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Parte I - Capitolo 1

Ins e g n a re
g ra m m a t i c a
la
Collana Al servizio degli insegnanti
a cura di
Telis Marin

Collana ad accesso gratuito


per gli insegnanti di italiano a stranieri
Collana Al servizio degli insegnanti
Collana ad accesso gratuito per gli insegnanti di italiano a stranieri
Questo volume, curato da Telis Marin e Paolo E. Balboni (III parte) è stato realizzato dai seguenti
autori:
Paolo E. Balboni
Daniele Baldassarri
Antonella Benucci
Daniela Corzuol
Michele Daloiso
Silvia Gilardoni
Giorgio Graffi
Gonzalo Jiménez
Matteo La Grassa
Maria Cecilia Luise
Giuseppe Maugeri
Ernesto Nàbboli
Maria Piscitelli
Graziano Serragiotto
Sara Servetti
Donatella Troncarelli
Giulia Tardi

© Copyright edizioni Edilingua Grazie all’adozione di


questo libro, Edilingua
Sede legale adotta a distanza dei
Via Giuseppe Lazzati, 185 00166 Roma bambini che vivono in
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Tel. +30 210 5733900
Fax +30 210 5758903 Stampato su carta
priva di acidi,
proveniente da
foreste controllate.
I edizione: dicembre 2021
ISBN: 978-88-31496-30-8
Redazione: Antonio Bidetti, Laura Piccolo
Impaginazione e progetto grafico: Edilingua

Ringraziamo sin d’ora i lettori e i colleghi che volessero farci pervenire eventuali suggerimenti, segnalazioni
e commenti sull’opera (da inviare a redazione@edilingua.it).
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Introduzione

Introduzione alla Collana Al servizio degli insegnanti


di Telis Marin

Da decenni Edilingua produce materiali per l’insegnamento dell’italiano, ed è questa parte


della sua attività che l’ha resa una presenza significativa nel mondo della glottodidattica
dedicata alla nostra lingua.
Da altrettanti anni Edilingua si occupa anche di formazione degli insegnanti, attravero
a. la collana Formazione, in cui sono comparsi 7 volumi di riflessione glottodidattica;
b. la collana dedicata alla DITALS, la certificazione didattica diretta da una personalità
dell’italianistica, Pierangela Diadori, che collabora con Edilingua anche come autrice;
c. la rivista Italiano a stranieri, che viene inviata gratuitamente agli insegnanti che ne fan-
no richiesta e che è disponibile in Pdf sul sito Edilingua tra i materiali per la formazione
dei docenti.
Con questa nuova collana Edilingua compie uno sforzo ulteriore, offre gratuitamente agli
insegnanti di italiano una serie di volumi di autoformazione pensati specificamente per gli
insegnanti, non per il mondo accademico o per i centri di ricerca, manuali in cui gli inse-
gnanti possono trovare:
a. alcuni saggi che delineano le coordinate concettuali relative al tema del volume;
b. alcuni interventi di carattere operativo, pensati per una applicazione diretta in classe;
c. una guida bibliografica in cui sono evidenziati gli studi accessibili gratuitamente;
d. una antologia di scritti sul tema del volume apparsi in riviste e libri, regalati a questa
collana dagli autori e dagli editori, che ringraziamo per essersi messi, insieme a noi, Al
servizio degli insegnanti.

Volumi realizzati:
- Insegnare la Civiltà italiana con la ‘C’ maiuscola (2020)
- Insegnare la grammatica (2021)

Volumi in progetto o in via di realizzazione:


- Insegnare il lessico
- Se non si capisce non si impara: sviluppare la comprensione in classe
- L’insegnante di qualità: come può formarsi e autoformarsi
- Valutare la competenza, analizzare e correggere gli errori

Insegnare la grammatica 3
Indice
Introduzione alla Collana Al servizio degli insegnanti 3

Indice 4

Introduzione - Che cosa intendiamo con ‘grammatica’


e con ‘insegnamento della grammatica’ (Telis Marin) 7

Parte I - I concetti 9
1. Com’è stata insegnata la grammatica, come potrebbe essere insegnata
(Paolo E. Balboni) 11
2. Riflessioni sulle grammatiche pedagogiche di italiano L2
(Matteo La Grassa, Donatella Troncarelli) 20
3. Tra comunicazione e grammatica: focus on form nell’insegnamento
di italiano a stranieri
(Maria Cecilia Luise, Giulia Tardi) 30
Approfondimenti bibliografici 38

Parte II - Le attività 43
4. Costruire il materiale didattico per l’apprendimento delle seconde lingue
(Daniele Baldassarri) 45
5. Attività ludiche per l’insegnamento della grammatica
(Ernesto Nàbboli) 55
6. La grammatica con i bambini: alcune idee per l’esplorazione e il gioco
(Sara Servetti) 60
7. La valutazione della competenza grammaticale
(Giuseppe Maugeri, Graziano Serragiotto) 73

4
Indice

Parte III - Antologia (a cura di Paolo E. Balboni) 81


8. ‘Grammatica’ e ‘grammatiche’ per la lingua italiana a stranieri
(Antonella Benucci) 83
9. La riflessione grammaticale nei recenti manuali didattici per
l’insegnamento dell’italiano L2
(Donatella Troncarelli) 93
10. “Quando la grammatica è una canzone dolce...”
Per una grammatica educativa
(Maria Piscitelli) 101
11. Bisogni Linguistici Specifici e apprendimento della grammatica.
Il potenziale glottodidattico della Linguistica Cognitiva
(Michele Daloiso, Gonzalo Jiménez Pascual) 113
12. Il modello della grammatica valenziale per l’italiano L2.
Una sperimentazione in atto in contesto scolastico
(Silvia Gilardoni, Daniela Corzuol) 130
13. Teorie linguistiche e insegnamento della grammatica
(Giorgio Graffi) 143
14. La rappresentazione linguistica della conoscenza
(Daniele Baldassarri) 157
15. Il ruolo delle tecnologie educative nella didattica
della grammatica in italiano L2
(Matteo La Grassa) 165

Insegnare la grammatica 5
Introduzione

Introduzione
di Telis Marin

Che cosa intendiamo con ‘grammatica’ e con ‘insegnamento della grammatica’.


Da mezzo secolo viviamo nella logica dell’approccio comunicativo, in cui il primato viene
dato alla valenza comunicativa della lingua – primato che alcuni insegnanti, soprattutto
quelli che provengono dall’insegnamento della lingua inglese, hanno interpretato come
riduzione del ruolo della grammatica. La maggioranza degli insegnanti sono invece ancora
convinti, nella prassi didattica se non nelle parole, che la correttezza grammaticale abbia
un’importanza pari all’efficacia comunicativa e che la struttura grammaticale sia la base
irrinunciabile della competenza in una lingua, identificando di fatto la competenza comu-
nicativa con quella linguistica, che invece ne è solo una parte.
Negli ultimi anni tuttavia è stata trovata una forma di equilibrio, che si vede dal fatto che
l’editoria specializzata nei materiali di italiano per stranieri affianca ormai sistematicamen-
te manuali di lingua, a forte impianto funzionale, pragmatico e di sviluppo delle abilità lin-
guistiche, e ‘grammatiche’, termine che include una varietà di progetti, dalla grammatica
di riferimento, quasi un dizionario di morfosintassi, ortografia, testualità in cui andare a
cercare le ‘regole’ linguistiche, alle grammatiche-eserciziario, in cui a una concisa enun-
ciazione grammaticale si affianca una nutrita batteria di esercizi applicativi; tra questi due
estremi, un’ampia gamma di diversi bilanciamenti tra il polo ‘riferimento’ e quello ‘eser-
ciziario’.
In questo volume abbiamo voluto riflettere, come casa editrice, sulla natura dei volumi di
‘grammatica dell’italiano’ e condividere con gli insegnanti questa riflessione per aiutarli a
formarsi una loro opinione che li guidi nella scelta del tipo di manuale grammaticale da
utilizzare con i propri studenti.
L’abbiamo fatto con una breve selezione di articoli teorici e operativi, appositamente ri-
chiesti agli autori per questo volume, e con un’antologia di riflessioni significative tratte da
volumi e riviste, per gentile concessione degli autori e degli editori.

Insegnare la grammatica 7
PARTE I

I CONCETTI
Parte I - Capitolo 1

1. Com’è stata insegnata la grammatica, come potrebbe


essere insegnata
Paolo E. Balboni
Centro di Ricerca sulla Didattica delle Lingue, Università Ca’ Foscari, Venezia

Fino agli anni Settanta non c’erano dubbi e problemi, quindi la vita degli autori di materiali
e quella degli insegnanti che li usavano (anche per vent’anni di seguito) era semplice, la
strada era chiara, la gerarchia era ben stabilita la grammatica era l’asse portante dell’in-
segnamento, cui si aggiungevano pronuncia e ortografia all’inizio, lessico durante tutto il
corso, letture di cultura e civiltà e qualche testo letterario qua e là.
Dagli anni Ottanta il mondo ben ordinato che ruotava intorno alle regole e alle eccezioni
(questa era l’idea di ‘grammatica’) è andato in crisi quando sono comparse le ‘situazioni’
imperniate su un dialogo, perché i manuali organizzavano la grammatica su quello che
compare nel dialogo e non su una progressione ereditata dalla tradizione.
Nel 1982 e poi nel 1986 compare il Livello soglia dell’italiano, che importa anche nell’inse-
gnamento della nostra lingua l’organizzazione dei contenuti basata sulla pragmatica, cioè
sugli atti comunicativi (“salutare”, “ringraziare”, ecc.) e mette la grammatica al servizio
della comunicazione.
Ci sono poi voluti 20-30 anni e adesso abbiamo raggiunto, nelle case editrici così come
nelle aule, un equilibrio tra comunicazione e grammatica – ma l’uso massiccio degli ausi-
lii tecnologici e la tendenza inarrestabile verso l’autoformazione e il rovesciamento della
proporzione tra insegnamento frontale e approfondimento domestico (flipped learning)
sta mettendo in moto una nuova fase, un’evoluzione che si intravede già se si osserva con
attenzione quel che avviene e se si conosce la storia dell’insegnamento della grammatica
– perché si tratta di un’evoluzione teorizzata già all’inizio del Novecento.
Cerchiamo quindi di capire da dove veniamo (ci sono troppi falsi miti sul ruolo della gram-
matica nel passato) e dove stiamo andando.

1.1. La sindrome del pendolo


La ‘sindrome del pendolo’ è una metafora degli anni Settanta che interpreta la storia
dell’insegnamento linguistico come una dialettica tra uso e analisi della lingua e sostiene
che nella storia il pendolo ha, periodo dopo periodo, privilegiato l’uno o l’altra.
Che natura e che ruolo ha avuto la ‘grammatica’ (intesa, per il momento, come analisi del-
la lingua) mano a mano che il pendolo della linguistica educativa oscillava tra i due poli? E
che ruolo ha nella presente stagione?
Il pendolo degli antichi – assiri, babilonesi, egizi, greci, latini – segnava stabilmente la pre-
valenza dell’uso, dell’oralità, dell’efficacia pragmatica; per le comunicazioni scritte si usa-
vano anche brevi testi scritti, di solito costruiti sulla base di strutture retoriche condivise,
quelle che oggi chiameremmo templates: ce ne sono fin dalle tavolette di creta dei tempi
di Hammurabi. A Roma le classi sociali alte volevano che i figli fossero fluenti in greco, lin-

Insegnare la grammatica 11
gua di prestigio e di cultura, e quindi chiedevano al pedagogus greco di applicare una for-
ma di CLIL ante litteram, insegnando in greco la filosofia, le scienze, e soprattutto Omero,
punto di riferimento dell’animo ‘nobile’, e assumevano anche un grammaticus, incaricato
del perfezionamento formale, che però aveva un ruolo subalterno: l’uso del pedagogo
prevaleva sull’analisi del grammatico.
La focalizzazione sull’uso, senza grammatica, da parte di viaggiatori, commercianti, avven-
turieri militari dura fino a tutto il Medioevo e si applica al latino come lingua franca: non
viene insegnato sistematicamente ma viene acquisito attraverso l’uso, senza supporto di
analisi, a differenza del latino degli umanisti, dove la ‘grammatica’ che garantisce perfezio-
ne formale è essenziale non solo per la riuscita stilistica ma per la stessa credibilità dell’au-
tore. Gli umanisti sono pochissimi ma scrivono e quindi abbiamo le loro testimonianze,
mentre gli utenti del latino lingua franca sono milioni, ma senza eredità scritta...
Nel Quattro-Cinquecento il latino lingua seconda, quindi lingua viva nel contesto degli
intellettuali, scompare: come osserva Martin Lutero, il basso clero ormai non sa più il
latino e usa i volgari, le lingue del volgo, ma l’intelligentzia continua a usare come lingua
della globalizzazione scientifica e filosofica un latino cristallizzato nelle forme e negli stile-
mi classici, il cui insegnamento privilegia fortemente l’analisi. Ma in quegli anni di boom
economico hanno bisogno di conoscere le lingue anche classi socio-economiche che non
mirano all’otium culturale o religioso ma al negotium, le attività che negano l’ozio dei
nobili e dei chierici: mercanti, soldati di ventura, personale impiegato nella navigazione
e nei porti, imprenditori, banchieri. L’insegnamento delle lingue si differenzia dunque a
seconda delle classi sociali:
a. da un lato nasce una classe di insegnanti di ‘lingue moderne’ composta per la maggior
parte da praticoni senza altra competenza che non sia quella del bilinguismo associata
a una spontanea attenzione didattica, interessati solo all’uso e all’efficacia pragmatica
e totalmente disinteressati, per non dire alieni, all’idea di grammatica;
b. dall’altro, intellettuali come Claudius Holyband o come John Florio che ‘nobilitano’ il
loro lavoro di insegnanti di lingue ‘volgari’, seguendo lo stesso approccio glottodidat-
tico dei colleghi che insegnano latino: nasce così l’approccio grammatico-traduttivo.
In questo panorama, per il momento, ha poco impatto la prima grande opera di linguistica
educativa della storia, Ianua linguarum reserata aurea (1631) di Comenio, secondo cui
omnis lingua usus potius discatur quam praeceptis, ogni lingua deve essere appresa trami-
te l’uso piuttosto che con le regole. E il panorama non cambia fino alla metà dell’Ottocen-
to, se non per il fatto che la grammatica (intesa come orto-calligrafia, morfologia, sintassi)
viene concepita non solo come strumento di analisi della lingua, ma anche (soprattutto?)
come strumento per ‘forgiare il carattere’, per instillare l’idea che il mancato rispetto delle
regole sia aberrante. In Italia i licei degli Scolopi, dei Barnabiti e dei Gesuiti formano la
classe dirigente del Risorgimento procedendo su questa linea, e anche i licei della riforma
Gentile proseguono nell’alveo grammatico-traduttivo (un approfondimento sul tema può
essere trovato nella nostra Storia dell’educazione linguistica in Italia del 2009).

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Parte I - Capitolo 1

1.2. L’inizio della rivoluzione


Nell’Ottocento e nel primo Novecento in Italia la grammatica continua ad essere il cardine
glottodidattico, ma nel mondo le cose cambiano mano a mano che la seconda rivoluzione
industriale aumenta l’interscambio commerciale, che il colonialismo unifica amministra-
zioni e mercati, che l’emigrazione nell’America del Nord rende necessaria l’integrazione
linguistica: il pendolo inizia quindi una sostanziale oscillazione dall’analisi, dalla gramma-
tica, all’uso, riprendendo con 250 anni di ritardo il percorso indicato da Comenio e citato
nel paragrafo precedente.
Il Reform Movement riesce a leggere lo spirito dei tempi, la necessità di insegnare le
langues vivantes, come le chiamano i francesi, e di insegnarle in maniera viva, partendo
dall’uso, seguendo percorsi ‘naturali’ e ‘diretti’ (e questi aggettivi che qualificano metodi
del secondo Ottocento torneranno negli anni Settanta-Ottanta del Novecento, quando
verrà generalizzata la focalizzazione sull’uso).
Nel 1829 Longfellow, il primo traduttore di Dante in inglese, inizia a insegnare lingue ro-
manze privilegiando l’oralità e questo avviene in un tempio sacro come Harvard – univer-
sità in cui negli stessi anni il pedagogista Ticknor fa una ricerca sui language needs come
base per l’organizzazione di un corso.
In Francia Gouin sostiene la priorità dell’orale e la necessità di docenti fluenti che insegni-
no agli allievi a immergersi nella lingua, a cercare di capire comunque quel che viene det-
to; Gouin viene contestato dall’establishment fedele all’approccio grammatico-traduttivo,
per cui va a insegnare a Berlino e le prime ‘écoles Gouin’ vengono fondate in Germania e
in Inghilterra.
Nel 1878 Berlitz apre la sua prima scuola in Rhode Island e la sua catena approda in Europa
rapidamente 10 anni dopo, indicando la presenza di un bisogno diffuso. La grammatica
nell’approccio ‘diretto’ di Berlitz è un punto d’arrivo: è utile e necessaria, ma il suo ruolo è
secondario rispetto a quello dell’uso, e il percorso è prevalentemente induttivo. Il pendolo
internazionale quindi compie l’oscillazione completa dall’analisi all’uso in alcune universi-
tà e scuole private, mentre la grande maggioranza dell’insegnamento, che è accademico e
scolastico, rimane formalistico.
Nel 1899 appare il primo testo di glottodidattica moderno, The Practical Study of Lan-
guages dell’inglese Sweet, che anticipa gli approcci audio-orali. L’oralità è al centro anche
della proposta di Jespersen: vuole che lo studente, sotto la guida dell’insegnante ma in
prima persona, scopra la grammatica in campioni di lingua presentata in contesti dotati
di significato: la definisce inventional grammar (dal latino invenire, scoprire), frutto di un
percorso induttivo che parte dall’uso per approdare all’analisi; l’idea è realizzata all’U-
niversità di Copenhagen e nelle università dove insegnano gli allievi di Jespersen, ma è
talmente avanzata per i tempi che viene pubblicata solo dopo la sua morte (How to Teach
a Foreign Language, 1941) e sta forse iniziando a trovare spazio nell’editoria e nell’inse-
gnamento solo oggi, ancorché in modo timido e non sistematico.
L’ultimo protagonista del Reform Movement è Parmer, che nel 1917 scrive The Scientific
Study and Teaching of Language, seguito 4 anni dopo da The Principles of Language-Stu-
dy: The Oral Method of Teaching Languages: dopo il metodo naturale e quello diretto,
l’etichetta usata da Palmer indica il terzo elemento caratterizzante di questi movimenti,

Insegnare la grammatica 13
l’oralità. Gouin, Jespersen, Sweet, Palmer sono linguisti, scrivono grammatiche scientifi-
che, ma nell’insegnamento privilegiano il percorso ‘naturale’, ‘diretto’ che parte dall’uso
‘orale’ per scoprire la grammatica.
I protagonisti del Reform Movement e dei convegni di Vienna (1889) e Lipsia (1900) in-
segnano in alcune prestigiose università ma, come abbiamo detto, nei sistemi scolastici
l’approccio grammatico-traduttivo continua a regnare sovrano almeno per tre quarti di
secolo.
L’Italia è tagliata fuori da queste innovazioni: La canzone del Piave recita “non passa lo
stranier”, dove ‘straniero’ è sinonimo di ‘nemico’; il Ministro Bottai negli anni Trenta toglie
le lingue dai programmi scolastici e chiude perfino le scuole private di lingue... Chi ha as-
soluta necessità di lingue straniere usa il Reading Method, che non richiede un insegnante
fluente nella lingua orale, lavora molto sul lessico e insegna la grammatica di base, neces-
saria per la lettura, rimandando per il resto a ‘dizionari’ grammaticali, le grammatiche di
riferimento.
Gli Stati Uniti entrano in guerra alla fine del 1941 e scoprono, dopo 20 anni di isolazioni-
smo e di Reading Method, che è fondamentale saper usare la lingua orale: nel 1943 viene
lanciato l’Army Specialized Training Program, in cui i militari frequentano 12 ore setti-
manali di ‘conversazione’ (eredità del Reform Movement), 12 di riflessione grammaticale
(non solo morfosintattica ma anche sociolinguistica, termine non ancora coniato) e 12 ore
di area studies, in cui la cultura quotidiana viene presentata ricorrendo anche a film, can-
zoni, narrativa, racconti di esperienze dirette, ecc. Il pendolo raggiunge un equilibrio. (Per
approfondimenti: Howat, Widdowson 20042; Milani, Finazzi 2004; Balboni 2009; Palermo,
Poggiogalli 2010; Wheeler 2013; Ricucci 2014).

1.3. La rivoluzione copernicana


All’inizio degli anni Settanta J.L.M. Trim in Europa e Hymes e Sauvignon in America cam-
biano le regole del gioco, allargano l’idea di ‘grammatica’: mentre la linguistica teorica si
raccoglie intorno a Chomsky, la linguistica educativa scopre il plurale, ‘grammatiche’, ap-
plicando questo termine a tutti i codici e i sistemi di ‘regole’ coinvolti nella comunicazione
autentica.
Dal 1967 Trim guida il Modern Language Project del Consiglio d’Europa che produce i Li-
velli Soglia (oggi sono 23), cioè liste di atti comunicativi in cui le grammatiche (linguistiche,
sociolinguistiche, nozionali) non sono importanti per sé ma perché servono per realizzare
gli atti comunicativi (o functions, come dicono gli inglesi). Nel MLP e nella sua evoluzione,
il Quadro Comune, l’uso prevale assolutamente sull’analisi: le certificazioni linguistiche,
anche se sono chiamate certificazioni di competenza, in realtà sono certificazioni di per-
formance, di capacità di uso (Balboni 2018) e solo in alcuni casi si occupano di correttezza
formale, privilegiando l’efficacia pragmatica.
Cinque anni dopo l’avvio del Modern Language Project, Hymes pubblica un saggio in cui
usa l’espressione ‘competenza comunicativa’ come espansione della (e contrasto alla)
‘competenza linguistica’ di Chomsky. L’espressione ‘competenza’ rimanda a una dimen-
sione mentale, cioè a una serie di grammatiche linguistiche (fonologica, grafemica, morfo-

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Parte I - Capitolo 1

logica, sintattica, testuale, semantica), ma anche alle grammatiche non verbali (cinesica,
prossemica, oggettemica) e a quelle socio-pragmatiche e (inter)culturali che regolano l’u-
so della lingua negli eventi comunicativi.
Allo stato attuale il pendolo è decisamente (e forse definitivamente) orientato sul versan-
te uso, come lo era stato per millenni, dall’antichità al Rinascimento (sulla ‘sindrome del
pendolo’ un approfondimento possibile è in Balboni 2019).

1.4. La quiete dopo la tempesta


Abbiamo detto in apertura che dopo la rivoluzione copernicana del secondo Novecento gli
autori di manuali, i progettisti di corsi e gli insegnanti direttamente impegnati a contatto
con gli studenti hanno trovato, nel XXI secolo, un momento quasi leopardiano di “quiete
dopo la tempesta”. Ma Leopardi, pochi anni dopo quell’idillio, vive direttamente l’espe-
rienza dell’eruzione del Vesuvio, alla quale solo le ginestre, simbolo della natura insensibi-
le, non prestano attenzione.
Come si è realizzata la quiete dopo la tempesta copernicana del secondo Novecento?
E quale è l’eruzione che rumoreggia e fa vibrare il vulcano dell’insegnamento dell’italiano?
È quanto cerchiamo di vedere in questi due paragrafi, iniziando qui dalla quiete, dall’equi-
librio che oggi è presente sia all’interno dei manuali, sia nell’offerta editoriale complessiva.

1.4.1. La grammatica nei manuali


A cavallo tra XX e XXI secolo i manuali erano polarizzati in due gruppi: quelli che tendevano
ad offrire la grammatica minima, essenziale per realizzare gli atti comunicativi, e quelli che
partivano dal dialogo e dagli atti comunicativi e poi passavano rapidamente alla presenta-
zione grammaticale con uno sforzo di completezza o, almeno, di vastità nella trattazione,
spesso raccolte in complesse sezioni di grammatica a fine volume.
Con il passare degli anni le due posizioni si sono progressivamente avvicinate: dall’A1,
dove la grammatica formale è davvero assai ridotta, progredendo verso il B2, generalmen-
te il limite più alto raggiunto in molte proposte editoriali, la grammatica viene ripresa a
spirale ed allargata ma non mira più a sistematizzazioni esaustive e per quanto possibile
complete, relegate ai pochi manuali per C1-2.
L’elemento chiave è l’espressione a spirale che abbiamo evidenziato sopra: mentre negli
anni Novanta gli autori di manuali e gli insegnanti che li adottavano vedevano ancora ogni
livello come un corso autonomo, completo, per cui o stipavano tutta la grammatica possi-
bile o ci rinunciavano direttamente, negli anni Duemila è maturata la consapevolezza che
ogni tema morfologico, sintattico, testuale viene ripreso livello dopo livello, a spirale, per
cui si può procedere ad una costruzione equilibrata che ha quattro tempi successivi da A1
a B2 e che non deve raggiungere la completezza al livello B2 ma a quello C2. Una ricerca
di Słapek (2018) mostra che gli ambiti morfosintattici in cui la completezza viene rinviata
sono soprattutto il sistema verbale del passato e dei modi dell’incertezza e i pronomi re-
lativi e indefiniti, ma a questi aggiungiamo anche l’uso complesso delle preposizioni e la

Insegnare la grammatica 15
riflessione ampia di tipo sociolinguistico.
Riprendendo la metafora del pendolo tra uso e analisi, tra comunicazione e grammatica,
possiamo quindi dire che nella manualistica attuale l’uso prevale come finalità e la gram-
matica viene curata come strumento indispensabile ma non prioritario, ruolo che sta con-
tendendosi con il lavoro sul lessico, che sempre più autori e insegnanti vedono come pari
o preponderante rispetto alla grammatica.

1.4.2. I manuali di grammatica


Per gli studenti che vogliono semplicemente comunicare in italiano per turismo, per pas-
sione, per lavoro, la grammatica presente nei manuali è sufficiente. Ma lo studente che
vuole qualcosa di più ha bisogno di un punto d’appoggio ulteriore: ecco nascere quindi
sia gli innumerevoli siti di riferimento grammaticale (è sufficiente googlare grammatica
italiano stranieri e compaiono siti su siti sul tema) sia le grammatiche di riferimento che
oggi sono presenti in tutti i cataloghi delle principali case editrici.
Abbiamo notato sopra che il Reading Method aveva puntato molto su questa tipologia di
materiale didattico: l’idea di fondo è che quando ha dubbi o problemi il lettore, nel Rea-
ding Method, o lo studente nei corsi di oggi si rivolgono a un dizionario grammaticale che
elenca, di solito con parametri tradizionali(articolo, nome, ecc.) le ‘regole’ e le ‘eccezioni’.
In realtà sotto la voce ‘manuale di grammatica’ si trovano strumenti assai differenti, dal
puro riferimento grammaticale, spesso estremamente dettagliato e completo, a degli
eserciziari che a fronte di una sintesi schematica offrono molte attività di reimpiego, di
solito della tipologia ‘volgi al ... le seguenti frasi’ a ‘inserisci in queste frasi ...”, a compendi
più complessi che legano la morfologia e la sintassi agli atti comunicativi, che tengono in
conto i diversi registri e le varietà geografiche, di età, a cenni di grammatica valenziale ecc.
Ci sono quindi impianti teorici diversificatissimi alla base di questa categoria editoriale,
ma queste grammatiche hanno un tratto comune: sono grammatiche ‘complete’ fino al
livello B2, cioè includono i contenuti che i sillabi degli enti certificatori italiani e quelli di
riferimento per le case editrici considerano pertinenti ad A1-B2, dove lo studente trova
ben sistematizzato il problema cui vuole risposta.
Le grammatiche con molti esercizi applicativi rispondono al bisogno di autonomia da parte
degli studenti, e dal punto di vista di principio non c’è differenza tra grammatiche di con-
sultazione e di esercitazione su carta oppure online, se non per il fatto che le prime sono
ancora percepite come più amichevoli (si può sottolineare, chiosare, evidenziare, perso-
nalizzare: e lo studente autonomo vuole personalizzare i suoi strumenti) anche se è più
semplice segnalare eventuali errori in modo automatizzato sul computer che ricorrendo
alle soluzioni stampate in calce alla pagina, che devono essere cercate volontariamente
dallo studente.

1.5. Cosa appare all’orizzonte


Ci sono due elementi chiave che, per continuare nella citazione leopardiana, agitano il Ve-
suvio della didattica dell’italiano a stranieri e, più in generale, della didattica delle lingue:

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Parte I - Capitolo 1

le tecnologie glottodidattiche e l’autonomia dello studente, cui abbiamo già fatto cenno
nella conclusione del paragrafo precedente.
On line si trovano grammatiche ed eserciziari a non finire, non sempre raccomandabili
perché talvolta sono il frutto di tanta buona volontà ma anche di tanto dilettantismo. Ma
questa è la versione ‘vecchia’ del mondo online: il Vesuvio grammaticale trema perché
sempre più spesso c’è un’interattività studente-macchina che tende ad escludere la sa-
piente regia del docente che guida, che funge, per dirla con Bruner, da Language Acqui-
sition Support System, cioè a realizzare una forma estrema di autonomia destinata, per
mancanza di esperienza e competenza degli studenti, alla delusione e al naufragio. La
crescente domanda di autonomia degli studenti, assume due forme:
a. da un lato si impone sempre di più una logica da flipped classroom, in cui lo studente
autonomamente sistematizza quanto ha esperito, ha toccato con mano durante le le-
zioni in aula e in gruppo;
b. all’altro è in atto una tendenza a corsi sempre più ridotti in termini di ore settimanali
(costano troppo alla scuola, richiedono un alto costo umano e sociale, oltre che econo-
mico, agli studenti soprattutto adulti) per cui alcune ore in aula vengono sostituite da
attività autonome – e l’aspetto più semplice da gestire in autoformazione è la gramma-
tica, sia come spiegazione sia come attività di fissazione e di reimpiego.

In entrambi i casi è presupposta la presenza di un docente nella fase in aula, ma la sua


funzione di regista, di guida, di tutor viene messa in difficoltà dalla struttura attuale delle
grammatiche di riferimento (ed eventualmente anche di esercitazione) cartacee o online:
l’insegnante non può che assegnare il compito in termini di “studiate la differenza tra per-
fetto e imperfetto a pagina 56 della grammatica e fate gli esercizi della pagina 57”.
È una semplice delocalizzazione del luogo in cui avviene la sistematizzazione delle ‘regole’:
anziché con un lavoro collettivo alla lavagna o sul manuale di lingua, in un lavoro autono-
mo nel luogo e nel tempo di esecuzione, ma sempre guidato dal manuale di grammatica.
La domanda di autonomia tuttavia ha anche una dimensione diversa da quella dei punti
‘a’ e ‘b’, sopra:
a. l’autonomia nella gestione delle regole di funzionamento di un cellulare, di un’apparec-
chiatura, di una ricetta è pervasiva e crescente: non si ha né voglia né tempo di usare
il manuale di istruzioni o il ricettario, vi si ricorre solo quando non si capisce qualcosa
intuitivamente e induttivamente, basandosi sulla propria esperienza di cellulari, di ap-
parecchiature, di preparazione di cibi.
b. c’è un forte desiderio di autonomia anche in ambiti meno operativi: i cittadini non
accettano più le idee e le proposte pre-confezionate dai partiti, vogliono pensare con
la loro testa, votano in maniera imprevedibile per i sondaggi proprio perché autono-
mamente decidono, magari all’ultimo minuto, per chi votare; e i lettori non acquistano
libri perché sostenuti dai pareri dei critici, né evitano certi libri perché condannati da
critici: l’epopea editoriale di Camilleri e di molta giallistica italiana ben dimostra che il
lettore è sempre più autonomo nelle sue scelte.
In altre parole: l’autonomia sta diventando uno stile di pensiero e di vita.

Insegnare la grammatica 17
È forse giunto, quindi, il momento di riprendere la inventional grammar di Jespersen che
abbiamo citato parlando del Reform Movement: anziché affidare all’attività autonoma
solo le esercitazioni, di qualunque natura esse siano, il grande salto di qualità, la vera
eruzione del Vesuvio della grammatica, può essere quella di affidare al desiderio di auto-
nomia la sistematizzazione grammaticale.
Ne abbiamo offerto un esempio nei materiali online legati a due dei miei manuali di italia-
no per stranieri, ma sono ancora sperimentazioni semplici, a livello A1-2, anche se in nuce
realizzano ciò di cui stiamo parlando: un file word con una guida grammaticale in cui gli
schemi sono da compilare, e lo stesso file, ma in pdf, con gli schemi compilati, per avere
una possibilità di riscontro e di eventuale autocorrezione. Allo stato è già una rivoluzione,
pur nella sua semplicità, ma si tratta di materiale supplementare, aggiuntivo, opzionale, e
sono tre aggettivi che certo non spingono gli studenti ad esplorarli e che spesso gli stessi
insegnanti vedono con un certo distacco.
Una prospettiva nuova potrebbe essere quella di abbandonare il supporto tecnologico:
una grammatica di riferimento – completa o fai-da-te che essa sia – è ancora percepita
come uno strumento di carta, da avere sul tavolo insieme al manuale di italiano, e cui
ricorrere quando si sta scrivendo, a mano o su schermo.
Per il resto, il taglio giusto è quello di trasformare la consultazione in qualcosa di più im-
pegnativo e sfidante: proporre attività di completamento, di sistematizzazione prima della
consultazione: mentre si sistematizza, cioè mentre si completano gli schemi vuoti (sapen-
do che in appendice o in calce c’è lo schema completo, cui fare riferimento in casi di dub-
bio o di difficoltà) si apprende e quindi non serve quasi più consultare la grammatica per
avere le risposte di cui si ha bisogno.
La progettazione di una grammatica di questo tipo pone alcuni problemi
a. concettuali: quanto e come guidare lo studente ad intuire le strutture grammaticali
dagli esempi che gli vengono forniti? Il procedimento è facile fin quando si tratta di
completare lo schema degli articoli determinativi, molto meno quando si tratta del
sistema verbale ed avverbiale nel passaggio dal discorso diretto al discorso indiretto...;
b. organizzativo: come segnalare, anche graficamente, i meccanismi grammaticali perti-
nenti a un livello A1-2 rispetto a quelli per il livello B1-2? Che ruolo e, data la comples-
sità, che forma dare al perfezionamento dei dettagli grammaticali di livello C1-2?;
c. come e dove offrire gli schemi completi per una verifica di quanto ipotizzato e per
un’eventuale aiuto di fronte a lacune o a difficoltà nella comprensione autonoma dei
meccanismi?
In altre parole, una grammatica di questo tipo, che valorizza l’autonomia e l’intelligenza
induttiva dello studente, deve assumere anche il ruolo che in classe è proprio del docente,
deve guidare alla scoperta senza trasmettere le soluzioni immediatamente, deve sorreg-
gere di fronte alla difficoltà ma deve stimolare a ricorrere all’aiuto solo in casi in cui dav-
vero lo studente non sappia come uscire da un’impasse. Se però l’insegnante già in classe
utilizza spesso un metodo induttivo e aiuta a generare schemi alla lavagna, lavorando tutti
insieme, il compito della gestione autonoma della grammatica fai-da-te risulterà enorme-
mente facilitato.
Questa è una rivoluzione in fieri, che scuoterà dalle fondamenta la nostra concezione di

18
Parte I - Capitolo 1

grammatica come qualcosa che l’insegnante sa, che l’allievo non sa, che il primo la tra-
smette al secondo con schemi chiarificatori (che sono tali, talvolta, solo per il docente che
li fa alla lavagna...).
Al momento l’editoria e i corsi stanno cominciando ad aprirsi a queste metodologie au-
tonome che chiedono molta responsabilità da parte dello studente – ma lo studente di
italiano è di solito molto responsabile, ha scelto di studiare italiano, non è stato obbligato
a farlo, e quindi la sua responsabilità può essere data per assodata. Come sostenere la sua
motivazione e guidarlo sono problemi ancora senza risposta, ma le risposte arriveranno
perché il meccanismo del futuro della didattica della grammatica si è già messo in moto
da un secolo, da quando Jesperen coniò la locuzione inventional grammar, grammatica da
scoprire. C’è voluto un secolo, ma stiamo arrivandoci anche noi.

Riferimenti bibliografici
Non riprendiamo qui, per non appesantire inutilmente il volume, i molti testi che sono stati
inclusi negli Approfondimenti bibliografici alla fine della Prima Parte del volume stesso. Inse-
riamo quindi solo le opere citate nel saggio.
Balboni P.E, 2009, Storia dell’educazione linguistica in Italia. Dalla Legge Casati alla Riforma
Gelmini, Torino, Utet Università
Balboni P.E, 2018, A Theoretical Framework for Language Education and Teaching, Newcastle
Upon Tyne, Cambridge Scholars
Balboni P.E., 2019, “La grammatica e la sindrome del pendolo”, in Costellazioni, n. 4, Roma,
Pagine Editore
Howatt a.P.R., Widdowson H.G., 2004, A History of English Language Teaching, Oxford, OUP
Milani C., Finazzi R.B. (a cura di), 2004, Per una storia della grammatica in Europa, Milano, ISU
Palermo M., Poggiogalli D., 2010, Grammatiche di italiano per stranieri dal ’500 a oggi. Pro-
filo storico e antologia, Pisa, Pacini
Ricucci M., 2014, Storia della glottodidattica, Roma, Armando
Słapek D., 2018, “Incompletezza delle grammatiche didattiche della lingua italiana: un’analisi
confrontativa”, in Rassegna Italiana di Linguistica Applicata, RILA, n. 1, Roma, Bulzoni
Wheeler G., 2013, Language Teaching Through the Ages, London, Routledge.

Insegnare la grammatica 19
2. Riflessioni sulle grammatiche pedagogiche di italiano L21
Matteo La Grassa, Donatella Troncarelli

Insieme all’insegnamento del lessico, l’insegnamento della grammatica continua a restare


saldamente al centro della riflessione glottodidattica e delle proposte metodologiche e
applicative che ne derivano. Pur essendo pressocché tramontata la lunga stagione im-
prontata ad un approccio esclusivamente formalistico2che faceva corrispondere quasi per
intero l’insegnamento della lingua con l’insegnamento delle sue strutture linguistiche, ciò
non di meno le questioni che il docente è chiamato a considerare, relativamente alla di-
dattica della grammatica, sono rilevanti: dal modello linguistico (o dai modelli linguistici)
di riferimento da adottare, all’opportunità di insegnare i tratti usati nel parlato con vari
livelli di formalità (quali, a partire da quale livello, in quale modo etc.), allo spazio da riser-
vare alle varietà regionali e dialettali, specialmente se si insegna italiano come L2 in aree
ad alta densità dialettofona (Santipolo 2002).
Oltre ai manuali didattici che rappresentano uno spazio privilegiato per avere un quadro
dei modi in cui si insegna la grammatica3, una crescente attenzione è stata via via attribui-
ta anche alle grammatiche per stranieri propriamente dette. Queste sono state analizzate
soprattutto in termini diacronici con interesse prevalentemente storico-descrittivo (Mat-
tarucco 2018; Palermo Poggiogalli 2011; Vedovelli 2002) e, meno frequentemente, con
un approccio più strettamente legato alle ricadute sul piano della linguistica educativa
(Troncarelli 2011; Duso 2016).
In questo contributo ci muoveremo proprio in questo ambito, descrivendo il ruolo della
grammatica pedagogica nella didattica dell’italiano L2 e i criteri che dovrebbero carat-
terizzare una grammatica di riferimento per stranieri, differenziandola dalla grammatica
rivolta ad un pubblico di madrelingua.

2.1. Grammatiche per l’apprendimento dell’italiano L2


La promozione della competenza metalinguistica è generalmente realizzata dal docente
attraverso il ricorso a grammatiche pedagogiche o didattiche, cioè a «un insieme varie-
gato ed eclettico di materiali miranti alla comprensione e alla produzione di frasi di una
lingua: regole formali, esercizi, schemi paradigmatici» (Ciliberti 2015:80). Questo insieme
di materiali include, accanto alle spiegazioni in aula e ai materiali grigi a cura del docente,
le sezioni dedicate alla riflessione sulla lingua nei manuali didattici e grammatiche di con-
sultazione, utilizzate per approfondimenti ed esercitazioni o per lo studio autonomo da
1 Il contributo è stato progettato congiuntamente dai due autori. Nello specifico, il paragrafo introduttivo e i paragrafi 2.2,
2.3.1 e 2.3.2 sono da attribuirsi a Matteo La Grassa; i paragrafi 2.1, 2.3.3, 2.3.4 e 2.4 a Donatella Troncarelli.
2 Possiamo sostenere questa affermazione non solo su base impressionistica (la maggior parte degli insegnanti di Italiano
L2 oggi definirebbe il proprio metodo lontano da quello grammaticale-traduttivo), ma anche osservando come viene
trattato l’insegnamento grammaticale all’interno dei manuali di più recente elaborazione (Troncarelli 2016).
3 Ne è prova il fatto che all’interno di tutte le schede di analisi dei manuali (Semplici 2015; Begotti 2004; Mezzadri 2015;
Cortés Velasquez, Faone, Nuzzo 2017; Benucci, Dolci 2006) viene dato notevole spazio alla sezioni dedicate al trattamen-
to della grammatica.

20
Parte I - Capitolo 2

parte dello studente. Si tratta di risorse con caratteristiche diverse, che rinviano a modalità
differenti di affrontare aspetti formali della lingua, alcune dei quali sfuggono ad una analisi
sistematica per la loro occasionalità e deperibilità.
I materiali che ruotano intorno alla presentazione di un testo, come le sezioni di riflessione
sulla lingua contenute nei manuali di italiano L2 di recente pubblicazione, propongono in
larga parte percorsi induttivi in cui lo studente è guidato a notare il funzionamento delle
forme e a svolgere un ruolo attivo nella costruzione delle proprie conoscenze gramma-
ticali. La focalizzazione di aspetti grammaticali segue dunque l’ascolto o la lettura di un
testo che ha lo scopo di porre lo studente di fronte a un modello di lingua in uso (Vedovelli
2010), da cui trarre materiale per formulare generalizzazioni sui meccanismi che gover-
nano la lingua, da verificare e utilizzare nelle attività successive. Lo studente è in questo
modo condotto verso la scoperta e l’esplicitazione della regola che è chiamato a enunciare
o a completare al termine del percorso esplorativo. Nei manuali inoltre, la riflessione sulla
lingua non è circoscritta ai soli fatti morfosintattici, ma include la dimensione lessicale e
quella pragmatica del testo, dato che la competenza grammaticale è una componente
della più ampia e complessa competenza linguistico-comunicativa che comprende anche
le competenze lessicale, funzionale e socio-culturale (Consiglio d’Europa 2002), alle quali
sono dedicati altri percorsi esplorativi. Un altro aspetto che caratterizza le sezioni gram-
maticali dei manuali didattici è il ricorso a schemi ed esempi che riducono fortemente
lo spazio del linguaggio verbale nell’esplicitazione delle regole grammaticali, rendendo
così le spiegazioni facilmente comprensibili o producibili a chi ancora non padroneggia
completamente la lingua di apprendimento ed evitando l’uso di una terminologia tecnica.
Infine, le strutture su cui viene attuata la riflessione non rappresentano l’intero paradig-
ma di una forma ma solo alcune, quelle presenti nel testo input dell’unità o di una sua
sezione poiché le altre diventeranno oggetto di focalizzazione in altre unità. La presenta-
zione di strutture è quindi ripresa in modo ciclico nel corso del volume per sviluppare la
conoscenza di un argomento grammaticale, in relazione alle esigenze e alle modalità di
comunicazione espresse nei testi su cui si centrano le unità, e per promuoverne l’impiego
nell’interazione in L2.
Diversamente, le grammatiche di consultazione o di riferimento di italiano per stranieri
offrono descrizioni sistematiche e complete delle regole grammaticali a cui generalmente
seguono esercizi applicativi4. In quelle rivolte a livelli elementari e intermedi le descrizio-
ni delle forme, sebbene in alcuni casi più articolate di quelle contenute nelle sezioni di
riflessione sulla lingua dei manuali didattici, sono generalmente molto essenziali e sche-
matiche, per non intralciare la comprensione della regola, e ricche di esemplificazioni5. Le
poche grammatiche rivolte a livelli avanzati di apprendimento o indirizzate a un pubblico
ampio, non distinto in base a livelli di padronanza dell’italiano, presentano le regole in
modo meno iconico, attraverso un discorso più complesso in cui gli autori cercano però
di tenere sotto controllo la lingua utilizzata e offrono ausili per la comprensione, come la
4 Alcune tra le più complete grammatiche di questo tipo, che abbracciano tutti i livelli di analisi linguistica, dalla fonologia
alla sintassi, fino a comprendere fatti relativi al lessico, aspetti pragmatici e discorsivi come Patota 2003 e Peccianti 2017
non contengono esercizi. A quest’ultima grammatica, nell’edizione 2017, è associato un libro di esercizi, acquistabile
separatamente.
5 Questo è il caso di grammatiche come Nocchi e Chiappelli 2005, Latino e Muscolino 2004, Mezzadri 2000 e 2003, Nocchi
2002, Ricci 2014, Tartaglione e Benincasa 2015, per fare alcuni esempi.

Insegnare la grammatica 21
spiegazione diretta di tecnicismi, glossari e rinvii ad altre parti del testo i cui è possibile
comprendere il significato di termini specialistici. Ciò che accumuna le differenti gramma-
tiche di consultazione o di riferimento è l’adozione di un percorso deduttivo per lo svilup-
po della competenza metalinguistica. L’assenza di un testo, che consenta di presentare le
forme in un contesto linguistico relativamente ampio e di analizzarle, è in alcune gram-
matiche colmato da esempi di frasi o di brevi scambi dialogici attraverso cui viene tentata
l’induzione della regola, come nell’esempio riportato in Figura 1.

1 Per iniziare
In italiano abbiamo diversi modi per esprimere la causa o il motivo di un’azione o di un
fatto. Già conosci alcuni di questi modi. Osserva le seguenti frasi.
u Martina non ha studiato abbastanza quindi non ha passato l’esame.
u Martina non ha studiato abbastanza perciò non ha passato l’esame.
u Martina non ha passato l’esame perché non ha studiato abbastanza.
u Dato che non ha studiato abbastanza, Martina non ha passato l’esame.

Queste frasi ci dicono tutte la stessa cosa?


