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QUINTA MACRO AREA: BINOMIO ARTE E VITA

ITALIANO: la crisi intelletuale


L'EVOLUZIONE DELL'INTELLETTUALE NELLE SUE LINEE GENERALI NEL
PRIMO '900

Il ruolo dell'intellettuale nella società contemporanea è uno dei nodi maggiormente studiati in
tutte le epoche. Si presenta storicamente in modo differenziato ed ha avuto notevole influenza in
tutte le società.
Prendendo in considerazione i primi anni del '900 italiano,dominati dalla cultura del
Decadentismo, ci accorgiamo che tale ruolo presenta notevoli diversità rispetto ai decenni
precedenti.L'800 italiano, infatti ha, visto l'intellettuale partecipare attivamente alla vita politica e
sociale del proprio tempo.Già Foscolo è la testimonianza agli inizi dell'800 di un grande impegno :
egli infatti sognava la diffusione degli ideali della rivoluzione francese in tutta Europa, compresa la
sua Venezia, dominata da secoli da una oligarchia;non si è limitato alla predicazione di tali ideali,
ma ha combattuto attivamente al fianco di Napoleone, da lui considerato il portatore e il diffusore
di una società basata sulla libertà, fraternità e uguaglianza; nonostante le delusioni animatrici del
romanzo autobiografico "Le ultime lettere di Jacopo Ortis", rimarrà sempre al fianco di Napoleone
fino alla sconfitta definitiva, perchè lo riteneva "Uomo nuovo". Dopo di lui gli intellettuali romantici
saranno ancora più decisi nel porsi quali educatori del popolo e costruttori dell'indipendenza
d'Italia. Tutti gli scrittori, i poeti, i musicisti ecc, saranno i fari del nostro Risorgimento; basti
pensare che Mazzini, Gioberti, Cattaneo, Manin, Tommaseo, Guerrazzi, ecc, li troviamo sia nella
storia della letteratura italiana che nella storia del Risorgimento italiano. Lo stesso Manzoni, che
pure non partecipò di persona all'attività politica, attraverso i suoi libri ha dato un grande
contributo all'idea di libertà e di indipendenza; gli sarà riconosciuto, al punto che nel 1861, appena
formatosi il Regno d'Italia, sarà nominato senatore.
Anche nella seconda metà dell'800, l'intellettuale italiano, pur se non in modo deciso,
conserverà una funzione di guida e di punto di riferimento, vedi Carducci e i veristi. Questi ultimi
in verità non si proponevano programmaticamente come guida del popolo ma non c'è dubbio che,
nel rappresentare "veristicamente" la condizione di vita delle masse diseredate del sud, ne
emergeva anche una qualche forma di denuncia delle ingiustizie sociali; come si può infatti non
rabbrividire e porsi delle domande di fronte al crudo mondo della "Lupa" o de "I malavoglia"?
Tale ruolo positivo viene invece completamente scardinato nei primi anni del '900. Sono anni
dominati dall'imperialismo e cioè dalla colonizzazzione di interi continenti da parte di alcune
grandi potenze europee; l'ottimimismo legato alla facoltà dell'uomo di dominare attraverso la
scienza l'universo intero e le sue leggi è crollato di fronte al barbaro sfruttamento di centinaia di
milioni di uomini in Africa, in Asia e nelle Americhe. In Europa la grande trasformazione industriale
ha sfaldato gli assetti sociali e ha fatto diventare protagoniste due nuove classi sociali, la borghesia
e il proletariato, ovvero i proprietari delle industrie e le masse dei lavoratori. Lo scontro tra queste
due classi, che si è avvalso anche di grandi sistemi filosofici come il Marxismo, ha schiacciato gli
intellettuali che si sono sentiti sradicati e senza ruolo. Esempi tipici di sradicamento dalla realtà
sociale del primo '900 italiano sono Svevo e Pirandello, le cui opere sono autentiche
testimonianze della malattia dell'anima del tempo, derivata appunto dal crollo delle certezze di
una volta, dalla mancanza di ideali. Per fornire soltanto dei piccoli esempi di quanto ho affermato,
possiamo pensare ai protagonisti dei romanzi di Svevo che, come sappiamo, hanno in comune la
caratteristica "dell'inettitudine" e cioè una condizione di debolezza, di insicurezza psicologica
che rende l'eroe sveviano "incapace alla vita". Alfonso Nitti, protagonista di "Una vita", metafora di
Svevo stesso, è un piccolo borghese declassato e un intellettuale di cultura umanistica sradicato
dalla società triestina, i cui valori sono il profitto, l'energia, la produttività e il denaro; è l'uomo di
cultura che cerca di evadere nei sogni della sua cultura umanistica. Anche Emilio Brentani,
protagonista di "Senilità", può essere considerato il simbolo dell'uomo del primo '900; egli infatti è
incapace di inserirsi attivamente nel mondo; la sua senilità non è un momento cronologico, cioè la
vecchiaia, ma un modo di esistere, il simbolo di una radicale assenza dalla realtà, dell'incapacità di
incidere su di essa, di dominarla e trasformarla. Ciò è ancor più vero nell'ultimo e più importante
romanzo "La coscienza di Zeno". Anche Zeno Cosini, infatti, è un debole, "un inetto" , timoroso di
affrontare la realtà; per questo si è costruito un sistema protettivo conducendo una vita cauta che
garantisce calma e sicurezza, ma che implica rinuncia al godimento, mortificazione della vita. Zeno
è infatti un uomo mancato, abulico, che tenta invano di liberarsi dal torpore dell'inerzia spirituale.
Nel suo scoraggiamento e nella sua rassegnazione c'è tutta l'arte di Svevo e la lucida conoscenza
dell'intellettuale del '900, che sa riconoscere la propria malattia, ma è incapace di superarla. Svevo
non poteva darci migliore analisi della crisi che si abbatteva sull'uomo e sull'intellettuale del suo
tempo. Per questo motivo la sua opera è idealmente vicina a quella di Pirandello e di Joyce,
testimonianza cioè della malattia dell'anima moderna che deriva dal crollo delle certezze di una
volta. Pirandello infatti, rigettando la cultura del positivismo, fa propria la teoria filosofica dello
"slancio vitale" di Bergson, per il quale tutta la realtà è vita, cioè un perpetuo movimento vitale,
inteso come eterno divenire, un'incessante trasformazione da uno stato all'altro, un flusso
continuo. Tutto ciò che si stacca da tale flusso e prende una forma comincia a morire. Cosi' avviene
all'identità personale dell'uomo; anch' egli infatti è parte del flusso e tende a fissarsi in una realtà e
personalità, cosa questa che è solo illusione e scaturisce dal sentimento soggettivo. Anche gli altri
lo vedono in un particolare modo e lo fissano in una forma; cosi' il singolo uomo è uno per se
stesso e centomila, a seconda di come lo vedono gli altri. Si può comprendere ciò sia dal titolo di
un suo famoso romanzo(Uno nessuno e centomila)sia da un passaggio del dramma "Sei personaggi
in cerca d'autore". Nel quale il padre dice:<<Il dramma per me è tutto qui, signore: nella coscienza
che ho, che ciascuno di noi -veda- si crede <uno>, ma non è vero: è <tanti>, secondo tutte le
possibilità di essere che sono in noi:<uno> con questo, <uno>con quello- diversissimi! E con
l'illusione, intanto, d'essere sempre <uno per tutti>, e sempre <quest'uno> che ci crediamo, in ogni
nostro atto. Non è vero!non è vero! Ce ne accorgiamo bene, quando in qualcuno dei nostri atti,
per un caso sciaguratissimo, restiamo all'improvviso come agganciati e sospesi, alla gogna, per una
intera esistenza, come se questa fosse assommata tutta in quell'atto!>>
Tale visione è in completa armonia con la cultura del '900 che mette in crisi l'idea di una realtà
oggettiva, organica e definita. Il reale è multiforme e polivalente; ne deriva un'inevitabile
incomunicabilità tra gli uomini. Anche ciò lo ricaviamo da vari punti della sua opera tra cui un
famoso passo sempre dei"Sei personaggi.......": << Ma se è tutto qui il male ! Nelle parole!
Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo
intenderci, signore, se nelle parole che io dico metto il senso e il valore delle cose come sono
dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmete le assume col senso e col valore che hanno per
sè, del mondo come egli l'ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai! >>
Rispetto a tale incomunicabilità la consequenza è il senso di completa solitudine dell'individuo.
Come può quindi l'intellettuale svolgere un ruolo attivo nella società? Naturalmente Pirandello
visse il suo tempo e fece le sue scelte politiche.

Il suo periodo di vita è per l'Italia tormentato e drammatico. Pirandello infatti si trovò a vivere da
adulto, anche i due grandi e drammatici avvenimenti della prima guerra mondiale e del fascismo al
potere. Rispetto alla guerra, come era normale in relazione alle tradizioni risorgimentali e
garibaldine della sua famiglia, ebbe una visione patriottica, nel senso che guardò con favore
l'intervento in guerra dell'Italia, considerandolo come una sorta di compimento del processo
risorgimentale.
Dobbiamo ricordare che l'intervento dell'Italia nella prima guerra mondiale fu preceduto da un
dibattito politico cui parteciparono anche gli intellettuali.
La prima guerra mondiale scoppiò nell'agosto del 1914 a causa dell'attentato a Sarajevo, capitale
della Bosnia, in cui morì l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d'Austria. L'arciduca si
trovava in quella città in visita ufficiale perchè la Bosnia era da pochi anni territorio austriaco, tolta
all'impero Ottomano, ormai in disfacimento.
La debolezza dell'impero Ottomano che aveva dominato per secoli i balcani aveva attirato le
ambizioni delle grandi potenze, in primo luogo dell'Austria che vi confinava ma anche della Russia
che aspirava ad avere la facilità di accesso ai porti sul Mediterraneo.
L'Europa del giugno 1914, momento dell'attentato, è caratterizzata da due grandi blocchi militari:
la Triplice Alleanza (Austria, Germania, Italia) e la Triplice Intesa (Francia, Inghilterra e Russia).
Dopo l'attentato l'Austria inviò un ultimatum alla Serbia, paese slavo di recente indipendenza,
poichè la riteneva implicata nel complotto; l'attentato infatti era stato compiuto da patrioti
bosniaci che aspiravano ad unire la Bosnia alla Serbia. Nell'ultimatum l'Austria poneva condizioni
inaccettabili quali il diritto di fare indagini proprie sul territorio serbo, calpestando quindi la
sovranità di una nazione. Non potendo la Serbia accettare anche questa condizione, la guerra fu
scatenata. Naturalmente ciò fu la classica "goccia che fa traboccare il vaso"; le vere cause della
guerra furono ben altre:
Cause economiche
La corsa agli armamenti, gli scontri imperialistici, la perdita del ruolo di prima potenza
dell'Inghilterra, la concorrenza spietata dei paese europei a difesa delle loro economie, intrecciata
al problema coloniale.
Cause politiche
La tensione tra Francia e Germania dopo la sconfitta francese del 1870; la rivalità tra Russia e
Austria, già ricordata per la questione balcanica; il conflitto tra Inghilterra e Germania, poichè
quest'ultima rafforzatasi negli ultimi tempi voleva riequilibrare il sistema delle colonie nel mondo;
l'irredentismo balcanico e italiano.
Dallo scoppio delle ostilità tra Austria e Serbia in pochissimi giorni il conflitto coinvolse i sistemi di
Alleanze e successivamente anche paesi extraeuropei come il Giappone e gli Stati Uniti per cui la
guerra sarà definita mondiale. L'Italia non entrò subito in guerra, pur se firmataria della Triplice
Alleanza, poichè il patto era esclusivamente difensivo, cioè comportava l'obbligo di un reciproco
aiuto bellico, qualora una delle tre nazioni fosse stata attaccata; non era questo il caso ne l'Austria
aveva preventivamente consultato l'Italia. L'Italia ebbe quindi un anno di non belligeranza, durante
il quale si scatenò nel paese uno scontro politico e culturale tra interventisti (che volevano la
guerra), e neutralisti (che volevano rimanere estranei).
In tale disputa gli intellettuali furono in prima fila, tra di essi anche molti nomi che troviamo nella
storia della letteratura italiana: D'Annunzio, Marinetti, Ungaretti, ecc.
Essi si schierarono tra gli interventisti e furono poi anche volontari di guerra.
Poichè abbiamo detto che il dibattito fu di massa, si potrebbe pensare che ciò smentisca la tesi
prima descritta dell'intellettuale del '900 sradicato dalla società; non è così: anche quando
spingono a manifestazioni di massa c'è in loro, particolarmente in D'Annunzio e nei futuristi, il
diprezzo elitario delle masse, l'antiparlamentarismo e il culto dell'azione, il culto del singolo,
dell'uomo eccezionale, al di sopra di tutti.
Per molti di questi intellettuali come Ungaretti, l'esperienza concreta della guerra con le sue
carneficine sarà esperienza di vita e di ripensamento.
Anche per Pirandello la guerra inciderà dolorosamente sulla sua vita: il figlio Stefano infatti, partito
volontario, fu subito fatto prigioniero dagli austriaci, e il padre si adoperò con ogni mezzo, ma
invano, per la sua liberazione. Pirandello dovette anche fare i conti con il fascismo cioè con il
governo dittatoriale di Mussolini durante il ventennio (22-45). Mussolini, infatti, riusci' a diventare
capo del governo in Italia alla testa di un partito fondato da pochi anni. Egli era un uomo politico
formatosi ed affermatosi in un area completamente diversa; giovanissimo, infatti, si era iscritto al
partito socialista, cioè il partito che voleva la rivoluzione proletaria con l'abbattimento del
capitalismo e l'eliminazione dei padroni; ne divenne un dirigente di primo piano, cioè membro
della direzione nazionale e direttore del "Avanti", giornale ufficiale del partito; all'interno del
partito socialista era anzi tra i più rivoluzionari e massimalisti. Ambizioso e spregiudicato, allo
scoppio della guerra divenne interventista, tradendo gli ideali socialisti, in particolar modo
l'internazionalismo; nella dottrina socialista, infatti, c'era il rifiuto assoluto della guerra tra popoli;
l'unica guerra necessaria era quella di tutti i proletari del mondo contro tutti i padroni del mondo.
Espulso dal partito fondò un nuovo giornale "il popolo d'Italia", con finanziamenti francesi, per
continuare la sua campagna di stampa a favore dell'intervento dell'Italia a finco della Francia
contro l'Austria. Finita la guerra, a cui partecipò personalmente, fondò nel marzo del 19 un nuovo
movimento politico, che poi diverrà partito: il movimento dei fasci di combattimento. Il
programma inizialmente era confuso con ancora alcune voci di sinistra. La sua presentazione alle
elezioni si rivelò un fiasco. Quando però negli anni 19-20, con il cosidetto Biennio Rosso, cioè con
l'occupazione delle fabriche da parte degli operai, e dei campi incoltivati da parte dei contadini, ci
fu il pericolo dell'insurrezione prolrtaria, il padronato italiano scelse il movimento fascista come
arma estrema per arginare la rivoluzione. Concesse notevoli aiuti economici e protezione. Il
movimento fascista portò in Italia un nuovo metodo di lotta politica: non più la propaganda e il
dibattito ma la violenza. Gli avversari, cioè i socialisti, furono affrontati da squadre armate che
bastonavano dirigenti, bruciavano sedie, devastavano municipi, nella tolleranza delle forze
dell'ordine, poichè il governo riteneva di poterli utilizzare nella sconfitta delle sinistre e soltanto
successivamente riportarli all'ordine. La strategia governativa si rivelò errata; il movimento fascista
divenne di massa, e ancora con un atto di forza, la marcia su Roma(tentativo insurrezionale di
massa), Mussolini costrinse il re a dargli l'incarico di formare il governo. Tale primo governo fu di
coalizione, nel senzo che ci furono anche ministri di altri partiti o indipendenti, Le prime scelte
però fecero subito capire le intenzioni di Mussolini: venne istituito il gran consiglio del fascismo
che in un certo senso era al di sopra del parlamento; fu creata una polizia di parte, la cosiddetta
milizia volontaria, ma soprattutto fu decisa una nuova legge elettorale(la legge Acerbo), in base
alla quale la lista che avesse avuto la maggioranza relativa avrebbe ottenuto i due terzi dei seggi in
parlamento. Nonostante ciò le elezioni dell'aprile del 24, con tale legge, furono caratterizzate da
violenze dei fascisti, da sopraffazioni e da brogli. Quando nel parlamento riunito, Giacomo
Matteotti denunciò tali violenze e brogli, firmò la sua condanna; egli infatti fu rapito da sicari
fascisti e dopo qualche mese ritrovato cadavere. Di fronte allo sgomento per tale delitto, il
fascismo fu per alcuni mesi in procinto di crollare, ma a causa delle indecisioni e delle divisioni
degli avversari, superò la crisi, e con il discorso del 3 gennaio del 25 in parlamento, Mussolini
istaura una vera e propria dittatura. In poco tempo fa approvare le cosiddette "leggi fascistissime":
1) scioglimento di tutti i partiti antifasci
2) eliminazione della libertà di stampa
3) istituzione del tribunale speciale per la sicurezza dello stato
4) abolizione dell' elettività del sindaco e di consigli comunali,al suo posto podestà di nomina
governativa affiancato da consiglieri di nomina prefettizia
5) nuova riforma elettorale: introduzione della lista unica di 400 candidati scelti dal gran consiglio
del fascismo.
Questo è il quadro in cui operò il fascismo che condurrà poi l'Italia al fianco di Hitler alla seconda
guerra mondiale.
Tornando al nostro discorso su Pirandello dobbiamo notare una stranezza: egli prese la tessera del
fascismo ma lo fece nel momento più critico del fascismo stesso, e cioè nel '24 dopo il delitto
Matteotti, forse perchè vedeva nel fascismo una garanzia di ordine e una contestazione delle
ipocrisie della società borghese fatta di perbenismo e di convenzioni sociali. Dal fascismo ottenne
appoggi e benevolenza: fu nominato direttore del teatro di Roma e quando il fascismo, per
garantirsi un consenso di massa, creò l' accademia d'Italia cioè una istituzione pubblica per le più
grandi personalità nei vari campi della scienza, della tecnica, dell'arte, della cultura, ecc. egli ne fu
subito nominato membro. Probabilmente non furono sufficienti gli appoggi del fascismo
nell'attribuzione del premio Nobel nel 1934. Non va dimenticato però che spesso nelle sue opere si
può trovare anche una velata critica del regime. In questi anni di oppressione il ruolo
dell'intellettuale era diventato oggettivamente difficile; i due più grandi intellettuali del tempo
Gobetti e Gramsci sono stati vittime del fascismo; il primo morto giovanissimo a causa delle
conseguenze di una bastonatura, il secondo morto dopo anni di carcere in Italia. Il fascismo cercò
di far apparire di avere il consenso degli intellettuali; a tal proposito fece firmare il "Manifesto
degli intellettuali fascisti" elaborato dal filosofo e ministro della pubblica istruzione Gentile. Vi si
rispose con il "Manifesto degli intellettuali antifascisti" elaborato da Benedetto Croce. In realtà gli
intellettuali antifascisti furono incarcerati o costretti all'esilio. Contemporaneo a Svevo e Pirandello
anzi amico intimo di Svevo che impose all'attenzione della critica letteraria dopo anni di delusioni,
è James Joyce. Come dicevo all'inizio il ruolo degli intellettuali rispetto alla loro epoca è
storicamente diversificato. Oltre all'atteggiamento già ricordato dei romantici, possiamo ricordare
l'atteggiamento degli illuministi del '700, i quali si proposero in nome del lume della ragione, di
diffondere le conoscenze tra le masse; non è un caso che nacquero in quel periodo diversi giornali
e l'enciclopedia con l'obiettivo di rivolgersi a strati sempre più ampi e quindi non più soltanto
all'elite. Simile atteggiamento possiamo trovarlo anche nella storia della letteratura latina,
particolarmente nel primo secolo d.c. con autori che sono nel programma di studi di quest'anno.
Mi riferisco in particolar modo a Seneca che fu contemporaneamente filosofo, educatore e uomo
politico. Si trovò a vivere periodi burrascosi e cioè l'odio del pazzo imperatore Caligola, l'esilio
combinatogli dall'imperatore Claudio, l'educazione da impartire a Nerone, il ruolo di consigliere
accanto a Nerone imperatore, il ritiro a vita privata a causa delle stranezze neroniane, la possibilità
quindi di dedicarsi ai suoi studi e alle sue opere che gli daranno l'immortalità e infine la morte su
ordine di Nerone che l'accusava di complicità con la congiura di Pisone.

