You are on page 1of 27

TERZA MACRO AREA: SPERIMENTAZIONE DEI

LINGUAGGI VERBALI E NON


ITALIANO

Giovanni Pascoli

Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna nel 1855, da una famiglia della piccola
borghesi rurale: faceva parte di una tipica famiglia patriarcale, molto numerosa, il padre,
Ruggero, era fattore della tenuta La Torre.
La vita di questo nucleo venne sconvolta da una tragedia che segnò profondamente il
poeta, Ruggero Pascoli fu ucciso a fucilate, probabilmente da un rivale che aspirava a
prendere il suo posto di amministratore.
La morte del padre creò difficoltà economiche alla famiglia, che dovette lasciare la tenuta
e al primo lutto in breve tempo ne seguirono altri.
Giovanni era entrato nel collegio degli Scolopi ad Urbino, dove ricevette una rigorosa
formazione classica e nel 1873 grazie al brillante esito di un esame ottenne una borsa si
studio pressò l'Università di Bologna, dove frequentò la Facoltà di Lettere.
Negli anni universitari Pascoli subì il fascino dell'ideologia socialista, partecipò a
manifestazioni contro il governo, fu arrestato e l'esperienza fu traumatica e determinò il
suo distacco dalla politica militante. Restò fedele a un socialismo vagamente umanitario,
che propugnava la fraternità.
Si laureo nel 1882, iniziò subito la carriera di insegnante liceale e chiamò a vivere con sé
le due sorelle, Ida e Mariù, ricostituendo così idealmente il “nido” familiare.
La chiusura gelosa nel “nido” familiare e l'attaccamento morboso alle sorelle rivelano la
fragilità della struttura psicologica del poeta, che cerca nelle pareti del “nido” la protezione
da un mondo esterno. A questo si unisce il ricordo ossessivo dei suoi morti che inibisce il
poeta ad ogni rapporto colla realtà esterna.
Questa serie di legami con il nido familiare inibisce anche il rapporto con l'”altro”
Per eccellenza, non vi sono relazioni amorose nell'esperienza del poeta, che conduce una
vita, forzatamente casta.
C'è in lui lo struggente desiderio di un vero “nido”, in cui esercitare un'autentica funzione di
padre, ma il legame ossessivo con il “nido” infantile spezzato gli rende impossibile la
realizzazione del sogno. La vita amorosa è qualcosa di misterioso, da contemplare da
lontano.
Le esigenze affettive del poeta sono, soddisfatte dal rapporto con le sorelle, che rivestono
un evidente funzione materna. Si può capire allora perché il matrimonio d' Ida fu sentito da
Pascoli come un tradimento e determino in lui una reazione spropositata con
manifestazioni depressive .
Dopo il matrimonio di Ida, Pascoli prese in affitto una casa a Castel vecchio. Qui, con la
fedele sorella Mariù, trascorreva la vita a contatto con il mondo della campagna. La sua
vita era quella appartata del professore, tutto chiuso nella cerchia dei suoi studi, ma in
realtà turbata nell'intimo da oscure angosce come la presenza ossessiva della morte.
Dopo aver ottenuto diverse cattedre nel 1905 subentrò al suo maestro Carducci nella
cattedra di Letteratura Italiana a Bologna.
L'inizio degli anni Novanta aveva pubblicato una raccolta di liriche, Myricae, poi negli anni
seguenti diverse poesie in varie e importanti riviste. La sua fama di poeta si allargava e
consolidava consacrandosi cosi poeta latino, capace di dare forza espressiva e moderna
della lingua antica.
Negli ultimi anni volle esercitare la funzione di poeta “vate” de destini della patria e
celebratore delle sue glorie. Al poeta schivo inteso a celebrare il valore delle realtà, si
affiancò cosi il letterato ufficiale, che si assunse il compito di diffondere ideologie e miti.
Pascoli espletò questo suo compito con una serie di discorsi pubblici, tra i quali è rimasto
famoso La Grande Proletaria si è mossa. Il poeta pero era ormai minato dal male si
trasferì a Bologna per le cure, ma si spense poco dopo, il 6 aprile 1912
La visione del mondo: La formazione di Pascoli fu essenzialmente positivistica, tale
matrice è ravvisabile nell'ossessiva precisione con cui egli usa la nomenclatura
ornitologica e botanica, e d'impianto positivistico sono le fonti da cui trae la osservazioni
sulla vita degli uccelli; cosi da letture di testi di astronomia scaturiscono i temi astrali.
Ma anche il lui sorge una sfiducia nella scienza, al di là dei confini limitati raggiunti
dall'indagine scientifica, si apre l'ignoto verso cui l'anima si protende ansiosa. Il mondo,
nella visione pascoliana, appare frantumato, le sue componenti si allineano in una
percezione casuale. Non esistono neppure gerarchie d'ordine fra gli oggetti, ciò che è
piccolo si mescola a ciò che è grande.
Gli oggetti materiali hanno un rilievo fortissimo nella poesia pascoliana, i particolari fisici
sono filtrati attraverso la visione soggettiva del poeta e in tal modo si caricano di valenze
allusive e simboliche, rimandano sempre a qualcosa che è al di là di essi. Che la
precisione botanica con cui Pascoli disegna la natura. Diviene la formula magica che
permetta di andare al cuore della realtà, dare il nome alle cose è come scoprirle per la
prima volta, arrivare ad un'immedesimazione profonda con esse. Questa soggettivazione
del reale può accostarsi a una percezione onirica, il mondo è allora visto attraverso il velo
del sogno e perde ogni consistenza oggettiva.
Si instaurano così legami segreti fra le cose, che solo abbandonando le convenzioni
possono essere colti. La conoscenza del mondo avviene attraverso strumenti interpretativi
non razionali. Tra io e mondo esterno, tra soggetto e oggetto non sussiste quindi per
Pascoli vera distinzione. La sfera dell'io si confonde con quella della realtà oggettiva.
Poetica: Nel saggio Il Fanciullino, pubblicato sul Marzocco nel 1897. L'idea centrale è che
il poeta coincide col fanciullo che sopravvive al fondo di ogni uomo: un fanciullo che vede
tutte le cose “come per la prima volta”. Il poeta fanciullino dà il nome alle cose, egli deve
usare una “novella parola” che sappia andare all'intimo delle cose.
Dietro a questa metafora del fanciullino è facile scorgere una concezione della poesia
come conoscenza immaginosa che Pascoli piega in direzione decadente. Grazie al suo
modo di vedere le cose, il poeta-fanciullo ci fa sprofondare immediatamente nell'abisso
della verità.
L'atteggiamento irrazionale permette di cogliere direttamente l'essenza segreta delle cose,
il fanciullino scopre nelle cose “le somiglianze e le relazioni più ingegnose”, scopre una
trama di rispondenze misteriose che le unisce come in una rete di simboli. Il poeta appare
un veggente, dotato di una vista più acuta di quella degli uomini comuni, colui che per un
arcano privilegio può spingere lo sguardo oltre le apparenze sensibili. La poetica
pascoliana rientri in un ambito decadente.
La concezione della poesia “pura”, per Pascoli la poesia non deve avere fini pratici, il
poeta canta solo per cantare, non si propone obiettivi civili o morali. Tuttavia la poesia
pura, assolutamente spontanea e disinteressata, può ottenere effetti di suprema utilità
morale e sociale. Cita come esempio Virgilio che voleva abolire la lotta tra le classi e la
guerra tra i popoli e dando voce al fanciullino che si sopisce l'odio e si induce alla bontà.
Nella poesia pura del fanciullino è implicito un messaggio sociale che invita
l'affratellamento di tutti gli uomini. Ricchi di poesia per lui non sono solo gli argomenti
elevati, lo poesia è anche nelle piccole cose che hanno un loro “sublime”. A questo
principio Pascoli si propone sia come cantore delle realtà umili scoprendo il loro valore
segreto, sia come celebratore dei miti ed eroi classici
Il mito del “fanciullino” e “superuomo”. Il fanciullino e il superuomo sono appunto due
risposte ai processi traumatizzanti di questo periodo. Creano il mito dell'infanzia Pascoli
propone l'idea di un Eden innocente, che si sottragga alle brutture della società, in cui non
esistono violenze ma solo amore, in cui alla spietata logica produttiva si sostituisca la
fantasia, la contemplazione incantata del mondo. Un mito che esprime un rifiuto della
società, il bisogno di regredire in una condizione fuori dal tempo, ignorando gli sviluppi
della realtà. Intimamente collegato col mito dell'infanzia è quello del “nido” familiare che
può preservare intatta la condizione dell'infanzia, per proteggerlo da forze aggressive al
fine di creare un clima d'illusoria pace. Infanzia e “nido” si collocano sullo sfondo idilliaco
della campagna che in contrapposizione alla vita cittadina consente un rapporto innocente
con la natura.
A questo scontro con la modernità D'Annunzio, col il mito del superuomo, reagisce in
modo contrario, decide di celebrare proprio ciò che fa paura, l'espansione industriale e il
dominio dei più forti sui più deboli. In D'Annunzio si ha il rovesciamento immaginario
dell'impotenza in onnipotenza, attraverso atteggiamenti attivistici e l'affermazione dell'io. Si
possono però ravvisare le stesse angosce, diffratti affiora l'attrazione per la morte e il
nulla, che esercitano un fascino morboso. La costruzione del mito superomistico non è che
un tentativo di occultare quelle spinte nichilistiche.
Quello del superuomo è per sua natura intrinseca un mito “pubblico”, D'Annunzio per
divulgarlo assunse le vesti del poeta vate. Per contro si potrebbe pensare che Pascoli,
data la sua chiusura intimistica sia stato indotto a rifiutare il ruolo di poeta vate; ma non è
cosi, anche Pascoli, amò assumere posizioni ufficiali seppure in forme più dimesse. Era
infatti convinto che la poesia pura potesse divulgare un ideale di non violenza, riteneva
che essa potesse avere un valore consolatorio verso il male del mondo. Anche il
fanciullino cela un vate, e i due vati si rivolgono allo stesso pubblico: nella parola del
superuomo le masse trovavano riscatto dal loro squallore quotidiano, nei messaggi del
fanciullino pascoliano potevano scoprire la bellezza segreta che era insita nella loro vita
grigia.
Ideologia politica: Dai principi letterari di Pascoli una concezione di tipo socialista, di un
socialismo umanitario che affida alla poesia la missione di diffondere la fratellanza.
Durante gli anni universitari, il giovane Pascoli subì l'influenza delle ideologie anarco-
socialiste. L'insofferenza ribelle nei confornti delle ingiustizie aveva una matrice culturale
che risaliva ad un clima romantico ma anche alle inquietudini di un gruppo che si sentiva
minacciato nella sua identità dall'avanzata della civiltà industriale moderna; a ciò si univa
la frustrazione per i processi di declassamento a cui era sottoposto il ceto medio.
In questo quadro rientrava perfettamente la figura del giovane studente Giovanni Pascoli
che sentiva sopratutto gravare su di sé il peso di un ingiustizia indimenticabile, l'uccisione
del padre, i lutti e la povertà: tutto ciò gli sembrava l'effetto di un meccanismo sociale.
Aderì quindi al movimento anarco-soccialista, ma arrestato per una manifestazione
antigovernativa, il giovane studente venne tenuto per mesi in carcere, quando uscì
abbandonò ogni forma di militanza attiva.
Il poeta non rinnegò gli ideali socialisti ma li trasformò in un generica fede umanitaria a cui
alla basa vi era un radicale pessimismo, la convinzione che la vita umana non è che
dolore, per questo gli uomini devono cessare di farsi del male fra loro e amarsi a vicenda.
Il segreto dell'armonia sociale consiste per Pascoli nel fatto che ciascuno si contenti di ciò
che ha; il suo ideale di vita si incarna nell'immagine del proprietario rurale. La proprietà è
per il poeta un valore sacro, la base indispensabile della libertà dell'individuo. Pascoli
mitizza così il mondo dei piccoli proprietari agricoli come mondo sereno che difende i
valori fondamentali
Questo senso geloso della proprietà, del “nido” si allarga ad inglobare l'intera nazione. Per
questo egli sente con tanta partecipazione il dramma dell'emigrazione ed induce Pascoli a
far proprio il concetto che esistono nazioni ricche, capitaliste e nazioni proletarie, povere:
tra questi vi è l'Italia, ebbene le nazioni proletarie hanno il diritto di cercare la
soddisfazione dei loro bisogni, anche con la forza. Pascoli arriva dunque ad ammettere la
legittimità delle guerre condotte dalle nazioni proletarie pere le conquiste coloniali, in modo
dar terra e lavoro ai loro ai figli più poveri.
Sulla base di questi principi, nel 1911 Pascoli arriva a celebrare la guerra in Libia come un
momento di riscatto della nazione italiana con il discorso La grande proletaria si è mossa.
Soluzioni Formali: Il linguaggio pascoliano è ricco di metafore, di sinestesie,,di
onomatopee e di allitterazioni, che contribuiscono a creare una fitta trama di
corrispondenze foniche e simboliche (fonosimbolismo). Il lessico è nuovo, con mescolanze
di parole dotte e comuni, ma sempre precisamente scientifico. La parola spesso si carica
di significati allusivi: in essa il poeta proietta i suoi sentimenti.
Dal punto di vista sintattico il poeta preferisce i periodi semplici composti di una sola frase
o strutture paratattiche. Dal punto di vista stilistico emergono il simbolismo, ossia la
tendenza a ricercare nelle cose il loro significato nascosto, per rendere le immagini più
vive, Pascoli ama talvolta fare accostamenti nuovi trasformando aggettivi e verbi in
sostantivi, ne risulta uno stile impressionistico nuovo ( tecnica che ricerca gli effetti più
immediati). Partendo dalla metrica classica e tradizionale, Pascoli introduce anche forme e
metri nuovi assecondando il suo desiderio di effetti musicali, sottolineato da pause
improvvise. 
Mettendo in atto lo sperimentalismo, cioè la capacità di tentare nuove forme di linguaggio,
forma un atteggiamento da innovatore, come anche il plurilinguismo, cioè la mescolanza di
termini di linguaggio quotidiano, latinismi o parole straniere.
Per quanto riguarda i nuclei tematici della sua poesia sono i seguenti:
-Il dolore per l'assassinio del padre e i lutti provati. Pene e dolcezze dell'infanzia
alimentano una poesia in cui il senso delle cose diventa sempre più allusivo. Il tema dei
“cari” morti si allaccia a quello del “nido” familiare a cui si congiunge anche quello della
malvagità degli uomini.
-Nella sua immaginazione poetica non manca l'abbandono alla contemplazione della
natura di cui egli sa cogliere ogni moto. Il paesaggio è protagonista di molte liriche e le
immagini si prestano spesso a diventare simbolo di una realtà misteriosa
-Pascoli è anche il poeta del cosmo, avvertito come mistero in cui emergono le precarietà
della vita.
-Il senso del mistero che avvolge la realtà, dell'ignoto che il poeta sa cogliere ed esplorare.
-Il destino del dolore e della morte: gli uomini potranno trovare consolazione solo se
impareranno a vivere con fraternità.
-Nei Poemi Conviviali il poeta rievoca il mondo classico e i suoi miti e leggende.
Myricae: La prima vera raccolta fu Myricae, uscita nel 1891 contenente 22 poesie e che
raggiunse il totale di 156 componimenti
Il titolo è una citazione virgiliana, tratta dall'inizio della IV Bucolica, in cui il poeta latino
proclama l'intenzione di innalzare il tono del suo canto, poiché “non omnes arbusta iuvant,
humilesque myricae” (non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici). Pascoli assume
le umili piante come simbolo delle piccole cose che egli vuole porre al centro della poesia.
Si trattano di componimenti che si presentano come quadretti di vita campestre. I
particolari su cui il poeta fissa la sua attenzione si caricano di sensi misteriosi e suggestivi,
sembrano allude ad una realtà ignota.
Spesso le atmosfere che avvolgono queste realtà evocano un idea di morte, in particolare
il ritorno dei morti familiari.

