti. Il primo,
chiamato sillon fermé (“solco chiuso”), viene ottenuto registrando un
evento sonoro in un disco di vinile e chiudendo il solco in modo che il
suono si ripeta più volte: in questo modo il suono perde la sua identità
e si ascolta solo per i suoi tratti acustici: inoltre, se è un suono
“rumore”, una ripetizione ciclica lo fa diventare un suono musicale.

Nel secondo esperimento, definito cloche coupée (“campana tagliata”),


Schaeffer taglia la parte di filo magnetico relativa all’attacco del suono
di campana ottenendo così un evento sonoro con un timbro diverso.

La ricerca schaefferiana di quegli anni viene riassunta nel primo


lavoro di musica elettroacustica intitolato Cinq Etudes de Bruit e
trasmesso dal Club d’Essai della Radio Diffusione Francese il 20
giugno 1948. I Cinq Etudesutilizzano materiali diversi, suoni del
treno, coperchi di pentole, voci, suoni di pianoforte preparato e altro.
In questa composizione Schaeffer cerca di dimostrare le potenzialità
del rumore come materiale sonoro, l’accesso alla totalità del mondo
sonoro e le possibilità creative fornite dagli strumenti di riproduzione
e registrazione.

Nel 1951 Schaeffer inizia una fruttuosa collaborazione con un giovane


compositore allievo di Messiaen, Pierre Henry (1927-), con cui
compone la Symphonie pour une Homme Seul, un lavoro complesso,
la cui idea di base è quella di creare un percorso dal rumore al suono
musicale, interno ed esterno alla figura umana. La Symphonie è
sicuramente uno dei brani di musique concrète più conosciuti per la
coreografia di un balletto realizzata da Maurice Béjart nel 1955. Nel
1952, Schaeffer istituisce il Groupe des Recherches Musicales, unico
gruppo storico di musica elettroacustica esistente tutt’oggi, all’interno
del quale opereranno negli anni Cinquanta compositori come Iannis
Xenakis (1922-2001) e Luc Ferrari (1929-2005).

Nel 1954 Schaeffer e Henry realizzano la prima opera di musica


concreta intitolata Orfeo 54. Il progetto prevede una vera opera, con
libretto, cantanti e musica concreta diffusa da altoparlanti. L’opera,
presentata al Festival di Donauenschingen nel 1954, si rivela un
insuccesso costringendo Schaeffer e Henry ad abbandonare il
progetto.

Dopo la rottura del sodalizio con Henry, Schaeffer realizzerà altre tre
importanti composizioni fra cui l’Etude aux objets (1959). Queste
composizioni devono essere considerate anche degli studi sulle
proprietà degli oggetti sonori, ricerca su cui Schaeffer ha iniziato a
lavorare fin dalla metà degli anni Cinquanta e che culminerà
nel Traité des objets musicaux, uno studio approfondito sull’ascolto e
le caratteristiche tipo-morfologiche dei suoni.

L’esperienza compositiva della musica concreta continua e si sviluppa


negli anni Sessanta con altri compositori, fra i quali emergono
Françoise Bayle (1932-) e Bernard Parmegiani (1927-).

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