Charles Baudelaire (Parigi, 9 aprile 1821 – Parigi, 31 agosto 1867)

1. La vertigine del moderno

Baudelaire nasce nel 1821 e muore nel 1867, quindi era più anziano di circa una
generazione rispetto ai cosiddetti “poeti maledetti”. 
Baudelaire è considerato unanimemente in poesia il “padre della modernità”, ovvero
colui la cui opera ha squadernato all’Europa gli orizzonti della modernità. C’è un famoso
detto riguardo a Baudelaire che dice: «Esiste un modo di sentire prima di Baudelaire e un
modo di sentire dopo di Baudelaire», questo vuol dire che l’opera di Baudelaire ha
rappresentato uno spartiacque dopo il quale nulla è stato più come prima in poesia, ha
cambiato totalmente la tradizione di fare poesia.
Sul piano biografico, Baudelaire si comporta sulla falsa riga dei “poeti maledetti”: ha
dissipato l’eredità paterna, si è dato agli stravizi (oppio, alcol), ha contratto la sifilide.
Queste sue fasi di vita sregolata sono state però alternate da fasi di vita più austera e
monastica. Sicuramente è stato un precursore degli atteggiamenti snobistici tipici
del dandysmo; amava inoltre indossare la “maschera” del flaneur, cioè del perditempo
che con le mani in tasca se ne va in giro ad osservare la città in tutti i suoi aspetti. Senza
lo sfondo necessario della città metropolitana la poesia di Baudelaire non potrebbe
esistere, sulla poetica baudelairiana ha inciso tantissimo l’esperienza della vita
cittadina perché Parigi proprio in quegli anni si stava trasformando in una moderna e
caotica metropoli. Baudelaire che proveniva dalla campagna si trova stranito e spaesato
nella nuova realtà caotica e frenetica della metropoli moderna, nutre infatti un sentimento
ambivalente nei confronti di questa nuova Parigi sentendosene ora respinto, ora attratto.
Baudelaire pubblica nel 1857 a Parigi una raccolta che si intitola I fiori del male (Les
fleurs du mal) che poi vedrà una seconda edizione nel 1871 e nel 1879 postuma la terza
definitiva edizione. Tra quella del ’57 e quella del ’71 sono intervenute delle sostanziali
modifiche dovute al fatto che quella del ’57 destò a tal punto scalpore e scandalo che la
censura ne consentì la pubblicazione dopo che fu avvenuta l’espulsione di sei liriche
ritenute addirittura “lesive della morale”, cioè si riteneva che offendessero il pudore (il
titolo in origine doveva infatti essere Le lesbiche).
La poesia baudelairiana è all’origine delle due linee fondamentali che la poesia moderna a
partire da lui perseguirà e conoscerà, Allegorismo e Simbolismo. Queste due linee della
poesia dopo Baudelaire con i “poeti maledetti” si scinderanno e il Simbolismo prevarrà
sull’Allegorismo; a partire però dai primi anni del Novecento con i movimenti
avanguardistici verrà ripreso anche l’Astrattismo.

2. Perdita di aureola

Con l’espressione “perdita di aureola” Baudelaire intende dire che il poeta ha perso il


ruolo culturalmente egemone che ha rivestito fino all’epoca romantica, il poeta ha cioè
subìto nella società moderna una sorta di declassamento sociale, non viene più tenuto in
considerazione dai suoi contemporanei e non ha più un ruolo di insegnamento dei valori a
cui tutti si devono rifare. Questa espressione deriva da un poemetto in prosa che
allegoricamente raffigura questa situazione di declassamento sociale del poeta; infatti
in Perdita di aureola un poeta si trova nell’anticamera di un bordello e incontra un suo
conoscente che gli chiede come mai “colui che mangia l’ambrosia” (i poeti che si cibano di
nutrimento spirituale n.d.r.) si trovi in un bordello, il poeta risponde di essere inciampato e
per questo ha perso l’aureola nel fango. Quest’immagine allegorica raffigura come il poeta
rinunci consapevolmente alla sua posizione sociale perché ormai la poesia ha perso il
suo valore e non ha più nulla da dire ai lettori.
Il poeta nel momento in cui dolorosamente prende atto di questa sua perdita di prestigio
può agire in due modi:
- Allegorismo: rappresentare la propria condizione di declassamento ed emarginazione e
quindi in qualche modo andare a rappresentare la condizione atroce dell’uomo moderno
immerso nella società capitalistica e in un ambiente cittadino disumanizzante;
N.B. “Allegoria” deriva dal greco allegorèin che significa “parlare d’altro”, cioè raccontare
eventi che hanno un significato letterale ma rimandano anche ad un significato altro.
Quindi se nel simbolo il significato è raggiungibile per via intuitiva, nell’allegoria è
necessario uno sforzo intellettuale per cogliere il significato “altro”.
- Simbolismo: andare a rivendicare il proprio ruolo di un tempo, quindi un ruolo in qualche
modo oracolare e sacerdotale di rivelatore agli uomini del mistero che si cela dietro le
apparenze reali.

3. I fiori del male


Il titolo I fiori del male è un titolo volutamente ambiguo,
volutamente ossimorico perché accosta i fiori, che sono tradizionalmente associati ad
un’idea positiva, al male; quindi anche il titolo stesso è stato ottenuto attraverso un
procedimento allegorico. Esso potrebbe anche avere un significato metapoetico (“la
poesia che parla di sé stessa”) perché nella tradizione letteraria già medioevale il termine
“fiore” sta ad indicare il singolo componimento poetico (es. Fiore di poesia di Dante) e
anche nei vocaboli “antologia” (dal greco anthologìa, “raccolta di fiori”) e “florilegio” è
contenuta la parola “fiore”.
I fiori del male sono composti da sei sezioni e nella ripartizione dei testi Baudelaire ha
voluto suggerire al lettore l’idea di un percorso evolutivo, cioè il poeta ha organizzato le
sue poesie in maniera molto accurata per suggerire l’idea dell’evoluzione di un percorso
esistenziale e poetico all’interno della raccolta; quindi la raccolta si configura per volontà
stessa dell’autore come una sorta di poema. Dalla critica è stato definito un Itinerarium
mentis in nihil, questa espressione richiama il titolo di un’opera di San Bonaventura da
Bagnareggio, l’Itinerarium mentis in Deum; Baudelaire sviluppa la sua opera in
quanto “itinerario dell’anima verso nulla” proprio perché il poeta rinuncia ad ogni
sentimentalismo, le sue poesie non vogliono rappresentare i suoi stati d’animo, ma
vogliono essere un “catalogo” di tutto quel mondo caotico che lui attraversa e di cui lui
coglie tutti gli aspetti dai più elevati ai più bassi.
La prima sezione si intitola Spleen e ideale e dà la chiave di lettura all’intera raccolta,
questo titolo perché il poeta appare diviso fra questi due opposti, la tensione verso
l’Assoluto e la constatazione dell’impossibilità di farlo. “Spleen” è una parola chiave del
lessico baudelairiano, deriva dal greco e significa “milza”: nella medicina degli umori
antica la milza presiedeva alla formazione della bile che presiedeva ai temperamenti
malinconici. Lo “spleen” è dunque l’atteggiamento esistenziale del poeta che
potremmo tradurre in una sorta di tedio esistenziale che si traduce in un disgusto per la
vita che si alimenta della consapevolezza dell’inutilità di qualunque sforzo. Lo stacco che
si produce tra l’aspirazione verso l’assoluto e la sua immersione nella realtà contingente e
morale lo portano ad avvertire a questo senso di angoscia e di disgusto che è lo “spleen”. 
Nelle sezioni successive Baudelaire cercherà attraverso qualsiasi tecnica di
evasione (droga, alcol, viaggi, erotismo sfrenato…) di sfuggire dallo spleen per poi
rendersi conto che la vita non è altro che un itinerarium mentis in nihil, cioè un viaggio
della mente verso il nulla. Charles Baudelaire è il poeta francese considerato il precursore del
Simbolismo, ma fu anche critico, studioso dei problemi estetici e soprattutto un grande innovatore
del genere lirico, tant’è da essere ricordato come l’iniziatore della poesia moderna. 
Baudelaire contribuì all’elaborazione del concetto di “poesia pura”, libera da ogni preoccupazione
di contenuto e da intenti civili o morali, nella quale la suggestione delle parole e dei simboli può
essere oggetto di ispirazione, aprendo così la strada al Simbolismo, allo sperimentalismo e in
generale ai movimenti che a loro volta hanno fatto ponte tra la poesia romantica e quella del
Novecento.
Come i parnassiani, Baudelaire ricercava la perfezione della forma e rifuggiva con disprezzo la
realtà presente ma, a differenza di Gautier, non cercava rifugio nei modelli classici, bensì in quelli
artificiali dell’alcool e delle droghe, nell’evasione dalla normalità attraverso l’eccesso e il vizio e
nell’abbandono alla malinconia, che diviene sintomo di una sensibilità superiore. Questo stato
d’animo è definito dal poeta Spleen (da cui prende il nome la lirica) ed è paragonabile a un
sentimento di noia che assume la forma di un vero e proprio tedio esistenziale.
Alla base della poesia di Baudelaire e di quella simbolista in generale c’è la poetica delle
corrispondenze, teorizzata nella lirica ( Ennui e idéal. Provato da una vita travagliata e disordinata
testimoniata dalle lettere e dal frammento in prosa “Il mio cuore messo a nudo”, Baudelaire rifiuta
l’oggettivismo di cui i suoi contemporanei, i poeti parnassiani, si compiacevano e tende a
realizzare una poesia dell’uomo, delle sue cadute e dei suoi tentativi di rialzarsi, delle sue sublimità
e bassezze, dell’ininterrotto confronto tra ennui e idéal. 
Questa situazione di conflitto e di ambivalenza emotiva è sentita come realizzazione dell’idéal, ma
il punto di partenza da cui muovono tanti atteggiamenti di Baudelaire è la sua coscienza di
“esiliato”, di “angelo caduto” e quindi di essere estraneo al mondo in cui vive. Questa coscienza di
diversità approda o alla cupa accidia o ad un atteggiamento di rivolta e quindi si ritorna all’ennui.
Le condizioni da cui si è esiliati non sono però raggiungibili, benché continuamente sentite e
cercate: non restano che l’aspirazione alla bellezza e all’arte perseguita con religiosa dedizione,
l’oblio della propria disperata condizione, il sogno di nuovi paradisi che ripaghino ciò da cui si è
stati esiliati. E quindi i paradisi artificiali della droga che permetta di abbandonarsi a nuove
sensazioni di colori, musiche e profumi, oppure il vagheggiamento di partire, di andare lontano
verso ciò che è diverso, insolito.
Un mondo interiore così complesso necessita di una poesia ricca di sfumature e di suggestioni per
cui un suono può evocare un colore o un profumo può suggerire un paesaggio (Corrispondenze);
dunque il ruolo del poeta sconfina quasi in quello del mistico.