Sottolinea la proposizione che nelle diverse frasi esprime la causa del fatto espresso
nell’altra proposizione. In tutte le frasi, la causa che spiega il fallimento dell’esame di
Martina è il fatto che non ha studiato abbastanza.

Figura 1. Esempio di induzione delle regole in grammatiche di consultazione (Troncarelli, La Grassa 2017).

L’obiettivo è sempre quello di guidare lo studente alla riflessione e alla scoperta dei mec-
canismi di funzionamento della lingua, ma questo modo di affrontare i fatti linguistici non
è facilmente adottabile con tutti i diversi aspetti di una struttura, anche per la ripetitività
della procedura in questo tipo di testo che finirebbe per demotivare lo studente. Inoltre
chi intende utilizzare la grammatica in autonomia non può contare sul confronto con i
pari e sul monitoraggio del docente per la verifica delle ipotesi formulate. Pertanto le
grammatiche di riferimento, che tentano di stimolare la scoperta della regola e andare
oltre alla mera ricezione e applicazione, mescolano percorsi induttivi con quelli deduttivi,
senza però giungere a modalità di riflessione sulla lingua sovrapponibili a quelle proposte
nei manuali didattici.

2.2. La grammatica per madrelingua e la grammatica per apprendenti


di italiano L2
L’elaborazione di una grammatica per apprendenti di italiano L2 può basarsi sullo stesso
impianto teorico su cui si basa una grammatica rivolta a madrelingua? A nostro avviso l’ap-
prendente straniero si avvicina alla consultazione e all’uso della grammatica con intenti
molto diversi rispetto a quelli del madrelingua e di questa differenza di obiettivi gli autori
dovranno necessariamente tenere conto.

22
Parte I - Capitolo 2

Le grammatiche di riferimento pensate per parlanti nativi, generalmente per chi ha già
svolto o sta terminando il ciclo di studi di istruzione secondaria, si rivolgono prevalente-
mente a persone che possono anche avere preconoscenze di livello diverso, ma che sono
comunque cognitivamente in grado di processare e analizzare tutte le forme linguistiche
del sistema. Le loro incertezze, quando presenti, saranno riconducibili al livello di norma,
in dipendenza da vari fattori, per esempio l’esposizione a un input diastraticamente e
diafasicamente marcato o il livello di interferenza di varietà non standard o dialettali.
Considerate queste caratteristiche del pubblico di riferimento, la grammatiche tendono
quindi a essere per quanto possibile esaustive, seguono la distinzione e l’ordine di pre-
sentazione classico dei diversi piani di analisi della lingua (fonologia; ortografia; morfolo-
gia; sintassi; testualità) e delle parti del discorso (articoli; nomi; pronomi; aggettivi; verbi;
avverbi; congiunzioni; preposizioni; interiezioni), trattano con simile livello di dettaglio
i vari aspetti fonomorfosintattici, usano un lessico metalinguistico spesso considerato
come acquisito dall’utente che abbia compiuto un normale percorso di studi.
Si consideri inoltre che, in molti casi, il parlante nativo interessato alla consultazione di
una grammatica di riferimento è già perfettamente in grado di usare correttamente le for-
me linguistiche, pur senza essere in grado di spiegare puntualmente le regole che gover-
nano le scelte che compie. In questo caso chi consulta la grammatica tenderà a sviluppare
la propria metalinguistic awareness (Bialystok 2014), la consapevolezza metalinguistica,
la «capacità di conoscere le regole negli elementi linguistici e di verbalizzarle» (Diadori,
Palermo, Troncarelli 2015: 158).
Le esigenze di chi sta ancora sviluppando la propria interlingua in una L2, al contrario, si
differenziano nettamente da quelle appena indicate. L’apprendente userà la grammatica
di riferimento in primo luogo per sistematizzare le regole che sta acquisendo in contesto
spontaneo o guidato. Molto di più rispetto a un madrelingua, egli avrà necessità di verifi-
care le proprie ipotesi sul funzionamento delle strutture trovandone conferma o smenti-
ta e sulla base di quanto verificato potrà essere condotto, in varia misura, a ristrutturare
la propria interlingua e a procedere con il processo di acquisizione. Il libro di grammatica,
quindi, sarà in primo luogo fonte che favorisce l’avanzamento del proprio stato interlin-
guistico e solo in misura meno rilevante sarà usato come mero strumento di consultazio-
ne6 per lo sviluppo della «piena consapevolezza» (Bialystok 1988 cit. in Diadori, Palermo,
Troncarelli 2015), funzione che invece tende ad assolvere con i madrelingua.
Anche per questa evidente differenza di bisogni rispetto ai madrelingua, di solito, una
grammatica di riferimento per stranieri non si rivolge ad un pubblico indifferenziato per
livello di competenza e difficilmente tenderà ad essere onnicomprensiva analizzando in
maniera più o meno omogenea tutti i livelli della lingua. La grammatica per stranieri, infat-
ti, è soprattutto uno strumento didattico e, di conseguenza, gli aspetti trattati dovranno
essere coerenti con quelli processabili in base al livello linguistico degli apprendenti. Uno
studente di livello indipendente o competente, per esempio, avrà acquisito già i principali
aspetti della morfologia del nome o del verbo, quindi sarà poco utile presentarli in una

6 In generale meno rilevante, ma comunque non assente specialmente per certi gruppi di apprendenti che chiedono espli-
citamente di conoscere i meccanismi di funzionamento della lingua. Lo sviluppo nella conoscenza di tali meccanismi può
forse non avere diretta influenza sul processo di avanzamento dell’interlingua, ma ha sicuramente ricadute motivazionali,
come afferma tra gli altri Balboni (2015).

Insegnare la grammatica 23
grammatica a lui rivolta.
Proprio relativamente all’aspetto della selezione dei contenuti e con riferimento agli ap-
prendenti di livello avanzato è utile fare qualche considerazione. Nella maggior parte
delle grammatiche di riferimento rivolte a stranieri, i contenuti presentati sono incen-
trati sull’analisi delle forme: le parti del discorso7 sono trattate in maniera più o meno
approfondita e didatticamente efficace a seconda dell’opera, ma comunque limitandosi
al piano dell’analisi morfologica. Quasi del tutto assente e comunque trattato in manie-
ra non sistematica resta il piano della sintassi, con particolare riferimento ai rapporti e
alle relazioni tra frasi. Nell’elenco dei contenuti trattati nelle più diffuse grammatiche di
italiano L2, Slapek (2018) indica soltanto il periodo ipotetico tra gli aspetti che possono
rientrare in questo piano dell’analisi linguistica.
Tale scelta di esclusione può essere dettata da fattori diversi: da un lato la maggiore com-
plessità dell’insegnamento della sintassi del periodo rispetto all’insegnamento della mor-
fologia8; dall’altro, probabilmente, una convinzione di fondo che le regole pragmatiche e
sintattiche sottese alla “costruzione di frasi” e all’organizzazione dei loro rapporti di coor-
dinazione e subordinazione siano tutto sommato automatiche nell’apprendente adulto e
non meritevoli di particolare attenzione. A questo proposito anche nel Quadro comune
Europeo si afferma che «la sintassi di un apprendente adulto è estremamente comples-
sa e in buona parte inconscia» (Consiglio d’Europa 2002: 141) e non vengono forniti su
questo aspetto descrittori differenziati per livello di competenza. La sintassi del periodo
nell’insegnamento dell’italiano a stranieri ci sembra rappresentare quindi un aspetto ge-
neralmente poco trattato, sebbene se ne ravvisi l’importanza almeno in linea di principio:
indicazioni sullo sviluppo della frase complessa sono presenti nei sillabi più diffusi per ap-
prendenti adulti (Lo Duca 2006; Benucci 2007) e nei sillabi certificatori (Barni et al. 2009).
Nei paragrafi successivi proviamo quindi a descrivere alcune scelte teoriche alla base di
una proposta che cerca di colmare questa evidente mancanza nelle grammatiche pedago-
giche rivolte ad apprendenti di italiano L2.

2.3. Criteri di realizzazione di una grammatica di riferimento per


apprendenti di italiano L2
2.3.1. Un approccio funzionale
Come abbiamo detto nel paragrafo precedente, i bisogni a partire dai quali un madrelingua
e un apprendente di italiano L2 si avvicinano all’uso della grammatica pedagogica sono so-
stanzialmente diversi. Al netto dell’interesse verso la scoperta dei meccanismi linguistici,
nella quasi totalità dei casi il principale obiettivo dell’apprendente è quello di utilizzare la
lingua per poter comunicare efficacemente nei diversi contesti d’uso. Questo approccio
di fondo dovrebbe guidare chi si dedica alla realizzazione di una grammatica pedagogica.
7 Per una disamina sui criteri definitori delle parti del discorso e per una proposta in parte diversa dalla classificazione
tradizionale si veda Salvi (2013).
8 Tuttavia questa possibile maggiore complessità non giustifica l’assenza della trattazione di questi aspetti sintattici anche
nelle grammatiche rivolte ad apprendenti di livello avanzato.

24
Parte I - Capitolo 2

Ci troviamo d’accordo con l’analisi proposta da Palermo (2017) secondo cui la sistema-
tizzazione delle strutture non può che essere il punto di arrivo al termine di un processo
(guidato o spontaneo) che attribuisce comunque priorità agli obiettivi comunicativi; al
contrario, le grammatiche propongono di seguire un percorso controintuitivo e per questo
motivo poco utile per chi apprende una lingua: partire dalla osservazione di una regola
e solo dopo osservarne le possibili funzioni. Una grammatica rivolta a studenti stranieri
dovrebbe invece ribaltare questo approccio: si dovrebbe partire dalle funzioni comunica-
tive per passare poi all’analisi e alla sistematizzazione delle diverse forme che si possono
utilizzare per realizzarle linguisticamente.
Facendo specifico riferimento alla sintassi del periodo su cui ci concentriamo, prendiamo
ad esempio la presentazione della proposizione causale. Più che partire dalla conoscen-
za dei criteri sintattici che governano la realizzazione di questa subordinata, lo studente
sarà interessato ad esprimere la funzione indicare una causa e poi conoscerne i mezzi
linguistici per realizzare tale funzione in contesti d’uso diversi. In quest’ottica ci sembra
giustificata la presentazione nello stesso capitolo di frasi pur sintatticamente diverse come
Maria non ha passato l’esame perché non ha studiato abbastanza e Maria non ha studia-
to abbastanza quindi non ha passato l’esame9 poiché entrambe contenenti l’indicazione
di una causa (il fatto che Maria non abbia studiato abbastanza). Il principio guida per la
presentazione dei contenuti, dunque, dovrebbe essere quello funzionale e sulla base di
tale principio possono essere prese scelte diverse rispetto a quelle della maggior parte
delle grammatiche di riferimento rivolte a madrelingua che, come è ovvio, sono fondate
su impianti teorici diversi.

2.3.2. Canali di comunicazione


È noto che la lingua cambia anche in relazione al canale di comunicazione che viene utiliz-
zato dai partecipanti all’evento comunicativo. In ambito sociolinguistico si parla di varietà
diamesiche (Berruto 1993) che si distribuiscono come un continuum lungo un asse di va-
riazione con un vertice rappresentato dal canale scritto e a quello opposto rappresentato
dal canale parlato10. La variazione dei registri (sia all’interno di uno stesso canale di comu-
nicazione11 che tra canali diversi) e il loro adeguato uso, rappresenta un aspetto di grande
complessità per un apprendente straniero e coinvolge trasversalmente non solo le sue
competenze più strettamente linguistiche, ma anche quelle di tipo pragmatico e culturale.
Una grammatica di riferimento per stranieri, quindi, dovrebbe attivare e sostenere la ri-
flessione sulle forme linguistiche mettendola in relazione anche con il canale di comu-
nicazione utilizzato, sensibilizzando gli studenti alle differenze d’uso in base al contesto
comunicativo, il ruolo e la funzione dei partecipanti ecc.
Con riferimento alla sintassi, per esempio, potrà essere utile sensibilizzare gli studenti sul-
la non perfetta intercambiabilità, al variare del contesto, dei diversi connettivi (per quanto

9 L’esempio è tratto da Troncarelli, La Grassa (2017).


10 In tale asse di variazione sono stati già da tempo considerati i testi di parlato trasmesso (Sabatini 1997), ovvero testi ora-
li scarsamente spontanei veicolati tramite mezzi di comunicazione e, più recentemente, i testi digitati (Gastaldi 2002).
11 Si pensi ai diversi gradi di formalità della comunicazione orale (tra pari in contesti quotidiani; con persone gerarchica-
mente diverse in contesti lavorativi o educativi) o scritta (una relazione; una mail; un messaggio su una chat).

Insegnare la grammatica 25
semanticamente simili) che possono introdurre le frasi subordinate oggetto di riflessione,
oppure farli riflettere sui gradi di accettabilità dei diversi modi verbali in dipendenza del
contesto.

2.3.3. La terminologia matalinguistica


Le riflessioni e gli studi sul linguaggio, partire da quelli della Grecia antica fino alla linguisti-
ca contemporanea, hanno dato vita, consolidato e costantemente incrementato un ricco
metalinguaggio con cui descrivere i fatti linguistici. Alcuni termini di questo vasto reper-
torio, come racconto, testo, frase, verbo, nome, sono entrati nel linguaggio corrente. Altri
non hanno perso la connotazione tecnica ma sono conosciuti da molti, come soggetto,
oggetto, proposizione. Una parte rientra nelle conoscenze solo di chi ha avuto modo di
studiare la grammatica in modo esplicito, come predicato verbale, predicato nominale,
attributo, soggetto partitivo. Infine alcuni termini sono uso esclusivo della comunicazione
specialistica, come anafora, catafora, tema, rema, deissi. Nell’insegnamento della gram-
matica si commette spesso l’errore di fare troppo ricorso al metalinguaggio grammaticale
lontano dalla comunicazione ordinaria che, sebbene garantisca una maggiore precisione
descrittiva come tutti i linguaggi specialistici, rende complessa la decodificazione della
spiegazione grammaticale a chi ha una ridotta conoscenza dei termini utilizzati e special-
mente ad apprendenti stranieri con bassa scolarizzazione o provenienti da tradizioni sco-
lastiche in cui lo studio esplicito delle forme linguistiche non ha molto rilievo o si avva-
le di un apparto terminologico diverso. Si può invece condurre la riflessione sulla lingua
usando i termini più comuni ed evitando di utilizzare terminologia troppo specifica. Le
sezioni dedicate alla riflessione sulla lingua nei manuali didattici dimostrano che si può
focalizzare l’attenzione dello studente sulle forme linguistiche anche senza denominarle,
ricorrendo ad espedienti grafici che consentono di evidenziarle e di presentare le regole di
formazione ed uso in modo intuitivo ma chiaro. Anche nelle grammatiche di riferimento
si può ridurre al minino l’impiego di metalinguaggio grammaticale, nella considerazione
che l’obiettivo prioritario di chi apprende una seconda lingua è di giungere ad una compe-
tenza d’uso e non alla capacità di enunciare regole linguistiche. Perfino nella elaborazione
di grammatiche di riferimento, che abbiano come oggetto lo sviluppo della competenza
sintattica, si può ridurre il metalinguaggio necessario a pochi termini, come soggetto, og-
getto diretto, oggetto indiretto, proposizione principale e proposizione subordinata, che
possono essere presentati attraverso spiegazioni esplicite o glossari, ed evitare di definire
i singoli tipi di subordinata. In questo modo l’attenzione dello studente può essere convo-
gliata sui meccanismi di funzionamento delle forme, piuttosto che essere assorbita dalla
decodificazione di spiegazioni linguisticamente complesse.

2.3.4. La dimensione prospettica e pragmatica


Una grammatica, che parte dalle funzioni comunicative per giungere alla descrizione delle
forme, deve comunque tenere conto che la lingua presenta accanto a regole di formazio-
ne, che l’apprendente di italiano L2 deve conoscere per poterla usare, anche opzioni tra
le quali deve scegliere per conseguire i propri scopi comunicativi (Prandi, De Santis 2011).

26
Parte I - Capitolo 2

Per esprimere un rapporto di causa-effetto attraverso una frase complessa, per esempio,
non è solo necessario saper formulare la proposizione principale, scegliere un connettivo
e formulare la proposizione subordinata, selezionando il modo e il tempo del verbo cor-
retti, ma anche decidere quale delle due proposizioni anteporre all’altra. Se si antepone la
subordinata, come nell’esempio (1), l’evento espresso dalla proposizione assume il ruolo
di sfondo entro il quale si colloca l’evento della principale. È una scelta che il parlante
compie per fornire una prospettiva di osservazione degli eventi all’ascoltatore o al letto-
re, oppure dettata dalla struttura informativa dello scambio comunicativo (Vallauri 2000),
come nell’esempio (2).

(1)  Dato che sono stanca non vengo alla festa.


(2)  [A] Credo che Martina non studi abbastanza… è sempre su Facebook
[B] L’ho notato. E siccome non ha studiato abbastanza non ha passato l’ultimo esame

In questo secondo esempio è infatti la necessità di mantenere l’ordine tema-rema che


induce il parlante B a mettere la subordinata nella posizione di tema nella propria risposta.
Si tratta di aspetti che non possono non essere presi in considerazione nella presentazione
della sintassi in un’ottica funzionale. Se si intende sviluppare una competenza d’uso della
lingua occorre fornire spiegazioni sul perché alcune strutture sono impiegabili in certi con-
testi e non in altri.

2.4. Conclusioni
Se, per dirlo con Maria Pia Lo Duca (2003: 255), «Uno dei punti irrinunciabili della moder-
na glottodidattica nell’impostare un percorso didattico di una L2 è quello di non partire
dalle forme, […] ma piuttosto dalle funzioni, il che potrebbe essere riassunto in “diamo
degli strumenti linguistici per fare qualcosa”» le grammatiche pedagogiche di qualunque
tipo dovrebbero muoversi in questo senso.
Sulla base delle considerazioni esposte nei paragrafi precedenti si può concludere che le
sezioni grammaticali di molti manuali per l’insegnamento dell’italiano L2 già lo fanno pre-
sentando aspetti, come la semplicità descrittiva, la riduzione dello spazio del linguaggio
verbale nell’esplicitazione delle regole, l’impiego di percorsi induttivi e di attività di reim-
piego guidato e libero delle forme. Ciò che risulta carente è invece l’attenzione a fatti lin-
guistici che superano i limiti della frase semplice, presi in considerazione da pochi manuali
e da alcune grammatiche di riferimento. Quest’ultime, oltre a dedicare maggior spazio ad
aspetti sintattici, testuali e discorsivi, dovrebbero adottare descrizioni grammaticali sem-
plici, riducendo al minimo l’apparto terminologico necessario per l’esplicitazione delle re-
gole, tentare di combinare procedimenti deduttivi e induttivi, in modo da guidare almeno
parzialmente lo studente alla scoperta del funzionamento delle forme, e dare preminenza
alla dimensione funzionale per fornire allo studente indicazioni sul repertorio di soluzioni
espressive entro cui scegliere quelle più adatte al contesto di comunicazione.

Insegnare la grammatica 27
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Insegnare la grammatica 29
3. Tra comunicazione e grammatica: focus on focus
nell’insegnamento di italiano a stranieri
Maria Cecilia Luise, Giulia Tardi1

3.1. La lezione di grammatica


La grammatica – e il suo insegnamento – è tradizionalmente la parte di un curricolo di lin-
gua e quindi anche di italiano L2 o LS che più spesso viene vissuta come problematica sia
dai docenti sia dagli studenti. Oggi si assiste in glottodidattica ad un “ritorno della gram-
matica”, dopo alcuni decenni nei quali, in nome di un insegnamento delle lingue basato
solo su principi comunicativi, si sono privilegiate in modo quasi esclusivo le competenze
d’uso piuttosto che quelle sull’uso. Il ritorno alla grammatica non implica però che siano
stati risolti i problemi che tradizionalmente sono collegati a questo ambito di insegnamen-
to delle lingue, tra i quali il sentirlo come un compito gravoso o poco utile da parte del
docente, e il viverlo con noia e mancanza di motivazione da parte dello studente. Sono
necessarie quindi una riflessione generale su che cosa significhi insegnare la grammatica
ad una classe di italiano a stranieri e una serie di indicazioni specifiche sulle caratteristiche
e sulle metodologie dell’insegnamento della grammatica, per rispondere alle domande
e ai dubbi che spesso gli insegnanti si pongono, tra i quali: quanta grammatica proporre
agli studenti? Quale grammatica serve agli studenti? Quale approccio usare: deduttivo o
induttivo? Quando proporre la grammatica?
La nostra proposta riprende le ricerche fatte in merito al ruolo dell’input e dell’output
nello sviluppo dell’interlingua, dei meccanismi di correzione della produzione orale dello
studente, dell’attenzione sulle forme della L2 nei processi di acquisizione linguistica.

3.2. Comunicazione e grammatica


La grammatica è stata per secoli il fulcro degli insegnamenti linguistici. Inizialmente giu-
stificabile con la scarsità di contatti con parlanti madrelingua e con la priorità data alle
abilità scritte e alla fruizione dei testi letterari, il curricolo di lingua straniera prevedeva la
memorizzazione di regole grammaticali – principalmente morfosintattiche – e di lessico
presentati dall’insegnante e la traduzione di testi scritti; il sillabo era rigidamente selezio-
nato in base a criteri piuttosto impressionistici di minore o maggiore difficoltà e le capacità
comunicative e di uso della lingua sarebbero dovute essere una conseguenza della corret-
tezza grammaticale.
Il grande cambiamento di prospettiva è avvenuto a partire dagli anni ’60 del secolo scorso,
quando le lingue straniere ritrovano la loro naturale funzione di strumenti per la comuni-

1 Il saggio è frutto del lavoro congiunto delle due autrici che hanno concordato insieme l’impianto generale e la suddivisio-
ne in parti. Giulia Tardi ha curato i paragrafi 1 e 2, mentre Maria Cecilia Luise ha curato i paragrafi 3 e 4; i paragrafi 5 e 6
sono da attribuirsi ad entrambe le autrici.

30
Parte I - Capitolo 3

cazione e i metodi grammaticali-traduttivi mostrano tutti i loro limiti nel favorirla e svilup-
parla (Mezzadri 2003).
L’approccio e i metodi comunicativi – sviluppatisi per rispondere all’incremento della mo-
bilità delle persone e al conseguente aumento di richiesta di conoscenze linguistiche per
la comunicazione – abbandonano il principio di organizzazione grammaticale per favorire
le occasioni di uso linguistico spontaneo ed autentico, sostituendo l’obiettivo della fluenza
dell’eloquio a quello della correttezza formale: in un’ottica funzionalista e interazionista,
l’acquisizione di una lingua avviene solo attraverso l’interazione e la partecipazione attiva
degli studenti (Ciliberti 2013: 7). Negli ultimi decenni del secolo scorso quindi le lingue si
sono per lo più insegnate accentuando l’importanza dell’uso e della dimensione funziona-
le della lingua, spesso a scapito di una riflessione esplicita e strutturata sui meccanismi di
funzionamento della lingua; le forme interessano solo in quanto realizzazione di funzioni
comunicative in contesto (Larsen-Freeman 1986: 131):
The goal of teachers who use the Communicative Approach is to have one’s students become com-
municatively competent […]. Communicative competence involves being able to use the language
to a given social context. To do this students need knowledge of the linguistic forms, meanings and
functions. They need to know that many different forms can be used to perform a function and that a
single form can often serve a variety of functions.

L’ultima parte del Novecento è anche però il periodo nel quale c’è una intensa riflessio-
ne critica sulla grammatica e sul suo ritorno nei curricoli linguistici: in quegli anni infatti
il concetto di grammatica vista come insieme di regole morfosintattiche da imparare e
applicare passivamente si evolve in quello di riflessione linguistica, processo cognitivo at-
traverso il quale lo studente scopre le regolarità della lingua con la quale viene in contatto,
dando la priorità ad un approccio induttivo piuttosto che deduttivo. Il termine riflessione
linguistica riabilita l’importanza della conoscenza delle regole di funzionamento e della
struttura di una lingua, ma vuole nello stesso tempo superare la tradizione glottodidattica
che incentra sulla grammatica e sull’insegnamento esplicito delle regole morfosintattiche
l’insegnamento delle lingue.
Ferme restando la centralità del concetto di comunicazione e la priorità dell’uso della lin-
gua, con il passare del tempo si è definita la meta glottodidattica fondamentale come
il perseguimento da parte degli allievi di una competenza comunicativa e metacomuni-
cativa: ecco allora che in un curricolo linguistico deve trovare posto anche il passaggio
dalla competenza linguistica alla competenza metacomunicativa, cioè il passaggio dalla
capacità di usare le regole per riconoscere e formare testi adeguati alle regole alla capa-
cità di descrivere e ragionare esplicitamente sulle regole stesse; la riflessione linguistica
non è memorizzazione e applicazione passiva di regole, ma un processo attivo di analisi
della lingua alla ricerca di regolarità e modelli, che deve entrare nei curricoli di italiano a
stranieri, anche a livelli di competenza elementari e quando si insegna ai bambini (Luise
2019). Come sottolinea Ciliberti (2013: 12):
Il favorire la discussione e l’elaborazione di ipotesi, oltre a rendere ’insegnamento/apprendimento
delle regolarità della lingua 2 più interessante e produttivo, affinerà la capacità di osservazione, de-co-
struzione ed interpretazione dell’allievo e non separerà in maniera arbitraria l’insegnamento delle
forme di una lingua dall’esperienza comunicativa.

Insegnare la grammatica 31
Così come concentrarsi solo sui significati e sulla comunicazione non permette di raggiun-
gere una piena competenza comunicativa, allo stesso modo è ormai chiaro che è anacro-
nistico e sbagliato auspicare un ritorno all’insegnamento grammaticale discreto, al lavoro
sulle forme, sulle strutture linguistiche isolate e proposte in una sequenza predeterminata
esternamente dall’insegnante o dal libro di testo; è necessario quindi esplorare quali mo-
dalità glottodidattiche permettono di spostare l’attenzione degli studenti sulle forme e
sulle caratteristiche della lingua mentre lavorano su compiti comunicativi.

3.3. Input e output


Per molto tempo la teoria più accreditata riguardo alle condizioni necessarie per l’acqui-
sizione di una L2 è stata la SLAT di Krashen (1985), secondo la quale la padronanza della
lingua è legata all’input che si riceve e che si riesce a comprendere: il solo input utile
all’acquisizione è quello compreso dall’apprendente. L’attenzione per l’input comprensi-
bile ha contribuito a spostare il focus dell’insegnamento linguistico dalle forme ai signi-
ficati: le strategie per rendere l’input comprensibile nell’accezione di Krashen però non
devono far mettere in secondo piano il fatto che lo sviluppo della competenza in lingua
straniera o seconda non dipende solo dalla comprensibilità dell’input, ma anche dal fatto
che lo studente abbia la possibilità di scrivere e parlare in lingua straniera o seconda. È
infatti anche attraverso l’output e l’interazione che lo studente può divenire consapevole
delle caratteristiche grammaticali della lingua e può automatizzare progressivamente le
capacità produttive. Come ben sintetizza Chini (2011: 4-5), la riflessione sul ruolo dell’in-
put si è allargata portando allo sviluppo di una
famiglia di modelli che ritengono decisivi, per spiegare l’acquisizione di L2, l’esposizione all’input in L2,
la produzione e pratica di L2 (output) e il feedback fornito al discente dal nativo [o dal docente] nell’in-
terazione […] Altri approcci attenti all’input sono invece orientati più in senso socio-interazionista (ad
esempio, studi in Gass, Madden 1985; Gass 2003) e sottolineano come l’input nell’interazione sia
particolarmente efficace per l’acquisizione, soprattutto laddove comprenda (oltre a parti, prevalenti,
centrate sul contenuto) sequenze problematiche con negoziazione del significato, che richiedano agli
interlocutori riaggiustamenti di vario genere e un lavoro sulla forma linguistica, finalizzati al raggiungi-
mento della piena comprensione e al superamento degli ostacoli comunicativi.

Più netta nel ridimensionare il ruolo dell’input è l’Ipotesi dell’output di Swain (1985): men-
tre la comprensione, soprattutto quando l’input è reso comprensibile, può avvenire senza
far ricorso agli aspetti grammaticali della lingua, è nella produzione di output comprensibi-
le che l’apprendente è spinto a notare gli aspetti e i problemi formali e quindi a codificare il
sistema grammaticale della L2. Lo sviluppo della competenza comunicativa degli studenti
è legato quindi sia alla quantità di input significativo e comprensibile, sia alle possibilità di
output significativo e comprensibile, possibilità che si moltiplicano all’interno di contesti
interattivi e nello svolgimento di attività didattiche e task, piuttosto che nello svolgimento
di esercizi applicativi e in lezioni frontali unidirezionali.
È quindi ormai assodato che non basta la sola esposizione ad un input contestualizzato
comunicativamente, neppure se ricco come è quello di una L2, a garantire lo sviluppo
dell’interlingua, l’acquisizione della correttezza e lo sviluppo delle competenze metalingui-

32
Parte I - Capitolo 3

stiche; come nota Villarini (2000: 50):


Il passaggio dall’input alla varietà interlinguistica degli apprendenti non è diretto e non basta esporsi
ad una quantità adeguata di input in una L2 per far sì che la nostra competenza migliori. Tra l’input e
la competenza di un apprendente si frappone, con funzione di filtro e di riorganizzatore delle informa-
zioni in entrata, l’attività di riflessione metalinguistica. Questa attività di riflessione metalinguistica si
configura come uno spazio con diversi assi. C’è un asse sul quale collocare le riflessioni più formali cen-
trate sulle regole grammaticali dell’italiano, l’asse dei giudizi sulla propria condizione di apprendente/
parlante, sugli altri apprendenti/parlanti, l’asse delle riflessioni sul rapporto tra la L1 e l’italiano e sul
rapporto tra l’italiano standard ed il dialetto, infine, l’asse sul quale è possibile collocare i giudizi sulla
comunità ospite e sulla sua cultura.

3.4. Focus on form


Gli studi degli ultimi decenni che hanno indagato le condizioni necessarie per l’acquisizio-
ne di una L2 e il ruolo di input, output e interazione ci forniscono tre modelli che riassu-
mono i diversi ruoli che possono assumere la centralità della comunicazione e la centralità
della forma nell’insegnamento di una lingua seconda o straniera.
Agli estremi di un ideale continuum troviamo due posizioni polarizzate. Appoggiata all’i-
potesi della no interface di Krashen (1985) – secondo la quale non è possibile che l’appren-
dimento esplicito di una lingua si trasformi in acquisizione implicita in quanto un insegna-
mento esplicito di elementi linguistici non può portare al loro uso spontaneo in contesti
comunicativi (Chini 2011: 8) – troviamo il focus on meaning, che prevede che lo studente
esperisca la L2 solo come strumento di comunicazione e non come oggetto di studio; all’e-
stremo opposto si pone il focus on forms, che possiamo assimilare alla cosiddetta “gram-
matica tradizionale” fatta di attività di presentazione da parte del docente di elementi
linguistici discreti e decontestualizzati.
Le due posizioni trovano una sintesi nel modello del focus on form, modello che Long
(1991) definisce in contrapposizione ai due precedenti, e che “consiste in uno spostamen-
to occasionale dell’attenzione ad aspetti del codice linguistico, da parte dell’insegnante
e/o di uno o più studenti, che prende avvio dalla percezione di un problema di compren-
sione o produzione” (Long, Robinson 1998: 23) e prevede attività di focalizzazione espli-
cita sulle forme grammaticali che possono anche essere programmate dall’insegnante in
modo mirato, ma che in ogni caso sono legate a motivazioni di tipo comunicativo e non
ad un sillabo grammaticale esterno come succede nel focus on forms (Doughty e Williams
1998).
Per Whittle l’etichetta focus on form raccoglie strategie di interazione che promuovono
l’accuratezza linguistica senza perdere di vista l’aggancio con la dimensione del significato;
l’autrice confronta in questo modo il focus on meaning e il focus on form (2015: 29):
Il focus sul significato (focus on meaning) e il focus sulla forma (focus on form) sono propri di un
approccio comunicativo; tuttavia, mentre nel primo l’interazione è centrata esclusivamente sulla ne-
goziazione del significato, nel secondo il docente sposta l’attenzione sulla forma da insegnare. Alla
negoziazione del significato si affianca quindi una negoziazione della forma (Lyster, 1994): l’interazione
dell’insegnante con l’allievo non ha solo il compito di sostenere e incoraggiare la comunicazione, deve
anche fornirgli degli input che gli consentano di notare gli aspetti formali della lingua (noticing); di

Insegnare la grammatica 33
verificare ipotesi sulla lingua in una produzione sollecitata (pushed output); di confrontare i suoi enun-
ciati con la correzione (recast), in modo da riformularli; di rispondere alle sollecitazioni del docente
(prompt) e ricostruire i suoi enunciati attingendo al deposito della memoria a lungo termine, dove
sono stati immagazzinati ma non sono ancora disponibili al recupero automatico e in tempo reale.

Diversi studiosi danno infatti interpretazioni diverse del focus on form: se per Long non
è possibile programmare le azioni di focalizzazione sulla forma in quanto queste vanno
proposte solo quando ci si trova di fronte un problema nella comunicazione e quindi sono
estemporanee, altri studiosi tra i quali Doughty e Williams, appoggiandosi a dati speri-
mentali, ritengono che – senza impedire o interrompere la comunicazione – sia possibile
intervenire sulle forme in modo pianificato, con brevi interventi integrati o immediata-
mente successivi allo scambio comunicativo, selezionando le forme sulle quali guidare
l’attenzione degli studenti in base ai loro bisogni e al loro stadio di acquisizione linguistica
(Whittle e Nuzzo 2015).
In questo senso il focus on form permette di superare il modello di insegnamento gram-
maticale centrato sul docente per divenire (Long 1998: 41) “learner- centered in a radical,
psycholinguistic sense”: rispondendo ai bisogni degli studenti e favorendo i processi na-
turali che permettono di notare, ipotizzare, scomporre e ricomporre i dati linguistici per
strutturare gradatamente la propria interlingua (Lo Duca 2016).

3.5. Focus on form nella classe di italiano a stranieri:


il piano metodologico
Riprendendo quanto gli studi sopra citati hanno dimostrato, la competenza in una lingua
straniera o seconda è positivamente influenzata da un’istruzione formale nella quale ven-
gano favorite la consapevolezza e la riflessione metalinguistica in attività centrate sulla
comunicazione.
Spostandoci sul piano metodologico, all’interno di una impostazione glottodidattica che
favorisce il focus on form è possibile ricorrere a diverse modalità didattiche finalizzate a
dirigere l’attenzione degli studenti sulle forme grammaticali senza per questo distogliere
il focus dai bisogni comunicativi (De Marco, Mascherpa 2011; in Doughty and Williams
1998 si trova una tassonomia di attività e tecniche organizzata da quelle meno invadenti a
quelle più dirette). Tra queste modalità didattiche troviamo:
a. Proporre input linguistici ricchi e comprensibili nei significati, ma anche contenenti for-
me linguistiche selezionate e rese salienti. Ci sono tratti e costrutti linguistici che – pur
essendo importanti per lo sviluppo dell’interlingua degli apprendenti –vengono facil-
mente ignorati se proposti solo per la loro funzione comunicativa. La salienza permette
di aumentare la sensibilità verso le forme della lingua e può essere aumentata non solo
con ripetizioni, ma anche attraverso espedienti visivi, fonici, prosodici quali sottoline-
ature, marcatura del tono di voce e dell’intonazione, rallentamento della velocità di
eloquio, ecc.
b. Portare lo studente a notare una certa forma linguistica. Gli studi sul noticing in L2
(Schmidt 1990; 2001) – processo attraverso il quale l’apprendente nota nell’input un
34
Parte I - Capitolo 3

elemento linguistico in modo consapevole – hanno rilevato come la capacità di indi-


viduare e verbalizzare le regole linguistiche porti l’apprendente ad un livello di consa-
pevolezza che facilita lo sviluppo della competenza linguistica (Rosi 2010: 93). Come
evidenziano Swain e Lapkin (1995: 373):
In producing the L2, a learner will on occasion become aware of (i.e., notice) a linguistic pro-
blem (brought to his/her attention either by external feedback, e.g., clarification requests or
internal feedback). Noticing a problem “pushes” the learner to modify his/her output. In doing
so, the learner may sometimes be forced into a more syntactic processing mode than might
occur in comprehension.
Il noticing può essere condotto non solo su forme presenti nell’input, ma anche su for-
me devianti o dissimili presenti nell’output degli studenti, o su forme “mancanti”, cioè
che gli studenti non conoscono e quindi impediscono di portare a termine il compito
comunicativo.
c. Controllare e diversificare i feedback correttivi dati agli studenti allo scopo sia di pro-
muovere il noticing sia di trattare gli errori focalizzando l’attenzione sulle forme cor-
rette. Gli studenti hanno bisogno di notare gli errori nelle loro produzioni e hanno
altrettanto bisogno di esser corretti. Centrale a questo riguardo è la consapevolezza del
docente su quale tipo di dispositivo correttivo sia preferibile utilizzare in funzione del
contesto didattico e comunicativo, scegliendo tra riformulazioni (recast), sollecitazioni
all’autocorrezione (prompt), informazioni e commenti sulla regola da applicare (Nuzzo,
Grassi, 2016). Sottolineiamo inoltre l’importanza del feedback negativo e delle san-
zioni dei comportamenti linguistici scorretti nell’intervento correttivo funzionale allo
sviluppo della competenza metalinguistica: come sottolinea Long (1998: 40) “positive
evidence alone may suffice to show the learner what is grammatical, but not what is
ungrammatical”.
d. Guidare gli allievi verso riflessioni grammaticali esplicite condotte in modo condiviso,
attraverso il confronto tra pari in attività che Swain (1998) definisce di metatalk. Que-
ste attività sono conversazioni a gruppi in cui gli studenti mettono in comune i loro
elaborati, si confrontano con un problema di comunicazione, negoziano le forme lin-
guistiche e riflettono sulla lingua, e nelle quali il confronto fra pari sulle forme costitu-
isce un’occasione per testare le proprie ipotesi e notare le proprie mancanze (Whittle,
Nuzzo 2015).

3.6. Conclusioni
Riteniamo importante chiarire un concetto fondamentale: insegnare la grammatica non
è una scelta che può essere fatta o meno da parte dell’insegnante o del libro di testo, ma
è una parte fondamentale di un qualsiasi curricolo di lingua, sia essa materna, seconda o
straniera.
Lo sviluppo dell’interlingua e delle competenze comunicative dipende anche dalla consa-
pevolezza metalinguistica e dalla riflessione e sulle norme di funzionamento della lingua:
ormai è confermato dalla ricerca che l’approccio glottodidattico basato sul focus on mean-

Insegnare la grammatica 35
ing va rivisto, non per tornare ad una didattica grammaticale di stampo tradizionale, ma
per promuovere l’attenzione e la riflessione alle forme durante o immediatamente dopo
lo svolgimento di task comunicativi.

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Bot K., Ginsberg R., Kramsch C. (a cura di), Foreign Language Research in cross cultural per-
spective, Amsterdam, Benjamins, pp. 39-52
Long M., 1998, “Focus on form in Task-Based Language Teaching”, in University of Hawai’i
Working Papers in ESL, n. 2, pp. 35-49
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in classroom second language acquisition, Cambridge, Cambridge University Press, pp. 15-41
Luise M.C., 2019, “La riflessione linguistica nella classe plurilingue. Verso la fase degli appren-
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didattica: dalla riflessione alle competenze, Padova, Cleup, pp. 107-124
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initonline/n9/pag_4.htm
Nuzzo E., Grassi R., 2016, Input, output e interazione nell’insegnamento delle lingue, Torino,
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Grassi R., Piantoni, M., Ghezzi C. (a cura di), Interazione didattica e apprendimento linguistico,
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stics, n. 11, pp. 129-158
Schmidt R., 2001, “Attention”, in Robinson P. (a cura di), Cognition and second language In-
struction, Cambridge, Cambridge University Press, pp. 3-32
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Swain M., Lapkin S., 1995, “Problems in output and the cognitive processes they generate: A
step towards second language learning”, in Applied Linguistics, n. 3, pp. 371-391

36
Parte I - Capitolo 3

Swain M., 1998, “Focus on form through conscious reflection”, in Doughty C., Williams J. (a
cura di), Focus on form in classroom second language acquisition, Cambridge, Cambridge Uni-
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Villarini A., 2000, “L’apprendimento ‘spontaneo’ dell’italiano”, in AA.VV. Alias. Approccio alla
Lingua Italiana per Allievi Stranieri, Torino, Theorema, pp. 48-54
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tilingue della scuola primaria”, in Italiano LinguaDue, n. 2, pp. 13-35
Whittle A., Nuzzo E., 2015, L’insegnamento della grammatica nella classe multilingue, Mila-
no, AItLA, http://www.aitla.it/wp-content/uploads/2015/07/StudiAItLA3_2015.pdf

Insegnare la grammatica 37
Approfondimenti bibliografici
Indichiamo qui pubblicazioni in italiano successive al 2000 relative alla didattica della
grammatica a stranieri, con qualche riferimento anche al problema dell’analisi e corre-
zione degli errori. Dove possibile, diamo il riferimento della collocazione in rete, per con-
sentire un accesso gratuito. Laddove tale rinvio non è dato, consigliamo di copia-incollare
il titolo del saggio su Google, perché molti testi vengono caricati in rete qualche tempo
dopo la loro pubblicazione su carta, e quindi è possibile che dopo l’uscita di questo volume
siano stati resi disponibili.
Riflessioni generali
Abbaticchio R., 2010, Riflessione metalinguistica e riflessione metadialogica nell’insegnamen-
to dell’italiano a stranieri, Lecce, Pensa MultiMedia
Andorno C., 2008, “Insegnare e imparare l’italiano L2: quale grammatica?”, in Grassi R., Boz-
zone Costa R., Ghezzi C. (a cura di), Dagli studi sulle sequenze di acquisizione alla classe di
italiano L2, Perugia, Guerra
Andorno C., Bosc F., Ribotta P., 2003, Grammatica. Insegnarla e impararla, Perugia, Guerra
Andorno C., 2014, “Grammatica e competenza metalinguistica”, in Chini M., Bosisio C. (a cura
di), Fondamenti di glottodidattica. Apprendere e insegnare le lingue oggi, Roma, Carocci
Balboni P.E., 2020, “La grammatica e la sindrome del pendolo”, in Ferreri S., Piemontese E.
(a cura di), Lingue, teorie linguistiche e apprendimento delle lingue, numero monografico di
Costellazioni, n. 14, pp. 53-68
Benucci A., 2018, “‘Grammatica’ e ‘grammatiche’ per la lingua italiana a stranieri”, in Edu-
cazione Linguistica. Language Education, EL.LE, n. 2 http://edizionicafoscari.unive.it/riviste/
elle/2018/2/
Caon F., 2014, “La dimensione cognitiva e metacognitiva nella didattica dell’italiano L2”, in
Balboni P.E., Caruso G., Lamanna A. (a cura di), Scuola di formazione di italiano lingua seconda/
straniera: competenze d’uso e integrazione, Roma, Carocci
Ciliberti A., 2013, “La nozione di Grammatica e l’insegnamento di L2”, in Italiano LinguaDue,
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Cinque G., 2018, “A cosa può servire l’insegnamento della grammatica”, in Mazzotta P., San-
tipolo M. (a cura di), 2018, L’educazione linguistica oggi. Nuove sfide tra riflessioni teoriche e
proposte operative. Scritti in onore di Paolo E. Balboni, Torino, Utet Università
Corrà L., Paschetto W. (a cura di), 2011, Grammatica a scuola, Milano, Angeli. Include, tra i
vari saggi:
Andorno C., “La grammatica per l’apprendere di L2. Apprendimenti guidati e spontanei a
confronto”
Camodeca C., “La grammatica valenziale nella didattica dell’italiano L2. Una sperimentazione”
Troncarelli D., “Le grammatiche di consultazione per l’italiano L2: risorsa per l’apprendi-
mento degli alunni stranieri?”
Gilardoni S., Corzuol D., 2016, “Il modello della grammatica valenziale per l’italiano L2. Una
sperimentazione in atto in contesto scolastico”, in Nuova secondaria, n. 2
Giunchi P., 2000, Teorie grammaticali e implicazioni pedagogiche, Roma, Lombardo
Graffi G., 2015, “Teorie linguistiche e insegnamento della grammatica”, in Favilla M.E., Nuzzo
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38
Parte I - Approfondimento bibliografici

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ca”, in Mazzotta P., Santipolo M. (a cura di), 2018, L’educazione linguistica oggi. Nuove sfide tra ri-
flessioni teoriche e proposte operative. Scritti in onore di Paolo E. Balboni, Torino, Utet Università
Nitti P., 2017, La grammatica nell’insegnamento dell’italiano per stranieri. Metodi e modelli
per l’acquisizione della grammatica, Saarbrücken, Edizioni Accademiche italiane
Palermo M., Poggiogalli D., 2010, Grammatiche di italiano per stranieri dal ’500 a oggi. Pro-
filo storico e antologia, Pisa, Pacini
Patota G., 2010, “Insegnare italiano a italiani e stranieri: dubbi e riflessioni di un grammatico”, in
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strumento per l’acquisizione delle lingue straniere, Perugia, Guerra
Scuola e Lingue Moderne, 2004, nn. 4-6, numero monografico sulla grammatica (sarà online
nel 2020 in www.anils.it) nell’insegnamento delle lingue straniere; include, tra i vari saggi:
Cardona M., “Il Lexical Approach: riconsiderare il lessico e la grammatica”
Cutullé L. “Multimedialità e didattica: il valore aggiunto dei cd-rom”
Desideri P., “L’analisi degli errori nell’apprendimento della lingua inglese”
Lo Duca M.G., “Perché fare grammatica in una classe di lingua?”
Lo Nostro M.D., “La ‘grammatica’ del corpo e la consapevolezza meta comunicativa”
Marra A., “A lezione di grammatica non standard”
Mazzotta P., “Modelli grammaticali e teorie linguistiche nella prassi didattica”
Aspetti metodologici
Balboni P.E., 20132, Fare educazione linguistica: Insegnare italiano, lingue straniere, lingue
classiche, Torino, Utet Università
Benucci A., 2015, “La correzione degli errori in italiano L2”, in Diadori P. (a cura di), Insegnare
italiano a stranieri (con espansioni online), Milano, le Monnier
Chiacchiella E., 2013, “Il testo autentico: criteri di selezione ed utilizzo del materiale (livelli C1,
C2) per un miglioramento della consapevolezza grammaticale”, in Caruso G., Dolci R. (a cura
di), Competenze d’uso e integrazione, Napoli, E.S.I.
Chiacchella E., 2015, “L’insegnamento della grammatica a livello avanzato”, in Lamarra A.,
Diadori P., Caruso G. (a cura di), Competenze d’uso e integrazione, Roma, Carocci
Ferrari S., Nuzzo E., 2010, “Facilitare l’apprendimento della grammatica: dalla teoria della
processabilità alla didattica per task”, in Caon F., (a cura di), Facilitare l’apprendimento dell’ita-
liano L2 e delle lingue straniere, Torino, Utet Università
Giunchi P., 2002, “Grammatica esplicita e Grammatica implicita: dal vecchio al nuovo para-
digma”, in Mazzotta P. (a cura di), Europa, lingue e istruzione primaria. Plurilinguismo per il
bambino italiano-europeo, Torino, Utet Libreria.
La Grassa M., 2017, “Il ruolo delle tecnologie educative nella didattica della grammatica in
italiano L2”, in Mosaic – The Journal for Language Teachers, n. 1
Lorenzi F. (a cura di), 2008, Terminologia grammaticale e metalinguistica nell’insegnamento
delle lingue straniere, Perugia, Guerra. Include, tra i vari saggi:
Castelli M., Bonucci P., “Dalla ‘grammatica’ alla ‘riflessione sul linguaggio’: teoria, metodo
e terminologia nella didattica delle lingue”