Il nuovo linguaggio pascoliano

Nella tensione a una comunicazione pura, istintiva, Pascoli finisce per rinnovare il


linguaggio poetico italiano, agganciandosi al Simbolismo e al Decadentismo. Il poeta cerca
di aderire al mondo romagnolo adottando il lessico specifico della botanica, della zoologia;
tuttavia non ci si trova affatto di fronte a una rappresentazione mimetica e concreta: il reale
cela sempre dietro di se verità sfuggevoli e significati riposti che l’autore cerca di cogliere;
la parola poetica si fa allusiva mediante la ricchissima trama di suoi ottenuta attraverso
l’accumularsi di allitterazioni, ripetizioni di voci, onomatopee che dissolvono il linguaggio e
lo riducono spesso a pura sonorità. Gli effetti evocativi ed evanescenti dei versi pascoli ani
sono poi accentuati dal ritmo lento e frammentato della sintassi, semplificata e ricca di
pause. Pascoli quindi ha dispiegato orizzonti del tutto nuovi alla poesia italiana, destinati a
influenzare fortemente autori novecenteschi, dai crepuscolari agli ermetici, da Saba a
Montale. Pascoli nella sua carriera poetica cerca di democratizzare la poesia. Nella sua
poetica si sente il bisogno di abbassarsi al mondo rimasto escluso, ovvero il mondo “delle
piccole cose” e lo realizza tramite queste innovazioni letterarie. E questa concezione della
democratizzazione della poesia è legata strettamente al socialismo.
Un posto importante occupano nell’ampia produzione letteraria di Giovanni Pascoli, le
liriche da lui composte in lingua latina. Esse rientrano in una tendenza di fine Ottocento
che vede la fioritura di opere legate al mondo romano come “Mario l’epicureo” di Walter
Peter e “Quo vadis?” di Henryk Sienkiewicz. Al 1891 risale il primo poemetto latino
intitolato Veianus, che gli valse la medaglia d’oro al Concorso internazionale di poesia in
lingua latina ad Amsterdam. I componimenti premiati ed altre opere furono riunite in due
volumi di Carmina.
n poesia, la scrittura sperimentale può ritenersi riconducibile a tre categorie di massima:
l. sperimentalismo di un primo tipo: interventi innovativi rivolti alla struttura del testo
(modalità di versificazione più duttili rispetto agli istituti metrici della tradizione);
2. sperimentalismo di un secondo tipo: innovazione degli strumenti linguistici (scelte
lessicali inconsuete rispetto alle norme della lingua poetica tradizionale, commistione di
generi, invenzione di stilemi personali sotto forma di costrutti sintattico-grammaticali
caratterizzanti);
3. sperimentalismo di un terzo tipo: rinnovamento in profondità del discorso poetico in
quanto veicolo di una determinata “ visione del mondo “. Su questa base di natura
“filosofica”, in buona parte anche connessa alla temperie storico-sociale ai cui stimoli
contingenti l’arte genuina non può né desidera sottrarsi, si sviluppano le cosiddette
correnti letterarie; in questo ambito poeti diversi risultano più o meno convenzionalmente
accomunabili, pur restando ben distinti nella loro individuale specificità — o nella loro
singolare progettualità, si direbbe. (Benedetto Croce, con altre parole, amava sottolineare
quest’ultimo aspetto.)
E’ evidente che i primi due tipi di innovazione riguardano la forma del testo poetico, i suoi
connotati esteriori; anche se – occorrerebbe riflettere su questo dato di fatto – non vi è
artista genuino e memorabile per il quale non siano stati, dopotutto, gli impulsi innovativi
del terzo tipo ad influire decisivamente sugli orientamenti sperimentalistici a livello formale.
Il Pascoli, poeta profondamente motivato da una propria filosofia esistenziale, appartiene
senza dubbio alla categoria degli sperimentalisti del terzo tipo, indotti ad agire anche sugli
altri due versanti della scrittura in funzione di un determinato pensiero-messaggio da
affidarsi con potenziata incisività ai fantasiosi strumenti dell’arte.
L’uso pascoliano del vernacolo di Castelvecchio rispecchia alcuni elementi di quello che
qui abbiamo chiamato sperimentalismo del secondo tipo. Nel contesto del mio ampio
studio dedicato alla funzione del fonosimbolismo nella scrittura poetica, vengono citati
sufficienti esempi significativi di varianti introdotte qua e là dal Pascoli nella struttura del
verso inteso come unità metrico-ritmica. Tali modelli si trovano perlopiù analizzati sotto la
voce anisosillabismo nella prima sezione di quel saggio, e ai medesimi mi limito a
rimandarvi. In questa prospettiva, però, dopo avervi ricordato che l’anisosillabismo era in
realtà fenomeno consueto nella poesia delle origini e che, come tale, potrebbe
considerarsi semmai un recupero più che una vera e propria innovazione (ma quale artista
non attinse al preesistente con propositi innovativi?), desidererei farvi osservare in che
modo l’uso che ne fa il Pascoli costituisca un progresso verso la modernità rispetto allo
sperimentalismo carducciano – già un passo preliminare, quello, di sicura rilevanza per il
nostro.