Le liriche studiate sono:


1. Spleen 
Con la parola Spleen intendiamo un particolare stato d’animo, che Baudelaire definisce
frequentemente col termine ennui, fatto di tristezza, di disperazione, di angoscia
esistenziale, di incapacità di stabilire un rapporto col mondo esterno: si tratta di una
disperazione senza via d’uscita, che non si lascia ricondurre ad alcuna causa concreta.
Alla descrizione di questo stato d’animo Baudelaire dedica proprio questa lirica.
Il poeta, guardando la natura, vi legge il riflesso del suo disagio e del suo senso di
oppressione: il cielo grava sull’anima come un coperchio, la luce è più tetra del buio
notturno, la terra è un’umida prigione, la Speranza è come un cieco pipistrello impazzito, le
strisce della pioggia sono come le sbarre di una prigione, i pensieri del poeta sono come
ragni silenziosi che invadono il cervello con le loro ragnatele. In questo quadro di
disperazione anche il suono delle campane si carica di valenze negative: è un orribile
frastuono, un urlo feroce di fantasmi che non trovano pace nell’aldilà. Infine, nell’anima del
poeta passa un corteo funebre: la Speranza è stata vinta e l’Angoscia è vittoriosa.
2. Elevazione
Questa lirica è in stretto rapporto con la precedente: allo spleen, all’ennui, all’angoscia si
oppone, infatti come momento alternativo l’idéal, il bisogno di evasione, l’elevazione. Dal
grigiore della vita è possibile liberarsi slanciandosi verso luoghi sereni e luminosi,
elevando in alto il pensiero come l’allodola nei cieli.
Verso la realizzazione di questa liberazione Baudelaire ebbe un alterno avvicendarsi di
cadute e di vittorie, e di volta in volta nella sua poesia furono strumenti di questa
elevazione l’amore, il sogno, l’ebbrezza e il viaggio.
3. Corrispondenze 
Questa lirica è considerata uno dei componenti chiave della poetica di Baudelaire e in
generale di quella simbolista, in quanto si può ricavare la concezione dell’autore riguardo
alla realtà, al ruolo dell’immaginazione e alla figura del poeta, essere eccezionale.
La natura vi è rappresentata come un tempio, un luogo sacro e del mistero, da cui
emanano “confuse parole” che l’uomo può sentire ma non comprendere. L’uomo vive nella
natura, è compartecipe del suo mistero; avverte che tra i profumi, i colori e i suoni esistono
correlazioni e simmetrie che si perdono lontano come echi. Sta al poeta scoprire e
celebrare le originarie corrispondenze di tutte le cose, le analogie sotterranee che legano
tra loro i diversi fenomeni sensibili in un’unità profonda. Sta a lui decifrare, mediante
l’intuizione e l’immaginazione, l’universale analogia che i sensi e la razionalità non
permettono di cogliere. Ma può esprimere tutto ciò solo ricorrendo a un linguaggio
simbolico, a una “magia verbale”. In tal senso, se la natura è sacra e la realtà simbolica,
anche la poesia è sacra, poiché rivela il linguaggio segreto dell’universo.
4. Albatros 
L’albatros è un uccello che ha un’apertura alare eccezionale e vive nei cieli solitari del
circolo polare. Metaforicamente è il poeta decadente che è dotato di una sensibilità
eccezionale, l’io solipsista, capace di dominare le verità del suo mondo. 
Quando però l’albatros viene catturato dai pescatori è costretto a vivere sul piano
dell’immanente e quindi diventa goffo, viene deriso e preso in giro da coloro che non
possono comprendere in quanto attaccati all’immanente. Per il poeta ciò che appare non è
la verità, poiché la verità è dietro alla realtà; non la comunica perché non capirebbero,
perché lui è un individuo eccezionale.

Con la raccolta “I fiori del male” Baudelaire apre la stagione dei “poeti maledetti”, così
chiamati per la loro vita sregolata, l’uso e l’abuso di alcool e droghe e il rifiuto della morale
e del conformismo borghesi. Massimi esponenti di questa nuova generazione furono i
francesi Verlaine, Rimbaud e Mallarmé.
Paul Verlaine
Per affinità di temi e sentimenti Verlaine è probabilmente il poeta più vicino a Baudelaire,
con il quale condivide l’inquietudine e la noia esistenziali, la rivolta antiborghese, la ricerca
di un linguaggio evocativo e ricco di segrete corrispondenze, il compiacimento per una vita
da artista fuori dalle convenzioni borghesi e ai margini della società. 
Tipici di Verlaine, invece, sono il gusto del vago e del malinconico, l’uso dei versi brevi e
fluidi, e la ricerca costante della musicalità e degli effetti fonici per evocare sensazioni
immateriali.

Arthur Rimbaud
Amico di Verlaine, Rimbaud portò la poetica simbolista alle sue estreme conseguenze.
Rimbaud dichiara che il poeta deve indagare l’ignoto e penetrare nel fondo delle cose per
capirne i segreti tramite il “deragliamento dei sensi”, abbandonandosi liberamente alle sue
visioni, in un vagare senza meta e senza punti di riferimento, solo, incompreso e
maledetto dagli uomini comuni, che non possono capire questo profondo travaglio.
Sostanzialmente secondo i principi di poetica di Rimbaud:
• il compito del poeta è di “farsi veggente”, “indagare l’invisibile e udire l’inaudito”, dar vita
quindi a visioni apocalittiche e allucinazioni ricavate dalla profondità del proprio io;
• il poeta si fa veggente mediante un “lungo, immenso e ragionato disordine di tutti i sensi”;
• il ritrovamento di cose ignote richiede forme nuove;
• il poeta veggente deve “trovare una lingua dell’anima per l’anima”, incomprensibile
razionalmente.

Stephane Mallarmè
Mallarmé, forse il poeta simbolista per eccellenza, considerava il suo maestro Baudelaire.
I temi essenziali della sua poesia sono l’anelito all’elevazione e all’evasione dalla vita reale
e l’aspirazione a cogliere, al di là delle cose, la loro essenza intangibile.
Nell’intento di liberare il linguaggio da ogni rapporto col reale e arricchirlo del senso del
mistero e dell’essenza nascosta delle cose, ricerca la parola pura, spoglia di ogni
significato concreto, realistico, libera dalla sintassi, la parola fatta musica e magia
evocativa, tant’è che la sua poesia finisce spesso col risultare oscura e di difficile
comprensione. 
Anche se incluso da Verlaine tra i “poeti maledetti”, Mallarmé condusse una vita lontana
dagli eccessi.
Tra le sue opere più famose ricordiamo il poemetto “Il pomeriggio di un fauno”, in cui si
accumulano contemporaneamente le suggestioni di poesia, musica e pittura e in cui la
compenetrazione tra il protagonista e la natura circostante dà origine al Panismo, che sarà
poi ripreso da D’Annunzio.

Gabriele D'Annunzio                       

La vita come opera d'arte                  La vita di D'Annunzio può essere considerata una delle sue
opere più interessanti: secondo i princìpi dell'estetismo bisognava fare della vita un'opera d'arte, e
D'Annunzio fu costantemente teso alla ricerca di questo obiettivo. Nato nel 1863 a Pescara da
agiata famiglia borghese, i Rapagnetta, fu adottato dallo zio D'Annunzio poiché suo padre era un
uomo collerico e amante dei vizi e delle donne. Studiò in una delle scuole più aristocratiche
dell'Italia del tempo, il collegio Cicognini di Prato.

La vita mondana a Roma                    Raggiunta la licenza liceale, a diciotto anni, si trasferì a


Roma per frequentare l'università. In realtà abbandonò presto gli studi, preferendo vivere tra
salotti mondani e redazioni di giornali. Acquistò subito notorietà, sia attraverso una copiosa
produzione di versi, di opere narrative, di articoli giornalistici, che spesso suscitavano scandalo per
i loro contenuti erotici, sia attraverso una vita altrettanto scandalosa, per i princìpi morali
dell'epoca, fatta di continue avventure galanti, lusso, duelli. A diciotto anni fugge con la giovane
Maria Harduin di Gallese che è costretto a sposare perchè rimasta incinta. Da lei, sua unica moglie,
avrà tre figli ma la tradirà sempre.

La maschera dell'esteta         D'Annunzio si crea la maschera dell'esteta, dell'individuo


superiore, dalla squisita sensibilità, che rifiuta inorridito la mediocrità borghese, rifugiandosi in un
mondo di pura arte, e che disprezza la morale corrente, accettando come regola di vita solo il
bello.

II mito  del  superuomo          Dopo aver attraversato una crisi lo scrittore cercò così nuove


soluzioni, e le trovò in un nuovo mito, quello del superuomo, ispirato approssimativamente alle
teorie del filosofo tedesco Nietzsche, un mito non più soltanto di bellezza, ma di energia eroica,
attivistica.

Il «vivere inimitabile»            D'Annunzio puntava a creare l'immagine di una vita eccezionale (il


«vivere inimitabile»), sottratta alle norme del vivere comune. Colpiva soprattutto la fantasia del
pubblico borghese la villa della Capponcina, sui colli di Fiesole, dove D'Annunzio conduceva una
vita da principe rinascimentale, tra oggetti d'arte, stoffe preziose, cavalli e levrieri di razza. A
creargli intorno un alone di mito contribuivano anche i suoi amori, specie quello, lungo e
tormentato, che lo legò alla grandissima attrice Eleonora Duse ma anche quello con la figlia del
ministro Rudini. Le sue numerose storie dimostrano una sua sessualità disturbata, poichè temeva
moltissimo l'eterno femminino.

Le esigenze del mercato                    In realtà, in questo disprezzo per la vita comune ed in


questa ricerca di una vita d'eccezione, D'Annunzio era strettamente legato alle esigenze del
sistema economico del suo tempo: con le sue esibizioni clamorose ed i suoi scandali lo scrittore
voleva mettersi in primo piano nell'attenzione pubblica, per vendere meglio la sua immagine e i
suoi prodotti letterari. Gli editori gli pagavano somme favolose, ma quel fiume di denaro non era
mai sufficiente alla sua vita lussuosa. Quindi, paradossalmente, il culto della bellezza ed il «vivere
inimitabile»,superomistico, risultavano essere finalizzati al loro contrario, a ciò che D'Annunzio
ostentava di disprezzare, il denaro e le esigenze del mercato: proprio lo scrittore più ostile al
mondo borghese era in realtà il più legato alle sue leggi; proprio lo scrittore che più spregiava la

massa, era costretto a solleticarla e a lusingarla. E una contraddizione che D'Annunzio non riuscì
mai a superare.

L'avventura politica    Ma, in obbedienza alla nuova immagine mitica che voleva creare di sé,
D'Annunzio non si accontentava più dell'eccezionalità di un vivere puramente estetico:
vagheggiava anche sogni di attivismo politico. Per questo, nel 1897, tentò l'avventura
parlamentare, come deputato dell'estrema destra, in coerenza con le idee affidate ai libri, in cui
esponeva con veemenza il suo disprezzo per i princìpi democratici ed egualitari, il suo sogno di una
restaurazione della grandezza di Roma e di una missione imperiale dell'Italia, del dominio di una
nuova aristocrazia che ripristinasse il valore della bellezza contaminato dal dominio borghese. Ciò
non gli impedì, nel 1900, di passare allo schieramento di sinistra («Vado verso la vita!»): ma non
deve meravigliare, perché questa ambigua disponibilità è propria delle posizioni irrazionalistiche,
estetizzanti e vitalistiche, che sono sempre attratte dalle manifestazioni di forza ed energia vi tale,
qualunque orientamento ideologico esse seguano.

Il teatro             Cercando uno strumento con cui agire più direttamente sulle folle per imporre il
suo verbo di "vate", D'Annunzio a partire dal 1898 si rivolse anche al teatro, che poteva raggiunge -
re un più vasto pubblico che non i libri.

La fuga in Francia       Nel 1910 D'Annunzio, a causa dei creditori inferociti, fu costretto a fuggire
dall'Italia e a rifugiarsi in Francia, ad Archaon.

In guerra           L'occasione tanto attesa per l'azione eroica gli fu offerta dalla prima guerra
mondiale. Allo scoppio del conflitto D'Annunzio tornò in Italia ed iniziò un'intensa campagna
interventista, che ebbe un peso notevole nello spingere l'Italia in guerra, galvanizzando l'opinione
pubblica. Arruolatosi volontario nonostante l'età non più giovanile (52 anni), attirò nuovamente su
di sé l'attenzione con imprese clamorose, la «beffa di Buccari» (un'incursione nel Carnaro con una
flotta di motosiluranti, i MAS a cui riconduceva il motto memento ausare semper), il volo su Vienna
per lanciare volantini. Anche la guerra di D'Annunzio fu una guerra eccezionale, non combattuta
nel fango e nella sporcizia delle trincee, ma nei cieli, attraverso la nuovissima arma, l'aereo.

L'impresa fiumana      Nel dopoguerra D'Annunzio si fece interprete dei rancori per la «vittoria
mutilata» che fermentavano trai reduci, capeggiando una marcia di volontari su Fiume, dove
instaurò un dominio personale sfidando lo Stato italiano.

I rapporti col fascismo                        Scacciato con le armi nel 1920, sperò di proporsi come
«duce» di una «rivoluzione» reazionaria, che riportasse ordine nel caos sociale del dopoguerra, ma
fu scalzato da un più abile politico, Benito Mussolini. Il fascismo poi lo esaltò come padre della
patria, ma lo guardò anche con sospetto, confinandolo praticamente in una sontuosa villa di
Gardone, che D'Annunzio trasformò in un mausoleo eretto a se stesso ancora vivente, il «Vittoriale
degli Italiani

L'influenza dannunziana sulla cultura e la società                  D'Annunzio attraversò oltre un


cinquantennio di cultura italiana, influenzandola profondamente in numerose fasi con la sua
produzione sovrabbondante; un influsso altrettanto profondo esercitò sulla politica, poiché elaborò
ideologie, atteggiamenti, persino slogan che furono fatti propri dal fascismo (il «Mare nostro», le
«folle oceaniche»); influenzò anche il cinema, che ai suoi esordi, negli anni Dieci, fu profondamen-
te dannunziano (lo scrittore stesso collaborò, per denaro, alle didascalie di un kolossal di
ambientazione antica, Cabiria).

La fase della bontà                                                                                                      pag 92

Dopo la crisi dell'estetismo, D'Annunzio attraversa quella che egli stesso definisce fase della bontà,
anche se questa definizione si adatta più alla intenzioni dell'autore che alla realtà dei testi. In
questa fase D'Annunzio scrive l'Innocente in cui esprime un'esigenza di rigenerazione e di purezza,
attraverso il recupero del legame coniugale e della vita a contatto con la campagna, ma esplora
anche una contorta psicologia omicida. Scrive anche la raccolta poetica del Poema paradisiaco in
cui afferma di voler recuperare l'innocenza dell'infanzia e ritornare alle cose semplici, agli affetti
familiari. Si tratta però di intenzioni piuttosto superficiali e poco sincere.

L'Innocente                il romanzo illustra un'altro personaggio decadente: quello del mostro,


l'uomo sposato con una bella donna che lo ama, ma è portato continuamente a tradirla a causa di
un disturbo celebrale, di un impulso irrefrenabile (ispirato alle opere mediche di Lombroso). Stanca
dei continui tradimenti la moglie lo tradisce a sua volta ma, mentre si fa bella cantando L'Orfeo di
Gruck, il marito intuisce il tradimento. La donna da alla luce il figlio avuto dall'amante,
"l'innocente", e il marito, volendo riavvicinarsi a lei ma vedendo il bambino come ostacolo, decide
di uccidere il piccolo esponendolo al gelo (l'autore dimostra una forte vena di crudeltà e di sadismo
nelle descrizioni). La coppia è riconciliata, ma fortemente turbata, da questo orribile segreto.

Il trionfo della morte                                                                                                  pag 93

La malattia interiore e 1a ricerca di un senso alla vita                      L'eroe, Giorgio Aurispa, è


un esteta, non dissimile da Andrea Sperelli. Travagliato da un'oscura malattia interiore, che lo
svuota delle energie vitali, Giorgio va alla ricerca di un nuovo senso della vita, che permetta di
attingere all'equilibrio e alla pienezza. Un breve rientro nella sua famiglia acuisce la crisi dell'eroe
perché reimmergersi nel groviglio di nevrosi della vita familiare, e soprattutto rivivere il conflitto col
padre, figura dominatrice ma anche ignobile e ripugnante, contribuisce a minare le sue energie
vitali: per questo è indotto a identificarsi con un'altra figura paterna, quella dello zio Demetrio, a
lui simile nella sensibilità e morto suicida. La ricerca porta Giorgio a tentare di riscoprire le radici
della sua stirpe: insieme con la donna amata, Ippolita Sanzio, si ritira in un villaggio abruz zese
sulle rive dell'Adriatico, e qui riscopre il volto primordiale della sua gente, i suoi arcaici costumi, le
credenze magico-superstiziose, il fanatismo religioso esaltato. Da quel mondo barbarico e primitivo
il raffinato esteta è però disgustato e respinto, soprattutto dopo aver assi stito agli orrori anche
fisici del pellegrinaggio degli ammalati al santuario di Casalbordino, scene violente e ricche del
furore del culto popolare: in quella direzione la sua ricerca fallisce. Fallisce egualmente la via del
misticismo religioso.

La soluzione nietzschiana                   La soluzione gli si affaccia nel messaggio di Nietzsche, in


un'immersione nella vita in tutta la sua pienezza, ma l'eroe non è ancora in grado di realizzare il
progetto; si oppongono le forze oscure della sua psiche, che si oggettivano nelle sembianze della
donna, Ippolita. Questa è brutta, scura, dai capelli crespi, ma dotata di un grande fascino, quello
dell'eterno femminino. La lussuria consuma le forze di Giorgio, gli impedisce di attingere all'ideale
superumano a cui aspira.

