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Insegnare La GrammaticaB
Insegnare La GrammaticaB
Ins e g n a re
g ra m m a t i c a
la
Collana Al servizio degli insegnanti
a cura di
Telis Marin
Ringraziamo sin d’ora i lettori e i colleghi che volessero farci pervenire eventuali suggerimenti, segnalazioni
e commenti sull’opera (da inviare a redazione@edilingua.it).
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Introduzione
Volumi realizzati:
- Insegnare la Civiltà italiana con la ‘C’ maiuscola (2020)
- Insegnare la grammatica (2021)
Insegnare la grammatica 3
Indice
Introduzione alla Collana Al servizio degli insegnanti 3
Indice 4
Parte I - I concetti 9
1. Com’è stata insegnata la grammatica, come potrebbe essere insegnata
(Paolo E. Balboni) 11
2. Riflessioni sulle grammatiche pedagogiche di italiano L2
(Matteo La Grassa, Donatella Troncarelli) 20
3. Tra comunicazione e grammatica: focus on form nell’insegnamento
di italiano a stranieri
(Maria Cecilia Luise, Giulia Tardi) 30
Approfondimenti bibliografici 38
Parte II - Le attività 43
4. Costruire il materiale didattico per l’apprendimento delle seconde lingue
(Daniele Baldassarri) 45
5. Attività ludiche per l’insegnamento della grammatica
(Ernesto Nàbboli) 55
6. La grammatica con i bambini: alcune idee per l’esplorazione e il gioco
(Sara Servetti) 60
7. La valutazione della competenza grammaticale
(Giuseppe Maugeri, Graziano Serragiotto) 73
4
Indice
Insegnare la grammatica 5
Introduzione
Introduzione
di Telis Marin
Insegnare la grammatica 7
PARTE I
I CONCETTI
Parte I - Capitolo 1
Fino agli anni Settanta non c’erano dubbi e problemi, quindi la vita degli autori di materiali
e quella degli insegnanti che li usavano (anche per vent’anni di seguito) era semplice, la
strada era chiara, la gerarchia era ben stabilita la grammatica era l’asse portante dell’in-
segnamento, cui si aggiungevano pronuncia e ortografia all’inizio, lessico durante tutto il
corso, letture di cultura e civiltà e qualche testo letterario qua e là.
Dagli anni Ottanta il mondo ben ordinato che ruotava intorno alle regole e alle eccezioni
(questa era l’idea di ‘grammatica’) è andato in crisi quando sono comparse le ‘situazioni’
imperniate su un dialogo, perché i manuali organizzavano la grammatica su quello che
compare nel dialogo e non su una progressione ereditata dalla tradizione.
Nel 1982 e poi nel 1986 compare il Livello soglia dell’italiano, che importa anche nell’inse-
gnamento della nostra lingua l’organizzazione dei contenuti basata sulla pragmatica, cioè
sugli atti comunicativi (“salutare”, “ringraziare”, ecc.) e mette la grammatica al servizio
della comunicazione.
Ci sono poi voluti 20-30 anni e adesso abbiamo raggiunto, nelle case editrici così come
nelle aule, un equilibrio tra comunicazione e grammatica – ma l’uso massiccio degli ausi-
lii tecnologici e la tendenza inarrestabile verso l’autoformazione e il rovesciamento della
proporzione tra insegnamento frontale e approfondimento domestico (flipped learning)
sta mettendo in moto una nuova fase, un’evoluzione che si intravede già se si osserva con
attenzione quel che avviene e se si conosce la storia dell’insegnamento della grammatica
– perché si tratta di un’evoluzione teorizzata già all’inizio del Novecento.
Cerchiamo quindi di capire da dove veniamo (ci sono troppi falsi miti sul ruolo della gram-
matica nel passato) e dove stiamo andando.
Insegnare la grammatica 11
gua di prestigio e di cultura, e quindi chiedevano al pedagogus greco di applicare una for-
ma di CLIL ante litteram, insegnando in greco la filosofia, le scienze, e soprattutto Omero,
punto di riferimento dell’animo ‘nobile’, e assumevano anche un grammaticus, incaricato
del perfezionamento formale, che però aveva un ruolo subalterno: l’uso del pedagogo
prevaleva sull’analisi del grammatico.
La focalizzazione sull’uso, senza grammatica, da parte di viaggiatori, commercianti, avven-
turieri militari dura fino a tutto il Medioevo e si applica al latino come lingua franca: non
viene insegnato sistematicamente ma viene acquisito attraverso l’uso, senza supporto di
analisi, a differenza del latino degli umanisti, dove la ‘grammatica’ che garantisce perfezio-
ne formale è essenziale non solo per la riuscita stilistica ma per la stessa credibilità dell’au-
tore. Gli umanisti sono pochissimi ma scrivono e quindi abbiamo le loro testimonianze,
mentre gli utenti del latino lingua franca sono milioni, ma senza eredità scritta...
Nel Quattro-Cinquecento il latino lingua seconda, quindi lingua viva nel contesto degli
intellettuali, scompare: come osserva Martin Lutero, il basso clero ormai non sa più il
latino e usa i volgari, le lingue del volgo, ma l’intelligentzia continua a usare come lingua
della globalizzazione scientifica e filosofica un latino cristallizzato nelle forme e negli stile-
mi classici, il cui insegnamento privilegia fortemente l’analisi. Ma in quegli anni di boom
economico hanno bisogno di conoscere le lingue anche classi socio-economiche che non
mirano all’otium culturale o religioso ma al negotium, le attività che negano l’ozio dei
nobili e dei chierici: mercanti, soldati di ventura, personale impiegato nella navigazione
e nei porti, imprenditori, banchieri. L’insegnamento delle lingue si differenzia dunque a
seconda delle classi sociali:
a. da un lato nasce una classe di insegnanti di ‘lingue moderne’ composta per la maggior
parte da praticoni senza altra competenza che non sia quella del bilinguismo associata
a una spontanea attenzione didattica, interessati solo all’uso e all’efficacia pragmatica
e totalmente disinteressati, per non dire alieni, all’idea di grammatica;
b. dall’altro, intellettuali come Claudius Holyband o come John Florio che ‘nobilitano’ il
loro lavoro di insegnanti di lingue ‘volgari’, seguendo lo stesso approccio glottodidat-
tico dei colleghi che insegnano latino: nasce così l’approccio grammatico-traduttivo.
In questo panorama, per il momento, ha poco impatto la prima grande opera di linguistica
educativa della storia, Ianua linguarum reserata aurea (1631) di Comenio, secondo cui
omnis lingua usus potius discatur quam praeceptis, ogni lingua deve essere appresa trami-
te l’uso piuttosto che con le regole. E il panorama non cambia fino alla metà dell’Ottocen-
to, se non per il fatto che la grammatica (intesa come orto-calligrafia, morfologia, sintassi)
viene concepita non solo come strumento di analisi della lingua, ma anche (soprattutto?)
come strumento per ‘forgiare il carattere’, per instillare l’idea che il mancato rispetto delle
regole sia aberrante. In Italia i licei degli Scolopi, dei Barnabiti e dei Gesuiti formano la
classe dirigente del Risorgimento procedendo su questa linea, e anche i licei della riforma
Gentile proseguono nell’alveo grammatico-traduttivo (un approfondimento sul tema può
essere trovato nella nostra Storia dell’educazione linguistica in Italia del 2009).
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Parte I - Capitolo 1
Insegnare la grammatica 13
l’oralità. Gouin, Jespersen, Sweet, Palmer sono linguisti, scrivono grammatiche scientifi-
che, ma nell’insegnamento privilegiano il percorso ‘naturale’, ‘diretto’ che parte dall’uso
‘orale’ per scoprire la grammatica.
I protagonisti del Reform Movement e dei convegni di Vienna (1889) e Lipsia (1900) in-
segnano in alcune prestigiose università ma, come abbiamo detto, nei sistemi scolastici
l’approccio grammatico-traduttivo continua a regnare sovrano almeno per tre quarti di
secolo.
L’Italia è tagliata fuori da queste innovazioni: La canzone del Piave recita “non passa lo
stranier”, dove ‘straniero’ è sinonimo di ‘nemico’; il Ministro Bottai negli anni Trenta toglie
le lingue dai programmi scolastici e chiude perfino le scuole private di lingue... Chi ha as-
soluta necessità di lingue straniere usa il Reading Method, che non richiede un insegnante
fluente nella lingua orale, lavora molto sul lessico e insegna la grammatica di base, neces-
saria per la lettura, rimandando per il resto a ‘dizionari’ grammaticali, le grammatiche di
riferimento.
Gli Stati Uniti entrano in guerra alla fine del 1941 e scoprono, dopo 20 anni di isolazioni-
smo e di Reading Method, che è fondamentale saper usare la lingua orale: nel 1943 viene
lanciato l’Army Specialized Training Program, in cui i militari frequentano 12 ore setti-
manali di ‘conversazione’ (eredità del Reform Movement), 12 di riflessione grammaticale
(non solo morfosintattica ma anche sociolinguistica, termine non ancora coniato) e 12 ore
di area studies, in cui la cultura quotidiana viene presentata ricorrendo anche a film, can-
zoni, narrativa, racconti di esperienze dirette, ecc. Il pendolo raggiunge un equilibrio. (Per
approfondimenti: Howat, Widdowson 20042; Milani, Finazzi 2004; Balboni 2009; Palermo,
Poggiogalli 2010; Wheeler 2013; Ricucci 2014).
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Parte I - Capitolo 1
logica, sintattica, testuale, semantica), ma anche alle grammatiche non verbali (cinesica,
prossemica, oggettemica) e a quelle socio-pragmatiche e (inter)culturali che regolano l’u-
so della lingua negli eventi comunicativi.
Allo stato attuale il pendolo è decisamente (e forse definitivamente) orientato sul versan-
te uso, come lo era stato per millenni, dall’antichità al Rinascimento (sulla ‘sindrome del
pendolo’ un approfondimento possibile è in Balboni 2019).
Insegnare la grammatica 15
riflessione ampia di tipo sociolinguistico.
Riprendendo la metafora del pendolo tra uso e analisi, tra comunicazione e grammatica,
possiamo quindi dire che nella manualistica attuale l’uso prevale come finalità e la gram-
matica viene curata come strumento indispensabile ma non prioritario, ruolo che sta con-
tendendosi con il lavoro sul lessico, che sempre più autori e insegnanti vedono come pari
o preponderante rispetto alla grammatica.
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Parte I - Capitolo 1
le tecnologie glottodidattiche e l’autonomia dello studente, cui abbiamo già fatto cenno
nella conclusione del paragrafo precedente.
On line si trovano grammatiche ed eserciziari a non finire, non sempre raccomandabili
perché talvolta sono il frutto di tanta buona volontà ma anche di tanto dilettantismo. Ma
questa è la versione ‘vecchia’ del mondo online: il Vesuvio grammaticale trema perché
sempre più spesso c’è un’interattività studente-macchina che tende ad escludere la sa-
piente regia del docente che guida, che funge, per dirla con Bruner, da Language Acqui-
sition Support System, cioè a realizzare una forma estrema di autonomia destinata, per
mancanza di esperienza e competenza degli studenti, alla delusione e al naufragio. La
crescente domanda di autonomia degli studenti, assume due forme:
a. da un lato si impone sempre di più una logica da flipped classroom, in cui lo studente
autonomamente sistematizza quanto ha esperito, ha toccato con mano durante le le-
zioni in aula e in gruppo;
b. all’altro è in atto una tendenza a corsi sempre più ridotti in termini di ore settimanali
(costano troppo alla scuola, richiedono un alto costo umano e sociale, oltre che econo-
mico, agli studenti soprattutto adulti) per cui alcune ore in aula vengono sostituite da
attività autonome – e l’aspetto più semplice da gestire in autoformazione è la gramma-
tica, sia come spiegazione sia come attività di fissazione e di reimpiego.
Insegnare la grammatica 17
È forse giunto, quindi, il momento di riprendere la inventional grammar di Jespersen che
abbiamo citato parlando del Reform Movement: anziché affidare all’attività autonoma
solo le esercitazioni, di qualunque natura esse siano, il grande salto di qualità, la vera
eruzione del Vesuvio della grammatica, può essere quella di affidare al desiderio di auto-
nomia la sistematizzazione grammaticale.
Ne abbiamo offerto un esempio nei materiali online legati a due dei miei manuali di italia-
no per stranieri, ma sono ancora sperimentazioni semplici, a livello A1-2, anche se in nuce
realizzano ciò di cui stiamo parlando: un file word con una guida grammaticale in cui gli
schemi sono da compilare, e lo stesso file, ma in pdf, con gli schemi compilati, per avere
una possibilità di riscontro e di eventuale autocorrezione. Allo stato è già una rivoluzione,
pur nella sua semplicità, ma si tratta di materiale supplementare, aggiuntivo, opzionale, e
sono tre aggettivi che certo non spingono gli studenti ad esplorarli e che spesso gli stessi
insegnanti vedono con un certo distacco.
Una prospettiva nuova potrebbe essere quella di abbandonare il supporto tecnologico:
una grammatica di riferimento – completa o fai-da-te che essa sia – è ancora percepita
come uno strumento di carta, da avere sul tavolo insieme al manuale di italiano, e cui
ricorrere quando si sta scrivendo, a mano o su schermo.
Per il resto, il taglio giusto è quello di trasformare la consultazione in qualcosa di più im-
pegnativo e sfidante: proporre attività di completamento, di sistematizzazione prima della
consultazione: mentre si sistematizza, cioè mentre si completano gli schemi vuoti (sapen-
do che in appendice o in calce c’è lo schema completo, cui fare riferimento in casi di dub-
bio o di difficoltà) si apprende e quindi non serve quasi più consultare la grammatica per
avere le risposte di cui si ha bisogno.
La progettazione di una grammatica di questo tipo pone alcuni problemi
a. concettuali: quanto e come guidare lo studente ad intuire le strutture grammaticali
dagli esempi che gli vengono forniti? Il procedimento è facile fin quando si tratta di
completare lo schema degli articoli determinativi, molto meno quando si tratta del
sistema verbale ed avverbiale nel passaggio dal discorso diretto al discorso indiretto...;
b. organizzativo: come segnalare, anche graficamente, i meccanismi grammaticali perti-
nenti a un livello A1-2 rispetto a quelli per il livello B1-2? Che ruolo e, data la comples-
sità, che forma dare al perfezionamento dei dettagli grammaticali di livello C1-2?;
c. come e dove offrire gli schemi completi per una verifica di quanto ipotizzato e per
un’eventuale aiuto di fronte a lacune o a difficoltà nella comprensione autonoma dei
meccanismi?
In altre parole, una grammatica di questo tipo, che valorizza l’autonomia e l’intelligenza
induttiva dello studente, deve assumere anche il ruolo che in classe è proprio del docente,
deve guidare alla scoperta senza trasmettere le soluzioni immediatamente, deve sorreg-
gere di fronte alla difficoltà ma deve stimolare a ricorrere all’aiuto solo in casi in cui dav-
vero lo studente non sappia come uscire da un’impasse. Se però l’insegnante già in classe
utilizza spesso un metodo induttivo e aiuta a generare schemi alla lavagna, lavorando tutti
insieme, il compito della gestione autonoma della grammatica fai-da-te risulterà enorme-
mente facilitato.
Questa è una rivoluzione in fieri, che scuoterà dalle fondamenta la nostra concezione di
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Parte I - Capitolo 1
grammatica come qualcosa che l’insegnante sa, che l’allievo non sa, che il primo la tra-
smette al secondo con schemi chiarificatori (che sono tali, talvolta, solo per il docente che
li fa alla lavagna...).
Al momento l’editoria e i corsi stanno cominciando ad aprirsi a queste metodologie au-
tonome che chiedono molta responsabilità da parte dello studente – ma lo studente di
italiano è di solito molto responsabile, ha scelto di studiare italiano, non è stato obbligato
a farlo, e quindi la sua responsabilità può essere data per assodata. Come sostenere la sua
motivazione e guidarlo sono problemi ancora senza risposta, ma le risposte arriveranno
perché il meccanismo del futuro della didattica della grammatica si è già messo in moto
da un secolo, da quando Jesperen coniò la locuzione inventional grammar, grammatica da
scoprire. C’è voluto un secolo, ma stiamo arrivandoci anche noi.
Riferimenti bibliografici
Non riprendiamo qui, per non appesantire inutilmente il volume, i molti testi che sono stati
inclusi negli Approfondimenti bibliografici alla fine della Prima Parte del volume stesso. Inse-
riamo quindi solo le opere citate nel saggio.
Balboni P.E, 2009, Storia dell’educazione linguistica in Italia. Dalla Legge Casati alla Riforma
Gelmini, Torino, Utet Università
Balboni P.E, 2018, A Theoretical Framework for Language Education and Teaching, Newcastle
Upon Tyne, Cambridge Scholars
Balboni P.E., 2019, “La grammatica e la sindrome del pendolo”, in Costellazioni, n. 4, Roma,
Pagine Editore
Howatt a.P.R., Widdowson H.G., 2004, A History of English Language Teaching, Oxford, OUP
Milani C., Finazzi R.B. (a cura di), 2004, Per una storia della grammatica in Europa, Milano, ISU
Palermo M., Poggiogalli D., 2010, Grammatiche di italiano per stranieri dal ’500 a oggi. Pro-
filo storico e antologia, Pisa, Pacini
Ricucci M., 2014, Storia della glottodidattica, Roma, Armando
Słapek D., 2018, “Incompletezza delle grammatiche didattiche della lingua italiana: un’analisi
confrontativa”, in Rassegna Italiana di Linguistica Applicata, RILA, n. 1, Roma, Bulzoni
Wheeler G., 2013, Language Teaching Through the Ages, London, Routledge.
Insegnare la grammatica 19
2. Riflessioni sulle grammatiche pedagogiche di italiano L21
Matteo La Grassa, Donatella Troncarelli
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Parte I - Capitolo 2
parte dello studente. Si tratta di risorse con caratteristiche diverse, che rinviano a modalità
differenti di affrontare aspetti formali della lingua, alcune dei quali sfuggono ad una analisi
sistematica per la loro occasionalità e deperibilità.
I materiali che ruotano intorno alla presentazione di un testo, come le sezioni di riflessione
sulla lingua contenute nei manuali di italiano L2 di recente pubblicazione, propongono in
larga parte percorsi induttivi in cui lo studente è guidato a notare il funzionamento delle
forme e a svolgere un ruolo attivo nella costruzione delle proprie conoscenze gramma-
ticali. La focalizzazione di aspetti grammaticali segue dunque l’ascolto o la lettura di un
testo che ha lo scopo di porre lo studente di fronte a un modello di lingua in uso (Vedovelli
2010), da cui trarre materiale per formulare generalizzazioni sui meccanismi che gover-
nano la lingua, da verificare e utilizzare nelle attività successive. Lo studente è in questo
modo condotto verso la scoperta e l’esplicitazione della regola che è chiamato a enunciare
o a completare al termine del percorso esplorativo. Nei manuali inoltre, la riflessione sulla
lingua non è circoscritta ai soli fatti morfosintattici, ma include la dimensione lessicale e
quella pragmatica del testo, dato che la competenza grammaticale è una componente
della più ampia e complessa competenza linguistico-comunicativa che comprende anche
le competenze lessicale, funzionale e socio-culturale (Consiglio d’Europa 2002), alle quali
sono dedicati altri percorsi esplorativi. Un altro aspetto che caratterizza le sezioni gram-
maticali dei manuali didattici è il ricorso a schemi ed esempi che riducono fortemente
lo spazio del linguaggio verbale nell’esplicitazione delle regole grammaticali, rendendo
così le spiegazioni facilmente comprensibili o producibili a chi ancora non padroneggia
completamente la lingua di apprendimento ed evitando l’uso di una terminologia tecnica.
Infine, le strutture su cui viene attuata la riflessione non rappresentano l’intero paradig-
ma di una forma ma solo alcune, quelle presenti nel testo input dell’unità o di una sua
sezione poiché le altre diventeranno oggetto di focalizzazione in altre unità. La presenta-
zione di strutture è quindi ripresa in modo ciclico nel corso del volume per sviluppare la
conoscenza di un argomento grammaticale, in relazione alle esigenze e alle modalità di
comunicazione espresse nei testi su cui si centrano le unità, e per promuoverne l’impiego
nell’interazione in L2.
Diversamente, le grammatiche di consultazione o di riferimento di italiano per stranieri
offrono descrizioni sistematiche e complete delle regole grammaticali a cui generalmente
seguono esercizi applicativi4. In quelle rivolte a livelli elementari e intermedi le descrizio-
ni delle forme, sebbene in alcuni casi più articolate di quelle contenute nelle sezioni di
riflessione sulla lingua dei manuali didattici, sono generalmente molto essenziali e sche-
matiche, per non intralciare la comprensione della regola, e ricche di esemplificazioni5. Le
poche grammatiche rivolte a livelli avanzati di apprendimento o indirizzate a un pubblico
ampio, non distinto in base a livelli di padronanza dell’italiano, presentano le regole in
modo meno iconico, attraverso un discorso più complesso in cui gli autori cercano però
di tenere sotto controllo la lingua utilizzata e offrono ausili per la comprensione, come la
4 Alcune tra le più complete grammatiche di questo tipo, che abbracciano tutti i livelli di analisi linguistica, dalla fonologia
alla sintassi, fino a comprendere fatti relativi al lessico, aspetti pragmatici e discorsivi come Patota 2003 e Peccianti 2017
non contengono esercizi. A quest’ultima grammatica, nell’edizione 2017, è associato un libro di esercizi, acquistabile
separatamente.
5 Questo è il caso di grammatiche come Nocchi e Chiappelli 2005, Latino e Muscolino 2004, Mezzadri 2000 e 2003, Nocchi
2002, Ricci 2014, Tartaglione e Benincasa 2015, per fare alcuni esempi.
Insegnare la grammatica 21
spiegazione diretta di tecnicismi, glossari e rinvii ad altre parti del testo i cui è possibile
comprendere il significato di termini specialistici. Ciò che accumuna le differenti gramma-
tiche di consultazione o di riferimento è l’adozione di un percorso deduttivo per lo svilup-
po della competenza metalinguistica. L’assenza di un testo, che consenta di presentare le
forme in un contesto linguistico relativamente ampio e di analizzarle, è in alcune gram-
matiche colmato da esempi di frasi o di brevi scambi dialogici attraverso cui viene tentata
l’induzione della regola, come nell’esempio riportato in Figura 1.
1 Per iniziare
In italiano abbiamo diversi modi per esprimere la causa o il motivo di un’azione o di un
fatto. Già conosci alcuni di questi modi. Osserva le seguenti frasi.
u Martina non ha studiato abbastanza quindi non ha passato l’esame.
u Martina non ha studiato abbastanza perciò non ha passato l’esame.
u Martina non ha passato l’esame perché non ha studiato abbastanza.
u Dato che non ha studiato abbastanza, Martina non ha passato l’esame.
Figura 1. Esempio di induzione delle regole in grammatiche di consultazione (Troncarelli, La Grassa 2017).
L’obiettivo è sempre quello di guidare lo studente alla riflessione e alla scoperta dei mec-
canismi di funzionamento della lingua, ma questo modo di affrontare i fatti linguistici non
è facilmente adottabile con tutti i diversi aspetti di una struttura, anche per la ripetitività
della procedura in questo tipo di testo che finirebbe per demotivare lo studente. Inoltre
chi intende utilizzare la grammatica in autonomia non può contare sul confronto con i
pari e sul monitoraggio del docente per la verifica delle ipotesi formulate. Pertanto le
grammatiche di riferimento, che tentano di stimolare la scoperta della regola e andare
oltre alla mera ricezione e applicazione, mescolano percorsi induttivi con quelli deduttivi,
senza però giungere a modalità di riflessione sulla lingua sovrapponibili a quelle proposte
nei manuali didattici.
22
Parte I - Capitolo 2
Le grammatiche di riferimento pensate per parlanti nativi, generalmente per chi ha già
svolto o sta terminando il ciclo di studi di istruzione secondaria, si rivolgono prevalente-
mente a persone che possono anche avere preconoscenze di livello diverso, ma che sono
comunque cognitivamente in grado di processare e analizzare tutte le forme linguistiche
del sistema. Le loro incertezze, quando presenti, saranno riconducibili al livello di norma,
in dipendenza da vari fattori, per esempio l’esposizione a un input diastraticamente e
diafasicamente marcato o il livello di interferenza di varietà non standard o dialettali.
Considerate queste caratteristiche del pubblico di riferimento, la grammatiche tendono
quindi a essere per quanto possibile esaustive, seguono la distinzione e l’ordine di pre-
sentazione classico dei diversi piani di analisi della lingua (fonologia; ortografia; morfolo-
gia; sintassi; testualità) e delle parti del discorso (articoli; nomi; pronomi; aggettivi; verbi;
avverbi; congiunzioni; preposizioni; interiezioni), trattano con simile livello di dettaglio
i vari aspetti fonomorfosintattici, usano un lessico metalinguistico spesso considerato
come acquisito dall’utente che abbia compiuto un normale percorso di studi.
Si consideri inoltre che, in molti casi, il parlante nativo interessato alla consultazione di
una grammatica di riferimento è già perfettamente in grado di usare correttamente le for-
me linguistiche, pur senza essere in grado di spiegare puntualmente le regole che gover-
nano le scelte che compie. In questo caso chi consulta la grammatica tenderà a sviluppare
la propria metalinguistic awareness (Bialystok 2014), la consapevolezza metalinguistica,
la «capacità di conoscere le regole negli elementi linguistici e di verbalizzarle» (Diadori,
Palermo, Troncarelli 2015: 158).
Le esigenze di chi sta ancora sviluppando la propria interlingua in una L2, al contrario, si
differenziano nettamente da quelle appena indicate. L’apprendente userà la grammatica
di riferimento in primo luogo per sistematizzare le regole che sta acquisendo in contesto
spontaneo o guidato. Molto di più rispetto a un madrelingua, egli avrà necessità di verifi-
care le proprie ipotesi sul funzionamento delle strutture trovandone conferma o smenti-
ta e sulla base di quanto verificato potrà essere condotto, in varia misura, a ristrutturare
la propria interlingua e a procedere con il processo di acquisizione. Il libro di grammatica,
quindi, sarà in primo luogo fonte che favorisce l’avanzamento del proprio stato interlin-
guistico e solo in misura meno rilevante sarà usato come mero strumento di consultazio-
ne6 per lo sviluppo della «piena consapevolezza» (Bialystok 1988 cit. in Diadori, Palermo,
Troncarelli 2015), funzione che invece tende ad assolvere con i madrelingua.