Ungaretti Vita e opere di Giuseppe Ungaretti


Nato da una famiglia di umili origini, emigrata ad Alessandria d’Egitto, Giuseppe
Ungaretti (1888-1970) dopo essersi trasferito a Parigi, si laureò alla Sorbona e
strinse i primi, importanti contatti con gli esponenti, francesi e italiani,
dell’avanguardia simbolista. 
Schieratosi tra gli interventisti, di fronte alla Prima Guerra Mondiale, a cui prese
parte come volontario, Ungaretti pubblica negli stessi anni la sua prima raccolta
poetica (Il porto sepolto, 1916) che, con le sue rielaborazioni successive (Allegria di
naufraghi, 1919 e, poi, L’Allegria), costiutirà uno dei lavori decisivi per la formazione
della poesia italiana contemporanea. 
Rientrato in Italia (1921), aderì al fascismo, da cui prese le distanze nella seconda
metà degli anni Venti; dopo la conversione al cattolicesimo (1928) diede alle
stampe la sua seconda raccolta poetica (Sentimento del tempo, 1933). 
Nel 1936 ottiene la cattedra di letteratura italiana presso l’università di San Paolo
del Brasile, città dove rimane fino al 1942 quando si sposta a Roma dove continua
a insegnare letteratura italiana all’università. Le raccolte poetiche successive (Il
Dolore, 1947; Un Grido e Paesaggi, 1952) sono contrassegnate dal tragico evento
della morte del figlio Antonietto (1939). Muore nel 1970 a Milano, dopo aver visto la
sua intera opera raccolta nel volume Vita di un uomo, inserito nella prestigiosa
collana dei Meridiani Mondadori l’anno precedente.

L’Ermetismo
Ungaretti viene generalmente indicato come il caposcuola dell’Ermetismo, una
corrente, affermatasi negli anni Venti, che tanta parte ha avuto sulla produzione
poetica successiva e che afferma un nuovo modo di fare poesia, frutto di un lungo
lavoro di ricerca e di sperimentazione, ma anche di un rifiuto generalizzato dei
maestri precedenti, compresi i Crepuscolari, di cui viene abbandonata la
discorsività, in favore della musicalità e di una essenzialità della parola, sempre
connotata dal gioco analogico. 
Convinti che il linguaggio della poesia fosse stato abusato e svilito dai
predecessori, gli ermetici si pongono l’obiettivo di restituirgli verginità e novità,
riportandolo a una dimensione essenziale, scabra e, talvolta, consapevolmente
oscura. La parola poetica torna, così, ad essere lo specchio della realtà, divenendo
per l’uomo strumento per percepire l’inesprimibile sostanza del mondo circostante,
apparentemente privo di senso. 
Facendo tesoro della lezione di Mallarmé, gli ermetici vogliono restituire alla parola
poetica la pregnanza semantica degli ètimi, per questo ricercano espressioni quasi
raggrumate, capaci di folgorazioni liriche, capaci di portare alla luce frammenti,
indizi, corrispondenze, della sostanza segreta del reale.
Proprio per perseguire questo obiettivo ricorrono frequentemente alla figura
retoricadell’analogia, sacrificando, a favore dell’essenzialità, il nesso logico-
discorsivo; discorso simile vale per l’uso della sinestesia: richiamando e
intrecciando sensazioni di diversa origine sensoriale il poeta, come afferma lo
stesso Ungaretti,
“cercherà di mettere a contatto immagini lontane, senza fili”
Il rifiuto dei modello stilistici tradizionali è una scelta stilistica che, però, sottintende
una scelta etica: gli ermetici rifiutano la visione ottimistica e fiduciosa del
positivismo e le mitologie consolatorie del progresso, allineandosi, in tal senso,
come le altre esperienze italiane ed europee del loro tempo. Il poeta, in definitiva,
non ha più certezze da proporre nel suo canto ma solo un sentimento pessimistico
di desolazione e di naufragio. 
In questo isolamento dedito alla difficile arte della distillazione della parola, che
avviene riprendendo molti degli elementi del decadentismo francese di fine
’800(corrispondenze, rifiuto dell’oratoria e delle forme chiuse, valore noumenico
della parola, perfezione geometrica del verso, rigorosa autocoscienza del poeta)
bisogna intravedere anche una risposta etica alla retorica fascista.
Più in generale, le scelte stilistiche degli ermetici non sono mai frutto del caso,
quanto, piuttosto, della necessità di mettere in relazione forma e contenuto del
poetare: l’essenzialità è, quindi, la modalità preferibile per esprimere il male di
vivere che li accomunava e li rendeva pessimisti circa le possibilità per l’uomo, e
per la stessa poesia, di approdare a solide certezze.
La poetica di Giuseppe Ungaretti
In Ungaretti poesia e biografia sono strettamente collegate: la seconda fornisce
spesso alla prima la materia del canto. Ciò è evidente nell’esperienza della trincea
dove, tra intemperie, sporcizia e commilitoni stremati, il giovane poeta scopre una
dimensione della vita, e della sofferenza che richiede nuovi mezzi espressivi per
essere adeguatamente descritta. 
Un esempio evidente di questa posizione lo si trova in Allegria di naufraghi, raccolta
dove, partendo dalle proprie emozioni, Ungaretti dà vita a versi essenziali,
enunciazioni fulminee, parole emerse dal silenzio, riaffiorate dall’abisso della
sofferenza.
La presenza di un vissuto personale è manifestata dall’uso molto frequente di
dimostrativi e possessivi, ma anche dall’indicazione di luoghi e date precisi, sintomi
di una fortissima affermazione del soggetto e di un suo coinvolgimento nelle
vicende, traumatiche, della guerra. 
Sul piano stilistico assistiamo a una sperimentazione totale che è anche una
distruzione della metrica tradizionale: il rinnovamento dell’endecasillabo dà luogo a
versi spezzati, ridotti in alcuni casi a singole parole, giustapposte senza
punteggiature e accostate solo attraverso lo strumento dell’analogia; la
scomposizione del verso ha lo scopo di eliminare la discorsività della produzione
poetica precedente e di ridare pregnanza alla parola poetica. 
Nella raccolta successiva, Sentimento del tempo, che raccoglie le liriche composte
dal 1919 al 1933, si assiste a un’evoluzione della poetica, stavolta meno
autobiografica e più esistenziale, incentrata sull’”Uomo”, inteso come specie e non
come singolo, intenta a a quei conflitti e a quella ricerca di certezze che sono di tutti
e che si riflettono nel poeta:
“e mi sento esiliato in mezzo agli uomini, ma per essi sto in pena”
Giuseppe Ungaretti esprime il nodo esistenziale dell’uomo che viene sciolto
attraverso il recupero della fede, pur non annullando la conflittualità tra il
sentimento religioso e il dolore del singolo o della collettività. L’evoluzione della
poetica è visibile anche sul piano stilistico dove si assiste al passaggio alla “volontà
di canto” e dove i moduli della tradizione poetica (Jacopone da Todi, Dante,
Cavalcanti, Leopardi), “il canto della lingua italiana che cercavo nella sua costanza
attraverso i secoli”, è ritrovato e affinato. 
Comune a questa raccolta e a quella successiva, Il dolore (1947), è il tema del
rapporto tra contingente ed eterno e l’esigenza meditativa sebbene, in quest’ultimo
lavoro, l’elemento biografico torni ad essere preponderante, come dimostra la
prima sezione, dedicata al figlio morto prematuramente, altissima per verità umana
e completo dominio dei mezzi espressivi.
Nella sezione Roma occupata, che riflette sulle vicende contemporanee, emerge,
pur essendo evidente la riconquista della fede, l’altro momento – quello collettivo –
del destino di dolore dell’uomo. La lirica, che recupera anche una metrica più
tradizionale, è, quindi, sia malinconia soggettiva o coralità della tragedia comune.
GIUSEPPE UNGARETTI, POETICA - Giuseppe Ungaretti è stato il maggiore
esponente di quella “poesia pura” da cui si svilupperà la corrente vera e
propria dell’Ermetismo. Egli ha vissuto nel periodo in cui la borghesia non portava più
avanti gli ideali di libertà e giustizia che aveva promesso e in nome dei quali aveva
combattuto durante le rivoluzioni del secolo passato, ma si chiudeva in se stessa e, nel
timore di perdere il conquistato potere politico, affidava la risoluzione delle proprie
contraddizioni a fenomeni quali il colonialismo imperialistico, le due guerre mondiali o
l’avvento del regime fascista. Come si deduce dalle esperienze di vita affrontate, la
formazione sociale e culturale di Ungaretti è stata vasta e dalle componenti
svariate ed eterogenee, destinate poi ad elaborare un modo nuovo ed intenso di fare
poesia. GIUSEPPE UNGARETTI, POETICA E PENSIERO - La gioventù in Africaha
permesso a Giuseppe Ungaretti di conoscere il dramma umano di esuli anarchici e
socialisti provenienti da ogni parte di Europa. Gli anni di Parigi (1913/14) e l’incontro col
poeta francese Apollinaire gli hanno permesso invece di approfondire l’importanza della
parola in poesia, ma in una direzione del tutto opposta rispetto a quella presa dai Futuristi
del primo ‘900: se questi esprimevano il proprio atteggiamento attivo e rivoluzionario di
conquista del mondo attraverso parole rumorose, proiettate all’esterno, Ungaretti e
l’Ermetismo si sono serviti della parola isolata e ripiegata su se stessa per dar voce al proprio
dolore personale, dunque proiettandola verso l’interno del proprio animo.