La «Nemica. e il prevalere della morte                      Prevalgono in lui, sull'aspirazione alla


«vita» piena e gioiosa, le forze negative della «morte», come suggerisce il titolo; ed egli al termine
del romanzo si uccide, trascinando con sé nel precipizio la donna amata definita «Nemica».

Le vergini delle rocce                                                                         pag 94

Sdegno antiborghese e disegni imperiali                    L'eroe, Claudio Cantelmo,


sdegnoso della realtà borghese contemporanea, del liberalismo politico e dell'affarismo dell'Italia
postunitaria, vuole portare a compimento in sé «l'ideal tipo latino» e generare il superuomo, il
futuro re di Roma che guiderà l'Italia a destini imperiali.. In questo scenario di decadenza,
disfacimento e morte l'eroe cerca colei che dovrà essere la sua compagna fra le tre figlie del
principe Montaga.

L'attrazione per la putredine e la morte                    Ma questa scelta è profondamente


ambigua: dietro i propositi vitalistici, eroici, trionfali pare celare una segreta e più autentica
attrazione proprio per la «putredine», la decadenza e la morte. Il vitalismo esasperato, l'attivismo
eroico sembrano solo essere tentativi per esorcizzare l'immagine della morte che ossessiona e
affascina inesorabilmente lo scrittore. L'eroe scende in questo inferno della decadenza, spirituale e
fisica, sicuro di trarne vigore per la sua impresa, e invece finisce per restarne prigioniero. Ciò è
rivelato dall'allusiva conclusione del romanzo. Si ripete abitualmente che Cantelmo non riesce a
scegliere fra le tre principesse, e che il romanzo si chiude sulla sua perplessità. In realtà l'eroe
sceglie la sua compagna: è Anatolia, quella delle tre sorelle che ha la maestà e la forza interiore di
una regina. Ma questa non può seguire l'eroe nel suo cammino di gloria, perché è legata al triste
destino della famiglia, deve accudire la madre demente, i fratelli deboli e malati, il vecchio padre.

II fascino della donna fatale                L'eroe soggiace quindi al fascino della bellezza di


Violante, colei che si sta uccidendo lentamente coi profumi, inconfondibile incarnazione della cupa
donna fatale: che è immagine non di fecondità creatrice, ma di un Eros perverso, distruttivo e
crudele, un'immagine, in definitiva, di morte, affine a quella della «Nemica» nel Trionfo della
morte.  Ad onta delle loro velleità attivistiche ed eroiche i protagonisti dannunziani restano sempre
deboli e sconfitti, incapaci di tradurre le loro aspirazioni in azione. La decadenza, il disfacimento, la
morte esercitano sempre su di essi, che dovrebbero essere gli eroi della vita e della forza,
un'irresistibile attrazione.

Il ciclo "del giglio"     È vero che Le vergini delle rocce  doveva essere solo il primo romanzo di
un ciclo «del giglio», e che nei due romanzi successivi l'eroe avrebbe dovuto raggiungere le sue
mete: ma è significativo che questi romanzi non furono mai scritti.

Le Laudi                                                                                                                     pag 97

Nel campo della lirica D'Annunzio si propone di esprimere la sua visione totale della realtà a sette
libri di Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi . Nel 1903 pubblica i primi tre, Maia, Elettra,
Alcyone; il quarto libro, Merope, viene messo insieme raccogliendo le Canzoni della gesta
d'oltremare, dedicate all'impresa in Libia; postumo fu aggiunto un quinto libro, Asterope, che
comprende poesie ispirate alla prima guerra mondiale. I titoli dei libri derivano dai nomi delle
Pleiadi.
Maia                  il primo libro è un lungo poema unitario in versi liberi. Il suo sottotitolo è Laus
vitae, lode della vita. Il poema è la trasfigurazione mitica di un viaggio in Grecia realmente
compiuto da D'Annunzio. L'"io" protagonista si presenta come eroe "ulisside" proteso verso tutte le
esperienze. Il poeta inneggia poi ad aspetti tipici della modernità quali il capitale, la finanza
internazionale, i capitani d'industria, le macchine, poichè esse racchiudono in sé possenti energie,
che possono essere indirizzate a fini eroici e imperiali.

Elettra               nel secondo libro vi è la celebrazione della romanità in chiave eroica, che si


fonde con quella del risorgimento. Cantando questo passato glorioso il poeta si propone
esplicitamente come vate di futuri destini imperiali, coloniali e guerreschi d'Italia.

Alcyone             il tema del libro è la fusione panica con la natura: si presenta infatti come diario
ideale di una vacanza estiva, dai colli fiesolani alle coste tirreniche tra Marina di Pisa e la Versilia.
La poetica dell'Alcyone è stata vista da molti come pura, sgombra dall'ideologia del superuomo e
dalla retorica, rispondente solo all'ispirazione del rapporto sensuale con la natura.

ARTE: ARTE INFORMALE


Cos'é L'Arte Informale
Con il termine Arte informale si definisce una serie di esperienze artistiche, sviluppate in Europa,
America e Giappone, caratterizzata dal rifiuto di qualsiasi forma, figurativa o astratta, costruita
secondo canoni razionali, rapportabili alla tradizione culturale precedente.

Il termine informale fu coniato in Francia negli anni Cinquanta per indicare la tendenza verso un
nuovo modo di creare immagini senza il ricorso alle forme riconoscibili, precedentemente usate,
come il Cubismo e l'Espressionismo.

Ma già tra il 1910 e il 1945 pittori europei trasferiti a New York (Masson, Duchamp, Kandinskij,
Mondrian ed Albers) stavano orientando in questo senso il gusto pittorico. 

Le ragione dell'Arte Informale


Le ragioni profonde di
tale rifiuto derivano dal disagio degli artisti di fronte all'immane tragedia della seconda guerra
mondiale e al disinteresse per l'umanità ed il suo mondo che ha permesso tale orrore.

Il rifiuto della "forma" era già un concetto dell'Arte Astratta,  dell'Action painting, del Tachisme,
dell'Espressionismo astratto, più altri movimenti che ritraevano gli oggetti senza rispettarne le
forme ed i colori, attingendo solo alla visione o immaginazione dell’artista, ma rimanendo pur
sempre forme.

Gli artisti riconducibili a questa tendenza hanno dato origine a opere estremamente diversificate,
ma spesso caratterizzate da libere pennellate e densi strati di colore, segni e metodi all'insegna
dell'improvvisazione, in modo che l'evento artistico, svuotato da qualsiasi residuo valore formale, si
esaurisca con l'atto stesso della sua creazione.

Le correnti nell'Informale
Oggi s'individuano, nell’ambito dell’Informale, due correnti principali: l’informale
gestuale e l’informale materico.

A queste due tendenze devono essere aggiunti altri due segmenti: lo spazialismo e lapittura
segnica.
Alcuni componenti della Corrente Informale realizzano una pittura d'azione in cui il colore è steso
con gesto istintivo, quasi violento. Altri artisti inventano la pittura segnica, fatta di motivi e segni
che si richiamano a caratteri di scritture inventate, altri ancora realizzano la pittura materica,
eseguita con particolari impasti o accostamenti di materiali eterogenei.

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L'Informale Gestuale - Action painting

L’informale gestuale, definito anche "action painting",


proviene dagli Stati Uniti, e coincide di fatto con l’espressionismo astratto.

Suo maggior rappresentante è Jackson Pollock.


La sua tecnica pittorica consisteva nello spruzzare o far gocciolare i colori sulla tela senza alcun
intervento manuale.

Le immagini così ottenute si presentano come un caotico intreccio di segni colorati, in cui non è
possibile riconoscere alcuna forma.

I quadri informali sono pertanto la negazione di una conoscenza razionale della realtà e la
rappresentazione di un universo caotico, unica testimonianza dell’essere e dell’agire.

In ciò si lega molto profondamente alle filosofie esistenzialistiche di Jean Paul Sartre, di Maurice
Merieau Ponty ed Albert Camus, piene di pessimismo ed angoscia, testimonianti il vuoto di
certezze e di fiducia nella ragione umana.
Il "Farsi" dell'Arte Informale

Nell’Informale di gesto il risultato che si ottiene è del tutto


automatico: deriva da gesti compiuti secondo movenze in cui la gestualità parte dalla liberazione
delle proprie energie interiori.

Nel "gesto" non v'è alcun momento cosciente, che cerchi di razionalizzare o spiegare ciò che
proviene dall’inconscio.

Uno dei grandi fascini di quest’arte risiede proprio nel suo "farsi". Da essa derivano tutte quelle
esperienze successive, quali il comportamentismo, la body art o leperformance, in cui il
risultato estetico non risiede più nell’opera compiuta, ma solo nel vedere l’artista all’opera.

Tra i principali artisti americani dell’action painting ricordiamo, oltre a Pollock, Willem de


Kooning e Franz Kline.

L'Informale materico
L'Informale di materia è la tendenza che maggiormente si
manifesta in Europa.

Con l’Arte Informale i pittori si appropriano della problematica del contrasto o prevalenza della
materia sulla forma, che aveva già interessato Michelangelo.

L’Arte Informale Materica inizia nello stesso anno in cui Pollock inventa l’action painting: il 1943.

Protagonista è il pittore francese Jean Fautrier, che, rifacendosi alle esperienze delCubismo


sintetico di Picasso e Braque ed alle ricerche surrealiste di Max Ernst,inserisce nei suoi quadri
materiali plastici che emergono dalla superficie del quadro.

In tal modo rompe il confine tra immagine bidimensionale e immagine plastica, proponendo opere
che non sono più classificabili nelle tradizionali categorie di pittura o scultura.

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I Materiali dell'Arte Informale materica


Agli intrinseci valori espressivi dei materiali si rivolgono
alcuni artisti informali europei: tra essi emergono soprattutto il francese Jean Dubuffet, lo
spagnolo Antoni Tápies e l’italiano Alberto Burri (1915-1995).

Burri, in particolare, propone opere dalla singolare forza espressiva, ricorrendo a materiali poveri:
legni bruciati, vecchi sacchi di juta, lamiere e plastica.

Dopo aver debuttato come pittore figurativo,  Burri passa attraverso l'astrattismo per approdare alla
pittura Informale diventando una delle figure più rappresentative con Renato Birolli,  Mario
Ballocco, Giuseppe Capogrossi, Ettore Colla, Emilio Vedova, Giuseppe Santomaso, Edmondo
Bacci, ma soprattutto con Tancredi Parmeggiani.

Le opere più note di Alberto Burri sono le serie dei "Crateri", delle "Ferite", delle "Combustioni", dei
"Sacchi", dei "Legni", dei "Ferri" e delle "Plastiche".

Arte informale e le scelte degli artisti


Poiché le superfici rugose ed irregolari richiamano alla
mente sensazioni di spiacevolezza o di conflitto, mentre le superfici morbide e levigate inducono
più facilmente a sensazioni di dolcezza e di serenità, l'artista, nella sua scelta e in quella degli
accostamenti tra materie diverse, esprime la propria energia creativa.

La materia si trova quindi in primo piano: un sacco, un rottame d'acciaio, un morbido pezzo di
gomma, una fredda luce al neon, una scheggia di vetro, altro non sono che altrettanti atti artistici.

In questo senso l'arte diventa soprattutto scelta e questa nuova visione ne allarga il campo
praticamente all'infinito.

Tutto può diventare arte, così come è possibile che nulla effettivamente lo sia.

Spazialismo

Lo Spazialismo è una corrente non uniforme, che ha come


rappresentanti due artisti: il milanese Lucio Fontana e il russo (ma naturalizzato americano) Marc
Rothko.

Le loro opere possono ricondursi all’Informale per la comune assenza di "forme", ma la loro ricerca
ha per fine risultati diversi da quella degli altri artisti informali.

Con le loro opere mirano a suggerire effetti spaziali del tutto inediti. Fontana ricorrendo a buchi e
tagli prodotti nelle tele, Rothko ricorrendo alle stesure di colori secondo macchie di sottile
variazione tonale.

Queste applicazioni nell'ambito pittorico hanno la capacità di suscitare atmosfere immateriali e non
terrene, proponendo una nuova visione di spazi, oltre lo spazio naturalmente percepito.

Pittura segnica

La pittura segnica è un’altra versione dell’Arte Informale,


anche se da questa si differenzia per la mancanza di un netto rifiuto della forma.

Nelle opere degli artisti che utilizzano la pittura segnica,la forma, benché non del tutto assente,
tende a trasformarsi in "segno", cioè in un elemento grafico che sia riconoscibile dal punto di vista
formale, ma non nel suo contenuto.

Gli artisti che si esprimono attraverso la Pittura Segnica tendono a costruire nuovi alfabeti visivi,
non concettuali, in cui è evidente la componente calligrafica.

Tra gli artisti più significativi di questa tendenza sono da citare l’italiano Giuseppe Capogrossi, il
francese Georges Mathieu e i tedeschi Wols (pseudonimo di Wolfgang Schultze) e Hans Hartung.

Aer Brut
Il pittore
francese Jean Dubuffet (1901-1985), le cui opere principali sono: "Così vanno le cose" e "Les
Mires", conia il termine "Aer Brut" per definire la produzione artistica di persone prive di
formazione, che vivono ai margini della società o sono internate in ospedali psichiatrici.

Gli autori di opere classificabili come aer brut, totalmente autodidatti ed estranei ai circuiti dell'arte
tradizionale, utilizzano un linguaggio figurativo personale, esprimendo un mondo dell'immaginario
del tutto individuale, sovente sconcertante e assimilabile all'arte Informale.

La Filosofia dell'Arte Informale


La gestualità insita nel tracciare il segno, nello stendere il colore, nell'incidere, graffiare, tagliare,
ferire o bucare la materia, non risponde ad una volontà dell'artista di rappresentare alcunché, ma è
l'opera che, ribaltando il vecchio rapporto, vuole essere "altro" dalla realtà che la circonda, vuole
essere realtà indipendente essa stessa, testimone del fare e dell'essere dell'artista.

La materia appare quale realtà completamente autonoma, oggetto-soggetto di un'arte


autosufficiente in sé, che si presenta in primo piano, eliminando qualsiasi rappresentazione che
non sia quella di sé stessa in tutte le sue caratteristiche di fisicità spazio-temporale.
Willem de Kooning (1904-1991) è un altro grande interprete della stagione dell'Action Painting
americana, che, nel gesto della mano che dipinge, rovescia sulla tela le energie interne, opera
incidendo però su tracce di figure.
Attraverso una
tecnica aggressiva, il pittore si accanisce su frammenti di un corpo deformando,  sfigurando e
rendendo irriconoscibile l'unica parte del reale che permane nelle sue opere.

Alcune opere famose dell'artista irlandese Willem de Kooning sono  "Luce d'agosto", 1946; "Donna
I", 1950-52; "Porta sul fiume", 1960. 

Altro esponente di rilievo della cerchia newyorchese è Franz Kline (1910-1962), che a partire dagli
anni Cinquanta definisce il suo lavoro attraverso grandi sigle grafiche, realizzate con gesto ampio,
tracciato a pieno braccio col segno pesante di una pennellata nera su fondo bianco (il bianco e
nero per Kline "contano come se fossero colori").

In tutte le poetiche del segno e del gesto, palesemente evidenti sono le caratteristiche di denuncia,
di rifiuto e di protesta dell'artista.

La creazione di un nuovo alfabeto, di una nuova scrittura, di una nuova arte, che rifiuta il valore di
ogni precedente conoscenza, dà vita alla "negazione del mondo", una "iconografia del no" (Argan)
ed una identificazione del segno con la propria sofferenza esistenziale di cui si fa diretta
trascrizione.

Un ampio spettro di esperienze pittoriche


astratte
Sulle ceneri ancora calde e fumanti della seconda guerra mondiale apparve un
gruppo di pittori provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti.

Leader di uno spettro molto ampio di esperienze pittoriche astratte, nonostante la


diversità e la forza espressiva che allora esisteva, si riuniscono ufficiosamente
sotto la bandiera dell’arte informale.
Il nome “art informel” (arte informale) è stata data nel 1951 dal famoso critico
d’arte Michel Tapié durante la mostra “Vehémences confrontées” tenutasi nel
marzo dello stesso anno nella galleria Nina Dausset sul tema “Le tendenze
estreme della pittura non figurativa”.

Sacco e Rosso,  Dipinto di arte informale di  Alberto Burri, 1954.