Anche per questa evidente differenza di bisogni rispetto ai madrelingua, di solito, una
grammatica di riferimento per stranieri non si rivolge ad un pubblico indifferenziato per
livello di competenza e difficilmente tenderà ad essere onnicomprensiva analizzando in
maniera più o meno omogenea tutti i livelli della lingua. La grammatica per stranieri, infat-
ti, è soprattutto uno strumento didattico e, di conseguenza, gli aspetti trattati dovranno
essere coerenti con quelli processabili in base al livello linguistico degli apprendenti. Uno
studente di livello indipendente o competente, per esempio, avrà acquisito già i principali
aspetti della morfologia del nome o del verbo, quindi sarà poco utile presentarli in una
6 In generale meno rilevante, ma comunque non assente specialmente per certi gruppi di apprendenti che chiedono espli-
citamente di conoscere i meccanismi di funzionamento della lingua. Lo sviluppo nella conoscenza di tali meccanismi può
forse non avere diretta influenza sul processo di avanzamento dell’interlingua, ma ha sicuramente ricadute motivazionali,
come afferma tra gli altri Balboni (2015).
Insegnare la grammatica 23
grammatica a lui rivolta.
Proprio relativamente all’aspetto della selezione dei contenuti e con riferimento agli ap-
prendenti di livello avanzato è utile fare qualche considerazione. Nella maggior parte
delle grammatiche di riferimento rivolte a stranieri, i contenuti presentati sono incen-
trati sull’analisi delle forme: le parti del discorso7 sono trattate in maniera più o meno
approfondita e didatticamente efficace a seconda dell’opera, ma comunque limitandosi
al piano dell’analisi morfologica. Quasi del tutto assente e comunque trattato in manie-
ra non sistematica resta il piano della sintassi, con particolare riferimento ai rapporti e
alle relazioni tra frasi. Nell’elenco dei contenuti trattati nelle più diffuse grammatiche di
italiano L2, Slapek (2018) indica soltanto il periodo ipotetico tra gli aspetti che possono
rientrare in questo piano dell’analisi linguistica.
Tale scelta di esclusione può essere dettata da fattori diversi: da un lato la maggiore com-
plessità dell’insegnamento della sintassi del periodo rispetto all’insegnamento della mor-
fologia8; dall’altro, probabilmente, una convinzione di fondo che le regole pragmatiche e
sintattiche sottese alla “costruzione di frasi” e all’organizzazione dei loro rapporti di coor-
dinazione e subordinazione siano tutto sommato automatiche nell’apprendente adulto e
non meritevoli di particolare attenzione. A questo proposito anche nel Quadro comune
Europeo si afferma che «la sintassi di un apprendente adulto è estremamente comples-
sa e in buona parte inconscia» (Consiglio d’Europa 2002: 141) e non vengono forniti su
questo aspetto descrittori differenziati per livello di competenza. La sintassi del periodo
nell’insegnamento dell’italiano a stranieri ci sembra rappresentare quindi un aspetto ge-
neralmente poco trattato, sebbene se ne ravvisi l’importanza almeno in linea di principio:
indicazioni sullo sviluppo della frase complessa sono presenti nei sillabi più diffusi per ap-
prendenti adulti (Lo Duca 2006; Benucci 2007) e nei sillabi certificatori (Barni et al. 2009).
Nei paragrafi successivi proviamo quindi a descrivere alcune scelte teoriche alla base di
una proposta che cerca di colmare questa evidente mancanza nelle grammatiche pedago-
giche rivolte ad apprendenti di italiano L2.
24
Parte I - Capitolo 2
Ci troviamo d’accordo con l’analisi proposta da Palermo (2017) secondo cui la sistema-
tizzazione delle strutture non può che essere il punto di arrivo al termine di un processo
(guidato o spontaneo) che attribuisce comunque priorità agli obiettivi comunicativi; al
contrario, le grammatiche propongono di seguire un percorso controintuitivo e per questo
motivo poco utile per chi apprende una lingua: partire dalla osservazione di una regola
e solo dopo osservarne le possibili funzioni. Una grammatica rivolta a studenti stranieri
dovrebbe invece ribaltare questo approccio: si dovrebbe partire dalle funzioni comunica-
tive per passare poi all’analisi e alla sistematizzazione delle diverse forme che si possono
utilizzare per realizzarle linguisticamente.
Facendo specifico riferimento alla sintassi del periodo su cui ci concentriamo, prendiamo
ad esempio la presentazione della proposizione causale. Più che partire dalla conoscen-
za dei criteri sintattici che governano la realizzazione di questa subordinata, lo studente
sarà interessato ad esprimere la funzione indicare una causa e poi conoscerne i mezzi
linguistici per realizzare tale funzione in contesti d’uso diversi. In quest’ottica ci sembra
giustificata la presentazione nello stesso capitolo di frasi pur sintatticamente diverse come
Maria non ha passato l’esame perché non ha studiato abbastanza e Maria non ha studia-
to abbastanza quindi non ha passato l’esame9 poiché entrambe contenenti l’indicazione
di una causa (il fatto che Maria non abbia studiato abbastanza). Il principio guida per la
presentazione dei contenuti, dunque, dovrebbe essere quello funzionale e sulla base di
tale principio possono essere prese scelte diverse rispetto a quelle della maggior parte
delle grammatiche di riferimento rivolte a madrelingua che, come è ovvio, sono fondate
su impianti teorici diversi.
Insegnare la grammatica 25
semanticamente simili) che possono introdurre le frasi subordinate oggetto di riflessione,
oppure farli riflettere sui gradi di accettabilità dei diversi modi verbali in dipendenza del
contesto.
26
Parte I - Capitolo 2
Per esprimere un rapporto di causa-effetto attraverso una frase complessa, per esempio,
non è solo necessario saper formulare la proposizione principale, scegliere un connettivo
e formulare la proposizione subordinata, selezionando il modo e il tempo del verbo cor-
retti, ma anche decidere quale delle due proposizioni anteporre all’altra. Se si antepone la
subordinata, come nell’esempio (1), l’evento espresso dalla proposizione assume il ruolo
di sfondo entro il quale si colloca l’evento della principale. È una scelta che il parlante
compie per fornire una prospettiva di osservazione degli eventi all’ascoltatore o al letto-
re, oppure dettata dalla struttura informativa dello scambio comunicativo (Vallauri 2000),
come nell’esempio (2).
2.4. Conclusioni
Se, per dirlo con Maria Pia Lo Duca (2003: 255), «Uno dei punti irrinunciabili della moder-
na glottodidattica nell’impostare un percorso didattico di una L2 è quello di non partire
dalle forme, […] ma piuttosto dalle funzioni, il che potrebbe essere riassunto in “diamo
degli strumenti linguistici per fare qualcosa”» le grammatiche pedagogiche di qualunque
tipo dovrebbero muoversi in questo senso.
Sulla base delle considerazioni esposte nei paragrafi precedenti si può concludere che le
sezioni grammaticali di molti manuali per l’insegnamento dell’italiano L2 già lo fanno pre-
sentando aspetti, come la semplicità descrittiva, la riduzione dello spazio del linguaggio
verbale nell’esplicitazione delle regole, l’impiego di percorsi induttivi e di attività di reim-
piego guidato e libero delle forme. Ciò che risulta carente è invece l’attenzione a fatti lin-
guistici che superano i limiti della frase semplice, presi in considerazione da pochi manuali
e da alcune grammatiche di riferimento. Quest’ultime, oltre a dedicare maggior spazio ad
aspetti sintattici, testuali e discorsivi, dovrebbero adottare descrizioni grammaticali sem-
plici, riducendo al minimo l’apparto terminologico necessario per l’esplicitazione delle re-
gole, tentare di combinare procedimenti deduttivi e induttivi, in modo da guidare almeno
parzialmente lo studente alla scoperta del funzionamento delle forme, e dare preminenza
alla dimensione funzionale per fornire allo studente indicazioni sul repertorio di soluzioni
espressive entro cui scegliere quelle più adatte al contesto di comunicazione.
Insegnare la grammatica 27
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Insegnare la grammatica 29
3. Tra comunicazione e grammatica: focus on focus
nell’insegnamento di italiano a stranieri
Maria Cecilia Luise, Giulia Tardi1
1 Il saggio è frutto del lavoro congiunto delle due autrici che hanno concordato insieme l’impianto generale e la suddivisio-
ne in parti. Giulia Tardi ha curato i paragrafi 1 e 2, mentre Maria Cecilia Luise ha curato i paragrafi 3 e 4; i paragrafi 5 e 6
sono da attribuirsi ad entrambe le autrici.
30
Parte I - Capitolo 3
cazione e i metodi grammaticali-traduttivi mostrano tutti i loro limiti nel favorirla e svilup-
parla (Mezzadri 2003).
L’approccio e i metodi comunicativi – sviluppatisi per rispondere all’incremento della mo-
bilità delle persone e al conseguente aumento di richiesta di conoscenze linguistiche per
la comunicazione – abbandonano il principio di organizzazione grammaticale per favorire
le occasioni di uso linguistico spontaneo ed autentico, sostituendo l’obiettivo della fluenza
dell’eloquio a quello della correttezza formale: in un’ottica funzionalista e interazionista,
l’acquisizione di una lingua avviene solo attraverso l’interazione e la partecipazione attiva
degli studenti (Ciliberti 2013: 7). Negli ultimi decenni del secolo scorso quindi le lingue si
sono per lo più insegnate accentuando l’importanza dell’uso e della dimensione funziona-
le della lingua, spesso a scapito di una riflessione esplicita e strutturata sui meccanismi di
funzionamento della lingua; le forme interessano solo in quanto realizzazione di funzioni
comunicative in contesto (Larsen-Freeman 1986: 131):
The goal of teachers who use the Communicative Approach is to have one’s students become com-
municatively competent […]. Communicative competence involves being able to use the language
to a given social context. To do this students need knowledge of the linguistic forms, meanings and
functions. They need to know that many different forms can be used to perform a function and that a
single form can often serve a variety of functions.
L’ultima parte del Novecento è anche però il periodo nel quale c’è una intensa riflessio-
ne critica sulla grammatica e sul suo ritorno nei curricoli linguistici: in quegli anni infatti
il concetto di grammatica vista come insieme di regole morfosintattiche da imparare e
applicare passivamente si evolve in quello di riflessione linguistica, processo cognitivo at-
traverso il quale lo studente scopre le regolarità della lingua con la quale viene in contatto,
dando la priorità ad un approccio induttivo piuttosto che deduttivo. Il termine riflessione
linguistica riabilita l’importanza della conoscenza delle regole di funzionamento e della
struttura di una lingua, ma vuole nello stesso tempo superare la tradizione glottodidattica
che incentra sulla grammatica e sull’insegnamento esplicito delle regole morfosintattiche
l’insegnamento delle lingue.
Ferme restando la centralità del concetto di comunicazione e la priorità dell’uso della lin-
gua, con il passare del tempo si è definita la meta glottodidattica fondamentale come
il perseguimento da parte degli allievi di una competenza comunicativa e metacomuni-
cativa: ecco allora che in un curricolo linguistico deve trovare posto anche il passaggio
dalla competenza linguistica alla competenza metacomunicativa, cioè il passaggio dalla
capacità di usare le regole per riconoscere e formare testi adeguati alle regole alla capa-
cità di descrivere e ragionare esplicitamente sulle regole stesse; la riflessione linguistica
non è memorizzazione e applicazione passiva di regole, ma un processo attivo di analisi
della lingua alla ricerca di regolarità e modelli, che deve entrare nei curricoli di italiano a
stranieri, anche a livelli di competenza elementari e quando si insegna ai bambini (Luise
2019). Come sottolinea Ciliberti (2013: 12):
Il favorire la discussione e l’elaborazione di ipotesi, oltre a rendere ’insegnamento/apprendimento
delle regolarità della lingua 2 più interessante e produttivo, affinerà la capacità di osservazione, de-co-
struzione ed interpretazione dell’allievo e non separerà in maniera arbitraria l’insegnamento delle
forme di una lingua dall’esperienza comunicativa.
Insegnare la grammatica 31
Così come concentrarsi solo sui significati e sulla comunicazione non permette di raggiun-
gere una piena competenza comunicativa, allo stesso modo è ormai chiaro che è anacro-
nistico e sbagliato auspicare un ritorno all’insegnamento grammaticale discreto, al lavoro
sulle forme, sulle strutture linguistiche isolate e proposte in una sequenza predeterminata
esternamente dall’insegnante o dal libro di testo; è necessario quindi esplorare quali mo-
dalità glottodidattiche permettono di spostare l’attenzione degli studenti sulle forme e
sulle caratteristiche della lingua mentre lavorano su compiti comunicativi.
Più netta nel ridimensionare il ruolo dell’input è l’Ipotesi dell’output di Swain (1985): men-
tre la comprensione, soprattutto quando l’input è reso comprensibile, può avvenire senza
far ricorso agli aspetti grammaticali della lingua, è nella produzione di output comprensibi-
le che l’apprendente è spinto a notare gli aspetti e i problemi formali e quindi a codificare il
sistema grammaticale della L2. Lo sviluppo della competenza comunicativa degli studenti
è legato quindi sia alla quantità di input significativo e comprensibile, sia alle possibilità di
output significativo e comprensibile, possibilità che si moltiplicano all’interno di contesti
interattivi e nello svolgimento di attività didattiche e task, piuttosto che nello svolgimento
di esercizi applicativi e in lezioni frontali unidirezionali.
È quindi ormai assodato che non basta la sola esposizione ad un input contestualizzato
comunicativamente, neppure se ricco come è quello di una L2, a garantire lo sviluppo
dell’interlingua, l’acquisizione della correttezza e lo sviluppo delle competenze metalingui-
32
Parte I - Capitolo 3
Insegnare la grammatica 33
verificare ipotesi sulla lingua in una produzione sollecitata (pushed output); di confrontare i suoi enun-
ciati con la correzione (recast), in modo da riformularli; di rispondere alle sollecitazioni del docente
(prompt) e ricostruire i suoi enunciati attingendo al deposito della memoria a lungo termine, dove
sono stati immagazzinati ma non sono ancora disponibili al recupero automatico e in tempo reale.
Diversi studiosi danno infatti interpretazioni diverse del focus on form: se per Long non
è possibile programmare le azioni di focalizzazione sulla forma in quanto queste vanno
proposte solo quando ci si trova di fronte un problema nella comunicazione e quindi sono
estemporanee, altri studiosi tra i quali Doughty e Williams, appoggiandosi a dati speri-
mentali, ritengono che – senza impedire o interrompere la comunicazione – sia possibile
intervenire sulle forme in modo pianificato, con brevi interventi integrati o immediata-
mente successivi allo scambio comunicativo, selezionando le forme sulle quali guidare
l’attenzione degli studenti in base ai loro bisogni e al loro stadio di acquisizione linguistica
(Whittle e Nuzzo 2015).
In questo senso il focus on form permette di superare il modello di insegnamento gram-
maticale centrato sul docente per divenire (Long 1998: 41) “learner- centered in a radical,
psycholinguistic sense”: rispondendo ai bisogni degli studenti e favorendo i processi na-
turali che permettono di notare, ipotizzare, scomporre e ricomporre i dati linguistici per
strutturare gradatamente la propria interlingua (Lo Duca 2016).
3.6. Conclusioni
Riteniamo importante chiarire un concetto fondamentale: insegnare la grammatica non
è una scelta che può essere fatta o meno da parte dell’insegnante o del libro di testo, ma
è una parte fondamentale di un qualsiasi curricolo di lingua, sia essa materna, seconda o
straniera.
Lo sviluppo dell’interlingua e delle competenze comunicative dipende anche dalla consa-
pevolezza metalinguistica e dalla riflessione e sulle norme di funzionamento della lingua:
ormai è confermato dalla ricerca che l’approccio glottodidattico basato sul focus on mean-
Insegnare la grammatica 35
ing va rivisto, non per tornare ad una didattica grammaticale di stampo tradizionale, ma
per promuovere l’attenzione e la riflessione alle forme durante o immediatamente dopo
lo svolgimento di task comunicativi.
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Insegnare la grammatica 37
Approfondimenti bibliografici
Indichiamo qui pubblicazioni in italiano successive al 2000 relative alla didattica della
grammatica a stranieri, con qualche riferimento anche al problema dell’analisi e corre-
zione degli errori. Dove possibile, diamo il riferimento della collocazione in rete, per con-
sentire un accesso gratuito. Laddove tale rinvio non è dato, consigliamo di copia-incollare
il titolo del saggio su Google, perché molti testi vengono caricati in rete qualche tempo
dopo la loro pubblicazione su carta, e quindi è possibile che dopo l’uscita di questo volume
siano stati resi disponibili.
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Parte I - Approfondimento bibliografici
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Insegnare la grammatica 41
PARTE II
LE ATTIVITà
Parte II - Capitolo 4
Per imparare a parlare in un modo funzionale, l’essere umano deve essere esposto a
una lingua per tutto lo stadio del primo sviluppo cognitivo – vale a dire dalla nascita ai
circa due anni di vita, durante i quali scopre e comprende il mondo attraverso gli oggetti
e i sensi – e deve poterla sperimentare e praticare entro lo stadio di sviluppo cognitivo
successivo (ossia entro i sei/sette anni, nel corso dei quali riesce a rappresentarsi mental-
mente gli oggetti e può definirli simbolicamente attraverso le parole) in modo costante
e ripetuto.
Durante questo periodo della vita, infatti, l’istinto linguistico presente in ogni essere uma-
no raggiunge i massimi livelli di attivazione e permette a un bambino di imparare spon-
taneamente una lingua, che diventa lingua materna (in glottodidattica anche L1). Questo
istinto può estendersi anche a due lingue o, assai più raramente, a tre e creare una condi-
zione di bilinguismo (o trilinguismo); tuttavia, superato il periodo in questione, che ecce-
zionalmente può lambire anche la soglia della pubertà e che non a caso viene identificato
come periodo critico di acquisizione del linguaggio (Lenneberg 1967), esso si interrompe,
compromettendo definitivamente la possibilità di imparare efficacemente una lingua, con
conseguente rischio di isolamento sociale.
Le lingue che vengono dopo, sono considerate lingue non materne (o L2 in glottodidattica)
e possono essere imparate a qualsiasi età. Sempreché, vale ricordarlo, sia già stata acquisi-
ta una lingua materna che abbia consentito, in tempo utile, l’attivazione e lo sviluppo delle
innate funzioni neurologiche preposte al linguaggio.
Il periodo migliore oscilla dai quattro/cinque anni alla pubertà – cioè grosso modo da poco
prima che inizi a manifestarsi il pensiero logico, caratterizzato dalla capacità di attivare
processi mentali su operazioni concrete e applicabili nell’immediato, a quando soprag-
giunge il pensiero astratto, consistente nella capacità di organizzare le conoscenze in modo
sistematico e di pensare in termini ipotetico-deduttivi, anche a livello immaginativo – ma,
in linea di principio, non vi sono limiti di età per imparare le lingue non materne, che re-
stano quindi accessibili all’essere umano per tutta la vita anche ben oltre il periodo critico.
La capacità di apprendimento varia con gli anni e si realizza con modalità diverse fra bam-
bini e adulti, questi ultimi considerati, nell’apprendimento linguistico, i soggetti che sono
entrati nel periodo adolescenziale e hanno perciò concluso l’ultima tra le fasi di sviluppo
cognitivo sopra ricordate. Più nello specifico, è stato osservato che: la fonologia sembra
essere l’area più sensibile per cui, già dopo appena i sei/sette anni, diminuirebbe la capa-
cità di ottenere una pronuncia non marcata e dopo gli undici/dodici diverrebbe pressoché
impossibile, anche se ciò varia sensibilmente sulla base della maggiore o minore vicinanza
di due sistemi fonologici; la morfosintassi è l’area linguistica che sembra essere maggior-
mente accessibile in un’età compresa fra il periodo adolescenziale e i quaranta anni circa; il
lessico – quantomeno quello costituito da parole semanticamente autonome come nomi,
verbi e aggettivi – pare non presenti ostacoli e possa venire appreso a qualunque età.
Insegnare la grammatica 45
Fermo restando cha la capacità di imparare e usare le lingue è innata nell’essere umano, il
processo cognitivo con cui un bambino impara la propria lingua materna è pertanto diver-
so da quello con cui un individuo ne impara una non materna: mentre il primo processo è
caratterizzato da spontaneità, naturalezza e non palese volontà, il secondo si caratterizza
essenzialmente per tre fattori differenti e definibili in termini di volontarietà, consapevo-
lezza e osservabilità. Considerazione, questa, che ha portato a individuare due diverse
modalità di assimilazione linguistica, universalmente conosciute in ambito glottodi-
dattico con i termini di acquisizione, propria delle lingue materne, e di apprendimen-
to, tipico invece di quelle non materne (Krashen 1981).
Se è certamente vero che l’assimilazione di una lingua non materna avviene per ap-
prendimento, cioè su base volontaria, consapevole, attraverso specifici interventi
didattici, non è tuttavia da escludere che tale assimilazione possa avvenire, almeno
parzialmente, anche per acquisizione, soprattutto se si ricorre a modalità operative
il più possibile rispettose della realtà linguistica, che possano consentire all’appren-
dente di immagazzinare certe nozioni anche in maniera non del tutto consapevole e
volontaria.
Ciò che distingue un processo di acquisizione da un processo di apprendimento è che
quest’ultimo, in genere, implica:
a. l’individuazione dei bisogni linguistici dell’apprendente;
b. la definizione di determinati obiettivi;
c. l’uso di strumenti didattici adeguati (manuali, realia, multimedia);
d. l’attivazione di tecniche volte a ottimizzare l’apprendimento;
e. l’implementazione di una (eventuale) prova di verifica finale.
Fra queste componenti viene a instaurarsi un rapporto di tipo ciclico e consequen-
ziale: i bisogni determinano la definizione degli obiettivi; questi ultimi influenzano la
scelta degli interventi didattici considerati più adeguati per conseguire gli obiettivi;
sulla base degli interventi compiuti, verrà implementata, eventualmente, una prova
di verifica finale capace di fornire riscontri sull’avvenuta o meno soddisfazione dei
bisogni individuati all’inizio.
Prima di innescare questo processo è però necessario conoscere quali siano le com-
petenze linguistiche degli apprendenti. Ciò è possibile somministrando loro in via pre-
liminare un test di piazzamento – spesso definito, seppure impropriamente, anche
test di ingresso – in modo da formare gruppi di lavoro il più possibile omogenei e
programmare con avvedutezza l’attività didattica. A questo riguardo è bene tuttavia
operare un distinguo: nel caso in cui siano stati stabiliti livelli di competenza da rag-
giungere entro determinate scadenze – cioè, per intenderci, nel caso di corsi di lingua
che prevedano esami finali – è ineludibile strutturare l’attività didattica in modalità
prospettiva, procedendo alla programmazione a tavolino di un sillabo mirato e strut-
turato nei dettagli, su cui lavorare per (tentare di) raggiungere tali competenze; nel
caso in cui non esistano né scadenze né obiettivi particolari da conseguire, sarebbe
più coscienzioso concepire un sillabo in modalità retrospettiva, come presa visione di
ciò che è stato fatto o, meglio, di ciò che è stato possibile fare.
46
Parte II - Capitolo 4
Il riscontro che l’insegnante deve offrire agli apprendenti non va limitato a interventi
di tipo binario, consistenti nel fornire la soluzione giusta eliminando la sbagliata, ma
essere arricchito da tutta una serie di interazioni di tipo emendativo che rispecchino
il più possibile quelle che si realizzano, in contesti naturali, fra nativi e non nativi. È
improbabile, infatti, che nel corso di conversazioni spontanee extrascolastiche un par-
lante straniero venga corretto da un nativo in maniera aperta ed esplicita. Più comune
è, invece, l’abitudine di segnalare determinati incidenti di percorso legati alla comu-
nicazione mettendo in atto strategie correttive non repressive, con uso di espressioni
del tipo: Che hai detto?/Non ho (mica) capito e simili (Ciliberti 1994).
È anche vero, però, che spesso sono gli apprendenti stessi a chiedere di venire corretti
in maniera esplicita, avvertendo il bisogno di una spiegazione univoca e rassicurante che
consenta loro di concettualizzare in modo chiaro ed esatto il significato di certe parole o
espressioni o il funzionamento di determinate norme, in vista di successivi riutilizzi lingui-
stici. In questo, non considerano tuttavia che lo studio della lingua non rappresenta una
scienza esatta e non sempre esistono spiegazioni univoche e nette per i fenomeni che la
riguardano, visto che non tutto è riconducibile, nell’uso di una lingua, a regole inappella-
bili e logiche.
Molti dei fenomeni linguistici in cui ci si imbatte quotidianamente avvengono, più che in
maniera logica, in modalità analogica o illogica. È infatti per analogia con espressioni del
tipo andare in macchina, andare in treno e simili che diciamo andare in bicicletta invece
che andare sulla bicicletta, come vorrebbe la logica; d’altro canto, se tutto ciò che diciamo
dovesse essere ricondotto alla rigidità e univocità della logica, non dovremmo dire nem-
meno cappello in testa ma, caso mai, testa in cappello, allo stesso modo in cui diciamo
mani in tasca.
Va anche ricordato che ogni apprendente è diverso da un altro per una molteplicità di fat-
tori quali il livello di partenza posseduto in L2, l’età, l’attitudine, la motivazione, la persona-
lità, il contesto culturale da cui proviene, le sue conoscenze enciclopediche. E si potrebbe
continuare. Compito dell’insegnante è organizzare le attività di classe ricorrendo alle
tecniche ritenute più confacenti, al fine di esercitare e sviluppare negli apprendenti
determinate abilità linguistiche, che possono essere sia ricettive che produttive e ri-
guardare sia l’oralità che la scrittura.
Ma cosa si intende per tecnica e cosa per attività? Non è semplice stabilirlo, tanto è vero
che questi due termini sono stati e ancora vengono utilizzati spesso in maniera pres-
soché sinonimica o comunque piuttosto ambigua o confusa.
In questo contributo si cercherà di fornire una definizione univoca e di tenere distinti
i due termini, nella consapevolezza che si riferiscono a due pratiche operative fra loro
complementari e vicendevolmente imprescindibili.
Con il termine attività si intende un compito da eseguire a scopo esercitativo, co-
stituito da un campione di lingua ritenuto idoneo allo scopo; un atto didattico che
unisce l’insegnante e gli apprendenti nel lavoro di classe e che si configura, a ragion
veduta, come terzo indispensabile protagonista del processo di insegnamento/ap-
prendimento linguistico (Freddi, 1994).