Focus: Ermetismo, l'oscura corrente della Letteratura italiana

GIUSEPPE UNGARETTI E LA POETICA DELL'ALLEGRIA - La raccolta


poetica L’Allegria costituisce il primo momento della poesia di Ungaretti.Inizialmente
comprendeva un piccolo gruppo di poesie apparse sulla rivista «Lacerba» nel 1915, poi si è
aggiunto un altro nucleo di poesie del 1916 intitolato Il porto sepolto e incentrato sulla sua
esperienza della guerra nel Carso ed infine si sono aggiunte nuove poesie di guerra raccolte
nel volume Allegria di naufragi del 1921. Tutti questi componimenti poetici sono stati
riuniti nel 1923 nella raccolta Il Porto Sepolto  e nel 1931 nella raccolta definitiva dal
titolo L’Allegria. Il tema predominante della raccolta (come di molte altre raccolte di poeti
ermetici) è quello della cruda realtà della guerra che pone l’uomo di fronte all’incertezza del
proprio destino.

Approfondisci: Ungaretti e L'Allegria, tema di italiano


POETICA DI GIUSEPPE UNGARETTI: SINTESI - Nel 1914 Ungaretti è tornato in Italia (in
Versilia) dalla Francia, quando in Europa era già scoppiata la Prima Guerra Mondiale e
l’opinione pubblica italiana era già divisa tra interventisti (favorevoli a un intervento
dell’Italia in guerra) e neutralisti (non favorevoli). Egli credeva ingenuamente nella guerra e
nelle possibilità di una vittoria nazionale e popolare e così ha partecipato alla campagna
degli interventisti, al fianco di molti suoi amici toscani. Ma poiché per qualche mese gli
interventisti hanno rappresentato una minoranza in Italia e nel Parlamento italiano,
durante una di queste campagne è stato persino arrestato. Nel maggio del 1915, l’Italia è
entrata in guerra contro l’Austria, l’Ungheria e la Germania. Ungaretti è stato chiamato al
fronte: in un primo momento sembrava destinato a restare in un ospedale militare, poi,
come soldato semplice, è stato inviato sul fronte del Carso.

Da non perdere: Analisi e Parafrasi di "Veglia" di Ungaretti

IL PENSIERO DI GIUSEPPE UNGARETTI - Tuttavia, a parte la conquista di Gorizia


dell’agosto 1916, gli italiani si sono limitati per circa due anni a una guerra di trincea,
interrotta da battaglie molto sanguinose (ben 11 combattute sul fiume Isonzo e vissute
dallo stesso Ungaretti), ma perfettamente inutili dal punto di vista militare perché hanno
lasciato la situazione italiana completamente invariata. Se in altri casi (per esempio
nel Futurismo o nel Superomismo di D’Annunzio) la guerra era un’occasione per esibire in
modo eroico e spettacolare la propria volontà di conquistare il mondo, nella poesia
ermetica e nell'Allegria di Ungaretti essa è l’occasione che spinge il poeta a consolare il
proprio io spaventato e isolato dalla realtà ostile della morte, dalla distruzione bellica e
dall’indifferenza della natura.

Guarda anche: Giuseppe Ungaretti, appunti e riassunti

PENSIERO E POETICA DI UNGARETTI - Il porto sepolto che dà il titolo ad una sezione


della raccolta è proprio l’Io del poeta sepolto dalla guerra, un Io da cui attingere attraverso
la poesia. Il poeta-soldato non è più l’eroe che trasforma la propria esperienza di guerra in
qualcosa di eroico e spettacolare o in un’opera d’arte, ma è un individuo fragile che da tale
esperienza trae pretesto per guardarsi dentro e rapportarsi al dolore e al mistero della vita
e della morte. Ungaretti non parla della guerra per come si è oggettivamente svolta, non
parla cioè di voglia di combattere o di vittorie esaltanti, ma della guerra descrive solo le
proprie personali reazioni. Sono reazioni di isolamento, di sgomento e di smarrimento nel
vedere lo spettacolo di distruzione che circondava l’uomo.

Focus: Ungaretti, la vita del fondatore dell'Ermetismo

GIUSEPPE UNGARETTI, SINTESI DELLA POETICA - La tragica esperienza della vita di


trincea ha mutato profondamente la sua stessa concezione della guerra e della poesia. Infatti i
componimenti più intensi della raccolta sono proprio quelli scritti durante il fronte in
trincea (ogni componimento reca sempre al suo inizio la data di composizione). Per tutto il
1916 è rimasto al fronte e nel corso di quello stesso anno Ettore Serra, un tenente suo
amico, amante della poesia, ha curato ad Udine la pubblicazione delle prime liriche nate da
questa esperienza col titolo di Il porto sepolto, una breve raccolta di soli 80 brevi
componimenti, quanto bastava per far conoscere le sue poesie agli amici presso cui si recava
in occasione delle licenze dal fronte.

Approfondisci: "Natale" di Giuseppe Ungaretti: testo, analisi e commento alla poesia


UNGARETTI: LA POETICA DELL'ATTIMO - In essi Ungaretti percepisce l’esistenza come
un bene precario e proprio per questo ancora più prezioso: sa di poterlo perdere da un
momento all’altro a causa della guerra e per questo è ancor più attaccato alla propria
vita. Il titolo della raccolta L’Allegria  allude infatti alla vitalità che paradossalmente emerge
di fronte al pericolo della morte, ai momenti positivi della sopravvivenza e della solidarietà.
L’allegria è in questo caso la capacità di trarre una ragione di vivere, un senso positivo
dell’esistenza anche di fronte al male della guerra. L’esperienza della guerra rivela al poeta
la povertà dell’uomo, la sua fragilità e solitudine, ma anche la sua semplicità e spontaneità
primitiva, che vengono ad emergere nel dolore: nella distruzione e nella morte della guerra
egli ha scoperto il bisogno di una vita pura, innocente, spontanea, sottratta ad ogni vanità e
orgoglio.

Da non perdere: La poetica di Ungaretti

RIASSUNTO DELLA POETICA DI UNGARETTI - Al tema della guerra è legato quello


della speranza (in Peso il poeta si affida ingenuamente alla medaglia di Sant’Antonio per
meglio sopportare il peso della guerra), della solidarietà (in Fratelli egli prova un fraterno
senso di compassione verso altri uomini coinvolti come lui in quest’assurda logica di
guerra) e di Dio.Ungaretti non è ateo, ma in Risvegli si chiede che senso abbia Dio in un
mondo così governato dal male e in Dannazione si chiede perché gli uomini continuino a
desiderarlo quando Egli non può far niente che possa evitare loro tutto quel male. Quella
dell'Allegria non è già la religiosità cattolica tradizionale (alla quale il poeta si convertirà
solo nel 1928, dopo una lunga meditazione nel monastero di Subiaco), ma è ancora una
religiosità interiore, espressa (in Fratelli soprattutto) nel senso di partecipazione al dolore
universale dell’uomo e di solidarietà verso gli altri sofferenti come lui.

"Sono una creatura" di Ungaretti, commento e spiegazione

UNGARETTI E L'ERMETISMO - Coerentemente con la poesia ermetica, quella


dell'Allegria è scarna, caratterizzata dall’assenza di discorsi articolati e persino della
punteggiatura, dalla presenza di spazi bianchi e versi brevissimi, composti anche di una
sola parola, che proprio per questo assume la massima intensità di significato. Nei
componimenti dell'Allegria tutto serve ad esprimere o evocare qualcosa. Lo stesso titolo
diventa parte integrante della poesia: è il caso della famosa lirica intitolata Mattina e
composta di due soli versi “M’illumino / d’immenso”. 

Focus: Ungaretti e l'Ermetismo

RIASSUNTO DELLA POETICA DI UNGARETTI - Quali sono dunque le funzioni di una


poesia che rappresenta soprattutto il dolore dell’uomo di fronte alla guerra? Innanzitutto
una funzione conoscitiva: conoscere il mistero della vita e il significato delle cose profonde
non attraverso il procedimento razionale di un lungo discorso, ma attraverso la pura
intuizione e illuminazione di un attimo. In secondo luogo riscattare e consolare l’uomo dal
male attraverso l’illusione che essa offre. Quale è, dunque, il rapporto tra poesia e
guerra? Proprio a partire dal dato contingente della guerra, la poesia trae spunto per
portare avanti una riflessione sull’esistenza umana nei suoi significati più universali. La
poesia è allora un modo per affermare la dignità dell’uomo nonostante la sua impotenza di
fronte ad un tragico destino che distrugge il suo Io e la natura che gli è intorno.