In questo dipinto l’artista lascia tutta la libertà all’imprevisto dei materiali e alla
casualità del gesto, confutando così la maestria, il disegno così come la concezione
tradizionale della pittura e del suo percorso che trasformano l’idea in un’opera
finita, passando attraverso gli schizzi.

Come opera d’arte informale, è un’opera aperta all’interpretazione che lo


spettatore può leggere e interpretare liberamente. Rompendo con i luoghi comuni
dell’arte, l’avventura pittorica prende una nuova piega; invece di partire dal
senso per creare segni, l’artista dell’arte informale comincia a fare segni e
poi a dare loro un senso.

Il movimento si concentra sul processo pittorico che permette allo spirituale di


esprimersi liberamente e immediatamente.

L’arte informale in Europa


Il contesto internazionale dell’epoca svolge un ruolo enorme nell’emergere di
queste nuove forme di espressione. In Europa, per molti artisti, non è più possibile
rappresentare la realtà in modo figurativo, preciso, esplicito e realistico.

Gli occhi sono pieni di ricordi dove passano immagini tra guerra, confusione,
atrocità, dubbi e futuro oscuro. La sperimentazione è quindi un mezzo potente
per impegnarsi per la propria verità, e gli artisti sviluppano un’estetica astratta o
informale per immaginare i loro sentimenti, impressioni ed espressività.
Jean Dubuffet, Affluence, 1967

L’arte informale non ha confini chiaramente definiti, e questa nozione deriva da


diversi aspetti. Nasce così il movimento dell’astrazione lirica dove la libertà
plastica e la proiezione lineare dei colori regnano sovrane. Il “Tachismo”, ma
anche il Matierismo di Antoni Tàpies sono anche considerati come Informalismo
Arte.

Libera da forme riconoscibili, è un’Arte Libera e sperimentale. I suoi principali


rappresentanti europei sono Pierre Soulages, Jean Fautrier, Jean Dubuffet, Wols
Alberto Burri, Emil Schumacher e Georges Mathieu.
L’espressionismo astratto americano
Dall’altra parte dell’Atlantico, la volontà è altrettanto potente per rompere con
l’influenza del Cubismo e del Surrealismo, nonché con tutti i suoi principi pittorici
come la forma, l’armonia tonale, il perfetto equilibrio, le proporzioni, la
composizione unitaria o la strutturazione centralizzata.

A differenza dell’Europa, le nuove e floride condizioni economiche, sociali, politiche


e artistiche danno origine a un nuovo modo di pensare la pittura. L’espressionismo
astratto è nato con un’intera generazione di artisti che vivono a New York.

Convergence (Convergenza), quadro di Jackson Pollock

Come in Europa, questo espressionismo astratto, che è un’arte informale, è diviso


in diversi rami, i due principali sono Action Painting e Color Field Painting. Il
primo è principalmente caratterizzato da Jackson Pollock, Willem de Kooning o
Franz Kline, mentre il secondo si trova nelle opere di Mark Rothko, Clyfford Still o
Barnett Newman.
L’OPERA D’ARTE TOTALE DA WAGNER AI FUTURISTI
 
 
CAROLINA FUCCI
 
 
 
L’opera d’arte universale rappresenta il grande miraggio culturale nel periodo
compreso tra la seconda metà dell’Ottocento e l’affermazione delle avanguardie
storiche. Intesa come unione simultanea di diversi linguaggi artistici o come
evocazione delle sottili corrispondenze interiori tra le diverse forme dell’arte, la
contaminazione interdisciplinare incantò alcuni tra i maggiori scrittori dell’epoca da
Baudelaire fino a Marinetti.
La chimera di un’arte universale si era già affacciata sull’orizzonte romantico
nella dialettica tra finito ed infinito. Nella sua ansia di totalità, il romanticismo
allentava i confini tradizionali tra i generi letterari e i diversi ambiti artistici. Friedrich
Schlegel individuava un sommo ideale di armonia nella poesia sentimentale, riflesso
di tutti gli aspetti dell’arte e della realtà:
 

La poesia romantica è una poesia universale e progressiva. Il suo fine


non è solo quello di riunire nuovamente tutti i separati generi poetici e di
porre in contatto la poesia con la filosofia e la retorica. Essa vuole, e deve
anche, ora mescolare ora combinare poesia e prosa, genialità e critica,
poesia d’arte e poesia ingenua, rendere viva e sociale la poesia, poetica la
vita e la società, poetizzare lo spirito […]. Essa abbraccia tutto ciò che è
poetico, dal più grande sistema dell’arte (che contiene a sua volta più
sistemi) al sospiro al bacio che il fanciullo poetante esala in un canto
spontaneo[1].
 
Con l’affermarsi dello spirito romantico, un posto sempre più importante nella
gerarchia artistica aveva acquistato la musica, espressione istintiva e genuina del
sentimento. Nella filosofia di Wackenroder, la musica, forma ineffabile dell’infinito,
diveniva il mezzo privilegiato di contatto con la divinità. “Componendo i frammenti
del suono, il musicista rivela l’originaria armonia non corrotta dal pensiero, non
violata dalla conoscenza”[2]. Per Hoffmann essa rappresenta
 

la più romantica di tutte le arti, […] perché ha come oggetto l’Infinito.


La lira di Orfeo spalancò le porte dell’Orco. La musica spalanca le porte
di un regno sconosciuto che nulla ha in comune col mondo sensoriale
esterno, ed entrando nel quale l’uomo si lascia indietro tutte le sensazioni
definite per abbandonarsi ad un’ineffabile nostalgia[3].
 

Le riflessioni sull’arte maturate da Wackenroder, dal giovane Schelling (1800-


1805 ca.) e dallo  Schopenhauer del Mondosuggestionarono profondamente la poetica
di Wagner, ove le nebulose teorie romantiche sull’arte universale si compongono
nella nuova concezione del dramma musicale. Secondo “la mitologia wagneriana
della storia”[4], la parola parlata “ridotta a linguaggio della convenzione”[5] è decaduta
in una prosa esanime, del tutto incapace a raffigurare la realtà poliedrica
dell’esistenza. Nell’arcana magia della musica, invece, persistono tracce di un
linguaggio assoluto, nel quale la parola ridiventa poesia, emozione, purezza di
significato. Nel dramma musicale Wagner individua il Gesamtkunstwerk,
l’opera d’arte totale, unione di elementi poetici, mimici, scenici e musicali:
 

La massima opera d’arte comune è il dramma: data quindi la sua


perfezione possibile, esso può esistere soltanto se tutte le arti vi sono
contenute nella loro massima perfezione. Non ci si può figurare il vero
dramma se non come nato dal desiderio comune a tutte le arti di
rivolgersi nel modo più diretto al pubblico comune: nessun’arte isolata
può rivelarsi nel dramma […] se non accede a un contatto collettivo con
le altre arti, perché l’intenzione di ogni genere artistico isolato non si
concretizza che nel corso comprensibile di tutti i generi dell’arte[6].
 

Questa suprema armonia di linguaggi trova un illustre precedente nel teatro


tragico greco, arte universale e collettiva. Con la decadenza della tragedia si disciolse
anche la felice comunità delle muse e le varie arti si isolarono in un cieco
egocentrismo, entro i limiti angusti dei diversi generi, “unica essenza dell’arte del
presente”[7]. L’opera d’arte dell’avvenire, al contrario, segnerà il nuovo
congiungimento di tutti i codici espressivi, identità profonda d’ispirazione e
sentimento.
L’idea del mondo e dell’arte come un’oscura e profonda totalità rappresentava uno
dei cardini della poetica di Baudelaire. Come egli stesso scrisse in una lunga ed
appassionata lettera del 1861, indirizzata al compositore tedesco:
 

Mi sembrerebbe davvero strano che il suono non potesse suggerire il


colore, che i colori non possano donare l’idea d’una melodia e che il
suono o il colore possano sembrare inadatti a tradurre le idee. Tutte le
cose si esprimono in un’analogia universale, dal giorno in cui Dio creò il
mondo come una complessa ed indivisibile totalità[8].
 

Il poeta è colui che non fa fatica ad intendere “il linguaggio dei fiori e delle cose
mute”[9], colui che sa cogliere gli aspetti più segreti della vita, illuminando attraverso
l’immaginazione le misteriose e profonde analogie che risplendono fugaci nella realtà
sensibile:
 

La natura è un tempio ove pilastri viventi lasciano


Sfuggire a tratti confuse parole;
L’uomo vi attraversa foreste di simboli,
Che l’osservano con sguardi familiari
Come lunghi echi che da lungi si confondono
In una tenebrosa e profonda unità,
Vasta come la notte e il chiarore del giorno
Profumi, colori suoni si rispondono
Vi sono profumi freschi come carni di bimbo
Dolci come oboi, verdi come prati
-Altri corrotti, ricchi e trionfanti,
Che posseggono il respiro delle cose infinite:
Come l’ambra, il muschio, il benzoino e l’incenso;
E cantano i moti dell’anima e dei sensi[10].
 

Nella sinestesia, Baudelaire scopriva un nesso capace di raccontare gli aspetti


reconditi della realtà. Allentati i vincoli della mimesi tramite l’immaginazione ed il
sentimento, la nuova lirica aspira a cogliere i lineamenti segreti del mondo interiore.
Attraverso una fitta trama di sensazioni tattili, acustiche e visive la poesia s’inoltra
nelle terre sconosciute dell’ineffabile, foreste di simboli, dove il colore diventa
artificio e finzione. Su questa strada si muoveranno alcune delle più significative
poetiche della modernità, a partire dai simbolisti, per i quali l’arte è rivelazione
d’immagini e sensazioni evanescenti, incastro di allusioni, metafore ed analogie.
L’idea dell’unità intrinseca di tutte le arti, torna tra le pagine della “Revue
wagnérienne”, fondata a Parigi da Edouard Dujardin e Teodor de Wyzewa nel
febbraio del 1885. Nei suoi tre anni di vita, la rivista si propose non solo di studiare
l’opera del grande compositore in tutte le sue implicazioni, ma anche di ricercare i
contatti tra i diversi linguaggi artistici, in nome di nuove ed ardite soluzioni
espressive.
Musicista di parole fu Verlaine che nel 1884 pubblicava una delle sue liriche più
note, Ars poetica (Ars poetica), nella quale elevava la poesia alla
condizione infinita della musica. Il verso ordinato secondo i tradizionali canoni
metrici comporta ad ogni cesura l’interruzione della corrente lirica; il verso impari, al
contrario, evoca un flusso costante di parole che nell’intreccio delle assonanze emula
le emozioni del ritmo musicale. Poeta sottile ed aereo, Verlaine predilige l’uso libero
del verso, degli accenti e delle rime, orditi secondo esigenze di musicalità e
delicatezza. Agli artifici melodici, accosta un cromatismo tenue, di toni appena
sfumati che suggeriscano anziché descrivere, trascolorando in un indefinibile
grigiore.
Un linguaggio accessibile a tutti i sensi era già stata la grande aspirazione artistica
di Rimbaud. La poesia è uno sguardo nel cuore dell’ignoto, una visione raggiungibile
attraverso “un lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi”[11]:
 

Dunque il poeta è davvero un ladro di fuoco. Egli ha a suo carico


l’umanità e gli stessi animali; deve far sentire, palpare, ascoltare le sue
invenzioni; se ciò che riporta da laggiù ha forma, egli dà forma; se è
informe, dà l’informe. Trovare una lingua; del resto ogni parola è un’idea
e verrà il tempo di un linguaggio universale! […]. Questa lingua sarà
l’anima per l’anima, riassumerà tutto: profumi, suoni, colori, pensiero che
uncina il pensiero tirandolo. Il poeta definirebbe la quantità d’ignoto che
nel suo tempo si desta nell’anima universale[12].
 

L’aspirazione ad una lingua che superasse il valore logico della parola, brilla nelle
corrispondenze cromatiche, olfattive e musicali del celebre sonetto Vocali (Voyelles),
rievocato nel 1873, tra le pagine di Una stagione all’inferno (Une saison en enfer):
 

Inventai il colore delle vocali! – A nero, E bianco, I rosso O blu, U


verde. Regolavo la forma e il movimento di ogni consonante e con ritmi
istintivi, mi lusingai d’inventare un verbo poetico accessibile, un giorno o
l’altro a tutti i sensi. Me ne riservavo la traduzione.
All’inizio fu uno studio. Scrivevo silenzi e notti, annotavo
l’inesprimibile fissavo vertigini[13].
 

L’ineffabile fu l’ossessione di Mallarmé, poeta ellittico ed analogico, che affranca


la parola dai suoi significati ordinari per sollevarla in un’aura di misteriosa
suggestione. Instancabile sperimentatore, negli ultimi anni di vita concepirà una
poesia musicale e visiva assieme, nella quale le parole si dispongono nella pagina
come su una tela:
 

La carta interviene ogni volta che un’immagine, di per se stessa finisce


o rientra […]. La creazione affiorerà e si dissiperà, rapida, secondo la
mobilità dello scritto, attorno a pause frammentarie […]. Riconosciamo
che il tentativo partecipa imprevisto, delle ricerche particolari care al
nostro tempo: il verso libero ed il poemetto in prosa. La loro unione si
compie sotto un influsso, lo so, estraneo, quello della Musica ascoltata al
concerto, se ne trovano numerosi modi che mi son sembrati appartenere
alle Lettere, e li riprendo[14].
 

Un altro riflesso letterario dell’utopia dell’epoca si coglie nell’esacerbata


sensorialità di Controcorrente (A rebours), pubblicato da Huysmans nel 1884. Nel
suo rifiuto della natura, del presente e della società, il raffinato e morboso
protagonista del romanzo, disgustato dalla vita, si isolava in un mondo illusorio ed
artificioso, nel quale profumi, colori, sapori e musiche si combinano in allucinate
sovrapposizioni di significato:
 

Le crisi sensoriali di Des Esseintes sono modellate percettivamente […]


secondo la norma baudelairiana delle analogie o sinestesie o
“corrispondenze […]. E’ facile seguire nel testo questa azione snaturante
che tende appunto a fondere le sensazioni in un solo fascio percettivo
[…]. A Fontenay, i profumi sono una lingua dotata di una grammatica, di
una sintassi, di uno stile, e sono disposti in “epoche”; per il gusto di Des
Esseintes, i liquori dell’orgue-à-bouche assumono sotto il palato la
sonorità di vari strumenti, sicché sarebbe possibile creare con essi delle
composizioni musicali, ecc. Confusione imponente, mediante la quale
una cultura senza dubbio eversiva, infiltrandosi nelle falde della fisiologia
come un contagio, si impossessa di ogni senso, lo strappa alla sua
funzionalità ritenuta “normale” e lo per-verte nella direzione di una
percezione libera e totale[15].
 

L’ideale del libro, dove ogni capitolo rappresenta “il concentrato di una specialità,
il sublimato di un’arte diversa”[16] è la tensione spasmodica verso un mondo
iperbolico, ridondante di evanescenze esotiche e sensazioni impalpabili. Nel
raffinamento dei sensi, Des Esseintes intravedeva la possibilità di una conoscenza
assoluta:
 

Le sue tendenze verso l’artificio, i suoi bisogni di eccentricità […]


erano, in fondo, trasporti, slanci verso un ideale, verso un universo
sconosciuto, verso una beatitudine lontana, desiderabile come quella che
ci promettono le Scritture[17].
 

I contatti e gli sconfinamenti tra le diverse arti si intensificano a partire dai primi
anni del Novecento. Mentre compositori come Musorgskij e Debussy si avvicinano
alle arti plastiche e verbali e la poesia cede alle suggestioni sonore e cromatiche del
linguaggio, la pittura scopre nuove eufonie di linee e di colori. Nelle tele di
Ciurlionis, Kupka e Delaunay, dove le pennellate si inseguono nella fuga di cerchi ed
ellissi o si espandono nel fluire morbido di onde arabescate, i tratti arcuati e i giochi
di toni complementari aspirano a rievocare ritmi musicali[18]. Lentamente, il
cromatismo comincia a svincolarsi dalle pastoie della rappresentazione. E’ questo il
clima in cui germogliano gli esperimenti astratti di Kandinsky, convinto sostenitore
dell’unità “interiore” di tutte le arti:
 

Uno dei più importanti problemi dell’arte – per quanto riguarda


l’aspetto sia esteriore sia interiore – è il problema della forma, del
procedimento, delle misure e delle condizioni necessarie al
raggiungimento dell’arte monumentale. […] Ma il problema deve essere
risolto dai militanti di tutte le arti. […] Il pittore dovrà iniziare a parlare
e parleranno sul medesimo tema il pittore assieme con il musicista, lo
scultore insieme con il danzatore, l’architetto insieme con il
drammaturgo, ecc. Inaspettatamente tutti si comprenderanno, […] ci
sarà confusione e chiarezza, si sentirà l’urto delle idee contrastanti, ma
tutto questo provocherà un tale trauma alle forze tradizionali, alla
divisione e alle barriere tra le varie arti e all’interno di ogni singola arte,
che con incredibile fragore, la sfera del consueto verrà infranta e quella
lontananza che già ora non ha più nome, scomparirà[19].
 