Il termine tecnica rimanda invece al procedimento attuativo con cui tale atto didattico
viene realizzato; la modalità operativa che ne regola lo svolgimento e che stabilisce un
Insegnare la grammatica 47
contatto fra il campione di lingua proposto in classe e il codice linguistico, vale a dire
fra la parole individualmente rappresentata e la langue collettivamente condivisa (De
Saussure, 1967).
Tecniche e attività costituiscono perciò le due facce di una medaglia chiamata metodo
e non sono in alcun modo separabili, dal momento che proprio attraverso le tecniche
le attività possono essere tradotte in concreti in atti didattici (Balboni 1991).
In altre parole, mentre l’attività rimanda al cosa fare in classe (apprendere certe regole
grammaticali, comprendere un testo, scrivere una lettera, raccontare un fatto e così
via), la tecnica rimanda al come farlo (coniugando certe voci verbali, individuando in-
formazioni specifiche, inserendo in un testo alcuni dati mancanti, rielaborando forme
e strutture linguistiche, rispondendo a determinate domande e via dicendo).
Il rapporto di immanenza che intercorre fra tecniche e attività è chiaro: le prime costi-
tuiscono il presupposto attraverso cui è possibile sostanziare le seconde e le seconde
possono essere realizzate nella pratica didattica solo attraverso le prime.
Va però precisato che, mentre il tipo di attività dipende dal livello di competenza degli
apprendenti e deve adattarsi a esso, il tipo di tecnica prescinde dal livello e quindi,
almeno in linea di principio, ogni tecnica è applicabile a qualsiasi livello.
Le attività di classe e le tecniche maggiormente utilizzate per realizzarle possono es-
sere variamente classificate, a seconda della prospettiva da cui le si osserva. In questo
contributo si propone la distinzione a seguire, pur nella consapevolezza che qualsiasi
classificazione rischia di essere deficitaria e incompleta.
Per classificare le attività di classe è innanzitutto importante tenere in considerazione
essenzialmente i tre seguenti fattori, che possono poi essere fra loro combinati in
vario modo:
a. il canale di comunicazione attraverso cui vengono eseguite;
b. il tipo di abilità linguistica su cui sono incentrate;
c. la finalità per cui vengono svolte.
Parlando del canale di comunicazione, ci si riferisce al mezzo fisico-ambientale che
viene attivato per eseguire le attività didattiche. In questo modo si possono distingue-
re attività da eseguire per il tramite del canale scritto rispetto ad attività da svolgere
ricorrendo a quello orale. Ciò non toglie che entrambi i canali possano, in molti casi,
essere attivati per lo svolgimento di una medesima attività. Per fare un esempio: pre-
via lettura di un brano se ne può fare il riassunto sia per iscritto che oralmente.
Il tipo di abilità linguistica su cui sono incentrate e per il cui sviluppo si rivelano più
idonee, porta a distinguere attività focalizzate sulle abilità di comprensione e attività
incentrate sulle abilità di produzione. Anche in questo caso la distinzione non è co-
munque netta: rispondere a delle domande dopo aver letto un testo, per esempio,
equivale a svolgere un’attività che stimola sia l’abilità di ricezione che quella di produ-
zione. Quando poi queste due abilità sono legate da un rapporto di interdipendenza
e concepite nell’ottica dello scambio informativo tra un mittente e un destinatario, si
configurano più specificamente come abilità di interazione. Le abilità linguistiche (co-
munemente conosciute anche con l’espressione inglese language skills) rappresenta-
no quindi le capacità che permettono di capire e farsi capire in una lingua e che sono
48
Parte II - Capitolo 4
Insegnare la grammatica 49
attività didattiche adatte a sviluppare, attraverso il processo di ascolto, la capacità di
comprendere e recuperare informazioni o concetti trasmessi da fonti linguistiche so-
nore; la capacità di ascolto, diversamente da quella uditiva che è di natura sensoriale
e indipendente dalla volontà del soggetto, è di natura cognitiva, giacché implica un’at-
tenzione consapevole ai suoni linguistici e la capacità di collegarli a varie situazioni,
contesti, persone.
Le tecniche per le attività di produzione scritta consentono di mettere a punto attività
didattiche utili a sviluppare la capacità di conservare e trasmettere dati e informazio-
ni attraverso il corretto utilizzo dei segni alfabetici; questa capacità, che permette di
realizzare un testo sintatticamente coeso e semanticamente coerente, si rivela indi-
spensabile non solo nelle comunicazioni scritte di natura istituzionale in cui il codice
scritto è l’unico ammesso e la comunicazione non presuppone repliche da parte del
destinatario, ma anche in quelle interpersonali realizzate a distanza tramite il tradizio-
nale e sempre meno utilizzato supporto cartaceo e i moderni mezzi informatici che,
ai giorni nostri, hanno acquistato una dimensione impensabile fino a pochi decenni
fa. In questo ultimo caso, considerata la bidirezionalità dell’informazione si parla più
specificamente di interazione scritta.
Le tecniche per le attività di produzione orale, infine, servono a predisporre attività didat-
tiche idonee a sviluppare la capacità di trasmettere opportunamente messaggi attraverso
l’uso parlato del linguaggio; questa capacità – che unitamente a quella di comprensione
orale catalizza l’attenzione maggiore degli studenti e degli insegnanti – costituisce una
pratica comunicativa indispensabile per instaurare e mantenere rapporti con i propri simili
a tutti i livelli, in qualità di attori sociali. La capacità di produzione orale, che presenta ca-
ratteristiche diverse e risponde a esigenze diverse rispetto a quella di produzione scritta,
non si configura solo come capacità di produrre messaggi di senso compiuto, ma implica
la capacità di agire linguisticamente nel modo appropriato, nel luogo giusto e al momento
opportuno, stimolando l’interesse dell’interlocutore e riuscendo a indirizzare le intenzioni
comunicative verso il raggiungimento di determinati scopi. Analogamente all’interazione
scritta, anche in questo caso la produzione orale va intesa più specificamente come inte-
razione orale.
In base al secondo criterio si possono invece distinguere tecniche controllate, tecniche
guidate e tecniche libere.
Le tecniche controllate sono quelle che danno luogo ad attività eseguibili solo seguen-
do procedure operative obbligate che conducano ad esiti del tutto prevedibili e mo-
nitorabili. Le risposte fornite devono infatti essere uguali per tutti gli apprendenti e
confluire verso una medesima soluzione. Riducendo al minimo l’autonomia performa-
tiva degli apprendenti, le tecniche controllate sono in genere pensate per elaborare
attività focalizzate sull’uso codificato della grammatica e del lessico, giacché obbliga-
no gli studenti a fornire risposte univoche e non grammaticalmente negoziabili; per
tale motivo, sono adatte a sviluppare abilità di tipo più linguistico che comunicativo.
Le tecniche guidate lasciano agli apprendenti la possibilità di svolgere con una certa
autonomia le attività loro somministrate, ma nel rispetto di alcuni vincoli di ordine
strutturale e/o situazionale che condizionano le loro scelte operative. L’esito di que-
ste attività, se non prevedibile come quello delle attività svolte su base controllata,
50
Parte II - Capitolo 4
Insegnare la grammatica 51
forma mentis specifica dell’insegnante al momento della valutazione, stimolano gli
studenti a riflettere e a organizzare le loro conoscenze (identificabili come saperi e
riconducibili a una dimensione di natura cognitiva), mettendo in pratica le proprie
abilità (corrispondenti al saper fare e riconducibili pertanto a una dimensione di natu-
ra operativa) per raggiungere determinate competenze (identificabili come capacità di
raggiungere determinati obiettivi e riconducibili a una dimensione di natura affettiva
capace di attribuire a queste competenze senso e valore personale). Le prove aperte
favoriscono quindi una valutazione soggettiva poiché riescono meglio a fare emerge-
re le potenzialità e le capacità di ogni singolo studente nel rispetto del proprio stile
di apprendimento e della propria personalità. Queste prove hanno il vantaggio di ri-
chiedere all’insegnante poco tempo per la loro preparazione, ma necessitano di tempi
assai maggiori per la loro correzione e sono più difficili da valutare perché richiedono
riflessioni docimologiche più approfondite.
Le tecniche guidate sono infine adatte alla preparazione di prove semistrutturate le
quali, come è intuibile, compensano e attenuano i pregi e i difetti di quelle strutturate
e di quelle aperte.
Posto che nessun tipo di tecnica può essere utilizzato in via esclusiva e visti i vantaggi
e gli svantaggi intrinseci in ogni tipo di prova, una verifica apprezzabile sul piano doci-
mologico dovrebbe contenere tutti e tre i suddetti tipi di tecniche.
Sulla base del terzo criterio, di natura più marcatamente operativa, le tecniche pos-
sono essere realizzate in modalità isolata, integrata, abbinata, incrociata o diffusa, a
seconda di quali abilità, ricettive o produttive, e di quale canale, scritto od orale, ven-
gano richiesti e attivati per lo svolgimento delle varie attività (Zuanelli 2009).
La modalità isolata vede coinvolta una singola abilità, ricettiva o produttiva, in unione
a un singolo canale, scritto od orale. In questo modo si possono ottenere attività di
comprensione scritta (per esempio abbinando certe domande alle rispettive risposte o
le prime parti di frasi alle loro seconde parti), di produzione scritta (per esempio coniu-
gando alcune forme verbali inserite fra parentesi al modo infinito o scrivendo un testo
su un determinato argomento), di comprensione orale (come avviene, per esempio,
quando si abbinano delle immagini a certe frasi ascoltate), di produzione orale (chie-
dendo, per esempio, di descrivere una immagine o di raccontare un avvenimento).
La modalità integrata chiama in causa una singola abilità, ricettiva o produttiva, unita-
mente a entrambi i canali scritto e orale; in questo modo, si può progettare un’attività
integrando fra loro la comprensione orale e quella scritta (per esempio chiedendo di
indicare su un foglio o su una griglia predisposta se certe parole, frasi o informazioni
sono presenti o meno in un testo orale) oppure la produzione orale e quella scritta
(per esempio chiedendo di riassumere per iscritto il contenuto di una conversazione
svolta in precedenza od oralmente il contenuto di un testo scritto).
La modalità abbinata vede coinvolte entrambe le abilità ricettive e produttive attra-
verso l’utilizzo di un solo canale; ciò consentirà di abbinare fra loro la comprensione
e la produzione scritta (per esempio riassumendo un testo scritto o rispondendo ad
alcune domande su di esso) oppure la comprensione e la produzione orale (per esem-
pio svolgendo un dialogo o riferendo oralmente i contenuti più salienti di un testo
ascoltato in precedenza).
52
Parte II - Capitolo 4
Combinando variamente i parametri che stanno alla base dei suddetti criteri, è pos-
sibile così ipotizzare una molteplicità di casi: tecniche controllate realizzate in mo-
dalità abbinata per le attività di comprensione scritta, tecniche guidate realizzate in
modalità incrociata per le attività di produzione orale, tecniche controllate realizzate
in modalità isolata per le attività di comprensione orale, tecniche libere realizzate in
modalità diffusa per le attività di comprensione scritta e così via, fermo restando che
il confine tra tecniche per le attività di comprensione (sia orale che scritta) e tecniche
per le attività di produzione (anche in questo caso sia orale che scritta) non è sempre
netto e una stessa tecnica può essere applicata per svolgere attività sia orali che scrit-
te, sia di comprensione che di produzione.
Non si può, quindi, parlare di tecniche senza parlare di attività e viceversa, dal mo-
mento che ogni tecnica rinvia a qualche attività e ogni attività trae origine da qualche
tecnica. Questa correlazione è biunivoca e inscindibile ma non sempre né necessaria-
mente si configura come un rapporto di uno a uno, dal momento che con una medesi-
ma tecnica possono essere realizzate attività di vario tipo e che in una singola attività
possono confluire contemporaneamente più tecniche. Il che sta a significare che le
tecniche e le attività proposte e svolte in classe assumono un carattere ibrido, come
gli insegnanti di lingua avranno spesso avuto modo di notare o intuire.
Insegnare la grammatica 53
Se, per esempio, in un’attività si chiede di sintetizzare (per iscritto od oralmente) il conte-
nuto di un testo scomposto in varie parti dopo averle ricollocate nella giusta sequenza, si
applicano due tecniche diverse, sommandole tra loro: la prima è di tipo ricettivo e consi-
ste in un riordino delle parti scomposte, la seconda è di tipo produttivo e consiste in un
riassunto scritto od orale. Ancora, dovendo ricostruire in maniera corretta e significativa
un testo coniugando al tempo e modo opportuni certi verbi forniti in ordine sparso e nella
loro forma base dell’infinito, occorrerà ricorrere a due operazioni distinte e corrispondenti
ad altrettante tecniche: la prima di tipo ricettivo, consistente in una selezione dei verbi
appropriati ad ogni spazio da colmare; la seconda di tipo produttivo, consistente in una
sostituzione delle forme dell’infinito con quelle del tempo e del modo opportuni.
Se invece, per esempio, in un’attività si chiede di unire delle domande alle loro rispettive
risposte, in un’altra di unire le parti iniziali di frasi ai rispettivi séguiti e in un’altra ancora
di associare delle frasi a dei disegni, la tecnica, di tipo ricettivo, non cambia, visto che con-
siste in ogni caso nell’abbinare tra loro certi elementi. Allo stesso modo, se in un’attività
si chiede di volgere al passato certi verbi al presente, in un’altra di passare dalla prima
alla terza persona e in un’altra ancora di cambiare il singolare di certi nomi con i rispettivi
plurali, la tecnica, in questo caso di tipo produttivo, rimarrà invariata e consisterà, in tutti
e tre i casi, in una sostituzione di certe forme con altre.
L’apprendimento delle lingue non materne avviene dunque per mezzo di determinate tec-
niche e specifiche attività calibrate sulla base e nel rispetto delle motivazioni, potenzialità
e personalità degli apprendenti. Per favorirlo al meglio, è importante che l’insegnante li
orienti il più verso l’autogestione, assecondando le loro iniziative personali e riducendo
i suoi interventi a quanto basta per consapevolizzarli sulle loro capacità, motivazioni e
responsabilità. L’insegnante, si sa, ha il compito di facilitare l’apprendimento, non im-
porlo, ricorrendo alle attività e alle tecniche più adatte alle conoscenze, alle esigenze
e agli obiettivi didattici auspicati e attesi.
(Per un approfondimento, cfr. Baldassarri 2019)
Bibliografia di riferimento
Balboni E.P., 1991, Tecniche didattiche e processi d’apprendimento linguistico, Padova, Liviana
Baldassarri D., 2019, Lavorare in classe. Tecniche e attività nella didattica delle lingue non
materne, Roma, Universitalia
Ciliberti A., 1994, Manuale di glottodidattica, Firenze, La Nuova Italia
Corder S.P., 1983, Introduzione alla Linguistica applicata, Bologna, Il Mulino. (Ed. or., 1973,
Introducing Applied Linguistics, Harmondsworth, Penguin)
De Saussure F., 1967, Corso di linguistica generale, Roma-Bari, Laterza (Ed. or., 1916, Cours de
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Krashen S.D., 1981, Second language acquisition and second language learning, Oxford, Per-
gamon
Lenneberg E.H., 1967, Biological Foundations of Language, New York, Wiley
Zuanelli E., 2009, Glottodidattica. Dalle scienze del linguaggio all’educazione plurilingue,
Roma, Nuova Cultura
54
Parte II - Capitolo 5
Non è lo scopo di questo capitolo entrare nel merito della glottodidattica ludica, sulla
quale esiste una notevole bibliografia (tra gli italiani ricordiamo Caon, Rutka 2004; Caon
2006; Costenaro 2008; Balboni 2013; Lombardi 2013 e 2019; Zini 2014; Schenetti 2017; tra
i testi stranieri, Macedonia 2005; Talak-Kiryk 2010; Buttner 2013; Sykes et al. 2013; Gozcu,
Caganaga 2016; Reinhardt 2019): ci limiteremo a ricordare che la ludicità svolge non solo
una evidente funzione motivante, che alleggerisce la lezione rendendola più varia, ma che
espleta altre due funzioni fondamentali:
a. da un lato stimola la produzione di noradrenalina e di altri ormoni legati alla sfida ed al
piacere, sostanze che sono utili ai fini dell’acquisizione;
b. dall’altro, l’attività di gioco sposta l’attenzione dalle regole, dal lessico, dalle funzioni,
dalle strutture focalizzandola sul gioco come attività. Si applica In altre parole la regola
di Krashen nota come rule of forgetting, secondo la quale si impara meglio una lingua
quando ci si dimentica che non si sta apprendendo una lingua.
Dato per assodato questo discorso di fondo, cercheremo di vedere ora quale glottodidatti-
ca ludica può essere più produttiva e proficua ai fini dell’apprendimento di quel complesso
di nozioni che chiamiamo genericamente ‘grammatica’.
Essenzialmente le famiglie di giochi disponibili sono due:
- la prima consiste di giochi che coinvolgono più persone, e nei quali quindi c’è anche un
elemento di gara sociale, un gioco di regole in cui alla fine ci deve essere un vincitore,
che può essere il singolo o la squadra cui appartiene;
- la seconda grande famiglia è quella delle sfide individuali, in cui ciascuno gioca con se
stesso, cercando di superare un problema, come avviene in tutta la grande famiglia dei
giochi che rientrano nel nome di ‘enigmistica’ e, nei giochi di carte reali o virtuali, nella
famiglia dei ‘solitari’.
Insegnare la grammatica 55
Tris, tria
Tris o tria è un gioco tradizionale noto a tutti ragazzini
italiani, e quindi può anche svolgere una funzione di
divulgazione culturale nei paesi in cui quel gioco non
è noto.
Si realizza con due linee verticali e due orizzontali che
creano nove caselle, all’interno delle quali ogni gioca-
tore cerca di creare un tris, cioè una serie verticale,
orizzontale oppure diagonale con il suo simbolo (di so-
lito uno usa cerchietti, l’altro crocette).
Il meccanismo del gioco è quindi abbastanza semplice,
può essere spiegato anche a studenti di livello A1, e può essere applicato praticamente a
qualunque struttura morfosintattica.
Ad esempio, se si sta lavorando sul passato prossimo, con il problema aggiuntivo che il
participio passato è spessissimo irregolare nei verbi ad alta frequenza, la dinamica del
gioco può essere questa:
1. un giocatore, che chiamiamo A, vuole segnare il suo cerchietto nell’angolo in alto a
sinistra;
2. l’altro giocatore, B, dice un verbo, ad esempio venire
3. A deve produrre una frase che contenga ausiliare+venuto
4. se B ritiene corretta la risposta, allora A può segnare il suo cerchietto; se la risposta è
scorretta A perde il turno; nel caso in cui ci sia una differenza di opinioni sulla correttez-
za della frase che è stata prodotta da A viene chiamato l’insegnante, che si trasforma
in arbitro.
È un vero e proprio esercizio strutturale, caratterizzato come tutti i pattern drills dalla cop-
pia stimolo → risposta. L’elemento interessante, rispetto alla demotivazione degli esercizi
strutturali tradizionali è che, finita la partita, chi ha perso vuole indubbiamente avere l’oc-
casione di una rivincita, e nel caso in cui il primo vincitore venga sconfitto, c’è un condiviso
bisogno dello spareggio: si giunge quindi spontaneamente a 27 serie di stimolo → risposta
→ conferma o correzione.
Questa tecnica può essere usata con argomenti di diversa difficoltà, pur restando in sé
semplice ed elementare – dalla scelta dell’articolo determinativo di fronte ad una parola
a quella di relativi come che o chi, dal passato remoto agli imperativi seguiti dal pronome
personale, dai verbi di opinione seguiti dal congiuntivo alle congiunzioni coordinanti e
subordinanti, e così via.
Battaglia navale
Un altro gioco su schema molto comune in Italia e la battaglia navale.
Tradizionalmente abbiamo una serie di lettere in alto e di numeri in verticale Ma possiamo
mettere le restanti lettere nella colonna verticale in modo che per colpire una casella basti
dichiarare, ad esempio, ES, apprendendo in tal modo in maniera giocosa il nome delle
lettere dell’alfabeto.
Se al posto delle lettere alfabeto, restando nel livello A1, si mettono i numeri cardinali in
56
Parte II - Capitolo 5
alto e quelli ordinali in verticale si esercitano questi aggettivi; oppure se si possono met-
tere giorni della settimana in alto e orari in quella verticale, in modo cehper colpire una
casella bisogni coniare una frase del tipo: ‘vado a fare ginnastica ogni giovedì alle 17:30’,
incrociano quindi la colonna del giovedì con quella delle 17.30.
Anche nella battaglia navale, come in tris, solo se la frase è corretta la casella viene ritenu-
ta colpita e l’eventuale nave è affondata.
Il dado
Un altro strumento che consente di giocare a coppie e sviluppa un forte agonismo è dato
da un semplicissimo dado.
Nella tradizione italiana del gioco con i dadi di solito si deve raggiungere il punteggio di
31 – raggiunto il quale è presumibile che il perdente chieda la rivincita ed eventualmente
ci sia anche uno spareggio.
Il meccanismo è estremamente semplice e ricorda quello del tris: il giocatore A lancia il
dado e realizza, ad esempio, 4 punti: per poter segnare 4 nel suo punteggio deve compiere
l’operazione linguistica che gli viene affidata dal compagno B, come in tris.
Le tre tecniche che abbiamo visto, soprattutto il tris e il gioco dei dadi, possono accogliere
moltissime strutture morfosintattiche diverse. Ci sono altre attività che sono meno elasti-
che, che si prestano solo ad alcuni elementi grammaticali. Un esempio può essere quello
del cosiddetto dettato Picasso.
La fila motivante
Oltre ai giochi di coppia che abbiamo visto sopra, ci sono anche dei giochi che possono
Insegnare la grammatica 57
coinvolgere tutta la classe.
Ad esempio, quando mancano 5 minuti alla fine della lezione e non c’è tempo per in-
cominciare e affrontare un tema di una certa vastità, può essere utile promettere agli
studenti che se si mettono in fila ordinatamente (e in silenzio!) che potranno lasciare la
classe ancor prima della fine dell’ora – promessa estremamente motivante in qualunque
contesto...
La fila può essere ordinata secondo più variabili, ad esempio, da chi al mattino si alza per
primo a chi si alza per ultimo, oppure dal più giovane al più vecchio, ecc.: in un gruppo di
25 persone ciascuno deve dire 24 volte a che ora si alza oppure la propria data di nascita e
deve comprendere 24 volte a che ora si alzano o quando sono nati i suoi compagni di cor-
so. Quello che è importante e che dà senso a questa attività ludica è che la comprensione
non è finalizzata a tracciare una crocetta su un test a scelta multipla, ma a spostarsi avanti
o indietro nella fila e a mettersi davanti o dietro ad un proprio compagno. Ancora una vol-
ta quindi interviene la rule of forgetting, per cui la dinamica del gioco fa dimenticare che
si sta esercitando una struttura grammaticale.
Cruciverba
Si tratta di giochi su schema, e il più facile da realizzare è senz’altro il cruciverba. Esistono
moltissimi siti che automaticamente generano cruciverba sulla base delle parole che è
l’insegnante inserisce nello schermo. Si consiglia di scegliere i crossword makers che non
richiedono di inserire anche la definizione, ma semplicemente le parole; dopodiché ba-
sterà effettuare uno screenshot e copiarlo su un file word che può essere spedito a tutta
la classe, oppure stampato e dato ai ragazzi che hanno particolari bisogni.
La caratteristica fondamentale di questa tecnica, se viene usata per la grammatica, è che le
parole che vengono inserite possono appartenere tutte a un unico aspetto grammaticale:
ad esempio, possono essere verbi irregolari, congiunzioni, pronomi indefiniti, ecc. Suppo-
nendo che in classe si stia lavorando sul passato remoto, il modo più semplice di dare le
definizioni consiste nel dare il verbo all’infinito.
Altrettanto semplice è creare un cruciverba partendo dal dialogo che gli studenti hanno
ascoltato e compreso all’inizio dell’Unità, oppure una lettura che hanno affrontato, oppure
ancora, se siamo in un livello avanzato, anche da testi che gli studenti non hanno mai letto
in precedenza. La realizzazione è semplice: supponendo che si stia lavorando sul passato
prossimo, si inseriscono nel cruciverba tutti i participi passati che compaiono nel testo, e
nel testo stesso si cancellano i participi passati scrivendo al loro posto 3 orizzontale oppure
4 verticale ecc., cioè la collocazione di quel participio passato nel cruciverba, che diventa
58
Parte II - Capitolo 5
in tal modo una formula mista tra il close e l’esercizio grammaticale più tradizionale.
Chiudiamo qui questa rapida rassegna, il cui scopo non è quello di offrire “ricette glotto-
didattiche”, ma di risvegliare l’interesse verso queste attività motivanti e produttive che
spesso richiedono assai poco tempo per la realizzazione in classe nonché per la prepara-
zione dei materiali, laddove questi sono necessari, materiali che, una volta realizzati, sono
riutilizzabili ogniqualvolta se ne abbia necessità, soprattutto in fase di recupero individua-
lizzato, in modo che il recupero non sia una condanna ma un... gioco.
Riferimenti bibliografici
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Journal of Educational Sciences, n. 11, Doi: 126. 10.18844/cjes.v11i3.625
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zionicafoscari.unive.it/en/edizioni/riviste/elle/2014/1/
Insegnare la grammatica 59
6. La grammatica con i bambini:
alcune idee per l’esplorazione e il gioco
Sara Servetti
Se torniamo con la mente a quando eravamo seduti nei banchi di scuola e ripensiamo
alle lezioni di grammatica, molti di noi hanno ricordi di lunghe spiegazioni ed esercizi mo-
notoni. Se proviamo a riflettere su questi sentimenti di noia e scarso interesse, possiamo
constatare che cozzano con ciò che il fare grammatica ci offre: imparare come funziona
una lingua vuol dire avere a disposizione nuovi strumenti per comprendere e comunicare.
La sua importanza e la sua spendibilità concreta dovrebbero suscitare emozioni ben più
positive.
Ora che siamo dall’altra parte, ovvero dietro una cattedra, come possiamo agire per pre-
sentare la grammatica in modo diverso da come la maggior parte di noi l’ha vissuta? Cosa
possiamo fare per far sì che i nostri allievi siano interessati, coinvolti, motivati nell’ affasci-
nante scoperta dei meccanismi di funzionamento della lingua?
Possiamo provare ad individuare qualche strategia didattica solo se riflettiamo sul tipo di
apprendenti con cui abbiamo a che fare, cercando di tenere in considerazione il più possi-
bile le loro caratteristiche così da sfruttarne le potenzialità.