FILOSOFIA
La capacità di domandare rende autentico l’esistere e grande il pensiero. La
domanda è un modo di corrispondere alla manifestazione dell’essere degli enti,
facendo leva sulla “differenza” fra l’essere e l’ente. Essa costituisce la vera e
propria postura dell’uomo nel mondo. Ma l’unica possibile risposta al nostro
domandare risiede nell’essere stesso della nostra domanda: solo tenendo aperta la
domanda al di là di ogni possibilità di risposta, noi possiamo comprendere il senso
dell’essere o corrispondere all’evento della sua verità. Il grande teme
heideggeriano del nesso tra l’essere e il tempo si traduce nell’impossibilità di fare
esperienza dell’essere come di un “dato”, essendo l’esperienza dell’essere quella di
un possibile; e quest'ultimo poi risulterà sempre impossibile, perché il “destino”
dell’essere starebbe nella sua stessa ritrazione, nel restare velato rispetto a ciò che
di disvela, in definitiva nel suo carattere “finito”. Nella finitezza dell’essere, oltre che
dell’uomo, Heidegger ha visto il fenomeno nascosto della storia e l’appello che in
ogni epoca l’essere rivolte ai mortali provocando la loro risposta. 
• L’ermeneutica della fatticità
Le matrici del percorso di ricerca di Heidegger sono: una rivisitazione critica della
fenomenologia husserliana, intesa come l’unico metodo adeguato per sviluppare la
ricerca filosofica, a patto di non intenderla più come un’analisi dei vissuti di
coscienza, ma come un’interpretazione dell’essere stesso della vita; la riscoperta
del cristianesimo primitivo come una modalità originaria di fare esperienza della
finitezza dell’essere umano, cioè della sua temporalità e storicità, a patto di
intendere il cristianesimo in modo ateo; l’appropriazione del pensiero
di Aristotelecome una descrizione di quel movimento che costituisce l’essere della
vita umana, a patto di non seguire più l’interpretazione scolastica di Aristotele. 
In ciascuna di queste tre direzioni ritroviamo due questioni attorno a cui ruotano i
corsi tenuti da Heidegger negli anni Venti: Che cos’è la filosofia?; Qual è il modo di
essere della vita?. La coappartenenza di queste due domande viene
contrassegnata da Heidegger on il concetto di “vita fattuale”: questa coincide con il
modo d’essere originario della vita, e cioè il “come” essa vive ogni suo contenuto o
situazione. In questo “come” Heidegger individua il livello ontologico più proprio
dell’uomo che risulta comprensibile solo mediante quella radicale e originale
considerazione della vita che è la fenomenologia. Il suo compito è interpretare la
vita come il modo d’essere originario del’esserci. Pertanto Heidegger intende la
fenomenologia come ontologia, e l’ontologia come “dottrina dell’essere” non-
oggettivo. L’esserci, infatti, è quell’ente il cui essere non è mai semplicemente
“dato” ma è sempre in questione, è pura problematicità o autonoma motilità,
continua interpretazione. L’ontologia assume così un significato ermeneutico. Il
nesso strettissimo tra ontologia, ermeneutica e fatticità significa dunque che si può
comprendere l’esistenza solo facendone esperienza, e viceversa che fare
esperienza del proprio sé implica sempre una comprensione del proprio essere.
L’ermeneutica è il nostro modo di essere uomini: comprendenti e interpretanti per il
fatto stesso di esistere.

ARTE
DADAISMO:
Dadaismo
Nel periodo dello scoppio della prima guerra mondiale, vari artisti che
scappano dai paesi coinvolti, si ritrovano casualmente in Svizzera a Zurigo
che è l’unico paese che rimane neutrale; questo incontro casuale darà vita al
Dadaismo.
Questi artisti vogliono fondare un posto in cui poter parlare di arte e fondano il
“Cabaret Voltaire” l’ 8 febbraio 1916; il nome al cafè non è scelto a caso,
proprio questo filosofo sosteneva che la ragione doveva prevalere sui
pregiudizi;tra gli artisti ricordiamo: Tristan Tzara (scrittore e poeta), Ugo Ball
(filosofo e scrittore), Hans Arp (scultore) e Marcel Janco (pittore).
Il nome “Dada”, da leggenda, sembra essere nato dall’apertura casuale di un
dizionario Larousse da parte di Tzara, che vi infilò un segnalibro; la parola
dada ha molti significati:
- per i russi è una doppia parola;
- per i bambini francesi è un modo per chiamare il cavallo a dondolo;
- per alcune regioni italiane è il dado
Ma non è importante il significato della parola, dada è tutto e niente, è contro
tutto e tutti, non ammette nulla di precostituito, il bello, è contro la società,
contro la guerra; vogliono agire con la propria testa e fare tabula rasa del
passato, non è accettata nessuna arte del passato, sono contro i futuristi.
La loro parola d’ordine è NIHIL che significa “niente”, nessuna regola è
ammessa se non quella del caso, ma anche questa è una regola.
Volevano sconvolgere lo spettatore, scuotere la borghesia, tutto ciò che era
perbenismo, la mente di chi stava ancorato nel modo vecchio e obsoleto di
pensare.
Lautremont (poeta) dirà: “bello come un incontra casuale di una macchina da
cucire con un ombrello su un tavolo operatorio”.
Tzara: “per fare una poesia basta prendere un giornale, tagliare le parole,
metterle in un sacchetto, prenderle su a caso e si avrà una poesia che vi
rassomiglierà”.
Vengono inventate nuove tecniche:
- fotomontaggio;
- polimaterismo (unione di più materiali) da Amber;
- ready-made da Duchamp;
- raiogramma: tecnica con la quale si impressiona il negativo posizionando
degli oggetti davanti alla pellicola e con la luce, senza fare la fotografia, da
Man Ray;
- merz: Schwitters raccoglieva durante la giornata oggetti di uso quotidiano
(tappi di bottiglia, sassi, biglietti dell’autobus..) e li univa; questa diventerà
invasiva e farà tante colonne di questi oggetti al punto che diventerà
totalizzante: merzbau e merzbild che andò distrutto nel bombardamento del
’43; il termine è una parola presa a caso da un pezzo di giornale (fine della
parola commerz).
Dopo la fine della guerra tutti gli artisti torneranno nelle loro città così che il
Dadaismo avrà quattro città:
- Berlino: Huesenbeck con Grosz portano avanti le idee dadaiste ma
influenzate politicamente, spesso i loro lavori saranno di denuncia sociale
(tensione Germania, tra poco ci sarà la nascita del nazismo);
- Colonia: Harp e Hernst sperimenteranno le tecniche di collage e di
fotomontaggio;
- Hannover: Schwitters inventerà il merz
- Parigi: Duchamp
Sarà Dada ad uccidere Dada e il movimento sfocerà nel Surrealismo nel
1924; Dada non avrà più senso perché è impossibile che ci siano due leader.
Già qualcuno lavorava a New York non sapendo di essere dadaista: Picabia
e Duchamp.
DIFFERENZE E ANALOGIE TRA DADAISMO E FUTURISMO
- tutte e due contro il passato
- Dada contro guerra, Futuristi con la guerra (unica igiene del mondo)
- Dada casuale, Futurismo costruttivo
DUCHAMP
Duchamp nasce in Francia nel 1887, ha altri due fratelli e una sorella artisti, i
genitori sono molto aperti mentalmente infatti lasciano la libertà di
sperimentare cose nuove ai figli.
Agli inizi del ‘900 va in accademia a Parigi dove sperimenta le tecniche dei
movimenti più diffusi:
- Espressionismo, in particolar modo i Fauves con i colori molto forti ma la
sua ricerca va oltre il colore “donna con calze nere”;
- Cèzanne con la mostra postuma, sfaccettatura a piani, dice di Cèzanne:
”non utilizza la materia grigia, è una pittura più retinica che passa solo
attraverso l’occhio” “ritratto di Duchamp padre”;
- Cubismo che è più attinente a lui come ricerca, più intellettuale “nudo che
scende le scale”
Nel 1913 arriva a New York ed espone al “salone degli indipendenti” il dipinto
“nudo di donna che scende le scale” che viene rifiutato e non capito, così
comincerà ad abbandonare l’approccio all’arte di tipo tradizionale, non
utilizzerà più pennello e tela ma mezzi nuovi.
Fa scalpore con la sua prima opera: “Fontana”.
E’ un artista complesso, si considera un alchimista che trasforma la materia e
gli piace giocare con la dualità: ambivalenza maschio-femmina e androgino
(maschio e femmina insieme)e con il nome delle cose che in realtà ne
nascondono altre (pseudonimi, come R.ROSE SE’LAVY l’amore è la vita);
inventa il ready-made dove prende oggetti di uso comune e li
decontestualizza, usa la transustanziazione dove la materia si trasforma in
qualcos’altro.
Nel 1920 arriva a Parigi, dove sono arrivati Picabia e Tzara (osannato come
maestro) e gli chiederà se potrà entrare a far parte del Dada e lui gli
risponderà: “Dada è di tutti come l’idea di Dio e lo spazzolino da denti”.
Si incontra-scontra con Andrè Breton (fautore del Surrealismo).
Nel ’23 lascerà la sua passione per dedicarsi agli scacchi ma parteciperà lo
stesso all’arte come critico d’arte, muore nel ’68 e si fa scrivere sulla tomba:
“Sono sempre gli altri a morire”.
“Ruota di bicicletta”: è la sua prima opera, ha preso due oggetti preesistenti,
la ruota e lo sgabello, e ha dato vita a quest’opera; è il primissimo esempio di
ready-made.
Ha decontestualizzato e defunzionalizzato cioè levato dalla funzione e dal
contesto originale l’oggetto che diventa così opera d’arte. 
L’artista diventa artista concettuale, il bello dell’indifferenza.
“Fontana”: tenta di esporre questa opera nel ’17 in una mostra ma la
commissione lo rifiuta e lo rimanda al mittente; lui stesso faceva parte della
commissione ma si era firmato con uno pseudonimo R.Mut.
Suscita scandalo nazionale, è un orinatoio capovolto che pone su un
piedistallo, anche qui gioca con la forma androgina.
“La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche”: anche, méme in francese,
si legge come m’aime ovvero “mi ama”. E’ un’opera particolare perché di
vetro, supporto che non era mai stato usato prima, non esiste così spazio
interno ed esterno ed assume molteplici significati. Il vetro interrompe il senso
narrativo della scultura; è una superficie trasparente ed è come se
continuasse, si può vedere anche attraverso l’opera, è come se fosse un
tutt’uno con quello che lo circonda. Non permette allo spettatore di capire
l’inizio e la fine.
Sopra troviamo il mondo della sposa, l’universo femminile; mentre sotto
troviamo quello maschile.
Nella casualità il vetro si è rotto e Duchamp ha deciso di tenerlo così e di non
cambiarlo, sembra una ragnatela.
“Monna Lisa L.H.O.O.Q.”: aggiunge i baffi al capolavoro di Da Vinci, si firma
L.H.O.O.Q. (che letto in francese significa “culo caldo”), è considerato un
capolavoro per scuotere le menti.