Nella sua concezione dell’arte i diversi sensi si rincorrono e si compenetrano: così


un colore può suscitare sensazioni tattili, acustiche ed olfattive, mentre un suono
rievocare movenze, immagini e sapori. Nascono così le opere di Schönberg e di
Skjabin, ma anche le poesie di Van Hoddis, Heym, Ball e Schwitters. In questa
mistica coincidenza di tutte le arti, l’elemento cromatico diventa emozione, melodia,
codice universale che lega e accomuna tutti i linguaggi artistici.
Sulla via verso l’arte monumentale, accanto agli esperimenti sinestetici d’oltralpe,
procedono “le compenetrazioni simultanee” dei nostri futuristi. Pubblicato nel 1913,
il manifesto di Carrà La pittura dei suoni, rumori ed odori, annunciava la nascita di
un’arte “totale, che esige la cooperazione attiva di tutti i sensi”[20], attraverso i
richiami analogici della linea e del colore. Scriveva Marinetti:
 
L’analogia non è altro che l’amore profondo che collega le cose distanti,
apparentemente diverse ed ostili. Solo per mezzo di analogie vastissime,
uno stile orchestrale, ad un tempo policromo, polifonico e polimorfo, può
abbracciare la vita della materia[21].
 

La poesia asintattica, analogica e simultanea dei futuristi inaugura, attraverso


l’immaginazione senza fili, una nuova letteratura: “noi entriamo nei domini sconfinati
dell’intuizione. Dopo il verso libero, ecco le parole in libertà!”[22]. La disposizione
pittorica dei caratteri, l’uso delle variazioni tipografiche, degli spazi bianchi e,
talvolta, l’introduzione di disegni, fanno di questi “paesaggi di parole” un’arte
essenzialmente visiva, come nelle Rarefazioni di Govoni o nei Disegni Guerreschi di
Carrà. Accanto alle “analogie disegnate”, al teatro sintetico e agli intonarumori, il
futurismo vagheggiò la nascita di una nuova arte che giungesse a comunicare
attraverso la pelle, fino ad ora “mediocre conduttrice del pensiero”[23]. E’ il cosiddetto
tattilismo, nuova frontiera delle tavole parolibere, “improvvisazione essenziale e
sintetica”[24] di intuizioni epidermiche.
Nell’avanguardia, insomma, sembra realizzarsi il sogno di una nuova sintesi
estetica, artistica e sensoriale allo stesso tempo[25]. Tuttavia, siamo di fronte a due
diverse concezioni sinestetiche, da una parte gli eterei accordi interiori del Cavaliere
Azzurro, dall’altra la caotica simultaneità di Marinetti, legittima erede
della Gesamtkunstwerk wagneriana, “monumentale accumulazione sommativa di
linguaggi artistici accostati secondo corrispondenze puramente esteriori”[26].

Cosa

Il Futurismo

Quando

XX secolo

Dove
Italia

Protagonisti

Filippo Tommaso Marinetti, Giovanni Papini, Aldo Palazzeschi, Umberto Boccioni

Frase celebre

«Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro.»
1Il Futurismo, l’avanguardia italiana che grida al mondo

Appunti

Il Manifesto del Futurismo

Il manifesto del Futurismo«Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una
bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi
tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla
mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia. […] Noi vogliamo distruggere i musei, le
biblioteche, le accademie d’ogni specie. […] È dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo
nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il  Futurismo,
perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di
ciceroni e d’antiquari».   
20 febbraio 1909   

2Futurismo: caratteristiche di un'avanguardia tra le avanguardie

Appunti

Le avanguardie nella letteratura italiana

Tanti linguaggi, un sentimento comune: il distacco verso la tradizione Il termine avanguardia deriva

dal linguaggio militare dove è utilizzato per indicare la prima linea che avanza sul campo di
battaglia, quella che per prima si getta all’attacco del nemico, che apre la strada al grosso
dell’esercito.
La parola è stata quindi acquisita dalla Storia dell’Arte per indicare una serie di nuovi
linguaggi che nascono e si affermano in Europa nei primi venti anni del ’900. Linguaggi in
alcuni casi anche molto diversi tra loro, che hanno però in comune un sentimento
rivoluzionario nei confronti della tradizione e l’obbiettivo di porsi in avanti, proprio come
l’avanguardia militare, rispetto alle esperienze del secolo precedente.
I movimenti d’avanguardia si contraddistinguono da quelli del XIX secolo per la presenza
di gruppi organizzati di artisti e intellettuali, la stesura di manifesti programmatici,
l’intensa attività editoriale (soprattutto riviste), la multidisciplinarità e l’aspirazione
internazionale.   
Futurismo e arte: l'opera d'arte totaleTra le avanguardie del ‘900 il Futurismo è senza dubbio
quella che più di ogni altra ha coltivato sentimenti di rinnovamento, di ribellione nei
confronti della tradizione, di fiducia incondizionata verso le possibilità offerte dal futuro e
dalle sue innovazioni tecniche. Anticipando notevolmente idee ed esperienze del
movimento del Dadaismo, del Surrealismo, delle avanguardie russe, e delle neo
avanguardie di fine secolo, il Futurismo pone al centro della propria ricerca il binomio arte-
vita e persegue strenuamente l’ideale di “opera d’arte totale”, che sia in grado di superare i
confini tradizionali del quadro o della statua, che riesca a coinvolgere tutti i sensi e i campi
della ricerca intellettuale (pittura, architettura, fotografia, musica, teatro, danza, poesia,
ecc.).    
3Futurismo: gli artisti. La prima generazione del Futurismo

Ritratto di Filippo Tommaso Marinetti, emblema del Futurismo —


Fonte: Ansa

Il primo nucleo di futuristiIl primo nucleo del Futurismo, composto da Umberto Boccioni, Carlo
Carrà, Luigi Russolo, Antonio Sant’Elia, Giacomo Balla e Gino Severini, si forma a Milano
nell’abitazione del poeta Filippo Tommaso Marinetti. Si tratta di artisti che provengono da
diverse città italiane ma che, grazie ai viaggi e alle letture, sono aggiornati su quanto
accade in campo artistico nel resto dell’Europa e rappresentano quindi una notevole
eccezione nel panorama italiano, fortemente arretrato dal punto di vista economico e
culturale.    
I futuristi, il Vate e la nuova arte: risvegliare la cultura italiana Questi giovani pittori si raccolgono
intorno al poeta che scelgono come proprio vate, parlano, dibattono e lucidamente
decidono quale dovrà essere l’indirizzo dell’arte italiana nel XX secolo. Si parte dunque da
basi teoriche più che dalla pratica e dalla sperimentazione tecnica. L’intento dei primi
esponenti del Futurismo è quello di risvegliare la cultura italiana“dall’immobilità, dall’estasi
e dal sonno”, non è più accettabile, nell’era del progresso che l’arte figurativa continui a
perpetrare tematiche esauste, prive di ogni legame con la realtà, che non si slegano dai
soggetti religiosi e mitologici.    
Un passato da soppiantare: i miti del futuroI miti del passato devono essere sostituiti dai miti del
presente e del futuro, che costituiscono il nucleo tematico del Futurismo: l’elettricità, il
treno, l’automobile, l’aeroplano, il dinamismo in ogni sua forma. La necessità assoluta di
tale sostituzione viene annunciata, declamata, affermata con forza attraverso i manifesti,
documenti che utilizzano un linguaggio deliberatamente provocatorio e pieno di
suggestioni visive.    
4Il manifesto del Futurismo

Il Manifesto del Futurismo, pubblicato sulla rivista francese «Le


Figaro» — Fonte: Ansa

Futurismo: manifesto in 11 puntiIl primo manifesto del Futurismo è pronto all’inizio del 1909.


In undici punti descrive l’identità del gruppo futurista e i suoi propositi. Nell’ultimo e
riassuntivo leggiamo:
«Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le
maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante
fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni
ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro
fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di
coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l'orizzonte, le locomotive dall'ampio petto, che
scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d'acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli
aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla
entusiasta».    
La fiducia nel progresso e la guerra alla cultura classica Fiducia incondizionata dunque
nel progresso, nella tecnologia, nella capacità dell’uomo di dominare la natura, di
determinare il corso della storia.
Il grido violento di cambiamento, come affermano nelle righe successive del manifesto del
Futurismo, viene lanciato da artisti italiani, dall’Italia, per l’Italia e per il mondo tutto.
Paradossalmente però il documento viene pubblicato in lingua francese sulla prima pagina
del giornale «Le Figaro». Si tratta di una contraddizione solo apparente. Marinetti e
compagni cercano infatti interlocutori, intellettuali in grado di accogliere e sostenere le loro
proposte innovative all’estero prima ancora che in Italia, in modo tale che la loro azione in
patria, con l’avallo internazionale, possa essere più efficace.
Nel manifesto del Futurismo si dichiara apertamente guerra al gusto e alla cultura classica, si
afferma che l’opera d’arte, il capolavoro, deve inneggiare alla velocità e deve colpire lo
spettatore in modo aggressivo, violento, deve risvegliare in lui energia e vitalità. Non una
parola però su come dovrà essere quest’opera, su quali siano i mezzi espressivi adatti a
perseguire questo scopo. In buona sostanza il poeta Marinetti si ferma al “cosa”, il “come”
viene lasciato agli amici pittori.      
5La pittura futurista

La prima generazione dei futuristi. Da sinistra: Aldo


Palazzeschi, poeta; Carlo Carrà, pittore; Giovanni Papini, scrittore e poeta; Umberto Boccioni
pittore e scultore; Filippo Tommaso Marinetti, poeta e scrittore. — Fonte: Ansa

I due manifesti della pittura futuristaNel 1910 vengono pubblicati il Manifesto dei pittori futuristi e
il Manifesto tecnico della pittura futurista.    
Il Manifesto dei pittori futuristi: un appello ai giovani artisti d'Italia per incitarli alla ribellione contro la
tradizioneIl primo si rivolge direttamente ai giovani artisti d’Italia, incitandoli alla ribellione
contro la tradizione, contro le istituzioni, contro i professori e i critici.
Un’altra dichiarazione di guerra dunque, dove però insieme alla retorica marinettiana,
compaiono anche alcuni importanti e precisi riferimenti all’arte figurativa: «Via, dunque,
restauratori prezzolati di vecchie croste! Via, archeologhi affetti da necrofilia cronica! Via, critici,
compiacenti lenoni! Via, accademie gottose, professori ubbriaconi e ignoranti! Via! Domandate a
questi sacerdoti del vero culto, a questi depositari delle leggi estetiche, dove siano oggi le opere di
Giovanni Segantini; domandate loro perché le Commissioni ufficiali non si accorgano
dell'esistenza di Gaetano Previati; domandate loro dove sia apprezzata la scultura di Medardo
Rosso!»
Si dichiara quindi l’ammirazione per i pittori divisionisti, che hanno messo a punto una
sofisticatissima tecnica mutuata dal post-impressionismo e dal puntinismo. È infatti senza
dubbio il divisionismo il presupposto tecnico della pittura futurista.    

Appunti

Il Divisionismo: tesina di terza media

Il Manifesto tecnico della pittura futurista: la fondamentale importanza del dinamismo e della
compenetrazioneNel secondo si entra nel vivo della materia pittorica e si mettono a punto i
due concetti fondamentali del linguaggio pittorico del Futurismo: il dinamismo e
la compenetrazione.
Leggiamo dunque:  «Il gesto per noi, non sarà più un momento fermato del dinamismo
universale: sarà, decisamente, la sensazione dinamica eternata come tale. Tutto si muove, tutto
corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile davanti a noi ma appare e scompare
incessantemente. Per la persistenza della immagine nella retina, le cose in movimento si
moltiplicano, si deformano, susseguendosi, come vibrazioni, nello spazio che percorrono. Così un
cavallo in corsa non ha quattro gambe: ne ha venti e i loro movimenti sono triangolari. […] Lo
spazio non esiste più: una strada bagnata dalla pioggia e illuminata da globi elettrici s'inabissa
fino al centro della terra. Il Sole dista da noi migliaia di chilometri; ma la casa che ci sta davanti
non ci appare forse incastonata dal disco solare? […] I nostri corpi entrano nei divani su cui ci
sediamo, e i divani entrano in noi, così come il tram che passa entra nelle case, le quali alla loro
volta si scaraventano sul tram e con esso si amalgamano. […] Noi vogliamo rientrare nella vita.
La scienza d'oggi, negando il suo passato, risponde ai bisogni materiali del nostro tempo;
ugualmente, l'arte, negando il suo passato, deve rispondere ai bisogni intellettuali del nostro
tempo. […] tutti si accorgeranno che sotto la nostra epidermide non serpeggia il bruno, ma che vi
splende il giallo, che il rosso vi fiammeggia, e che il verde, l'azzurro e il violetto vi danzano,
voluttuosi e carezzevoli! Come si può ancora veder roseo un volto umano, mentre la nostra vita si è
innegabilmente sdoppiata nel nottambulismo? Il volto umano è giallo, è rosso, è verde, è azzurro, è
violetto. Il pallore di una donna che guarda la vetrina di un gioielliere è più iridescente di tutti i
prismi dei gioielli che l'affascinano. Le nostre sensazioni pittoriche non possono essere mormorate.
Noi le facciamo cantare e urlare nelle nostre tele che squillano fanfare assordanti e trionfali. I
vostri occhi abituati alla penombra si apriranno alle più radiose visioni di luce. Le ombre che
dipingeremo saranno più luminose delle luci dei nostri predecessori, e i nostri quadri, a confronto
di quelli immagazzinati nei musei, saranno il giorno più fulgido contrapposto alla notte più cupa.
Questo naturalmente ci porta a concludere che non può sussistere pittura senza divisionismo. […]
Il divisionismo, nel pittore moderno, deve essere un complementarismo congenito, da noi giudicato
essenziale e fatale».      
La danza del pan-pan al Monico di Gino Severini,
uno degli esponenti della pittura futurista — Fonte: Ansa

I caratteri fondamentali della pittura futurista Il divisionismo implica una stesura del colore non
attraverso campiture uniformi ma attraverso pennellate sottili e separate di colori
primari accostati tra loro, che l’occhio sintetizzerà in modo automatico e diverso a seconda
della distanza da cui si osserva il quadro. Implica l’assoluto divieto di circoscrivere la figura
entro un contorno chiuso. Il risultato è un’immagine brillante e vibrante.
Il complementarismoimplica l’uso dei colori primari e secondari accostati secondo il
principio di massimo contrasto, il risultato è un colore particolarmente acceso e vivace.
Si introduce quindi il concetto di simultaneità che determina l’effetto dinamico: quando
osserviamo un oggetto in movimento l’immagine si moltiplica davanti a noi, con un effetto
simile ai fotogrammi di una pellicola cinematografica.
Si parla infine di compenetrazione: quando un oggetto è lanciato in velocità si deforma, si
libera dai suoi confini, la figura si sfrangia in mille filamenti cromatici. L’eliminazione del
disegno e della linea di contorno fanno sì che non è possibile determinare dove finisca
l’oggetto e inizi lo spazio circostante ecco dunque che il corpo penetra nel divano e che la
strada entra nella casa.
La prima mostra di questo manipolo di eroi si tiene a Parigi nel 1912.   
6L'avventura della guerra

Approfondisci

La Prima Guerra Mondiale

Il desiderio della Guerra e la successiva delusioneNel primo manifesto del Futurismo si legge

la sconvolgente affermazione: «Noi vogliamo glorificare la guerra, sola igiene del mondo». In


queste parole è racchiusa non tanto un’istanza razzista quanto un inno, tanto spregiudicato
quanto ingenuo, alla volontà di rottura con il passato e un’ansia di rivoluzione. La guerra
per i futuristi è anche l’occasione per sperimentare coraggio, ardimento, patriottismo.
Sfortunatamente l’occasione viene offerta dal primo conflitto mondiale che spezza le vite di
Boccioni e Sant’Elia e segna profondamente l’esistenza di Carrà. È la fine dell’eroismo.   
7La seconda generazione del Futurismo

Enrico Prampolini nel suo studio, uno dei pittori della


seconda generazione del Futurismo — Fonte: Ansa

La nuova pittura futuristaDopo la guerra i superstiti del Futurismo si ritrovano a Roma. Al


gruppo si uniscono Enrico Prampolini eFortunato Depero. La fase di rottura e contestazione
è ormai tramontata ma si tratta comunque di anni fertili, in cui la sperimentazione
futurista si estende al teatro, alla scenografia, all’arredamento, alla moda e persino alla
cucina e ai giocattoli. In pittura si affrontano nuovi temi e si sperimentano soluzioni
prossime all’astrattismo. Di particolare interesse è la cosiddetta “aeropittura” che ritrae
panorami osservati dall’alto, secondo le prospettive mutevoli del volo e impressionanti
visioni rotanti.      
Curiosità

Alla progettazione e realizzazione di giocattoli si dedica soprattutto Fortunato Depero.