In primo luogo, siamo consapevoli del fatto che ogni classe è sempre eterogenea, perché
è formata da bambini diversi, con diverse combinazioni di tipi di intelligenze, stili cognitivi
e di apprendimento, tempi, ritmi, esperienze. Questa situazione così variopinta rende ne-
cessaria un tipo di didattica altrettanto variopinta, ovvero incentrata sulla varietà e sulla
flessibilità: alterniamo le tipologie di esercizi, adottiamo diversi metodi e approcci, varia-
mo le tecniche, in modo da essere sicuri di arrivare a ciascun bambino. Anche quando
trattiamo argomenti grammaticali, quindi, è necessario differenziare il nostro modo di
procedere e le attività che proponiamo.
In secondo luogo, teniamo a mente che il bambino può essere influenzato considerevol-
mente nel suo percorso di apprendimento dalle emozioni che prova: egli non è soltanto
“un essere razionale, ma prima di tutto una persona dotata di sentimenti e attitudini che
condizionano il suo rapporto con il mondo, il suo rapporto con gli altri” (Luise, 2006: 79).
È importante quindi considerare quello che succede “dal collo in su” per usare le parole
di Rogers (1973: 8), ma anche gli aspetti sociali ed emotivi, che possono accendere la
motivazione ad apprendere e migliorare in modo significativo l’apprendimento stesso. Nel
nostro caso, se riusciamo a proporre argomenti grammaticali in modo da stimolare la cu-
riosità del bambino, da fargli assaporare il piacere di apprendere, di scoprire, di mettersi in
gioco accettando una sfida, il piacere della novità e della varietà (Balboni, 2015), se quindi
riusciamo a fargli provare emozioni positive, la ricaduta sulla motivazione sarà enorme e
allora anche la grammatica diventerà interessante.
Da ultimo, ma non per importanza, consideriamo la naturale propensione al gioco che i
bambini hanno: a differenza di molti adulti che tendono ad avere più difficoltà ad accet-
tare attività ludiche in un contesto scolastico, essi si relazionano al gioco con spontaneità
ed entusiasmo, dal momento che rappresenta per loro uno dei principali mezzi per cono-
60
Parte II - Capitolo 6
Insegnare la grammatica 61
Figura 1
La figura 1 (tratta, come pure le altre figure, da Forte in grammatica, Edilingua, pagina
16) è riportata a titolo esemplificativo: l’input da esaminare è limitato ma rilevante, e ciò
facilita la concentrazione e l’analisi. Inoltre, è inserito all’interno di fumetti e vignette che
hanno come protagonisti una classe in gita scolastica, le cui avventure si snodano per tutto
il libro. La scelta di un genere vicino al mondo dell’infanzia che non viene percepito come
qualcosa di pesante e noioso, il fatto che i personaggi rappresentati nei disegni siano loro
pari, le situazioni verosimili e legate ad un momento piacevole della vita scolastica, tutto
ciò contribuisce a suscitare interesse e tenere alta l’attenzione.
Inoltre, come si può notare nell’immagine, anche l’uso del colore può facilitare il bambi-
no nel lavoro di individuazione e analisi delle strutture linguistiche: le forme su cui deve
concentrarsi sono evidenziate all’interno dei fumetti con il colore turchese, di modo che
risaltino rispetto alle altre parole, scritte in nero.
62
Parte II - Capitolo 6
simo: la domanda e gli esempi rendono il bambino innanzitutto consapevole del fatto che
le forme verbali in esame siano costituite da due parti. Solo successivamente, la richiesta
di riempire le caselle dei verbi di due colori distinti lo fa concentrare sui due ausiliari.
Figura 2
Formare insiemi e usare i colori può aiutare a coinvolgere il bambino, a fargli prendere
decisioni sulla base di ciò che già conosce, e a dargli tempo per riflettere e rielaborare
mentre svolge un’attività pratica. Il risultato finale dell’esercizio sarà un ulteriore aiuto alla
memorizzazione, dal momento che il canale visivo del bambino viene stimolato.
Le attività in figura 2 (pagina 122) costituiscono inoltre la base su cui possiamo costruire ri-
chieste più specifiche e svelare regole più complesse, come quelle in figura 3 (pagina 123),
relative al diverso comportamento del participio nei due gruppi di verbi. Questo modo di
procedere, fatto di attività coinvolgenti concatenate le une alle altre, parte dal semplice
per arrivare al complesso, e incoraggia una scoperta attiva delle regole grammaticali passo
a passo, affinché nessun bambino si senta perso lungo il percorso.
Figura 3
Insegnare la grammatica 63
Un’altra tecnica che possiamo usare per guidare il bambino nella formulazione attiva delle
regole grammaticali è l’uso di tabelle solo parzialmente complete, come quella riportata
in figura 4 (pagina 17).
Figura 4
64
Parte II - Capitolo 6
Figura 5
Insegnare la grammatica 65
Figura 6
66
Parte II - Capitolo 6
ge, sul risolvere un problema, sul superare una sfida, e non tanto sull’imparare una lingua.
Le potenzialità offerte dal gioco sono pressoché infinite, e possiamo esaminare qui di se-
guito alcune tecniche da proporre in classe per esercitare la grammatica.
Figura 7
Insegnare la grammatica 67
Un ulteriore vantaggio di questo tipo di esercizio è che offre uno stimolo all’autocorrezione
e quindi all’autovalutazione: la comprensibilità e la correttezza della frase finale rappresen-
tano la cartina di tornasole del corretto svolgimento dell’attività ed eventuali imprecisioni al
suo interno aiuteranno il bambino stesso ad individuare i propri errori e a correggerli, senza
bisogno di un intervento esterno. Questo processo lo aiuterà a rendersi conto delle sue co-
noscenze e competenze relative all’argomento grammaticale oggetto dell’attività.
Figura 8
68
Parte II - Capitolo 6
Figura 9
Come per i cruciverba esaminati nel paragrafo precedente, anche queste attività hanno il
vantaggio di avere una valenza autocorrettiva e autovalutativa: se il bambino sbaglia ad
annerire una casella o a unire un soggetto e una forma verbale, l’intero disegno rivelerà
l’errore e questo sarà lo stimolo per ritornare sui propri passi e autocorreggersi, e un aiuto
per l’autovalutazione.
Figura 10
Insegnare la grammatica 69
Possiamo usare lo stesso escamotage per rendere interessanti anche altri tipi di attività,
come ad esempio i puzzle enigmistici, riquadri pieni di lettere al cui interno si deve indi-
viduare – in orizzontale o in verticale – un certo numero di parole. È possibile usarlo per
lavorare su argomenti grammaticali, ad esempio facendo trovare un dato numero di pa-
role con determinate caratteristiche. Anche in questo caso avere un traguardo preciso da
raggiungere costituisce una sfida e coinvolge aiutando al tempo stesso l’apprendimento.
La formula del traguardo preciso può essere applicata anche agli esercizi di caccia all’erro-
re e di trova l’intruso: in questi tipi di attività si può chiedere al bambino di individuare la
sola forma errata tra quelle presenti all’interno di un piccolo insieme, e ciò costituisce una
sfida facilitata, oppure un dato numero di errori all’interno di un intero testo, una sfida più
complessa, ma sicuramente più motivante.
70
Parte II - Capitolo 6
Figura 11
Insegnare la grammatica 71
6.5. Conclusioni
Queste pagine vogliono essere uno stimolo, un incoraggiamento verso una didattica che
sviluppi nei bambini la curiosità verso le strutture grammaticali e il piacere di esplorarle:
proporre attività coinvolgenti e motivanti per sviluppare la consapevolezza dei fenomeni
linguistici ha molta più presa di noiose spiegazioni grammaticali da parte dell’insegnante.
Inoltre, riconosciamo dignità ai giochi con finalità didattiche: non sono soltanto passa-
tempi divertenti, e “non dovrebbero mai essere adoperati come attività di riempimento,
come semplici tappabuchi” (Mollica 2010: xix) proprio perché sono attività complesse e
sono fondamentali per la motivazione e per la sfida. Costituiscono una risorsa in classe
ed uno stimolo importante per i bambini che imparano una lingua, proprio perché coin-
volgono, motivano, stimolano, rendono attivi e curiosi e divertono, sviluppando al tempo
stesso abilità diverse.
Riferimenti bibliografici
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Roma, Edilingua
72
Parte II - Capitolo 7
Con questo contributo si vuole proporre una riflessione sulle modalità di valutazione della
competenza grammaticale dell’italiano a stranieri. Pertanto, nella prima parte si offrirà un
quadro d’insieme sugli aspetti che caratterizzano il momento valutativo concepito come
situazione formativa di cui si esamineranno le implicazioni didattiche. Nella seconda parte
si analizzeranno i percorsi valutativi per rilevare la competenza grammaticale. In questa
direzione, si proporranno delle indicazioni operative per poter costruire degli strumenti
utili per valutare l’aspetto linguistico1.
1 Il contributo è frutto del lavoro congiunto dei due autori che hanno concordato assieme l’impianto generale e la suddivi-
sione in parti. Giuseppe Maugeri ha curato il paragrafo 1 mentre Graziano Serragiotto ha curato il paragrafo 2.
Insegnare la grammatica 73
continui dove l’apprendete attiva il proprio problem solving, impiega le enciclopedie delle
proprie conoscenze del mondo e sviluppa abilità con risposte cognitive che, legate al pro-
prio sapere, sono agganciati alla realtà di utilizzo della lingua (Castoldi, 2018).
Una simile premessa riconosce alla valutazione un’importanza strategica per la vita didat-
tica della classe di italiano a stranieri. Pertanto, occorrerebbe ripensare alla situazione va-
lutativa rendendola un evento ricorrente e praticabile nel percorso didattico grazie a una
serie di strumenti operativi volti a conferirle un valore riconoscibile, ovvero in connessione
con la didattica. In tal senso, la valutazione è prima di tutto uno spazio educativo dove il
docente di italiano e gli studenti fanno il punto sulla qualità delle conoscenze trasferibili e
applicabili in situazione e si confrontano sulla qualità della prova e della performance. La
visione della valutazione che ne scaturisce è che tale situazione è concepita e come tale
costruita per ripensare le esigenze degli studenti connesse al loro percorso didattico e rap-
portarle a un livello di competenza posseduta. In quest’ottica la valutazione ha una fun-
zione strategica, come già sottolineato all’inizio, perché lo studente viene valutato lungo
il suo percorso e dunque è focalizzata sul processo di apprendimento che egli compie. Ciò
comporta che la valutazione amplia la base dei parametri su cui lo studente verrà valutato;
non solo competenza ma anche gli atteggiamenti e le motivazioni che ha messo in campo
per raggiungere determinati risultati.
A conclusione, la valutazione è il momento dell’interpretazione dei dati della verifica, dati
resi leggibili e comparabili in quanto riportati ad una scala di valori numerici attraverso la
misurazione e non solo della performance. Infatti, la valutazione si interessa dello sviluppo
affettivo, emotivo e cognitivo dell’apprendente e come tale la verifica va costruita in modo
che lo studente non accumuli conoscenze o dimostri capacità mnemoniche, ma sia un mo-
mento in cui il discente e il docente abbiano consapevolezza del benefici e delle difficoltà
riscontrante lungo il processo di acquisizione (Serragiotto, 2016).
74
Parte II - Capitolo 7
riscontrate nella verifica, il docente e gli studenti possono intraprendere un dialogo sulle
modalità di miglioramento per affrontare la prova successiva con maggiore sicurezza (Ca-
stoldi, 2018).
Come si può osservare, il contesto valutativo non può prescindere dal coinvolgimento de-
gli studenti per rendere più attendibile e trasparente la prova. In questo modo la pratica
valutativa si basa sull’impegno reciproco stabilito fra i diversi attori per il conseguimento
degli obiettivi didattici.
Insegnare la grammatica 75
rispetto ad altri traguardi di apprendimento; evitare che si sovrappongano altri aspetti da
valutare al punto da rendere la verifica poco coerente e attendibile rispetto agli obiettivi;
selezionare cosa si ritiene valido per testare un particolare aspetto della lingua, nella misu-
ra in cui questo aspetto viene rilevato attraverso informazioni, strumenti e tecniche note
allo studente al fine di non metterlo in difficoltà durante la prova. Il rischio di sottovalutare
la realtà del contesto potrebbe rendere non attendibile la prova perché non tarata sulle
esigenze degli allievi, provocando timore durante le verifiche e sfiducia.
76
Parte II - Capitolo 7
tica, oggi la tendenza metodologica si orienta verso una didattica linguistica più riflessiva in
grado di potenziare le competenze cognitive e metalinguistiche dello studente, allo scopo
di generare una processo di consapevolizzazione da parte dell’apprendente sul processo.
Questo presupposto rende evidente come oggigiorno un approccio glottodidattico deve
tenere in considerazione la realtà psicoattitudinale degli studenti e le loro esigenze. Ne
consegue che l’insegnamento della grammatica e con esso della valutazione dell’aspetto
grammaticale non dovrebbe costituire il perno e l’obiettivo dell’apprendimento basandosi
su di un modello di competenza linguistica che esclude gli aspetti sociolinguistici e prag-
matici ed extralinguistici (Balboni 2014). Se la grammatica è una parte fondamentale della
lingua, allora essa deve essere considerata una risorsa per contribuire a far elaborare le
informazioni in modo differente, rendendo l’aspetto grammaticale rilevante e significativo
per il miglioramento della competenza comunicativa degli studenti. Si tratta di un proces-
so di personalizzazione del metodo di lavoro che dovrebbe puntare a insegnare e a valu-
tare la grammatica secondo modalità riflessive in modo che lo studente giunga ad avere
la capacità di usare le regole per riconoscere e formare testi adeguati alle regole stesse.
Se in classe si predilige un lavoro utile per contestualizzare la grammatica all’interno di una
cornice comunicativa, allora gli studenti sono messi nelle condizioni di osservare, formu-
lare ipotesi, di verificarle; di ordinare i nuovi elementi per categorie, di riempire schemi e
schede di lavoro, usando la grammatica per generare relazioni, termini. Di utilizzare stra-
tegie e attivare risorse interne per spiegare le regole e precisarne il loro utilizzo nell’uso
effettivo della lingua in azione.
Come si può osservare, in classe viene generato un processo attivo, che non viene deciso
dall’alto, ma è regolato sul coinvolgimento degli studenti grazie a strumenti operativi che
si rivelano formativi perché finalizzati alla scoperta e al possesso delle regole in chiave
comunicativa e a valutare i livelli d’uso e sull’uso che tali abilità comportano nel momen-
to dell’esecuzione. Al centro di questa prospettiva di azione vi è l’idea della competenza
grammaticale che va testata allo scopo di far emergere la varietà della lingua utilizzata in
contesti di vita. Le diverse forme grammaticali dovranno necessariamente costituire un
mezzo per aiutare lo studente a osservare la ricchezza della lingua che analizza dal punto
di vista grafemico, fonemico, morfosintattico; in termini di coerenza, coesione e organiz-
zazione di un testo; secondo una funzione pragmatica scoprendo gli effetti che una norma
linguistica e il suo uso hanno nella lingua.
Insegnare la grammatica 77
In questa direzione, l’impianto didattico della valutazione dovrebbe mettere in discus-
sione il peso assegnato a prove oggettive e strutturate per rilevare la competenza gram-
maticale, dando più spazio a momenti continui di verifica in classe (insegnare a fare la
verifica) in una prospettiva orientata a rilevare la competenza grammaticale. Contraria-
mente a prove segnate da prestazione mnemoniche e ed esercizi manipolati con cui dava
prova di sapere la lingua (volgi al, trasforma in), con test semi strutturati invece deve
essere riconoscibile l’azione dello studente in grado di poter riconoscer e saper riflet-
tere sui modelli linguistici oggetto di analisi. Egli deve essere messo nelle condizioni di
poter promuovere un ragionamento sulla grammatica correlata ad altri aspetti linguistici
e culturali. Il vantaggio di utilizzare prove semi strutturate per valutare la competenza
grammaticale consistono:
a. nel potersi accertare dei processi cognitivi degli studenti;
b. nel poter verificare abilità più complesse quali i processi di analisi, di riflessione
critica e di sintesi;
c. ogni sua azione dà un apporto significativo alla valutazione per il suo apprendi-
mento.
All’importanza di quantificare i risultati della prova grammaticale, si fa spazio l’idea che
il test e la grammatica in realtà servano per non rilevare un sapere riproduttivo ma, di-
versamente, a saper contestualizzare meglio il messaggio comunicativo all’interno di una
cornice che è regolata anche da norme culturali ed extra linguistiche.
Dunque le prove semi strutturate costruite per testare la competenza grammaticale en-
trano in gioco con il processo formativo degli studenti poiché si prefiggono l’obiettivo
di comprendere quanto e come l’allievo è in grado di utilizzare la grammatica nella sua
esperienza di vita linguistica, quale livello di consapevolezza abbia riguardo alle sue scel-
te linguistiche e quale livello di autonomia possiede al momento di verificare tale com-
petenza. Come si può osservare, i presupposti scientifici e costruttivi di prove di questa
tipologia implicano una condivisione delle responsabilità: lo studente è responsabile del
suo apprendimento mente nel caso dell’insegnante, egli deve disporre di un repertorio
metodologico e tecnico per poter costruire degli eventi valutativi in grado di rilevare la
prestazione dell’allievo e raccogliere delle informazioni utili per comprendere come pro-
gredisce e quali problematiche riscontra a livello grammaticale.
78
Parte II - Capitolo 7
Insegnare la grammatica 79
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80
PARTE III
I saggi inclusi in questa sezione sono ristampati con gentile concessione degli autori e degli
editori, che ringraziamo per il loro contributo alla formazione dei docenti di italiano a stranieri
Parte III - Capitolo 8
8. ‘Grammatica’ e ‘grammatiche’
per la lingua italiana a stranieri
Antonella Benucci
Tratto da Educazione Linguistica. Language Education, EL.LE, n. 2, 2018
http://edizionicafoscari.unive.it/riviste/elle/2018/2/
1 Si sintetizza con il termine ‘grammatica’ lo studio del lessico, della morfosintassi, degli aspetti fonologici e ortografici di
una lingua.
2 Sui concetti di L2 e LS e per una prima ricognizione sull’italiano L2 si veda Caon (2011), per la bibliografia dell’educazione
linguistica in Italia cfr. Balboni (2011), Daloiso (2015).
Insegnare la grammatica 83
trasformazioni del modo attuale e con le aspettative degli individui e della società, eser-
cita sempre più in una situazione di sfida: l’insegnante ha una natura dinamica, si deve
adattare ai cambiamenti e essere psicologicamente e culturalmente disponibile al nuovo
e applicare nella pratica quotidiana i modelli più attuali e funzionali agli scopi dell’appren-
dimento. Infatti qualsiasi strategia didattica implica che si prenda atto delle diversità di
ciascuno e che si selezionino modalità differenziate di intervento in base a fattori sia affet-
tivi e sociali (variabili motivazionali e attitudinali, fattori attinenti la personalità, dinami-
che del gruppo ecc.) sia cognitivi (capacità intellettive, attitudini evolutive ecc.). Dunque
la programmazione di un intervento didattico strutturato comporta: momenti conoscitivi
(dove e su chi si interviene: il Paese, lo studente, i bisogni e le motivazioni), momenti di
decisione (in base ai traguardi che vengono posti: lingua e cultura coinvolte, programmi
ufficiali) e momento operativi (come intervenire: materiali didattici e tecniche didattiche).
84
Parte III - Capitolo 8
4 Che tuttavia andrebbero aggiornate dato che le complete come Balboni, Santipolo (2003), De Mauro et al. (2002) risalgo-
no ormai ai primi anni del Duemila.
Insegnare la grammatica 85
8.3. Curricoli, sillabi e programmazione
Se il curricolo è ‘il manifesto glottodidattico’ che riunisce mete educative, indicazioni me-
todologiche e obiettivi specifici, il sillabo dovrebbe costituire la descrizione dei contenuti
degli interventi formativi ed essere alla base della costruzione di un qualsiasi materiale per
l’insegnamento; è uno strumento operativo fondamentale e costituisce una forte scelta
politica perché permette di effettuare una selezione, una sequenzialità e una graduazione
dei contenuti.
Negli anni Ottanta del secolo scorso mancavano strumenti del genere per l’italiano (e a
dire il vero mancavano anche grammatiche di riferimento) per questo all’Università per
Stranieri di Siena si era sentita l’esigenza di avviare il dibattito su tale aspetto e di pro-
durre modelli, prima a uso interno come il Sillabo Galli de’ Paratesi,5 propedeutici alla
pubblicazione del primo curricolo di italiano per stranieri in Italia, il Curricolo 1995 che
conteneva un sillabo con attenzione anche ad aspetti sociolinguistici e socioculturali. Poi
si sono avuti altri momenti di elaborazione teorica che hanno portato alla creazione di altri
materiali ad uso interno sotto la guida di Lo Duca e Catricalà cui sono seguiti la proposta
di Lo Duca (2006) di sillabo per un pubblico specifico, gli studenti in scambio universitario,
e poi quella di Benucci (2007) di sillabo generico. L’orientamento della ricerca condotta
presso l’Università per Stranieri di Siena è stato fin dall’inizio quello di superare l’impianto
dei sillabi formali, ma anche puramente funzionali, che in Benucci (2007) si realizzava con
l’assunzione della centralità del testo in quanto déclancheur, della consapevolezza dell’im-
possibilità di / e della rinuncia ad essere esaustivo, nel focus non solo sulle competenze
liguistico-comunicative della componente comunicativa come è definita dal QCER, nel ten-
tativo di trattare aspetti sociolinguistici e socioculturali selezionati per singoli livelli e non
più indicati solo genericamente; aspetti necessari per trattare i ‘saper fare con la lingua’
ma anche il ‘sapere la lingua e saperla integrare con gli altri codici’.
Il principio organizzatore di questo sillabo era stato proprio il testo, in quanto input comu-
nicativo e linguistico, nella piena condivisione di quanto affermato dal QCER (2001, 143)
quando precisa a proposito di descrizioni che quella fondata su una organizzazione del-
le forme «frantuma il significato, mentre quella basata sull’organizzazione del significato
frantuma la forma». Non si vuole suggerire che si debba procedere dalla forma al significa-
to né dal significato alla forma, piuttosto che la competenza morfosintattica debba essere
vista come strettamente correlata a quella testuale e pragmatica, secondo una visione
allargata del sapere regolistico che la collega alla più generale competenza comunicativa,
considerando necessariamente due livelli: conoscenza degli elementi discreti e consape-
volezza del loro posto e peso nel sistema anche se per la natura stessa, universalistica, del
sillabo non è possibile tenere conto delle lingue presenti nella classe, né inserire elementi
di riflessione basati sulla costruzione mentale che si costruisce individualmente l’appren-
dente, aspetto invece realizzabile e raccomandabile per sillabi destinati a specifiche tipo-
logie di studente.
La formazione linguistica degli immigrati stranieri in Italia è divenuta una costante pre-
occupazione in ambito educativo ed è stata oggetto di dibattito dopo le prime risposte
5 Redatto tra il 1987 e il 1988 da Diadori, Cini, Benucci in collaborazione con esperti europei e italiani (Richterich, Béacco,
D’Addio Colosimo, Evangelisti Allori, Giunchi).
86
Parte III - Capitolo 8
Insegnare la grammatica 87
questa disciplina in Italia ma la polemica contro l’impianto logistico e universalistico della
grammatica tradizionale è stata risentita da noi almeno fino agli anni Ottanta portando
all’antigrammaticalismo e al primato delle capacità imitativo-analogiche. Da questo pe-
riodo in cui predominava l’evitamento della riflessione sulle forme della lingua si è passati
oggi all’adozione di approcci fondati su principi costruttivisti e metacognitivi in accordo
con le più recenti tendenze metodologiche dato che il ruolo della ‘grammatica’ e la mo-
dalità in cui viene presentata è correlato all’impostazione teorica che sottostà alle varie
metodologie. Per anni tutto ciò che si faceva nell’insegnamento linguistico era finalizzato
all’apprendimento grammaticale, fino a quando l’attenzione si è spostata dal prodotto al
processo e fino a quando in Europa la didattica delle lingue si è mossa da una posizione
periferica dell’insegnamento verso una posizione centrale (formazione di individui sia in
contesto scolastico che lungo tutta la vita) e da formazione alle lingue straniere a forma-
zione mediante le lingue e educazione alla cittadinanza. Parallelamente è cresciuta la con-
sapevolezza che le competenze parziali, acquisite sia in contesti istituzionali sia naturali,
concorrono tutte alla costruzione delle identità individuali e all’integrazione sociale (Cfr.
competenza soggiacente e educazione plurilingue).
I metodi che enfatizzavano lo scritto hanno ignorato il valore del parlato occupandosi della
grammatica tradizionale, in particolare della morfologia e dei piccoli fatti di lingua, quelli
che hanno posto l’accento sul parlato si sono spinti alle estreme conseguenze ignoran-
do del tutto i riferimenti alle regole grammaticali e il reale rapporto fra parlato e scritto.
La metodologia didattica proveniente in gran parte da aree linguistiche in cui la coscien-
za della lingua di uso e i problemi di identità sono stati superati prima che in Italia (per
esempio quelle anglofone), ha indotto gli autori di materiali per l’insegnamento a stranieri
ad accogliere atteggiamenti più disinvolti diretti a favorire la performance a scapito della
correttezza formale. Studi più recenti in campo europeo, soprattutto francese e tedesco
(Klein, Meissner, Coste, Degache ecc.), sono giunti addirittura ad avallare modelli di pre-
sentazione di morfosintassi tarati sulla lingua e le competenze dell’apprendente, sul suo
repertorio naturalmente plurilingue, in cui trovano posto contemporaneamente la LM, la
LS e altre LS, unite nella finalità di raggiungere una competenza all’uso delle lingue e del
linguaggio più che di una singola lingua. Ma sono soprattutto le raccomandazioni conte-
nute in alcuni documenti recenti del consiglio d’Europa che ci spingono a orientarci anche
per lo studio dell’italiano LS verso la formazione di abilità e competenze parziali, anche
per la ‘grammatica’.