STORIA
PROPAGANDA DEI REGIMI
Propaganda nei regimi totalitari.
Questo argomento è stato accennato durante il laboratorio artistico e
siccome l’ho trovato interessante ho deciso di approfondirlo meglio. La
propaganda non è qualcosa che riguarda solo il passato, ma anche il
presente, è qualcosa che ci tocca da vicino e che vediamo tutti i giorni
attraverso il volantinaggio, i giornali, la televisione, la radio…
Innanzitutto, il termine propaganda deriva dal verbo latino “propagare”, ed
è l’attività di divulgare informazioni e idee con lo scopo di indurre i
soggetti della propaganda a specifiche azioni o comportamenti. Il concetto
nasce per descrivere un modo di diffondere il credo religioso, per indicare
sforzi coordinati e sistematici nel convincere il maggior numero di persone
possibile. Nel XX secolo la propaganda acquisisce la connotazione
negativa che tutti conoscono, ovvero quest’ultima consiste nella volontà di
influenzare e manipolare le masse. Ai giorni nostri è diventata il conscio e
metodico utilizzo di tecniche di persuasione per raggiungere specifici
obbiettivi a beneficio di coloro che la realizzano o la finanziano. E’
un’informazione incompleta, travisata o falsa, mirata a manipolare
l’opinione pubblica e personale a favore della minoranza che possiede i
Media e a danno dei cittadini. L’informazione manipolata cambia il modo
con cui la persona percepisce il mondo o l’oggetto della propaganda (come
il prodotto che si vuole vendere) generando emozioni e desideri.
Comincio con il parlare del cinema, il quale è stato uno dei mezzi di
propaganda più potenti nel periodo che andremo ad analizzare. Esso
nacque nel 1885 con l’invenzione della pellicola cinematografica di
George Eastman ma la prima volta che venne proiettata in sala davanti ad
un pubblico pagante è nel 1895, grazie ai fratelli Lumière. L’avvento del
sonoro nel 1927 negli Stati Uniti condizionò tutto il cinema, in particolare
quello italiano e tedesco intorno agli anni ’30, durante il periodo dei due
regimi più importanti e drammatici della storia dell’essere umano: quello
fascista e nazista. In Germania con l’avvento del nazionalsocialismo,
Goebbels assegna al cinema tedesco due funzioni: di intrattenimento ed
evasioni ma soprattutto di propaganda politica, dove la regista più
importante è Leni Riefenstahl.

Joseph Goebbels, 1897-1945, fu un giornalista e politico tedesco, ma


soprattutto un grande oratore, il quale contribuì a far sviluppare il regime
hitleriano. Venne eletto Ministro della Propaganda nel 1933 e in seguito
alla morte di Hitler diventò Cancelliere del Reich, carica che mantenne
solo per un giorno. Applicò con rigore i principi del nazismo su tutti i
mezzi di comunicazione: particolarmente importanti sono le campagne di
arianizzazione. Uno degli episodi più eclatanti fu quello del rogo dei libri
reputati illegali per purificare la cultura tedesca. Inoltre, per rabbonire le
masse durante la Seconda Guerra Mondiale applicò le teorie del
behaviorismo, che consistevano nella ripetizione di notizie parziali,
incomplete o corrette dal regime. Tutto ciò si riassumeva nei cinegiornali e
negli spettacoli cinematografici che, a detta di Goebbels, dovevano
“coinvolgere, impressionare e intrattenere”. Durante la Guerra, però, dopo
la sconfitta di Stalingrado i cittadini tedeschi cominciarono a dubitare della
realtà dei fatti che venivano descritti dal regime ed iniziarono ad uscire dai
locali prima che mandassero in onda i cinegiornali ma Goebbels, non
accettando tale situazione, ordinò di chiudere a chiave i locali durante i
suddetti per impedire alla gente di uscire durante la videoproiezione. Oltre
al cinema, altri mezzi di propaganda molto utilizzati dal Ministro furono la
radio ed i cartoni animati tant’è che in uno di questi ultimi venivano
raffigurate delle radio che entravano nelle case portando felicità ai
cittadini, volendo sottintendere che tutti i cittadini “ariani” per essere
definiti tali dovevano possedere una radio ( NPIL: far notare il
parallelismo con 1984 ).

Per quanto riguarda i personaggi di spicco durante la “vita”


cinematografica tedesca del Reich, Leni Riefenstahl, la cosiddetta
“vestale” di Hitler, fu sicuramente uno dei più illustri.
Leni Riefensthal venne avviata fin da giovane alla danza ed al teatro. Si
cimentò nel suo primo film intitolato “ La luce blu”, o “ La bella
maledetta” che, nel 1934, venne posto fra le nomine per il premio di
miglior film straniero al National Board of Review of Motion Pictures.
Durante una conferenza ebbe modo di infatuarsi della potente oratoria di
Hitler e decise di avvicinarlo. Quest’ultimo rimase colpito dalla donna,
vedendo in lei un potenziale strumento di propaganda per il regime, e
decise di ingaggiarla per la creazione di un cortometraggio in onore della
conferenza del partito tenutasi a Norimberga nel 1933, “La vittoria della
fede”, con il compito di raffigurare l’ideologia del Reich.
Nel 1934 in occasione del successivo congresso del partito, il Fuhrer
chiese di nuovo alla regista di “commemorare” tale avvenimento con un
film: ne derivò così “Il trionfo della volontà”, uno dei più grandi
capolavori dell’artista che, attraverso teleobiettivi, riprese di folle
marcianti con sottofondi di musica wagneriana, venivano esaltati i valori
del nazismo e del suo capo Hitler.
In seguito, Riefensthal cominciava a percepire un senso di parziale
insoddisfazione nei confronti del regime e proprio nella sua opera più
importante “Olympia” si assiste ad una forma di protesta della stessa
regista. Questo film tratta dei giochi olimpici tenutisi a Berlino nel 1936,
in cui la Riefensthal esalta le doti di bellezza e forza degli atleti.
L’obiettivo di Hitler attraverso i Giochi era quello di far comprendere al
mondo quanto si vivesse bene nella “nuova Germania”, infatti in quel
periodo sospese le persecuzioni antisemite. Tale immagine era,
ovviamente, falsata per mostrare il regime come aperto e tollerante con
l’aggiunta dell’esaltazione della fisicità ariana e del Fuhrer ( che nel
lungometraggio viene ritratto sempre dal suo lato migliore ). Come
abbiamo già detto, però, la regista cominciava a non condividere più tutte
le idee del nazismo ed in particolar modo quelle basate sul razzismo, tant’è
che riprese la vittoria nel salto in lungo di Owens, un atleta di colore e
perciò mal visto dalla comunità ariana.