Insegnare la grammatica 39
De Meo A., “Grammatica, metalinguaggio e insegnamento della LS. Un’indagine sull’inglese
nelle scuole campane”
Lorenzi F., Lanari D., “Un software didattico per la terminologia grammaticale”
Matthiae C., 2012, “La riflessione metalinguistica nei manuali d’italiano L2: case study”, Italia-
no LinguaDue, n. 1, https://riviste.unimi.it/index.php/promoitals/issue/archive
Roncallo A., 2008, “Insegnare e apprendere la grammatica di una lingua seconda”, in Jafran-
cesco E., Processi di apprendimento linguistico e gestione della Classe ad Abilità Differenziate,
Firenze, Le Monnier
Torresan P., Della Valle F., 2013, Il noticing comparativo: la grammatica a partire dall’output,
Monaco, Lincom
Troncarelli D., 2016, “La riflessione grammaticale nei recenti manuali didattici per l’insegna-
mento dell’italiano L2”, in Italiano a stranieri, n. 20, https://goo.gl/rHx5X6
Whittle A., 2012, “Insegnare la grammatica della L2 nella classe multilingue: correzione, input
flood e scaffolding”, in Grassi R. (a cura di), Nuovi contesti d’acquisizione e insegnamento: l’ita-
liano nelle realtà plurilingui, Perugia, Guerra
Aspetti particolari
Daloiso M., 2018, “La perifrasi progressiva nella didattica dell’italiano a stranieri: analisi di
alcune grammatiche e proposte glottodidattiche ispirate alla linguistica cognitiva”, in Italiano
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Daloiso M., 2018, “Intorno alla perifrasi progressiva nelle grammatiche d’italiano per stra-
nieri: analisi dell’apparato esercitativo e proposte glottodidattiche basate sulla processing in-
struction”, in Italiano LinguaDue, n. 2, https://riviste.unimi.it/index.php/promoitals/index/
Daloiso M., Jiménez Pascual G., 2017, “Bisogni Linguistici specifici e apprendimento della
grammatica”, in Educazione Linguistica - Language Education (EL.LE.), n. 3, http://edizionicafo-
scari.unive.it/en/edizioni/riviste/elle/
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zionale e didattica delle lingue. Studio di caso sui «riflessivi» in italiano L2”, in De Marco A. (a
cura di), Lingua al Plurale: la formazione degli insegnanti, Perugia, Guerra
Nuzzo E., Ferrari S., 2011, “Un’osservazione longitudinale sul rapporto tra pragmatica e gram-
matica nell’acquisizione dell’italiano L2”, in Bozzone Costa, R., Fumagalli, L., Valentini A., Appren-
dere l’italiano da lingue lontane: prospettiva linguistica, pragmatica, educativa, Perugia, Guerra
Pellin T., 2010, “I cinesi e la grammatica. Una proposta per insegnare la grammatica italiana a
sinofoni”, in Rastelli S. (a cura di), Italiano di Cinesi, Italiano per Cinesi. Dalla prospettiva della
didattica acquisizionale, Perugia, Guerra
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cessing nella glottodidattica sperimentale”, in Bonvino E., Rastelli S. (a cura di), La didattica
dell’italiano a studenti cinesi e il progetto Marco Polo, Pavia, Pavia University Press, http://
www.paviauniversitypress.it/catalogo.html#atti
Motivazione e grammatica
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40
Parte I - Approfondimento bibliografici

L’errore e la valutazione
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Bettoni G., 2010, “Come gestire l’errore grammaticale”, in Ghezzi C., Grassi R., Piantoni M. (a
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Cioli A., 2020, “Errori di base nella classe di italiano C1: come correggere?. Alla ricerca di
tecniche di correzione alternative”, in Bollettino Itals, n. 84, https://www.itals.it/editoriale/
bollettino-itals-Febbraio-2020
Garofolin B., Miozzo M., “Analisi dell’errore nell’acquisizione dell’italiano in un contesto LS e
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scari.unive.it/it/edizioni/riviste/elle/
Grassi R., 2015, “Reazioni all’errore ed eccezioni all’inevitabilità delle regole nella didattica
delle lingue seconde”, in Grandi N. (a cura di), La grammatica e l’errore. Le Lingue naturali tra
regole, loro violazioni ed eccezioni, Bologna, Bononia University Press
Grassi R. (a cura di), 2018, Il trattamento dell’errore nella classe di italiano L2: teorie e pratiche
a confronto, Firenze, Cesati. Include, tra i vari saggi:
Andorno C., “Adesso ti spiego che errore hai fatto: identificare, descrivere e spiegare gli
errori per l’intervento didattico”
Bassani O., Castronovo M., “Feedback correttivo nel post-testing: strategie di correzione,
percezione e riparazione dell’errore. Studio di un caso”
Bozzone Costa R., Fumagalli L., Piantoni M., “Il feedback nella prassi didattica: insegnanti
a confronto”
Giardini D., “Il feedback correttivo nella fase produttiva orale. Un’indagine conoscitiva del-
le possibili ricadute emotive fra i discenti”
Grassi R., “Trattare il trattamento dell’errore: i come, quando e perché della correzione orale”
La Russa F., “Il feedback correttivo allo scritto: tecniche ed elaborazione”
Nuzzo E., “Prospettive di ricerca sul trattamento dell’errore nella produzione scritta in L2”
Grassi R., 2020, “La reazione all’errore. Implicazioni didattiche e interazionali dei principali tipi
di feedback correttivo conversazionale in classe”, in Lend, n. 1, pp. 40-51
Monami E., 2013, Strategie di correzione orale dell’errore in classi di italiano L2, Perugia, Guerra
Monami E., 2015, “La gestione dell’errore in classi di italiano per stranieri”, in Lamarra A., Dia-
dori P., Caruso G. (a cura di), Competenze d’uso e integrazione, Roma, Carocci
Monami E., 2021, Correggere l’errore nella classe di italiano L2, Roma, Edilingua
Lo Duca M.G., 2016, “Riflessione sulla lingua e correzione degli errori nella classe L2”, in Ita-
liano a stranieri, n. 20, https://goo.gl/rHx5X6
Rossi F., 2020, “Per una tipologia dell’errore sulla base di elaborati scritti in lingua italiana di
studenti L1 e L2”, in Dota M., Polimeni D., Prada M. (a cura di), 2020, Scrivere oggi all’universi-
tà, Quaderno di Italiano LinguaDue, n. 3, pp. 159-185, www.italianolinguadue.unimi.it
Rückl, M. 2021, “Sbagliando s’impara… Il ruolo degli errori nei concetti di acquisizione lingui-
stica e risvolti per il lavoro quotidiano in classe”, in AggiornaMenti, n. 19, pp. 44-51, https://
adi-germania.org/it/aggiornamenti-19/
Spaliviero C., 2016, “La correzione dell’errore nella CAD”, in Caon F. (a cura di), 2016, Educa-
zione linguistica nella Classe ad Abilità Differenziate plurilingue: teorie di riferimento e quadro
metodologico, Torino, Bonacci-Loescher

Insegnare la grammatica 41
PARTE II

LE ATTIVITà
Parte II - Capitolo 4

4. Costruire il materiale didattico per l’apprendimento


delle seconde lingue
Daniele Baldassarri

Per imparare a parlare in un modo funzionale, l’essere umano deve essere esposto a
una lingua per tutto lo stadio del primo sviluppo cognitivo – vale a dire dalla nascita ai
circa due anni di vita, durante i quali scopre e comprende il mondo attraverso gli oggetti
e i sensi – e deve poterla sperimentare e praticare entro lo stadio di sviluppo cognitivo
successivo (ossia entro i sei/sette anni, nel corso dei quali riesce a rappresentarsi mental-
mente gli oggetti e può definirli simbolicamente attraverso le parole) in modo costante
e ripetuto.
Durante questo periodo della vita, infatti, l’istinto linguistico presente in ogni essere uma-
no raggiunge i massimi livelli di attivazione e permette a un bambino di imparare spon-
taneamente una lingua, che diventa lingua materna (in glottodidattica anche L1). Questo
istinto può estendersi anche a due lingue o, assai più raramente, a tre e creare una condi-
zione di bilinguismo (o trilinguismo); tuttavia, superato il periodo in questione, che ecce-
zionalmente può lambire anche la soglia della pubertà e che non a caso viene identificato
come periodo critico di acquisizione del linguaggio (Lenneberg 1967), esso si interrompe,
compromettendo definitivamente la possibilità di imparare efficacemente una lingua, con
conseguente rischio di isolamento sociale.
Le lingue che vengono dopo, sono considerate lingue non materne (o L2 in glottodidattica)
e possono essere imparate a qualsiasi età. Sempreché, vale ricordarlo, sia già stata acquisi-
ta una lingua materna che abbia consentito, in tempo utile, l’attivazione e lo sviluppo delle
innate funzioni neurologiche preposte al linguaggio.
Il periodo migliore oscilla dai quattro/cinque anni alla pubertà – cioè grosso modo da poco
prima che inizi a manifestarsi il pensiero logico, caratterizzato dalla capacità di attivare
processi mentali su operazioni concrete e applicabili nell’immediato, a quando soprag-
giunge il pensiero astratto, consistente nella capacità di organizzare le conoscenze in modo
sistematico e di pensare in termini ipotetico-deduttivi, anche a livello immaginativo – ma,
in linea di principio, non vi sono limiti di età per imparare le lingue non materne, che re-
stano quindi accessibili all’essere umano per tutta la vita anche ben oltre il periodo critico.
La capacità di apprendimento varia con gli anni e si realizza con modalità diverse fra bam-
bini e adulti, questi ultimi considerati, nell’apprendimento linguistico, i soggetti che sono
entrati nel periodo adolescenziale e hanno perciò concluso l’ultima tra le fasi di sviluppo
cognitivo sopra ricordate. Più nello specifico, è stato osservato che: la fonologia sembra
essere l’area più sensibile per cui, già dopo appena i sei/sette anni, diminuirebbe la capa-
cità di ottenere una pronuncia non marcata e dopo gli undici/dodici diverrebbe pressoché
impossibile, anche se ciò varia sensibilmente sulla base della maggiore o minore vicinanza
di due sistemi fonologici; la morfosintassi è l’area linguistica che sembra essere maggior-
mente accessibile in un’età compresa fra il periodo adolescenziale e i quaranta anni circa; il
lessico – quantomeno quello costituito da parole semanticamente autonome come nomi,
verbi e aggettivi – pare non presenti ostacoli e possa venire appreso a qualunque età.

Insegnare la grammatica 45
Fermo restando cha la capacità di imparare e usare le lingue è innata nell’essere umano, il
processo cognitivo con cui un bambino impara la propria lingua materna è pertanto diver-
so da quello con cui un individuo ne impara una non materna: mentre il primo processo è
caratterizzato da spontaneità, naturalezza e non palese volontà, il secondo si caratterizza
essenzialmente per tre fattori differenti e definibili in termini di volontarietà, consapevo-
lezza e osservabilità. Considerazione, questa, che ha portato a individuare due diverse
modalità di assimilazione linguistica, universalmente conosciute in ambito glottodi-
dattico con i termini di acquisizione, propria delle lingue materne, e di apprendimen-
to, tipico invece di quelle non materne (Krashen 1981).
Se è certamente vero che l’assimilazione di una lingua non materna avviene per ap-
prendimento, cioè su base volontaria, consapevole, attraverso specifici interventi
didattici, non è tuttavia da escludere che tale assimilazione possa avvenire, almeno
parzialmente, anche per acquisizione, soprattutto se si ricorre a modalità operative
il più possibile rispettose della realtà linguistica, che possano consentire all’appren-
dente di immagazzinare certe nozioni anche in maniera non del tutto consapevole e
volontaria.
Ciò che distingue un processo di acquisizione da un processo di apprendimento è che
quest’ultimo, in genere, implica:
a. l’individuazione dei bisogni linguistici dell’apprendente;
b. la definizione di determinati obiettivi;
c. l’uso di strumenti didattici adeguati (manuali, realia, multimedia);
d. l’attivazione di tecniche volte a ottimizzare l’apprendimento;
e. l’implementazione di una (eventuale) prova di verifica finale.
Fra queste componenti viene a instaurarsi un rapporto di tipo ciclico e consequen-
ziale: i bisogni determinano la definizione degli obiettivi; questi ultimi influenzano la
scelta degli interventi didattici considerati più adeguati per conseguire gli obiettivi;
sulla base degli interventi compiuti, verrà implementata, eventualmente, una prova
di verifica finale capace di fornire riscontri sull’avvenuta o meno soddisfazione dei
bisogni individuati all’inizio.
Prima di innescare questo processo è però necessario conoscere quali siano le com-
petenze linguistiche degli apprendenti. Ciò è possibile somministrando loro in via pre-
liminare un test di piazzamento – spesso definito, seppure impropriamente, anche
test di ingresso – in modo da formare gruppi di lavoro il più possibile omogenei e
programmare con avvedutezza l’attività didattica. A questo riguardo è bene tuttavia
operare un distinguo: nel caso in cui siano stati stabiliti livelli di competenza da rag-
giungere entro determinate scadenze – cioè, per intenderci, nel caso di corsi di lingua
che prevedano esami finali – è ineludibile strutturare l’attività didattica in modalità
prospettiva, procedendo alla programmazione a tavolino di un sillabo mirato e strut-
turato nei dettagli, su cui lavorare per (tentare di) raggiungere tali competenze; nel
caso in cui non esistano né scadenze né obiettivi particolari da conseguire, sarebbe
più coscienzioso concepire un sillabo in modalità retrospettiva, come presa visione di
ciò che è stato fatto o, meglio, di ciò che è stato possibile fare.

46
Parte II - Capitolo 4

Il riscontro che l’insegnante deve offrire agli apprendenti non va limitato a interventi
di tipo binario, consistenti nel fornire la soluzione giusta eliminando la sbagliata, ma
essere arricchito da tutta una serie di interazioni di tipo emendativo che rispecchino
il più possibile quelle che si realizzano, in contesti naturali, fra nativi e non nativi. È
improbabile, infatti, che nel corso di conversazioni spontanee extrascolastiche un par-
lante straniero venga corretto da un nativo in maniera aperta ed esplicita. Più comune
è, invece, l’abitudine di segnalare determinati incidenti di percorso legati alla comu-
nicazione mettendo in atto strategie correttive non repressive, con uso di espressioni
del tipo: Che hai detto?/Non ho (mica) capito e simili (Ciliberti 1994).
È anche vero, però, che spesso sono gli apprendenti stessi a chiedere di venire corretti
in maniera esplicita, avvertendo il bisogno di una spiegazione univoca e rassicurante che
consenta loro di concettualizzare in modo chiaro ed esatto il significato di certe parole o
espressioni o il funzionamento di determinate norme, in vista di successivi riutilizzi lingui-
stici. In questo, non considerano tuttavia che lo studio della lingua non rappresenta una
scienza esatta e non sempre esistono spiegazioni univoche e nette per i fenomeni che la
riguardano, visto che non tutto è riconducibile, nell’uso di una lingua, a regole inappella-
bili e logiche.
Molti dei fenomeni linguistici in cui ci si imbatte quotidianamente avvengono, più che in
maniera logica, in modalità analogica o illogica. È infatti per analogia con espressioni del
tipo andare in macchina, andare in treno e simili che diciamo andare in bicicletta invece
che andare sulla bicicletta, come vorrebbe la logica; d’altro canto, se tutto ciò che diciamo
dovesse essere ricondotto alla rigidità e univocità della logica, non dovremmo dire nem-
meno cappello in testa ma, caso mai, testa in cappello, allo stesso modo in cui diciamo
mani in tasca.
Va anche ricordato che ogni apprendente è diverso da un altro per una molteplicità di fat-
tori quali il livello di partenza posseduto in L2, l’età, l’attitudine, la motivazione, la persona-
lità, il contesto culturale da cui proviene, le sue conoscenze enciclopediche. E si potrebbe
continuare. Compito dell’insegnante è organizzare le attività di classe ricorrendo alle
tecniche ritenute più confacenti, al fine di esercitare e sviluppare negli apprendenti
determinate abilità linguistiche, che possono essere sia ricettive che produttive e ri-
guardare sia l’oralità che la scrittura.
Ma cosa si intende per tecnica e cosa per attività? Non è semplice stabilirlo, tanto è vero
che questi due termini sono stati e ancora vengono utilizzati spesso in maniera pres-
soché sinonimica o comunque piuttosto ambigua o confusa.
In questo contributo si cercherà di fornire una definizione univoca e di tenere distinti
i due termini, nella consapevolezza che si riferiscono a due pratiche operative fra loro
complementari e vicendevolmente imprescindibili.
Con il termine attività si intende un compito da eseguire a scopo esercitativo, co-
stituito da un campione di lingua ritenuto idoneo allo scopo; un atto didattico che
unisce l’insegnante e gli apprendenti nel lavoro di classe e che si configura, a ragion
veduta, come terzo indispensabile protagonista del processo di insegnamento/ap-
prendimento linguistico (Freddi, 1994).
Il termine tecnica rimanda invece al procedimento attuativo con cui tale atto didattico
viene realizzato; la modalità operativa che ne regola lo svolgimento e che stabilisce un

Insegnare la grammatica 47
contatto fra il campione di lingua proposto in classe e il codice linguistico, vale a dire
fra la parole individualmente rappresentata e la langue collettivamente condivisa (De
Saussure, 1967).
Tecniche e attività costituiscono perciò le due facce di una medaglia chiamata metodo
e non sono in alcun modo separabili, dal momento che proprio attraverso le tecniche
le attività possono essere tradotte in concreti in atti didattici (Balboni 1991).
In altre parole, mentre l’attività rimanda al cosa fare in classe (apprendere certe regole
grammaticali, comprendere un testo, scrivere una lettera, raccontare un fatto e così
via), la tecnica rimanda al come farlo (coniugando certe voci verbali, individuando in-
formazioni specifiche, inserendo in un testo alcuni dati mancanti, rielaborando forme
e strutture linguistiche, rispondendo a determinate domande e via dicendo).
Il rapporto di immanenza che intercorre fra tecniche e attività è chiaro: le prime costi-
tuiscono il presupposto attraverso cui è possibile sostanziare le seconde e le seconde
possono essere realizzate nella pratica didattica solo attraverso le prime.
Va però precisato che, mentre il tipo di attività dipende dal livello di competenza degli
apprendenti e deve adattarsi a esso, il tipo di tecnica prescinde dal livello e quindi,
almeno in linea di principio, ogni tecnica è applicabile a qualsiasi livello.
Le attività di classe e le tecniche maggiormente utilizzate per realizzarle possono es-
sere variamente classificate, a seconda della prospettiva da cui le si osserva. In questo
contributo si propone la distinzione a seguire, pur nella consapevolezza che qualsiasi
classificazione rischia di essere deficitaria e incompleta.
Per classificare le attività di classe è innanzitutto importante tenere in considerazione
essenzialmente i tre seguenti fattori, che possono poi essere fra loro combinati in
vario modo:
a. il canale di comunicazione attraverso cui vengono eseguite;
b. il tipo di abilità linguistica su cui sono incentrate;
c. la finalità per cui vengono svolte.
Parlando del canale di comunicazione, ci si riferisce al mezzo fisico-ambientale che
viene attivato per eseguire le attività didattiche. In questo modo si possono distingue-
re attività da eseguire per il tramite del canale scritto rispetto ad attività da svolgere
ricorrendo a quello orale. Ciò non toglie che entrambi i canali possano, in molti casi,
essere attivati per lo svolgimento di una medesima attività. Per fare un esempio: pre-
via lettura di un brano se ne può fare il riassunto sia per iscritto che oralmente.
Il tipo di abilità linguistica su cui sono incentrate e per il cui sviluppo si rivelano più
idonee, porta a distinguere attività focalizzate sulle abilità di comprensione e attività
incentrate sulle abilità di produzione. Anche in questo caso la distinzione non è co-
munque netta: rispondere a delle domande dopo aver letto un testo, per esempio,
equivale a svolgere un’attività che stimola sia l’abilità di ricezione che quella di produ-
zione. Quando poi queste due abilità sono legate da un rapporto di interdipendenza
e concepite nell’ottica dello scambio informativo tra un mittente e un destinatario, si
configurano più specificamente come abilità di interazione. Le abilità linguistiche (co-
munemente conosciute anche con l’espressione inglese language skills) rappresenta-
no quindi le capacità che permettono di capire e farsi capire in una lingua e che sono

48
Parte II - Capitolo 4

responsabili di tutto il processo comunicativo; sono i mattoni su cui si basa qualsiasi


corso di lingua.
La finalità per la quale vengono svolte, permette di individuare attività volte a: scopri-
re le regole e gli usi linguistici su base induttiva; verificare le ipotesi formulate circa il
loro funzionamento; imparare le regole e gli usi della lingua; applicare le regole nelle
varie situazioni comunicative (Corder 1983). In linea generale si può affermare che le
attività di produzione sono più adatte ad applicare le regole e a verificare le ipotesi,
soprattutto se la produzione avviene in forma dialogata assumendo le caratteristiche
tipiche dell’interazione, mentre quelle di comprensione sono più adeguate a scoprire
le regole e a impararle. È chiaro però che queste finalità non sono tra loro nettamente
separabili né si escludono a vicenda ma, anzi, sono compresenti all’interno di una me-
desima attività, anche se in misura variabile. Affermando quindi che una determinata
finalità sia più facilmente perseguibile attraverso lo svolgimento di un’attività piutto-
sto che di un’altra, si ammette implicitamente che le finalità possono coesistere: una
certa attività può essere particolarmente adatta ad applicare certe regole linguistiche
ma, nel contempo, può rivelarsi utile sia a imparare tali regole nella forma e nell’uso,
che a verificare le ipotesi formulate circa la loro struttura e il loro funzionamento.
Combinando fra loro questi fattori si possono quindi realizzare attività di produzione
scritta finalizzate a scoprire certe regole e certi usi, attività di comprensione orale che
mirano ad applicare certe regole, attività di produzione scritta volte a imparare certe
regole e certi usi, attività di produzione orale finalizzate a verificare certe ipotesi pre-
cedentemente formulate e via dicendo.
Per classificare le tecniche si possono invece adottare i tre seguenti criteri, correlati
alle attività di classe che ne derivano:
a. il tipo di attività didattica che con una tecnica è possibile realizzare, a seconda dell’abi-
lità linguistica e del canale di comunicazione che si intende esercitare;
b. il modo con cui una tecnica è strutturata per la preparazione, svolgimento e correzione
di una determinata attività,
c. la modalità con cui una tecnica si realizza in base alle abilità linguistiche e ai canali di
comunicazione coinvolti nello svolgimento di una determinata attività.
Sulla base del primo criterio si possono distinguere tecniche per le attività di com-
prensione scritta, di comprensione orale, di produzione scritta e di produzione orale,
le cui ultime due, come accennato, possono acquisire le caratteristiche tipiche dell’in-
terazione.
Le tecniche per le attività di comprensione scritta permettono di realizzare attività
didattiche che aiutano a sviluppare la capacità di comprendere e recuperare informa-
zioni o concetti presenti in un testo scritto attraverso il processo di lettura, che può es-
sere selettiva o globale a seconda degli scopi didattici. Questa capacità, tuttavia, non
va intesa come semplice identificazione delle varie sequenze esplicite che correlano
le parti di un testo secondo principi di progressione causale e temporale, ma implica
anche la capacità di interpretare e valutare criticamente, attraverso inferenze di vario
tipo, i contenuti impliciti di un testo scritto.
Le tecniche per le attività di comprensione orale consentono invece di predisporre

Insegnare la grammatica 49
attività didattiche adatte a sviluppare, attraverso il processo di ascolto, la capacità di
comprendere e recuperare informazioni o concetti trasmessi da fonti linguistiche so-
nore; la capacità di ascolto, diversamente da quella uditiva che è di natura sensoriale
e indipendente dalla volontà del soggetto, è di natura cognitiva, giacché implica un’at-
tenzione consapevole ai suoni linguistici e la capacità di collegarli a varie situazioni,
contesti, persone.
Le tecniche per le attività di produzione scritta consentono di mettere a punto attività
didattiche utili a sviluppare la capacità di conservare e trasmettere dati e informazio-
ni attraverso il corretto utilizzo dei segni alfabetici; questa capacità, che permette di
realizzare un testo sintatticamente coeso e semanticamente coerente, si rivela indi-
spensabile non solo nelle comunicazioni scritte di natura istituzionale in cui il codice
scritto è l’unico ammesso e la comunicazione non presuppone repliche da parte del
destinatario, ma anche in quelle interpersonali realizzate a distanza tramite il tradizio-
nale e sempre meno utilizzato supporto cartaceo e i moderni mezzi informatici che,
ai giorni nostri, hanno acquistato una dimensione impensabile fino a pochi decenni
fa. In questo ultimo caso, considerata la bidirezionalità dell’informazione si parla più
specificamente di interazione scritta.
Le tecniche per le attività di produzione orale, infine, servono a predisporre attività didat-
tiche idonee a sviluppare la capacità di trasmettere opportunamente messaggi attraverso
l’uso parlato del linguaggio; questa capacità – che unitamente a quella di comprensione
orale catalizza l’attenzione maggiore degli studenti e degli insegnanti – costituisce una
pratica comunicativa indispensabile per instaurare e mantenere rapporti con i propri simili
a tutti i livelli, in qualità di attori sociali. La capacità di produzione orale, che presenta ca-
ratteristiche diverse e risponde a esigenze diverse rispetto a quella di produzione scritta,
non si configura solo come capacità di produrre messaggi di senso compiuto, ma implica
la capacità di agire linguisticamente nel modo appropriato, nel luogo giusto e al momento
opportuno, stimolando l’interesse dell’interlocutore e riuscendo a indirizzare le intenzioni
comunicative verso il raggiungimento di determinati scopi. Analogamente all’interazione
scritta, anche in questo caso la produzione orale va intesa più specificamente come inte-
razione orale.
In base al secondo criterio si possono invece distinguere tecniche controllate, tecniche
guidate e tecniche libere.
Le tecniche controllate sono quelle che danno luogo ad attività eseguibili solo seguen-
do procedure operative obbligate che conducano ad esiti del tutto prevedibili e mo-
nitorabili. Le risposte fornite devono infatti essere uguali per tutti gli apprendenti e
confluire verso una medesima soluzione. Riducendo al minimo l’autonomia performa-
tiva degli apprendenti, le tecniche controllate sono in genere pensate per elaborare
attività focalizzate sull’uso codificato della grammatica e del lessico, giacché obbliga-
no gli studenti a fornire risposte univoche e non grammaticalmente negoziabili; per
tale motivo, sono adatte a sviluppare abilità di tipo più linguistico che comunicativo.
Le tecniche guidate lasciano agli apprendenti la possibilità di svolgere con una certa
autonomia le attività loro somministrate, ma nel rispetto di alcuni vincoli di ordine
strutturale e/o situazionale che condizionano le loro scelte operative. L’esito di que-
ste attività, se non prevedibile come quello delle attività svolte su base controllata,

50
Parte II - Capitolo 4

è comunque intuibile poiché le soluzioni fornite, potendo variare nella struttura ma


non nei contenuti, risultano simili ma non identiche. Per queste loro caratteristiche, le
tecniche guidate sono adatte a sviluppare competenze in parte linguistiche e in parte
comunicative.
Le tecniche libere sono invece strutturate in modo tale da consentire agli apprenden-
ti di gestire come ritengono più opportuno le attività didattiche loro somministrate.
Se le tecniche controllate hanno un esito assolutamente prevedibile e quelle guidate
portano a soluzioni comunque intuibili, le tecniche libere sono caratterizzate dalla
non prevedibilità del loro esito. Le soluzioni fornite dagli apprendenti possono infatti
essere molteplici, tutt’altro che univoche, e una diversa dall’altra per struttura e con-
tenuti. Considerata l’elasticità con cui possono essere svolte e l’autonomia espressiva
che lasciano agli apprendenti, sono particolarmente adatte allo sviluppo di attività
comunicative e di un apprendimento abbastanza spontaneo.
Il passaggio da una categoria di tecniche all’altra non è netto: dalle tecniche controlla-
te si passa infatti a quelle guidate e si giunge a quelle libere attraverso un continuum
di modalità operative, anche se nello svolgimento di una determinata attività vi è
sempre una categoria che prevale sulle altre.
Questa distinzione ha ricadute pratiche sulla correzione delle attività svolte in classe
o a casa, indipendentemente dal fatto che alla correzione segua o meno una valuta-
zione.
Attività svolte con tecniche controllate possono infatti essere corrette collegialmente
in classe, visto che ognuna contempla una soluzione unica e uguale per tutti (salvi
tuttavia eventuali chiarimenti di cui ogni apprendente può necessitare singolarmen-
te). Attività elaborate attraverso tecniche guidate richiedono invece correzioni più
individualizzate, accompagnate solitamente da brevi commenti, diversi da soggetto
a soggetto; le correzioni possono anche essere svolte in classe, ma le risposte non
saranno univoche per tutti. Attività svolte con tecniche libere, infine, necessitano di
correzioni personalizzate, diverse da apprendente ad apprendente e mirate alle spe-
cifiche esigenze dei singoli; per questo non è agevole svolgerle in classe, a meno che
non le si voglia utilizzare come attività modello su cui effettuare riflessioni di natura
metalinguistica o di altro tipo, utili a tutta la classe; attività di questo tipo vengono in
genere svolte in forma privata.
La stessa distinzione ha ricadute evidenti anche in sede di verifica e, conseguente-
mente, di valutazione.
Le tecniche controllate servono infatti alla preparazione di prove strutturate le quali,
pur non consentendo una verifica della produttività e della creatività dei singoli stu-
denti e poco idonee a fare emergere attitudini e potenzialità individuali, hanno il pre-
gio della trasparenza docimologica e risultano più efficaci sul piano della valutazione
oggettiva. Inoltre, pur richiedendo all’insegnante parecchio tempo per la loro prepa-
razione, sveltiscono la successiva fase della correzione e permettono di economizzare
il tempo che, nell’insegnamento in generale ma particolarmente in quello delle lingue
non materne, non può dirsi mai troppo.
Le tecniche libere, all’opposto, servono per la preparazione di prove aperte le quali,
pur condizionate dallo stato d’animo dello studente al momento della prova e dalla

Insegnare la grammatica 51
forma mentis specifica dell’insegnante al momento della valutazione, stimolano gli
studenti a riflettere e a organizzare le loro conoscenze (identificabili come saperi e
riconducibili a una dimensione di natura cognitiva), mettendo in pratica le proprie
abilità (corrispondenti al saper fare e riconducibili pertanto a una dimensione di natu-
ra operativa) per raggiungere determinate competenze (identificabili come capacità di
raggiungere determinati obiettivi e riconducibili a una dimensione di natura affettiva
capace di attribuire a queste competenze senso e valore personale). Le prove aperte
favoriscono quindi una valutazione soggettiva poiché riescono meglio a fare emerge-
re le potenzialità e le capacità di ogni singolo studente nel rispetto del proprio stile
di apprendimento e della propria personalità. Queste prove hanno il vantaggio di ri-
chiedere all’insegnante poco tempo per la loro preparazione, ma necessitano di tempi
assai maggiori per la loro correzione e sono più difficili da valutare perché richiedono
riflessioni docimologiche più approfondite.
Le tecniche guidate sono infine adatte alla preparazione di prove semistrutturate le
quali, come è intuibile, compensano e attenuano i pregi e i difetti di quelle strutturate
e di quelle aperte.
Posto che nessun tipo di tecnica può essere utilizzato in via esclusiva e visti i vantaggi
e gli svantaggi intrinseci in ogni tipo di prova, una verifica apprezzabile sul piano doci-
mologico dovrebbe contenere tutti e tre i suddetti tipi di tecniche.
Sulla base del terzo criterio, di natura più marcatamente operativa, le tecniche pos-
sono essere realizzate in modalità isolata, integrata, abbinata, incrociata o diffusa, a
seconda di quali abilità, ricettive o produttive, e di quale canale, scritto od orale, ven-
gano richiesti e attivati per lo svolgimento delle varie attività (Zuanelli 2009).
La modalità isolata vede coinvolta una singola abilità, ricettiva o produttiva, in unione
a un singolo canale, scritto od orale. In questo modo si possono ottenere attività di
comprensione scritta (per esempio abbinando certe domande alle rispettive risposte o
le prime parti di frasi alle loro seconde parti), di produzione scritta (per esempio coniu-
gando alcune forme verbali inserite fra parentesi al modo infinito o scrivendo un testo
su un determinato argomento), di comprensione orale (come avviene, per esempio,
quando si abbinano delle immagini a certe frasi ascoltate), di produzione orale (chie-
dendo, per esempio, di descrivere una immagine o di raccontare un avvenimento).
La modalità integrata chiama in causa una singola abilità, ricettiva o produttiva, unita-
mente a entrambi i canali scritto e orale; in questo modo, si può progettare un’attività
integrando fra loro la comprensione orale e quella scritta (per esempio chiedendo di
indicare su un foglio o su una griglia predisposta se certe parole, frasi o informazioni
sono presenti o meno in un testo orale) oppure la produzione orale e quella scritta
(per esempio chiedendo di riassumere per iscritto il contenuto di una conversazione
svolta in precedenza od oralmente il contenuto di un testo scritto).
La modalità abbinata vede coinvolte entrambe le abilità ricettive e produttive attra-
verso l’utilizzo di un solo canale; ciò consentirà di abbinare fra loro la comprensione
e la produzione scritta (per esempio riassumendo un testo scritto o rispondendo ad
alcune domande su di esso) oppure la comprensione e la produzione orale (per esem-
pio svolgendo un dialogo o riferendo oralmente i contenuti più salienti di un testo
ascoltato in precedenza).

52
Parte II - Capitolo 4

La modalità incrociata implica il coinvolgimento delle abilità ricettive e produttive at-


traverso l’impiego alternato dei canali scritto e orale; in questo modo si potranno
incrociare, nella medesima attività, la comprensione scritta con la produzione orale
(per esempio chiedendo di sintetizzare oralmente i contenuti di una lettura) oppure
la comprensione orale con la produzione scritta (per esempio chiedendo di scrivere
un testo sotto dettatura o di riassumere in forma scritta un testo ascoltato in prece-
denza).
La modalità diffusa è la più articolata di tutte poiché coinvolge contemporaneamente
entrambe le abilità ricettive e produttive ed entrambi i canali, scritto e orale, attivati
almeno in una delle due abilità. Casi del genere si hanno, per esempio, quando si
chiede di rispondere a domande relative a un ascolto, poiché tale richiesta implica la
comprensione del testo orale, la comprensione delle domande scritte e la produzio-
ne delle risposte, siano esse fornite in forma scritta od orale, o quando si chiede di
sviluppare una discussione sulla base di un testo scritto di riferimento, in quanto tale
richiesta chiama in causa la comprensione scritta del testo, la comprensione orale di
ciò che dice l’interlocutore e la produzione orale di quanto viene detto.
A questo riguardo si propone il seguente schema in cui i vari simboli indicano, rispetti-
vamente, la comprensione scritta (), la produzione/interazione scritta (), la com-
prensione orale (), la produzione/interazione orale ().

Modalità di realizzazione delle tecniche


isolata integrata abbinata incrociata diffusa
           

Combinando variamente i parametri che stanno alla base dei suddetti criteri, è pos-
sibile così ipotizzare una molteplicità di casi: tecniche controllate realizzate in mo-
dalità abbinata per le attività di comprensione scritta, tecniche guidate realizzate in
modalità incrociata per le attività di produzione orale, tecniche controllate realizzate
in modalità isolata per le attività di comprensione orale, tecniche libere realizzate in
modalità diffusa per le attività di comprensione scritta e così via, fermo restando che
il confine tra tecniche per le attività di comprensione (sia orale che scritta) e tecniche
per le attività di produzione (anche in questo caso sia orale che scritta) non è sempre
netto e una stessa tecnica può essere applicata per svolgere attività sia orali che scrit-
te, sia di comprensione che di produzione.
Non si può, quindi, parlare di tecniche senza parlare di attività e viceversa, dal mo-
mento che ogni tecnica rinvia a qualche attività e ogni attività trae origine da qualche
tecnica. Questa correlazione è biunivoca e inscindibile ma non sempre né necessaria-
mente si configura come un rapporto di uno a uno, dal momento che con una medesi-
ma tecnica possono essere realizzate attività di vario tipo e che in una singola attività
possono confluire contemporaneamente più tecniche. Il che sta a significare che le
tecniche e le attività proposte e svolte in classe assumono un carattere ibrido, come
gli insegnanti di lingua avranno spesso avuto modo di notare o intuire.

Insegnare la grammatica 53
Se, per esempio, in un’attività si chiede di sintetizzare (per iscritto od oralmente) il conte-
nuto di un testo scomposto in varie parti dopo averle ricollocate nella giusta sequenza, si
applicano due tecniche diverse, sommandole tra loro: la prima è di tipo ricettivo e consi-
ste in un riordino delle parti scomposte, la seconda è di tipo produttivo e consiste in un
riassunto scritto od orale. Ancora, dovendo ricostruire in maniera corretta e significativa
un testo coniugando al tempo e modo opportuni certi verbi forniti in ordine sparso e nella
loro forma base dell’infinito, occorrerà ricorrere a due operazioni distinte e corrispondenti
ad altrettante tecniche: la prima di tipo ricettivo, consistente in una selezione dei verbi
appropriati ad ogni spazio da colmare; la seconda di tipo produttivo, consistente in una
sostituzione delle forme dell’infinito con quelle del tempo e del modo opportuni.
Se invece, per esempio, in un’attività si chiede di unire delle domande alle loro rispettive
risposte, in un’altra di unire le parti iniziali di frasi ai rispettivi séguiti e in un’altra ancora
di associare delle frasi a dei disegni, la tecnica, di tipo ricettivo, non cambia, visto che con-
siste in ogni caso nell’abbinare tra loro certi elementi. Allo stesso modo, se in un’attività
si chiede di volgere al passato certi verbi al presente, in un’altra di passare dalla prima
alla terza persona e in un’altra ancora di cambiare il singolare di certi nomi con i rispettivi
plurali, la tecnica, in questo caso di tipo produttivo, rimarrà invariata e consisterà, in tutti
e tre i casi, in una sostituzione di certe forme con altre.
L’apprendimento delle lingue non materne avviene dunque per mezzo di determinate tec-
niche e specifiche attività calibrate sulla base e nel rispetto delle motivazioni, potenzialità
e personalità degli apprendenti. Per favorirlo al meglio, è importante che l’insegnante li
orienti il più verso l’autogestione, assecondando le loro iniziative personali e riducendo
i suoi interventi a quanto basta per consapevolizzarli sulle loro capacità, motivazioni e
responsabilità. L’insegnante, si sa, ha il compito di facilitare l’apprendimento, non im-
porlo, ricorrendo alle attività e alle tecniche più adatte alle conoscenze, alle esigenze
e agli obiettivi didattici auspicati e attesi.
(Per un approfondimento, cfr. Baldassarri 2019)

Bibliografia di riferimento
Balboni E.P., 1991, Tecniche didattiche e processi d’apprendimento linguistico, Padova, Liviana
Baldassarri D., 2019, Lavorare in classe. Tecniche e attività nella didattica delle lingue non
materne, Roma, Universitalia
Ciliberti A., 1994, Manuale di glottodidattica, Firenze, La Nuova Italia
Corder S.P., 1983, Introduzione alla Linguistica applicata, Bologna, Il Mulino. (Ed. or., 1973,
Introducing Applied Linguistics, Harmondsworth, Penguin)
De Saussure F., 1967, Corso di linguistica generale, Roma-Bari, Laterza (Ed. or., 1916, Cours de
linguistique générale, Lausanne/Paris, Payot)
Freddi G., 1994, Glottodidattica. Fondamenti, metodi e tecniche, Torino, Utet Libreria
Krashen S.D., 1981, Second language acquisition and second language learning, Oxford, Per-
gamon
Lenneberg E.H., 1967, Biological Foundations of Language, New York, Wiley
Zuanelli E., 2009, Glottodidattica. Dalle scienze del linguaggio all’educazione plurilingue,
Roma, Nuova Cultura

54
Parte II - Capitolo 5

5. Attività ludiche per l’insegnamento della grammatica


Ernesto Nàbboli

Non è lo scopo di questo capitolo entrare nel merito della glottodidattica ludica, sulla
quale esiste una notevole bibliografia (tra gli italiani ricordiamo Caon, Rutka 2004; Caon
2006; Costenaro 2008; Balboni 2013; Lombardi 2013 e 2019; Zini 2014; Schenetti 2017; tra
i testi stranieri, Macedonia 2005; Talak-Kiryk 2010; Buttner 2013; Sykes et al. 2013; Gozcu,
Caganaga 2016; Reinhardt 2019): ci limiteremo a ricordare che la ludicità svolge non solo
una evidente funzione motivante, che alleggerisce la lezione rendendola più varia, ma che
espleta altre due funzioni fondamentali:
a. da un lato stimola la produzione di noradrenalina e di altri ormoni legati alla sfida ed al
piacere, sostanze che sono utili ai fini dell’acquisizione;
b. dall’altro, l’attività di gioco sposta l’attenzione dalle regole, dal lessico, dalle funzioni,
dalle strutture focalizzandola sul gioco come attività. Si applica In altre parole la regola
di Krashen nota come rule of forgetting, secondo la quale si impara meglio una lingua
quando ci si dimentica che non si sta apprendendo una lingua.
Dato per assodato questo discorso di fondo, cercheremo di vedere ora quale glottodidatti-
ca ludica può essere più produttiva e proficua ai fini dell’apprendimento di quel complesso
di nozioni che chiamiamo genericamente ‘grammatica’.
Essenzialmente le famiglie di giochi disponibili sono due:
- la prima consiste di giochi che coinvolgono più persone, e nei quali quindi c’è anche un
elemento di gara sociale, un gioco di regole in cui alla fine ci deve essere un vincitore,
che può essere il singolo o la squadra cui appartiene;
- la seconda grande famiglia è quella delle sfide individuali, in cui ciascuno gioca con se
stesso, cercando di superare un problema, come avviene in tutta la grande famiglia dei
giochi che rientrano nel nome di ‘enigmistica’ e, nei giochi di carte reali o virtuali, nella
famiglia dei ‘solitari’.

5.1. Giochi che coinvolgono due o più studenti


Il gioco più diffuso nella vita sociale degli studenti è senza dubbio il gioco in coppia o in un
piccolissimo gruppo, in cui l’agonismo è immediato, diretto, provocando l’effetto rule of
forgetting che abbiamo richiamato sopra: l’avversario (quasi ‘nemico’, se il gioco coinvolge
molto) non è più il sistema dei pronomi o del passato in italiano – nemico astruso e quasi
invincibile! – bensì il compagno di banco, che provoca e che va provocato, che gioisce e
che va ‘punito’ per aver gioito...: lotta tra umani, non di un umano contro i secoli che han-
no prodotto la grammatica italiana.
Esistono vari formati tradizionali di giochi che si prestano molto bene all’esercitazione
grammaticale. Ne indichiamo alcuni, rinviando alle schede in Balboni 2013, Buttner 2013,
Sykes et al. 2013 e Reinhardt 2019 per trovarne di ulteriori, che l’economia di questo con-
tributo non ci consente di citare.

Insegnare la grammatica 55
Tris, tria
Tris o tria è un gioco tradizionale noto a tutti ragazzini
italiani, e quindi può anche svolgere una funzione di
divulgazione culturale nei paesi in cui quel gioco non
è noto.
Si realizza con due linee verticali e due orizzontali che
creano nove caselle, all’interno delle quali ogni gioca-
tore cerca di creare un tris, cioè una serie verticale,
orizzontale oppure diagonale con il suo simbolo (di so-
lito uno usa cerchietti, l’altro crocette).
Il meccanismo del gioco è quindi abbastanza semplice,
può essere spiegato anche a studenti di livello A1, e può essere applicato praticamente a
qualunque struttura morfosintattica.
Ad esempio, se si sta lavorando sul passato prossimo, con il problema aggiuntivo che il
participio passato è spessissimo irregolare nei verbi ad alta frequenza, la dinamica del
gioco può essere questa:
1. un giocatore, che chiamiamo A, vuole segnare il suo cerchietto nell’angolo in alto a
sinistra;
2. l’altro giocatore, B, dice un verbo, ad esempio venire
3. A deve produrre una frase che contenga ausiliare+venuto
4. se B ritiene corretta la risposta, allora A può segnare il suo cerchietto; se la risposta è
scorretta A perde il turno; nel caso in cui ci sia una differenza di opinioni sulla correttez-
za della frase che è stata prodotta da A viene chiamato l’insegnante, che si trasforma
in arbitro.
È un vero e proprio esercizio strutturale, caratterizzato come tutti i pattern drills dalla cop-
pia stimolo → risposta. L’elemento interessante, rispetto alla demotivazione degli esercizi
strutturali tradizionali è che, finita la partita, chi ha perso vuole indubbiamente avere l’oc-
casione di una rivincita, e nel caso in cui il primo vincitore venga sconfitto, c’è un condiviso
bisogno dello spareggio: si giunge quindi spontaneamente a 27 serie di stimolo → risposta
→ conferma o correzione.
Questa tecnica può essere usata con argomenti di diversa difficoltà, pur restando in sé
semplice ed elementare – dalla scelta dell’articolo determinativo di fronte ad una parola
a quella di relativi come che o chi, dal passato remoto agli imperativi seguiti dal pronome
personale, dai verbi di opinione seguiti dal congiuntivo alle congiunzioni coordinanti e
subordinanti, e così via.