I lavori nel settore degli approcci plurali (CARAP 2007), e in particolare dell’intercompren-
sione (Capucho et al. 2007), hanno aperto una nuova via alla riflessione metalinguistica
cui hanno accordato il giusto ruolo di conquista autonoma, pur se guidata, rivalutando
certe posizioni della linguistica contrastiva, che erano state buttate via all’apparire degli
approcci naturali e dei primi nozionali-funzionali, e dando valore al transfert e alla parzia-
lità delle conoscenze.6
Il QCER infatti, affrontando i processi di intercomprensione e il plurilinguismo, afferma che
si debba «uscire dalla tradizionale dicotomia, apparentemente equilibrata rappresentata
dalla coppia L1/L2 [e] considerare che l’individuo non dispone di un repertorio di compe-
tenze comunicative distinte e separate nelle lingue che conosce, ma di una competenza
6 Si vedano anche Beacco, Krumm, Little, Thalgott (2017), Byram, Cavalli, Coste, Egli Cuenat, Goullier, Panthier (2016).
88
Parte III - Capitolo 8
plurilingue e pluriculturale che le ingloba tutte» (QCER 2001, 2005) e che la conoscenza
di una lingua, anche quella materna, è sempre parziale, ma che tutte le conoscenze par-
ziali sono meno parziali di quanto sembri perché chi ha già appreso una lingua conosce
già molte altre cose di altre lingue anche senza rendersene conto. La consapevolezza di
tali conoscenze permette di concentrare l’attenzione sulle similarità esistenti tra lingue,
sui sistemi linguistici ma anche di tipo pragmatico e culturale; in questa ottica il docente
perde il suo ruolo centrale e collabora con gli apprendenti spinti a loro volta a modificare
le proprie rappresentazioni sulle lingue e sull’apprendimento e ad accettare un apprendi-
mento euristico e autonomo in una classe che si trasforma in una comunità collaborativa
della costruzione del senso.
Questa capacità dell’individuo di comprendere le lingue deve essere stimolata con un atto
didattico, da cui si evince l’assoluta importanza della corretta gestione delle procedure di-
dattiche da parte dell’insegnante e l’uso delle tecniche didattiche più idonee per lo svilup-
po della riflessione metalingusitica.7 Si tratta di un mutamento di prospettiva che si auspi-
ca possa comportare anche profondi cambiamenti nel modo di insegnare la ‘grammatica’,
nella definizione stessa di ‘correttezza’ e nella valutazione delle competenze. Infatti non
si postula più il primato della correttezza formale in assoluto ma si promuove lo sviluppo
della consapevolezza interlinguistica, lo stimolo a un apprendimento lungo tutto l’arco
della vita, lo sviluppo di competenze e conoscenze strategiche e metacognitive che riguar-
dano almeno la LM e la LS ma anche altre LS contemporaneamente. La capacità linguistica
degli individui è uno stato naturale ma può essere stimolata in un atto didattico (processo,
competenza in costruzione), con procedure che potenzino le strategie cognitive e il ricorso
ad ogni tipo di sapere acquisito (linguistico, culturale, procedurale, pragmatico). Ecco che
la ‘grammatica’ necessariamente si trova ad allargarsi alle ‘grammatiche’ perché è possi-
bile attivare e/o migliorare le strategie di comprensione/produzione sfruttando i processi
cognitivi e psicoaffettivi oltre che la dimensione testuale ed extralinguistica della comuni-
cazione (Benucci 2007 e Benucci 2008). Secondo il costruttivismo sociale e culturale l’ap-
prendimento è un processo attivo, si impara ad imparare mentre si impara e appoggiando-
si a strutture di conoscenza pregresse, a sua volta però la costruzione di conoscenza è un
processo mentale con attività che coinvolgono altre facoltà e i sensi, e inoltre impariamo
in relazione alle nostre conoscenze e credenze e quindi diviene indispensabile anche pren-
dere in considerazione la componente affettiva dell’apprendimento.
Dunque oggi non si ha bisogno solo di buoni sillabi ma anche di manuali ispirati a questi
principi che possano sviluppare le conoscenze procedurali,8 anche se con questo non si
sostiene l’eliminazione della riflessione sulle strutture della lingua, anzi, si intende po-
tenziarla ma con modalità diversa dal passato, avendo ben presente che ogni sapere è
comunque ‘parziale’.
Come si è avuto modo di ripetere in altre occasioni l’aspetto sociolinguistico del contat-
to fra emigranti e autoctoni non può scindersi dai termini della multiculturalità e della
interculturalità ma anche dell’utilità e dalla spendibilità: la dimensione degli usi e degli
7 Alle tecniche didattiche Balboni ha dedicato tre contributi fondamentali per lo sviluppo metodologico e didattico italiano
(1991, 1998 e 2008).
8 Per le tecniche più adatte alla riflessione sulla grammatica, o meglio sulle “grammatiche” (fonologica, grafemica, testuale,
morfosintattica, socio-linguistica, pragmalinguistica, extralinguistica) si veda il capitolo 3 di Balboni (2008).
Insegnare la grammatica 89
atteggiamenti linguistici ha notevoli implicazioni sociali poiché i migranti hanno bisogni/
motivazioni di tipo strumentale e integrativo e profili linguistico-culturali specifici.
Se dunque si dovrà valutare il peso di alcune varietà diatopiche con le quali essi vengono
in contatto (e di quelle che sono loro più utili per l’inserimento) e dell’ambiente culturale
in cui si muovono, si dovrà anche tenere conto della lingua in cui si è svolto il loro percorso
scolastico (qualora vi sia stato) e delle caratteristiche dei domini nella loro cultura, primo
tra tutti quello della scuola (come si sta a scuola, come ci si rivolge all’insegnante, quale
livello di formalità è presente ecc.) Oltre a questo sarà bene raccogliere informazioni sulla
situazione linguistica del Paese da cui provengono (lingua/e orale/i scritta/e, presenza di
altre lingue – straniere – a scuola ecc.).
90
Parte III - Capitolo 8
sempre più sentita da molti docenti, specialmente nel quadro dell’insegnamento a ragazzi
e adulti immigrati.
Concludendo, tra gli assi paradigmatici del repertorio, la variazione diafasica (storicamen-
te più presente in didattica delle lingue in quanto relativa a livelli di formalità / informalità)
interessa in particolare lo scritto e il parlato e quindi le tipologie di testi con i quali si attua
l’apprendimento (sia a livello di testi espositivi che di testi che si chiede di produrre allo
studente); la variazione diamesica interessa la tipologia di materiali autentici; la diastra-
tica il livello di orientamento nello spazio socioculturale e il reperimento di elementi atti
a ricavare informazioni sugli interlocutori; la diatopica, in Italia, attraversa tutte le altre
dimensioni ed in tutte è presente, costituisce un obiettivo di sensibilizzazione.
L’opposizione più forte all’inserimento di variabili sociolinguistiche in glottodidattica (Cfr.
anche Mazzotta 2015 e Cerruti, Corino, Onesti 2014) è che queste possono ostacolare l’ap-
prendimento della LS/L2, con tale giudizio ci si sofferma soltanto sulla competenza attiva,
mentre nessuno vuole sostenere che si debbano far acquisire competenze ‘attive’ in va-
rietà diatopiche o diastratiche (ma in quelle diamesiche e diafasiche sì) né che si debbano
esporre gli studenti in maniera indifferenziata a modelli di lingua non standard. Le variabili
sociolinguistiche interessano in primo luogo le decisioni che stanno a monte dell’azione
didattica vera e propria.
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Parte III - Capitolo 9
Insegnare la grammatica 93
berti 2013, 2015), deve essere potenziata e opportunamente guidata per poter rendere
maggiormente proficua l’esperienza di apprendimento.
Questo dibattito sul ruolo da attribuire alla riflessione grammaticale, l’approfondimento
delle componenti della competenza da sviluppare e dei processi di apprendimento coin-
volti, nonché la ricerca di adeguate strategie didattiche da utilizzare ha interessato sia
l’educazione linguistica nella L1 che l’insegnamento della L2. Soprattutto in quest’ultimo
ambito si sono verificati, nel lasso di tempo a cui si sta facendo riferimento, profondi mu-
tamenti delle metodologie didattiche, delle modalità di articolazione dei percorsi di ap-
prendimento e dei criteri di selezione delle forme da presentare. Quali riflessi di questo
cambiamento sono oggi rintracciabili in un uno dei ferri del mestiere del docente di lingua,
cioè nei manuali utilizzati per l’insegnamento dell’italiano a stranieri, che spesso orien-
tano e indirizzano le scelte didattiche e le modalità di intervento soprattutto dei colleghi
professionalmente più giovani?
1 Il corpus di manuali di italiano per stranieri, sul quale è stata condotta l’indagine è stata condotta, comprende i volumi
più diffusi, apparsi sul panorama editoriale tra il 2010 il 2015 come nuove proposte o come nuove edizioni di edizioni
precedentemente pubblicate. L’elenco completo dei manuali presi in esame è riportato nei “Riferimenti bibliografici”
nella sezione Manuali oggetto dell’indagine.
94
Parte III - Capitolo 9
2 Per approfondimenti sulla struttura e le caratteristiche dei modelli operativi in cui rientrano l’unità didattica e di appren-
dimento in cui si articolano molti dei manuali di italiano per stranieri si rinvia a Diadori, Palermo, Troncarelli 2015.
3 Si tratta del volume Qui Italia che costituisce una riedizione della prima versione pubblicata nel 2007 e che rappresenta il
manuale apparso meno recentemente sul panorama dell’editoria dell’italiano a stranieri tra quelli esaminati.
4 La scelta dell’autore è congruente con il profilo dei destinatari che, sviluppando una maggiore consapevolezza metalingui-
stica, possono acquisire maggiore autonomia nell’apprendimento migliorando così la padronanza in lingua italiana anche
nello svolgimento delle attività accademiche.
Insegnare la grammatica 95
Figura 1 - Esempio di completamento della descrizione di una regola (tratto da: L’italiano all’università 2)
Indipendentemente dal tipo di itinerario proposto per la riflessione sulla lingua, tutti i ma-
nuali offrono schede riassuntive con le strutture presentate, poste al termine dell’unità o
in un appendice grammaticale alla fine del volume. Un ‘altra scelta condivisa dagli autori
è la ridotta utilizzazione di spiegazioni verbali e il controllo dell’impiego di lessico meta-
linguistico per illustrare l’uso e il funzionamento delle forme presentate. Anche a livelli
avanzati di apprendimento gli schemi rappresentano infatti la modalità più diffusa di spie-
gazione del funzionamento delle strutture come mostra l’esempio riportato in Figura 2.
Figura 2 - Esempio di spiegazione a livello avanzato di apprendimento (tratto da: Nuovo rete B2)
96
Parte III - Capitolo 9
gnamento dell’italiano per scopi generali ai livelli più diffusi. Essendo la selezione dei fatti
linguistici su cui focalizzare l’attenzione, ovviamente realizzata in funzione dei destinatari
dei manuali e del loro livello di competenza linguistico-comunicativa, l’insieme delle for-
me presentate comprende quindi poco più della solo morfologia flessiva.
Nelle opere rivolte ad apprendenti di livello A1-A2 sono generalmente illustrare le cate-
gorie del nome, dell’articolo, dell’aggettivo e del pronome alcuni tempi deittici del modo
indicativo del verbo (presente, passato prossimo, imperfetto e futuro), la perifrasi stare +
gerundio, i principali avverbi di tempo, le preposizioni e alcuni connettivi (perché, e, ma).
Anche la grafia, l’espressione di frasi interrogative e negative rientrano tra gli aspetti foca-
lizzati a questi livelli di apprendimento.
Ai livelli B1 e B2 vengono approfonditi i pronomi con l’introduzione di quelli combinati e
di quelli relativi, presentate la forma comparativa e superlativa dell’aggettivo, introdotti
il passato remoto, i tempi anaforici dell’indicativo, i modi condizionale e congiuntivo del
verbo, il participio presente, la forma passiva e impersonale, l’infinito passato e il periodo
ipotetico.
Negli ultimi livelli di apprendimento vengono presentati alcuni elementi di sintassi foca-
lizzando l’attenzione sulla differenza tra proposizione principale e subordinata, sulla co-
struzione implicita ed esplicita e sulla frase scissa. Viene inoltre illustrata la funzione del
riferimento anaforico nella costruzione del testo.
Alcuni dei manuali presentano, sia a livelli iniziali che intermedi, aspetti di morfologia
lessicale, inclusi gli alterati, e solo un paio di volumi introducono i segnali discorsivi. L’ap-
profondimento del livello sintattico è molto spesso evitato con la presentazione dei con-
nettivi che introducono una proposizione subordinata e delle forme verbali richieste,
senza fare accenno alla strutturazione e alla stratificazione della frase. Infine, la fonologia
è maggiormente oggetto di attenzione ai livelli iniziali ma la presentazione di fatti fonolo-
gici continua fino a livelli avanzati di apprendimento.
Insegnare la grammatica 97
male, permettere infatti di evitare di commettere errori legati all’inadeguatezza di certe
forme perché avvertite come troppo formali o ricercate dai parlanti nativi. A quale norma
dell’italiano fanno dunque riferimento i manuali per l’insegnamento dell’ italiano L2 con
la scelta delle forme su cui focalizzare la riflessione sulla lingua?
Dall’esame del corpus su cui si basa l’indagine, risulta una moderata sensibilità verso la
variazione linguistica con il riferimento ad alcuni tratti dell’italiano neostandard. Uno di
questi è la riduzione dei pronomi personali soggetto di terza persona singolare alle sole
forme lui e lei, presente in tutti i manuali. Egli e ella ancora rintracciabili, sebbene in rari
casi, nelle grammatiche e nei materiali per parlanti nativi, sono del tutto assenti nelle se-
zioni grammaticali dei manuali per stranieri5. Per quanto riguarda il sistema verbale, l’uso
del presente indicativo in funzione di futuro quando ci si riferisce a fatti imminenti o certi,
il futuro epistemico e l’espansione del passato prossimo che va a coprire l’uso del passato
remoto sono presenti nella maggioranza dei manuali. L’impiego dell’imperfetto attenuati-
vo per formulare richieste in modo gentile (volevo un chilo di mele) è invece indicato solo
in un numero ridotto dei testi esaminati, mentre il condizionale di citazione (il malvivente
avrebbe agito indisturbato) è segnalato solo in uno e ugualmente l’uso dell’imperfetto nel
periodo ipotetico (se lo sapevo non chiamavo) è presentato solo in un manuale. In tre dei
manuali è presentato l’uso di magari come risposta affermativa ed esclamazione.
In linea generale in tutti i manuali è riservato uno spazio, sebbene ridotto, alla variabilità
diamesica mentre quella diatopica è solo raramente accennata e l’italiano standard rima-
ne comunque l’unico modello fonologico di riferimento.
9.3. Conclusioni
La sintetica panoramica sulle modalità con cui è suggerita la realizzazione dello sviluppo
della competenza metalinguistica nei manuali didattici di italiano L2, tracciata nei para-
grafi precedenti, mostra che alla grammatica è riconosciuto oggi un ruolo di personaggio
principale ma non più da protagonista nell’insegnamento linguistico. Il dibattito teorico
sulla complessità della competenza, sulla centralità del testo nella comunicazione, sulle
modalità con cui si attua l’apprendimento e sulle strategie pedagogiche atte a sostenerlo
è stato in larga parte accolto e le scelte volte a indirizzare la prassi didattica tengono conto
degli esiti relativi ai maggiori nodi in cui si è articolato.
Indubbiamente, i manuali presi in esame propongono percorsi di riflessione sulla lingua
in larga parte adeguati riguardo al momento in cui soffermarsi sulle forme linguistiche, al
tipo di attività tramite cui lo studente è guidato alla scoperta del funzionamento e del va-
lore delle strutture e alle modalità di presentazione dei fatti linguistici, attente ad evitare
il ricorso a modelli di descrizione grammaticale complessi e a ridurre al minimo l’apparto
terminologico necessario per l’esplicitazione. Rimangono comunque alcuni aspetti su cui
approfondire la riflessione per giungere all’individuazione di soluzioni che possano rende-
re maggiormente efficace il processo di insegnamento-apprendimento.
Il primo concerne la selezione dei fatti linguistici su cui focalizzare l’attenzione degli ap-
5 L’accettazione di lui, lei e loro come unica forma di pronomi soggetto nei manuali di italiano a stranieri era già stata regi-
strata da Benucci nell’indagine condotta nel 1993 (Benucci 1994).
98
Parte III - Capitolo 9
prendenti. C’è da interrogarsi infatti se la restrizione alla morfologia flessiva, solo spora-
dicamente affiancata da quella lessicale e da qualche accenno alla sintassi, sia sufficiente
per condurre lo studente alla adeguata formulazione e gestione di unità di comunica-
zione superiori alla frase semplice. La scarsa attenzione dedicata nei manuali a questo
livello di organizzazione della lingua e il numero veramente ridotto di grammatiche di
consultazione per stranieri che prendono in considerazione la dimensione interfrastica e
testuale (Troncarelli 2011) lasciano pensare che allo studente non rimanga altro da fare
che procedere secondo i principi dell’apprendimento naturale per affrontare livelli più ar-
ticolati e strutturati di discorso. Anche le grammatiche didattiche rivolte a parlanti nativi
offrono poco supporto perché ampiamente centrate sul riconoscimento della struttura
sintattica della frase multipla, esercizio che aiuta poco lo studente straniero.. Questo
infatti avrebbe bisogno di essere guidato nella scelta, nell’uso e nella formulazione di
modalità espressive che consentano di esprimere significati complessi, veicolati anche
attraverso le strutture e non addestrato alla classificazione di forme linguistiche.
Inoltre, come osserva Ciliberti (2013; 2015), risulta singolare che, nonostante nella didat-
tica della lingue si sia affermata l’idea che la padronanza di una lingua comporti il posses-
so di una serie di competenze tra cui quella discorsiva, l’attenzione venga principalmente
puntata sulle parti tradizionali del discorso e vengano trascurati i processi discorsivi e i
meccanismi che regolano la conversazione. Solo un paio di manuali tentano un timido
approccio in questo senso ricordando allo studente che nella comunicazione orale valgo-
no norme in parte diverse da quelle che vigono nella comunicazione scritta.
Questa considerazione rinvia ad un altro aspetto ancora non accuratamente preso in
considerazione e probabilmente lasciato nelle mani del docente: la variabilità linguistica.
In primo luogo lo spazio riservato alla variazione diamesica è troppo esiguo e i manuali si
limitano spesso alla presentazione di alcuni generi come il dialogo, la telefonata breve, il
messaggio telefonico, la mail facendo implicitamente riferimento al canale di comunica-
zione utilizzato e senza approfondirne, nella maggior parte dei casi, le caratteristiche for-
mali, dato che la dimensione testuale è scarsamente considerata. L’italiano colloquiale fa
solo capolino nei testi e i tratti che lo caratterizzano sono approfonditi solo in casi molto
rari. Inoltre sono molto pochi i riferimenti alla variabilità diatopica dell’italiano, aspetto
che sconcerta sempre chi ha iniziato ad apprendere l’italiano all’estero e poi viene in
Italia. L’esposizione orale a varietà regionali e piccoli approfondimenti sugli usi delle for-
me più frequenti nelle diverse parti della Penisola potrebbero fornire allo studente una
busso per orientarsi nella reale comunicazione con parlanti nativi.
In conclusione si può affermare che molta strada è stata fatta dalla didattica della lingua
italiana da quando la centralità della grammatica è stata messa in discussione, ma altra
resta ancora da fare. Forse sono ormai maturi i tempi per ripensare ai contenuti da presen-
tare, per adottare modelli descrittivi più efficaci, per comprendere altre norme tra quelle
da insegnare e per poter andare, anche con l’ausilio delle nuove tecnologie, oltre i confini
del manuale e proporre percorsi di apprendimento flessibili, più ricchi di risorse e in grado
di soddisfare i bisogni di profili di apprendenti sempre più diversificati.
Riferimenti bibliografici
Antonelli G., 2016, L’italiano nella società della comunicazione 2.0, Bologna, Il Mulino
Benucci A., 1994, La grammatica nell’insegnamento dell’italiano a stranieri, Roma, Bonacci
Insegnare la grammatica 99
Ciliberti A., 2013, “La nozione di Grammatica e l’insegnamento di L2”, in Italiano LinguaDue,
n. 1, pp. 1-14
Ciliberti A., 2015, La grammatica: modelli per l’insegnamento, Roma, Carocci
Consiglio d’Europa, 2002, Quadro comune europeo di riferimento per le lingue: apprendi-
mento, insegnamento, valutazione, Firenze, La Nuova Italia-Oxford
Diadori P., Palermo M., Troncarelli D., 2015, Insegnare l’italiano come seconda lingua, Ca-
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La Grassa M., 2011, “Livelli e descrittori delle competenze nel Quadro comune europeo di ri-
ferimento”, in Troncarelli D., Stigliani V. A. (a cura di), Il Portfolio delle competenze linguistiche:
contesto, approcci, strategie e organizzazione della didattica, Tirana, Filara, pp. 21-30
Krashen S., 1981, Second Language Acquisition and Second Language Learning, Oxford, Per-
gamon
Krashen S., 1985, The Input Hypothesis: issues and implications, London, Longman
Palermo M., 2015, Linguistica italiana, Bologna, Il Mulino
Troncarelli D., 2011, “Le grammatiche di consultazione per l’italiano L2: risorsa per l’appren-
dimento degli alunni stranieri?”, in Corrà L., Paschetto W. (a cura di ), La grammatica a scuola,
Milano, Franco Angeli, pp. 308-320
100
Parte III - Capitolo 10
Si tratta di richieste tese a controllare quello che l’alunno dovrebbe sapere, dopo aver
ascoltato la spiegazione dell’insegnante. Quando invece dovrebbe essere sollecitato a
riflettere e a problematizzare, allenandolo alle ipotesi e a sciogliere dubbi. “Non importa
se le risposte non sono risolutive, sarà l’insegnante a discutere con gli alunni i gradi di
accettabilità, facendo intravedere la plausibilità delle soluzioni” (Altieri Biagi 2009: 21).
Appare perciò quasi inevitabile che lo studente non arrivi a cogliere rapporti e funzio-
namenti linguistici nei testi; la sua abilità consiste soprattutto nel costituire repertori di
fenomeni, stilando liste di nozioni e attribuendo definizioni, senza individuarne la valenza
concettuale.
Pertanto i nostri alunni non conoscono la grammatica perché ne fanno troppa e male e
non tanto perché ne fanno poca. Quella affrontata raramente è preceduta da un’appro-
Questo “fare esercizio di lingua”, associato all’osservazione delle regole, non si concentra
soltanto su frasi modello, composte ad hoc secondo le regole della lingua (vedi manuali
scolastici), ma si rivolge a una varietà di forme e testi, privilegiando l’uso funzionale, così
come recitano molti documenti ufficiali. Ciò comporta la scelta di grammatiche, come la
grammatica funzionale, che non curino soltanto l’aspetto linguistico, la sua forma, ridu-
cendola a puro sapere grammaticale, quanto il suo uso comunicativo, il saper fare con la
lingua, sapere cioè di che cosa parlare e scrivere, con chi, come e quando (Dik 1978: 3).
Usare una lingua non significa applicare delle regole, ma compiere atti comunicativi che
consentono di agire socialmente e di relazionarsi con un interlocutore allo scopo di per-
seguire i propri fini. Un uso che si riscontra nella lingua autentica, negli spazi linguistici
e sociali in cui viviamo e abitati dallo stesso alunno. Abituando il ragazzo a osservare
come si “comporta” la lingua in situazioni d’uso, egli rileva le caratteristiche linguistiche
della comunicazione, mettendo in moto operazioni complesse su un materiale familiare
e adeguato alle sue strutture cognitive. Vedendo la lingua in azione riesce a studiarla me-
glio, a commentarla, a spiegarla e a capirne il funzionamento complessivo. È noto che la
contestualizzazione (contesti e testi) facilita l’apprendimento, attivando nuove modalità
di pensiero e forme di astrazione.
102
Parte III - Capitolo 10
Sperimentando la cosiddetta “immersione nella lingua” si trova esposto, grazie alla molte-
plicità dei canali a disposizione, a una varietà e ricchezza di testualità linguistiche. Perciò
è necessario che si sfruttino appieno tali competenze, seppur implicite, per impegnare
l’allievo in attività di riconoscimento e di riflessione sulle caratteristiche del linguaggio a
lui familiare.
Se invitiamo, ad esempio, i bambini di una 2a classe (scuola primaria) a osservare e indivi-
duare i tratti del dialogo orale in luoghi e ambienti diversi (famiglia, mercato), chiedendo
loro di annotare lo scambio di battute tra i parlanti e di discuterne in classe con i compa-
gni i significati e le forme, ci accorgiamo subito quanto simili ambienti di apprendimento,
fortemente motivanti, siano propizi all’incremento di conoscenze linguistiche, di abilità
di varia natura che inducono atteggiamenti aperti al confronto e alla metacognizione. I
bambini giungono a distinguere, tramite specifiche tappe (decifrazione, concettualizza-
zione, caratterizzazione, denominazione e definizione), parecchi elementi comunicativi e
fenomeni linguistici, molti dei quali saranno ripresi dal docente e riattraversati, da pro-
spettive diverse, in altri territori conoscitivi. Gli scambi dialogici offrono un’ampia gamma
di opportunità come ad esempio: esplorare il tipo di discorso (faccia a faccia, diretto) e di
enunciati ricorrenti (frammentari, incompleti); rilevare le pause dei parlanti che allo scrit-
to si tradurranno in punteggiatura; cogliere i sottintesi e i significati veicolati dal linguaggio
non verbale, che nella scrittura saranno esplicitati con proposizioni sequenziali; inferire il
significato di lessemi non noti dalla situazione complessiva; soffermarsi sul registro lingui-
stico, sulla struttura dello stesso dialogo (duale, “sono due o più persone che parlano”) e
sulla funzione delle ripetizioni (ridondanza); iniziare a capire la frequenza di determinati
oggetti linguistici che denominiamo in un certo modo, persone e oggetti (nome), paroline
che spesso accompagnano o caratterizzano” i nomi (articoli, aggettivi), ma anche “tante
altre parole che non si fermano mai”, formichine infaticabili “che sono dappertutto per
darci informazioni” soprattutto sul tempo (verbo).
Nel dialogo autentico: Hai preso i biglietti? I biglietti? Ma no, li hai presi tu, gli alunni - sol-
lecitati a rispondere se la parola i davanti a biglietti si riferisce a qualcosa (biglietti) che i
parlanti conoscono - arrivano a capire che quella parolina i si riferisce a qualcosa di noto
per chi parla, a oggetti dell’universo comuni ai due interlocutori. Un concetto questo non
semplice da trattare, ma fondamentale per comprendere la funzione dell’articolo nell’uso
linguistico e letterario. A questa fase di riconoscimento e di confronto seguirà poi quella di
riflessione, in cui si svolgeranno attività più specificatamente grammaticali, anche su frasi
campione (finestra di riflessione).