Stratta di piccole sculture in legno dipinte a colori vivaci. Nel Manifesto della ricostruzione
futurista dell’universo si legge: «Nei giochi e nei giocattoli, come in tutte le manifestazioni
passatiste, non c’è che grottesca imitazione, timidezza (trenini, carrozzini, pupazzi
immobili, caricature cretine d’oggetti domestici). […] Per mezzo di complessi plastici noi
costruiremo dei giocattoli che abitueranno il bambino a ridere apertissimamente,
all’elasticità massima, allo slancio immaginativo. […]Il giocattolo futurista sarà utilissimo
anche nell’adulto, poiché lo manterrà giovane, agile, festante, disinvolto, pronto a tutto,
instancabile, istintivo e intuitivo».

Approfondisci
Poesia del Novecento: movimenti, poeti e le opere più importanti

Futurismo e fascismo: un rapporto problematicoSono anche gli anni in cui il linguaggio futurista
viene scelto dal fascismo per la sua propaganda politica, anche se nessuno degli artisti citati
aderirà personalmente al partito, nemmeno Marinetti che per alcuni anni
frequenta Mussolini. Con l’instaurarsi del regime gli esponenti del futurismo si
terranno lontani dalla vita politica, non esprimeranno pubblico appoggio ma nemmeno
dissenso.
Certo è che il binomio Futurismo=fascismo (che non può essere sostenuto per gli artisti
della prima generazione, quantomeno per un dato cronologico) ha enormemente
danneggiato e ritardato studi e pubblicazioni nel corso della seconda metà del secolo. Una
sorta di imbarazzo storico e politico ha impedito per molti anni di riconoscere quanto di
meglio, in assoluto, le avanguardie del novecento hanno prodotto.      
8Arte e futurismo. Umberto Boccioni, Gli Stati d’animo, 1911

Quelli che restano di Umberto Boccioni


— Fonte: Ansa

Il trittico degli stati d'animo di Boccioni: le sensazioni suscitate da diverse tipologie di moto Il trittico degli
stati d’animo, noto in due versioni e formato da Quelli che restano, Gli addii e Quelli che
vanno, ci mostra la sperimentazione e la ricerca di Boccioni sui linguaggi d’avanguardia,
l’attenzione per la linea espressionista e per il divisionismo. Il pittore sta, in altre parole,
cercando la giusta forma espressiva per rappresentare diverse tipologie di motoche
suscitano diverse sensazioni in chi osserva. Le dichiarazioni teoriche contenute
nei manifesti futuristi, dove si inneggia al furore, al dinamismo, alla modernità, precedono
infatti quasi sempre l’applicazione pratica.  
Quelli che restano: il senso di vuoto e scoraggiamento La storia raccontata dal trittico si svolge in
una stazione ferroviaria, luogo catalizzatore di sentimenti tumultuosi. In Quelli che
restano una sorta di struttura filamentosa verticale sembra intrappolare e ostacolare il moto
lento e faticoso delle parsone, descritte con poche pennellate oblique più scure. L’utilizzo
quasi monocromo del colore trasmette in modo perfetto il senso di vuoto e di
scoraggiamento di chi “resta” dopo una separazione, di chi torna a casa dopo aver visto un
treno partire.   

Gli addii di Umberto Boccioni —Fonte: Ansa

"Gli addii" di Umberto Boccioni: l'agitazione caotica dei sentimenti Ne Gli addii Boccionidescrive invece

l’agitazione caotica dei sentimenti. La scena è vista dall’alto, al centro del dipinto si
distinguono le sagome di due persone che si tendono reciprocamente le braccia in un moto
di attrazione reciproca. L’emozione forte, il tumulto dell’animo nel momento del distacco
sono resi attraverso l’andamento ondulato e tormentato delle pennellate di fondo, che
alludono anche ai fumi dell’ambiente (a prevalere è ancora la linea espressionista). Questa
volta l’uso di una gamma cromatica ampia rende evidente la commistione di sensazioni
diverse che si scatenano nello stesso momento (l’ansia, la fretta, la paura, l’eccitazione, la
nostalgia). Nella seconda versione di questo dipinto Boccioni elimina le figure umane,
sostituendole con la sagoma del treno, che sbuffa fumo e vapore in attesa del segnale di
via.    

Quelli che vanno di Umberto Boccioni


— Fonte: Ansa

"Quelli che vanno" di Boccioni: la dinamicità della partenza In Quelli che vanno la tela è cosparsa da
rapidi segni dall’andamento diagonale. Questa tessitura riproduce la deformazione
dell’immagine dovuta alla velocità, come quando si osserva il paesaggio dal finestrino di un
treno (due occhi spalancati si vedono vicino al bordo sinistro del dipinto), e si sovrappone
al paesaggio di alberi e case inclinate che si scorge nella parte alta. Al movimento e alla
velocità del treno alludono anche le curve rosse piene di vento e le maniglie ripetute
ritmicamente, a simulare la visione simultanea di due istanti diversi. In chi viaggia, il senso
di vuoto lasciato dall’addio è rapidamente colmato dalla determinazione della partenza,
dall’eccitazione e dal piacere del viaggio imminente. Se nella fitta trama di segni
registriamo un chiaro debito verso il divisionismo, in quest’ultimo dipinto troviamo però
anche tutti gli elementi di un linguaggio futurista compiuto, nel dinamismo espresso dalla
linea diagonale delle case, nella velocità, nel ritmo e nella simultaneità delle linee
concentriche.  
9Arte e Futurismo. Umberto Boccioni, La Città che sale, 1911

La città che sale, olio su tela del pittore futurista Umberto Boccioni
—Fonte: Ansa

Il dinamismo e la vitalità dell'espansione delle aree urbane Con La città che sale Boccionidichiara di
voler «innalzare alla vita moderna un nuovo altare vibrante di dinamica, altrettanto puro ed
esaltatore di quelli che furono innalzati dalla contemplazione religiosa al mistero divino». Il
dipinto allude a un avvenimento reale, un cantiere alla periferia di Milano, e in senso più
generale all’espansione delle aree urbane, con l’appropriazione da parte della città di spazi
occupati dalla campagna e con la conquista del cielo, attraverso la costruzione di edifici
sempre più alti. I palazzi e le impalcature si vedono sullo sfondo, insieme alle ciminiere
delle industrie e al nuovissimo tram elettrico. Il primo piano è invece dominato da cavalli
al galoppo, animali da traino diventati simboli della vitalità e del dinamismo universale. Un
dinamismo che investe e trascina gli esseri umani. I colori, accesi e intensi, sono distribuiti
con pennellate vibranti. Le figure non hanno contorno, i tocchi cromatici di ciascuna si
fondono con quelli delle altre figure e dell’ambiente. Boccioni propone in questo dipinto
uno dei suoi principali obbiettivi di ricerca ovvero la compenetrazione tra figura e
sfondo che si genera dalla velocità:   
I nostri corpi entrano nei divani e i divani entrano in noi, così come il tram che passa entra
nelle case, le quali a loro volta si scaraventano sul tram e con esso si amalgamano.

Manifesto tecnico della pittura futurista

10Arte e futurismo. Umberto Boccioni, Forme Uniche della continuità nello spazio,
1913

Umberto Boccioni, Forme uniche nella continuità dello spazio —


Fonte: Ansa

Futurismo e scultura: una tecnica antica ma in completa rottura con i canoni della tradizione Con

quest’opera Boccioni dichiara di voler rinnovare l’arte mummificata della scultura.


Protagonista è ancora il dinamismo. Il grande bronzo rappresenta infatti un uomo, forse un
atleta, impegnato in una corsa che suggerisce un avanzare eroico, in un rapporto di fiducia
e conquista di ciò che gli sta davanti, dunque la volontà e il coraggio di affrontare il futuro.
Pur utilizzando una tecnica antica, Boccioni spezza i canoni della tradizione, innanzi tutto
eliminando il basamento statico e celebrativo e creando due supporti distinti, già per
questo capaci di suggerire movimento. Per la descrizione della schiena, degli arti, e dei
fasci muscolari l’artista utilizza inoltre lalinea curva, capace di suggerire il moto,
ulteriormente accentuato dall’alternarsi di superfici concave e convesse che,
rispettivamente, trattengono e riflettono la luce. Le forme che si allungano quasi come ali
dai polpacci della figura ci dicono come questa si deformi sotto l’effetto della velocità,
assumendo forme aerodinamiche, mostrano la compenetrazione tra corpo e spazio o meglio
del corpo che “continua” nello spazio.   

La Body Art

La Body Art è una corrente artistica che si diffonde negli Stati Uniti e in Europa nel 1968.
Il principale mezzo espressivo usato per questo genere artistico è il corpo umano.
Secondo alcuni artisti che seguirono questo movimento, il corpo riusciva ad essere molto
espressivo di tutte le tecniche possibili, anzi, da solo doveva essere in grado di esternare il
mondo interiore, le angosce, i dolori, etc.
Il concetto di Body Art divenne in breve tempo un'impressione concettuale: il corpo
doveva essere lo specchio dell’anima. Uno tra i primi a presentare modelli nudi, raffigurati
in movimento su alcune tele colorate, fu appunto l’artista francese Yves Klein. Da allora la
body art ha subito naturali evoluzioni dove vi erano rappresentazioni a sfondo sadomaso. 
La Body Art creò notevole scompiglio poiché era contro ogni regola di buon costume. Molti
degli artisti devoti alla corrente utilizzavano il proprio corpo esprimendosi attraverso le
azioni più svariate in pubblico come espletare i propri bisogni fisici, torturarsi, etc.
Questi artisti credevano di trovare in queste manifestazioni lo sfogo e la liberazione delle
proprie angosce, mostrando in pubblico la loro perversione o omosessualità o il loro
narcisismo, per accettarli o farli accettare agli altri, o perché sentendosi deboli, hanno
creduto che il mostrare i propri difetti e le proprie insicurezze li avrebbe resi più forti e in
grado di affrontarli. 
In Italia autori di body art sono artisti come Piero Manzoni, Gino de Dominicis e Vettor
Pisani. La discendenza diretta della body art va cercata all’interno di Fluxus, movimento
artistico sviluppatosi in ambito europeo tra il 1961 e il 1962, e successivamente diffusosi
anche negli Stati Uniti e in Giappone. All’interno del movimento potevano trovarsi
musicisti, artisti, scrittori, attori etc. e le loro produzioni riguardavano performances
continue dove il pubblico veniva coinvolto al fine di abbattere qualsiasi distinzione dei ruoli
tra artisti – attore e spettatore. Nel contesto delle azioni di Fluxus poteva accadere di tutto:
da pianisti che spaccavano i propri pianoforti introducendo fra le corde bulloni d’acciaio o
chiavi inglesi, a pittori che usavano per le loro estemporanee creazioni i seni nudi di una
modella precedentemente rotolatosi tra barattoli di vernice. 
Ricordiamo qui di seguito le principali “pietre dello scandalo”, ovvero artisti che hanno
veramente fatto parlare di sé e vengono ricordati come rappresentanti della body art: la
francese Gina Pane, l’austriaco Hermann Nitsch, e l’italo americano Vito Acconci.
Meno radicali sono state le operazioni dell’americano Dennis Oppenheim, il quale ha
indagato sul suo corpo gli effetti e i mutamenti provocati da stimoli e pressioni esterne di
vario genere, come per esempio l’azione del sole esercitata sulla sua pelle dopo ore e ore
di esposizione completamente immobile.
Altre manifestazioni della Body Art possono invece coinvolgere anche strumenti e tecniche
diverse. Bruce Nauman, per esempio, si serve dell’olografia, una tecnica fotografica con
la quale si possono ottenere immagini tridimensionali.
Mediante l’ologramma egli accentua così le possibilità mimiche ed espressive del suo
volto, contratto e plasmato dalle mani dello stesso artista in smorfie e deformazioni di ogni
genere. 
Tra le più famose performances di questi anni vanno ricordate anche quelle operate alla
coppia inglese Gilbert & George, due bizzarri personaggi che sono giunti a proclamarsi
vere e proprie sculture viventi, fino a proporre le loro stesse giornate come esperienze
artistiche in atto.
La Body Art si è quindi espressa nei modi più diversi e curiosi, ma in questa estrema
varietà si può tuttavia individuare un elemento comune che nella maggior parte dei casi
viene programmaticamente evitato: quello della gradevolezza per escludere l’antica idea
del piacere estetico legato all’opera.
Anche le grandi sedi istituzionali dell’arte, come la Biennale di Venezia, hanno ospitato
operazioni fortemente discutibili, come quella presentata nel 1972 da Gino De Dominicis
che espose come “Interventi artistici” esseri umani affitti da varie patologie.

Gina Pane
Artista francese. In ogni sua rappresentazione Gina si esprime praticandosi tagli con
lamette su varie parti del corpo, come l'orecchio, la lingua o le mani. In altre esibizioni si
piantava spine di rose nelle braccia per esprimere l'angoscia di un rapporto d'amore
doloroso. Ogni dolore interno è mostrato all'esterno come una ferita ed é inteso come
nel medioevo, come elevazione spirituale. 

Vito Acconci
Tale artista americano si è servito di strumentazioni come il registratore e il video e spesso
ha cercato di ottenere effetti stranianti, sia da se stesso che dal pubblico, mediante
l’impiego di specchi fissati in vari punti della stanza.
Lo scopo primario delle sue rappresentazioni è trovare la massima espressione attraverso
il corpo.
Per capire i suoi gesti bisogna conoscere i titoli delle sue esibizioni o performances: in
"Sfregando un pezzo" egli si è seduto ad un ristorante ed ha cominciato a grattarsi un
braccio fino a farlo sanguinare. In "Opening" si è strappato tutti i peli attorno all'ombelico
per fare un po' di spazio. In altre performance si mostra completamente nudo
nascondendo gli attributi in mezzo alle gambe.

Herman Nitsch
Artista viennese che dal 1958 si esprime in azioni altamente violente. Nitsch creò il
“Teatro delle orge e dei misteri”, che presenta performances - riti fra il satanico e
l'orgiastico. Nitsch, di fronte ad un vasto pubblico in delirio, finge di sacrificare animali
squartandoli davanti a tutti e facendo colare interiora e materia sanguinolenta su esseri
umani vivi che si fingono vittime dei suoi sacrifici. 
Il tutto accompagnato da musica d'atmosfera che aumenta ulteriormente l'impatto della
rappresentazione. 
Nitsch afferma che lo scopo delle sue azioni è il coinvolgimento totale dei partecipanti che
si sentono poi liberati dalla violenza e dalle manie omicida accumulate durante tutti i giorni.
Aesthetic movement and Decadence

The Aesthetic Movement was born in France with Thèophile Gautier in the 19th century.
The roots of the English Aesthetic Movement can be traced back to John Keats.
It reflected the sense of frustration of the artist and was a reaction against materialism and his
need to re-define the role of art.
The artist escaped into the world of art, that is “Art for Art’s Sake” and tried to achieve pleasure and
beauty feeling all kind of sensations.
The advocate and theorist of the Aesthetic Movement is Walter Pater.
He rejected religion and affirmed that life should be lived in the spirt of art and that everyone’s life
is a work of art and that art was the only means to stop time.
The task of the artist was to feel sensations and to be attentive to the comely, the gracious and the
blithe.
Art shouldn’t have any political, social and moral involvement. 
It had nothing to do with morality and need not to be didactic.
A lot of features can be seen in the works of these artists, such as excessive attention to the self,
hedonistic and sensuous attitude, perversity, evocative use of language and detachment from
society.