Battaglia navale
Un altro gioco su schema molto comune in Italia e la battaglia navale.
Tradizionalmente abbiamo una serie di lettere in alto e di numeri in verticale Ma possiamo
mettere le restanti lettere nella colonna verticale in modo che per colpire una casella basti
dichiarare, ad esempio, ES, apprendendo in tal modo in maniera giocosa il nome delle
lettere dell’alfabeto.
Se al posto delle lettere alfabeto, restando nel livello A1, si mettono i numeri cardinali in

56
Parte II - Capitolo 5

alto e quelli ordinali in verticale si esercitano questi aggettivi; oppure se si possono met-
tere giorni della settimana in alto e orari in quella verticale, in modo cehper colpire una
casella bisogni coniare una frase del tipo: ‘vado a fare ginnastica ogni giovedì alle 17:30’,
incrociano quindi la colonna del giovedì con quella delle 17.30.
Anche nella battaglia navale, come in tris, solo se la frase è corretta la casella viene ritenu-
ta colpita e l’eventuale nave è affondata.

Il dado
Un altro strumento che consente di giocare a coppie e sviluppa un forte agonismo è dato
da un semplicissimo dado.
Nella tradizione italiana del gioco con i dadi di solito si deve raggiungere il punteggio di
31 – raggiunto il quale è presumibile che il perdente chieda la rivincita ed eventualmente
ci sia anche uno spareggio.
Il meccanismo è estremamente semplice e ricorda quello del tris: il giocatore A lancia il
dado e realizza, ad esempio, 4 punti: per poter segnare 4 nel suo punteggio deve compiere
l’operazione linguistica che gli viene affidata dal compagno B, come in tris.
Le tre tecniche che abbiamo visto, soprattutto il tris e il gioco dei dadi, possono accogliere
moltissime strutture morfosintattiche diverse. Ci sono altre attività che sono meno elasti-
che, che si prestano solo ad alcuni elementi grammaticali. Un esempio può essere quello
del cosiddetto dettato Picasso.

Dettato visivo o ‘dettato Picasso’


In questa attività lo studente A detta allo studente
B un disegno anziché un testo da scrivere. In questo
caso vengono esercitate le nozioni di spazio, cioè a
destra/sinistra, sopra/sotto, davanti/dietro, in alto/
in basso e così via.
Si può dettare, per esempio, un paesaggio: basta
partire da un foglio con una linea orizzontale che
rappresenta l’orizzonte, il suolo su cui disegnare, ad
esempio, una casa con degli alberi e delle finestre,
un cane, delle persone, un’automobile, un garage e
così via: gli studenti sono convinti di stare lavorando
sul lessico, mentre in realtà stanno lavorando anche
tutte le nozioni di spazio perché devono capire dove
devono disegnare i singoli oggetti del paesaggio.
Una variante quella di un foglio in cui è segnata sem-
plicemente la prospettiva interna di una stanza che
gli studenti devono ammobiliare; quindi, ancora una volta, si detterà che a destra della
poltrona c’è un tavolino che ha sopra un vaso di fiori e sotto il quale c’è una palla e così via.

La fila motivante
Oltre ai giochi di coppia che abbiamo visto sopra, ci sono anche dei giochi che possono

Insegnare la grammatica 57
coinvolgere tutta la classe.
Ad esempio, quando mancano 5 minuti alla fine della lezione e non c’è tempo per in-
cominciare e affrontare un tema di una certa vastità, può essere utile promettere agli
studenti che se si mettono in fila ordinatamente (e in silenzio!) che potranno lasciare la
classe ancor prima della fine dell’ora – promessa estremamente motivante in qualunque
contesto...
La fila può essere ordinata secondo più variabili, ad esempio, da chi al mattino si alza per
primo a chi si alza per ultimo, oppure dal più giovane al più vecchio, ecc.: in un gruppo di
25 persone ciascuno deve dire 24 volte a che ora si alza oppure la propria data di nascita e
deve comprendere 24 volte a che ora si alzano o quando sono nati i suoi compagni di cor-
so. Quello che è importante e che dà senso a questa attività ludica è che la comprensione
non è finalizzata a tracciare una crocetta su un test a scelta multipla, ma a spostarsi avanti
o indietro nella fila e a mettersi davanti o dietro ad un proprio compagno. Ancora una vol-
ta quindi interviene la rule of forgetting, per cui la dinamica del gioco fa dimenticare che
si sta esercitando una struttura grammaticale.

5.2. Giochi in cui lo studente sfida se stesso


Nelle attività che abbiamo visto finora ci sono almeno due persone coinvolte. Ci sono
anche molte attività che ciascuno studente può fare da solo, e che quindi possono essere
utilizzate sia in un momento di rilassamento all’interno della normale attività di classe,
sia come attività di recupero, di rinforzo, di esercitazione, da eseguire privatamente a
casa.

Cruciverba
Si tratta di giochi su schema, e il più facile da realizzare è senz’altro il cruciverba. Esistono
moltissimi siti che automaticamente generano cruciverba sulla base delle parole che è
l’insegnante inserisce nello schermo. Si consiglia di scegliere i crossword makers che non
richiedono di inserire anche la definizione, ma semplicemente le parole; dopodiché ba-
sterà effettuare uno screenshot e copiarlo su un file word che può essere spedito a tutta
la classe, oppure stampato e dato ai ragazzi che hanno particolari bisogni.
La caratteristica fondamentale di questa tecnica, se viene usata per la grammatica, è che le
parole che vengono inserite possono appartenere tutte a un unico aspetto grammaticale:
ad esempio, possono essere verbi irregolari, congiunzioni, pronomi indefiniti, ecc. Suppo-
nendo che in classe si stia lavorando sul passato remoto, il modo più semplice di dare le
definizioni consiste nel dare il verbo all’infinito.
Altrettanto semplice è creare un cruciverba partendo dal dialogo che gli studenti hanno
ascoltato e compreso all’inizio dell’Unità, oppure una lettura che hanno affrontato, oppure
ancora, se siamo in un livello avanzato, anche da testi che gli studenti non hanno mai letto
in precedenza. La realizzazione è semplice: supponendo che si stia lavorando sul passato
prossimo, si inseriscono nel cruciverba tutti i participi passati che compaiono nel testo, e
nel testo stesso si cancellano i participi passati scrivendo al loro posto 3 orizzontale oppure
4 verticale ecc., cioè la collocazione di quel participio passato nel cruciverba, che diventa

58
Parte II - Capitolo 5

in tal modo una formula mista tra il close e l’esercizio grammaticale più tradizionale.
Chiudiamo qui questa rapida rassegna, il cui scopo non è quello di offrire “ricette glotto-
didattiche”, ma di risvegliare l’interesse verso queste attività motivanti e produttive che
spesso richiedono assai poco tempo per la realizzazione in classe nonché per la prepara-
zione dei materiali, laddove questi sono necessari, materiali che, una volta realizzati, sono
riutilizzabili ogniqualvolta se ne abbia necessità, soprattutto in fase di recupero individua-
lizzato, in modo che il recupero non sia una condanna ma un... gioco.

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Insegnare la grammatica 59
6. La grammatica con i bambini:
alcune idee per l’esplorazione e il gioco
Sara Servetti

Se torniamo con la mente a quando eravamo seduti nei banchi di scuola e ripensiamo
alle lezioni di grammatica, molti di noi hanno ricordi di lunghe spiegazioni ed esercizi mo-
notoni. Se proviamo a riflettere su questi sentimenti di noia e scarso interesse, possiamo
constatare che cozzano con ciò che il fare grammatica ci offre: imparare come funziona
una lingua vuol dire avere a disposizione nuovi strumenti per comprendere e comunicare.
La sua importanza e la sua spendibilità concreta dovrebbero suscitare emozioni ben più
positive.
Ora che siamo dall’altra parte, ovvero dietro una cattedra, come possiamo agire per pre-
sentare la grammatica in modo diverso da come la maggior parte di noi l’ha vissuta? Cosa
possiamo fare per far sì che i nostri allievi siano interessati, coinvolti, motivati nell’ affasci-
nante scoperta dei meccanismi di funzionamento della lingua?
Possiamo provare ad individuare qualche strategia didattica solo se riflettiamo sul tipo di
apprendenti con cui abbiamo a che fare, cercando di tenere in considerazione il più possi-
bile le loro caratteristiche così da sfruttarne le potenzialità.
In primo luogo, siamo consapevoli del fatto che ogni classe è sempre eterogenea, perché
è formata da bambini diversi, con diverse combinazioni di tipi di intelligenze, stili cognitivi
e di apprendimento, tempi, ritmi, esperienze. Questa situazione così variopinta rende ne-
cessaria un tipo di didattica altrettanto variopinta, ovvero incentrata sulla varietà e sulla
flessibilità: alterniamo le tipologie di esercizi, adottiamo diversi metodi e approcci, varia-
mo le tecniche, in modo da essere sicuri di arrivare a ciascun bambino. Anche quando
trattiamo argomenti grammaticali, quindi, è necessario differenziare il nostro modo di
procedere e le attività che proponiamo.
In secondo luogo, teniamo a mente che il bambino può essere influenzato considerevol-
mente nel suo percorso di apprendimento dalle emozioni che prova: egli non è soltanto
“un essere razionale, ma prima di tutto una persona dotata di sentimenti e attitudini che
condizionano il suo rapporto con il mondo, il suo rapporto con gli altri” (Luise, 2006: 79).
È importante quindi considerare quello che succede “dal collo in su” per usare le parole
di Rogers (1973: 8), ma anche gli aspetti sociali ed emotivi, che possono accendere la
motivazione ad apprendere e migliorare in modo significativo l’apprendimento stesso. Nel
nostro caso, se riusciamo a proporre argomenti grammaticali in modo da stimolare la cu-
riosità del bambino, da fargli assaporare il piacere di apprendere, di scoprire, di mettersi in
gioco accettando una sfida, il piacere della novità e della varietà (Balboni, 2015), se quindi
riusciamo a fargli provare emozioni positive, la ricaduta sulla motivazione sarà enorme e
allora anche la grammatica diventerà interessante.
Da ultimo, ma non per importanza, consideriamo la naturale propensione al gioco che i
bambini hanno: a differenza di molti adulti che tendono ad avere più difficoltà ad accet-
tare attività ludiche in un contesto scolastico, essi si relazionano al gioco con spontaneità
ed entusiasmo, dal momento che rappresenta per loro uno dei principali mezzi per cono-

60
Parte II - Capitolo 6

scere, scoprire e crescere. Di conseguenza, possiamo sfruttare a nostro vantaggio questa


caratteristica per proporre contenuti grammaticali sotto forma di attività ludiche.
Varietà, sfida e gioco sono il filo rosso che unisce le idee didattiche presentate nelle pagine
seguenti, sia per proporre argomenti grammaticali e incoraggiare la riflessione linguistica,
sia per esercitarne le strutture.

6.1. Scoprire la grammatica e trovare da sé le regole grammaticali


Seguendo un approccio di tipo induttivo, è possibile affrontare la grammatica invertendo
i ruoli insegnante-studente: non è più l’insegnante a fornire regole già belle e pronte e
a farle piovere dall’alto, ma è il bambino in prima persona a trovare le informazioni di
cui ha bisogno per formulare lui stesso le regole, “mettendo in moto quelle capacità di
base che sono l’osservazione, la classificazione, il confronto, l’ordinamento, l’inclusione,
la categorizzazione” (Lo Duca, 2008: 23). Il bambino diventa dunque l’esploratore del si-
stema linguistico che sta imparando, il protagonista della lezione, colui che trova la regola
nascosta, mentre l’insegnante assume il ruolo di guida e supporto in questo processo di
analisi e riflessione, aiutando il bambino a notare le caratteristiche ricorrenti della lingua
e a individuarne i meccanismi di funzionamento.
Con questo approccio non viene promosso tanto un insegnamento della grammatica –
inteso come processo di studio e applicazione di regole fisse – ma piuttosto viene inco-
raggiata una scoperta attiva della grammatica da parte dei bambini stessi – ovvero un
processo di riflessione metalinguistica.
Questa inversione di ruoli e il coinvolgimento attivo che ne deriva influiscono positivamen-
te sia sull’output del bambino, che sarà più corretto grazie a una consapevolezza linguistica
maggiore, sia sulla sua motivazione, dal momento che sperimenta il piacere della scoperta
e della sfida nel risolvere un determinato problema. Infine, scoprire attivamente le regole
grammaticali può incoraggiare un’attitudine, una propensione all’analisi e alla riflessione,
che può facilitare il bambino e renderlo più autonomo nel catalogare e reperire le infor-
mazioni relative alle strutture linguistiche che ha già incontrato e che incontrerà in futuro.

6.1.1 Promuovere la riflessione linguistica


Innanzitutto prendiamo in considerazione una struttura grammaticale alla volta, in modo
da delimitare il campo e facilitare il lavoro di analisi.
Possiamo proporre un input linguistico chiaro che contenga esempi significativi della strut-
tura che si va ad esaminare, che sia sufficiente da permettere un’analisi, ma non eccessivo,
per non distrarre o annoiare il bambino. Inoltre è necessario prestare attenzione anche a
ciò che circonda l’input linguistico stesso, ad esempio la forma grafica e l’uso del colore,
perché possono aiutare a catalizzare l’attenzione e a facilitare la riflessione stessa.

Insegnare la grammatica 61
Figura 1

La figura 1 (tratta, come pure le altre figure, da Forte in grammatica, Edilingua, pagina
16) è riportata a titolo esemplificativo: l’input da esaminare è limitato ma rilevante, e ciò
facilita la concentrazione e l’analisi. Inoltre, è inserito all’interno di fumetti e vignette che
hanno come protagonisti una classe in gita scolastica, le cui avventure si snodano per tutto
il libro. La scelta di un genere vicino al mondo dell’infanzia che non viene percepito come
qualcosa di pesante e noioso, il fatto che i personaggi rappresentati nei disegni siano loro
pari, le situazioni verosimili e legate ad un momento piacevole della vita scolastica, tutto
ciò contribuisce a suscitare interesse e tenere alta l’attenzione.
Inoltre, come si può notare nell’immagine, anche l’uso del colore può facilitare il bambi-
no nel lavoro di individuazione e analisi delle strutture linguistiche: le forme su cui deve
concentrarsi sono evidenziate all’interno dei fumetti con il colore turchese, di modo che
risaltino rispetto alle altre parole, scritte in nero.

6.1.2 Individuare la regola


Una volta forniti gli esempi, passiamo ad osservarli e analizzarli. Una strategia può essere
quella di porre domande – aperte o a risposta multipla – oppure di lavorare attivamen-
te sulle strutture grammaticali per mezzo di semplici attività – come colorare o formare
insiemi. L’importante è che le richieste siano semplici, brevi, chiare e legate l’una all’altra
di modo che si passi dal più semplice al più complesso, affinché il ragionamento venga
guidato un passo alla volta.
Un esempio di questo modo di procedere è riportato in figura 2, relativa al passato pros-

62
Parte II - Capitolo 6

simo: la domanda e gli esempi rendono il bambino innanzitutto consapevole del fatto che
le forme verbali in esame siano costituite da due parti. Solo successivamente, la richiesta
di riempire le caselle dei verbi di due colori distinti lo fa concentrare sui due ausiliari.

Figura 2

Formare insiemi e usare i colori può aiutare a coinvolgere il bambino, a fargli prendere
decisioni sulla base di ciò che già conosce, e a dargli tempo per riflettere e rielaborare
mentre svolge un’attività pratica. Il risultato finale dell’esercizio sarà un ulteriore aiuto alla
memorizzazione, dal momento che il canale visivo del bambino viene stimolato.
Le attività in figura 2 (pagina 122) costituiscono inoltre la base su cui possiamo costruire ri-
chieste più specifiche e svelare regole più complesse, come quelle in figura 3 (pagina 123),
relative al diverso comportamento del participio nei due gruppi di verbi. Questo modo di
procedere, fatto di attività coinvolgenti concatenate le une alle altre, parte dal semplice
per arrivare al complesso, e incoraggia una scoperta attiva delle regole grammaticali passo
a passo, affinché nessun bambino si senta perso lungo il percorso.

Figura 3

Insegnare la grammatica 63
Un’altra tecnica che possiamo usare per guidare il bambino nella formulazione attiva delle
regole grammaticali è l’uso di tabelle solo parzialmente complete, come quella riportata
in figura 4 (pagina 17).

Figura 4

La tabella sistematizza visivamente la differenza tra nomi in -O e in -A grazie all’uso dei


simboli maschio/femmina e a colori diversi nelle due parti (rosso per il femminile e verde
per il maschile), gli stessi usati per le vocali finali dei nomi in tabella. Il completamento
della regola con le due vocali in questione è però lasciato al bambino, che dovrà subito
metterla in pratica nell’esercizio 2, rintracciando i nomi maschili e femminili presenti nelle
vignette di inizio unità (ovvero la figura 1). Anche in questo caso, la tabella da completare
incuriosisce ed incoraggia l’osservazione e l’analisi, e l’uso dei colori aiuta ad individuare
immediatamente la differenza e a formulare la regola.
Le strategie presentate finora riflettono un approccio alla grammatica induttivo e risultano
motivanti perché coinvolgono il bambino. Tuttavia, possiamo variare prospettiva di tanto
in tanto e lasciar spazio anche a qualche attività di tipo deduttivo: presentare ad esempio
le eccezioni a una data regola o le forme dei verbi irregolari sotto forma di tabella già
completa può far risparmiare tempo ed energie senza però far scemare l’interesse verso
la scoperta delle regole grammaticali.

64
Parte II - Capitolo 6

6.2. Stabilire collegamenti con la realtà che circonda il bambino


Oltre a guidare il bambino ad individuare in modo autonomo le regole grammaticali, pos-
siamo proporgli attività che lo incoraggino a costruire ponti tra la sua realtà quotidiana e le
regole grammaticali che esamina, rendendole quindi più vicine a quello che vive ogni giorno.

Figura 5

L’esercizio presentato in figura 5 (pagina 17) ne è un esempio: il bambino può notare


che la regola che ha individuato, ovvero che molti nomi comuni maschili finiscono in -O
e femminili in -A, si applica anche a molti nomi di persona. La consapevolezza che deriva
da questa attività e il riferimento alla sua quotidianità, ovvero il pensare ad altri nomi in
-O e -A, magari di persone che conosce, può aiutarlo a capire meglio e a interiorizzare la
nuova regola.
Il riferimento alla realtà che circonda il bambino può essere chiamata in causa anche per
rendere più chiara la differenza tra forme grammaticali simili, ad esempio tra articolo de-
terminativo e indeterminativo. Essa può essere capita e assorbita grazie a un esercizio
come quello proposto in figura 6 (pagina 102), in cui il bambino è invitato a disegnare nei
riquadri a sinistra oggetti qualsiasi (una penna, un libro, uno zaino) mettendoli a confronto
con oggetti specifici che usa quotidianamente e che deve riprodurre fedelmente.

Insegnare la grammatica 65
Figura 6

6.3. Il gioco applicato alla grammatica


Una volta trovata e capita la regola, è possibile applicarla ed esercitarla tramite attività di
tipo ludico con obiettivi grammaticali.
Il motivo è molto semplice: il gioco è sempre percepito dai bambini in modo positivo,
suscita emozioni piacevoli e coinvolge attivamente il giocatore, creando situazioni stimo-
lanti e un contesto sereno che favorisce l’apprendimento. Le attività ludiche hanno “grandi
potenzialità per poter mantenere, negli allievi, tempi di attenzione prolungati, apertura
mentale ed emotiva nei confronti degli stimoli proposti dal docente e profondo impegno
cognitivo e partecipazione affettiva durante le attività didattiche” (Caon-Rutka 2004: 18).
Inoltre, rendono l’apprendimento più interessante e coinvolgono il bambino in modo tale
che quasi perde coscienza del fatto che sta imparando: la sua attenzione è assorbita dal
gioco in sé e non dal suo contenuto, gioca per il gusto e il piacere di giocare. Questo è il
contesto ideale per applicare la cosiddetta rule of forgetting di Krashen (1982), secondo
cui una lingua viene davvero acquisita quando ci si dimentica del fatto che la si acquisisce,
ovvero quando l’attenzione dell’apprendente è spostata su qualcos’altro. Durante il gioco
infatti il bambino concentra le sue risorse sul portare a termine un’attività che lo coinvol-

66
Parte II - Capitolo 6

ge, sul risolvere un problema, sul superare una sfida, e non tanto sull’imparare una lingua.
Le potenzialità offerte dal gioco sono pressoché infinite, e possiamo esaminare qui di se-
guito alcune tecniche da proporre in classe per esercitare la grammatica.

6.3.1 Frasi nascoste


Possiamo invitare il bambino a scoprire messaggi nascosti svolgendo cruciverba o cloze,
impostati su uno o più argomenti grammaticali. Come si vede in figura 7 (p.56), al bambino
viene richiesto di scrivere l’articolo determinativo corretto davanti a una serie di nomi, ma
l’obiettivo che viene percepito non è tanto quello di esercitarsi con gli articoli, bensì quello
di scoprire una frase misteriosa. Anche se l’attività è molto simile a un completamento,
questa perde la sua ripetitività e diventa un mezzo per arrivare alla soluzione del gioco,
che è prioritario per il bambino.
Al termine del cruciverba si possono anche presentare sfide aggiuntive, che rientrano nel-
la dimensione ludica dell’attività: come si vede nell’immagine, trovare la frase misteriosa
è un primo passo per poter svolgere un ulteriore compito, ovvero identificare l’oggetto
descritto dalla frase stessa, e sceglierlo tra più alternative.

Figura 7

Insegnare la grammatica 67
Un ulteriore vantaggio di questo tipo di esercizio è che offre uno stimolo all’autocorrezione
e quindi all’autovalutazione: la comprensibilità e la correttezza della frase finale rappresen-
tano la cartina di tornasole del corretto svolgimento dell’attività ed eventuali imprecisioni al
suo interno aiuteranno il bambino stesso ad individuare i propri errori e a correggerli, senza
bisogno di un intervento esterno. Questo processo lo aiuterà a rendersi conto delle sue co-
noscenze e competenze relative all’argomento grammaticale oggetto dell’attività.

6.3.2. Disegni misteriosi


I giochi che prevedono l’uso di determinate conoscenze o competenze grammaticali come
mezzo per raggiungere un altro obiettivo, ad esempio quello di svelare un disegno nasco-
sto, sono altrettanto motivanti e ben accette. Come per i cruciverba, l’obiettivo ludico e
l’essere in grado di superare una sfida diventano prioritari per il bambino, che quasi non si
accorge di far leva sulle sue conoscenze grammaticali per raggiungere il suo scopo.
Le figure 8 (pagina 47) e 9 (pagina 51) costituiscono due esempi concreti di esercizi di que-
sto tipo: nel primo caso deve scoprire la parola nascosta in un disegno – che si ottiene co-
lorando solo le forme in cui c’è una corretta combinazione di articolo, nome e possessivo
–, nel secondo caso deve scoprire la figura che emerge unendo i puntini – ovvero unendo
i soggetti alle forme verbali corrispondenti, scritte correttamente.
In entrambi i casi al bambino non viene richiesto di scrivere nulla, ma soltanto di colorare
spazi e tracciare linee. Entrambe le attività sembrano quindi molto meno impegnative
rispetto ai tradizionali esercizi grammaticali che riguardano gli stessi argomenti, ma le
abilità e le conoscenze su cui insistono sono le stesse.
Il compito è reso più complicato ma più motivante dalla presenza di distrattori, che hanno
la funzione di far focalizzare l’attenzione del bambino sui dettagli (nel primo caso i posses-
sivi e la loro concordanza con l’articolo e il nome, e nel secondo caso la corretta grafia delle
forme verbali di avere). Sarà la decisione del bambino di colorare una determinata casella
o unire con un tratto di penna un verbo a un dato soggetto – decisione che prenderà dopo
aver osservato attentamente il materiale linguistico che ha di fronte a sé – a rispecchiare
le sue conoscenze.

Figura 8

68
Parte II - Capitolo 6

Figura 9

Come per i cruciverba esaminati nel paragrafo precedente, anche queste attività hanno il
vantaggio di avere una valenza autocorrettiva e autovalutativa: se il bambino sbaglia ad
annerire una casella o a unire un soggetto e una forma verbale, l’intero disegno rivelerà
l’errore e questo sarà lo stimolo per ritornare sui propri passi e autocorreggersi, e un aiuto
per l’autovalutazione.

6.3.3. Traguardi precisi da raggiungere


Un altro modo per rendere motivanti e ben accetti esercizi che insistono su argomenti
grammaticali comprendono l’inserimento di un obiettivo preciso da raggiungere come tra-
guardo finale dell’attività stessa. L’attenzione del bambino sarà molto alta nello svolgerli,
non tanto per pura volontà di precisione, bensì per il piacere di essere riuscito a superare
la sfida che gli viene proposta.
Un esempio di attività di questo genere è illustrato in figura 10 (pagina 45), che richiede
al bambino di individuare un certo numero di parole con certe caratteristiche – in questo
caso i possessivi – all’interno di una stringa di lettere. Egli deve quindi ricordare con preci-
sione tutti i possessivi con la loro corretta grafia perché deve identificarli all’interno di una
serie di lettere alla rinfusa. La sua attenzione e il suo coinvolgimento saranno elevati, per-
ché il suo obiettivo sarà quello di trovare tutte e dodici le parole nascoste, senza rendersi
conto che questo tipo di attività rafforza le sue conoscenze.

Figura 10

Insegnare la grammatica 69
Possiamo usare lo stesso escamotage per rendere interessanti anche altri tipi di attività,
come ad esempio i puzzle enigmistici, riquadri pieni di lettere al cui interno si deve indi-
viduare – in orizzontale o in verticale – un certo numero di parole. È possibile usarlo per
lavorare su argomenti grammaticali, ad esempio facendo trovare un dato numero di pa-
role con determinate caratteristiche. Anche in questo caso avere un traguardo preciso da
raggiungere costituisce una sfida e coinvolge aiutando al tempo stesso l’apprendimento.
La formula del traguardo preciso può essere applicata anche agli esercizi di caccia all’erro-
re e di trova l’intruso: in questi tipi di attività si può chiedere al bambino di individuare la
sola forma errata tra quelle presenti all’interno di un piccolo insieme, e ciò costituisce una
sfida facilitata, oppure un dato numero di errori all’interno di un intero testo, una sfida più
complessa, ma sicuramente più motivante.

6.3.4 Lavoro di squadra con tessere e dadi


Oltre agli esercizi presentati finora, possiamo presentare argomenti grammaticali ai bam-
bini anche in modo più dinamico, ad esempio tramite giochi da svolgere a coppie o in
piccoli gruppi.
I vantaggi di questo modo di lavorare non sono da sottovalutare: vengono promossi “au-
tentici scambi linguistici e di collaborazione” (Mezzadri 2003: 313), e si creano occasioni
per mettere alla prova abilità e competenze, confrontarsi e aiutarsi con lo scopo di rag-
giungere un obiettivo comune. Inoltre, lavorando in gruppo ciascun bambino trae bene-
fici: quelli più deboli possono imparare dai compagni con competenze più forti, che si
sentono valorizzati, mentre quelli più timidi e introversi annullano il loro timore di esporsi.
Infine, visto che si gioca contro altre squadre, lo spirito competitivo stimola ogni gruppo
a fare del proprio meglio per vincere, e poco importa se l’argomento del gioco è di tipo
grammaticale.
Vediamo in figura 11 (da Giochiamo con Forte + di 50 giochi per bambini che imparano
l’italiano, Edilingua, pagina 65) un esempio di gioco a squadre che insiste sui tempi verbali:
i bambini hanno a disposizione tessere su cui sono riportati dei verbi, e un dado speciale,
sulle cui facce sono scritti i pronomi personali. L’attività consiste nello scrivere frasi cor-
rette e di senso compiuto al presente o al passato prossimo, avendo come elementi di
partenza il pronome che esce tirando il dado e una tessera con un verbo, pescata a caso.
La variante del gioco, invece, prevede la possibilità di pescare una tessera su cui non sono
riportati verbi, ma nomi e aggettivi, e lascia ancora più spazio alla libertà espressiva e
all’immaginazione.
Grazie a questo gioco i bambini sono incoraggiati ad usare correttamente le desinenze
verbali (per il presente), a scegliere gli ausiliari e a formare i participi passati corretti (per
il passato prossimo), oltre che ad essere autonomi e creativi nella formulazione di frasi
complete. Il tempo limitato a disposizione e l’assegnazione di un punto nel caso in cui la
frase sia corretta incoraggia la massima precisione e accuratezza, sempre nell’ottica di
dare il meglio di sé per vincere.

70
Parte II - Capitolo 6

Figura 11

Insegnare la grammatica 71
6.5. Conclusioni
Queste pagine vogliono essere uno stimolo, un incoraggiamento verso una didattica che
sviluppi nei bambini la curiosità verso le strutture grammaticali e il piacere di esplorarle:
proporre attività coinvolgenti e motivanti per sviluppare la consapevolezza dei fenomeni
linguistici ha molta più presa di noiose spiegazioni grammaticali da parte dell’insegnante.
Inoltre, riconosciamo dignità ai giochi con finalità didattiche: non sono soltanto passa-
tempi divertenti, e “non dovrebbero mai essere adoperati come attività di riempimento,
come semplici tappabuchi” (Mollica 2010: xix) proprio perché sono attività complesse e
sono fondamentali per la motivazione e per la sfida. Costituiscono una risorsa in classe
ed uno stimolo importante per i bambini che imparano una lingua, proprio perché coin-
volgono, motivano, stimolano, rendono attivi e curiosi e divertono, sviluppando al tempo
stesso abilità diverse.

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72
Parte II - Capitolo 7

7. La valutazione della competenza grammaticale


Giuseppe Maugeri, Graziano Serragiotto

Con questo contributo si vuole proporre una riflessione sulle modalità di valutazione della
competenza grammaticale dell’italiano a stranieri. Pertanto, nella prima parte si offrirà un
quadro d’insieme sugli aspetti che caratterizzano il momento valutativo concepito come
situazione formativa di cui si esamineranno le implicazioni didattiche. Nella seconda parte
si analizzeranno i percorsi valutativi per rilevare la competenza grammaticale. In questa
direzione, si proporranno delle indicazioni operative per poter costruire degli strumenti
utili per valutare l’aspetto linguistico1.

7.1. Coordinate teoriche


In questo paragrafo si metteranno in evidenza i principi metodologici di una valutazione
formativa rispetto a una prospettiva dell’evento valutativo di tipo tradizionale. Tenuta pre-
senza la dicotomia tra le due concezioni valutative, si specificherà il significato del valutare
l’apprendimento all’interno di una cornice comunicativa e si rifletterà sui soggetti e sugli
obiettivi della valutazione.

7.1.1. Che cosa significa valutare


Le principali ricerche sulla valutazione hanno contribuito a mettere in evidenza i limiti della
pratiche valutative incentrate su modelli di insegnamento trasmissivi e nozionistici. Come
sottolineano nei loro studi Castoldi (2016) e Lichtner (2004) vi è stato un ripensamento
di ordine concettuale e operativo al fine di adeguare il sistema valutativo alle necessità
linguistiche degli apprendenti. Il ripensamento delle pratiche valutative tradizionali ha di
fatto prodotto una maggiore consapevolezza fra gli insegnanti dell’importanza di costruire
una valutazione in grado di testare concretamente le competenze del discente. Su questo
versante, l’idea di competenza che si è fatta strada è quella in cui lo studente trova una
soluzione rispetto a compiti autentici (Greensteint, 2017) e dimostra padronanza della
lingua (Wiggins, 1993). Questa trasformazione della modalità di valutare lo studente com-
porta una situazione valutativa non più basata sulla riproducibilità di conoscenze astratte,
la verifica di saperi artificiosi, statici, passivi, poco significativi. Al contrario, ciò che vie-
ne adesso definita come competenza è la capacità di saper applicare la lingua in modo
pertinente e appropriato in contesto comunicativi, di riconoscere il funzionamento delle
regole e di saper riconoscere e constatar gli effettivi di un determinato uso della lingua in
rapporto allo scenario comunicativo. Un tale mutamento di significato da parte della valu-
tazione è riconducibile a un contesto didattico in cui la valutazione mira a valorizzare e a
promuovere l’individuo, costruendo un percorso e dei momenti valutativi di tipo formativi

1 Il contributo è frutto del lavoro congiunto dei due autori che hanno concordato assieme l’impianto generale e la suddivi-
sione in parti. Giuseppe Maugeri ha curato il paragrafo 1 mentre Graziano Serragiotto ha curato il paragrafo 2.

Insegnare la grammatica 73
continui dove l’apprendete attiva il proprio problem solving, impiega le enciclopedie delle
proprie conoscenze del mondo e sviluppa abilità con risposte cognitive che, legate al pro-
prio sapere, sono agganciati alla realtà di utilizzo della lingua (Castoldi, 2018).
Una simile premessa riconosce alla valutazione un’importanza strategica per la vita didat-
tica della classe di italiano a stranieri. Pertanto, occorrerebbe ripensare alla situazione va-
lutativa rendendola un evento ricorrente e praticabile nel percorso didattico grazie a una
serie di strumenti operativi volti a conferirle un valore riconoscibile, ovvero in connessione
con la didattica. In tal senso, la valutazione è prima di tutto uno spazio educativo dove il
docente di italiano e gli studenti fanno il punto sulla qualità delle conoscenze trasferibili e
applicabili in situazione e si confrontano sulla qualità della prova e della performance. La
visione della valutazione che ne scaturisce è che tale situazione è concepita e come tale
costruita per ripensare le esigenze degli studenti connesse al loro percorso didattico e rap-
portarle a un livello di competenza posseduta. In quest’ottica la valutazione ha una fun-
zione strategica, come già sottolineato all’inizio, perché lo studente viene valutato lungo
il suo percorso e dunque è focalizzata sul processo di apprendimento che egli compie. Ciò
comporta che la valutazione amplia la base dei parametri su cui lo studente verrà valutato;
non solo competenza ma anche gli atteggiamenti e le motivazioni che ha messo in campo
per raggiungere determinati risultati.
A conclusione, la valutazione è il momento dell’interpretazione dei dati della verifica, dati
resi leggibili e comparabili in quanto riportati ad una scala di valori numerici attraverso la
misurazione e non solo della performance. Infatti, la valutazione si interessa dello sviluppo
affettivo, emotivo e cognitivo dell’apprendente e come tale la verifica va costruita in modo
che lo studente non accumuli conoscenze o dimostri capacità mnemoniche, ma sia un mo-
mento in cui il discente e il docente abbiano consapevolezza del benefici e delle difficoltà
riscontrante lungo il processo di acquisizione (Serragiotto, 2016).

7.1.2 I soggetti della valutazione


L’adeguatezza degli obiettivi e l’esigenza di interpretare i dati del processo formativo dello
studente sottolinea lo spostamento del focus della valutazione costruita su misura dell’ap-
prendente in funzione del percorso sinora svolto (Green, 2013). In questo scenario, lo
studente è la figura centrale su cui convergono simultaneamente il progetto e gli obiettivi
della valutazione.
Da qui l’importanza di avere delle chiavi di lettura condivisi e applicabili in modo da ap-
pianare le difficoltà di incomprensione che possono essere generate nell’atto valutativo
e avviare un processo di negoziazione con gli studenti sui criteri di giudizio. In questa
direzione, la valutazione produce una serie di vantaggi quali il privilegiare il confronto con
lo studente rispetto a quello che farà e al come lo svolgerà, dimostrandosi interessata a
cogliere il punto di vista degli studenti. Un secondo beneficio consiste nel creare un con-
testo di apprendimento in cui gli intenti della valutazione siano coerenti con i parametri e
le soluzioni tecniche della verifica. La concordanza tra i correttori e la qualità della prova
mostra allo studente che la valutazione è un momento di passaggio e di crescita; è un
intervento coordinato e indirizzato a fotografare cosa fa fare lo studente in quel preciso
momento. Diventa uno strumento di comunicazione perché a fronte di problematiche

74
Parte II - Capitolo 7

riscontrate nella verifica, il docente e gli studenti possono intraprendere un dialogo sulle
modalità di miglioramento per affrontare la prova successiva con maggiore sicurezza (Ca-
stoldi, 2018).
Come si può osservare, il contesto valutativo non può prescindere dal coinvolgimento de-
gli studenti per rendere più attendibile e trasparente la prova. In questo modo la pratica
valutativa si basa sull’impegno reciproco stabilito fra i diversi attori per il conseguimento
degli obiettivi didattici.

7.1.3 Gli obiettivi della valutazione


La valutazione è un momento concatenato alla didattica e pertanto rappresenta una for-
ma di investimento affettivo ed emotivo dello studente. In questa prospettiva, gli obiettivi
della valutazione focalizzano la loro attenzione:
a. sul quadro sociale della realtà in cui lo studente agisce e si relazione con gli altri;
b. sullo sviluppo affettivo ed emotivo dello studente messo in atto lungo il processo di
apprendimento;
c. sulla competenza comunicativa che indica ciò che lo studente è in grado di fare con
la lingua.
È evidente quindi che gli obiettivi della valutazione coincidono con gli scopi dell’insegna-
mento: secondo Balboni (2014) il docente deve essere in grado di proporre un’ampia va-
rietà di modelli linguistici aggiornati agli usi e costumi dell’Italia contemporanea. Seppur
con livelli di complessità e analisi differenti a seconda delle capacità linguistiche possedute
dallo studente, l’allievo dovrebbe esser messo nelle condizioni di pervenire a un modello
di competenza comunicativa: gli atti comunicativi, gli aspetti grammaticali e quelli socio-
culturali ed extralinguistici.
L’oggetto dell’insegnamento corrisponde agli allo strumento con cui si verificano le abilità
degli studenti. A questo proposito, si devono considerare alcuni fattori riferibili all’oggetto
valutativo che rappresentano le condizioni necessarie per eseguire una prova in grado di
rilevare gli scopo per cui è stata realizzata. Alcuni di questi aspetti sono legati ai contenuti
della prova perché questi ultimi devono rispecchiare gli argomenti e gli aspetti della lingua
affrontati a lezione in modo che possano essere noti e compresi dagli studenti. Inoltre, si
dovrebbe fare ricorso a materiali e schemi noti allo studente e con cui l’allievo utilizza nella
vita quotidiana (Ambel 2004).
Per limitare l’impatto di elementi che potrebbero far sorgere durante la prova delle dif-
ficoltà agli studenti, vi sono i quesiti. Le domande, infatti, devono essere formulati allo
scopo di poter effettivamente valutare un tipo di conoscenza e testare una determinata
abilità nella quale gli studenti devono dimostrare di avere capacità di descrizione sull’uso
delle regole linguistiche. Nel caso della competenza grammaticale si potrebbe chiedere
allo studente come è giunto a riconoscere quella regola, la sua funzione e l’uso che riveste
nella lingua italiana. In questo modo lo studente è stimolato a riflettere, a giustificare e a
spiegare, potenziando la sua competenza metalinguistica e metacognitiva.
Un altro aspetto da considerare è che per testare questi obiettivi è opportuno che vi siano
delle condizioni adeguate ovvero stabilire i criteri di misurazione e che peso abbiano i dati

Insegnare la grammatica 75
rispetto ad altri traguardi di apprendimento; evitare che si sovrappongano altri aspetti da
valutare al punto da rendere la verifica poco coerente e attendibile rispetto agli obiettivi;
selezionare cosa si ritiene valido per testare un particolare aspetto della lingua, nella misu-
ra in cui questo aspetto viene rilevato attraverso informazioni, strumenti e tecniche note
allo studente al fine di non metterlo in difficoltà durante la prova. Il rischio di sottovalutare
la realtà del contesto potrebbe rendere non attendibile la prova perché non tarata sulle
esigenze degli allievi, provocando timore durante le verifiche e sfiducia.

7.2. Valutare la competenza grammaticale


In questo paragrafo si cercherà di dare una risposta a quale grammatica insegnare in modo
che risulti significativa per l’apprendimento, come poterla verificar in maniera efficace e
possa concorrere così al miglioramento linguistico dello studente.

7.2.1 Quale grammatica valutare


In una visione puramente scolastica e istruttiva della lingua, la verifica era l’evento in cui
lo studente dava prova di ciò che ha imparato durante le lezioni. Preoccupati dei voti,
imparavano a memoria i contenuti e le regole linguistiche in modo da poter rispondere
ai quesiti del test. Un apprendimento mnemonico non garantisce la stabilizzazione della
lingua a lungo termine per cui dopo le prove gli studenti dimenticavano. La grammatica
presentata in questa tipologia di verifiche puntava più a testare quante regole riusciva-
no a riconoscere gli studenti che alla qualità. Pertanto la performance degli allievi erano
dipendevano esclusivamente dal numero delle risposte corrette. Da ciò derivavano due
implicazioni didattiche: gli insegnanti misuravano i risultati dell’apprendimento in base
alle risposte degli studenti. La seconda implicazione è che il giudizio dell’insegnante era
insindacabile, selettivo e in moti casi, punitivo e demotivante, spegnando inesorabilmente
il piacere di poter imparare una lingua. E questo fattore di certo non stimola lo studente
ad andare avanti ma, al contrario, a fermarsi.
Un quadro didattico simile si basava sulla considerazione della grammatica come elemen-
to indipendente dalla comunicazione. L’eccessivo peso e focalizzazione sulla forma non
aiutava lo studente a riorganizzare il suo sapere attorno all’uso della lingua; la rilevanza
grammaticale era tale che l’aspetto comunicativo era subordinato dallo spazio rivolto alla
memorizzazione e all’applicazione delle regole di funzionamento della lingua mediante
test strutturali. In sintesi, una valutazione di questo tipo non serve per vedere se c’è sta-
to un progresso nell’apprendimento e per apportare eventualmente delle modifiche alla
metodologia di insegnamento; al contrario, una valutazione grammaticale serve per com-
prendere se il risultato è stato raggiunto, non tenendo in considerazioni le informazioni
che invece si potrebbero raccogliere tramite le verifiche al fine di tarare meglio le caratte-
ristiche del percorso didattico sui bisogni presenti e futuri degli studenti.
In verifiche di questo tipo appare evidente un’impostazione didattica in cui si privilegia la
competenza d’uso della lingua e non quelle sull’uso (Le Boterf 2008).
Se è vero che esistono diverse grammatiche da insegnare a seconda della situazione didat-

76
Parte II - Capitolo 7

tica, oggi la tendenza metodologica si orienta verso una didattica linguistica più riflessiva in
grado di potenziare le competenze cognitive e metalinguistiche dello studente, allo scopo
di generare una processo di consapevolizzazione da parte dell’apprendente sul processo.
Questo presupposto rende evidente come oggigiorno un approccio glottodidattico deve
tenere in considerazione la realtà psicoattitudinale degli studenti e le loro esigenze. Ne
consegue che l’insegnamento della grammatica e con esso della valutazione dell’aspetto
grammaticale non dovrebbe costituire il perno e l’obiettivo dell’apprendimento basandosi
su di un modello di competenza linguistica che esclude gli aspetti sociolinguistici e prag-
matici ed extralinguistici (Balboni 2014). Se la grammatica è una parte fondamentale della
lingua, allora essa deve essere considerata una risorsa per contribuire a far elaborare le
informazioni in modo differente, rendendo l’aspetto grammaticale rilevante e significativo
per il miglioramento della competenza comunicativa degli studenti. Si tratta di un proces-
so di personalizzazione del metodo di lavoro che dovrebbe puntare a insegnare e a valu-
tare la grammatica secondo modalità riflessive in modo che lo studente giunga ad avere
la capacità di usare le regole per riconoscere e formare testi adeguati alle regole stesse.
Se in classe si predilige un lavoro utile per contestualizzare la grammatica all’interno di una
cornice comunicativa, allora gli studenti sono messi nelle condizioni di osservare, formu-
lare ipotesi, di verificarle; di ordinare i nuovi elementi per categorie, di riempire schemi e
schede di lavoro, usando la grammatica per generare relazioni, termini. Di utilizzare stra-
tegie e attivare risorse interne per spiegare le regole e precisarne il loro utilizzo nell’uso
effettivo della lingua in azione.
Come si può osservare, in classe viene generato un processo attivo, che non viene deciso
dall’alto, ma è regolato sul coinvolgimento degli studenti grazie a strumenti operativi che
si rivelano formativi perché finalizzati alla scoperta e al possesso delle regole in chiave
comunicativa e a valutare i livelli d’uso e sull’uso che tali abilità comportano nel momen-
to dell’esecuzione. Al centro di questa prospettiva di azione vi è l’idea della competenza
grammaticale che va testata allo scopo di far emergere la varietà della lingua utilizzata in
contesti di vita. Le diverse forme grammaticali dovranno necessariamente costituire un
mezzo per aiutare lo studente a osservare la ricchezza della lingua che analizza dal punto
di vista grafemico, fonemico, morfosintattico; in termini di coerenza, coesione e organiz-
zazione di un testo; secondo una funzione pragmatica scoprendo gli effetti che una norma
linguistica e il suo uso hanno nella lingua.

7.2.2 Tipologia di prova per valutare la grammatica


La progettazione dello spazio riservato alla grammatica nella classe di italiano a stranieri è
quindi ancorata a un significato di competenza nel quale l’allievo mette in moto le proprie
risorse interne, cognitive e affettive, per trovare una soluzione al problema linguistico
(Pellerey, 2004); a un senso didattico, volitivo e metacomunicativo, che si esplicita attra-
verso un metodo induttivo che contribuisce a fornire una chiave di lettura del sistema
linguistico e dello stesso apprendimento della lingua (Ellis 2006).
Una tale premessa riconduce a modalità di analisi dell’evento grammaticale differenti ri-
spetto a verifiche tradizionali, generando istanze riflessive, culturali e linguistiche profon-
damente divergenti.