La riflessione in situazione (linguaggio orale, scritto, trasmesso), è particolarmente frut-
tuosa, perché consente di evidenziare alcune peculiarità dei vari codici e linguaggi (so-
miglianze e differenze) e di compiere al contempo ragionamenti grammaticali su aspetti
linguistici cruciali (pragmatici, testuali o morfologici), alimentando sguardi riflessivi. L’inte-
razione con la situazione autentica mette in gioco quanto l’alunno sa e sa fare con la lingua,
creando predisposizioni all’apprendere e soprattutto rendendo il compito significativo.
Insieme al dialogo, si possono utilizzare altri linguaggi, canali e relative forme testuali,
quali la discussione in classe, l‘intervista faccia a faccia o televisiva, una controversia per
strada (parcheggio, vigile, ecc.), delle news televisive o reperite in Internet e altro. Il ricor-
so a questi testi (orali, scritti, trasmessi), non certo canonici, si prestano molto più delle
Un tredicenne è stato bersagliato con dei petardi mentre, in un’altra scuola, una ragaz-
zina veniva costretta a subire docce gelate nei bagni della palestra.
(Sito Internet – News centro di ascolto – Rassegna video dei telegiornali nazionali – Venerdì 24
novembre 2006 – Tg 2 – ore 13 – notizia)
(Sito internet – Annunci – Google – Blog – 16-4-2008 – 15:15. Riflessioni mattutine – Gravi episo-
di di bullismo a scuola – da: Affari italiani cinqueallecinque il primo quotidiano on line su carta)
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Parte III - Capitolo 10
Mediante questi messaggi hanno preso in esame un fenomeno diffuso tra i giovani, il
bullismo, e coinvolto gli studenti in attività linguistico-testuali, impensabili nel lavoro tra-
dizionale. I ragazzi hanno messo in atto tecniche di previsione e di anticipazione testuale,
operando inferenze e hanno elaborato ipotesi, sulla base di indizi, a livelli differenziati sul
titolo e sul possibile sviluppo del testo; sulle fonti e sullo stile comunicativo del messaggio;
sul registro linguistico, sugli scopi della comunicazione, sugli effetti prodotti e sulle scelte
operate. Dal punto di vista grammaticale stimolante è stato il lavoro sul lessico (sinonimi
e contrari, polisemia), sulla coerenza e sulla coesione, sui tempi e sui modi verbali, sulla
coordinazione e sulla subordinazione (temporale e causale). Queste ultime sono state ap-
profondite con altre azioni e arricchite da pratiche di riscrittura e di scrittura in breve e
dalla stesura personale degli articoli.
Questo esperimento ha fatto riflettere i docenti su più aspetti:
a. quanto incida nell’apprendimento la sfera affettiva, motivazionale e volitiva degli
studenti. Nel caso citato gli alunni, italiani e stranieri, hanno mostrato, grazie alla
significatività del compito, un’inattesa dinamicità intellettiva e un vivace desiderio
di partecipazione, fornendo un proprio contributo. Disposizioni negative pregiu-
dicano, difatti, “sia l’acquisizione, sia la manifestazione di competenze” (Pellerey
2010: 110);
b. la possibilità di associare alle attività svolte interventi specifici sul lessico e sulla
costruzione della frase, facendo intravedere agli alunni come funziona il sistema
lingua dentro quel particolare testo;
c. la procedura processuale. Se si rispettano i seguenti passaggi: contesto comunica-
tivo → testo → frase, gli alunni riescono a ”far parlare enunciati” e frasi, poiché
strettamente connessi con i significati;
d. la possibilità di sviluppare la riflessione su frasi-tipo, avviando forme di astrazione
più raffinate. Il ricorso alla frase è stato considerato indispensabile per conferma-
re/rivedere le osservazioni effettuate o correggere manipolazioni linguistico-co-
municative particolarmente distanti dalla norma e infine per costruire generaliz-
zazioni/definizioni condivise. Da qui l’ampliamento di altri tratti della frase diventa
plausibile.
È evidente che il lavoro di riflessione sulla lingua non si eserciterà soltanto sui testi au-
tentici, ma si allargherà all’analisi di una varietà di testi, essenzialmente scritti, via via più
articolati. Il fine è di indagarne la tessitura testuale e l’organizzazione logica e retorica
delle varie parti, da cui affioreranno le costanti linguistico-testuali. Costanti che devono
emergere dal testo, rileva Altieri Biagi precisando che “Anche il latino si impara leggendo
gli autori, non facendo a pezzi ( più o meno logicamente) frasette o periodi ad hoc” (Altieri
Biagi 1994: 117 e XIV).
Con un approccio del genere, dove sono frequenti i momenti di ricerca, si garantiscono
tempi distesi a tutti gli alunni per fare esperienze, esaminarle e discutere con l’insegnante
“la parola più giusta (perché più aderente al pensiero), più efficace (perché rispondente
alle intenzioni di chi parla o scrive, alle attese di chi ascolta o legge), più adeguata al tipo
di testo” (Altieri Biagi, 2009, p. 17).
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Parte III - Capitolo 10
edificio astratto, un affascinante campo speculativo per menti già formate, per “chi sa”
(specialisti), estranea ai più e distante dai livelli di comprensione di molta popolazione sco-
lastica. Un materiale inerte, sovente privo di senso, come dimostrano i risultati dei nostri
alunni. Un’ingiusta débâcle anche per la stessa grammatica.
È pur vero che il passaggio dalla riflessione della lingua alla grammatica (corpus codificato,
Gli approcci tecnici-procedurali si rivelano il più delle volte infruttuosi e inefficaci, poiché
carenti su vari piani, in primis su quello pedagogico.
Inoltre la grammatica della frase utilizza, per spiegare la lingua italiana, numerose cate-
gorie ricavate dal latino. Ne è una dimostrazione gran parte dell’analisi logica che, come
recita G. Pasquali, è “postulata e inventata agli scopi della traduzione dall’italiano in lati-
no, riconducendo ogni sintagma a categorie latine, concepite non più come storicamente
determinate e transeunti, ma come eterne” (Altieri Biagi 2009: 18). A questo riguardo
incisivi sono due passaggi dello stesso volume:
Ci si insegnava, per esempio la distinzione fra complementi di stato in luogo e di movimento verso
luogo senza farci notare che essa non esiste in italiano, che è postulata e inventata agli scopi della
traduzione dall’italiano in latino. Tutti quei complementi che in italiano sono introdotti dalla preposi-
zione di erano complementi di specificazione ogniqualvolta in latino corrispondessero a un genitivo;
ma si distingueva un complemento di materia perché esso in latino è risolto diversamente. Che cosa
poi significasse complemento di specificazione (se pur significa qualche cosa) non ci fu mai spiegato.
Il primo servigio che l’istruzione linguistica del maestro può rendere ai giovani nel ginnasio inferiore è
negativo: quello di impedirgli di falsificare l’italiano (Ivi, 18-19).
Sono due «voci», quelle di Pasquali e di Nencioni, a cui è impossibile non credere: due testimonianze
che ho voluto citare estesamente per offrire agli insegnanti della scuola dell’obbligo la possibilità di
usarle, se mai qualche insegnante del biennio (il «ginnasio inferiore» di Pasquali!) protestasse con loro
perché gli studenti di oggi non distinguono il complemento di causa efficiente dal complemento d’a-
gente: altra distinzione inesistente, in italiano, dove si muore allo stesso modo se uccisi da un veleno, o
uccisi da Bruto, mentre il latino distingueva i due eventi usando l’ ablativo semplice se qualcuno veniva
ucciso da un agente inanimato o l’ ablativo preceduto da preposizione se qualcuno veniva ucciso da
un essere vivente. E se quell’insegnante insistesse (mi si dice che sono addirittura genitori e nonni a
insistere…) ditegli che operi lui questa distinzione per i pochi scolari che studiano il latino, e non la pre-
tenda da chi ha il compito di insegnare a tutti l’italiano senza «falsificarlo» (parola di Giorgio Pasquali!)
con distinzioni che in Italiano «non esistono» ( Ivi, p.19)”.
In aggiunta a queste considerazioni i programmi tradizionali sono pletorici, con tante no-
zioni irrinunciabili per la disciplina, ma non per la cultura della scuola e quindi per lo stu-
dente. Un approccio educativo si distingue per la capacità di coniugare entrambi gli aspet-
ti, connotando formativamente la disciplina.
Stante questa situazione ci si può aspettare che imparino i “soliti noti”, i “pochi scolari che
studiano latino” (liceo classico) cioè una parte minoritaria degli alunni italiani. Mentre l’in-
segnamento grammaticale si giustifica se tutti imparano l’italiano, “se non uno di meno”
esce dalla scuola attrezzato di strumenti riflessivi e interpretativi dei testi e dei linguaggi
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Parte III - Capitolo 10
usati, in grado di mobilitare risorse cognitive spendibili in altri contesti e nell’uso lingui-
stico (parlare, ascoltare, leggere, scrivere); altrimenti diventa mero esercizio intellettuale,
riservato all’élite e agli addetti ai lavori (Università).
Dai ragionamenti, sin qui sviluppati, si potrebbe erroneamente dedurre che sarebbe au-
spicabile eliminare la grammatica della frase dai programmi scolastici. Non è così, l’intento
è invece quello di:
a. ridimensionarla, rendendola più economica;
b. coniugarla con altre grammatiche partendo soprattutto dagli usi linguistici e dalla
varietà di testi;
c. concepirla come un corpus linguistico volto a migliorare la comunicazione orale e
scritta (Traguardo per lo sviluppo delle competenze, Indicazioni nazionali, 2007, p.
28).
d. collocarla in un’ottica di educazione grammaticale
Rispetto al primo punto gli studi sulla grammatica valenziale si muovono già in questo
senso, poiché propongono un modello che può descrivere un’ampia gamma di fenomeni
con un numero limitato di concetti e di categorie. Il verbo e le relazioni che esso stabili-
sce con i suoi argomenti ne costituiscono il perno, vista la rilevanza che esso ricopre nel
fornire informazioni e nella formazione della frase. F. Sabatini spiega che “come in una
rappresentazione teatrale, il verbo apre la scena e invita gli altri personaggi principali a
entrare” (Sabatini 2011: 129). Questo modello, che riadatta intelligentemente gran par-
te della grammatica tradizionale, è più semplice nella terminologia e accessibile, poiché
mette in scena, anche graficamente, gli elementi trattati. Esso offre sicuramente oppor-
tunità maggiori di comprensione e di riflessione sui concetti presi in esame, facilitandone
l’acquisizione. Ma il problema dell’essenzialità dei saperi grammaticali riguarda anche la
grammatica valenziale.
Come fare lo abbiamo parzialmente suggerito, ma per chiarezza sintetizziamo qualche
passaggio.
In primo luogo occorrerebbe sfoltire i contenuti grammaticali, frequentemente eccessivi
e cognitivamente inadeguati per l’alunno e del tutto improduttivi per la costruzione di
competenze.
In secondo luogo la riflessione sulla lingua dovrebbe esercitarsi sugli usi linguistici, cioè
sulla lingua che gli alunni usano quando parlano e scrivono, su quella orale e scritta pra-
ticata in una varietà di ambienti e sulla lingua di testi letterari e non, dove lo studio degli
enunciati e della frase è finalizzato soprattutto a capire come e perché si parla e si scrive
110
Parte III - Capitolo 10
in un determinato modo, come si ragiona e si interpreta un testo e tanti altri testi e in cosa
si distinguono tra loro testi e linguaggi, ecc. La grammatica diventa un corpus vivo e uno
strumento potente se conduce a scoprire i significati profondi racchiusi nei testi, nonché le
forme scelte per veicolarli, se rappresenta una chiave di lettura del mondo messo in testi,
affinando capacità di ragionamento e senso critico. Quando si inserisce Il lavoro sulle frasi
in un contesto di apprendimento autentico esso risulta fecondo, addirittura indispensa-
bile, mentre lo è di gran lunga meno senza alcun aggancio alla varietà degli usi linguistici
oppure in totale isolamento.
Rispetto alle tesi di coloro che sostengono l’inopportunità di quest’opzione potremmo
obiettare che i disagi degli studenti (eccetto i liceali) di fronte ad approcci grammaticalisti
tradizionali sono ben visibili, come lo sono gli esiti di apprendimento. La complessità di al-
cune frasi presentate nei manuali scolastici non è inferiore a quella di alcune espressioni in
uso. Con la differenza che molti studenti mostrano curiosità per queste ultime, ne ricerca-
no caratteristiche e manipolazioni, prestando attenzione alle costruzioni corrette. Diversa-
mente da quanto avviene nel lavoro in classe su frasi costruite per studiare la grammatica.
In terzo luogo sarebbe auspicabile l’eliminazione di quelle categorie, ricavate dal latino,
che non servono all’italiano, rivedendo l’analisi logica. Quest’ultima dovrebbe inoltre es-
sere introdotta nella scuola secondaria di I grado e non prima, come invece si legge nelle
Indicazioni Nazionali (2007) per le ultime classi della scuola primaria. Nella scuola primaria
i bambini hanno bisogno di occasioni costanti di apprendistato riflessivo e di ricorsive sen-
sibilizzazioni all’immaginario grammaticale, a un mondo cioè in cui possono sprigionare
le loro risorse conoscitive e cimentarsi in rappresentazioni esplicative e in descrizioni e
riflessioni personali, che prefigurino possibili spiegazioni. In questo ciclo di scolarità com-
pito primario è quello di potenziare l’intelligenza sia emotivo-affettiva che cognitiva del
bambino, di educarlo all’immaginario e di strutturare un pensiero logico, facendo acquisi-
re un habitus mentale che susciti l’esigenza di ragionare sui molteplici sensi della lingua e
di esprimere il proprio punto di vista sulle forme incontrate. Il coinvolgimento affettivo è
centrale nell’attivazione di operazioni logiche e mentali, che richiedono tuttavia di essere
incrementate con adeguate azioni cognitive.
L’analisi logica corrente è purtroppo la negazione di quest’approccio, se non della stessa
logica ridotta a domande sterili e scontate che la svuotano di significato (Chi compie l’azio-
ne? Dove e quando avviene l’azione?). Per non parlare dell’“imbarazzo” che sovente si in-
contra ad analizzare frasi dal significato ambiguo. Su questo aspetto si sono espresse auto-
revoli voci come quella di G. Nencioni quando risponde al dubbio di un professore ansioso
di sapere se «nell’espressione “assistere a uno spettacolo”, a uno spettacolo fosse forma
eccezionale di complemento oggetto, o complemento di stato in luogo figurato, oppure
altro complemento. Ne riportiamo un passaggio curato da M.L. Altieri Biagi (2009: 19):
Nencioni, rispondendo sul periodico La Crusca per voi, fa un lungo percorso: parte dalla filosofia greca,
che usava l’analisi logica (tutt’altra da quella praticata nelle scuole!) come strumento di conoscenza
razionale; passa ai grammatici antichi e medievali, che riducevano l’analisi logica ad analisi grammati-
cale; infine arriva alle grammatiche scolastiche contemporanee «di cui l’analisi logica costituisce anco-
ra la struttura portante». Nencioni dichiara la sua sfiducia in questa terza analisi «cosiddetta logica»,
sia questa affidata a «grammatici» o a «brancolanti apprendisti»; ma, non volendo deludere chi si è
rivolto a lui per aiuto, conclude così:
Se, dopo questa mia cautelosa e diffidente premessa, il prof. C. insistesse nel chiedermi di definire la
Questo non significa tuttavia che il bambino non possa ragionare su porzioni di testo e su
frasi, esaminandone legami e funzioni sintattiche; anzi l’obiettivo è di esortarlo a ricercare
e a spiegare. Ma siccome il bambino è in fase di formazione e di acquisizione di strumenti
conoscitivi, è sconsigliabile anticipare un’analisi, di per sé organica e sistematica, che im-
plica livelli avanzati di astrazione, in mancanza dei quali l’alunno apprende con procedure
ripetitive e automatiche. In caso contrario il bambino continuerà a porsi le domande di
rito e ad accoppiare meccanicamente le risposte, scegliendo fra quelle a disposizione.
In quarto luogo lo studio della grammatica della frase dovrebbe essere preceduto da quel-
lo di altre grammatiche, quali quelle citate, sia per il loro apporto formativo, sia perché fa-
cilitano il vedere oltre il contesto (astrazione) e l’attivazione di azioni mentali e di strategie
riflessive trasferibili in grammatiche decontestualizzate.
A conclusione di queste brevi riflessioni viene da chiedersi perché, visti gli insoddisfacenti
livelli di consapevolezza linguistica degli alunni italiani, non si intraprendano altre vie?
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112
Parte III - Capitolo 11
1 Per un’introduzione alla LC si vedano: Ungerer, Schmidt 1996; Croft, Cruse 2004; Evans, Green 2006; Geeraerts, Cuyckens
2007; Arduini, Fabbri 2008; Gaeta, Luraghi 2004.
2 Per una disamina della tradizione di studi inerenti la psicologia cognitiva e la psicologia del linguaggio che hanno prece-
duto la comparsa della LC si veda Sinha (2007).
114
Parte III - Capitolo 11
3 In questo lavoro, rifacendoci in modo esplicito alla tradizione di ricerca internazionale, utilizzeremo il termine ‘Linguistica
Educazionale’ per riferirci all’area d’indagine che si occupa dell’interazione tra linguaggio ed educazione formale, descri-
vendo ed analizzando l’educazione linguistica in tutti i suoi aspetti (Spolsky 1974). Utilizzeremo l’aggettivo ‘edulinguistico’
per riferirci a questioni connesse ai temi e alle prospettive di ricerca della Linguistica Educazionale. Infine, utilizzeremo
il termine ‘Glottodidattica’ (e il suo aggettivo) con un significato più ristretto, ossia quando ci riferiremo nello specifico
agli orientamenti teorico-metodologici per l’insegnamento linguistico, che sono uno dei vari aspetti di cui si occupa della
Linguistica Educazionale.
116
Parte III - Capitolo 11
118
Parte III - Capitolo 11
tualizzare questo disturbo come un più generale malfunzionamento di quelle abilità che
impediscono al sistema cognitivo una corretta elaborazione delle informazioni (verbali e
non verbali). In particolare, il deficit interesserebbe processi di ordine inferiore, come l’ef-
ficienza temporale (velocità di elaborazione delle informazioni), la memoria procedurale
(automatizzazione delle procedure), la selezione e l’orientamento dell’attenzione (memo-
ria selettiva e attenzione all’input) – cfr. Leonard 2014; Dispraldo 2014.
In un’ottica cognitivista, quindi, sia la dislessia sia il disturbo del linguaggio vengono in-
terpretati come deficit che colpiscono i processi cognitivi di ordine inferiore, causando un
rallentamento generale nell’elaborazione dell’input (verbale e non verbale), associato a
difficoltà ad orientare l’attenzione verso i tratti salienti dell’input da apprendere, per poi
immagazzinarlo ed automatizzarlo. L’assunto teorico fondamentale non è, comunque, che
il deficit cognitivo in questi processi sia l’unica causa del disturbo, ma che la sua presenza
fin dalla prima infanzia inneschi successivamente conseguenze a cascata (problemi di let-
tura, scrittura, espressione linguistica ecc.) che si manifestano successivamente (Elsabba-
gh, Karmiloff-Smith 2004).
Come si evince dalla discussione, le evidenze cliniche sembrano condurre verso la necessi-
tà di adottare una prospettiva teorica che non separi il linguaggio dalla cognizione, la qual
cosa consentirebbe un’interpretazione (almeno tentativamente) più completa del quadro
clinico, premessa indispensabile non solo per l’intervento in ambito clinico ma anche per
l’azione pedagogica e glottodidattica.
120
Parte III - Capitolo 11
cessi di tipo 1: l’elaborazione dell’input risulta più lenta, e si possono verificare perdite
di porzioni di informazione e difficoltà a selezionare la parte dell’input verso cui dirigere
l’attenzione (cfr. par. 2). Perciò la tradizionale fase di scoperta induttiva della regola appa-
re problematica, in quanto implica un passaggio implicito dall’input all’intake, che invece
non è immediato in presenza di un BiLS.
Sul piano edulinguistico, dunque, ci si deve interrogare su quali strategie metodologiche
possano favorire il passaggio da input a intake. L’istruzione diretta viene spesso indica-
ta come soluzione efficace per questa tipologia di apprendenti (cfr. Schneider, Crombie
2003; Slavin et al. 2011), ma l’adozione di una prospettiva d’integrazione tra linguaggio e
cognizione (inclusa la percezione) implica scelte operative, tra cui, ad esempio, rivisitare
le tradizionali spiegazioni verbali presentando i fenomeni linguistici secondo modalità più
visive, e focalizzare l’attenzione non solo sui fenomeni linguistici, ma anche sulle risorse
cognitive (ad esempio, i concetti di ‘cosa’, ‘processo’, ‘spazio’, ‘tempo’ e le operazioni di
costruzione mentale, come la prospettiva, la categorizzazione, la distinzione tra figura e
sfondo ecc.) che, nella prospettiva della LC, motivano i fatti del linguaggio
L’istruzione diretta potrebbe aiutare l’apprendente a focalizzarsi su una costruzione lin-
guistica, ma perché l’intake venga incorporato nel sistema linguistico è necessario che la
costruzione venga compresa, per poi essere integrata con le conoscenze pregresse. Nel
percorso glottodidattico tradizionale, invece, vi è un passaggio diretto dalla scoperta della
regola alla sua applicazione, dando in qualche modo per assodata la sua effettiva com-
prensione. Nella fase di fissazione, quindi, si propongono esercizi, in genere di matrice
strutturalista, che richiedono di utilizzare la costruzione linguistica (completamento, tra-
sformazione ecc.), talvolta con più attenzione alla forma che al suo significato.
Riguardo i processi di tipo 2, il percorso tradizionale pone problemi a livello di gradualità,
in quanto sarebbero necessarie da una parte attività di comprensione della costruzione
linguistica, dall’altra attività preliminari che attivino i requisiti cognitivi necessari all’analisi
della costruzione target. Possono poi seguire attività di riutilizzo, ma gli esercizi puramente
strutturali andrebbero limitati perché si basano su procedure meccaniche che richiedono
automatizzazione, ma non conducono ad un uso autentico della costruzione (ad esempio,
nella comunicazione non trasformiamo continuamente frasi affermative in interrogative o
negative). Paradossalmente, quindi, accade che per imparare a svolgere batterie di eser-
cizi strutturali, l’apprendente con BiLS debba sviluppare processi meccanici che di fatto
sottraggono risorse cognitive all’automatizzazione linguistica.
Infine, la fase di riutilizzo più autonomo della lingua si scontra con le difficoltà di automa-
tizzazione di molti apprendenti con BiLS, spesso peggiorate dagli ostacoli nei processi di
tipo 1 e 2 appena discussi. Nel contesto di lingua straniera, l’uso autonomo di una costru-
zione linguistica rappresenta un obiettivo a lungo termine, che nel caso degli apprendenti
con BiLS va perseguito con un sostegno specifico. Finora, facendo riferimento alla ricerca
clinica, abbiamo sostenuto che le difficoltà d’uso orale e/o scritto della L2/LS negli appren-
denti con BiLS siano imputabili al deficit di automatizzazione e di elaborazione rapida delle
informazioni. Per questo, sono stati proposti strumenti compensativi, come prompt, map-
pe e organizzatori visivi, per favorire il recupero del lessico e delle costruzioni linguistiche
necessarie per la comunicazione (Daloiso 2012; 2015).
Analizzando i processi di acquisizione grammaticale nel contesto dei BiLS alla luce della
122
Parte III - Capitolo 11
124
Parte III - Capitolo 11
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128
Parte III - Capitolo 11
12.1. Introduzione
Nel presente contributo vogliamo proporre una applicazione del modello della sintassi
valenziale alla didattica dell’italiano L2 in contesto scolastico.
Dopo una breve illustrazione dei principi teorici del modello e della sua elaborazione per la
lingua italiana, vogliamo evidenziare i vantaggi glottodidattici della grammatica valenziale
nella prospettiva dell’insegnamento/apprendimento dell’italiano L2. Presentiamo poi gli
esiti di una sperimentazione realizzata in alcune scuole del territorio lombardo nell’ambito
di laboratori di italiano L2 finalizzati a potenziare la competenza comunicativa di studenti
alloglotti attraverso la riflessione sulla lingua.
130
Parte III - Capitolo 12
no gli attanti, ma che sono facoltativi: Per Natale Luisa ha regalato a suo marito Fabio un
libro con le fotografie del loro viaggio dell’estate scorsa.
La teoria della grammatica valenziale è stata ripresa e approfondita soprattutto nell’ambi-
to degli studi sulla lingua tedesca e, come ricordano Bianco, Brambilla e Mollica, in ragione
della “semplicità di questo nuovo paradigma, che si presta ad un ampio utilizzo in sede
didattica”, si è poi diffusa “a livello internazionale, prima nell’insegnamento del tedesco
come L2, successivamente nella didattica delle altre lingue” (Bianco et al. 2015: 9).
L’applicazione della teoria valenziale alla lingua italiana si deve in particolare agli studi di
Sabatini, che ha proposto una rivisitazione teorica del modello e una sua elaborazione
didattica, a partire dalla prima edizione della grammatica italiana La comunicazione e gli
usi della lingua del 19841.
Come sottolinea Sabatini nella sua Lettera del 2004, la sintassi valenziale consente di ren-
dere “più semplici i percorsi didattici nei meandri della lingua”, poiché risponde felicemen-
te all’esigenza metodologica di osservare la sintassi della frase in frasi-tipo, attraverso “un
modello esplicativo che unifichi tutti i tipi possibili di frasi e rappresenti tutte le relazioni
interne che in esse si possono cogliere”. Nella rielaborazione del modello valenziale per
l’italiano, lo studioso propone una nuova modalità per la rappresentazione grafica della
frase e una revisione della terminologia e della classificazione dei componenti frasali.
Rispetto alla raffigurazione tramite il grafo ad albero, lo “stemma” di Tesnière, è stato
ritenuto più efficace dal punto di vista esplicativo e didattico rappresentare le connessio-
ni sintattico-semantiche della frase con un’“immagine resa da schemi concentrici di tipo
insiemistico” (Sabatini et al., in Bianco et al. 2015: 36).
Si riproduce così un’immagine grafica che comprende in primo luogo in un’area centrale il
nucleo della frase con il verbo e i suoi “argomenti”, termine ormai diffusosi in ambito lin-
guistico per individuare gli attanti che permettono di saturare le valenze richieste dal verbo.
Un’area prevede poi i “circostanti” del nucleo (come aggettivi, sintagmi preposizionali,
avverbi, frasi relative) che hanno la funzione di specificare i costituenti del nucleo (gli ar-
gomenti o il verbo), legandosi morfosintatticamente ad essi. Una terza fascia comprende
infine le “espansioni” (come espressioni preposizionali o avverbiali o le frasi dipendenti),
che possono essere aggiunte al nucleo della frase, ma che risultano indipendenti dal pun-
to sintattico rispetto alla struttura interna del nucleo.