Per quanto riguarda l’Italia, invece, nel 1927 nacque l’Istituto Luce,
L’unione cinematografica educativa, il quale è un monumento
cinematografico a Mussolini e rappresenta la prima iniziativa del governo
fascista nel campo della produzione cinematografica con ovvi intenti
propagandistici oltre che culturali. Nell’ambito del cinema, l’unica
preoccupazione del governo per il momento è quella di controllare la
moralità dei film che arrivano in Italia, più che creare un cinema di
supporto alla propria azione governativa. Il regime si assicura il monopolio
dell’informazione cinematografica anche attraverso i cinegiornali, dove si
parla di cronaca e si dà un’immagine dell’Italia come il migliore dei mondi
possibili, capace di ottenere primati in ogni campo, al passo con la
modernizzazione internazionale. Nel 1930 vi fu l’inaugurazione dei nuovi
impianti Cines di Roma. Nel 1937 viene fondata Cinecittà. Il fascismo
favorisce l’arrivo nelle sale italiane delle commedie americane, ispirandosi
all’ideologia di Goebbels del cinema visto come puro intrattenimento delle
masse, privo di elementi di conflittualità sociale. Fino al 1938 circa il
fascismo preferisce il genere “telefoni bianchi” una produzione evasiva e
sterilizzata da qualsiasi riferimento al mondo esterno e alla situazione
politica interna e internazionale, che ha il suo apice tra il ’42-’43. Le
caratteristiche di questo cinema sono: la fuga dalla realtà, finzione di
sentimenti, personaggi degradati e degradanti, non si parla di politica. I
personaggi vivono sospesi in un mondo in fuga dalla storia, in interni
borghesi, ricchi di moderni oggetti di design. Era un cinema fortemente
ineducativo ma con il merito di aver portato l’industria cinematografica
italiana alla pari con quella americana e di aver consentito la nascita di uno
star system nazionale in seguito all’alleanza con la Germania, che portò a
un rifiuto dei film statunitensi. Fascismo, nazismo e stalinismo: i tre grandi
totalitarismi del XX secolo
Quando facciamo riferimento ai grandi totalitarismi del Novecento, ci
riferiamo ad una storia che ci appartiene strettamente. E, proprio in questo
caso, i latini avevano pienamente ragione quando affermavano: “Historia
magistra vitae”. La storia, infatti, deve fungere da memento per ricordarci
gli errori del passato, errori che non dobbiamo più commettere. Imparando
da essi, possiamo costruire qualcosa di migliore. 
Illustriamo, a questo punto, quelle che sono le caratteristiche fondamentali
dei tre totalitarismi più grandi del Novecento: fascismo, nazismo e
stalinismo. 
Una caratteristica importante dei tre dittatori che guidarono questi regimi
fu la capacità di sfruttare ogni mezzo per la conquista del potere. Carisma
e violenza, in altre parole, si rivelarono una combinazione vincente. Ma
come fecero dittatori spietati come Mussolini, Hitler e Stalin a tenere il
potere per lungo tempo anche quando le cose andavano male?
La manomissione della memoria
Illuminante a questo proposito è Todorov quando, nel libro Memoria del
male, tentazione del bene, scrive: "I regimi totalitari del XX secolo hanno
rivelato l'esistenza di un pericolo prima insospettato: quello di una
manomissione completa della memoria". Manipolando la “memoria” e
l’informazione, celando le cattive notizie e mettendo in luce solo alcuni
aspetti di ciò che accadeva, i totalitarismi operavano un vero e proprio
“lavaggio del cervello” mediante il quale assoggettavano al proprio volere
le coscienze del popolo dominato. In tutto ciò, ovviamente, lo strumento
per mettere a tacere coloro i quali la pensassero diversamente era la
violenza. 
Dopo questa analisi generale sui tre totalitarismi vediamo come ognuno di
essi esercitò la violenza e il terrore.
Il regime fascista
Partiamo dal fascismo. Il regime, con a capo Benito Mussolini, inizia
quando nel 1925, eliminato uno scomodo Matteotti, Mussolini dichiarò in
Parlamento: “Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il
capo di quest’associazione”. Per garantirsi la stabilità politica il Duce
emanò, nel 1926, le leggi “fascistissime”, eliminando la libertà di
opinione, i diritti sindacali e dichiarando illegale ogni altro partito che non
fosse il PNF (Partito Nazionale Fascista). Per controllare i “dissidenti”
Mussolini istituì il Tribunale speciale e l’OVRA, una polizia fatta di spie
che avevano il compito di scovare gli antifascisti. In una società in cui tutti
sono potenziali spie, la delazione viene trasformata in una virtù e il
dominio delle coscienze è la consolidazione ultima dell’ultimo anello della
“catena totalitaria”. 
Era compito degli squadristi, in un secondo momento, picchiare a sangue
chi non era d’accordo con il regime. Manganelli e olio di ricino erano una
prassi alla quale gli antifascisti non si sarebbero potuti sottrarre. Ma per
esercitare a dovere terrore e repressione Mussolini dovette agire anche
sotto il profilo giuridico modificando uno Statuto Albertino alquanto
flessibile e che il re non faceva nulla per difendere. Anzi, era stato proprio
Vittorio Emanuele III ad affidare il governo al Duce. Nel 1931 e nel 1942
Mussolini riformò rispettivamente il codice penale e di procedura penale
ed il codice civile e di procedura civile. 
A questo punto occorreva occuparsi della manipolazione delle coscienze.
Fu così che, accanto al PNF, nacquero l’Istituto Fascista di Cultura e il
Ministero per la stampa e la propaganda. Il fine era quello di operare una
“fascistizzazione” della società attraverso il controllo degli intellettuali,
della scuola e persino del tempo libero. In quest’ultimo caso strumenti utili
per il regime furono la radio e il cinematografo.
Il regime nazista
In maniera analoga all’Italia, Hitler seppe sfruttare pienamente i mezzi di
informazione a sua disposizione per la propaganda della quale si occupò
con destrezza Joseph Goebbels. Fu lo stesso Goebbels ad introdurre
l’antisemitismo e la concezione della razza tedesca come la migliore e
dunque, necessariamente, la dominatrice. Occorreva eliminare e deportare
nei lager le “mele marce” della società tedesca: gli ebrei. Una frase che
può ben spiegare cosa accadde nelle menti dei despoti del XX secolo è
quella di Courtois che, anche se riferita al comunismo, è adattabile anche
alla situazione tedesca. Scrive Courtois: “Da una logica di lotta politica si
scivola presto verso una logica di esclusione, quindi verso un'ideologia
dell'eliminazione e, infine, dello sterminio di tutti gli elementi impuri". 
Per esercitare il suo potere, Hitler si servì di alcuni collaboratori. A parte
l’astuto Goebbels, già citato, il terrore venne esercitato dal fedelissimo
Himmler, capo delle SS, la guardia personale del Fuhrer. Le SS, insieme
alla Wehrmacht, crebbero notevolmente poiché Goering, altro fedelissimo
di Hitler, decise di arruolare una gran quantità di persone per risolvere il
problema della disoccupazione. Questo trasformò la Germania in una
gigantesca macchina da guerra. 
La figura del Fuhrer è stata molto ben interpretata da Charlie Chaplin nel
film “Il grande dittatore” (1940).
Il regime stalinista
Analizziamo infine il caso russo. Alla morte di Lenin, Stalin prese il potere
eliminando tutti i suoi rivali fra i quali Trotzkij, che il despota dell’URSS
considerava un intralcio al regime in costruzione. 
Gli oppositori al totalitarismo staliniano furono mandati nei gulag,
corrispettivo dei campi di concentramento tedeschi. La “grande purga” era
il nome dato dal despota sovietico al processo che portò all’eliminazione
fisica dei vecchi rivoluzionari dal partito e dall’esercito. 
Nell’Urss la prima epurazione la pagarono gli iscritti al partito; tra il 1936
e il 1938 furono eliminati 30.000 funzionari su 178.000; nell'Armata rossa
in due anni furono giustiziati 271 tra generali, alti ufficiali e commissari
dell'esercito.
Il genocidio come logica del nazismo
Una domanda che oggi attanaglia gli studiosi riguarda la crudeltà di questi
tre regimi. Ci si chiede quale di questi sia stato il peggiore. Di certo tutti
gli omicidi commessi sono egualmente condannabili. Tuttavia, fu solo il
nazismo ad operare un genocidio, quell’uccisione di massa con
“l'intenzione di distruggere completamente o in parte un gruppo nazionale,
etnico, razziale o religioso in quanto tale”. E’ questa la definizione
incontestabile della Convenzione delle Nazioni Unite del 9 dicembre del
1948.
Dal “Grande Fratello” alla “banalità del male”
Per avere un’idea di cosa vuol dire vivere sotto un totalitarismo sarebbe
utile leggere 1984 di George Orwell in cui un dittatore baffuto appare
costantemente su teleschermi giganti. Questi teleschermi sono presenti
dovunque e, oltre a trasmettere immagini, controllano ogni istante della
vita degli individui soggiogati sotto il regime del “Grande Fratello”.
Hannah Arendt, nel suo libro la banalità del male, studia il profilo
psicologico di Eichmann, colonnello delle SS responsabile delle
deportazioni nei campi di sterminio, comprendendo gli ingranaggi che
fecero funzionare un totalitarismo quale il nazismo. La cieca obbedienza di
uomini “ben educati” garantì la stabilità di uno dei più spietati regimi
totalitari della storia. Insomma, la Arendt mostra come la
deresponsabilizzazione degli individui fu alla base dei regimi totalitari.
Autori di grandi misfatti, come Eichmann, non si sentirono così
responsabili del male commesso, dicendo di aver eseguito solo degli
ordini. Infatti l’obbedienza era inculcata come la prima delle virtù nelle
scuole totalitarie. 
Significative sono le parole di Tocqueville: “Il totalitarismo è un potere
che non annulla l’esistenza ma la regola; non tiranneggia, ma comprime,
snerva, logora e stordisce un popolo, finché non sia tutto quanto ridotto a
un gregge di animali timidi e industriosi di cui il governo è pastore”. 