Insegnare la grammatica 77
In questa direzione, l’impianto didattico della valutazione dovrebbe mettere in discus-
sione il peso assegnato a prove oggettive e strutturate per rilevare la competenza gram-
maticale, dando più spazio a momenti continui di verifica in classe (insegnare a fare la
verifica) in una prospettiva orientata a rilevare la competenza grammaticale. Contraria-
mente a prove segnate da prestazione mnemoniche e ed esercizi manipolati con cui dava
prova di sapere la lingua (volgi al, trasforma in), con test semi strutturati invece deve
essere riconoscibile l’azione dello studente in grado di poter riconoscer e saper riflet-
tere sui modelli linguistici oggetto di analisi. Egli deve essere messo nelle condizioni di
poter promuovere un ragionamento sulla grammatica correlata ad altri aspetti linguistici
e culturali. Il vantaggio di utilizzare prove semi strutturate per valutare la competenza
grammaticale consistono:
a. nel potersi accertare dei processi cognitivi degli studenti;
b. nel poter verificare abilità più complesse quali i processi di analisi, di riflessione
critica e di sintesi;
c. ogni sua azione dà un apporto significativo alla valutazione per il suo apprendi-
mento.
All’importanza di quantificare i risultati della prova grammaticale, si fa spazio l’idea che
il test e la grammatica in realtà servano per non rilevare un sapere riproduttivo ma, di-
versamente, a saper contestualizzare meglio il messaggio comunicativo all’interno di una
cornice che è regolata anche da norme culturali ed extra linguistiche.
Dunque le prove semi strutturate costruite per testare la competenza grammaticale en-
trano in gioco con il processo formativo degli studenti poiché si prefiggono l’obiettivo
di comprendere quanto e come l’allievo è in grado di utilizzare la grammatica nella sua
esperienza di vita linguistica, quale livello di consapevolezza abbia riguardo alle sue scel-
te linguistiche e quale livello di autonomia possiede al momento di verificare tale com-
petenza. Come si può osservare, i presupposti scientifici e costruttivi di prove di questa
tipologia implicano una condivisione delle responsabilità: lo studente è responsabile del
suo apprendimento mente nel caso dell’insegnante, egli deve disporre di un repertorio
metodologico e tecnico per poter costruire degli eventi valutativi in grado di rilevare la
prestazione dell’allievo e raccogliere delle informazioni utili per comprendere come pro-
gredisce e quali problematiche riscontra a livello grammaticale.

7.2.3 Le tecniche per verificare la competenza grammaticale


Gli assunti esaminati nel paragrafo precedente fanno emergere in maniera evidente che la
competenza grammaticale è una questione pratica connessa a una precisa prospettiva di
insegnamento. In questa direzione, occorre valutare della grammatica gli aspetti noti allo
studente e ritenuti utili.
In secondo luogo, la proposta valutativa deve essere messa in rapporto al processo forma-
tivo dello studente ed essere costruita in modo da mettere al centro l’obiettivo da testare
e il livello di competenza grammaticale da verificare.
In questa direzione, la dimensione metodologica relativa alla riflessione sulla lingua si av-
vale di determinate tecniche didattiche che favoriscono un procedimento di analisi, di

78
Parte II - Capitolo 7

descrizione della regola e di eventuali eccezioni nell’uso (Semenza et al. 2019).


Le tecniche di riflessione sulla lingua sono classificate in tecniche di natura insiemistica e
tecniche di natura procedurale
Le tecniche di natura insiemistica sono strategie finalizzate osservare l’aspetto linguistico
e individuare la regola. Tra di esse annoveriamo le seguenti tecniche:
a. di inclusione: all’allievo viene dato un insieme di parole. L’obiettivo è di dividere
l’insieme in due o più parti e individuare la regola;
b. di esclusione: allo studente viene dato un insieme in cui sono presenti degli elemen-
ti “inquinanti”. Lo studente in questo caso dovrà individuare l’elemento che rende
disomogeneo l’insieme;
c. di seriazione: l’apprendente deve riordinare un insieme caotico in base a un para-
metro (es.: quantità, qualità, intensità). Ad esempio, la consegna chiede allo stu-
dente di mettere in ordine le nozioni di quantità dalla minima alla massima.
Le tecniche di natura procedurale sono caratterizzate da attività di incastro, di scelta mul-
tipla, di combinazione e di completamento. Nello specifico le tecniche procedurali più
rappresentative prevedono:
a. l’incastro delle frasi di un periodo, dei periodi di un testo, delle battute di un dialo-
go, delle vignette di un fumetto;
b. l’esplicitazione dei sinonimi, degli iponimi e degli iperonimi; dei pronomi e dei
referenti;
c. la scelta multipla fra connettori, ad esempio;
d. la combinazione fra i segmenti iniziali di alcune frasi e le conclusioni.
L’utilizzo di queste tecniche consente la creazione di schemi mentali, portando a cataloga-
re e sistematizzare determinati aspetti della lingua, scoprendo come nel caso dei connet-
tori che molti di essi vengono usati per più tipi di relazioni (Larsen-Freeman 2000).
Altre tecniche che si possono annoverare nella costruzione di prove semi strutturate per
valutare la competenza grammaticale sono:
a. griglie: dopo aver presentato allo studente un testo orale o scritto viene predispo-
sta una griglia con voci riguardanti l’aspetto morfosintattico presenti nel testo. Lo
studente dovrà associare o completare la regola con esempi linguistici tratti dal
testo, dando prova di saper riflettere sul regole di funzionamento della lingua;
b. item a risposta aperta: si tratta di una tecnica che mette in luce la capacità del
candidato di elaborare una risposta in rapporto a un aspetto della lingua. Pertanto,
l’insegnare può cogliere il processo che lo studente attiva nell’analisi linguistica e
della descrizione della regola.
In generale, è possibile affermare che le tecniche di riflessione sulla lingua hanno il van-
taggio di incrementare la motivazione allo studio della lingua poiché aiutano lo studente
a riconoscere e riflettere sull’uso della lingua, rivelando che la grammatica è un suppor-
to molto importante alla comunicazione e se opportunamente analizzato costituisce uno
strumento critico e interpretativo della realtà linguistica e culturale (Balboni 2015).

Insegnare la grammatica 79
Bibliografia
Ambel M., 2004, Percorsi modulari per il consolidamento delle competenze di base, Milano,
FrancoAngeli
Balboni P.E., 2015, Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse, Torino, Utet
Università
Balboni P.E., 2014, Didattica dell’italiano come lingua seconda e straniera, Torino, Loescher/
Bonacci
Castoldi M., 2016, Valutare e certificare le competenze, Roma, Carocci
Castoldi M., 2018, Compiti autentici, Torino, Utet
Ellis R., 2006, “Current Issues in the Teaching of Grammar: An SLA Perspective”, in TESOL
Quarterly, n. 1, pp. 83-107
Green A., 2013, Exploring Language Assessment and Testing: Language in Action, New York,
Routledge
Greenstein L., 2017, La valutazione formativa, Torino, Utet
Larsen-Freeman D., 2000, Techniques and principles in language teaching, New York, Oxford
University Press
Le Boterf G., 2008, Costruire le competenze individuali e collettive, Napoli, Guida
Lichtner M., 2004, Valutare l’apprendimento: teorie e metodi, Milano, FrancoAngeli
Pellerey M., 2004, Le competenze individuali e il Portfolio, Firenze, La Nuova Italia
Semeraro C., Franzon F., Zanini C., 2019, Il cervello morfologico, Roma, Carocci
Serragiotto G., 2016, La valutazione degli apprendimenti linguistici, Torino, Loescher/Bonacci
Wiggins G., 1993, Assessing student performance. Exploring the purpose and limits of testing,
San Francisco, Jossey-Bass

80
PARTE III

ANTOLOGIA DI STUDI APPARSI


SU RIVISTE E VOLUMI
a cura di Paolo E. Balboni

I saggi inclusi in questa sezione sono ristampati con gentile concessione degli autori e degli
editori, che ringraziamo per il loro contributo alla formazione dei docenti di italiano a stranieri
Parte III - Capitolo 8

8. ‘Grammatica’ e ‘grammatiche’
per la lingua italiana a stranieri
Antonella Benucci
Tratto da Educazione Linguistica. Language Education, EL.LE, n. 2, 2018
http://edizionicafoscari.unive.it/riviste/elle/2018/2/

8.1. Perché ancora una riflessione sulla lingua italiana a stranieri


Occuparsi di grammatica italiana significa indagare in un’area di intersezione tra molteplici
ambiti scientifici: linguistica generale, linguistica applicata, linguistica acquisizionale, prag-
malinguistica, storia della lingua italiana, sociolinguistica, linguistica educativa ma anche
pedagogia e intercultura. Pur senza entrare nello specifico dei differenti modelli e punti di
vista si propone una riflessione trasversale su quale può essere il ruolo della grammatica,
o meglio delle grammatiche, nell’attuale insegnamento dell’italiano a stranieri le cui pro-
spettive di ricerca sembrano concentrarsi sui rapporti tra l’oggetto di studio e la persona,
sui processi formativi e sulle relazioni tra educazione linguistica e sulle connessioni deri-
vanti dall’uso del prefisso ‘inter’ (interazione, intercultura, intercomprensione ecc.).
Il contributo espone dunque brevi riflessioni nell’ambito dell’ormai ampio dibattito svol-
to in passato sul rapporto insegnamento/apprendimento della ‘grammatica’1 che riguar-
da tre aspetti principali: la scelta di modelli linguistici e sociolinguistici; la selezione e la
sequenziazione degli aspetti formali in fase di programmazione; il ruolo della riflessione
grammaticale e le modalità di sviluppo della competenza metalinguistica nell’apprenden-
te. Il primo aspetto rimanda a due ambiti disciplinari che in passato erano in Italia in posi-
zione di rigoroso isolamento, linguistico e glottodidattico, che infine hanno stabilito stret-
te connessioni grazie anche al diffondersi di una ‘nuova’ disciplina, la linguistica educativa
(Ferreri 2012, Vedovelli 2009, Vedovelli, Casini 2016). Riguardo alle problematiche della
programmazione credo che oggi sia per tutti evidente che non è possibile insegnare una
determinata lingua in tutta la sua completezza, che occorra invece individuare gli aspetti
e le varietà più rispondenti alle necessità degli apprendenti e assumere informazioni sulla
maggior frequenza d’uso di determinate forme in particolari situazioni comunicative o tipi
di testo. In Italia a partire dalla fine degli anni Settanta del Novecento è stata avviata la
riflessione sul ruolo della presa di coscienza della ‘grammatica’ da parte dell’apprendente,
inizialmente per lo studio della LM (Cfr. Balboni 2006 e Maraschio, Caon 2011), negli anni
Ottanta per l’italiano LS e dai Novanta per l’italiano L2 (si vedano le sintesi di Lo Duca
2003, 2004), in seguito in base ai diversi utenti e alle loro esigenze (cfr. tra gli altri: Vedo-
velli 2017, Benucci, Grosso 2015, Benucci 2014, Cardona, Luise 2018). 2
Per il terzo aspetto è fondamentale il ruolo dell’insegnante che, in connessione con le

1 Si sintetizza con il termine ‘grammatica’ lo studio del lessico, della morfosintassi, degli aspetti fonologici e ortografici di
una lingua.
2 Sui concetti di L2 e LS e per una prima ricognizione sull’italiano L2 si veda Caon (2011), per la bibliografia dell’educazione
linguistica in Italia cfr. Balboni (2011), Daloiso (2015).

Insegnare la grammatica 83
trasformazioni del modo attuale e con le aspettative degli individui e della società, eser-
cita sempre più in una situazione di sfida: l’insegnante ha una natura dinamica, si deve
adattare ai cambiamenti e essere psicologicamente e culturalmente disponibile al nuovo
e applicare nella pratica quotidiana i modelli più attuali e funzionali agli scopi dell’appren-
dimento. Infatti qualsiasi strategia didattica implica che si prenda atto delle diversità di
ciascuno e che si selezionino modalità differenziate di intervento in base a fattori sia affet-
tivi e sociali (variabili motivazionali e attitudinali, fattori attinenti la personalità, dinami-
che del gruppo ecc.) sia cognitivi (capacità intellettive, attitudini evolutive ecc.). Dunque
la programmazione di un intervento didattico strutturato comporta: momenti conoscitivi
(dove e su chi si interviene: il Paese, lo studente, i bisogni e le motivazioni), momenti di
decisione (in base ai traguardi che vengono posti: lingua e cultura coinvolte, programmi
ufficiali) e momento operativi (come intervenire: materiali didattici e tecniche didattiche).

8.2. La scelta dei modelli linguistici


Per stabilire il modello di lingua da insegnare occorre una riflessione sull’influenza delle
teorie glottodidattiche ma anche sulla lingua di oggi, sulla pressione che hanno esercita-
to i mass media e sull’aumento della presenza del parlato - e di nuove forme di parlato/
scritto su internet e dispositivi mobili- per la comunicazione quotidiana. La glottodidattica
oggi accorda il giusto peso alla dimensione socio-pragmatica della lingua (a partire da
Santipolo 2002), impensabile prima che si fossero acquisite descrizioni per l’italiano L1 e
del formarsi della ‘nuova norma’ che Sabatini già nel 1985 definì ‘italiano dell’uso medio’
o che si producessero descrizioni esaurienti sulle strutture dell’italiano.3 Tuttavia ancora
troppi manuali di italiano per stranieri, pur avendo mutato gli approcci di fondo, conti-
nuano a contenere descrizioni di ‘grammatica’ prescrittive, normative e monolinguistiche:
non si ha piena coscienza del cambiamento linguistico avvenuto degli ultimi anni, non
viene considerata per esempio neppure l’influenza sempre più grande delle microlingue
nell’italiano di oggi, del rapporto con la ‘lingua comune’ e del contatto con le altre lingue,
quelle dell’immigrazione, ormai sempre più presenti e importanti in Italia. Tali strumenti
oggi non dovrebbero più prescindere dalla tipologia del destinatario a cui si rivolgono,
su cui tarare la qualità e la tipologia dell’input linguistico: la consapevolezza degli stimoli
comunicativi ai quali sarà, o è già, esposto l’apprendente, al di fuori della situazione didat-
tica è fondamentale per individuare gli obiettivi linguistici e didattici da proporre; oltre a
distinguere tra livello descrittivo e di uso dovrebbero considerare il rapporto tra LM e L2/
LS e tra regole linguistiche e regole ‘personali’ di corrispondenze costruite durante l’ap-
prendimento, sull’importanza delle quali ormai la linguistica acquisizionale e costruttivista
ci obbligano a riflettere.
Lo scopo principale dell’osservazione dei materiali per la programmazione e la pratica
didattica è dunque, da una parte, quello di rilevare il livello formale, cioè normativo, quali
strutture della lingua e le varietà sono assunte per modello, insomma la mutata consa-
pevolezza dei fatti linguistici; dall’altra di valutare l’efficacia degli strumenti adottati per
3 Solo alla fine degli anni Ottanta l’italiano si è dotato di grammatiche di riferimento, cfr. Serianni (1988), Renzi (1988 e sg.);
per gli aspetti dell’uso rispetto alla norma Cfr. Berruto (1987) e successivi contributi di altri sociolinguisti e linguisti.

84
Parte III - Capitolo 8

condurre la riflessione metalinguistica e se le procedure didattiche indotte dalle tecniche


didattiche proposte nelle azioni didattiche e nei manuali portino effettivamente allo svi-
luppo di una coscienza metalinguistica funzionale all’apprendimento.
Nell’apprendimento in immersione lo studente viene in contatto con una serie di infor-
mazioni provenienti dall’ambiente extradidattico e necessariamente si confronta con le
varietà del repertorio, comprese quelle substandard e alloglotte; deve essere in grado di
comprendere che cosa gli viene insegnato e del perché siano state scelte come oggetto
di apprendimento alcune varietà e non altre. E’ necessario che sia cosciente degli aspetti
sociolinguistici italiani, della variazione dei registri e della dimensione diamesica (lingua
scritta, parlata e trasmessa), del perché certe strutture apprese sono spesso in contrasto
con la lingua che sente per strada, dai mass media in particolare da internet. Nell’appren-
dimento all’estero le motivazioni sono differenti ma portano ad un uguale risultato: anche
se ormai il libro di testo non costituisce più, insieme alla voce dell’insegnante, l’unico
input linguistico a disposizione grazie ai testi reperibili sul web, si sa che non potrà essere
sufficiente per preparare l’apprendente, una volta venuto in contatto con i nativi, ad af-
frontare la realtà linguistica. Oggi più che mai sembra opportuno che anche le dimensioni
diamesica e diafasica della lingua siano oggetto di apprendimento in LS e che le strutture
descritte e consigliate nel momento di riflessione in LS siano adeguate ai modelli di lingua
proposti dalle varie tipologie testuali.
La domanda linguistica non è più elitaria come un tempo, quando non era necessario chie-
dersi quale modello di lingua adottare e quello scritto e letterario copriva ampiamente la
richiesta, i campi individuati dalle più recenti indagini motivazionali4 sono quelli in cui vie-
ne impiegata per lo più una varietà di lingua che ha recuperato la componente pragmatica
e che si è allontanata dall’uso asituazionale della lingua. Ne consegue che, se per compe-
tenza comunicativa si intende la capacità di impiegare la lingua in un contesto realmente
comunicativo, non si possono ricalcare gli interventi per l’italiano sulla base di comporta-
menti universali, su quelli per altre lingue, a rischio di continuare a proporre modelli ina-
deguati: data la complessità della situazione italiana non è possibile descrivere un modello
di lingua che non tenga conto di tutte le variabili del sistema, anche se non tutte sono da
apprendere indifferentemente e in modo attivo ma secondo il grado di competenza, l’età
e gli scopi specifici. Per esempio gli immigrati (di recente o vecchio insediamento) hanno
esigenze di inserimento nel contesto sociale e lavorativo, unite ad una accentuazione del
carattere strumentale della domanda di apprendimento, necessitano di interventi mirati
ma soprattutto di carattere essenzialmente pragmatico e concepiti/tenuti da personale
specializzato e non improvvisato magari sull’onda emotiva del volontariato; pubblici come
quelli europei mantengono motivazioni ‘più tradizionali’ per l’impiego dell’italiano come
quelle genericamente culturali, di preparazione a un soggiorno di scambio universitario,
turistiche, ad ogni modo non caratterizzate da una urgente volontà integrativa e strumen-
tale, in molti casi sarebbe sufficiente proporre strumenti perché possano proficuamente
comprendere un testo scritto o una conversazione in italiano e cavarsela in interazioni di
sopravvivenza.

4 Che tuttavia andrebbero aggiornate dato che le complete come Balboni, Santipolo (2003), De Mauro et al. (2002) risalgo-
no ormai ai primi anni del Duemila.

Insegnare la grammatica 85
8.3. Curricoli, sillabi e programmazione
Se il curricolo è ‘il manifesto glottodidattico’ che riunisce mete educative, indicazioni me-
todologiche e obiettivi specifici, il sillabo dovrebbe costituire la descrizione dei contenuti
degli interventi formativi ed essere alla base della costruzione di un qualsiasi materiale per
l’insegnamento; è uno strumento operativo fondamentale e costituisce una forte scelta
politica perché permette di effettuare una selezione, una sequenzialità e una graduazione
dei contenuti.
Negli anni Ottanta del secolo scorso mancavano strumenti del genere per l’italiano (e a
dire il vero mancavano anche grammatiche di riferimento) per questo all’Università per
Stranieri di Siena si era sentita l’esigenza di avviare il dibattito su tale aspetto e di pro-
durre modelli, prima a uso interno come il Sillabo Galli de’ Paratesi,5 propedeutici alla
pubblicazione del primo curricolo di italiano per stranieri in Italia, il Curricolo 1995 che
conteneva un sillabo con attenzione anche ad aspetti sociolinguistici e socioculturali. Poi
si sono avuti altri momenti di elaborazione teorica che hanno portato alla creazione di altri
materiali ad uso interno sotto la guida di Lo Duca e Catricalà cui sono seguiti la proposta
di Lo Duca (2006) di sillabo per un pubblico specifico, gli studenti in scambio universitario,
e poi quella di Benucci (2007) di sillabo generico. L’orientamento della ricerca condotta
presso l’Università per Stranieri di Siena è stato fin dall’inizio quello di superare l’impianto
dei sillabi formali, ma anche puramente funzionali, che in Benucci (2007) si realizzava con
l’assunzione della centralità del testo in quanto déclancheur, della consapevolezza dell’im-
possibilità di / e della rinuncia ad essere esaustivo, nel focus non solo sulle competenze
liguistico-comunicative della componente comunicativa come è definita dal QCER, nel ten-
tativo di trattare aspetti sociolinguistici e socioculturali selezionati per singoli livelli e non
più indicati solo genericamente; aspetti necessari per trattare i ‘saper fare con la lingua’
ma anche il ‘sapere la lingua e saperla integrare con gli altri codici’.
Il principio organizzatore di questo sillabo era stato proprio il testo, in quanto input comu-
nicativo e linguistico, nella piena condivisione di quanto affermato dal QCER (2001, 143)
quando precisa a proposito di descrizioni che quella fondata su una organizzazione del-
le forme «frantuma il significato, mentre quella basata sull’organizzazione del significato
frantuma la forma». Non si vuole suggerire che si debba procedere dalla forma al significa-
to né dal significato alla forma, piuttosto che la competenza morfosintattica debba essere
vista come strettamente correlata a quella testuale e pragmatica, secondo una visione
allargata del sapere regolistico che la collega alla più generale competenza comunicativa,
considerando necessariamente due livelli: conoscenza degli elementi discreti e consape-
volezza del loro posto e peso nel sistema anche se per la natura stessa, universalistica, del
sillabo non è possibile tenere conto delle lingue presenti nella classe, né inserire elementi
di riflessione basati sulla costruzione mentale che si costruisce individualmente l’appren-
dente, aspetto invece realizzabile e raccomandabile per sillabi destinati a specifiche tipo-
logie di studente.
La formazione linguistica degli immigrati stranieri in Italia è divenuta una costante pre-
occupazione in ambito educativo ed è stata oggetto di dibattito dopo le prime risposte
5 Redatto tra il 1987 e il 1988 da Diadori, Cini, Benucci in collaborazione con esperti europei e italiani (Richterich, Béacco,
D’Addio Colosimo, Evangelisti Allori, Giunchi).

86
Parte III - Capitolo 8

emergenziali ai bisogni di sopravvivenza comunicativa passando per la necessità per sod-


disfare le misure normative in merito all’ottenimento del permesso di soggiorno fino al
riconoscimento delle loro differenti identità di ‘nuovi italiani’.
Si è giunti così, nel riconoscimento che ai corsi di alfabetizzazione è necessario affiancare
un quadro di riferimento per interventi di formazione destinati a specifici ambiti e conte-
sti professionali, a progettare modelli di sillabo per settori professionali specifici sui quali
tarare idonei materiali didattici. L’immigrato lavoratore deve poter decodificare istruzioni
spesso di vitale importanza non soltanto per il corretto svolgimento dell’attività professio-
nale ma anche per la sicurezza sul luogo di lavoro, o per comprendere la lingua della bu-
rocrazia. Fattori di natura pragmatica, sociolinguistica e culturale possono compromettere
la riuscita degli scambi comunicativi: la competenza comunicativa in italiano, così come
d’altronde di specifici aspetti culturali, risulta allora fondamentale non soltanto per trova-
re un impiego ma perché sia possibile conservarlo, migliorare le proprie condizioni sociali
e interagire con i colleghi (Benucci 2014).
D’altronde però se è necessario offrire agli immigrati percorsi di formazione linguistica,
comunicativa e culturale spendibili per esigenze immediate e pratiche, occorre tali percor-
si si differenzino da quelli impiegati in altri contesti (per es. corsi universitari) soprattutto
per il carico metacognitivo e per i modelli linguistici formali: la ‘grammatica’ riguarderà in
primo luogo le strutture linguistiche di base (grammatica, lessico, pronuncia ecc.) e quelle
di più immediata spendibilità nella quotidianità. Dato che la competenza delle strutture
linguistiche non sempre coincide con la capacità di interpretare e usare le regole in ma-
niera appropriata ed essere capaci di interagire mentre invece è possibile impiegare certe
‘routines comunicative’ senza conoscerne le regole di formazione, nella programmazione
di corsi per adulti immigrati la correttezza grammaticale e la profondità della riflessione
metalingusitica avranno un peso minore rispetto a quello accordato a percorsi per altri tipi
di pubblico, presenteranno ad esempio omissioni di elementi previsti per livello basico di
competenza e inserzioni di altri considerati adeguati per un livello alto ma emergenziali
per gli scopi di apprendimento. La ‘grammatica’ o meglio le ‘grammatiche’ per questo tipo
di pubblico devono essere più che mai ispirati al criterio della funzionalità. Una maggio-
re tolleranza nella richiesta di corrette performance diviene di conseguenza auspicabile
perché non tutte le strutture saranno processate e non di rado saranno apprese memo-
nicamente, ma la ‘grammatica’ formale sarà poi anche affiancata dal possesso di altre
‘grammatiche’ (anche non verbali) che permetteranno all’apprendente di sopravvivere
professionalmente aiutandosi con indici socioculturali e situazionali. Un’altra distinzione
utile sarà quella di attribuire un diverso peso al corretto impiego delle regole in una comu-
nicazione a livello di comprensione rispetto a quello della produzione.

8.4. L’apprendente e i processi di apprendimento


A circa un secolo di distanza dai primi tentativi di fondare scientificamente l’insegnamento
delle lingue straniere, la didattica dell’italiano L2/LS sembra aver colmato il ritardo inizia-
le. I lavori statunitensi di matrice strutturalista e comportamentista sono restati almeno
fino agli anni Settanta del secolo scorso un punto di riferimento per chi si occupava di

Insegnare la grammatica 87
questa disciplina in Italia ma la polemica contro l’impianto logistico e universalistico della
grammatica tradizionale è stata risentita da noi almeno fino agli anni Ottanta portando
all’antigrammaticalismo e al primato delle capacità imitativo-analogiche. Da questo pe-
riodo in cui predominava l’evitamento della riflessione sulle forme della lingua si è passati
oggi all’adozione di approcci fondati su principi costruttivisti e metacognitivi in accordo
con le più recenti tendenze metodologiche dato che il ruolo della ‘grammatica’ e la mo-
dalità in cui viene presentata è correlato all’impostazione teorica che sottostà alle varie
metodologie. Per anni tutto ciò che si faceva nell’insegnamento linguistico era finalizzato
all’apprendimento grammaticale, fino a quando l’attenzione si è spostata dal prodotto al
processo e fino a quando in Europa la didattica delle lingue si è mossa da una posizione
periferica dell’insegnamento verso una posizione centrale (formazione di individui sia in
contesto scolastico che lungo tutta la vita) e da formazione alle lingue straniere a forma-
zione mediante le lingue e educazione alla cittadinanza. Parallelamente è cresciuta la con-
sapevolezza che le competenze parziali, acquisite sia in contesti istituzionali sia naturali,
concorrono tutte alla costruzione delle identità individuali e all’integrazione sociale (Cfr.
competenza soggiacente e educazione plurilingue).
I metodi che enfatizzavano lo scritto hanno ignorato il valore del parlato occupandosi della
grammatica tradizionale, in particolare della morfologia e dei piccoli fatti di lingua, quelli
che hanno posto l’accento sul parlato si sono spinti alle estreme conseguenze ignoran-
do del tutto i riferimenti alle regole grammaticali e il reale rapporto fra parlato e scritto.
La metodologia didattica proveniente in gran parte da aree linguistiche in cui la coscien-
za della lingua di uso e i problemi di identità sono stati superati prima che in Italia (per
esempio quelle anglofone), ha indotto gli autori di materiali per l’insegnamento a stranieri
ad accogliere atteggiamenti più disinvolti diretti a favorire la performance a scapito della
correttezza formale. Studi più recenti in campo europeo, soprattutto francese e tedesco
(Klein, Meissner, Coste, Degache ecc.), sono giunti addirittura ad avallare modelli di pre-
sentazione di morfosintassi tarati sulla lingua e le competenze dell’apprendente, sul suo
repertorio naturalmente plurilingue, in cui trovano posto contemporaneamente la LM, la
LS e altre LS, unite nella finalità di raggiungere una competenza all’uso delle lingue e del
linguaggio più che di una singola lingua. Ma sono soprattutto le raccomandazioni conte-
nute in alcuni documenti recenti del consiglio d’Europa che ci spingono a orientarci anche
per lo studio dell’italiano LS verso la formazione di abilità e competenze parziali, anche
per la ‘grammatica’.
I lavori nel settore degli approcci plurali (CARAP 2007), e in particolare dell’intercompren-
sione (Capucho et al. 2007), hanno aperto una nuova via alla riflessione metalinguistica
cui hanno accordato il giusto ruolo di conquista autonoma, pur se guidata, rivalutando
certe posizioni della linguistica contrastiva, che erano state buttate via all’apparire degli
approcci naturali e dei primi nozionali-funzionali, e dando valore al transfert e alla parzia-
lità delle conoscenze.6
Il QCER infatti, affrontando i processi di intercomprensione e il plurilinguismo, afferma che
si debba «uscire dalla tradizionale dicotomia, apparentemente equilibrata rappresentata
dalla coppia L1/L2 [e] considerare che l’individuo non dispone di un repertorio di compe-
tenze comunicative distinte e separate nelle lingue che conosce, ma di una competenza
6 Si vedano anche Beacco, Krumm, Little, Thalgott (2017), Byram, Cavalli, Coste, Egli Cuenat, Goullier, Panthier (2016).

88
Parte III - Capitolo 8

plurilingue e pluriculturale che le ingloba tutte» (QCER 2001, 2005) e che la conoscenza
di una lingua, anche quella materna, è sempre parziale, ma che tutte le conoscenze par-
ziali sono meno parziali di quanto sembri perché chi ha già appreso una lingua conosce
già molte altre cose di altre lingue anche senza rendersene conto. La consapevolezza di
tali conoscenze permette di concentrare l’attenzione sulle similarità esistenti tra lingue,
sui sistemi linguistici ma anche di tipo pragmatico e culturale; in questa ottica il docente
perde il suo ruolo centrale e collabora con gli apprendenti spinti a loro volta a modificare
le proprie rappresentazioni sulle lingue e sull’apprendimento e ad accettare un apprendi-
mento euristico e autonomo in una classe che si trasforma in una comunità collaborativa
della costruzione del senso.
Questa capacità dell’individuo di comprendere le lingue deve essere stimolata con un atto
didattico, da cui si evince l’assoluta importanza della corretta gestione delle procedure di-
dattiche da parte dell’insegnante e l’uso delle tecniche didattiche più idonee per lo svilup-
po della riflessione metalingusitica.7 Si tratta di un mutamento di prospettiva che si auspi-
ca possa comportare anche profondi cambiamenti nel modo di insegnare la ‘grammatica’,
nella definizione stessa di ‘correttezza’ e nella valutazione delle competenze. Infatti non
si postula più il primato della correttezza formale in assoluto ma si promuove lo sviluppo
della consapevolezza interlinguistica, lo stimolo a un apprendimento lungo tutto l’arco
della vita, lo sviluppo di competenze e conoscenze strategiche e metacognitive che riguar-
dano almeno la LM e la LS ma anche altre LS contemporaneamente. La capacità linguistica
degli individui è uno stato naturale ma può essere stimolata in un atto didattico (processo,
competenza in costruzione), con procedure che potenzino le strategie cognitive e il ricorso
ad ogni tipo di sapere acquisito (linguistico, culturale, procedurale, pragmatico). Ecco che
la ‘grammatica’ necessariamente si trova ad allargarsi alle ‘grammatiche’ perché è possi-
bile attivare e/o migliorare le strategie di comprensione/produzione sfruttando i processi
cognitivi e psicoaffettivi oltre che la dimensione testuale ed extralinguistica della comuni-
cazione (Benucci 2007 e Benucci 2008). Secondo il costruttivismo sociale e culturale l’ap-
prendimento è un processo attivo, si impara ad imparare mentre si impara e appoggiando-
si a strutture di conoscenza pregresse, a sua volta però la costruzione di conoscenza è un
processo mentale con attività che coinvolgono altre facoltà e i sensi, e inoltre impariamo
in relazione alle nostre conoscenze e credenze e quindi diviene indispensabile anche pren-
dere in considerazione la componente affettiva dell’apprendimento.
Dunque oggi non si ha bisogno solo di buoni sillabi ma anche di manuali ispirati a questi
principi che possano sviluppare le conoscenze procedurali,8 anche se con questo non si
sostiene l’eliminazione della riflessione sulle strutture della lingua, anzi, si intende po-
tenziarla ma con modalità diversa dal passato, avendo ben presente che ogni sapere è
comunque ‘parziale’.
Come si è avuto modo di ripetere in altre occasioni l’aspetto sociolinguistico del contat-
to fra emigranti e autoctoni non può scindersi dai termini della multiculturalità e della
interculturalità ma anche dell’utilità e dalla spendibilità: la dimensione degli usi e degli

7 Alle tecniche didattiche Balboni ha dedicato tre contributi fondamentali per lo sviluppo metodologico e didattico italiano
(1991, 1998 e 2008).
8 Per le tecniche più adatte alla riflessione sulla grammatica, o meglio sulle “grammatiche” (fonologica, grafemica, testuale,
morfosintattica, socio-linguistica, pragmalinguistica, extralinguistica) si veda il capitolo 3 di Balboni (2008).

Insegnare la grammatica 89
atteggiamenti linguistici ha notevoli implicazioni sociali poiché i migranti hanno bisogni/
motivazioni di tipo strumentale e integrativo e profili linguistico-culturali specifici.
Se dunque si dovrà valutare il peso di alcune varietà diatopiche con le quali essi vengono
in contatto (e di quelle che sono loro più utili per l’inserimento) e dell’ambiente culturale
in cui si muovono, si dovrà anche tenere conto della lingua in cui si è svolto il loro percorso
scolastico (qualora vi sia stato) e delle caratteristiche dei domini nella loro cultura, primo
tra tutti quello della scuola (come si sta a scuola, come ci si rivolge all’insegnante, quale
livello di formalità è presente ecc.) Oltre a questo sarà bene raccogliere informazioni sulla
situazione linguistica del Paese da cui provengono (lingua/e orale/i scritta/e, presenza di
altre lingue – straniere – a scuola ecc.).

8.5. Prime conclusioni


Riguardo all’insegnamento della ‘grammatica’ per la didattica dell’italiano LS e L2 a nostro
avviso vi sono ancora alcuni settori su cui deve essere maggiormente sviluppato il dibat-
tito come quello culturale-pedagogico: ci si rivolge, salvo pochi casi, indistintamente a un
arabo come a un francese, un cinese o a un giapponese, a uno spagnolo o a un tedesco e
solo negli ultimi anni si è iniziato a differenziare l’insegnamento in base agli scopi profes-
sionali, ai settori specifici di apprendimento per la lingua. Non si distingue poi sufficiente-
mente fra insegnamento di L2 e insegnamento di LS, e lo stesso materiale viene impiegato
all’estero e in Italia.
Un altro aspetto importante è quello che riguarda la formazione pratica e teorica degli
insegnanti che sono ancora molto legati al concetto di correttezza grammaticale indotto
da vecchi approcci alle lingue straniere sui cui la maggior parte di essi si è formata ma
soprattutto dalla mancanza di chiari e nuovi riferimenti metodologici che diano loro un
orientamento e dei modelli coerenti con le nuove tendenze di educazione linguistica. Gli
insegnanti avvertono, per la loro grande esperienza sul campo e la preparazione conse-
guita a livello individuale, la necessità di colmare tali lacune e di avvicinarsi agli ambienti
in cui si elabora l’impianto teorico e sperimentale perché sanno che la carenza di una
adeguata formazione può originare comportamenti non adeguati ma anche che chi si
occupa di aspetti teorici deve confrontarsi con chi produce azioni didattiche. Negli ulti-
mi anni si è ovviato in parte a questi problemi grazie all’attivazione di numerosi corsi di
formazione e di aggiornamento, così come sono aumentati i dibattiti e le iniziative sugli
strumenti operativi: tuttavia un argomento che in questi corsi suscita sempre interesse,
e che è la manifestazione del disorientamento e dei dubbi sul modo di operare in classe,
continua ad essere quello della ‘grammatica’ identificata ancora con la morfosintassi e
il lessico di una data lingua vista isolatamente dalle altre (soprattutto da quella materna
dell’apprendente), senza considerare il livello superiore, quello linguistico-comunicativo
e senza avere piena coscienza che i canali e le abilità comunicativi influiscono profon-
damente nella realtà comunicativa: parlare e scrivere non sono la stessa cosa e ancora,
ascoltare e leggere neppure, né lo sono comprendere un testo scritto e uno orale e tanto
meno produrli.
La conoscenza del background socioculturale e linguistico degli apprendenti è un’esigenza

90
Parte III - Capitolo 8

sempre più sentita da molti docenti, specialmente nel quadro dell’insegnamento a ragazzi
e adulti immigrati.
Concludendo, tra gli assi paradigmatici del repertorio, la variazione diafasica (storicamen-
te più presente in didattica delle lingue in quanto relativa a livelli di formalità / informalità)
interessa in particolare lo scritto e il parlato e quindi le tipologie di testi con i quali si attua
l’apprendimento (sia a livello di testi espositivi che di testi che si chiede di produrre allo
studente); la variazione diamesica interessa la tipologia di materiali autentici; la diastra-
tica il livello di orientamento nello spazio socioculturale e il reperimento di elementi atti
a ricavare informazioni sugli interlocutori; la diatopica, in Italia, attraversa tutte le altre
dimensioni ed in tutte è presente, costituisce un obiettivo di sensibilizzazione.
L’opposizione più forte all’inserimento di variabili sociolinguistiche in glottodidattica (Cfr.
anche Mazzotta 2015 e Cerruti, Corino, Onesti 2014) è che queste possono ostacolare l’ap-
prendimento della LS/L2, con tale giudizio ci si sofferma soltanto sulla competenza attiva,
mentre nessuno vuole sostenere che si debbano far acquisire competenze ‘attive’ in va-
rietà diatopiche o diastratiche (ma in quelle diamesiche e diafasiche sì) né che si debbano
esporre gli studenti in maniera indifferenziata a modelli di lingua non standard. Le variabili
sociolinguistiche interessano in primo luogo le decisioni che stanno a monte dell’azione
didattica vera e propria.

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92
Parte III - Capitolo 9

9. La riflessione grammaticale nei recenti manuali didattici


per l’insegnamento dell’italiano L2
Donatella Troncarelli
Tratto da Rivista Italiano a stranieri, Roma, n. 20, 2017

9.1. Il controverso ruolo della grammatica nel percorso di


apprendimento linguistico
Dopo aver per lungo tempo dominato incontrastata l’insegnamento linguistico, a partire
dalla seconda metà del secolo scorso la grammatica è diventata tema di un articolato di-
battito sul ruolo da conferirle in un percorso di apprendimento. Da protagonista assoluta
è stata dapprima relegata a comparsa per lasciare spazio alla pratica comunicativa, attra-
verso cui conseguire la competenza d’uso della lingua, da condurre con la ricostruzione
in aula delle condizioni per un apprendimento naturale. In questa prospettiva, la fon-
damentale funzione riconosciuta alla conoscenza esplicita dei meccanismi di funziona-
mento della lingua è quella di consentire il controllo della produzione linguistica, quando
si verificano le condizioni per ricorrere all’impiego di regole consapevolmente apprese
(Krashen 1981, 1985).
Successivamente la grammatica è stata reintegrata come personaggio che interagisce con
altri nel processo di apprendimento linguistico, al fine si consentire lo sviluppo di una
competenza complessa. Si tratta di una reintegrazione che vede in primo luogo la gram-
matica cambiare ruolo per assumere quello di riflessione sulla lingua, cioè di una attività
di scoperta delle forme e della loro realizzazione condotta dall’apprendente e guidata dal
docente. In secondo luogo si ampliano gli aspetti linguistici su cui convogliare l’attenzione
dello studente per comprendere, oltre alla morfosintassi, altri livelli in cui si articola il
sistema linguistico e per includere anche fattori socio-culturali, contestuali, pragmatici e
semantici che indirizzano la selezione e l’uso delle forme. Il Quadro Comune Europeo di Ri-
ferimento (Consiglio d’Europa 2002, da qui in poi QCER), in cui sono confluite le riflessioni
maturate per circa un ventennio in Europa sull’insegnamento delle lingue, delinea infatti
un modello di competenza nel quale una serie di conoscenze, capacità e abilità, sia gene-
rali, sia inerenti alla comunicazione, si affiancano alla conoscenza dell’insieme di regole
formali per permettere all’individuo di agire in una pluralità di contesti, svolgendo compiti
che implicano l’uso della lingua. Una simile competenza non può dunque essere consegui-
ta solo tramite la conoscenza consapevole delle forme linguistiche o solo tramite la cono-
scenza implicita, frutto della capacità cognitiva di formulare ipotesi, elaborare astrazioni e
giungere a generalizzazioni sul funzionamento della lingua. All’azione didattica è richiesto
pertanto di promuovere l’integrazione di queste due dimensioni. Processi inizialmente
controllati devono infatti diventare automatici attraverso la pratica, per consentire che
nella comunicazione l’attenzione possa focalizzarsi sugli scopi da conseguire e i significati
da esprimere, piuttosto che sulle forme da utilizzare. Al contempo, la capacità innata di
individuazione delle regole e delle regolarità, nell’input linguistico a cui si è esposti (Cili-

Insegnare la grammatica 93
berti 2013, 2015), deve essere potenziata e opportunamente guidata per poter rendere
maggiormente proficua l’esperienza di apprendimento.
Questo dibattito sul ruolo da attribuire alla riflessione grammaticale, l’approfondimento
delle componenti della competenza da sviluppare e dei processi di apprendimento coin-
volti, nonché la ricerca di adeguate strategie didattiche da utilizzare ha interessato sia
l’educazione linguistica nella L1 che l’insegnamento della L2. Soprattutto in quest’ultimo
ambito si sono verificati, nel lasso di tempo a cui si sta facendo riferimento, profondi mu-
tamenti delle metodologie didattiche, delle modalità di articolazione dei percorsi di ap-
prendimento e dei criteri di selezione delle forme da presentare. Quali riflessi di questo
cambiamento sono oggi rintracciabili in un uno dei ferri del mestiere del docente di lingua,
cioè nei manuali utilizzati per l’insegnamento dell’italiano a stranieri, che spesso orien-
tano e indirizzano le scelte didattiche e le modalità di intervento soprattutto dei colleghi
professionalmente più giovani?

9.2. La riflessione sulla lingua nei manuali di italiano L2


Osservando i manuali per l’insegnamento dell’italiano a stranieri pubblicati in Italia a parti-
re dal 2010 si può immediatamente notare, semplicemente sfogliando l’indice dei volumi,
che tutti i testi presi in esame prevedono la riflessione sulla lingua come parte integrante
del percorso didattico e che la conoscenza del funzionamento delle forme linguistiche é
comunemente considerata una componente della più ampia e complessa competenza lin-
guistico-comunicativa, accanto alla competenza lessicale e funzionale1. Nell’84% dei casi,
a queste componenti viene affiancata anche la competenza socio-culturale da sviluppare
attraverso la presentazione di aspetti della vita sociale italiana, eventi culturali di vario ge-
nere, stili di vita, abitudini e comportamenti culturalmente determinati come, per esem-
pio, i convenevoli o fare conoscenza.
A circa un ventennio dalla pubblicazione della versione italiana del QCER si può dunque
affermare che la concezione della competenza come un insieme composito di conoscenze,
abilità e capacità in cui le componenti linguistica e comunicativa si integrano e interagi-
scono, consentendo all’individuo di agire linguisticamente in una pluralità di contesti, è
pienamente abbracciata dagli autori dei manuali come anche la dimensione verticale di
tale competenza. L’articolazione del continuum di apprendimento di una lingua in livello di
Contatto (A1), Sopravvivenza (A2), Soglia (B1), Progresso (B2), Efficacia (C1) e Padronanza
(C2) è infatti adottata da tutti i testi considerati, confermando l’altro grado di penetrazione
che tale proposta del QCER ha avuto nei sistemi educativi europei (La Grassa 2011).
Accanto al riferimento a un modello di competenza basato sulla visione pragmatica e so-
ciolinguistica della lingua, anche altri aspetti connessi al dibattito sul ruolo da attribuire
alla riflessione grammaticale nell’insegnamento linguistico sono rinvenibili, con gradi di-
versi di ricezione, nei manuali di italiano L2.

1 Il corpus di manuali di italiano per stranieri, sul quale è stata condotta l’indagine è stata condotta, comprende i volumi
più diffusi, apparsi sul panorama editoriale tra il 2010 il 2015 come nuove proposte o come nuove edizioni di edizioni
precedentemente pubblicate. L’elenco completo dei manuali presi in esame è riportato nei “Riferimenti bibliografici”
nella sezione Manuali oggetto dell’indagine.

94
Parte III - Capitolo 9

9.2.1. Le strategie per la conduzione della riflessione sulla lingua


Dato che la comunicazione consiste in una serie di usi linguistici realizzati dai parlanti in
contesti di interazione che condizionano la scelta della forme da usare, l’attenzione non
può essere focalizzata sulle strutture prima di aver compreso le coordinate contestuali
entro le quali hanno luogo le situazioni comunicative, aver esplorato la dimensione prag-
matica e aver compreso almeno globalmente gli scambi comunicativi. Il funzionamento
delle forme può essere infatti colto solo in relazione agli scopi che si intendono conseguire
e ai significati che si vogliono esprimere usando la lingua. Nei manuali, la riflessione sulla
lingua è dunque collocata dopo le sezioni delle unità didattiche o di apprendimento de-
dicate alla presentazione e alla comprensione del testo e anche dopo quelle in cui è con-
dotto l’approfondimento di aspetti funzionali e lessicali, se presenti2. Anche quelli in cui
alla riflessione sulla lingua è riservato uno spazio più ampio, rispetto alle altre componenti
della competenza, non si riscontrano tentativi di anticipazione della focalizzazione dell’at-
tenzione su aspetti grammaticali.
Mentre si registra una convergenza dei vari autori sulla opportunità di presentare le strut-
ture in contesti testuali, i percorsi proposti per riconoscerne l’uso e il funzionamento pre-
sentano alcune differenze. L’adozione di itinerari apertamente deduttivi, per l’introduzio-
ne di regole che successivamente vengono fissate attraverso esercizi applicativi, risulta
abbastanza rara. Solo in uno dei manuali esaminati sono presentate vere e proprie schede
grammaticali che illustrano le principali modalità di formazione e funzionamento di una
struttura di cui è richiesta l’utilizzazione in esercizi di completamento e trasformazione3. La
maggior parte dei manuali opta invece per soluzioni che abbinano l’esplicitazione sintetica
della regola con esercizi applicativi e ulteriori sollecitazioni per la ricerca della struttura
presentata in testi o parti di testo, al fine di favorire l’osservazione del suo funzionamento.
In molti casi le strutture vengono introdotte in modo parziale, perché solo determinate
forme sono presenti nel testo input dell’unità o di una sua sezione, e vengono riprese
successivamente nel corso del volume, per completarne la presentazione. Alcuni testi pre-
feriscono guidare gli studenti all’individuazione delle forme nell’input, alla formulazione di
ipotesi sul loro funzionamento e alla estrapolazione della regola tramite il completamento
di schemi vuoti o incompleti. Solo nel caso di un manuale rivolto a studenti universitari,
l’apprendente è invitato a completare una sintetica descrizione della regola tramite la scel-
ta tra due o più enunciati (Figura 1)4.
Nei manuali che adottano itinerari prevalentemente induttivi per focalizzare l’attenzione
sulle forme linguistiche, le attività di cui è suggerita l’esecuzione hanno, in una prima fase,
lo scopo di consentire la verifica delle ipotesi formulate e, in una seconda, quella di riuti-
lizzare le strutture in nuovi contesti frasali, in modo da favorirne la fissazione.