Una raffigurazione del genere, tramite schemi radiali, presenta il vantaggio, come osserva
Sabatini, “di trasporre la forma ‘lineare’ della struttura della frase (come la realizziamo in
sequenza fonica o scritta ‘sul rigo’) in una costellazione da osservare sinotticamente, nella
quale gli elementi che hanno una funzione diversa nella struttura della frase sono collocati
in posizioni diverse (tre aree concentriche) dello schema”. Nell’ultima edizione della gram-
matica (Sistema e Testo, 2011) è stata realizzata anche una versione animata degli schemi
radiali, che illustra visivamente la composizione degli elementi della frase.
Per quanto riguarda le classificazioni terminologiche, ricordiamo anche che in presenza
di frasi dipendenti (causali, concessive, finali, ecc.) la frase viene denominata “frase com-
1 La grammatica è stata poi rieditata nel 1990 e successivamente ne è stata pubblicata una nuova edizione nel 2011 (F.
Sabatini, C. Camodeca, C. De Santis, Sistema e Testo, Loescher, Torino 2011), di cui è disponibile anche un’edizione per la
scuola secondaria di I grado (Conosco la mia lingua. L’italiano dalla grammatica valenziale alla pratica dei testi, Loescher,
Torino 2014).
2 La grammatica valenziale viene proposta nei sillabi di italiano L2, come in Lo Duca 2006 e Benucci 2007. Esemplificazioni
di attività pratiche sono illustrate nei lavori di Camodeca 2011 e 2013.
132
Parte III - Capitolo 12
uso didattico, reso ancora più efficace dall’impiego delle più recenti glottotecnologie”,
ossia dalla visualizzazione su computer degli elementi grafici animati tramite Power Point.
Grazie alla rappresentazione della frase con gli schemi radiali animati l’apprendente viene
guidato, in una modalità ludica e motivante, alla scoperta delle strutture della lingua at-
traverso un approccio induttivo.
Nella sua applicazione didattica la grammatica valenziale prevede in particolare l’uso di
schemi radiali vuoti, che rappresentano la struttura valenziale dei verbi predicativi, la
struttura dei verbi copulativi e le fasce dei circostanti e delle espansioni, che sono così
esempliflicati da Camodeca (2011: 33):
Un’attività didattica basata su schemi del genere può consistere ad esempio nell’indivi-
duare la valenza diretta o indiretta dei verbi, al fine di condurre l’apprendente a riflettere
sul ruolo di legamento delle preposizioni richieste o sui verbi che presentano più strutture
argomentali. Per lavorare sugli schemi valenziali dei verbi risulta essenziale fare riferimen-
to al noto dizionario valenziale dell’italiano Sabatini Coletti (DISC), che diventa così una
risorsa per l’insegnamento della grammatica3.
Gli schemi radiali vuoti o parzialmente riempiti con “parole stimolo”, come nota Camo-
deca, sono poi “un utile strumento per incrementare l’abilità di produzione scritta”: si
possono creare attività didattiche per guidare l’apprendente nel passaggio dal processo
al prodotto testuale, riflettendo sulla funzione di circostanti ed espansioni, sull’uso della
punteggiatura o sulla possibilità di trasformazione di elementi nominali in frasi4.
L’efficacia glottodidattica della grammatica valenziale si rende evidente nella possibilità
3 DISC: Dizionario italiano Sabatini Coletti (Sabatini, Cioletti, 2008) è disponibile in una versione online all’indirizzo http://
dizionari.corriere.it/dizionario_italiano. Cfr. Andorno et al. 2003 che riporta anche alcuni esempi di attività didattiche
basate sul DISC.
4 L’idea della trasformazione degli elementi della frase è ripresa da Sabatini dal concetto di traslazione di Tesnière. Trala-
sciamo in questa sede la possibile applicazione nel campo della didattica dell’italiano L2 del modello testuale correlato
alla sintassi valenziale, utile per la selezione e la creazione di testi a scopo didattico, rimandando per approfondimenti a
Sabatini et al. 2015.
134
Parte III - Capitolo 12
8 Cfr. Raccomandazione 2006/962/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, relativa a competen-
ze chiave per l’apprendimento permanente, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex:32006H0962.
9 Il Nostro ringraziamento va al Dirigente Scolastico Giuseppe Angelo Proserpio dell’IC don Rinaldo Beretta di Paina di Gius-
sano e al Dirigente Scolastico Guido Garlati dell’IIS Mosé Bianchi di Monza per la disponibilità ad accogliere questa speri-
mentazione nei loro Istituti. Ringraziamo inoltre la docente Isabella Gallo dell’IC don Rinaldo Beretta per l’attenzione e la
disponibilità dimostrata e la docente Flora Scherillo, referente per gli alunni stranieri presso l’IIS Mosé Bianchi di Monza.
136
Parte III - Capitolo 12
Osserva!
arg SOGG. VERBO NUCLEI delle causali coordinate
Mio non soltanto arg. OGG. INDIR.
padre vuole perchè e
{lui} ha paura
{lui} vuole bene
arg. SOGG. VERBO arg. OGG. DIR.
arg. SOGG. compl. pred.
che
NUCLEO
ESPANSIONE
VERBO arg. OGG. INDIR.
arg SOGG. arg OGG. DIR. mi oggettiva esplicita
pratichi questo
(io) faccio male
sport
oggettiva esplicita arg. SOGG. compl. pred.
che
Figura 1.
Correggi!
arg. SOGG. VERBO NUCLEI delle causali coordinate
non arg. OGG. INDIR.
vuole
{lui} ha
{lui} vuole
arg. SOGG. compl. pred.
NUCLEO
ESPANSIONE
VERBO arg. OGG. INDIR.
arg. SOGG. arg. OGG. DIR.
oggettiva esplicita
(io) pratichi
(io) faccio
oggettiva esplicita arg. SOGG. compl. pred. arg. OGG. DIR.
arg. SOGG. VERBO
Figura 2.
Durante l’esercitazione oltre al supporto informatico è stato fornito agli alunni un foglio su
cui poter prendere appunti.
Un’attività ha preso le mosse dalla seguente frase prodotta dall’alunna ungherese.
Frase di partenza: Voglio imparare in italiano perfettamente al fine questo anno
Gli alunni sono stati condotti alla riflessione sull’errore e alla sua individuazione durante
la visione dello schema radiale della frase corretta: Per la fine di quest’anno vorrei impa-
rare l’italiano perfettamente (2° fase). Nella fase successiva abbiamo mostrato la strut-
10 Sulla difficoltà nell’uso delle preposizioni da parte degli apprendenti di italiano L2 osserva Camodeca (2011: 7): “Com’è
esperienza diffusa e come è stato evidenziato da vari studi, difficoltà nell’uso delle preposizioni non sono solo frequenti
nei livelli interlinguistici prebasici e basici, causa soprattutto la forte interferenza della L1 […] ma compaiono ancora nei
livelli avanzati, facendo di questa categoria grammaticale un ‘terreno di fluttuazione’”.
138
Parte III - Capitolo 12
Frase prodotta dall’alunna ungherese: Mi piace anche la pasta e la mangiamo due volte al
giorno a casa mia
Frase prodotta dall’alunno ghanese: Mi piace anche la pasta; noi la mangiamo due volte
al giorno a casa mia
Entrambi gli alunni, nel completare gli schemi, omettono la congiunzione e e non collo-
cano le preposizioni al posto giusto in corrispondenza dei punti. L’alunna utilizza poi bene
la congiunzione coordinante e, mentre l’alunno sostituisce la e con un punto e virgola,
trasformando la coordinazione in due frasi giustapposte; anche le preposizioni sono co-
munque usate nel modo corretto.
Osserva!
Per me
è un
piacere compl. pred.
Figura 3.
Correggi!
è
compl. pred.
Figura 4.
11 Il questionario di gradimento sottoposto agli alunni è costituito dalle seguenti domande: 1. Ti è piaciuta questa esercita-
zione al computer?; 2. L’esercitazione è stata troppo lunga?; 3. è divertente svolgere gli esercizi al computer?; 4. Ora ti è
più chiara la struttura della frase italiana?; 5. La scomposizione della frase in cerchi ti aiuta a meglio comprendere il suo
significato?; 6. Pensi che questo tipo di esercitazione sia utile per imparare la lingua italiana?; 7. Consiglieresti questa
esercitazione ad una tua amica / ad un tuo amico?; 8. Preferisci svolgere gli esercizi tradizionali che normalmente ti
assegna l’insegnante in classe?; 9. Hai utilizzato carta e penna durante l’esercitazione?; 10. Hai avuto tempo sufficiente
per svolgere l’esercitazione?; 11. L’insegnante ti ha incoraggiato/a durante l’esercitazione?; 12. Che cosa ti aiuta di più
a ricordare: i colori o il movimento?; 13. Come potresti definire questa esercitazione?; 14. Come dovrebbe essere, se-
condo te, una lezione che ti aiuti veramente ad imparare la lingua italiana? I tuoi suggerimenti e le tue critiche!
140
Parte III - Capitolo 12
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142
Parte III - Capitolo 13
Tra le carenze del “modello tradizionale” Lo Duca (2003: 145) segnala le seguenti:
[…] l’assenza di speciale considerazione per il lessico e per la semantica; l’assenza […] della fondamen-
tale distinzione tra complementi necessari (o nucleari) e complementi facoltativi (o circostanziali) […];
la totale disattenzione per il problema delle funzioni della lingua, che ha impedito di “vedere” certi
fenomeni grammaticali particolarmente interessanti quali […] la relazione esistente tra la struttura
informazionale delle frasi e l’ordine delle parole, quindi la differenza tra io compro il libro, il libro lo
compro io e lo compro io, il libro; l’assenza di considerazioni sociolinguistiche […]; la scarsa considera-
zione per fenomeni grammaticali che interessino frammenti di lingua superiori alla frase o al periodo,
quali l’anafora o i connettivi testuali, compresi, questi ultimi, nella assai vaga e incerta categoria delle
“congiunzioni coordinanti”.
Più tardi, tuttavia, si ebbe l’impressione di aver buttato via il bambino con l’acqua sporca.
Ma che cos’era l’acqua sporca e che cos’era il bambino? Ossia, che cosa c’era di sbagliato
nell’insegnamento grammaticale tradizionale e che cosa invece c’era di utile e quindi bi-
sognoso di essere conservato, sia pure con scopi e metodi nuovi? In realtà, già in quegli
stessi anni ’70 alcuni linguisti avevano suggerito una possibile risposta; qui mi limiterò a
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Parte III - Capitolo 13
citare G. Cinque e M. T. Vigolo, ma su questa linea si muovevano anche altri studiosi, tra
cui in particolare Lorenzo Renzi:
Se la grammatica può avere una funzione nell’apprendimento della lingua, l’ha solo a un livello molto
più avanzato, quando ad esempio si possono stabilire confronti tra lingua scritta e lingua parlata, tra
i vari stili o linguaggi settoriali. Tutto questo però, come abbiamo già osservato, presuppone una co-
noscenza base di italiano standard parlato che si deve ottenere con altri mezzi. Dove invece l’insegna-
mento della grammatica può avere un compito importante e forse nuovo è in un’attività di riflessione
sul linguaggio. Alla media e alle superiori siamo stati finora abituati a riflettere su varie cose: fisiologia,
fisica, biologia, ecc. Non si vede perché una qualche riflessione sul fenomeno del linguaggio debba
essere completamente trascurata. L’insegnamento della grammatica potrebbe offrire uno spunto in
questo senso (Cinque & Vigolo 2007 [1975]: 3).
La grammatica non serve dunque a parlare, leggere o scrivere («tranne che a un livello
molto più avanzato», come scrivono Cinque e Vigolo; v. comunque le interessanti osser-
vazioni e proposte contenute in Serianni, 2006; Serianni, 2010: cap. 6), ma a riflettere sul
linguaggio, cioè sull’esperienza intellettuale più immediata e fondamentale della specie
umana. È interessante notare che questa posizione ha un precedente molto illustre in un
linguista della prima metà del Novecento:
A great many people seem to think that the study of grammar is a very dry subject indeed, but that it
is extremely useful, assisting the pupils in writing and in speaking the language in question. Now I hold
the exactly opposite view. I think that the study of grammar is really more or less useless, but that it
is extremely fascinating. I don’t think that the study of grammar, at least in the way in which grammar
has been studied hitherto, has been of very material assistance to any one of the masters of English
prose or poetry, but I think that there are a great many things in grammar that are interesting and that
can be made interesting to any normal schoolboy or schoolgirl (Jespersen, 1910: 530).
Una volta però chiariti lo scopo e la possibile utilità della grammatica, rimane aperto il
problema di quale grammatica insegnare. Questa era la domanda che si ponevano Cinque
e Vigolo (loc. cit.), che proseguivano così: «Quella puristica tradizionale accoppiata all’a-
nalisi logica? Oppure i testi modernizzanti che riecheggiano i risultati e le soluzioni delle
teorie linguistiche più recenti?». Nel resto di questo lavoro, proverò a dare una risposta a
tale domanda.
La strada sembra dunque quella indicata da Lo Duca (2003: 163), ossia, come già proposto
una ventina d’anni prima da M. Berretta e G. Berruto, quella di «un ragionato e critico
eclettismo». È proprio all’insegna di un tale eclettismo che, con alcuni colleghi, abbiamo
pubblicato una serie di brevi volumi intitolata proprio Grammatica tradizionale e lingui-
stica moderna (Colombo, 2012; Ferrari, 2012; Graffi, 2012; Prandi, 2013; Salvi, 2013; Ac-
quaviva, 2013; Squartini, di prossima pubblicazione). Il punto di partenza comune a tutti
questi volumi è rappresentato dalla grammatica tradizionale: come testi di riferimento di
quest’ultima sono stati utilizzati in primo luogo le opere più complete e complesse, ossia
Fornaciari (1882; 1884) e Serianni (1989). Oltre a queste, gli autori dei diversi volumi han-
no più o meno occasionalmente citato grammatiche scolastiche pubblicate, normalmen-
te, nell’ultimo mezzo secolo. I problemi affrontati sono sostanzialmente di due tipi: da un
lato, si è cercato di integrare e correggere le nozioni tradizionali che si mostrassero carenti
nella loro motivazione o nella loro definizione; dall’altro, si è cercato di dare conto di feno-
meni linguistici normalmente trascurati dalla grammatica tradizionale, o trattati in modo
sommario. Nella prossima sezione fornirò alcuni esempi di problemi dell’uno e dell’altro
tipo e delle soluzioni proposte.
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Parte III - Capitolo 13
role svolgono nella struttura della frase o in base alla loro distribuzione sintattica (Salvi, 2013: 16).
(In realtà, per quanto riguarda l’aggettivo la definizione deve essere integrata per rendere
conto di altre funzioni di tale parte del discorso, ossia quella attributiva appositiva, come
buon in il buon Carlo, e quella argomentale, come americana in la vittoria americana. Per
maggiori dettagli, v. Salvi 2013: 46-47).
Ricorrendo dunque al criterio sintattico-funzionale, opportunamente integrato con le no-
zioni appena introdotte, è possibile dare una definizione di nome, verbo ed aggettivo che
non incorre nelle difficoltà di quelle tradizionali, siano esse di tipo nozionale oppure di
tipo morfologico.
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Parte III - Capitolo 13
dai complementi, a loro volta distinti in «attributivi» ed «avverbiali». Una posizione simile,
sia pure in modo meno chiaro, è assunta anche da Serianni (1989: 98). Entrambe le gram-
matiche tradizionali più autorevoli, dunque, suggeriscono una gerarchia all’interno della
frase, e in particolar modo tra i diversi tipi di complementi. Questi suggerimenti vanno
però ulteriormente definiti: in particolare, come osserva Prandi (2013: 27-28), commen-
tando il passo di Fornaciari a cui abbiamo fatto riferimento, «le determinazioni accessorie,
a loro volta, non formano “una selva infinita” […], ma si dispongono in una gerarchia di
strati diversi». Si tratta ora di definire più esattamente questa gerarchia.
Una delle distinzioni più importanti introdotte dalla linguistica moderna è proprio la di-
stinzione tra complementi necessari (o nucleari) e complementi facoltativi (o circostan-
ziali), introdotta a partire da Tesnière (1959). La distinzione fondamentale tra elementi
nucleari e circostanziali si basa sulla obbligatorietà dei primi contrapposta alla facoltatività
dei secondi:
(1) Ieri Mario ha incontrato Gino
(2) *Ieri Mario ha incontrato
(3) Mario ha incontrato Gino
(4) Mario ha dato un libro a Maria
(5) *Mario ha dato un libro
Gli esempi (1)-(5) ci mostrano che gli elementi nucleari sono il soggetto, il complemen-
to oggetto e il complemento di termine dell’analisi logica tradizionale: con l’aggiunta di
quest’ultimo, essi corrispondono dunque agli «elementi principali» già riconosciuti da
Fornaciari. Tutti gli altri complementi indiretti sono quindi dei circostanziali; tuttavia, essi
non formano semplicemente la «selva infinita» di Fornaciari, ma presentano al loro inter-
no un’ulteriore gerarchia, in quanto costituiscono dei margini di vario tipo: margini del
processo (ossia circostanziali in senso stretto), margini del predicato e modificatori del
verbo (cf. Prandi, 2013: 33). Questi tre tipi di margini possono essere esemplificati come
segue (cf. Prandi 2013, pp. 43-45):
Margini del processo (“circostanziali” in senso stretto):
(6a) Ieri all’alba, il camion dei pompieri ha tamponato l’utilitaria di mio fratello
(6b) Il camion dei pompieri ha tamponato l’utilitaria di mio fratello; (questo) è accaduto
ieri all’alba
Margini del predicato:
(7a) Giulio ha potato le rose con queste forbici
(7b) Giulio ha potato le rose; (Giulio) l’ha fatto con queste forbici
(7c) *Giulio ha potato le rose. È accaduto con queste forbici
Modificatori del verbo:
(8a) La palla ha colpito il palo con violenza
(8b) *Il calciatore ha colpito a morte la palla
Come si vede, i margini del processo possono essere “staccati” dal resto della frase e col-
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Parte III - Capitolo 13
Una volta date queste definizioni, Serianni prosegue dando questo esempio di «relazione
tra frasi in un periodo»:
(14) Chi è? te lo dico io chi è! è un perfetto imbecille! [da Lessico famigliare di N. Ginzburg]
A proposito di questo esempio, Colombo (2012: 20) osserva che «[…] molti indizi potreb-
bero spingere ad assegnare a periodi diversi almeno le due prime frasi: la prima è inter-
rogativa e la seconda esclamativa, e il soggetto cambia». Colombo si domanda «che cosa
potrebbe impedire, a questo punto, di vedere un unico periodo […] in tutto un capitolo
di Lessico famigliare». Il problema sta dunque nel fatto che l’unità linguistica di maggiore
estensione riconosciuta dalla grammatica tradizionale è il periodo, mentre esistono rela-
Distinguendo il periodo dal testo, è possibile anche mettere un po’ d’ordine nell’elenco
degli elementi definiti come congiunzioni coordinanti. Come ricorda Colombo (2012: 53),
mentre Fornaciari «restringeva le “congiunzioni primitive o propriamente dette” a e, o,
ma per le coordinanti […] Nelle grammatiche della seconda metà del Novecento la lista
si arricchisce di elementi e di categorie». Una grammatica recente (Lo Duca & Solarino,
2004: 40), ad es., distingue tra congiunzioni coordinanti a) «additive o copulative»: e, (e)
anche, (e) pure, inoltre, per di più, né, (e) neanche, (e) nemmeno; b) «disgiuntive» (o, op-
pure, altrimenti, in caso contrario); c) «correlative» (o...o, e...e, sia...sia, né...né, non solo...
ma anche, da una parte... dall’altra); d) «avversative» (ma, però, d’altra parte, tuttavia,
anzi, piuttosto); e) «dichiarative o esplicative» (cioè, ossia, ovvero, vale a dire, infatti); f)
«conclusive» (così, pertanto, quindi, dunque, allora, ebbene, perciò). Questa lista, prose-
gue Colombo, contiene in realtà elementi abbastanza eterogenei, come possiamo notare
dal loro comportamento sintattico, in particolare per quanto riguarda l’ordine delle parole
e le possibilità o meno di cooccorrenza. Si noti, ad es., che una congiunzione come ma
deve sempre apparire all’inizio della seconda frase coordinata, mentre due “congiunzioni”
come però e inoltre possono ricorrere anche in altre posizioni (da Colombo, 2012: 54-55):
(15) Tentavo di scherzare ma il sorriso si spegneva presto tra le barbe lunghe e sporche.
(Rigoni Stern)
(16) *Tentavo di scherzare, il sorriso ma si spegneva presto tra le barbe lunghe e sporche.
(17) Tentavo di scherzare, però il sorriso si spegneva presto tra le barbe lunghe e sporche.
(18) Tentavo di scherzare, il sorriso però si spegneva presto tra le barbe lunghe e sporche
Dal punto di vista delle possibilità di cooccorrenza, mentre è chiaro che e, o e ma non
possono mai ricorrere insieme (*Ho incontrato Gianni, ma e non gli ho detto niente; come
osserva Colombo, 2012: 60, e/o non è l’unione di due congiunzioni, ma una diversa con-
giunzione), esse possono ricorrere assieme ad altre “congiunzioni coordinanti” della lista
di Lo Duca & Solarino (2004):
(19) Alcuni esseri viventi, come i batteri o i protozoi, sono formati da una sola cellula e
perciò sono detti organismi unicellulari. (Universo scienze)
(20) Portano via dunque i rifiuti delle fogne, ma anche concimi e diserbanti dalle campa-
gne. (Orizzonti)
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Parte III - Capitolo 13
Colombo propone dunque di riservare il termine congiunzioni coordinanti alle tre «con-
giunzioni primitive propriamente dette» di Fornaciari, ossia e, o e ma, e di chiamare le
altre avverbi connettori. Altre terminologie possono essere utilizzate: ad es. Prandi (2013)
parla di «avverbi anaforici» per riferirsi ad espressioni come quindi, ecc. L’adozione di una
terminologia standard è un fatto importante e non può essere trascurato, soprattutto ai
fini didattici; in ogni caso, il primo passo da compiere è una classificazione più adeguata
delle varie parole finora genericamente collocate nella classe delle congiunzioni, e a que-
sto fine è fondamentale, come si è visto, la distinzione tra testo e periodo.
Secondo Colombo (1997: 54), «la riflessione sulla lingua madre ha il compito di fungere an-
che da “grammatica generale”, di fornire un’attrezzatura concettuale riutilizzabile nell’ap-
prendimento della lingua nuova». Sviluppando con un esempio questa osservazione di
Colombo, potremmo dire che una regola come «in inglese, non si usa il verbo do quando la
frase interrogativa verte sul soggetto», ha un grande valore pratico, ma a condizione che si
abbiano ben chiari i concetti di frase interrogativa, verbo e soggetto, e quindi si conoscano
i fondamenti dell’analisi del periodo, dell’analisi grammaticale e dell’analisi logica. Non a
caso questi erano gli argomenti che stavano al centro dell’insegnamento grammaticale
tradizionale: si tratta quindi di riprenderli, correggendone le limitazioni e contraddizioni
sulla base di analisi come quelle che abbiamo svolto nel paragrafo precedente.
A questo punto si pone il problema di come insegnare la grammatica, e, più precisamente,
di come equilibrare l’aspetto “tradizionale” con quello “moderno”. Una prima distinzione
dovrebbe essere ovvia, anche se è spesso trascurata: la grammatica che gli insegnanti de-
vono conoscere non è la stessa che devono insegnare agli allievi. Ritengo quindi che l’inse-
gnamento debba basarsi sulla grammatica tradizionale, correggendone ed integrandone
i punti deboli: questa sarebbe un’ottima occasione per «migliorare le abilità cognitive di
base», nel senso indicato dalla Lo Duca. Quindi, meglio scegliere testi dichiaratamente tra-
dizionali, piuttosto che artificiosamente modernizzanti. Un errore certamente da evitare
è quello di riempire la testa dei ragazzi con una quantità di neologismi, attribuendo loro
chissà quali capacità taumaturgiche. Compito quindi degli insegnanti dovrebbe dunque
essere quello di utilizzare gli strumenti concettuali della linguistica moderna cercando di
appesantire il meno possibile l’apparato terminologico. L’operazione è tutt’altro che facile,
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Parte III - Capitolo 13
gli altri, un professore di grammaire générale; gli altri professori erano di belles-lettres,
di storia e di legislazione. Quali erano i compiti del professore di grammatica generale?
Cito qualche passo da Plans d’enseignement suivis par les professeurs à l’école centrale du
Département du Doubs, Besançon, à l’imprimerie de Briot, an IX [1800-1801]:
Le professeur de grammaire générale ne se borne point, ainsi que plusieurs de ses collègues d’autres
départemens, à enseigner les règles de la langue française. Convaincu que la grammaire particulière
n’est qu’une branche accessoire à son cours, et qu’on ne doit s’y arrêter que pour y appliquer les prin-
cipes généraux des langues, principes qui ne peuvent être découverts que par l’analyse de l’entende-
ment humain, et par une suite méthodique de réflexions concernant les signes en général, l’institution
de signes artificiels, leur influence sur les facultés de l’âme, et en particulier sur le raisonnement, etc. il
cherche, en prenant Condillac pour guide, à montrer que l’art de raisonner et l’art de parler, ayant une
source commune, ne peuvent faire que des progrès mutuels, et que toutes les règles de la logique se
réduisent à n’employer qu’une langue bien faite.
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Parte III - Capitolo 14
Nel corso della sua storia l’essere umano ha sviluppato una rete di contatti con i suoi
simili così composita e articolata che ha ravvisato la necessità di mettere a punto un si-
stema semiologico altamente sofisticato a cui è stato dato il nome di lingua. Tale codice è
estremamente più complesso di quello che usano gli (altri) animali e serve all’uomo non
semplicemente per comunicare con gli esseri della sua specie ma per esprimere loro, nella
maniera più chiara e incontrovertibile possibile, la sua percezione del mondo.
La comunicazione linguistica assume un ruolo centrale nei processi di conoscenza e nelle
relazioni interpersonali, dal momento che viene usata sia per condividere conoscenze, sia
per stabilire norme sociali di comportamento. Essa avviene per mezzo di un sistema di se-
gni, ognuno dei quali costituito da due elementi intrinseci al sistema lingua: uno formale e
fisico, chiamato significante, e uno ideale e immateriale, chiamato significato. Ogni segno
è poi riconducibile a un elemento della realtà, estrinseco al sistema, chiamato referente1.