FISICA
La teoria della relatività
La fisica moderna ha inizio con il XX secolo. Una serie di nuove scoperte mettono in
dubbio i fondamenti della fisica classica, introducendo nuove teorie alla base della
spiegazione dell'universo. Una delle novità più importanti del Novecento è stata la teoria
della relatività di Einstein.
Einstein aveva la capacità di andare dritto al cuore del problema, sosteneva infatti che chi
usa cento formule quando ne bastano due o tre, lo fa perché non riesce a descrivere il
nucleo fondamentale del problema.
La biografia della sua infanzia testimonia di una straordinaria precocità e di una curiosa
lentezza e timidezza. All’età di cinque anni suo padre gli mostrò una bussola tascabile ed
Einstein comprese che qualcosa nello spazio vuoto agiva sull’ago spostandolo in direzione
del Nord. In seguito descriverà quest’esperienza come una delle più rivelatorie della sua
vita. Imparò a parlare molto tardi, da adulto Einstein arrivò a considerare che proprio
questa sua naturale lentezza gli avesse consentito di applicare al problema dello spazio e
del tempo uno studio intellettuale maggiore, e quindi fosse alla base dello sviluppo della
sua teoria della relatività. È noto che i suoi risultati scolastici iniziali non fossero brillanti. Si
riuscì però a laureare e nel 1900 venne assunto all’ufficio brevetti di Berna, un lavoro
modesto che però gli consentiva di dedicare molto tempo allo studio, e infatti da li a pochi
anni lo studioso fu in grado di pubblicare tre contributi teorici che segnalano il suo ingresso
glorioso nel mondo scientifico. 
Il primo di questi articoli conteneva un’esposizione completa della teoria della relatività
ristretta, il secondo sull’interpretazione dell’effetto fotoelettrico gli valse il premio Nobel per
la fisica. Ma la rivoluzione scientifica di Einstein era appena cominciata. Nel 1916 pubblicò
un articolo intitolato I fondamenti della teoria della relatività generale, che lui stesso
considerò il suo maggior contributo scientifico. 
La teoria della relatività
Molti credono che la teoria della relatività significa che tutto è relativo. Ma non c’è niente di
più sbagliato nel credere che tutto è relativo. Infatti Einstein non era contento di questa
attribuzione che fu data alla sua teoria, poiché la teoria della relatività, per quanto possa
sembrare paradossale, è una teoria degli assoluti. Ci sono perlomeno due assoluti, che la
relatività prende uno come assunto fondamentale e un altro come conseguenza
fondamentale. L’assunto fondamentale fu scoperto sperimentalmente verso la fine dell’800
da due studiosi Michelson e Morley, e un esperimento diede loro la fama. L’idea era
misurare la velocità della luce e, Michelson e Morley erano arrivati alla conclusione che
l’unica costante dell’universo è la velocità della luce nel vuoto.
Relatività ristretta
Einstein nel 1905 pubblicò la teoria della relatività ristretta, valida nel caso di sistemi
in moto rettilineo uniforme uno rispetto all’altro.
La relatività ristretta di Einstein si basa essenzialmente su due postulati che possono
essere enunciati come segue:
1) Il principio di relatività ;
2) La velocità della luce è indipendente dal moto della sorgente.
Per principio di relatività s’intende la possibilità di parlare di moto di un oggetto, solo se lo
si relaziona con un altro. Il concetto di moto sarebbe dunque relativo. 
Per quanto riguarda il secondo postulato, per citare un esempio: consideriamo un treno
che viaggia a 100 km/h e un passeggero che vi cammina all’interno. Per il controllore del
treno, il passeggero si muove ad una velocità di 5 km/h. Per chiunque osservi da terra, il
passeggero si muove ad una velocità di 105 km/h. È chiaro che a tutti la velocità del
passeggero dipende dal moto dell’osservatore, per Einstein invece, la velocità della luce
nel vuoto è sempre di 3,00 x 108 m/s, indipendentemente dal moto della sorgente rispetto
all’osservatore.
La velocità della luce, secondo la relatività ristretta, provoca cambiamenti nel tempo e
nello spazio. Di conseguenza, il tempo non è più fisso ma dipende dal sistema di
riferimento utilizzato; mentre per quanto riguarda lo spazio, gli osservatori percepiscono gli
oggetti in moto come se fossero contratti nella direzione del moto stesso.
Relatività generale
Da qui, si passa alla relatività generale. Questa fonda le sue radici sull’osservazione delle
teorie gravitazionali di Newton. Uno dei suoi principi è quello di equivalenza, secondo cui
esiste un legame tra forza di gravità e moto accelerato. La relatività generale ha lo scopo
di coniugare tutte le leggi della fisica in un'unica forma in tutti i sistemi di riferimento. Un
altro principio riguarda la curvatura dello spazio. Per Einstein, infatti, il moto accelerato
provoca necessariamente una curvatura nello spazio e di conseguenza, anche nel tempo.
Il paradosso dei gemelli. 
Come conseguenza della dilatazione del tempo, tutti i fenomeni che avvengono in una
nave spaziale in moto rettilineo uniforme rispetto alla Terra sono più lenti rispetto alla
durata che essi hanno quando la nave è ferma. Immaginiamo ora due gemelli Franco e
Carlo. Quando essi hanno raggiunto l’età di 25 anni, Carlo parte con una nave spaziale e
si muove con essa con velocità costante rispetto alla Terra e quindi rispetto a Franco.
Poiché tutti i fenomeni, compresi quelli biologici, nella nave spaziale subiscono un
rallentamento, Carlo invecchia meno di Franco.
In altri termini, Carlo, dopo aver fatto un lungo viaggio con la nave spaziale, ritornando a
Terra, trova Franco più invecchiato. 
Naturalmente l’effetto è tanto più consistente quanto maggiore è la velocità della nave
spaziale. Se invece la velocità è piccola rispetto alla velocità della luce, come avviene in
tutti i voli spaziali che si stanno realizzando in questi anni, la dilatazione del tempo è
trascurabile.
Il problema dei gemelli però sembra condurre ad un paradosso. Infatti, quando Carlo dalla
sua nave spaziale guarda la Terra, osserva gli orologi di Franco procedere più lentamente,
perché anche questi sono in moto rispetto all’astronave, perciò Franco dovrebbe
invecchiare meno di Carlo.
Questo tipo di ragionamento però sarebbe esatto solo se il problema dei gemelli fosse
perfettamente simmetrico, se cioè i gemelli si trovassero sempre nelle stesse condizioni di
moto.
In realtà non è così, perché Carlo deve accelerare al momento della partenza e dell’arrivo;
inoltre per poter tornare sulla Terra deve invertire rotta e durante questa fase del volo la
nave spaziale è soggetta ad accelerazioni. Il problema è perciò asimmetrico ed è per
questo motivo che Carlo al suo ritorno sulla Terra trova Franco più vecchio.

INGLESE
Samuel Beckett
Life
He was Born in Dublin in 1906. Took his degree in language in particular French and
Italian. He settled in Paris during the second World War and joined the resistance. After
the war he wrote a lot, not only plays, even if he is famous for “Waiting for Godot”, “Molloy
(novel). In 1952 “Waiting for Godot was published in French, then in 1955 translated in
English. In 1969 he received the Nobel Prize.
Waiting for Godtot
* Plot: it is divided into two acts. In a desert landscape with a bare tree and a road. There
are two vagabonds figures like tramps: Estragon and Vladimir. They are waiting because
they have an appointment with Mr Godot. They talk because they’re not sure about the
place and the time of the appointment, and they don’t know if he will come.
In the second act the situation remains the same but as Godot didn’t arrive, the two tramps
decide to suicide and they talk about they ca do this, about how to do this.
In the end nothing happens, they don’t go away and they don’t hang themselves, They
continue to remain their waiting.
* Characters:
Estragon and Vladimir are not real characters in the traditional sense and they aren’t
described physically, according to their personality, they are fixed and they are
complementary because each one depends on the other to have a sense of his existence,
infact they fear to be left alone too long. They have no memory because they have no
history. They are allegorical figures representing the existence of man and its absurdity. 
The other couple (Lucky and Pozzo) represent a negative human relationship because
one is the master and the other is the slave.
Godot: it’s the “meaning” which lacks in the life of men
* Structure of the play: The play is circular, because the initial situation is the same of the
end. There isn’t action and there is only the repetition of the same situation endlessly. The
language is reduced to repetitions, jokes, games of words. They talk but they can’t speak
because they don’t communicate. The language is not able to cause action. 
Beckett defines the play tragicomic.
Tragic elements: the plays is a representation of the absurdity of the condition of man, the
idea of the suicide, the landscape (desert, bare, desolating), the two characters are
trapped in the situation of waiting and they can’t escape
Comic elements: There is a gap between what they say and what they do, the way all this
tragedy is shown, every attempt to escape from the absurdity of existence ands in a comic
situation.

Samuel Beckett
Beckett has the capability to express the concept of absurdity in an artistic work.
“Waiting for Godot” beats and scrubs language. No sense. Incapability to communicate. The
communication is continuously broken. It’s impossible to understand. Life and society are
considered absurd so plays are representation of absurdity. The audience apparently is thinking
that it’s uncompressible but there’s a sort of complicity. We don’t know who Godot is, he is not
represented, he is simply mentioned. They are waiting for Godot and they are obliged by him to
wait. In arts is important to demonstrate that nothing is relate in a logical way. Arts itself is unable
to communicate. Tramp-like-figures nothing can be represented, everything is destroyed.
Everything is a sort of failure. Arts represents the incapability of people to communicate.
Godot never arrives, he is mysterious. He could be the possibility to live, a sort of hope. They want
to go but they can’t. they have no future. Desolation because there’s no water like the desolation of
Beckett’s characters. In Eliot there’s a possibility to continue living in this play. Nothing is
meaningful in their existence, they do not remember. There’s no past, no present, no future. There
are tragic-comic situation. Impossibility to communicate. Continuous misunderstanding. Monotony
go on, the arrive of Pozzo interrupted ths. The message “Godot is not arriving” interrupted their
routine. Estragon and Vladimir want to abandoned the idea of waiting for Godot but they continued
to stay. Something happened but the same thing again and again, it’s a negative routine. No
memory of the past. They have no real personality. The character don’t know who they are. They
simply stay together in that place. Vladimir and Extragon have not a relationship in which they
communicate. In the dialogue there’s confusion, philosophical and metaphysical complex. Their
dialogue is strange and parts of the dialogue are not related. Tragi comedy as tragic as comic at
the same time. Godot is the central absence and he is what gives coesion. Vladimir and Extragon
are destined to finish their existence but they are unable to go away. “Well that passed the time”
short sentence and many questions. Memory is not important, they try to remember what they
forgot. Pozzo talks to Lucky but there’s no reason for cruelty. Time is passing over they are unable
to understand the reason why they are changing. Their existence is meaningless. What they are
saing is not related. There’s no form of salvation.

You might also like