2 Per approfondimenti sulla struttura e le caratteristiche dei modelli operativi in cui rientrano l’unità didattica e di appren-
dimento in cui si articolano molti dei manuali di italiano per stranieri si rinvia a Diadori, Palermo, Troncarelli 2015.
3 Si tratta del volume Qui Italia che costituisce una riedizione della prima versione pubblicata nel 2007 e che rappresenta il
manuale apparso meno recentemente sul panorama dell’editoria dell’italiano a stranieri tra quelli esaminati.
4 La scelta dell’autore è congruente con il profilo dei destinatari che, sviluppando una maggiore consapevolezza metalingui-
stica, possono acquisire maggiore autonomia nell’apprendimento migliorando così la padronanza in lingua italiana anche
nello svolgimento delle attività accademiche.

Insegnare la grammatica 95
Figura 1 - Esempio di completamento della descrizione di una regola (tratto da: L’italiano all’università 2)

Indipendentemente dal tipo di itinerario proposto per la riflessione sulla lingua, tutti i ma-
nuali offrono schede riassuntive con le strutture presentate, poste al termine dell’unità o
in un appendice grammaticale alla fine del volume. Un ‘altra scelta condivisa dagli autori
è la ridotta utilizzazione di spiegazioni verbali e il controllo dell’impiego di lessico meta-
linguistico per illustrare l’uso e il funzionamento delle forme presentate. Anche a livelli
avanzati di apprendimento gli schemi rappresentano infatti la modalità più diffusa di spie-
gazione del funzionamento delle strutture come mostra l’esempio riportato in Figura 2.

Figura 2 - Esempio di spiegazione a livello avanzato di apprendimento (tratto da: Nuovo rete B2)

9.2.2. Fatti linguistici oggetto della riflessione sulla lingua


Il corpus di manuali per l’insegnamento dell’italiano a stranieri pubblicati tra il 2010 e il
2015, su cui si basa l’indagine, è costituito in larga parte da volumi destinati a livelli iniziali
di apprendimento. Passando dal livello indipendente di competenza linguistico-comunica-
tiva a quello competente, il numero di pubblicazioni realizzate scende sensibilmente inclu-
dendo solo 2 volumi destinati ai livelli C1 e C2. Come è noto, solo un pubblico più esiguo,
e spesso con esigenze di apprendimento specifiche, giunge allo sviluppo quasi nativo della
competenza in L2, pertanto l’editoria restringe la pubblicazione di testi destinati all’inse-

96
Parte III - Capitolo 9

gnamento dell’italiano per scopi generali ai livelli più diffusi. Essendo la selezione dei fatti
linguistici su cui focalizzare l’attenzione, ovviamente realizzata in funzione dei destinatari
dei manuali e del loro livello di competenza linguistico-comunicativa, l’insieme delle for-
me presentate comprende quindi poco più della solo morfologia flessiva.
Nelle opere rivolte ad apprendenti di livello A1-A2 sono generalmente illustrare le cate-
gorie del nome, dell’articolo, dell’aggettivo e del pronome alcuni tempi deittici del modo
indicativo del verbo (presente, passato prossimo, imperfetto e futuro), la perifrasi stare +
gerundio, i principali avverbi di tempo, le preposizioni e alcuni connettivi (perché, e, ma).
Anche la grafia, l’espressione di frasi interrogative e negative rientrano tra gli aspetti foca-
lizzati a questi livelli di apprendimento.
Ai livelli B1 e B2 vengono approfonditi i pronomi con l’introduzione di quelli combinati e
di quelli relativi, presentate la forma comparativa e superlativa dell’aggettivo, introdotti
il passato remoto, i tempi anaforici dell’indicativo, i modi condizionale e congiuntivo del
verbo, il participio presente, la forma passiva e impersonale, l’infinito passato e il periodo
ipotetico.
Negli ultimi livelli di apprendimento vengono presentati alcuni elementi di sintassi foca-
lizzando l’attenzione sulla differenza tra proposizione principale e subordinata, sulla co-
struzione implicita ed esplicita e sulla frase scissa. Viene inoltre illustrata la funzione del
riferimento anaforico nella costruzione del testo.
Alcuni dei manuali presentano, sia a livelli iniziali che intermedi, aspetti di morfologia
lessicale, inclusi gli alterati, e solo un paio di volumi introducono i segnali discorsivi. L’ap-
profondimento del livello sintattico è molto spesso evitato con la presentazione dei con-
nettivi che introducono una proposizione subordinata e delle forme verbali richieste,
senza fare accenno alla strutturazione e alla stratificazione della frase. Infine, la fonologia
è maggiormente oggetto di attenzione ai livelli iniziali ma la presentazione di fatti fonolo-
gici continua fino a livelli avanzati di apprendimento.

9.2.3. Su quale italiano riflette lo studente?


La perdita della centralità della grammatica nell’insegnamento delle lingue ha costituito il
risultato dello sviluppo di nuove prospettive di indagine che, nella seconda metà del seco-
lo scorso, hanno condotto al recupero di concezioni della lingua come sistema funzionale,
in cui le strutture formali sono impiegate per realizzare intenzioni comunicative, e che
hanno convogliato l’attenzione sulla variabilità linguistica. Soprattutto gli studi sociolin-
guistici hanno messo in luce come essere competenti nell’uso di una lingua comporti non
solo conoscere le regole di formazione delle strutture, ma anche avere conoscenza della
norma, cioè degli usi diventati consuetudine sociale, al fine di poter produrre realizzazioni
formalmente corrette e adeguate alle variabili del contesto di comunicazione.
Nell’insegnamento di una lingua come l’italiano, interessata da una forte variazione e da
processi di ristandardizzazione in atto (Antonelli 2007; Palermo 2015), è particolarmen-
te importante tenere conto della variazione linguistica sul piano diamesico e diafasico
perché, rimanendo ancorati alla sola norma dell’italiano scritto, si rischia di far parlare
gli studenti in modo poco adeguato. Conoscere l’uso di costrutti, ritenuti non accettabili
nello scritto formale ma ampiamente utilizzati nella comunicazione orale mediamente for-

Insegnare la grammatica 97
male, permettere infatti di evitare di commettere errori legati all’inadeguatezza di certe
forme perché avvertite come troppo formali o ricercate dai parlanti nativi. A quale norma
dell’italiano fanno dunque riferimento i manuali per l’insegnamento dell’ italiano L2 con
la scelta delle forme su cui focalizzare la riflessione sulla lingua?
Dall’esame del corpus su cui si basa l’indagine, risulta una moderata sensibilità verso la
variazione linguistica con il riferimento ad alcuni tratti dell’italiano neostandard. Uno di
questi è la riduzione dei pronomi personali soggetto di terza persona singolare alle sole
forme lui e lei, presente in tutti i manuali. Egli e ella ancora rintracciabili, sebbene in rari
casi, nelle grammatiche e nei materiali per parlanti nativi, sono del tutto assenti nelle se-
zioni grammaticali dei manuali per stranieri5. Per quanto riguarda il sistema verbale, l’uso
del presente indicativo in funzione di futuro quando ci si riferisce a fatti imminenti o certi,
il futuro epistemico e l’espansione del passato prossimo che va a coprire l’uso del passato
remoto sono presenti nella maggioranza dei manuali. L’impiego dell’imperfetto attenuati-
vo per formulare richieste in modo gentile (volevo un chilo di mele) è invece indicato solo
in un numero ridotto dei testi esaminati, mentre il condizionale di citazione (il malvivente
avrebbe agito indisturbato) è segnalato solo in uno e ugualmente l’uso dell’imperfetto nel
periodo ipotetico (se lo sapevo non chiamavo) è presentato solo in un manuale. In tre dei
manuali è presentato l’uso di magari come risposta affermativa ed esclamazione.
In linea generale in tutti i manuali è riservato uno spazio, sebbene ridotto, alla variabilità
diamesica mentre quella diatopica è solo raramente accennata e l’italiano standard rima-
ne comunque l’unico modello fonologico di riferimento.

9.3. Conclusioni
La sintetica panoramica sulle modalità con cui è suggerita la realizzazione dello sviluppo
della competenza metalinguistica nei manuali didattici di italiano L2, tracciata nei para-
grafi precedenti, mostra che alla grammatica è riconosciuto oggi un ruolo di personaggio
principale ma non più da protagonista nell’insegnamento linguistico. Il dibattito teorico
sulla complessità della competenza, sulla centralità del testo nella comunicazione, sulle
modalità con cui si attua l’apprendimento e sulle strategie pedagogiche atte a sostenerlo
è stato in larga parte accolto e le scelte volte a indirizzare la prassi didattica tengono conto
degli esiti relativi ai maggiori nodi in cui si è articolato.
Indubbiamente, i manuali presi in esame propongono percorsi di riflessione sulla lingua
in larga parte adeguati riguardo al momento in cui soffermarsi sulle forme linguistiche, al
tipo di attività tramite cui lo studente è guidato alla scoperta del funzionamento e del va-
lore delle strutture e alle modalità di presentazione dei fatti linguistici, attente ad evitare
il ricorso a modelli di descrizione grammaticale complessi e a ridurre al minimo l’apparto
terminologico necessario per l’esplicitazione. Rimangono comunque alcuni aspetti su cui
approfondire la riflessione per giungere all’individuazione di soluzioni che possano rende-
re maggiormente efficace il processo di insegnamento-apprendimento.
Il primo concerne la selezione dei fatti linguistici su cui focalizzare l’attenzione degli ap-
5 L’accettazione di lui, lei e loro come unica forma di pronomi soggetto nei manuali di italiano a stranieri era già stata regi-
strata da Benucci nell’indagine condotta nel 1993 (Benucci 1994).

98
Parte III - Capitolo 9

prendenti. C’è da interrogarsi infatti se la restrizione alla morfologia flessiva, solo spora-
dicamente affiancata da quella lessicale e da qualche accenno alla sintassi, sia sufficiente
per condurre lo studente alla adeguata formulazione e gestione di unità di comunica-
zione superiori alla frase semplice. La scarsa attenzione dedicata nei manuali a questo
livello di organizzazione della lingua e il numero veramente ridotto di grammatiche di
consultazione per stranieri che prendono in considerazione la dimensione interfrastica e
testuale (Troncarelli 2011) lasciano pensare che allo studente non rimanga altro da fare
che procedere secondo i principi dell’apprendimento naturale per affrontare livelli più ar-
ticolati e strutturati di discorso. Anche le grammatiche didattiche rivolte a parlanti nativi
offrono poco supporto perché ampiamente centrate sul riconoscimento della struttura
sintattica della frase multipla, esercizio che aiuta poco lo studente straniero.. Questo
infatti avrebbe bisogno di essere guidato nella scelta, nell’uso e nella formulazione di
modalità espressive che consentano di esprimere significati complessi, veicolati anche
attraverso le strutture e non addestrato alla classificazione di forme linguistiche.
Inoltre, come osserva Ciliberti (2013; 2015), risulta singolare che, nonostante nella didat-
tica della lingue si sia affermata l’idea che la padronanza di una lingua comporti il posses-
so di una serie di competenze tra cui quella discorsiva, l’attenzione venga principalmente
puntata sulle parti tradizionali del discorso e vengano trascurati i processi discorsivi e i
meccanismi che regolano la conversazione. Solo un paio di manuali tentano un timido
approccio in questo senso ricordando allo studente che nella comunicazione orale valgo-
no norme in parte diverse da quelle che vigono nella comunicazione scritta.
Questa considerazione rinvia ad un altro aspetto ancora non accuratamente preso in
considerazione e probabilmente lasciato nelle mani del docente: la variabilità linguistica.
In primo luogo lo spazio riservato alla variazione diamesica è troppo esiguo e i manuali si
limitano spesso alla presentazione di alcuni generi come il dialogo, la telefonata breve, il
messaggio telefonico, la mail facendo implicitamente riferimento al canale di comunica-
zione utilizzato e senza approfondirne, nella maggior parte dei casi, le caratteristiche for-
mali, dato che la dimensione testuale è scarsamente considerata. L’italiano colloquiale fa
solo capolino nei testi e i tratti che lo caratterizzano sono approfonditi solo in casi molto
rari. Inoltre sono molto pochi i riferimenti alla variabilità diatopica dell’italiano, aspetto
che sconcerta sempre chi ha iniziato ad apprendere l’italiano all’estero e poi viene in
Italia. L’esposizione orale a varietà regionali e piccoli approfondimenti sugli usi delle for-
me più frequenti nelle diverse parti della Penisola potrebbero fornire allo studente una
busso per orientarsi nella reale comunicazione con parlanti nativi.
In conclusione si può affermare che molta strada è stata fatta dalla didattica della lingua
italiana da quando la centralità della grammatica è stata messa in discussione, ma altra
resta ancora da fare. Forse sono ormai maturi i tempi per ripensare ai contenuti da presen-
tare, per adottare modelli descrittivi più efficaci, per comprendere altre norme tra quelle
da insegnare e per poter andare, anche con l’ausilio delle nuove tecnologie, oltre i confini
del manuale e proporre percorsi di apprendimento flessibili, più ricchi di risorse e in grado
di soddisfare i bisogni di profili di apprendenti sempre più diversificati.
Riferimenti bibliografici
Antonelli G., 2016, L’italiano nella società della comunicazione 2.0, Bologna, Il Mulino
Benucci A., 1994, La grammatica nell’insegnamento dell’italiano a stranieri, Roma, Bonacci

Insegnare la grammatica 99
Ciliberti A., 2013, “La nozione di Grammatica e l’insegnamento di L2”, in Italiano LinguaDue,
n. 1, pp. 1-14
Ciliberti A., 2015, La grammatica: modelli per l’insegnamento, Roma, Carocci
Consiglio d’Europa, 2002, Quadro comune europeo di riferimento per le lingue: apprendi-
mento, insegnamento, valutazione, Firenze, La Nuova Italia-Oxford
Diadori P., Palermo M., Troncarelli D., 2015, Insegnare l’italiano come seconda lingua, Ca-
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La Grassa M., 2011, “Livelli e descrittori delle competenze nel Quadro comune europeo di ri-
ferimento”, in Troncarelli D., Stigliani V. A. (a cura di), Il Portfolio delle competenze linguistiche:
contesto, approcci, strategie e organizzazione della didattica, Tirana, Filara, pp. 21-30
Krashen S., 1981, Second Language Acquisition and Second Language Learning, Oxford, Per-
gamon
Krashen S., 1985, The Input Hypothesis: issues and implications, London, Longman
Palermo M., 2015, Linguistica italiana, Bologna, Il Mulino
Troncarelli D., 2011, “Le grammatiche di consultazione per l’italiano L2: risorsa per l’appren-
dimento degli alunni stranieri?”, in Corrà L., Paschetto W. (a cura di ), La grammatica a scuola,
Milano, Franco Angeli, pp. 308-320

100
Parte III - Capitolo 10

10. “Quando la grammatica è una canzone dolce...”


Per una grammatica educativa
Maria Piscitelli
Tratto da Lend, Lingua e nuova didattica, n. 1, 2012

Da anni la grammatica è indicata da intellettuali e addetti ai lavori come la panacea. Se


i giovani non sanno scrivere, leggere e parlare è perché non conoscono le regole gram-
maticali. ”A scuola, si fa poca grammatica”, si ripete in più luoghi, richiedendo di farne di
più. La grammatica cui si fa riferimento è quella tradizionale, la grammatica della frase,
da trattare a sé, in maniera sistematica (per lo meno 1h settimanale). Ciò incoraggia i
docenti a svolgere una quantità maggiore di contenuti grammaticali, che finiscono per
installare nella mente di chi impara “etichette terminologiche destinate a conservare il
loro alone di mistero per tutta la vita del malcapitato discente” (Altieri Biagi 1994, 89).
Gli obiettivi delle stesse Indicazioni nazionali per la scuola di base assecondano, seppur in
parte, questa direzione, proponendo quasi tutta la morfologia e la sintassi. Ne consegue
che i ragazzi non dispongono dei tempi necessari per padroneggiare i concetti sottesi alle
regole, né tanto meno si interrogano sugli oggetti linguistici incontrati, cercando di scopri-
re i meccanismi che li governano. La procedura che seguono è ben lontana da quella del
grammatico, che osserva ed esplora i fenomeni, li studia e li rivisita in condizioni e tempi
diversi, formula ipotesi e le controlla, falsificandole o confermandole per poi formaliz-
zarle. La generalizzazione e la loro traduzione in norma avvengono sulla base di indagini
scientifiche sperimentali e non in modo assiomatico. Mentre il punto di partenza di gran
parte dell’insegnamento metalinguistico è proprio l’assioma. Ciò fa sì che molti ragazzi
concepiscano la grammatica come un insieme di regole su cui esercitarsi. È quindi naturale
che non avvertano l’esigenza di indagare i processi comunicativi e i tratti linguistici che li
connotano. Individuano e applicano regole, rispondendo a quesiti del tipo:
Quante sono le possibili congiunzioni coordinative della lingua italiana? Quali sono le altre forme di
congiunzioni? Quale tra queste frasi non contiene un complemento di sostituzione? Quali tra queste
frasi non contiene un complemento distributivo? Quale tra queste frasi non contiene un complemento
di esclusione? (Indire, Puntoedu,Digiscuola, 2007).

Si tratta di richieste tese a controllare quello che l’alunno dovrebbe sapere, dopo aver
ascoltato la spiegazione dell’insegnante. Quando invece dovrebbe essere sollecitato a
riflettere e a problematizzare, allenandolo alle ipotesi e a sciogliere dubbi. “Non importa
se le risposte non sono risolutive, sarà l’insegnante a discutere con gli alunni i gradi di
accettabilità, facendo intravedere la plausibilità delle soluzioni” (Altieri Biagi 2009: 21).
Appare perciò quasi inevitabile che lo studente non arrivi a cogliere rapporti e funzio-
namenti linguistici nei testi; la sua abilità consiste soprattutto nel costituire repertori di
fenomeni, stilando liste di nozioni e attribuendo definizioni, senza individuarne la valenza
concettuale.
Pertanto i nostri alunni non conoscono la grammatica perché ne fanno troppa e male e
non tanto perché ne fanno poca. Quella affrontata raramente è preceduta da un’appro-

Insegnare la grammatica 101


fondita e continua riflessione linguistica, ingrediente primario per lo sviluppo di compe-
tenze grammaticali. In assenza di quest’ultima difficilmente l’insegnamento grammaticale
può contribuire alla realizzazione della scuola per competenze.
Ma quando parliamo di riflessione sulla lingua, cosa intendiamo? Quali sono le implica-
zioni e le condizioni per realizzarla? A quale modello grammaticale ci riferiamo? Con quale
criterio preferiamo l’uno o l’altro?

10.1 La riflessione sulla lingua


A nostro avviso, riflettere sulla lingua significa
fare esercizio di lingua in tutte le sue forme fino a raggiungere una buona competenza. E poiché la lin-
gua è un sistema, cioè un insieme di elementi che co-funzionano obbedendo a regole a volte rigide, ma
più spesso elastiche, e tutte più o meno mutevoli nel tempo, è possibile e utile riservare un’attenzione
specifica a queste regole: cioè associare all’esercizio di lingua un’osservazione delle sue regole che
possiamo chiamare grammatica. Ricordando però che chiunque parli e scriva una lingua (compresi
i bambini al loro ingresso nell’istituzione scolastica) già usa quelle regole, sia pure a livelli diversi di
consapevolezza e di abilità, e che è da quei diversi livelli che occorre partire” (Altieri Biagi 2009: 20).

Questo “fare esercizio di lingua”, associato all’osservazione delle regole, non si concentra
soltanto su frasi modello, composte ad hoc secondo le regole della lingua (vedi manuali
scolastici), ma si rivolge a una varietà di forme e testi, privilegiando l’uso funzionale, così
come recitano molti documenti ufficiali. Ciò comporta la scelta di grammatiche, come la
grammatica funzionale, che non curino soltanto l’aspetto linguistico, la sua forma, ridu-
cendola a puro sapere grammaticale, quanto il suo uso comunicativo, il saper fare con la
lingua, sapere cioè di che cosa parlare e scrivere, con chi, come e quando (Dik 1978: 3).
Usare una lingua non significa applicare delle regole, ma compiere atti comunicativi che
consentono di agire socialmente e di relazionarsi con un interlocutore allo scopo di per-
seguire i propri fini. Un uso che si riscontra nella lingua autentica, negli spazi linguistici
e sociali in cui viviamo e abitati dallo stesso alunno. Abituando il ragazzo a osservare
come si “comporta” la lingua in situazioni d’uso, egli rileva le caratteristiche linguistiche
della comunicazione, mettendo in moto operazioni complesse su un materiale familiare
e adeguato alle sue strutture cognitive. Vedendo la lingua in azione riesce a studiarla me-
glio, a commentarla, a spiegarla e a capirne il funzionamento complessivo. È noto che la
contestualizzazione (contesti e testi) facilita l’apprendimento, attivando nuove modalità
di pensiero e forme di astrazione.

10.1.1 Qualche esempio di pratica riflessiva


Un buon approccio potrebbe consistere nel partire dagli usi della lingua che favoriscono la
comprensione di quei fatti linguistici che gli stessi bisogni comunicativi mettono in campo.
Di primaria importanza sarebbe soffermarsi sugli aspetti ricorrenti in testi orali e scritti,
che fanno riferimento alla realtà in cui l’alunno si trova a operare. Ogni alunno possiede,
almeno rispetto al registro familiare, la competenza d’uso del parlante nativo, in funzione
dell’età, del grado di maturazione personale, dell’ambiente socio-culturale in cui è vissuto.

102
Parte III - Capitolo 10

Sperimentando la cosiddetta “immersione nella lingua” si trova esposto, grazie alla molte-
plicità dei canali a disposizione, a una varietà e ricchezza di testualità linguistiche. Perciò
è necessario che si sfruttino appieno tali competenze, seppur implicite, per impegnare
l’allievo in attività di riconoscimento e di riflessione sulle caratteristiche del linguaggio a
lui familiare.
Se invitiamo, ad esempio, i bambini di una 2a classe (scuola primaria) a osservare e indivi-
duare i tratti del dialogo orale in luoghi e ambienti diversi (famiglia, mercato), chiedendo
loro di annotare lo scambio di battute tra i parlanti e di discuterne in classe con i compa-
gni i significati e le forme, ci accorgiamo subito quanto simili ambienti di apprendimento,
fortemente motivanti, siano propizi all’incremento di conoscenze linguistiche, di abilità
di varia natura che inducono atteggiamenti aperti al confronto e alla metacognizione. I
bambini giungono a distinguere, tramite specifiche tappe (decifrazione, concettualizza-
zione, caratterizzazione, denominazione e definizione), parecchi elementi comunicativi e
fenomeni linguistici, molti dei quali saranno ripresi dal docente e riattraversati, da pro-
spettive diverse, in altri territori conoscitivi. Gli scambi dialogici offrono un’ampia gamma
di opportunità come ad esempio: esplorare il tipo di discorso (faccia a faccia, diretto) e di
enunciati ricorrenti (frammentari, incompleti); rilevare le pause dei parlanti che allo scrit-
to si tradurranno in punteggiatura; cogliere i sottintesi e i significati veicolati dal linguaggio
non verbale, che nella scrittura saranno esplicitati con proposizioni sequenziali; inferire il
significato di lessemi non noti dalla situazione complessiva; soffermarsi sul registro lingui-
stico, sulla struttura dello stesso dialogo (duale, “sono due o più persone che parlano”) e
sulla funzione delle ripetizioni (ridondanza); iniziare a capire la frequenza di determinati
oggetti linguistici che denominiamo in un certo modo, persone e oggetti (nome), paroline
che spesso accompagnano o caratterizzano” i nomi (articoli, aggettivi), ma anche “tante
altre parole che non si fermano mai”, formichine infaticabili “che sono dappertutto per
darci informazioni” soprattutto sul tempo (verbo).
Nel dialogo autentico: Hai preso i biglietti? I biglietti? Ma no, li hai presi tu, gli alunni - sol-
lecitati a rispondere se la parola i davanti a biglietti si riferisce a qualcosa (biglietti) che i
parlanti conoscono - arrivano a capire che quella parolina i si riferisce a qualcosa di noto
per chi parla, a oggetti dell’universo comuni ai due interlocutori. Un concetto questo non
semplice da trattare, ma fondamentale per comprendere la funzione dell’articolo nell’uso
linguistico e letterario. A questa fase di riconoscimento e di confronto seguirà poi quella di
riflessione, in cui si svolgeranno attività più specificatamente grammaticali, anche su frasi
campione (finestra di riflessione).
La riflessione in situazione (linguaggio orale, scritto, trasmesso), è particolarmente frut-
tuosa, perché consente di evidenziare alcune peculiarità dei vari codici e linguaggi (so-
miglianze e differenze) e di compiere al contempo ragionamenti grammaticali su aspetti
linguistici cruciali (pragmatici, testuali o morfologici), alimentando sguardi riflessivi. L’inte-
razione con la situazione autentica mette in gioco quanto l’alunno sa e sa fare con la lingua,
creando predisposizioni all’apprendere e soprattutto rendendo il compito significativo.
Insieme al dialogo, si possono utilizzare altri linguaggi, canali e relative forme testuali,
quali la discussione in classe, l‘intervista faccia a faccia o televisiva, una controversia per
strada (parcheggio, vigile, ecc.), delle news televisive o reperite in Internet e altro. Il ricor-
so a questi testi (orali, scritti, trasmessi), non certo canonici, si prestano molto più delle

Insegnare la grammatica 103


frasi dei manuali scolastici a risvegliare nei ragazzi interesse e curiosità, suscitando il gusto
della ricerca e la soddisfazione di dare risposte pertinenti ai vari problem solving suggeriti
dall’insegnante.
Naturalmente il materiale autentico sarà via via selezionato secondo la pregnanza co-
noscitiva e gli oggetti linguistici da trattare. I testi che presentano particolari difficoltà
esplorative, a causa della loro “densità di informazioni” e delle eccessive “manipolazioni
comunicative” saranno scartati oppure parzialmente interpretati e confrontati con piccoli
“campioni” di lingua (frasi semplici o complesse).
È comunque opportuno ricordare che agli studenti piace molto estrarre i significati nasco-
sti da testi vivi e fortemente comunicativi, per cui vale la pena lavorarci, cercando di far
emergere con loro la costruzione “pura” della lingua. Questo coinvolgimento li porta ad
assumere atteggiamenti interrogativi, riflessivi e rielaborativi, così decisivi per lo sviluppo
delle competenze.
A testimonianza di quanto possa rivelarsi utile muoversi su questo piano, due insegnanti
di un Istituto professionale sono riusciti, in classi di 1a, composte di 30 alunni, di cui 12
stranieri, 3 in difficoltà e 1 alunno certificato, a svolgere azioni cognitivamente impegna-
tive sul contenuto e sulla forma di due news (in seguito riportate), grazie all’alto grado di
comprensibilità.

Nuovi episodi di bullismo nella città di Bari

Un tredicenne è stato bersagliato con dei petardi mentre, in un’altra scuola, una ragaz-
zina veniva costretta a subire docce gelate nei bagni della palestra.

(Sito Internet – News centro di ascolto – Rassegna video dei telegiornali nazionali – Venerdì 24
novembre 2006 – Tg 2 – ore 13 – notizia)

Pestano a sangue i prof in classe

Palermo/Sedie spaccate in testa ai prof. e vicepreside spedito in ospedale dagli alunni di


una scuola media.
Ennesimo caso di violenza in una scuola. Sedie spaccate in testa, gomitate e spallate.
Vita dura per gli insegnanti della scuola […]. Il vicepreside finito in ospedale con la testa
rotta, un’insegnante percossa, costretta a una settimana di malattia, e un’altra fatta ca-
dere a terra da un gruppo di alunni:
A denunciare le botte sono stati la preside dell’istituto […] e il suo vice […]. Ma non solo
loro. Qualche giorno fa è arrivata persino la polizia, come scrive oggi il Giornale di Sicilia.
Il vicepreside […], come ha raccontato lo stesso, è stato colpito in testa con una sedia,
perché tentava di dividere due ragazzini che se le davano di santa ragione. Per lui diversi
punti di sutura […].

(Sito internet – Annunci – Google – Blog – 16-4-2008 – 15:15. Riflessioni mattutine – Gravi episo-
di di bullismo a scuola – da: Affari italiani cinqueallecinque il primo quotidiano on line su carta)

104
Parte III - Capitolo 10

Mediante questi messaggi hanno preso in esame un fenomeno diffuso tra i giovani, il
bullismo, e coinvolto gli studenti in attività linguistico-testuali, impensabili nel lavoro tra-
dizionale. I ragazzi hanno messo in atto tecniche di previsione e di anticipazione testuale,
operando inferenze e hanno elaborato ipotesi, sulla base di indizi, a livelli differenziati sul
titolo e sul possibile sviluppo del testo; sulle fonti e sullo stile comunicativo del messaggio;
sul registro linguistico, sugli scopi della comunicazione, sugli effetti prodotti e sulle scelte
operate. Dal punto di vista grammaticale stimolante è stato il lavoro sul lessico (sinonimi
e contrari, polisemia), sulla coerenza e sulla coesione, sui tempi e sui modi verbali, sulla
coordinazione e sulla subordinazione (temporale e causale). Queste ultime sono state ap-
profondite con altre azioni e arricchite da pratiche di riscrittura e di scrittura in breve e
dalla stesura personale degli articoli.
Questo esperimento ha fatto riflettere i docenti su più aspetti:
a. quanto incida nell’apprendimento la sfera affettiva, motivazionale e volitiva degli
studenti. Nel caso citato gli alunni, italiani e stranieri, hanno mostrato, grazie alla
significatività del compito, un’inattesa dinamicità intellettiva e un vivace desiderio
di partecipazione, fornendo un proprio contributo. Disposizioni negative pregiu-
dicano, difatti, “sia l’acquisizione, sia la manifestazione di competenze” (Pellerey
2010: 110);
b. la possibilità di associare alle attività svolte interventi specifici sul lessico e sulla
costruzione della frase, facendo intravedere agli alunni come funziona il sistema
lingua dentro quel particolare testo;
c. la procedura processuale. Se si rispettano i seguenti passaggi: contesto comunica-
tivo → testo → frase, gli alunni riescono a ”far parlare enunciati” e frasi, poiché
strettamente connessi con i significati;
d. la possibilità di sviluppare la riflessione su frasi-tipo, avviando forme di astrazione
più raffinate. Il ricorso alla frase è stato considerato indispensabile per conferma-
re/rivedere le osservazioni effettuate o correggere manipolazioni linguistico-co-
municative particolarmente distanti dalla norma e infine per costruire generaliz-
zazioni/definizioni condivise. Da qui l’ampliamento di altri tratti della frase diventa
plausibile.
È evidente che il lavoro di riflessione sulla lingua non si eserciterà soltanto sui testi au-
tentici, ma si allargherà all’analisi di una varietà di testi, essenzialmente scritti, via via più
articolati. Il fine è di indagarne la tessitura testuale e l’organizzazione logica e retorica
delle varie parti, da cui affioreranno le costanti linguistico-testuali. Costanti che devono
emergere dal testo, rileva Altieri Biagi precisando che “Anche il latino si impara leggendo
gli autori, non facendo a pezzi ( più o meno logicamente) frasette o periodi ad hoc” (Altieri
Biagi 1994: 117 e XIV).
Con un approccio del genere, dove sono frequenti i momenti di ricerca, si garantiscono
tempi distesi a tutti gli alunni per fare esperienze, esaminarle e discutere con l’insegnante
“la parola più giusta (perché più aderente al pensiero), più efficace (perché rispondente
alle intenzioni di chi parla o scrive, alle attese di chi ascolta o legge), più adeguata al tipo
di testo” (Altieri Biagi, 2009, p. 17).

Insegnare la grammatica 105


10.1.2 Le implicazioni
Ci rendiamo conto che quest’orientamento (processuale) implica la condivisione di speci-
fici interventi quali quelli di:
a. scartare l’idea di una didattica grammaticale esaustiva, fine a se stessa e separata dal
fare linguistico, optando per finestre di riflessione, non occasionali, sull’uso della lingua
(testi e contesti), ogni qualvolta che le situazioni comunicative lo richiedano;
b. assumere metodologie costruttive, dedicando tempi lunghi alla scoperta e alla rifles-
sione sui fenomeni linguistici per approdare gradualmente alla loro sistematizzazione;
c. adottare atteggiamenti eclettici;
d. scegliere contenuti accessibili per l’apprendente, preferendo grammatiche più funzio-
nali all’apprendimento e generatrici di competenze (conoscenze, abilità e atteggiamen-
ti), come indicato dai Documenti europei.
Lo sviluppo della competenza grammaticale non si attiva, difatti, tramite l’assimilazione
di tante nozioni, da decifrare in frasi, talvolta in disuso e di dubbia interpretazione oppu-
re mediante vacillanti disquisizioni teoriche su contenuti spesso accademici. Ha bisogno
piuttosto di oggetti linguistici reali ed educativi, legati ad una varietà di usi e affrontati
con una pedagogia autentica, dinamica e attiva: una didattica laboratoriale, dove il “fare
esercizio di lingua in tutte le sue forme” sia accessibile all’alunno e correlato alla sua inten-
zionalità (Altieri Biagi 2009: 17).
Quest’ultimo aspetto, talvolta trascurato, non è da sottovalutare nello sviluppo della
competenza, la cui nozione, afferma Rey, si inscrive nel quadro di una pedagogia centrata
sull’allievo. Per elaborarla
non basta prestare attenzione ai meccanismi di costruzione o di esercizio di una competenza, che
costituiscono in qualche modo la parte terminale del processo. Bisogna anche occuparsi di atti inten-
zionali che, a monte, interpretano la situazione come luogo di elaborazione o di utilizzo di una compe-
tenza. Anche a valle, però, la messa in intenzione è verosimilmente indispensabile e può condurre a
un’autentica trasversalità. In effetti lo strumento intellettuale (nozione, sapere, competenza) acquisito
dall’allievo diventerà efficace, soltanto se è integrato in una visione del mondo, se è colto come uno
strumento al servizio di un’intenzione (…). Non basta che l’allievo apprenda competenze intellettuali,
procedure, operazioni logiche, regole di ogni tipo, bisogna anche che decida di vedere il mondo sotto
una certa angolatura, e precisamente nell’ottica in cui esso appare come possibile ambito di applica-
zione di queste competenze” (Rey 1996: 235-236).

Scelte del genere rivoluzionerebbero la prassi corrente e le indicazioni di molti esperti e


dei manuali scolastici, però contribuirebbero sicuramente a realizzare la scuola delle com-
petenze, oltre a restituire alla grammatica la sua funzione originaria di esercizio critico del
pensiero e di controllo dell’uso linguistico. Funzione reclamata dai fautori della gramma-
tica tradizionale.
Rispetto a queste indicazioni molti docenti obietterebbero che “non c’è tempo”, ma forse
sarebbe opportuno ricordare che la grammatica è frutto di studi che si sviluppano nel tem-
po, la cui indagine avviene su fenomeni in continua evoluzione. L’indagine (osservativa e
riflessiva) costituisce la componente principale, senza di essa non si costruisce un corpus
linguistico codificato. Studiando la grammatica soltanto nelle sue leggi, essa rimane un

106
Parte III - Capitolo 10

edificio astratto, un affascinante campo speculativo per menti già formate, per “chi sa”
(specialisti), estranea ai più e distante dai livelli di comprensione di molta popolazione sco-
lastica. Un materiale inerte, sovente privo di senso, come dimostrano i risultati dei nostri
alunni. Un’ingiusta débâcle anche per la stessa grammatica.

10.2 Il modello grammaticale ricorrente


Accanto a questi fattori, tipo di riflessione linguistica e approccio psico-pedagogico, ve n’è
un altro, in parte accennato, che merita di essere discusso, poiché rappresenta spesso un
ostacolo all’acquisizione di competenze grammaticali. Esso concerne il predominio della
grammatica della frase e il motivo per cui si scelga questo tipo di grammatica, decisamen-
te ostico per molti studenti. La grammatica della frase è in effetti, a confronto di altre
grammatiche (funzionale, testuale, ecc.), quella meno confacente alle peculiarità della
scuola e ai bisogni di apprendimento degli alunni. Essa è la più decontestualizzata, essen-
do rivolta all’analisi di frasi preconfezionate, che contengono tutti gli elementi necessari
per stare da sole (soggetto, predicato, complementi, ecc.). La maggior parte degli alunni
mostra sensibili difficoltà a comprenderla, ad afferrarne i concetti portanti e “le profonde
reti logiche che collegano la realtà con il linguaggio” (Simone 1993). Si verifica così che
molti alunni (biennio della scuola secondaria di II grado) non riescano ad appropriarsi di
categorie basilari, a spiegare ad esempio la differenza d’uso tra passato remoto, passato
prossimo, imperfetto in un testo e più in generale a individuare la funzione che ricopre il
verbo, in tutte le sue forme, nei testi. Ma non solo. Talvolta non possiedono neanche le ca-
tegorie generali legate al concetto di variazione (genere, numero, persona, ecc.), alla pro-
nominalizzazione, alla temporalizzazione, alla spazializzazione, alla determinazione, ecc.,
nonostante i ripetuti addestramenti fin dalla 4a e 5a classe della scuola primaria. Per non
parlare della loro capacità di interrogare i testi a partire dalle forme, in vista di un’inter-
pretazione (vedi esiti di Ocse Pisa). La grammatica purtroppo non aiuta, come dovrebbe,
a leggere e a controllare la propria scrittura o a ragionare sul testo.
Questo quadro rafforza l’idea che per sviluppare concetti/strumenti, conoscenze-compe-
tenze, non basta descrivere e definire le categorie grammaticali, ricorrendo tra l’altro, nel
caso della grammatica della frase, a distinzioni estratte dal latino e che non esistono in
italiano (Altieri Biagi 2009: 19), come il complemento oggetto diretto e indiretto, il com-
plemento predicativo del soggetto e dell’oggetto, il complemento di stato e moto a luogo,
il complemento di specificazione, etc. Una conoscenza, osserva Rey, si misura con il suo
potere d’uso (competenza) e non con la sua definizione:
il pronome relativo si può spiegare affermando che la sua forma dipende sia dal suo antecedente ap-
partenente alla proposizione principale, sia dalla funzione che dipende dalla proposizione relativa. Ci
sembra però che una vera conoscenza del pronome relativo consisterà nel saperlo usare per facilitare
l’espressione, nel sapere come la proposizione relativa e il pronome relativo possano servire a deter-
minare, a qualificare, a evitare ripetizioni, a creare effetti, ecc. Ancora una volta, una conoscenza è un
potere d’uso, una competenza (Rey 1996: 234-235).

È pur vero che il passaggio dalla riflessione della lingua alla grammatica (corpus codificato,

Insegnare la grammatica 107


sistema) e lo sviluppo di competenze costituiscono punti delicati per qualsiasi insegna-
mento linguistico, però nel caso della grammatica della frase lo diventano molto di più.
Innanzitutto perché, analizzando singole frasi e spezzoni di lingua avulsi dai testi o dai con-
testi di comunicazione, non si mette in atto una mobilitazione di conoscenze in situazione
(Perrenoud 2010: 13). La costruzione della competenza come scrive Perrenoud:
è inseparabile dalla formazione di schemi di mobilitazione intenzionale di conoscenze, in tempo rea-
le, messe al servizio di un’azione efficace. Va da sé che gli schemi di mobilitazione di differenti risorse
cognitive in un’azione complessa si sviluppano e si stabilizzano mediante la pratica (..). Per di più il
soggetto non può costruirli mediante una semplice interiorizzazione di conoscenze procedurali (ivi,
p. 12).

Gli approcci tecnici-procedurali si rivelano il più delle volte infruttuosi e inefficaci, poiché
carenti su vari piani, in primis su quello pedagogico.
Inoltre la grammatica della frase utilizza, per spiegare la lingua italiana, numerose cate-
gorie ricavate dal latino. Ne è una dimostrazione gran parte dell’analisi logica che, come
recita G. Pasquali, è “postulata e inventata agli scopi della traduzione dall’italiano in lati-
no, riconducendo ogni sintagma a categorie latine, concepite non più come storicamente
determinate e transeunti, ma come eterne” (Altieri Biagi 2009: 18). A questo riguardo
incisivi sono due passaggi dello stesso volume:
Ci si insegnava, per esempio la distinzione fra complementi di stato in luogo e di movimento verso
luogo senza farci notare che essa non esiste in italiano, che è postulata e inventata agli scopi della
traduzione dall’italiano in latino. Tutti quei complementi che in italiano sono introdotti dalla preposi-
zione di erano complementi di specificazione ogniqualvolta in latino corrispondessero a un genitivo;
ma si distingueva un complemento di materia perché esso in latino è risolto diversamente. Che cosa
poi significasse complemento di specificazione (se pur significa qualche cosa) non ci fu mai spiegato.
Il primo servigio che l’istruzione linguistica del maestro può rendere ai giovani nel ginnasio inferiore è
negativo: quello di impedirgli di falsificare l’italiano (Ivi, 18-19).
Sono due «voci», quelle di Pasquali e di Nencioni, a cui è impossibile non credere: due testimonianze
che ho voluto citare estesamente per offrire agli insegnanti della scuola dell’obbligo la possibilità di
usarle, se mai qualche insegnante del biennio (il «ginnasio inferiore» di Pasquali!) protestasse con loro
perché gli studenti di oggi non distinguono il complemento di causa efficiente dal complemento d’a-
gente: altra distinzione inesistente, in italiano, dove si muore allo stesso modo se uccisi da un veleno, o
uccisi da Bruto, mentre il latino distingueva i due eventi usando l’ ablativo semplice se qualcuno veniva
ucciso da un agente inanimato o l’ ablativo preceduto da preposizione se qualcuno veniva ucciso da
un essere vivente. E se quell’insegnante insistesse (mi si dice che sono addirittura genitori e nonni a
insistere…) ditegli che operi lui questa distinzione per i pochi scolari che studiano il latino, e non la pre-
tenda da chi ha il compito di insegnare a tutti l’italiano senza «falsificarlo» (parola di Giorgio Pasquali!)
con distinzioni che in Italiano «non esistono» ( Ivi, p.19)”.

In aggiunta a queste considerazioni i programmi tradizionali sono pletorici, con tante no-
zioni irrinunciabili per la disciplina, ma non per la cultura della scuola e quindi per lo stu-
dente. Un approccio educativo si distingue per la capacità di coniugare entrambi gli aspet-
ti, connotando formativamente la disciplina.
Stante questa situazione ci si può aspettare che imparino i “soliti noti”, i “pochi scolari che
studiano latino” (liceo classico) cioè una parte minoritaria degli alunni italiani. Mentre l’in-
segnamento grammaticale si giustifica se tutti imparano l’italiano, “se non uno di meno”
esce dalla scuola attrezzato di strumenti riflessivi e interpretativi dei testi e dei linguaggi

108
Parte III - Capitolo 10

usati, in grado di mobilitare risorse cognitive spendibili in altri contesti e nell’uso lingui-
stico (parlare, ascoltare, leggere, scrivere); altrimenti diventa mero esercizio intellettuale,
riservato all’élite e agli addetti ai lavori (Università).

10.3. Grammatica o grammatiche?


Accanto alla grammatica della frase esistono tuttavia altre grammatiche, scientificamente
fondate, che rispondono maggiormente alle esigenze degli alunni, alle loro cognizioni e
motivazioni. Queste grammatiche, ponendo attenzione alla relazione tra le forme e i sensi
trasmessi dai testi e dai contesti comunicativi, permettono all’alunno di elaborare spiega-
zioni, più o meno accettabili, poiché i fenomeni linguistici sono concretamente osserva-
ti. Ciò rende significativo il compito assegnato, in quanto percepito dallo studente come
fattibile, calibrato sulle sue conoscenze e curiosità conoscitive. Questo non vuol dire che
il tipo di compito sia banale o elementare. Il problema non è mai “quello di semplificare
la complessità dei fenomeni, ma quello di trovare le strade, e magari i viottoli, insomma
le strategie per renderli accessibili all’età e alle competenze iniziali di chi impara” (Alteri
Biagi 1009: 18). Al contrario l’allievo viene chiamato a mobilitare le proprie conoscenze e
strategie (cognitive, metacognitive, affettive, procedurali, etc.) per dare risposte a quesiti
complessi che diventano gestibili grazie al materiale proposto e agli accorgimenti indivi-
duati sul versante epistemologico e pedagogico. Le stesse indagini internazionali di Ocse
Pisa propongono del resto quesiti complessi su testi ”relativamente semplici” (autentici e
contestualizzati).
L‘adozione di grammatiche diverse da quella della frase supporterebbe inoltre le scuole
nel raggiungere i traguardi previsti dalle Indicazioni nazionali (2007) sulla riflessione della
lingua. Difatti le categorie tradizionali, indicate negli obiettivi delle Indicazioni nazionali,
faticano a spiegare “la varietà dei registri informali e formali in base alla situazione co-
municativa e agli interlocutori” oppure a esplicitare “ciò che si dice o si scrive, si ascolta
o si legge”, facendo cogliere all’alunno “le operazioni che si fanno quando si comunica e
le diverse scelte determinate dalla varietà di situazioni in cui la lingua si usa” (Indicazioni
nazionali 2007: 24). Per spiegare queste operazioni e definirle servono concetti e catego-
rie afferenti a grammatiche diverse da quella della frase, delle quali ovviamente dovranno
essere, come per la grammatica della frase, essenzializzati i concetti portanti. Del resto
se leggiamo il Quadro di Riferimento europeo, La competenza nella comunicazione nella
madrelingua, vediamo che la grammatica indicata non è quella della frase, ma quella fun-
zionale. Il Documento non è centrato sulla morfosintassi, sul lessico e sull’ortografia, pur
citati come elementi da trattare, ma sulle testualità, sulle funzioni, sugli atti linguistici, sui
registri e sull’intenzionalità comunicativa, da esaminare nelle variegate forme e contesti
e darne una spiegazione logica e appropriata. Per sviluppare la competenza nella comu-
nicazione nella madrelingua in termini di conoscenze, abilità e attitudini essenziali, legate
a essa, si presuppone che “una persona sia a conoscenza del vocabolario di base, della
grammatica funzionale e delle funzioni del linguaggio” (ivi, p.15). Ciò significa che l’alunno
deve acquisire “una consapevolezza dei principali tipi di interazione verbale, possedere
un “bagaglio di testi letterari e non letterari” e conoscere “le principali caratteristiche dei

Insegnare la grammatica 109


diversi stili e registri del linguaggio nonché la variabilità del linguaggio e della comunica-
zione in contesti diversi” (ivi, p.15).
Tutto ciò rimanda a scelte che vanno dall’individuazione di saperi essenziali ed educativi e
di condizioni di apprendimento emotivamente coinvolgenti alla considerazione del signifi-
cato che “l’alunno dà ad una situazione, all’intenzione ch’egli ha in relazione ad essa e che
gliela faccia percepire come possibile” (Rey 1996: 231). Quest’ultimo punto, osserva Rey,
dovrebbe essere sempre tenuto presente per l’applicazione di competenze cognitive nella
risoluzione di problemi:
Non basta che possieda la competenza cognitiva adeguata a un problema, affinché la usi per risolverlo.
È necessario ancora che egli lo voglia o, piuttosto, che la sua comprensione della situazione […] gliela
faccia percepire come un oggetto possibile per l’applicazione di questa competenza.