Qualsiasi segno linguistico esiste solo grazie alla relazione tra significante e significato,
ossia tra la forma, fonica o grafica utilizzata per richiamare l’immagine, e il concetto im-
presso nella mente (De Saussure 1916).
Ogni lingua crea significanti i cui rispettivi significati variano in base a fattori sociali e cul-
turali e non è pensabile che una lingua possa rimanere disgiunta da questi fattori. La co-
municazione linguistica, quindi, non rappresenta un mero scambio di informazioni ma un
sofisticato tipo di interazione sociale volto a influire sulle rappresentazioni mentali di un
individuo e suscettibile di interferenze, oltreché sul piano strutturale2, anche e soprattutto
sul quello semasiologico (o semantico), come è noto attinente al significato o ai vari signifi-
cati attribuibili a un significante, e onomasiologico riguardante invece, in maniera opposta
e complementare, le diverse realizzazioni lessicali, all’interno di una o più lingue, di uno
1 Il significante, il significato e il referente sono gli elementi costitutivi del cosiddetto triangolo semiotico (o semiologico, aggetti-
vo però più vicino al filone di studi europei che anglosassoni) proposto da Charles Kay Ogden e Ivor Amstrong Richards in The
meaning of Meaning (1923). La sua interpretazione rimane tuttavia, dopo quasi un secolo, in parte controversa poiché non
tutti gli studiosi identificano allo stesso modo le entità che stanno ai tre vertici.
2 Le interferenze che incidono sul piano strutturale della comunicazione linguistica riguardano precipuamente gli aspetti fo-
nologico, lessicale, morfologico e sintattico. L’interferenza fonologica può manifestarsi sia a livello segmentale che sovraseg-
mentale. Nel primo caso, per esempio, un cinese che dicesse al telefono sto male invece di sto mare, non farebbe capire se si
sente poco bene o è alla spiaggia a divertirsi, visto che ha difficoltà a pronunciare la erre e a distinguerla dalla elle; nel secondo
caso una domanda malamente marcata dal punto di vista intonativo, potrebbe invece essere scambiata per un’affermazione.
A livello lessicale, l’interferenza si manifesta anche sul piano semasiologico e riguarda in genere a causa dei “falsi amici”, cioè
parole accomunate da somiglianze fonetico-fonologiche ma dotate di significati diversi; se per esempio una ragazza italiana
dicesse a un’amica spagnola di sentirsi imbarazzata, pensando che in spagnolo questo aggettivo indichi uno stato di perples-
sità come in italiano, la spagnola potrebbe intendere che la sua amica aspetta un bambino. Sul piano morfologico, invece,
l’interferenza può derivare da un diverso utilizzo delle desinenze verbali: è per esempio piuttosto diffusa, tra gli ispanofoni, la
tendenza ad associare alla prima persona singolare, la desinenza della terza persona singolare, sul modello spagnolo (andava
invece che andavo). Sul piano sintattico, infine, l’interferenza può essere imputabile a una diversa collocazione dei costituenti;
in questo modo se un parlante straniero dicesse che Mario anche è andato al cinema un italiano potrebbe avere difficoltà a
capire se anche Mario è andato al cinema con altre persone o se è andato anche al cinema oltreché da qualche altra parte.
3 Boas fondò la scuola antropologica statunitense: fu specialista di geografia, linguistica, scienze naturali, archeologia e studiò
a fondo i nativi americani con spedizioni sul campo. Ostile a ogni teorizzazione estrema, raccolse un’enorme quantità di dati
etnologici riguardanti usi, costumi, arte mitologia, rituali degli Indiani della costa settentrionale del Pacifico, osservando atten-
tamente i fatti sociali ed evidenziando la dimensione storica dei fenomeni culturali.
4 A differenza di Sapir, che poté vedere pubblicati i suoi scritti, Whorf morì nel 1941, prima di potere fare altrettanto. A curare
i suoi scritti e a occuparsi della loro pubblicazione fu quindi John Bissel Carroll che con l’opera Language, thought and reality:
selected writings of Benjamin Lee Whorf (1956) contribuì a divulgarne il pensiero.
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Parte III - Capitolo 14
5 Si tratta di una categorizzazione basata sulla nozione di prototipo, in virtù del quale la nostra mente tende a riunire nella stessa
categoria oggetti o eventi che, pur nelle loro differenze, risultano essere più simili tra loro rispetto ad altri oggetti o eventi, pur
facenti parte della stessa categoria.
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Parte III - Capitolo 14
6 Alla disciplina etnolinguisctica hanno contribuito in maniera importante, oltre ai già citati Sapir e Worf, anche Franz Boas
(1911), Bronisław Malinowski (1944, 1945, 1947), Joseph Greenberg (1948) Alfred Radcliffe-Brown (1952), Raymond Firth
(1957) e Dell Hymes (1964, 1972).
7 Alla versione debole sembrano ricollegarsi le considerazioni di Renzo Titone (1976) secondo il quale il comportamento lin-
guistico è l’espressione della personalità individuale e sociale di ogni essere umano. La lingua, oltreché forma associata a
determinati significati culturali, è soprattutto espressione della struttura profonda dell’io. Il che significa che, quando l’uomo
parla, esprime il suo mondo interiore, la sua personale filosofia di vita, la sua coscienza.
8 Stephen D. Krashen è noto per avere ipotizzato cinque fattori che determinerebbero la conoscenza delle lingue non materne.
1. Distinzione tra acquisizione e apprendimento: l’acquisizione è un processo inconscio e duraturo nel tempo, mentre l’ap-
prendimento è volontario, rivolto primariamente alla forma linguistica e destinato ad affievolirsi con il passare del tempo. 2.
Presenza del monitor, vale a dire quel meccanismo interno dell’apprendente, responsabile dell’elaborazione linguistica consa-
pevole. 3. L’ordine naturale, secondo cui le regole (grammaticali) vengono acquisite secondo una progressione che procede, in
maniera naturale, dal facile al difficile. Si tratta di una ipotesi non pienamente convincente in quanto presupporrebbe che una
certa regola esista sia nella lingua materna che in quella non materna e che presenti lo stesso grado di difficoltà in entrambe
le lingue. Non è detto però che sia sempre così. Il corretto uso degli articoli italiani, per esempio, se può essere relativamente
semplice per uno straniero che abbia come lingua materna una lingua neolatina, non lo è affatto per uno straniero linguisti-
camente appartenente ai ceppi slavi o baltici per i quali l’uso degli articoli è sconosciuto. 4. L’input+1 secondo cui, affinché
la conoscenza di una lingua non materna progredisca, l’input linguistico deve essere per la maggior parte già noto e per una
minima parte (il +1) non ancora conosciuto ma decontestualizzabile grazie alla parte nota. 5. Il filtro affettivo, cioè quella bar-
riera psicologica che, alzandosi o abbassandosi per cause affettive – quali il desiderio o meno di integrarsi nella nuova cultura,
l’ansia, l’autostima e così via – fa in modo che i progressi nella conoscenza di una lingua non materna siano diversi da soggetto
a soggetto. A elaborare le ipotesi di Krashen hanno contribuito in maniera importante anche Heidi Dulay e Marina Burt autori,
insieme a Krashen, di Language two (1982).
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Parte III - Capitolo 14
guo poiché il significato di quanto si dice (o scrive) non può mai essere controllato appieno
e non assicura che quanto il locutore vuole esprimere sia ciò che l’interlocutore effettiva-
mente capisce. Le divergenze cognitive dovute alla mancata condivisione di certi aspetti
della vita e a una diversa attribuzione dei significati ai valori di riferimento, possono per-
tanto dare origine a interferenze che rischiano di rendere incomprensibile o inaccettabile
un messaggio.
Ciò si nota, per esempio, in certe espressioni idiomatiche. Dire a un amico inglese in evi-
dente stato di ansia o di agitazione: Drink a camomile (Prenditi una camomilla) non signi-
ficherebbe niente perché in Inghilterra la camomilla non viene associata all’idea di calma
e di tranquillità; egli quindi non capirebbe il senso del messaggio a meno che – allora è un
altro paio di maniche – non abbia a sua volta assimilato quel tratto della cultura italiana
che associa la camomilla alla calma. Per un soggetto di cultura anglosassone non avrebbe
alcun senso neanche l’espressione: it’s a word! (è una parola!) a cui un italiano ricorre
quando vuole fare intendere la difficoltà o l’impossibilità di realizzare qualcosa. D’altra
parte, un italiano potrebbe avere difficoltà a capire un greco che, per paura di rimanere
“scottato” da ulteriori delusioni e insuccessi, ora “soffia sullo yougurt”, alimento notoria-
mente fresco, che occupa un posto importante nella cultura alimentare balcanica e che,
nella lingua greca, assume significati figurati che la lingua italiana non gli attribuisce (Bal-
dassarri 2008). Apprendere una lingua significa quindi apprendere anche gli impliciti cul-
turali che vi sono collegati e se la comunicazione si rivela efficace è in virtù di aspettative
comuni che i soggetti hanno tacitamente stabilito in base alla loro cultura di appartenen-
za. In altre parole, quando un soggetto comunica un messaggio, già si aspetta determinate
risposte che assumono significato perché proiettate in uno specifico contesto sociocultu-
rale. Siccome lo scopo della lingua è quello di fornire il maggior numero di elementi utili a
trarre conclusioni su ciò che si vuole comunicare, è importante tenere in conto (anche) le
inferenze che la lingua implica e che influiscono su una determinata rappresentazione del
mondo. Lingua e cultura, quindi, sono strettamente legate poiché la lingua riflette convin-
zioni e comportamenti strettamente connessi alla cultura delle persone che la parlano e si
rivela tanto più efficace quanto più i locutori condividono ipotesi, convinzioni e conoscen-
ze, hanno esperienze affini e provengono dallo stesso ambiente.
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Parte III - Capitolo 15
1 Ampia è anche la letteratura di riferimento sull’insegnamento della grammatica in lingua madre. Tra gli altri Lo Duca
(2013); il recentissimo Colombo, Graffi (2017). Sui temi della didattica della grammatica si focalizzano anche gli articoli
della rivista G&D – Grammatica e didattica (https://goo.gl/CoAyKD), attiva fino al 2013.
2 Porcelli (1994) parla di “sindrome del pendolo”, utilizzando una metafora divenuta molto nota tra gli studiosi di glottodi-
dattica.
3 Balboni (2012: 234) presentando le principali caratteristiche di questo metodo afferma che addirittura è messo in secon-
do piano il significato che veicolano le frasi, purché queste siano funzionali alla presentazione della regola grammaticale.
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Parte III - Capitolo 15
Parallelamente alla riflessione che riconosce di fatto la legittimità del ruolo della gram-
matica ai fini della progressione della competenza in L2, va considerata la seconda im-
portante questione, ovvero quella relativa all’approccio all’insegnamento da adottare per
rendere il più proficuo possibile tale insegnamento. Tradizionalmente, come si è accenna-
to, un approccio molto utilizzato è stato quello deduttivo che in linea di massima prevede
le seguenti fasi: presentazione della regola da parte del docente; memorizzazione della
regola da parte dello studente; esercitazioni (prevalentemente scritte) mirate al fissag-
gio della regola e alla presentazione di eventuali eccezioni. L’approccio induttivo, inve-
ce, propone un percorso opposto che procede in genere dall’osservazione delle strutture
presenti all’interno di testi e guida l’apprendente verso la riflessione sulle forme e la loro
sistematizzazione. Tale metodo sembra avere una serie di vantaggi di vario tipo: rispetta la
«grammatica mentale» dell’apprendente (Diadori et al. 2015: 170 e sgg.) che prevede un
passaggio dalla funzione alla forma e non viceversa; fa assumere all’apprendente un ruolo
attivo, con ovvie ricadute motivazionali; propone un lavoro di riflessione che richiede più
tempo, ma che risulta verosimilmente più proficuo in termini di memorizzazione della
regola.
L’approccio induttivo, pertanto, può essere quello maggiormente adeguato per l’insegna-
mento della grammatica che in questo modo tende a diventare riflessione metalinguisti-
ca. Il cambiamento terminologico sottende anche un cambiamento processuale profon-
do, ponendo l’accento sulla riflessione e l’azione di scoperta dei meccanismi linguistici
da parte dell’apprendente sotto la guida del docente. Si tratta quindi di un netto cambio
del protagonista del processo di insegnamento/apprendimento e dell’oggetto della rifles-
sione, non più limitato alle sole strutture, come chiaramente afferma Balboni (1999: 84)
«L’attività di riflessione vede come soggetto l’allievo e come oggetto l’intero complesso
della competenza comunicativa e si differenza dunque profondamente dall’insegnamento
della grammatica, che ha come soggetto l’insegnante e come oggetto più frequente la
morfosintassi e le regole testuali».
Lo spazio da attribuire alla riflessione grammaticale e l’approccio da adottare per il suo
insegnamento, non può non tenere conto di fattori quali il contesto di insegnamento e
il profilo degli apprendenti a cui ci si rivolge: la riflessione esplicita sulla lingua sarà ten-
denzialmente maggiore con apprendenti adulti, alfabetizzati in lingua madre, che lavora-
no su testi scritti (Pallotti 2000). Questi fattori potranno incidere verosimilmente anche
sull’approccio da adottare durante un corso di lingua. Per fare un esempio, se la classe di
apprendenti sarà composta da senior che hanno maturato esperienze di apprendimento
studiando le lingue con un metodo grammaticale traduttivo, sarà sconsigliabile, almeno in
una prima fase, relegare a un ruolo residuale la riflessione formale sulla lingua a favore di
un approccio spiccatamente induttivo che attribuisca centralità all’apprendente e chieda
di esplorare autonomamente il testo, trovare regolarità, formulare ipotesi9. È possibile in-
fatti che quanti abbiano avuto esperienze di apprendimento di tipo fortemente diverso, si
aspettino il tipo di approccio già sperimentato e percepito come funzionale e rassicurante.
Tuttavia, fatti salvi casi specifici, è riscontrabile attualmente una certa convergenza della
didattica delle lingue verso un approccio che prevede la riflessione sulla lingua da svolgere
in maniera induttiva, da considerarsi del resto naturale sbocco della visione teorica sottesa
9 Per una disamina approfondita su questo profilo di apprendenti si rimanda a Villarini, La Grassa (2010).
Non ci interessa in questa sede esprimere un giudizio o fare un’analisi qualitativa delle
10 Si tratta, come si è detto, di una tendenza. Non è scontato che l’approccio di tipo induttivo possa essere proficuamente
adottato con tutti i pubblici di apprendenti e per tutti i tratti linguistici oggetto di riflessione (Diadori et al. 2015). In
alcuni casi, una spiegazione di tipo più esplicito potrà risultare più economica in termini di energia e con un livello più
alto di accettabilità da parte degli apprendenti.
11 Un discorso diverso va fatto per la grammatiche pedagogiche rivolte a parlanti non italofoni. A prescindere dal rigore
descrittivo nella presentazione delle forme, dalle scelte operate per la selezione dei tratti da presentare, dal peso dato
alla scelte del parlante e dalla varietà delle attività esercitative proposte, tutte le grammatiche seguono lo schema de-
scrizione della voce > attività esercitative.
168
Parte III - Capitolo 15
attività proposte dal manuale in questione. Ciò che qui è importante sottolineare, riguar-
da la possibilità di presentare l’elemento grammaticale in forma induttiva: si parte infatti
dall’osservazione delle forme oggetto di riflessione presenti nel testo input dell’unità; si
passa poi alla elicitazione delle ipotesi sull’ espressione delle modalità e sul contorno sin-
tattico dei verbi; si conclude infine con la richiesta di completamento di una tabella con
le forme che lo studente potrà rintracciare nel testo input. Seguono all’interno del volu-
me diversi esercizi di riutilizzo della regola in forma scritta e orale e, in fondo all’unità, la
presentazione di uno schema che sintetizza le forme e i principali usi dei verbi oggetto di
analisi (cfr. figura 2).
12 Ci troviamo perfettamente d’accordo con quanti ritengono un falso mito dell’e-learning la possibilità di garantire una
formazione efficace, quale che sia la materia oggetto di studio, a un numero elevato di studenti e a costo pressocché
nullo. Sulla “sostenibilità” dell’e-learning, si veda Trentin (2008). La questione, comprensibilmente, si è recentemente
ripresentata con la proliferazione di corsi massivi (Laurillard 2016).
13 A questo proposito, afferma Calvani (pubblicazione online) «Solo una concezione ingenua vede le tecnologie come
appendici neutre, statiche, povere di significatività teorica e culturale. Calate nei diversi contesti socio-culturali, esse si
coniugano ed amplificano determinati assunti teorici, atteggiamenti, orientamenti del pensiero e della cultura».
14 Segnaliamo che trovare risposta a tale domanda può significare l’eventuale rivisitazione di posizioni che anche chi scrive
ha a lungo condiviso. Rientra però nella natura stessa della ricerca scientifica l’opportunità di rivedere anche in chiave
critica le proprie posizioni. Questo è tanto più vero quando ci si riferisce all’e-learning, che rappresenta un campo di
studio recente e in cui il ruolo assunto dalle tecnologie è per definizione in evoluzione e, di conseguenza, richiede ancora
di più di assumere posizioni flessibili e non dogmatiche.
15 Una prima indicazione, che sembra confermare l’ipotesi di un pubblico prevalentemente interessato a forme di auto-
apprendimento, ci sembra emergere dai dati rilevati dal Mooc di italiano L2 – Introduction to Italian: le attività mag-
giormente gradite all’interno del corso riguardano la fruizione autonoma di materiali e lo svolgimento di esercizi auto
correttivi. Livelli di gradimento ben più modesti risulta avere il confronto tra pari (Villarini 2017).
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Parte III - Capitolo 15
Il focus grammaticale procede con la presentazione delle principali funzioni del verbo,
sempre facendo riferimento agli esempi presenti nel testo input. Si passa poi (cfr. figura
4) alla presentazione di tutte le forme del verbo potere e infine alla presentazione di altri
esempi con le forme verbali evidenziate che servono a presentare la struttura sintattica
della forma (potere seguito da infinito).
16 L’uso della lingua inglese anche nelle spiegazioni grammaticali è una precisa scelta metodologica adottata nel Mooc
“Introduction to Italian”.
Lo studente ha poi la possibilità di fare alcuni esercizi scritti per il reimpiego della forma.
Soluzione non dissimile dal punto di vista metodologico, fatto salvo l’uso di supporti di-
versi, è quella adottata in un corso online implementato su LMS. In questo caso, l’aspetto
grammaticale viene presentato in una sezione specifica all’interno della quale si sugge-
risce allo studente di prendere visione di una scheda grammaticale prima di svolgere gli
esercizi per il reimpiego della forma (cfr. figura 5). Anche in questo caso la forma è pre-
sentata facendo riferimento al testo input a cui gli studenti sono già stati esposti.
Dall’osservazione delle soluzioni adottate in questi due casi, ci sembrano emergere alme-
no tre aspetti ricorsivi nella presentazione della grammatica:
● è sempre presente l’ancoraggio della forma al testo input. Questa è una scelta metodo-
● c’è un percorso suggerito che prevede l’osservazione della regola e poi il reimpiego me-
17 Si tratta di una scelta metodologica a nostro parere del tutto appropriata ma forse ancora non così pienamente condi-
visa come si potrebbe pensare. Si segnala, a questo proposito, il Mooc erogato in FutureLearn dalla Open University in
cui la grammatica è presentata mediante la presentazione della forma subito seguita dagli esercizi, senza che vi sia alcun
testo input a cui fare riferimento.
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Parte III - Capitolo 15
Quello che manca, a ben osservare, è la presentazione della grammatica con un approc-
cio realmente induttivo. Al contrario, la grammatica viene presentata in maniera preva-
lentemente deduttiva con schede o video di spiegazione che illustrano immediatamente
la regola e poi suggeriscono il reimpiego in attività. Perché questa scelta? Escludiamo una
decisione fondata su ragioni metodologiche da parte di chi ha elaborato i corsi. Chi scri-
ve ha infatti partecipato in prima persona come co-autore di MOOC e di corsi erogati in
LMS e, insieme agli altri realizzatori dei corsi, è un sostenitore dei vantaggi dell’approccio
induttivo, per i motivi che sinteticamente sono già stati indicati.
L’impossibilità di adottare un approccio induttivo è stato quindi imposto esclusivamente
dalla tipologia di corso. L’approccio induttivo, infatti, prevede l’elicitazione di ipotesi, il
confronto con i pari, la verifica delle ipotesi fatte mediante, per esempio, un confronto
in plenum. Queste diverse fasi richiedono, come si può intuire, la compresenza degli ap-
prendenti che seguono il corso e del docente che fornisce supporto, coordina le attività,
conferma o corregge le ipotesi fatte.
Non è un caso, pertanto, che l’approccio induttivo sia adottato in molti materiali carta-
cei, come quello che è stato presentato, mentre non si ritrova nei corsi online, MOOC o
implementati in LMS, che si è avuto la possibilità di osservare. Questi corsi, infatti, pre-
vedono una interazione che per la quasi totalità si realizza in forma scritta e asincrona.
Mentre la proliferazione e l’evoluzione delle tecnologie educative costituisce un dato cer-
to (anche se resta difficile prevederlo con esattezza nelle forme e nei tempi), la condizio-
ne di asincronicità che rappresenta uno degli enormi vantaggi dell’e-learning, se accet-
tata non potrà mai essere modificabile. Come per altri aspetti a cui spesso si accenna in
letteratura, per esempio l’impossibilità di sviluppare l’abilità di interazione orale, anche
nel caso della presentazione della grammatica incidono dei limiti strutturali e inelimina-
bili dell’online: o si rinuncia alla dimensione asincrona, o si rinuncia alle forme di appren-
dimento e alle modalità di sviluppo di abilità e competenze che richiedono immediato
confronto tra pari e tra studenti e docenti.
Ci troviamo al momento in una situazione che è stata efficacemente descritta da Tronca-
relli in un suo recente contributo (2016a), quella di lavorare con nuovi strumenti (le piat-
taforme LMS e, ancor di più, le piattaforme per i MOOC di lingua), ma di essere costretti
a riproporre vecchi paradigmi: la prevalenza delle attività scritte su quelle di interazio-
ne orale; la riproposizione di approcci di insegnamento linguistico tradizionale; l’enfasi
sull’autoapprendimento.
6a 6b
6c 6d
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Parte III - Capitolo 15
Lo studente che svolge l’attività può visionare il video in cui scorrono le slide18 con le frasi
o i brevi testi in cui è presente l’elemento grammaticale oggetto di studio (figura 6.a - fase
di focalizzazione); dopo questa fase il video si blocca proponendo lo svolgimento di attività
che inducono a riflettere su un aspetto dell’elemento grammaticale (la funzione, in figura
6.b; la forma, in figura 6.c – fase di elicitazione); le attività vengono corrette immediata-
mente e, nel caso in cui venga selezionata una risposta sbagliata, è possibile fornire un fe-
edback per dare indicazioni volte a condurre lo studente a elaborare l’ipotesi corretta: egli
avrà pertanto la possibilità di ritornare al video di spiegazione, riformulare la sua ipotesi
e in seguito ricevere il feedback (figura 6.b – fase di verifica, riformulazione e correzione
delle ipotesi); infine, dopo aver proposto una attività di completamento della regola, il
fenomeno grammaticale potrà essere presentato nella sua completezza (figura 6.d).
È evidente che si tratta di momenti del tutto diversi da quelli presentati nel paragrafo
precedente (cfr. paragrafo 15.3) per l’insegnamento della grammatica nei corsi online e
nei MOOC presi in considerazione. Interactive video consente un cambiamento di pro-
spettiva rilevante e permette, di fatto, di adottare un approccio induttivo nella riflessione
metalinguistica, prevedendo l’elicitazione delle ipotesi sulle strutture linguistiche, la loro
eventuale modifica e la loro verifica e, infine, la sistematizzazione della regola. A questo si
aggiungano i vantaggi dati dalla presentazione mediante materiale audiovisivo e quindi la
possibilità di vedere le spiegazioni infinite volte, di usare i sottotitoli etc., modalità ovvia-
mente non replicabili con un materiale cartaceo.
Resta il limite, torniamo a dire ineliminabile, della modalità di fruizione: anche le attività
che sono state presentate in questo paragrafo sono state elaborate per essere fruite in au-
toapprendimento perché non è possibile prevedere a priori una modalità di lavoro online
in sincrono.
Tuttavia, ben consapevoli che qualsiasi previsione che riguardi lo sviluppo dell’e-learning
corra il rischio di andare incontro a nette smentite nel giro di pochi anni, si vuole conclu-
dere con una suggestione, un auspicio che potenzialmente potrebbe trovare le condizioni
adeguate per realizzarsi. Con riferimento alla possibilità di adottare un pieno approccio in-
duttivo anche online, si ritiene che uno dei fattori distintivi dei MOOC, ovvero la frequenza
massiva del corso, potrebbe trasformarsi in una risorsa. Infatti, se gli iscritti a un corso
sono migliaia o addirittura decine di migliaia sparsi in tutto il mondo, di fatto aumenta
esponenzialmente la possibilità che più utenti siano collegati in sincrono in piattaforma e
svolgano la stessa attività nello stesso momento. Se in un prossimo futuro l’attività di Inte-
ractive video potrà essere fruita nello stesso momento da piccoli gruppi di studenti, cosa
che non ci sembra difficile immaginare dal punto di vista tecnico, per esempio creando in
piattaforma diverse stanze in cui limitare l’accesso a qualche decina di utenti consenten-
do loro di svolgere contemporaneamente le attività di riflessione grammaticale proposte,
allora potranno di fatto essere create le condizioni ideali per mettere in atto pienamente
un approccio induttivo che preveda anche la collaborazione in sincrono di più studenti, lo
scambio di ipotesi e il confronto.
18 Dal momento che si possono utilizzare video autoprodotti, registrando lo schermo di un computer, si potrà utilizzare
qualsiasi supporto per la presentazione. Per esempio sarà possibile utilizzare Power Point o Prezi; il video inoltre potrà
includere le spiegazioni orali del docente che può apparire sullo schermo alternandosi alle slide e potrà essere sottoti-
tolato.
Riferimenti bibliografici
Balboni P.E., 2012, Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse, Torino, Utet
Università
Balboni P.E., 1999, Dizionario di glottodidattica, Perugia, Guerra-Soleil
Balboni P.E., Margiotta U. (a cura di), 2008, Formare online i docenti di lingue e italiano L2,
Torino, Utet Università
Calvani A., Costruttivismo, progettazione didattica e tecnologie, https://goo.gl/NpR6RS
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Parte III - Capitolo 15
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Insegnare
la grammatica