Decadence is a European movement. 


It developed thanks to the Symbolists Rimbaud, Verlaine, Mallarmé who were much influenced by
Charles Baudelaire’s Les fleurs du mal. 
The main representatives of Decadence in Italy were Gabriele d’Annunzio with “Il Piacere”
and Giovanni Pascoli.

In this period two important figures developed: the bohemian and the dandy. The Bohemian allies
himself to the proletariat whereas the dandy is a bourgeois artist.

AESTHETICISM
A deep current of pessimism underlined English literature in the last three decades of the 19th
century. The most apparent causes of this pessimism were the influence of science and the
influence of the German philosopher Schopenhauer. Artists considered art as a substitute of the
conventional, moral and religious values in which they no longer believed. The only morality to be
recognized by the artist was the creation of beautiful works. The only purpose of art was beauty, in
fact “Art for art’s sake” was the motto of Aestheticism; they also rejected all the moral bases
extraneous to nature and the essence of art.

OSCAR WILDE
Oscar Wilde was able to express the crisis in the late Victorian age. He was the major
representative of the aesthetic movement, which considered art more than important than life as a
reaction to the ugliness and the materialism of industrialization, but also as a protest against the
falsity and the prudery of the Victorian age. He was born into a novel, well educated family: his
father was a surgeon and his mother was considered a minor poetess. He himself received a first
rate education, first at Trinity College in Dublin and then at Oxford. He followed the teaching of two
famous professors, Ruskin and Pater, whose theories about art will become the bases of his
Aestheticism. He married Constance Lloyd, they had two sons he always loved deeply and for
whom he wrote his famous short stories, “The Canterbury ghost”, “The happy prince” and “Other
stories”.
Wilde’s Aestheticism was based on the cult of beauty and pleasure, what Lord Henry defines “a
new Hedonism”, which was to replace to Puritanism of Victoria society. He transposed in his life
style what he believed in and wrote it in his works; he dressed in an elegant and eccentric way in
order to shock the Victorians. One side of the society rejected him as an immoral dandy, while
another part sustained him, fascinated by his brilliant conversations. 
In 1890 he published his novel “The picture of Dorian Gray”, whose Preface became the manifesto
of the English Aesthetic movement. The book was a scandal since it considered “Art for art’s sake”
without any moral intent. Wilde was criticized for his work, but it made him famous and his literary
prestige increased in the following years, thanks to his “society plays” that brought him fame and
money from 1892 to 1895. The common characteristic of Wilde’s plays was a satirical attitude and
a criticism towards the terrible seriousness of the Victoria society.
“The importance of being Bill Earnest” is his most famous play; in it all the elements are well
balanced. The play is brilliant and satirical; Wilde used a language full of nonsense and paradoxes.
The plot develops around absurd situations and misunderstandings that turn out to be very funny
and, eventually, everything is resolved to everybody’s satisfaction. 
Despite the fame and success, Wilde was accused and tried because of his homosexual
relationship with Lord Douglas. He was arrested and after an unpleasant trial he was sentenced to
two years hard labor. During his imprisonment he wrote the “De profundis” a kind of polemical self-
defense. When he was released from prison, he had been completely forgotten. He moved then
to Paris, a lonely and broken man, where he died alone in a small hotel room. 
THE PICTURE OF DORIAN GRAY: the story has analogues with folk and fairy tales of a person
whose life is dependent on a magic object, but Wilde managed to put into it the fullest literary
statement of his aesthetic doctrine: for Dorian, the pursuit of pleasure and beauty was the true
purpose of life. This novel also contains an element of mystery that is essential to its success. The
end of the novel is in line with classic horror and crime stories. The novel seems to have no moral
basis; Dorian Gray leads the kind of hedonistic life that disregards moral considerations and even
ordinary human feelings (his dedication to pleasure causes the death of three people). However,
the end of the story is moral, and seems to suggest that there is a price to be paid for a life of
pleasure. 
Dorian Gray, a young man of outstanding beauty, is sought after by the best London society.
Everybody loved him and wants to be in his companion; Lord Henry Wotton introduces him to the
philosophy of a new Hedonism, a life of pleasure founded on Youth and Beauty. The artist Basil
Hallward paints a portrait of Dorian that wonderfully captures the young man’s extraordinary
charms. Dorian, impressed by the perfection of his own beauty, wishes never to grow old and his
wish is granted: his dissolute and immoral life (he causes the suicide of his fiancé and murders
Basil) leaves no sign on his face but disfigures the painting. Disgusted by the portrait, Dorian tries
to destroy it but, as soon as he does it, he dies. After his death, the portrait resumes its perfect
beauty, while the signs of age and physical corruption appear on Dorian’s body.

LA NASCITA DELLA TRAGEDIA


Nel 1871 Federico Nietzsche pubblica la sua memorabile opera La nascita
della tragedia. In essa il grande pensatore tedesco introduce per la prima
volta la distinzione tra apollineo e dionisiaco: la prima delle due categorie,
caratteristica del sogno, si traduce in immagini di serena compostezza e
trova la sua manifestazione più compiuta nelle arti figurative; l'altra, propria
dell'ebbrezza, attiene alle pulsioni sotterranee dell'inconscio e si esprime
nella musica. Il classicismo tradizionale aveva privilegiato solo la componente
apollinea dello spirito greco, ma dietro l'enigmatico sorriso del Dio solare
(Apollo) si cela il volto mutevole del suo fratello notturno, il nume delle orge
e dei misteri: nella tragedia in virtù di un miracolo metafisico della "volontà"
ellenica, compaiono in ultimo accoppiati l'uno nell'altro, e in questo
accoppiamento generale si generano l'opera d'arte, altrettanto dionisiaca
che apollinea, che é la tragedia attica. L'intuizione nietzscheana, pur
espressa nello stile immaginoso e folgorante del profeta del superuomo, ha
non solo il merito di aver gettato le basi per i successivi approfondimenti del
problema, ma soprattutto quello di aver colto il carattere di coincidentia
oppositorum, di sintesi dialettica dei contrari, che é il fulcro stesso del
dramma greco, elemento questo che troverà riscontri precisi in molte delle
teorie elaborate più tardi.Tra i libri pubblicati da Nietzsche, se escludiamo
gli scritti filologici, questo è l'unico dedicato ai Greci. Nessun altro libro di
Nietzsche ha alle spalle una preparazione così lunga e faticosa. Per dieci anni
il giovane studioso vive tra i suoi libri, accetta la tradizione della filologia,
ammonisce i suoi amici a reprimere la fantasia, a rispettare il metodo, a
controllare le ipotesi. Poi scrive questo libro, dove tutto è contraddetto. In
esso Nietzsche propone una nuova visione della classicità, non quella della
cultura europea che riflette la civiltà greca della decadenza, quando la sua
forza creativa si è estinta, ma l'originario spirito greco, fatto di due
elementi: un elemento dionisiaco oscuro, irrazionale, indefinito e ambiguo,
che avverte la caoticità dell'essere, la vitalità, la spontaneità, l'ebbrezza e
che si esprime con la musica e la danza, un elemento apollineo, luminoso, ben
definito, che produce un mondo di forme limpide e definite e che si esprime
con la scultura e le arti figurative. Nella grande tragedia greca (Eschilo e
Sofocle) si compongono i due impulsi: la musica vi rappresenta il dionisiaco, la
vicenda dell'eroe la definitezza apollinea. Noi siamo circondati dallo
spettacolo, tutto oggi è spettacolo, non soltanto il teatro, il cinema, la
televisione. Oggi anche gli uomini d'azione guardano, più che non agiscano.
Perciò si rimane atterriti , quando viene qualcuno a rivelare che cosa fu la
tragedia greca. D'un tratto ci si accorge che quello non era soltanto un
vedere, che quello spettacolo era l'essenza del mondo, contagiante,
soverchiante gli oggetti che crediamo reali. Quindi la sensazione moderna
"questo è soltanto uno spettacolo" è l'inverso dell'emozione della tragedia
greca che faceva dire "questa è soltanto la verità quotidiana". L'uomo di oggi
va a teatro per rilassarsi, per scaricarsi dal peso di tutti i giorni, perchè ha
bisogno di qualcosa che sia soltanto spettacolo. Lo spettatore della tragedia
greca veniva e "conosceva" qualcosa di più sulla natura della vita perchè
veniva contagiato dall'interno, investito da una contemplazione, cioè da una
conoscenza, che già esisteva prima di lui, che saliva dall'orchestra e
suscitava la sua contemplazione, si confondeva con essa. E se la via dello
spettacolo fosse la via della conoscenza, della liberazione, della vita
insomma? Tale è la domanda posta da La nascita della tragedia. Già Euripide
tende ad eliminare dalla tragedia l'elemento dionisiaco, col predominio del
raziocinio; poi Socrate e Platone sono "gli strumenti di dissoluzione greca, gli
pseudogreci, gli antigreci". Socrate fu ostile alla vita, volendo dominare e
soffocare l'istintività spontanea in nome della ragione. Un brano dall'opera
"La nascita della tragedia" : Apollineo e dionisiaco. Questi nomi li prendiamo
in prestito dai greci, i quali rendono percepibili all'intelligenza le profonde
dottrine della loro visione estetica non già per il mezzo di concetti astratti,
ma con raffigurazioni chiare ed incisive della mitologia. Alle loro due divinità
che simboleggiavano l'arte, Apollo e Dioniso, si riallaccia la nostra teoria,
che nel mondo greco esiste un contrasto, enorme per l'origine e i fini, fra
l'arte plastica, cioè l'apollinea, e l'arte non plastica della musica, cioè la
dionisiaca; questi due istinti così diversi camminano uno accanto all'altro,
per lo più in aperto dissidio, stimolandosi reciprocamente a sempre nuove e
più gagliarde reazioni per perpetuare in sé incessantemente la lotta di quel
contrasto, su cui la comune parola di "arte" getta un ponte che è solo
apparente: finchè in ultimo, riuniti insieme da un miracolo metafisico
prodotto dalla "volontà" ellenica, essi appaiono finalmente in coppia e
generano in quest'accoppiamento l'opera d'arte della tragedia attica, che è
tanto dionisiaca quanto apollinea. Uno degli aspetti dell'insuperabile fascino
di quest'opera consiste proprio, probabilmente, nella peculiare mescolanza di
filologia e filosofia, in una misura e con risultati che non trovano precedenti
nella grande filologia-filosofia romantica. La Nascita della tragedia é insieme
una reinterpretazione della Grecità, una rivoluzione filosofica ed estetica,
una critica della cultura presente e un programma di rinnovamento di essa. Il
Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell'esistenza: per poter
comunque vivere, egli dovette porre davanti a tutto ciò la splendida nascita
sognata degli dei olimpici. L'enorme diffidenza verso le forze titaniche della
natura [...] fu dai Greci ogni volta superata, o comunque nascosta e sottratta
alla vista, mediante quel mondo artistico intermedio degli dei olimpici .
Proprio gli dei olimpici sono il mezzo con cui i greci sopportano l'esistenza,
della quale hanno visto la caducità, la vicenda dolorosa di vita e morte,
soffrendone in modo profondo a causa della loro esasperata sensibilità; gli
dei olimpici giustificano la vita umana vivendola essi stessi , perchè la vivono
in una luce senza ombre e fuori dall'angoscioso incombere della morte. La
portata liberatoria delle figure degli dei olimpici si esercita solo se essi
rimangono in un rapporto profondo con il dionisiaco, cioè con il mondo del
caos al quale pure devono aiutarci a sfuggire. Il rapporto fra apollineo e
dionisiaco é innanzitutto un rapporto fra forze all'interno dell'uomo singolo,
che all'inizio dell'opera Nietzsche paragona agli stati del sogno (l'apollineo)
e dell'ebbrezza (il dionisiaco); e che funziona nello sviluppo della civiltà come
la dualità dei sessi nella conservazione della specie. Tutta la cultura umana é
frutto del gioco dialettico di questi due impulsi. Sul piano della specifica
teoria dell'arte, la dualità permette di leggere le varie fasi dell'arte greca
in relazione alla lotta tra impulso dionisiaco e apollineo, lotta che si dispiega
anche come conflitto tra popoli diversi, nel succedersi di invasioni e
assestamenti che caratterizza la storia della Grecia arcaica. Così l'arte
dorica si dispiega solo come risultato di una resistenza dell'apollineo agli
assalti, che sono anche veri e propri attacchi di popoli invasori, del
dionisiaco, dei culti orgiastici di origine barbarica. Nella lotta dei due
princìpi avversi, la storia greca antica si suddivide in 4 grandi periodi
artistici ; dall'età del bronzo, con le sue titanomachie e la sua aspra
filosofia popolare, si sviluppò, sotto il dominio dell'istinto di bellezza
apollinea, il mondo omerico; questa magnificenza "ingenua" venne di nuovo
inghiottita dal fiume irrompente del dionisiaco, e di fronte a questa nuova
potenza l'apollineo si elevò alla rigida maestà dell'arte dorica e della visione
dorica del mondo. Al predominio dell'uno o dell'altro impulso si legano poi le
diverse arti: se la musica é arte prevalentemente dionisiaca, la scultura e
l'architettura sono apollinee, e così l'epopea. Ed é la tragedia attica che si
prospetta come la più perfetta ed equilibrata sintesi tra i due impulsi:
secondo Nietzsche essa nasce dal coro dei Satiri, ossia la processione sacra
in cui i partecipanti si trasformano in finti esseri naturali. Questo mondo non
é più un mondo di fantasia, situato arbitrariamente fra cielo e terra; bensì
un mondo di realtà e credibilità pari a quella che possedeva, per il Greco
religioso, l'Olimpo con tutti i suoi abitatori . Ma la tragedia greca va intesa,
secondo Nietzsche, come coro dionisiaco che sempre di nuovo si scarica in
un mondo apollineo di immagini. Ma il profeta del superuomo indaga anche
perchè la tragedia ad un certo punto sia morta e giunge alla nota conclusione
che l'autore di questo suicidio é stato Euripide, che ha portato lo
spettatore sulla scena: ha trasformato il mito tragico in un susseguirsi di
vicende razionalmente concatenate e comprensibili, di stampo
sostanzialmente realistico. E se Euripide trasforma in senso realistico e
razionale il mito tragico, lo fa per soddisfare le esigenza di un determinato
spettatore, Socrate, il quale inaugura nella mentalità greca una visione
razionale del mondo e delle vicende umane, secondo la quale al giusto non può
accadere nulla di male, nè nella vita terrena nè nell'aldilà. E la stessa
introduzione euripidea del prologo, con il quale spiega fin da principio
l'azione, toglie alla tragedia ogni tensione epica e eccitante incertezza. E
visto che tutto deve andare razionalmente, si intende anche la necessità
del deus ex machina. Se c'é una struttura razionale dell'universo, come
crede Socrate, allora il tragico perde il suo significato, non ha più senso.
Nietzsche arriva a criticare il carattere unilaterale e riduttivo della cultura
tedesca del suo tempo, in cui predomina l'uomo teoretico alla Socrate.
Questi corrisponde al mondo della scienza e della divisione tecnica dei
compiti; esso é caratterizzato dalla fiducia nella possibilità di correggere il
mondo per mezzo del sapere, in una vita guidata dalla sola scienza. Il
prototipo e il capostipite di tale modello culturale é proprio Socrate, che
inaugura il metodo di comprensione della realtà mediante concetti. Con ciò
l'arte stessa viene subordinata al concetto e si stempera nella visione delle
forme apollinee, di cui non si coglie la radice profonda nel dolore e nella
durezza della vita. Nietzsche vede la possibilità di una ripresa dello spirito
tragico, andato perduto per colpa di Euripide e Socrate, una ripresa intesa
come sapienza che si volge con immobile sguardo all'immagine totale del
mondo, cercando di cogliere in essa l'eterna sofferenza come sofferenza
propria. Si tratta di andare oltre i limiti della cultura teoretica, incapace
di poter scrutare, sulla base della causalità, l'intima essenza delle cose  e di
superare lo spirito critico-storico della cultura presente,che si riduce a
raccattare elementi disgregati dietro la spinta di una eccessiva brama di
sapere, e riannodare il legame tra vita e mito. In questa fase del suo
pensiero, Nietzsche risulta particolarmente influenzato dalla metafisica di
Schopenhauer, con la distinzione tra mondo della rappresentazione e mondo
della volontà, sia dal dramma musicale wagneriano, che intende essere opera
d'arte totale , con la fusione di musica , mito, azione, testo poetico e
plasticità scenica.

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