Dai ragionamenti, sin qui sviluppati, si potrebbe erroneamente dedurre che sarebbe au-
spicabile eliminare la grammatica della frase dai programmi scolastici. Non è così, l’intento
è invece quello di:
a. ridimensionarla, rendendola più economica;
b. coniugarla con altre grammatiche partendo soprattutto dagli usi linguistici e dalla
varietà di testi;
c. concepirla come un corpus linguistico volto a migliorare la comunicazione orale e
scritta (Traguardo per lo sviluppo delle competenze, Indicazioni nazionali, 2007, p.
28).
d. collocarla in un’ottica di educazione grammaticale
Rispetto al primo punto gli studi sulla grammatica valenziale si muovono già in questo
senso, poiché propongono un modello che può descrivere un’ampia gamma di fenomeni
con un numero limitato di concetti e di categorie. Il verbo e le relazioni che esso stabili-
sce con i suoi argomenti ne costituiscono il perno, vista la rilevanza che esso ricopre nel
fornire informazioni e nella formazione della frase. F. Sabatini spiega che “come in una
rappresentazione teatrale, il verbo apre la scena e invita gli altri personaggi principali a
entrare” (Sabatini 2011: 129). Questo modello, che riadatta intelligentemente gran par-
te della grammatica tradizionale, è più semplice nella terminologia e accessibile, poiché
mette in scena, anche graficamente, gli elementi trattati. Esso offre sicuramente oppor-
tunità maggiori di comprensione e di riflessione sui concetti presi in esame, facilitandone
l’acquisizione. Ma il problema dell’essenzialità dei saperi grammaticali riguarda anche la
grammatica valenziale.
Come fare lo abbiamo parzialmente suggerito, ma per chiarezza sintetizziamo qualche
passaggio.
In primo luogo occorrerebbe sfoltire i contenuti grammaticali, frequentemente eccessivi
e cognitivamente inadeguati per l’alunno e del tutto improduttivi per la costruzione di
competenze.
In secondo luogo la riflessione sulla lingua dovrebbe esercitarsi sugli usi linguistici, cioè
sulla lingua che gli alunni usano quando parlano e scrivono, su quella orale e scritta pra-
ticata in una varietà di ambienti e sulla lingua di testi letterari e non, dove lo studio degli
enunciati e della frase è finalizzato soprattutto a capire come e perché si parla e si scrive

110
Parte III - Capitolo 10

in un determinato modo, come si ragiona e si interpreta un testo e tanti altri testi e in cosa
si distinguono tra loro testi e linguaggi, ecc. La grammatica diventa un corpus vivo e uno
strumento potente se conduce a scoprire i significati profondi racchiusi nei testi, nonché le
forme scelte per veicolarli, se rappresenta una chiave di lettura del mondo messo in testi,
affinando capacità di ragionamento e senso critico. Quando si inserisce Il lavoro sulle frasi
in un contesto di apprendimento autentico esso risulta fecondo, addirittura indispensa-
bile, mentre lo è di gran lunga meno senza alcun aggancio alla varietà degli usi linguistici
oppure in totale isolamento.
Rispetto alle tesi di coloro che sostengono l’inopportunità di quest’opzione potremmo
obiettare che i disagi degli studenti (eccetto i liceali) di fronte ad approcci grammaticalisti
tradizionali sono ben visibili, come lo sono gli esiti di apprendimento. La complessità di al-
cune frasi presentate nei manuali scolastici non è inferiore a quella di alcune espressioni in
uso. Con la differenza che molti studenti mostrano curiosità per queste ultime, ne ricerca-
no caratteristiche e manipolazioni, prestando attenzione alle costruzioni corrette. Diversa-
mente da quanto avviene nel lavoro in classe su frasi costruite per studiare la grammatica.
In terzo luogo sarebbe auspicabile l’eliminazione di quelle categorie, ricavate dal latino,
che non servono all’italiano, rivedendo l’analisi logica. Quest’ultima dovrebbe inoltre es-
sere introdotta nella scuola secondaria di I grado e non prima, come invece si legge nelle
Indicazioni Nazionali (2007) per le ultime classi della scuola primaria. Nella scuola primaria
i bambini hanno bisogno di occasioni costanti di apprendistato riflessivo e di ricorsive sen-
sibilizzazioni all’immaginario grammaticale, a un mondo cioè in cui possono sprigionare
le loro risorse conoscitive e cimentarsi in rappresentazioni esplicative e in descrizioni e
riflessioni personali, che prefigurino possibili spiegazioni. In questo ciclo di scolarità com-
pito primario è quello di potenziare l’intelligenza sia emotivo-affettiva che cognitiva del
bambino, di educarlo all’immaginario e di strutturare un pensiero logico, facendo acquisi-
re un habitus mentale che susciti l’esigenza di ragionare sui molteplici sensi della lingua e
di esprimere il proprio punto di vista sulle forme incontrate. Il coinvolgimento affettivo è
centrale nell’attivazione di operazioni logiche e mentali, che richiedono tuttavia di essere
incrementate con adeguate azioni cognitive.
L’analisi logica corrente è purtroppo la negazione di quest’approccio, se non della stessa
logica ridotta a domande sterili e scontate che la svuotano di significato (Chi compie l’azio-
ne? Dove e quando avviene l’azione?). Per non parlare dell’“imbarazzo” che sovente si in-
contra ad analizzare frasi dal significato ambiguo. Su questo aspetto si sono espresse auto-
revoli voci come quella di G. Nencioni quando risponde al dubbio di un professore ansioso
di sapere se «nell’espressione “assistere a uno spettacolo”, a uno spettacolo fosse forma
eccezionale di complemento oggetto, o complemento di stato in luogo figurato, oppure
altro complemento. Ne riportiamo un passaggio curato da M.L. Altieri Biagi (2009: 19):
Nencioni, rispondendo sul periodico La Crusca per voi, fa un lungo percorso: parte dalla filosofia greca,
che usava l’analisi logica (tutt’altra da quella praticata nelle scuole!) come strumento di conoscenza
razionale; passa ai grammatici antichi e medievali, che riducevano l’analisi logica ad analisi grammati-
cale; infine arriva alle grammatiche scolastiche contemporanee «di cui l’analisi logica costituisce anco-
ra la struttura portante». Nencioni dichiara la sua sfiducia in questa terza analisi «cosiddetta logica»,
sia questa affidata a «grammatici» o a «brancolanti apprendisti»; ma, non volendo deludere chi si è
rivolto a lui per aiuto, conclude così:
Se, dopo questa mia cautelosa e diffidente premessa, il prof. C. insistesse nel chiedermi di definire la

Insegnare la grammatica 111


natura del complemento contenuto nell’espressione «assistere a uno spettacolo», risponderei inse-
rendola tra i complementi di termine, che esprimono la destinazione di un’azione...

Questo non significa tuttavia che il bambino non possa ragionare su porzioni di testo e su
frasi, esaminandone legami e funzioni sintattiche; anzi l’obiettivo è di esortarlo a ricercare
e a spiegare. Ma siccome il bambino è in fase di formazione e di acquisizione di strumenti
conoscitivi, è sconsigliabile anticipare un’analisi, di per sé organica e sistematica, che im-
plica livelli avanzati di astrazione, in mancanza dei quali l’alunno apprende con procedure
ripetitive e automatiche. In caso contrario il bambino continuerà a porsi le domande di
rito e ad accoppiare meccanicamente le risposte, scegliendo fra quelle a disposizione.
In quarto luogo lo studio della grammatica della frase dovrebbe essere preceduto da quel-
lo di altre grammatiche, quali quelle citate, sia per il loro apporto formativo, sia perché fa-
cilitano il vedere oltre il contesto (astrazione) e l’attivazione di azioni mentali e di strategie
riflessive trasferibili in grammatiche decontestualizzate.
A conclusione di queste brevi riflessioni viene da chiedersi perché, visti gli insoddisfacenti
livelli di consapevolezza linguistica degli alunni italiani, non si intraprendano altre vie?

Riferimenti bibliografici
Altieri Biagi M.L., 1985, Linguistica essenziale, Milano, Garzanti
Altieri Biagi M.L., 1992, Io amo, tu ami, egli ama.. Grammatica per italiani maggiorenni, Mi-
lano, Mursia
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112
Parte III - Capitolo 11

11. Bisogni Linguistici Specifici e apprendimento della


grammatica. Il potenziale glottodidattico
della Linguistica Cognitiva
Michele Daloiso, Gonzalo Jiménez Pascual
Tratto da Educazione Linguistica – Language Education (EL.LE.), n. 3, 2017, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari
Il contributo è stato concepito unitariamente dai due autori. Per quanto riguarda la stesura, i pa-
ragrafi 1 e 4 si devono a Gonzalo Jiménez Pascual, mentre i paragrafi 2 e 3 a Michele Daloiso. Le
conclusioni sono state scritte da entrambi gli autori.

11.1 Linguaggio e cognizione secondo la prospettiva della Linguistica


Cognitiva
La Linguistica Cognitiva (d’ora in avanti LC) è un insieme di teorie che si prefiggono di
studiare il funzionamento del linguaggio, il suo apprendimento e la sua struttura concet-
tuale1.
L’apparizione della LC si può collocare negli Stati Uniti attorno alla prima metà degli anni
Settanta ed è legata alla necessità di superare una concezione formalistica del linguaggio
che, già nel decennio precedente, si cominciava a mettere in discussione. Alcune delle voci
critiche in questo senso provenivano dall’interno del generativismo, dove c’era chi, richie-
dendo un maggior protagonismo del significato nell’analisi delle strutture grammaticali,
contestava implicitamente l’idea chomskyana della centralità e l’autonomia della sintassi.
In seguito ad alcuni tentativi falliti di conciliare entrambe le posizioni, come la creazione
della semantica generativa (Lakoff 1989), le controversie interne sfociarono in uno scisma
all’interno del paradigma, il che ebbe come risultato il definitivo allontanamento di un
gruppo più o meno omogeneo di linguisti, fra cui Langacker, Lakoff, Talmy e Fillmore, che
avrebbero dato poi origine alla nascita della LC2.
La LC si pone l’obiettivo fondamentale di spiegare i fenomeni linguistici alla luce della no-
stra esperienza mentale, fisica e socioculturale, ritenendo che le diverse capacità cognitive
dell’essere umano siano strettamente interconnesse e che il linguaggio, in quanto abilità
cognitiva integrata, sia il riflesso della nostra struttura concettuale (Croft, Cruse 2004). è
importante, dunque, sottolineare che questo approccio allo studio del linguaggio si diffe-
renzia in modo sostanziale dagli altri approcci ‛cognitivi’ perché non postula solamente la
natura mentale del linguaggio (affermare che il linguaggio è una facoltà mentale è ormai
cosa ovvia, dopo la prima svolta cognitiva impressa dal generativismo), ma si spinge oltre
affermando che il linguaggio è una manifestazione e un riflesso delle nostre capacità co-
gnitive. Questa assunzione ha una ricaduta importante per quanto riguarda la natura delle
spiegazioni fornite dalla LC, a cui viene chiesta la plausibilità dei suoi postulati rispetto alle

1 Per un’introduzione alla LC si vedano: Ungerer, Schmidt 1996; Croft, Cruse 2004; Evans, Green 2006; Geeraerts, Cuyckens
2007; Arduini, Fabbri 2008; Gaeta, Luraghi 2004.
2 Per una disamina della tradizione di studi inerenti la psicologia cognitiva e la psicologia del linguaggio che hanno prece-
duto la comparsa della LC si veda Sinha (2007).

Insegnare la grammatica 113


conoscenze attuali circa il funzionamento della mente e il cervello (Evans 2012). Infatti, la
LC lavora da una prospettiva interdisciplinare, aperta ai contributi provenienti dalle diver-
se scienze che si occupano della cognizione, quali le neuroscienze, la psicologia cognitiva,
l’intelligenza artificiale, l’antropologia e la filosofia. In questo senso, la LC ha assunto un
‛cognitive commitment’ (Lakoff 1990), per cui le spiegazioni dei fenomeni linguistici de-
vono essere coerenti e compatibili con quanto sappiamo del più generale funzionamento
della mente e del cervello.
Sostenendo che il linguaggio è un’abilità cognitiva integrata, la LC si allontana da una visio-
ne rigidamente modulare della mente, facendo riferimento anche ai più recenti sviluppi
delle Scienze Cognitive, di cui si parlerà nel prossimo paragrafo. Questo approccio con-
cepisce piuttosto il linguaggio come uno strumento attraverso il quale rappresentiamo il
mondo che ci circonda, come una specie di filtro mediante il quale mettiamo in evidenza il
nostro rapporto esperienziale con la realtà, dal punto di vista sia fisico sia sociale e cultu-
rale. Questo rapporto esperienziale è mediato dal nostro corpo, interposto tra il soggetto
concettualizzante e la realtà. Secondo questa prospettiva, dunque, il linguaggio costituisce
un riflesso della nostra interazione corporea con il mondo.
La LC assume che lo studio del linguaggio debba tener conto delle basi concettuali che
fanno parte della nostra conoscenza del mondo. In particolare, questo approccio parte
dal presupposto che la realtà non possa essere rappresentata linguisticamente in modo
obiettivo, in quanto i parlanti, partendo dallo stesso materiale concettuale, possono ope-
rare scelte diverse tra le varie combinazioni configurazionali che il linguaggio mette a di-
sposizione. Ad esempio, di fronte alla stessa scena rappresentata da un negozio chiuso,
sulla base delle proprie intenzioni comunicative i parlanti possono scegliere tra costruzioni
alternative non equivalenti, es. “Il negozio è chiuso”, “Hanno chiuso il negozio”, “Il negozio
è stato chiuso” ecc.
Secondo questa visione, compatibile con una versione debole del relativismo linguistico,
il linguaggio è un riflesso culturalmente mediato della nostra capacità di strutturare con-
cettualmente e categorizzare la realtà. In questo senso, la LC ritiene che il linguaggio, pur
non determinando in toto il pensiero, possa però incidere significativamente su aspetti
come le associazioni mentali, la percezione e l’orientamento (Evans 2012; 2014; Geeraerts,
Cuyckens 2007; Deutscher 2013).
Gli assunti della LC hanno condotto poi allo sviluppo di una particolare prospettiva riguar-
dante i processi di acquisizione linguistica. Pur riconoscendo una certa componente neu-
robiologica innata che favorisce l’acquisizione del linguaggio, la LC si allontana dall’ipotesi
che esista un bagaglio di regole astratte del linguaggio geneticamente predeterminate, la
qual cosa comporterebbe l’accettazione di un grosso salto evolutivo di difficile spiegazione
(Evans 2014). In questo senso, la LC è in linea con numerosi studi antropologici evolutivi
(Tomasello 2010) che ritengono che la capacità umana di comunicare sia dovuta a degli
adattamenti biologici destinati a favorire l’interazione sociale cooperativa. In quest’otti-
ca, la dimensione più linguistica della comunicazione si sarebbe sviluppata inizialmente a
partire dai gesti, evolvendosi poi verso la creazione di unità linguistiche funzionali all’in-
terno delle diverse comunità. Così, la singolarità del linguaggio umano risiederebbe nella
capacità di riconoscere le intenzioni comunicative con cui vengono manipolate le diverse
costruzioni simboliche che fanno parte di una determinata lingua. Da questa prospettiva,

114
Parte III - Capitolo 11

si suggerisce l’ipotesi che il linguaggio venga acquisito attraverso l’esposizione frequente


e ripetuta all’input linguistico, che i bambini, grazie ad un sofisticato bagaglio di risorse
cognitive, riescono ad analizzare e scomporre, individuando e riutilizzando gli elementi
funzionali, e acquisendo poi gli schemi grammaticali sottostanti le costruzioni linguistiche
a cui vengono esposti (Tomasello 2003).
Questa idea è presente in alcuni modelli di rappresentazione che, all’interno della galas-
sia teorica della LC, cercano di offrire una descrizione del sistema grammaticale inteso in
senso ampio, vale a dire, come sistema linguistico unitario dove hanno un ruolo di primis-
simo piano i fenomeni legati al significato e dove i diversi livelli di analisi linguistica non
vengono separati nettamente, ma integrati nella logica di un continuum. Una di queste
teorie esplicative basate sull’uso è la cosiddetta Grammatica Cognitiva (da adesso in poi
GC) di R. Langacker (1987; 1991; 2008), a cui faremo riferimento di nuovo nel punto 11.4
quando verranno affrontate alcune questioni legate alla presentazione e la didattizzazione
dei contenuti grammaticali.
Come avremo modo di vedere, un approccio glottodidattico basato sui presupposti teorici
qui discussi contiene un potenziale inclusivo, in quanto può rendere maggiormente acces-
sibili i contenuti grammaticali non solo agli apprendenti con un Bisogno Linguistico Spe-
cifico, ma potenzialmente anche all’intero gruppo-classe. In questo senso, riteniamo che
la LC possa offrire un contributo importante non solo alla Linguistica Clinica nell’interpre-
tazione dei disturbi alla base dei BiLS, ma anche alla Linguistica Educazionale, per quanto
riguarda la didattica delle lingue rivolta ad apprendenti con queste differenze evolutive.
Tale contributo inizia solo ora ad essere sviluppato. Questo contributo risulta ancora in
fase iniziale per quanto riguarda la ricerca clinica (fanno eccezione alcuni studi recenti, tra
cui: Manning, Frankling 2016 sul linguaggio afasico e gli studi di Nick Riches dell’Università
di Newcastle sui disturbi del linguaggio) e del tutto inesplorato per quanto concerne la
ricerca edulinguistica applicata ai bisogni specifici.

11.2. Il sostrato cognitivo dei Bisogni Linguistici Specifici


La Linguistica moderna ha sempre dimostrato uno spiccato interesse verso lo studio dei
disturbi linguistici, partendo dall’assunto secondo cui l’analisi della patologia linguistica
può condurre ad una maggior comprensione del linguaggio tout court. A tal fine è nata la
Linguistica Clinica, intesa come “l’applicazione delle teorie e dei metodi della linguistica
all’analisi dei disturbi del linguaggio orale, scritto e segnato” (Crystal 1997). Storicamente,
il contributo maggiore in questo campo proviene dal generativismo, mentre il potenziale
di approcci più recenti, come la LC rimane quasi del tutto inesplorato.
Parallelamente, nell’ambito della Linguistica Educazionale3 si è assistito ad un crescente

3 In questo lavoro, rifacendoci in modo esplicito alla tradizione di ricerca internazionale, utilizzeremo il termine ‘Linguistica
Educazionale’ per riferirci all’area d’indagine che si occupa dell’interazione tra linguaggio ed educazione formale, descri-
vendo ed analizzando l’educazione linguistica in tutti i suoi aspetti (Spolsky 1974). Utilizzeremo l’aggettivo ‘edulinguistico’
per riferirci a questioni connesse ai temi e alle prospettive di ricerca della Linguistica Educazionale. Infine, utilizzeremo
il termine ‘Glottodidattica’ (e il suo aggettivo) con un significato più ristretto, ossia quando ci riferiremo nello specifico
agli orientamenti teorico-metodologici per l’insegnamento linguistico, che sono uno dei vari aspetti di cui si occupa della
Linguistica Educazionale.

Insegnare la grammatica 115


interesse verso l’insegnamento linguistico – soprattutto delle lingue non materne – rivolto
ad apprendenti con disturbi linguistici (in ambito internazionale, tra gli altri: Schneider,
Crombie 2003; Kormos, Kontra 2008; Kormos, Smith 2012; in Italia, Daloiso 2012, 2015
e 2017; e i contributi di altri autori nelle curatele di Daloiso 2012 e 2014). In questo con-
testo, è stata elaborata la nozione di ‘Bisogno Linguistico Specifico’ (d’ora in avanti BiLS)
intesa come “l’insieme delle difficoltà evolutive di funzionamento […] che interessano pri-
mariamente lo sviluppo della competenza comunicativa nella/e lingua/e materna/e ed
incidono significativamente sull’apprendimento di altre lingue (seconde, straniere, classi-
che) al punto da richiedere interventi di adattamento, integrazione o ristrutturazione del
percorso di educazione linguistica” (Daloiso 2013: 644).
La nozione di BiLS ha un forte valore teorico in ambito glottodidattico. Pur prendendo le
mosse dal concetto pedagogico di ‘Bisogno Educativo Speciale’, che ha avuto poi declina-
zioni normative molto diverse da paese a paese (cfr. EASNIE 2012), la nozione di BiLS iden-
tifica una precisa categoria di apprendenti le cui caratteristiche influiscono direttamente
sul processo di educazione linguistica; la Linguistica Educazionale, dunque, interagendo
con le scienze cliniche e pedagogiche, può portare il suo contributo originale allo studio
dei disturbi linguistici in un contesto ecologico quale è l’educazione formale. Da ciò di-
scendono importanti implicazioni operative per la costruzione di modelli di educazione
linguistica inclusivi e per la progettazione di interventi glottodidattici individualizzati.
La nozione di BiLS, pur nascendo in seno alla Linguistica Educazionale, non può prescin-
dere né dalla Psicologia Clinica, che identifica i disturbi che possiamo far rientrare nella
definizione, né dalla Linguistica Clinica, che può fornire una chiave descrittiva ed interpre-
tativa degli usi linguistici tipici ed atipici. Come avremo modo di vedere, tuttavia, coniu-
gare i dati provenienti dalla Psicologia Clinica con le teorie prevalenti in ambito linguistico
non è cosa semplice. La Linguistica Educazionale per i BiLS ha, invece, la necessità di indi-
viduare l’approccio linguistico più funzionale ai suoi scopi per una ragione sia teorica, in
quanto è imprescindibile identificare il quadro teorico più esplicativo e compatibile con le
complesse casistiche associate ai BiLS, sia operativa, in quanto un intervento di recupero/
potenziamento linguistico non può essere costruito a prescindere da uno sfondo teorico
che stabilisca cosa sia il linguaggio, come si sviluppi e come interagisca con le altre facoltà
cognitive.
Nella nostra visione, la LC può offrire uno sfondo interpretativo di grande interesse per lo
studio dei BiLS, in quanto si tratta di una teoria ecologica, che non ignora i risultati della
ricerca neuro-psico-cognitiva, e per questo risulta compatibile con il complesso quadro
clinico associato ai BiLS. Cerchiamo dunque di focalizzare meglio la questione.
Come abbiamo visto nel paragrafo 11.1, un assunto centrale della LC è che il linguaggio
non sia separato dalla cognizione, ma ne rappresenti piuttosto un riflesso. In linea di prin-
cipio, quindi, non dovrebbe esistere un disturbo linguistico indipendente da disfunzioni
cognitive, mentre può accadere il contrario, ossia può esistere un disturbo cognitivo che
non incida necessariamente sul linguaggio.
Questa prospettiva non trova al momento riscontro negli attuali modelli di classificazione
clinica. L’identificazione dei disturbi della comunicazione, del linguaggio e dell’apprendi-
mento, infatti, si basa principalmente sulla dissociazione tra basso profilo linguistico e
adeguate abilità non-verbali. L’uso del termine ‘specifico’ (es. Disturbo Specifico del Lin-

116
Parte III - Capitolo 11

guaggio o dell’Apprendimento) indica proprio tale dissociazione.


I modelli di psicopatologia attuali sono basati ancora perlopiù sull’opposizione ‘danneg-
giato’ versus ‘intatto’, secondo cui un dominio specifico può essere danneggiato senza
che questo comporti il malfunzionamento di altri domini. Questi modelli, separando net-
tamente linguaggio e cognizione, risentono della prospettiva del determinismo biologico,
secondo cui il linguaggio avrebbe un’origine genetica tale da renderlo impermeabile a
qualsiasi altra funzione cognitiva (Chomsky 1968; Fodor 1983).
La ricerca clinica, tuttavia, si sta progressivamente allontanando dalla visione rigidamente
deterministica, per tre ragioni. In primo luogo, il rapporto tra genetica e linguaggio è an-
cora controverso: ad oggi non è ancora stato identificato un singolo gene responsabile del
linguaggio (e, di conseguenza, di un eventuale deficit), per cui al massimo si può parlare di
disordini con probabile base genetica a livello fenotipico, derivati dall’interazione biologi-
ca e ambientale (Cummings 2008).
In secondo luogo, la netta separazione tra linguaggio e cognizione si basa su modelli di fun-
zionamento cognitivo adultomorfi, che mal si adattano alla descrizione di disturbi evoluti-
vi, perché non riescono a cogliere il dinamico percorso di sviluppo infantile. Ad esempio,
la concezione rigidamente modulare del cervello non spiega l’enorme capacità di riorga-
nizzazione funzionale riscontrata in pazienti con danni cerebrali in età evolutiva – uno tra
tutti, il recente caso di un ragazzo di 19 anni, con danno cerebrale gravissimo all’emisfero
sinistro, che riesce a recuperare il linguaggio grazie all’emisfero destro (Marini et al. 2016).
Per queste ragioni, nell’ambito delle scienze cognitive si sono affermati modelli evolutivi
che tentano di coniugare spinte biologiche ed interazione ambientale – tra tutti, la teoria
della modularizzazione (Karmiloff-Smith 1992), secondo cui la mente umana non nasce
modulare, ma nel corso dello sviluppo si organizza progressivamente in moduli. Questo
spiega perché nella realtà clinica è molto più facile riscontrare danni cerebrali selettivi in
un adulto che in un bambino.
Infine, va rilevato che mentre vi è accordo sull’esistenza di domini specifici nel cervello
adulto, più controversa è l’idea che il cervello sia organizzato in moduli chiaramente loca-
lizzabili basati su meccanismi indipendenti (per una disamina: Elsabbagh, Karmiloff-Smith
2004). Riguardo la localizzazione, la ricerca suggerisce che alcune aree tradizionalmente
associate al linguaggio siano in realtà coinvolte anche in compiti non linguistici; ad esem-
pio, l’area di Broca sembra coinvolta anche nell’analisi musicale e nei processi imitativi
(Heiser et al. 2003), mentre si è rivalutato il ruolo di altre strutture, come il cervelletto,
nell’elaborazione linguistica (Fabbro, Moretti, Bava 2000). In merito all’indipendenza dei
moduli, si è osservato che i bambini e gli adulti dispongono di abilità dominio-generali (es.
l’abilità di individuare regolarità e schemi auditivi, visivi, verbali) che non possiamo esclu-
dere abbiano un ruolo nell’acquisizione di abilità specifiche, come il linguaggio. (Newport,
Aslin 2001; per una disamina critica: Tomasello 2003).
Alla luce di queste considerazioni, l’adozione di una prospettiva teorica che non separa lin-
guaggio e cognizione consentirebbe di comprendere maggiormente il complesso quadro
clinico dei disturbi che rientrano nella nozione di BiLS. Prendiamo due esempi significativi:
la dislessia e il Disturbo Specifico del Linguaggio.
La dislessia viene tradizionalmente definita come un disturbo contraddistinto da difficoltà
di riconoscimento di parole a livello di accuratezza e/o fluenza, e scarse abilità di spelling

Insegnare la grammatica 117


e decodifica (per una disamina: Reid 2009). Queste difficoltà sono considerate il risultato
di un deficit nella componente fonologica del linguaggio, inaspettato in relazione alle altre
abilità cognitive del soggetto. L’ipotesi del deficit fonologico (Snowling 1987), tuttavia,
limitando l’attenzione al problema nella decodifica linguistica, non è in grado di spiega-
re una serie di altre difficoltà, legate alla coordinazione motoria e all’orientamento visi-
vo-spaziale, riscontrabili nei soggetti con dislessia.
Dalle Scienze Cognitive provengono ipotesi interpretative alternative. Tra queste, l’ipotesi
del deficit di automatizzazione, con base cerebellare (Nicolson, Fawcett 2008), propone di
reinterpretare la dislessia come un deficit che rallenta l’apprendimento procedurale, che
sappiamo essere alla base sia dell’acquisizione linguistica sia di altri aspetti dello sviluppo
del bambino. Questa ipotesi è in grado di spiegare alcuni correlati non linguistici della di-
slessia, come problemi di equilibrio riscontrati in bambini piccoli, difficoltà nella motricità
(gli apprendenti con dislessia appaiono talvolta goffi e maldestri) e in alcuni processi non
linguistici che richiedono automatizzazione (es. recupero rapido di informazioni). Le ricer-
che in corso sul cervelletto suggeriscono, inoltre, che questa struttura sia coinvolta anche
nell’orientamento visivo-spaziale (cfr. il progetto europeo CERVISO), la qual cosa spieghe-
rebbe le difficoltà dei soggetti con dislessia ad orientarsi nello spazio (destra/sinistra) e a
leggere l’orologio analogico.
Un altro disturbo incluso nella categoria dei BiLS è il Disturbo Specifico del Linguaggio, tra-
dizionalmente descritto in base a specifici danni settoriali che compaiono esclusivamente
nell’area linguistica. La realtà clinica è però ben più complessa. In un’importante rassegna
sull’argomento, Dispraldo (2014) mette in luce due caratteristiche di questo disturbo mol-
to rilevanti per la nostra discussione.
In primo luogo, esso si accompagna anche a deficit in abilità non verbali; una percentuale
fino al 75% di bambini con questo disturbo ha, infatti, difficoltà nella motricità fine (John-
ston et al. 1981), nel bilanciamento corporeo (Powell, Bishop 1992) e nella riproduzione
e/o imitazione di gesti (Vukotic et al. 2010).
In secondo luogo, la netta separazione tra Disturbo Specifico del Linguaggio a altri deficit
linguistici spesso non corrisponde alla realtà clinica (McArthur et al. 2000): da una parte si
riscontra un’alta presenza di disturbi del linguaggio in bambini identificati come dislessici
(fino al 63% dei casi) e dall’altra i bambini con Disturbo Specifico del Linguaggio, anche
quando non soddisfano i requisiti per una diagnosi di dislessia, presentano comunque
difficoltà di letto-scrittura (fino all’85% dei casi). Recentemente è stata anche messa in di-
scussione la netta separazione tra questo disturbo e il Disturbo Pragmatico della Comuni-
cazione Sociale; da un lato l’analisi del linguaggio autistico ha evidenziato tratti di atipicità
nella struttura linguistica, e non solo nel suo uso pragmatico (Loucas et al. 2008); dall’altro
alcuni soggetti con una storia di disturbo del linguaggio presentano tratti autistici durante
l’adolescenza (Conti-Ramsden et al. 2006).
Come si può notare, la complessità dei profili clinici associati al Disturbo Specifico del
Linguaggio è tale che nel DSM-5, il principale manuale diagnostico utilizzato nel mon-
do anglosassone e non solo, ha eliminato l’aggettivo ‘specifico’ dalla denominazione, in
quanto le evidenze cliniche non supportano sufficientemente l’idea che questo disturbo
sia specificamente ed esclusivamente di natura linguistica. Anche in questo caso si stanno
facendo strada ipotesi interpretative di matrice cognitivista, che propongono di riconcet-

118
Parte III - Capitolo 11

tualizzare questo disturbo come un più generale malfunzionamento di quelle abilità che
impediscono al sistema cognitivo una corretta elaborazione delle informazioni (verbali e
non verbali). In particolare, il deficit interesserebbe processi di ordine inferiore, come l’ef-
ficienza temporale (velocità di elaborazione delle informazioni), la memoria procedurale
(automatizzazione delle procedure), la selezione e l’orientamento dell’attenzione (memo-
ria selettiva e attenzione all’input) – cfr. Leonard 2014; Dispraldo 2014.
In un’ottica cognitivista, quindi, sia la dislessia sia il disturbo del linguaggio vengono in-
terpretati come deficit che colpiscono i processi cognitivi di ordine inferiore, causando un
rallentamento generale nell’elaborazione dell’input (verbale e non verbale), associato a
difficoltà ad orientare l’attenzione verso i tratti salienti dell’input da apprendere, per poi
immagazzinarlo ed automatizzarlo. L’assunto teorico fondamentale non è, comunque, che
il deficit cognitivo in questi processi sia l’unica causa del disturbo, ma che la sua presenza
fin dalla prima infanzia inneschi successivamente conseguenze a cascata (problemi di let-
tura, scrittura, espressione linguistica ecc.) che si manifestano successivamente (Elsabba-
gh, Karmiloff-Smith 2004).
Come si evince dalla discussione, le evidenze cliniche sembrano condurre verso la necessi-
tà di adottare una prospettiva teorica che non separi il linguaggio dalla cognizione, la qual
cosa consentirebbe un’interpretazione (almeno tentativamente) più completa del quadro
clinico, premessa indispensabile non solo per l’intervento in ambito clinico ma anche per
l’azione pedagogica e glottodidattica.

11.3. Bisogni Linguistici Specifici e apprendimento della grammatica:


limiti dell’approccio tradizionale
Per comprendere le difficoltà degli apprendenti con BiLS nell’area della grammatica, è
opportuno distinguere tra l’apprendimento in contesto spontaneo e quanto accade invece
in contesto formale. Alcuni disturbi linguistici determinano ostacoli già sul piano dell’ap-
prendimento spontaneo della L1, che conducono ad errori morfosintattici atipici. In altri
casi, come ad esempio la dislessia, non si riscontrano di norma limitazioni evidenti nell’ap-
prendimento orale della L1, ma la presenza di un disturbo del linguaggio pregresso può
incidere su questo fronte (cfr. 2).
In entrambi i casi, comunque, può risultare problematico l’apprendimento formale della
grammatica, inteso come riflessione sui meccanismi di funzionamento della lingua che
viene proposta tipicamente in contesto di apprendimento formale. Queste difficoltà me-
talinguistiche sono ampiamente attestate nella letteratura edulinguistica riguardante sia
la L1 (Klingner, Vaughn, Boardman 2007) sia le lingue straniere (Kormos, Smith 2012) e
classiche (Bianchi, Rossi, Venturini 2016).
Seguendo la Teoria dell’Accessibilità Glottodidattica (Daloiso 2012; 2015), queste difficoltà
si possono interpretare come un’interazione non ottimale tra le caratteristiche degli stu-
denti con BiLS e l’ambiente di apprendimento formale. In questo caso, il problema potreb-
be risiedere nell’approccio utilizzato per l’istruzione grammaticale.
Nella storia dei metodi glottodidattici, la grammatica ha assunto ruoli diversi, a seconda
delle teorie linguistiche ed acquisizionali che venivano di volta in volta prese come rife-

Insegnare la grammatica 119


rimento. In particolare, si è assistito ad una ‘sindrome del pendolo’ (Balboni 1994), che
alternava il focus ora sulla forma linguistica, a discapito dell’uso, e ora sull’uso, a discapito
della forma (per un profilo diacronico degli approcci e dei metodi glottodidattici: Balboni
2015).
Attualmente, si è diffuso un approccio eclettico all’istruzione grammaticale, che si allonta-
na dai modelli deduttivi di matrice formalista e strutturalista, ma al contempo assegna un
valore importante all’esercizio linguistico. Il percorso didattico si articola di norma in tre
fasi. La prima consiste nella scoperta della regola, soprattutto attraverso l’analisi della lin-
gua in contesto; segue poi la fase di fissazione della regola, attraverso esercizi molto strut-
turati, e si giunge infine al riutilizzo progressivamente più libero della regola in questione.
Questo tipo di percorso, tuttavia, presenta alcuni limiti, in quanto non considera né le
fragilità specifiche degli apprendenti con BiLS né alcuni processi cognitivi generali che
sottendono l’acquisizione grammaticale (per una disamina: Cadierno 2010). Anche in
questo caso, può risultare vantaggioso adottare una prospettiva compatibile con la LC,
che consenta di comprendere i processi di acquisizione grammaticale, alla luce dei quali
interpretare le limitazioni degli apprendenti con BiLS e ipotizzare interventi di sostegno
glottodidattico.
A questo scopo, riprendiamo la Input Processing Theory elaborata da Terrell (1991) e rivi-
sta poi da Van Patten (1992), la quale pur non essendo stata elaborata nell’ambito della
LC, viene ritenuta compatibile con la prospettiva di questo approccio linguistico. Il modello
può essere così rappresentato.

INPUT  →  INTAKE SISTEMA LINGUISTICO OUTPUT

Processi di tipo 1 Processi di tipo 2 Processi di tipo 3


Figura 1 - La Teoria dell’elaborazione dell’input

Secondo lo schema, l’acquisizione grammaticale procede attraverso una catena di processi


cognitivi. Nella prima fase (processi di tipo 1), l’apprendente entra in contatto con l’input,
di cui riesce a percepire ed elaborarne solo una parte, definita intake. Non tutto l’intake,
tuttavia, viene incorporato nel sistema linguistico dell’apprendente; perché ciò accada, in-
fatti, egli deve focalizzare l’attenzione su una data costruzione linguistica, per poi metterla
in relazione e integrarla con le conoscenze pregresse. Nella seconda fase (processi di tipo
2), dunque, si attivano processi di ristrutturazione delle conoscenze, che di norma con-
ducono ad errori, perché l’apprendente inizia ad analizzare realmente l’intake. L’assimila-
zione di una costruzione, comunque, non garantisce automaticamente la sua produzione
in tutti i contesti; perché una singola costruzione linguistica diventi output sono, infatti,
necessari i processi di tipo 3, che conducono ad una sua progressiva automatizzazione e al
suo uso in una varietà di contesti comunicativi.
La Input Processing Theory può contribuire ad interpretare le difficoltà che incontrano gli
apprendenti con BiLS nel percorso di istruzione grammaticale tradizionale (scoperta →
fissazione → riutilizzo). Alcuni apprendenti con BiLS manifestano limitazioni già nei pro-

120
Parte III - Capitolo 11

cessi di tipo 1: l’elaborazione dell’input risulta più lenta, e si possono verificare perdite
di porzioni di informazione e difficoltà a selezionare la parte dell’input verso cui dirigere
l’attenzione (cfr. par. 2). Perciò la tradizionale fase di scoperta induttiva della regola appa-
re problematica, in quanto implica un passaggio implicito dall’input all’intake, che invece
non è immediato in presenza di un BiLS.
Sul piano edulinguistico, dunque, ci si deve interrogare su quali strategie metodologiche
possano favorire il passaggio da input a intake. L’istruzione diretta viene spesso indica-
ta come soluzione efficace per questa tipologia di apprendenti (cfr. Schneider, Crombie
2003; Slavin et al. 2011), ma l’adozione di una prospettiva d’integrazione tra linguaggio e
cognizione (inclusa la percezione) implica scelte operative, tra cui, ad esempio, rivisitare
le tradizionali spiegazioni verbali presentando i fenomeni linguistici secondo modalità più
visive, e focalizzare l’attenzione non solo sui fenomeni linguistici, ma anche sulle risorse
cognitive (ad esempio, i concetti di ‘cosa’, ‘processo’, ‘spazio’, ‘tempo’ e le operazioni di
costruzione mentale, come la prospettiva, la categorizzazione, la distinzione tra figura e
sfondo ecc.) che, nella prospettiva della LC, motivano i fatti del linguaggio
L’istruzione diretta potrebbe aiutare l’apprendente a focalizzarsi su una costruzione lin-
guistica, ma perché l’intake venga incorporato nel sistema linguistico è necessario che la
costruzione venga compresa, per poi essere integrata con le conoscenze pregresse. Nel
percorso glottodidattico tradizionale, invece, vi è un passaggio diretto dalla scoperta della
regola alla sua applicazione, dando in qualche modo per assodata la sua effettiva com-
prensione. Nella fase di fissazione, quindi, si propongono esercizi, in genere di matrice
strutturalista, che richiedono di utilizzare la costruzione linguistica (completamento, tra-
sformazione ecc.), talvolta con più attenzione alla forma che al suo significato.
Riguardo i processi di tipo 2, il percorso tradizionale pone problemi a livello di gradualità,
in quanto sarebbero necessarie da una parte attività di comprensione della costruzione
linguistica, dall’altra attività preliminari che attivino i requisiti cognitivi necessari all’analisi
della costruzione target. Possono poi seguire attività di riutilizzo, ma gli esercizi puramente
strutturali andrebbero limitati perché si basano su procedure meccaniche che richiedono
automatizzazione, ma non conducono ad un uso autentico della costruzione (ad esempio,
nella comunicazione non trasformiamo continuamente frasi affermative in interrogative o
negative). Paradossalmente, quindi, accade che per imparare a svolgere batterie di eser-
cizi strutturali, l’apprendente con BiLS debba sviluppare processi meccanici che di fatto
sottraggono risorse cognitive all’automatizzazione linguistica.
Infine, la fase di riutilizzo più autonomo della lingua si scontra con le difficoltà di automa-
tizzazione di molti apprendenti con BiLS, spesso peggiorate dagli ostacoli nei processi di
tipo 1 e 2 appena discussi. Nel contesto di lingua straniera, l’uso autonomo di una costru-
zione linguistica rappresenta un obiettivo a lungo termine, che nel caso degli apprendenti
con BiLS va perseguito con un sostegno specifico. Finora, facendo riferimento alla ricerca
clinica, abbiamo sostenuto che le difficoltà d’uso orale e/o scritto della L2/LS negli appren-
denti con BiLS siano imputabili al deficit di automatizzazione e di elaborazione rapida delle
informazioni. Per questo, sono stati proposti strumenti compensativi, come prompt, map-
pe e organizzatori visivi, per favorire il recupero del lessico e delle costruzioni linguistiche
necessarie per la comunicazione (Daloiso 2012; 2015).
Analizzando i processi di acquisizione grammaticale nel contesto dei BiLS alla luce della

Insegnare la grammatica 121


Input Processing Theory si fa strada un’interpretazione alternativa, secondo cui – limi-
tatamente al contesto di lingua straniera – le difficoltà degli alunni con BiLS nella fase
di output non risiedono nel recupero rapido delle tracce mnestiche, quanto piuttosto
nell’assenza di tracce mnestiche stabili da recuperare a causa della mancata acquisizione.
Secondo quest’interpretazione, gli strumenti compensativi non svolgerebbero, in realtà,
la loro funzione originaria, ossia favorire il recupero delle informazioni, ma di fatto sop-
perirebbero al mancato apprendimento. In un’ottica cognitivista, quindi questi strumenti
acquistano valore solo all’interno di un’istruzione grammaticale che considera anche le
difficoltà degli apprendenti con BiLS nei processi di tipo 1 e 2. La LC, inoltre, può aiuta-
re a superare alcuni limiti degli strumenti compensativi al momento proposti in ambito
edulinguistico, in particolare il fatto che alcuni strumenti, come la tabella grammaticale,
puntano più alla forma che all’uso, e non aiutano a marcare le distinzioni di significato
che invece nella comunicazione sono il punto di partenza per la selezione delle costruzio-
ni linguistiche più adeguate alle intenzioni del parlante.
Come possiamo vedere, dunque, l’adozione di una prospettiva compatibile con la LC get-
ta per certi versi nuova luce sulle difficoltà che incontrano gli apprendenti con BiLS nel
processo di educazione linguistica, con implicazioni teoriche ed operative di assoluta ri-
levanza.

11.4. Il potenziale glottodidattico della Linguistica Cognitiva


Adottare una prospettiva cognitiva nell’insegnamento dei contenuti grammaticali (cfr. 1
sul senso che la LC attribuisce all’aggettivo ‘cognitivo’) può comportare alcuni vantaggi da
un punto di vista glottodidattico, non solo per apprendenti con sviluppo linguistico tipico
(come altri autori hanno già evidenziato, cfr. ad esempio Castañeda 2004 in riferimento
alle applicazioni della Grammatica Cognitiva alla didattica dello spagnolo), ma, a nostro
parere, anche per apprendenti con BiLS.
In questa sezione, tenendo presente la Input Processing Theory, ci soffermeremo in pri-
mo luogo su alcune considerazioni generali sviluppate nell’ambito della LC applicata alla
didattica delle lingue straniere; rifletteremo poi sulla possibilità di calarle nel contesto
dell’insegnamento della grammatica apprendenti con BiLS, accennando anche ad alcune
questioni che riteniamo richiedano un approfondimento futuro da parte della ricerca in
quest’ambito.
Vista l’eterogeneità di casistiche associate ai BiLS, per ragioni di spazio nella presente se-
zione faremo riferimento in modo specifico agli apprendenti con disturbo del linguaggio,
sebbene riteniamo che il quadro teorico proposto sia ugualmente valido per analizzare
le difficoltà nell’apprendimento grammaticale a cui possono andare incontro gli studenti
con altri disturbi linguistici. Va comunque ricordato che i casi di comorbilità fra i diversi
disturbi non sono affatto rari (cfr. 2), per cui è sempre auspicabile un’analisi mirata del
profilo di ogni singolo apprendente, in modo da poter determinare specificamente in quali
dei tre tipi di processi del modello adottato (cfr.3) e in che modo possano manifestarsi le
difficoltà.
Cominciando quindi dai processi di tipo 1, un primo tema di cui si è occupata la LC nell’am-

122
Parte III - Capitolo 11

bito della L2 riguarda la modalità di presentazione dell’input linguistico, e quindi il pas-


saggio dall’input all’intake nel modello proposto. A questo proposito, diverse ricerche sui
modi di dire in inglese, sulle metafore e sui verbi in contesto di lingua straniera (Boers et
al. 2008; Lindstromberg, Boers 2005) segnalano che il modo in cui l’input viene presentato
può avere una ricaduta significativa sulla sua ritenzione mnemonica da parte degli appren-
denti. I risultati suggeriscono che la presentazione dell’input in maniera dapprima verbale
e dopo visiva risulta più efficace rispetto alla presentazione di un input esclusivamente
verbale. Inoltre, sembra confermarsi l’ipotesi che la rappresentazione mimico-gestuale
del contenuto dei verbi che indicano un determinato modo di movimento comporti un
effetto positivo nella loro memorizzazione da parte degli studenti, il che sembra rafforzare
l’idea dello stretto legame fra la nostra esperienza corporea e il linguaggio (embodiment).
Questi risultati possono avere implicazioni importanti nel caso degli apprendenti con di-
sturbo del linguaggio, i quali presentano tipicamente difficoltà nel controllo attentivo e
nell’elaborazione dell’input (cfr. 2). Sulla scorta delle ricerche succitate è plausibile rite-
nere che nella fase che riguarda i processi di tipo 1 questi apprendenti possano benefi-
ciare anche dell’utilizzo di un input multimodale. Sarebbe tuttavia opportuno approfon-
dire questo aspetto interrogandosi sull’incidenza che un certo tipo di ordine degli stimoli
presentati (visivo > verbale o viceversa) può avere nell’apprendimento delle costruzioni
grammaticali da parte di questi apprendenti.
Sempre nell’ambito dei processi di tipo 1, la LC si è interessata anche di indagare il rap-
porto fra categorie linguistiche e concettuali, per esempio per quanto riguarda le loro
applicazioni didattiche per l’insegnamento/apprendimento della grammatica in spagnolo
L2 (Alonso Raya et al. 2005; Ruiz Campillo 2014). Ad esempio, per rendere più semplice e
intuitiva la spiegazione dell’uso di due tempi verbali del passato in spagnolo (pretérito per-
fecto e indefinido) questi autori hanno sfruttato la metafora concettuale il tempo è spazio,
associando all’uso di ogni tempo due spazi diversi. Da una parte, il pretérito perfecto viene
associato a uno spazio ‘attuale’ (rappresentato prototipicamente dall’avverbio ‘qui’), visto
il legame che questo tempo verbale mantiene con la situazione di enunciazione; dall’altra,
il pretérito indefinido, che non implica il suddetto legame, si associa a uno spazio ‘non at-
tuale’ (rappresentato prototipicamente dall’avverbio ‘lì’). In questo modo, la tradizionale
lista di marcatori temporali che solitamente si presenta all’apprendente come criterio per
decidere fra questi due tempi nelle sue narrazioni al passato può essere sostituita (o per-
lomeno integrata) con una riflessione più profonda che gli permetta di valutare intuitiva-
mente quali di questi marcatori rientrano o meno nelle categorie di ‘spazio attuale’ o ‘non
attuale’, focalizzando inoltre l’attenzione sulla flessibilità delle scelte linguistiche operate
dai parlanti, piuttosto che su una meccanica linguistica priva di significato (Llopis-García
et al.2012).
Questa prospettiva può avere implicazioni interessanti per gli apprendenti con BiLS. Se
adottiamo una prospettiva teorica che non separa linguaggio e cognizione (cfr. 2), alla
base delle manifestazioni linguistiche dei BiLS vi sono deficit più propriamente cognitivi da
tenere in considerazione. Per questo motivo, sul piano glottodidattico sembra opportuno
interrogarsi anche sulla convenienza di lavorare sul recupero delle risorse cognitive (cfr.
3) che permettono agli apprendenti (con e senza BiLS) di riflettere sulle costruzioni gram-
maticali. Non è da escludere, infatti, che alcune di queste risorse siano compromesse in

Insegnare la grammatica 123


questa tipologia di apprendenti. Di conseguenza, la spiegazione dei fenomeni grammati-
cali partendo dalle categorie concettuali che viene tipicamente proposta nell’ambito della
LC potrebbe risultare efficace se preceduta da un lavoro di recupero/potenziamento delle
categorie concettuali stesse. In questo senso, riprendendo l’esempio del pretérito perfec-
to e il pretérito indefinido per lo spagnolo, potrebbe essere necessario provvedere a un
lavoro preliminare di recupero della deissi spaziale e probabilmente anche delle categorie
temporali, in modo da applicarle successivamente alla comprensione delle distinzioni tra
i due tempi verbali.
Per quanto riguarda il passaggio dai processi di tipo 1 verso quelli di tipo 2, la ricerca
nell’ambito dell’Input Processing Theory ha evidenziato che gli apprendenti sembrano be-
neficiare delle cosiddette ‘structured input activities’ (VanPatten 1996; VanPatten, Cadier-
no 1993; Benati 2010), vale a dire, attività con cui s’intende massimizzare la qualità dell’in-
put ricevuto dagli studenti nella fase di elaborazione. Queste attività mirano a modificare
le strategie che solitamente vengono messe in atto dagli alunni in contesto di L2/LS e che
in questa fase spesso portano allo studente a ‘scavalcare’ certi elementi delle costruzioni
linguistiche (desinenze, clitici, ecc.) il cui significato può essere desumibile dal contesto
comunicativo o linguistico. Questi elementi spesso costituiscono difficoltà oggettive nel
processo d’apprendimento linguistico e solitamente vengono acquisiti solo in stati avanza-
ti della propria interlingua. L’istruzione fornita mediante questo tipo di attività, che punta
alla acquisizione mirata di questi elementi, sembra incidere nella comprensione delle co-
struzioni presentate, nello specifico per quanto riguarda il rapporto fra forma linguistica e
significato (Cadierno 2010).
Queste osservazioni hanno implicazioni potenziali nel caso degli apprendenti con BiLS.
Come è già stato accennato (cfr. 2), a causa delle difficoltà nel controllo attentivo e nell’e-
laborazione rapida ed efficiente delle informazioni, gli apprendenti con disturbo del lin-
guaggio possono faticare a percepire e/o produrre alcuni tratti morfologici del discorso,
sia in L1 sia nelle lingue non materne. Solitamente si tratta di elementi come i clitici o le
desinenze verbali, che in alcune occasioni possono diventare ridondanti in un determinato
contesto comunicativo, anche se questo dipende in parte dalle caratteristiche strutturali
delle diverse lingue. Alla luce delle ricerche accennate, sembra opportuno chiedersi in
quale misura questo tipo di attività possa essere utile nel tentativo di ‘ristrutturare’ le
costruzioni parziali o atipiche che manifestano questi studenti nelle loro produzioni lingui-
stiche. In questo senso si rendono necessarie ulteriori ricerche.
Per quanto riguarda infine la fase di produzione, vale a dire i processi di tipo 3 dello sche-
ma della Input Processing Theory, bisogna tener presente che l’uso autonomo e sponta-
neo delle costruzioni in contesti diversificati è un processo a lungo termine che implica non
poche difficoltà per chi apprende una lingua non materna. La ricerca sembra indicare che
gli effetti delle ‘structured input activities’ non riguardano solo la comprensione delle co-
struzioni linguistiche target, ma hanno anche un riflesso nella produzione linguistica degli
apprendenti a cui vengono somministrate (Cadierno 2010). Inoltre, sembra accertato che
le cosiddette ‘structured output activities’ (Lee, VanPatten 1995; VanPatten 1996), cioè
le attività mirate alla produzione controllata dell’output degli studenti e complementari
a quelle centrate nel passaggio dell’input all’intake, abbiano una ricaduta positiva nella

124
Parte III - Capitolo 11

capacità degli studenti di produrre le costruzioni linguistiche (Erlam 2003; Morgan-Short,


Wood-Bowden 2006).
Bisogna tener presente che l’uso autonomo delle costruzioni linguistiche diventa partico-
larmente difficile nel caso di chi presenta limitazioni nell’elaborazione rapida ed efficiente
delle informazioni. Riteniamo quindi interessante testare la validità di questo tipo d’istru-
zione sugli apprendenti con disturbo del linguaggio, per i quali finora la ricerca edulingui-
stica (Kormos, Smith 2012; Daloiso 2017) si è limitata a suggerire l’uso di prompt, mappe
ed organizzatori visivi quali sopporti costanti utili per affrontare sia i compiti di produzione
scritta che di produzione orale.

11.5. Riflessioni conclusive


In questo contributo abbiamo evidenziato come la ricerca edulinguistica sui BiLS possa
avvalersi della LC per una più profonda comprensione dei disturbi linguistici, premessa
essenziale per la definizione di interventi di sostegno glottodidattico. Di seguito evidenzia-
mo alcuni elementi che possono guidare una eventuale rifinitura della definizione stessa
di ‘Bisogno Linguistico Specifico’ alla luce di uno sfondo teorico che integra linguaggio e
cognizione.
Sul piano teorico, la nozione di BiLS è compatibile con una prospettiva che considera il
linguaggio una manifestazione della cognizione. Alla luce della LC, infatti, i BiLS possono
essere inquadrati come quella parte di disturbi cognitivi che hanno un forte impatto sullo
sviluppo del linguaggio. La definizione formulata nel 2013 ammette di fatto questa inter-
pretazione, considerando i BiLS un insieme di “difficoltà evolutive di funzionamento che
interessano primariamente [dunque, non esclusivamente] la competenza comunicativa”;
questa formulazione non esclude a priori una relazione tra linguaggio e cognizione, anche
se sarebbe necessario precisare che si tratta di differenze evolutive di natura cognitivo-lin-
guistica. Nell’acronimo, l’aggettivo ‘specifico’ è peraltro utilizzato con un’accezione diversa
da quella in uso nella ricerca clinica, in quanto si limita ad indicare che le difficoltà cogniti-
vo-linguistiche degli apprendenti con BiLS presentano elementi di atipicità non equipara-
bili alle difficoltà più generali incontrate normalmente da apprendenti con sviluppo tipico.
La parte finale della definizione di BiLS pone l’accento sulla necessità di operare “interventi
di adattamento, integrazione o ristrutturazione del percorso di educazione linguistica”.
Per la LC non esistono dicotomie tra mente, corpo e linguaggio, e ciò implica, in generale,
concepire l’educazione linguistica in stretto rapporto con le educazioni motoria e cogni-
tiva. Se, inoltre, il linguaggio è una manifestazione della cognizione, ne consegue che per
chi opera con apprendenti in età evolutiva le educazioni motoria e cognitiva forniscono le
basi per l’educazione linguistica. Nel contesto specifico dei BiLS, il sostegno glottodidattico
potrebbe essere più efficace se accompagnato/preceduto da un recupero delle risorse
concettuali alla base di quelle linguistiche (ad esempio, per comprendere la distinzione
tra tempi verbali è fondamentale far riferimento a categorie spazio-temporali più generali,
cfr. 11.4).
Questa prospettiva induce a ripensare i ruoli delle figure educative e cliniche che operano
con questi apprendenti. è chiaro, infatti, che l’insegnante di classe non può occuparsi del

Insegnare la grammatica 125


recupero di requisiti cognitivi che gli apprendenti senza BiLS già possiedono. Dovrebbe,
tuttavia, nascere un’interazione tra l’insegnante e le altre figure professionali che lavorano
in modo individualizzato, come il clinico, il tutor dell’apprendimento linguistico e/o l’inse-
gnante di sostegno. Mentre un recupero sistematico delle basi cognitive del linguaggio
non può che essere prerogativa del clinico, le figure educative preposte alla glottodidattica
individualizzata (tutor e/o insegnante di sostegno) possono proporre interventi di poten-
ziamento cognitivo e metacognitivo mirati e funzionali allo studio delle lingue in ambiente
formale.
Sul piano operativo, tenendo presenti queste considerazioni e alcuni dei limiti che pre-
sentano gli approcci tradizionali nell’apprendimento della grammatica da parte dei BiLS,
abbiamo proposto l’adozione di un modello tratto da una teoria compatibile con la LC,
ossia la Input Processing Theory. Questa teoria, che prevede una serie di processi coinvolti
nel percorso di apprendimento grammaticale, permette di tener conto delle difficoltà e
degli ostacoli che incontrano i singoli studenti nelle diverse fasi di apprendimento a se-
conda delle loro specificità e del loro profilo. Infatti, sebbene abbiamo limitato le nostre
considerazioni agli apprendenti con disturbo del linguaggio, riteniamo che questo modello
teorico sia un buon punto di partenza per lo studio delle prestazioni di studenti con altri
tipi di BiLS o con profili misti.
Considerati i risultati della ricerca nell’ambito della Input Processing Theory e della LC ap-
plicata all’insegnamento della grammatica della lingua straniera in generale, riteniamo in-
teressante condurre ulteriori ricerche per testare la validità dello stesso tipo di istruzione
grammaticale con apprendenti che presentano un BiLS.

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Insegnare la grammatica 129


12. Il modello della grammatica valenziale per l’italiano L2.
Una sperimentazione in atto in contesto scolastico
Silvia Gilardoni, Daniela Corzuol
Tratto da Nuova secondaria, n. 2, pp. 81-89
Il contributo è frutto di un lavoro comune dei due Autori;
nella stesura, Silvia Gilardoni ha scritto i paragrafi 1-5, Daniela Corzuol il paragrafo 4.1

12.1. Introduzione
Nel presente contributo vogliamo proporre una applicazione del modello della sintassi
valenziale alla didattica dell’italiano L2 in contesto scolastico.
Dopo una breve illustrazione dei principi teorici del modello e della sua elaborazione per la
lingua italiana, vogliamo evidenziare i vantaggi glottodidattici della grammatica valenziale
nella prospettiva dell’insegnamento/apprendimento dell’italiano L2. Presentiamo poi gli
esiti di una sperimentazione realizzata in alcune scuole del territorio lombardo nell’ambito
di laboratori di italiano L2 finalizzati a potenziare la competenza comunicativa di studenti
alloglotti attraverso la riflessione sulla lingua.

12.2. La grammatica valenziale per l’italiano: tra teoria e didattica


La teoria della grammatica valenziale viene elaborata nella prima metà del Novecento dal
linguista francese Lucien Tesnière, che nell’opera Eléments de syntaxe structurale, pubbli-
cata postuma nel 1959, propone un modello della sintassi basato sulla nozione di valenza.
Tale modello, come sottolinea Gobber, “privilegia un punto di vista dinamico sul fenome-
no linguistico” (Goober, Morani 2010: 101). Tesnière infatti, riconoscendo il ruolo attivo
del parlante nella produzione e nella comprensione linguistica, afferma: “Costruire una
frase significa immettere la vita in una massa amorfa di parole, stabilendo un insieme di
connessioni fra loro. Al contrario, capire una frase è cogliere l’insieme di connessioni che
uniscono le varie parole” (Tesnière 1959; cit. da trad it: 30).
Tesnière, considerando la centralità del verbo nella strutturazione della frase, definisce
metaforicamente il nucleo della frase, unità sintattica e semantica essenziale, un dramma
di cui il verbo si costituisce rappresentazione scenica dell’azione; nelle vicinanze del verbo
sono distribuiti, nel loro ruolo di partecipanti all’azione, i cosiddetti attanti, che si legano
al verbo favorendo i principi di unità e di completezza dell’azione, così come gli elementi
della chimica si legano l’uno con l’altro.
Il concetto di valenza dunque “indica il numero di attanti di un verbo, cioè le relazioni di di-
pendenza che ciascun verbo richiede” (Rigotti, Cigada 2004: 282). Per esempio nella frase
Luisa ha regalato un libro a Fabio si osserva come regalare sia un verbo trivalente, poiché
esige tre attanti, cioè “colui che regala”, l’oggetto che viene regalato e il beneficiario del
regalo. Possono poi essere aggiunti altri elementi, i cosiddetti circostanti che caratterizza-

130
Parte III - Capitolo 12

no gli attanti, ma che sono facoltativi: Per Natale Luisa ha regalato a suo marito Fabio un
libro con le fotografie del loro viaggio dell’estate scorsa.
La teoria della grammatica valenziale è stata ripresa e approfondita soprattutto nell’ambi-
to degli studi sulla lingua tedesca e, come ricordano Bianco, Brambilla e Mollica, in ragione
della “semplicità di questo nuovo paradigma, che si presta ad un ampio utilizzo in sede
didattica”, si è poi diffusa “a livello internazionale, prima nell’insegnamento del tedesco
come L2, successivamente nella didattica delle altre lingue” (Bianco et al. 2015: 9).
L’applicazione della teoria valenziale alla lingua italiana si deve in particolare agli studi di
Sabatini, che ha proposto una rivisitazione teorica del modello e una sua elaborazione
didattica, a partire dalla prima edizione della grammatica italiana La comunicazione e gli
usi della lingua del 19841.
Come sottolinea Sabatini nella sua Lettera del 2004, la sintassi valenziale consente di ren-
dere “più semplici i percorsi didattici nei meandri della lingua”, poiché risponde felicemen-
te all’esigenza metodologica di osservare la sintassi della frase in frasi-tipo, attraverso “un
modello esplicativo che unifichi tutti i tipi possibili di frasi e rappresenti tutte le relazioni
interne che in esse si possono cogliere”. Nella rielaborazione del modello valenziale per
l’italiano, lo studioso propone una nuova modalità per la rappresentazione grafica della
frase e una revisione della terminologia e della classificazione dei componenti frasali.
Rispetto alla raffigurazione tramite il grafo ad albero, lo “stemma” di Tesnière, è stato
ritenuto più efficace dal punto di vista esplicativo e didattico rappresentare le connessio-
ni sintattico-semantiche della frase con un’“immagine resa da schemi concentrici di tipo
insiemistico” (Sabatini et al., in Bianco et al. 2015: 36).
Si riproduce così un’immagine grafica che comprende in primo luogo in un’area centrale il
nucleo della frase con il verbo e i suoi “argomenti”, termine ormai diffusosi in ambito lin-
guistico per individuare gli attanti che permettono di saturare le valenze richieste dal verbo.
Un’area prevede poi i “circostanti” del nucleo (come aggettivi, sintagmi preposizionali,
avverbi, frasi relative) che hanno la funzione di specificare i costituenti del nucleo (gli ar-
gomenti o il verbo), legandosi morfosintatticamente ad essi. Una terza fascia comprende
infine le “espansioni” (come espressioni preposizionali o avverbiali o le frasi dipendenti),
che possono essere aggiunte al nucleo della frase, ma che risultano indipendenti dal pun-
to sintattico rispetto alla struttura interna del nucleo.
Una raffigurazione del genere, tramite schemi radiali, presenta il vantaggio, come osserva
Sabatini, “di trasporre la forma ‘lineare’ della struttura della frase (come la realizziamo in
sequenza fonica o scritta ‘sul rigo’) in una costellazione da osservare sinotticamente, nella
quale gli elementi che hanno una funzione diversa nella struttura della frase sono collocati
in posizioni diverse (tre aree concentriche) dello schema”. Nell’ultima edizione della gram-
matica (Sistema e Testo, 2011) è stata realizzata anche una versione animata degli schemi
radiali, che illustra visivamente la composizione degli elementi della frase.
Per quanto riguarda le classificazioni terminologiche, ricordiamo anche che in presenza
di frasi dipendenti (causali, concessive, finali, ecc.) la frase viene denominata “frase com-

1 La grammatica è stata poi rieditata nel 1990 e successivamente ne è stata pubblicata una nuova edizione nel 2011 (F.
Sabatini, C. Camodeca, C. De Santis, Sistema e Testo, Loescher, Torino 2011), di cui è disponibile anche un’edizione per la
scuola secondaria di I grado (Conosco la mia lingua. L’italiano dalla grammatica valenziale alla pratica dei testi, Loescher,
Torino 2014).

Insegnare la grammatica 131


plessa”, distinta dalla “frase composta” che contiene invece frasi coordinate o giustappo-
ste; frasi complesse e composte sono frasi “multiple” che si differenziano quindi dalle frasi
“singole” in quanto formate da più frasi.
Nell’elaborazione della sua grammatica valenziale, Sabatini sottolinea il presupposto te-
orico di riferimento su cui si fonda il modello, che risiede nella chiara distinzione tra la
dimensione del sistema e la dimensione del testo: la descrizione grammaticale ha come
oggetto di studio la frase, che si colloca a livello del sistema linguistico e si differenzia dal
testo come prodotto, ossia dall’uso della lingua per scopi comunicativi reali. La rappresen-
tazione della frase secondo il modello valenziale risulta tuttavia feconda anche nella dire-
zione dell’analisi del testo, secondo la prospettiva della classificazione tipologica avanzata
dallo studioso, basata sul grado di rigidità/elasticità del vincolo interpretativo dei testi: “il
fattore dominante nella caratterizzazione dei tipi di testo è costituito” dunque, come nota
Sabatini (et al., 2015: 34), “dalla misura dello scarto tra la modalità di uso della lingua a
livello di sistema (rappresentato dalla struttura della frase-tipo) e la modalità che appare
negli enunciati dei testi reali, regolata appunto dal margine di libertà di interpretazione
che di volta in volta l’emittente concede al ricevente”; (sulla classificazione dei tipi testuali
si veda Sabatini 1999).
Nel campo dell’educazione linguistica, ai vari livelli della formazione scolastica, la gram-
matica valenziale offre così un efficace strumento per la riflessione sulla lingua che, at-
traverso l’osservazione delle strutture del sistema e la manipolazione della frase a partire
dallo schema a cornici, contribuisce a favorire lo sviluppo della competenza comunicativa
funzionale alla comprensione e produzione testuale.

12.3. Grammatica valenziale e italiano L2


La grammatica valenziale trova la sua applicazione anche nel contesto dell’insegnamento/
apprendimento dell’italiano L2, in cui si evidenziano i vantaggi glottodidattici del modello2.
Tra gli aspetti che rendono il modello valenziale una “risorsa glottodidattica”, come sotto-
linea Camodeca, si riscontrano la rilevanza data alla correlazione tra la frase e il testo e il
riconoscimento del nesso esistente tra sintassi e semantica (Sabatini et al. 2015: 36). L’ap-
prendente, guidato a riflettere sugli elementi necessari e accessori della frase, viene facili-
tato sia nell’attività di comprensione del testo sia nella fase di produzione testuale e nello
stesso tempo, “quando realizza che il verbo definisce e può modificare la sua struttura ar-
gomentale in base al suo significato, avverte che il lessico è ‘grammaticalizzato’ e la sintassi
‘lessicalizzata’” (Camodeca 2011: 33). Tale modello consente inoltre di ricorrere in modo
limitato alla terminologia metalinguistica, offrendo anche la possibilità di utilizzare meta-
fore esplicative, quali l’immagine della rappresentazione scenica e della valenza chimica,
con una evidente ricaduta positiva per la didattica dell’italiano L2, in particolare in contesti
eterogenei per livello di scolarizzazione e competenza linguistica degli apprendenti.
La grammatica valenziale, infine, come ricorda Camodeca (2011: 36), non può separarsi
dalla sua rappresentazione grafica e per questa ragione “si presta particolarmente ad un

2 La grammatica valenziale viene proposta nei sillabi di italiano L2, come in Lo Duca 2006 e Benucci 2007. Esemplificazioni
di attività pratiche sono illustrate nei lavori di Camodeca 2011 e 2013.

132
Parte III - Capitolo 12

uso didattico, reso ancora più efficace dall’impiego delle più recenti glottotecnologie”,
ossia dalla visualizzazione su computer degli elementi grafici animati tramite Power Point.
Grazie alla rappresentazione della frase con gli schemi radiali animati l’apprendente viene
guidato, in una modalità ludica e motivante, alla scoperta delle strutture della lingua at-
traverso un approccio induttivo.
Nella sua applicazione didattica la grammatica valenziale prevede in particolare l’uso di
schemi radiali vuoti, che rappresentano la struttura valenziale dei verbi predicativi, la
struttura dei verbi copulativi e le fasce dei circostanti e delle espansioni, che sono così
esempliflicati da Camodeca (2011: 33):

Un’attività didattica basata su schemi del genere può consistere ad esempio nell’indivi-
duare la valenza diretta o indiretta dei verbi, al fine di condurre l’apprendente a riflettere
sul ruolo di legamento delle preposizioni richieste o sui verbi che presentano più strutture
argomentali. Per lavorare sugli schemi valenziali dei verbi risulta essenziale fare riferimen-
to al noto dizionario valenziale dell’italiano Sabatini Coletti (DISC), che diventa così una
risorsa per l’insegnamento della grammatica3.
Gli schemi radiali vuoti o parzialmente riempiti con “parole stimolo”, come nota Camo-
deca, sono poi “un utile strumento per incrementare l’abilità di produzione scritta”: si
possono creare attività didattiche per guidare l’apprendente nel passaggio dal processo
al prodotto testuale, riflettendo sulla funzione di circostanti ed espansioni, sull’uso della
punteggiatura o sulla possibilità di trasformazione di elementi nominali in frasi4.
L’efficacia glottodidattica della grammatica valenziale si rende evidente nella possibilità

3 DISC: Dizionario italiano Sabatini Coletti (Sabatini, Cioletti, 2008) è disponibile in una versione online all’indirizzo http://
dizionari.corriere.it/dizionario_italiano. Cfr. Andorno et al. 2003 che riporta anche alcuni esempi di attività didattiche
basate sul DISC.
4 L’idea della trasformazione degli elementi della frase è ripresa da Sabatini dal concetto di traslazione di Tesnière. Trala-
sciamo in questa sede la possibile applicazione nel campo della didattica dell’italiano L2 del modello testuale correlato
alla sintassi valenziale, utile per la selezione e la creazione di testi a scopo didattico, rimandando per approfondimenti a
Sabatini et al. 2015.

Insegnare la grammatica 133


di adattare attività e applicazioni a vari contesti di apprendimento e alle diverse tipologie
di pubblici dell’italiano L2, caratterizzati da motivazioni e bisogni linguistico-comunicativi
specifici: adulti immigrati in Italia e bambini o adolescenti di famiglie immigrate in Italia,
studenti internazionali nelle università italiane, apprendenti all’estero stranieri o di origi-
ne italiana5. Nell’insegnamento/apprendimento dell’italiano L2 nel contesto delle classi
plurilingui della scuola italiana, oggetto di attenzione in questa sede, i bisogni formativi
degli apprendenti si specificano in due direzioni tra loro complementari: l’alfabetizzazio-
ne nell’italiano di base, per lo sviluppo della competenza comunicativa in italiano L2, e la
formazione nel cosiddetto “italiano dello studio”, che riguarda la padronanza nell’italiano
delle diverse discipline e implica l’insieme di abilità e competenze necessarie per lo studio e
l’apprendimento delle discipline stesse (Balboni 2012: 236)6. L’italiano L2 in ambito scolasti-
co si configura infatti sia come lingua/cultura oggetto di studio in sé, sia come lingua veicolo
di insegnamento/apprendimento dei contenuti disciplinari. In tale ambito il modello della
sintassi valenziale si presta felicemente all’esigenza di sviluppare nell’apprendente quella
competenza grammaticale, nella terminologia del Quadro Comune Europeo di Riferimento
per le Lingue (2002: 141), in cui si colloca “la capacità di organizzare frasi per esprimere
significati” che è da considerarsi “un aspetto centrale della competenza comunicativa”.
Il docente di italiano L2 può rispondere così al bisogno di riflessione sulla lingua, anche in
prospettiva interlinguistica, che caratterizza in particolare la formazione glottodidattica in
età adolescenziale, quando, come ricorda Balboni, “alla competenza d’uso della lingua si
affianca, come sostegno e non come sostituto, la competenza sull’uso della lingua, cioè la
competenza metalinguistica” (Balboni 2012: 47).
Lo sviluppo di una competenza di natura metalinguistica potrà pertanto facilitare e sostenere
lo studente non italofono della scuola secondaria nel processo di comprensione e produzio-
ne orale e scritta, con riferimento sia agli usi dell’italiano comune sia all’italiano dello studio.

12.4. Grammatica valenziale e italiano L2: una sperimentazione in


contesto scolastico
Vogliamo ora proporre una esemplificazione dell’applicazione del modello della gramma-
tica valenziale nella didattica dell’italiano L2 in contesto scolastico, presentando i risultati
di una sperimentazione condotta in alcune scuole secondarie del territorio lombardo du-
rante gli anni scolastici 2014/2015 e 2015/20167.
5 In Sabatini et al. 2015 si approfondisce in particolare il profilo dell’apprendente adulto in Italia e dello studente universi-
tario. Per quanto riguarda l’insegnamento dell’italiano all’estero segnaliamo che una sintesi della grammatica valenziale
per l’italiano è stata resa disponibile da Sabatini, anche ai fini di una comparazione interlinguistica, sul sito del progetto
“Vivit: Vivi italiano”, che offre una banca dati multimediale con materiali e strumenti sulla lingua e la cultura italiana de-
stinati agli italiani all’estero (http://www.viv-it.org/); il testo è presente anche nella versione tradotta in francese, inglese,
spagnolo e tedesco. Sui diversi profili di apprendenti dell’italiano L2 rimandiamo a Vedovelli 2010.
6 Nella riflessione glottodidattica si fa riferimento alla nota distinzione proposta da Cummins tra la competenza di tipo nelle
“basic interpersonal communicative skills” (BICS) e la competenza chiamata “cognitive/academic language proficiency”
(CALP) proposta da Cummins 1979.
7 La sperimentazione qui presentata è il frutto di una attività di aggiornamento per insegnanti di italiano L1 e L2, organizza-
ta dal Dirigente Scolastico Mariagrazia Fornaroli dell’ITIS Leonardo da Vinci di Carate in provincia di Monza e Brianza tra
marzo e settembre 2015, al fine di favorire la verticalizzazione del curriculum in relazione alle competenze linguistiche in
L1 e L2 in un percorso di raccordo fra la Scuola secondaria di primo grado e la Scuola secondaria di secondo grado.

134
Parte III - Capitolo 12

La sperimentazione è consistita nello svolgimento di esercitazioni nell’ambito di laboratori


di italiano L2 con l’obiettivo di sviluppare la competenza comunicativa in italiano attraver-
so la riflessione linguistica, con attenzione all’abilità di produzione scritta.
Sono state create attività didattiche di analisi degli errori di scrittura selezionando da
produzioni scritte di alunni alloglotti frasi che presentavano problemi di natura sintatti-
co-grammaticale.
Agli alunni sono state quindi proposte attività di riflessione sulla lingua, ricorrendo a una
modalità di intervento di correzione degli errori attraverso gli schemi radiali della teoria
valenziale, così da favorire la comprensione della strutturazione morfosintattica delle frasi
in italiano e il processo di autoverifica e consapevolezza dell’errore. Tale percorso ha rap-
presentato anche un’occasione per sviluppare una maggiore consapevolezza dei processi
di apprendimento e dei bisogni formativi da parte degli studenti nella prospettiva dello
sviluppo di quella competenza dell’imparare a imparare, inclusa tra le competenze chiave
per l’apprendimento permanente promosse dall’Unione Europea8.

12.4.1 La sperimentazione sul campo


La sperimentazione ha coinvolto alunni alloglotti di età compresa tra i 15 e i 16 anni, fre-
quentanti una Scuola secondaria di primo grado, la Salvo D’Acquisto dell’Istituto Compren-
sivo don Rinaldo Beretta di Paina di Giussano in provincia di Monza, e una Scuola secon-
daria di secondo grado, l’Istituto Statale di Istruzione Superiore Mosè Bianchi di Monza9.
Nell’ambito di laboratori di italiano L2 attivati in entrambe le scuole sono state elaborate
esercitazioni su presentazione Power Point di Windows, finalizzate alla rappresentazione
visuo-spaziale dei componenti della frase tramite forme colorate in un progressivo movi-
mento radiale, come viene proposto nel manuale di Sabatini, Camodeca e De Santis.
Per realizzare gli schemi radiali abbiamo utilizzato cerchi, ovali, linee e punti di diverso
colore, il cui valore è stato spiegato agli alunni con le specifiche corrispondenze di rife-
rimento prima di cominciare l’esercitazione al computer. Il blu rappresenta l’argomento
soggetto, il rosso il verbo, l’azzurro l’argomento oggetto diretto e un azzurro più tenue
l’argomento oggetto indiretto, il viola il complemento predicativo inserito nel cerchio ros-
so del verbo; i circostanti sono collegati al costituente cui si legano, mentre le espansioni
della frase sono indicate in arancio. Per evidenziare la sintassi del periodo è stato utiliz-
zato il rosso per indicare il nucleo della frase principale, il doppio cerchio blu e rosso per
indicare le subordinate e il verde per indicare le coordinate. Per segnalare le preposizioni
e le congiunzioni sono stati utilizzati punti colorati, usando il nero su linea continua per la
preposizione, il nero su linea tratteggiata per le congiunzioni subordinanti, il verde per la
congiunzione coordinante.
La modalità ottimale di realizzazione dell’attività, a questo punto della sperimentazione,
segue la seguente evoluzione:

8 Cfr. Raccomandazione 2006/962/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, relativa a competen-
ze chiave per l’apprendimento permanente, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex:32006H0962.
9 Il Nostro ringraziamento va al Dirigente Scolastico Giuseppe Angelo Proserpio dell’IC don Rinaldo Beretta di Paina di Gius-
sano e al Dirigente Scolastico Guido Garlati dell’IIS Mosé Bianchi di Monza per la disponibilità ad accogliere questa speri-
mentazione nei loro Istituti. Ringraziamo inoltre la docente Isabella Gallo dell’IC don Rinaldo Beretta per l’attenzione e la
disponibilità dimostrata e la docente Flora Scherillo, referente per gli alunni stranieri presso l’IIS Mosé Bianchi di Monza.

Insegnare la grammatica 135


1° fase: dalle produzioni scritte degli alunni vengono selezionate frasi che presentano
errori sintattico-grammaticali;
2° fase: è sottoposta all’alunno la frase corretta rappresentata da schemi radiali colo-
rati in movimento;
3° fase: è sottoposta all’alunno la visione dell’evoluzione della struttura radiale della
frase rappresentata dai cerchi colorati, in cui sono presenti solo i verbi ed
eventuali soggetti sottointesi trascritti tra parentesi;
4° fase: è richiesto all’alunno di completare la struttura della frase utilizzando le paro-
le e i sntagmi indicate sotto lo schema radiale da completare;
5° fase: l’alunno riscrive la frase e l’insegnante ripropone all’alunno la frase corretta,
confrontandola con la sua produzione trascritta a mano o in modalità digitale.
Riportiamo a titolo esemplificativo alcune esercitazioni che si sono svolte tra maggio e
dicembre 2015. La sperimentazione è iniziata il 25 maggio 2015 con una prima attività
condotta durante un laboratorio di italiano L2 della durata di un’ora, rivolto a un gruppo
di ragazzi di origine pakistana di 15 anni frequentanti la Scuola secondaria di primo grado
Salvo D’Acquisto di Paina di Giussano, con un livello di competenza dell’italiano L2 che può
essere collocato tra il livello A2 e B1.
Nell’esempio che segue si è proceduto alla correzione della seguente frase prodotta da
uno degli alunni.
Frase di partenza: Mi padre non vuole che frequento questo sport soltanto perché vuole
bene me ha paura che mi faccio male.
Abbiamo riformulato la frase e abbiamo compilato gli schemi radiali secondo il modello
della teoria valenziale. L’alunno ha letto la frase ed è stato guidato oralmente nell’identi-
ficazione degli errori nella frase, attraverso l’osservazione della frase corretta (Mio padre
non vuole che pratico questo sport, soltanto perché mi vuole bene e ha paura che mi faccio
male) nella sua evoluzione radiale (2° fase - figura 1).
Abbiamo poi richiesto all’alunno di osservare l’evoluzione dello schema radiale, in cui sono
stati inseriti solo i verbi e i soggetti sottintesi tra parentesi (3° fase). Abbiamo quindi pro-
posto all’alunno lo schema radiale da compilare con le parole mancanti, che sono stati
indicate sotto lo schema, e con le congiunzioni che, perché ed e, che dovevano essere
inserite in corrispondenza dei punti (4° fase - figura 2).
L’alunno è stato invitato a trascrivere sulla slide successiva la frase che reputava corretta
ed è stato invitato a riflettere sull’uso dei pronomi e delle congiunzioni, sulla punteggiatu-
ra e l’uso del carattere maiuscolo a inizio frase (5° fase).
Nel dicembre 2015 la sperimentazione è stata attivata anche presso la Scuola secondaria
di secondo grado, l’IIS Mosè Bianchi di Monza, nell’ambito di un laboratorio di italiano L2
della durata di due ore organizzato dall’Istituto.
Le attività presentate di seguito si basano su frasi estrapolate dalle produzioni scritte di
due alunni di 16 anni, un alunno proveniente dal Ghana, regolarmente iscritto alla classe
seconda dell’indirizzo Costruzioni, Ambiente e Territorio e residente in Italia da circa tre
anni, e un’alunna ungherese, presente da tre mesi nell’Istituto perché partecipante al Pro-
getto Erasmus, inserita in una classe seconda dell’indirizzo del Liceo Linguistico e dedita
ad uno studio autonomo e personale della lingua italiana; entrambi gli studenti si possono
collocare a un livello B1 di competenza linguistica in italiano.

136
Parte III - Capitolo 12

Osserva!
arg SOGG. VERBO NUCLEI delle causali coordinate
Mio non soltanto arg. OGG. INDIR.
padre vuole perchè e
{lui} ha paura
{lui} vuole bene
arg. SOGG. VERBO arg. OGG. DIR.
arg. SOGG. compl. pred.
che
NUCLEO
ESPANSIONE
VERBO arg. OGG. INDIR.
arg SOGG. arg OGG. DIR. mi oggettiva esplicita
pratichi questo
(io) faccio male
sport
oggettiva esplicita arg. SOGG. compl. pred.

che

Figura 1.

Correggi!
arg. SOGG. VERBO NUCLEI delle causali coordinate
non arg. OGG. INDIR.
vuole
{lui} ha
{lui} vuole
arg. SOGG. compl. pred.
NUCLEO
ESPANSIONE
VERBO arg. OGG. INDIR.
arg. SOGG. arg. OGG. DIR.
oggettiva esplicita
(io) pratichi
(io) faccio
oggettiva esplicita arg. SOGG. compl. pred. arg. OGG. DIR.
arg. SOGG. VERBO

questo sport - mi - soltanto - mio padre -


male - paura - mi - bene

Figura 2.

Durante l’esercitazione oltre al supporto informatico è stato fornito agli alunni un foglio su
cui poter prendere appunti.
Un’attività ha preso le mosse dalla seguente frase prodotta dall’alunna ungherese.
Frase di partenza: Voglio imparare in italiano perfettamente al fine questo anno
Gli alunni sono stati condotti alla riflessione sull’errore e alla sua individuazione durante
la visione dello schema radiale della frase corretta: Per la fine di quest’anno vorrei impa-
rare l’italiano perfettamente (2° fase). Nella fase successiva abbiamo mostrato la strut-

Insegnare la grammatica 137


tura della frase con la sola presenza del verbo e del soggetto sottointeso tra parentesi
(3° fase). Abbiamo richiesto di compilare lo schema radiale (4° fase) e abbiamo notato
che l’alunna, completando lo schema, ha riprodotto lo stesso errore che è stato rilevato
nella sua produzione scritta, legato all’utilizzo scorretto della preposizione in10. Abbiamo
pertanto riproposto la frase corretta (5° fase), per creare l’occasione di poter riflettere
sull’errore, in modo più consapevole favorendo la memorizzazione e la comprensione
della struttura della frase.
Un altro esempio di frase estratta dalle produzioni scritte degli alunni è la seguente, tratta
da un testo prodotto dall’alunno proveniente dal Ghana.
Frase di partenza: Per me, è un piacere a parlare italiano
Abbiamo proposto la ricostruzione corretta della frase (Per me è un piacere parlare italia-
no) nella slide con lo schema radiale di riferimento (figura 3); successivamente l’alunno,
durante l’esercitazione, ha prodotto il suo schema radiale della frase (figura 4).
L’alunno dimostra che, se guidato, riesce a completare in modo corretto lo schema della
frase, inserendo gli elementi richiesti nei cerchi vuoti e proponendo anche una possibile
variante espressiva (parlare l’italiano al posto di parlare italiano della consegna inizia-
le). Tuttavia alla richiesta di scrivere sul foglio la frase, l’alunno ricalca lo stesso errore
prodotto in origine legato all’uso della preposizione a prima della completiva soggettiva.
Riproducendo molto probabilmente il suo pensiero iniziale, rilevabile in una indecisione
nella scrittura presente nel suo elaborato originale in cui aveva cancellato le lettere st
riconducibili alle iniziali del verbo studiare, propone infatti la frase Per me è un piacere a
studiare italiano.
È stato dunque necessario riflettere, attraverso altri esempi, sulla funzione di argomento
soggetto delle completive soggettive, sul loro uso e sulla possibile posizione posposta al
verbo centrale del nucleo.
La correzione dell’errore dovrebbe andare ad incidere proprio sull’uso della L2, per ren-
dere l’alunno più consapevole del proprio percorso linguistico e dello stato del proprio
apprendimento. Occorre quindi intervenire nel caso di riemersione dell’errore andando ad
incidere sul processo cognitivo del discente, fornendogli le giuste strategie di riflessione e
di autocorrezione per progredire e migliorare la propria competenza linguistica.
Proponiamo un ultimo esempio di un’attività che si è basata sulla seguente frase prodotta
dall’alunna di origine ungherese.
Frase di partenza: Mi piace la pasta anche e alla casa mia mangiamo due volte a giorno
Attraverso l’evoluzione dello schema radiale della frase corretta Mi piace anche la pasta
e la mangiamo due volte al giorno a casa mia si è riflettuto sull’ordine delle parole, con
attenzione all’uso di anche, sulla necessità di utilizzare il pronome anaforico la, sull’uso
delle preposizioni e sulla struttura della frase composta.
Gli alunni hanno poi completato gli schemi parzialmente vuoti con le parole indicate e le
preposizioni e le congiunzioni segnalate (a, e); infine hanno trascritto le frasi sul loro foglio
nel modo seguente:

10 Sulla difficoltà nell’uso delle preposizioni da parte degli apprendenti di italiano L2 osserva Camodeca (2011: 7): “Com’è
esperienza diffusa e come è stato evidenziato da vari studi, difficoltà nell’uso delle preposizioni non sono solo frequenti
nei livelli interlinguistici prebasici e basici, causa soprattutto la forte interferenza della L1 […] ma compaiono ancora nei
livelli avanzati, facendo di questa categoria grammaticale un ‘terreno di fluttuazione’”.

138
Parte III - Capitolo 12

Frase prodotta dall’alunna ungherese: Mi piace anche la pasta e la mangiamo due volte al
giorno a casa mia
Frase prodotta dall’alunno ghanese: Mi piace anche la pasta; noi la mangiamo due volte
al giorno a casa mia
Entrambi gli alunni, nel completare gli schemi, omettono la congiunzione e e non collo-
cano le preposizioni al posto giusto in corrispondenza dei punti. L’alunna utilizza poi bene
la congiunzione coordinante e, mentre l’alunno sostituisce la e con un punto e virgola,
trasformando la coordinazione in due frasi giustapposte; anche le preposizioni sono co-
munque usate nel modo corretto.

Osserva!

Per me
è un
piacere compl. pred.

VERBO arg. OGG. DIR.


NUCLEO
parlare italiano

soggettiva implicita posposta

Figura 3.

Correggi!

è
compl. pred.

VERBO arg. OGG. DIR.


NUCLEO
parlare l’

soggettiva implicita posposta


un piacere - italiano - per me

Figura 4.

Insegnare la grammatica 139


Le sperimentazioni si sono concluse con un momento di valutazione dell’attività propo-
sta. Da un dialogo con l’alunno pakistano, frequentante la Scuola secondaria di primo
grado, è emersa la sua soddisfazione nei confronti dell’attività; l’alunno ha considerato
la proposta di insegnamento divertente e riconducibile al modello dei videogiochi della
playstation, una esercitazione che ha contribuito a risvegliare la motivazione del fare,
del provare e del riprovare. Il movimento e il colore lo hanno affascinato al tal punto che
proprio la novità ha contribuito a risvegliare la curiosità, l’interesse e la motivazione.
La situazione risulta differente per gli alunni frequentanti la Scuola secondaria di secondo
grado, avvezzi al regolare utilizzo del mezzo digitale, ma in genere non abituati ad un suo
impiego finalizzato all’apprendimento; l’uso del mezzo digitale, dal punto di vista del di-
scente, sembra infatti strettamente relegato all’aspetto ludico, come abbiamo rilevato da
un questionario di gradimento sottoposto a questi alunni in relazione all’attività svolta11.
Gli alunni sono poi unanimemente concordi nell’affermare che questa modalità di eserci-
tazione contribuisce a rendere più chiara la struttura della frase italiana favorendo la sua
comprensione: la scomposizione della frase in cerchi colorati aiuta a meglio comprender-
ne il significato e a memorizzarla; è un’attività che può essere consigliata a tutti coloro
che hanno difficoltà nella comprensione e sono agli inizi dello studio della lingua italiana.
Apprezzata è stata inoltre la presentazione, ad inizio di ogni esercitazione, della frase
corretta, poiché si impara meglio se si ha anche l’occasione di poter osservare e imitare.

12.5. Osservazioni conclusive


La sperimentazione condotta ha l’obiettivo di guidare l’alunno nel riconoscimento dell’er-
rore nella strutturazione della frase, rendendolo progressivamente sempre più autonomo
nell’identificazione e nella correzione dell’errore stesso. Gli alunni devono essere pertanto
guidati alla competenza dell’imparare ad imparare, in un progressivo lavoro di riflessione
volto all’autocorrezione e all’autovalutazione del proprio errore.
Si è trattato di una sperimentazione che ha potuto stimolare l’insegnante in un percorso
di ricerca-azione volto principalmente alla correzione degli errori dei propri alunni, nella
consapevolezza che lavorare sugli errori significa non solo segnalare gli errori, ma correg-
gerli in modo efficace.
L’esercitazione sperimentata può produrre un effetto altamente positivo nei confronti
dell’apprendimento dell’italiano L2, se ben contestualizzata ed equilibrata rispetto al gra-
do di conoscenza della lingua italiana dell’alunno alloglotto.
Le attività proposte rendono atto del sistema di interlingua degli alunni, fotografando il

11 Il questionario di gradimento sottoposto agli alunni è costituito dalle seguenti domande: 1. Ti è piaciuta questa esercita-
zione al computer?; 2. L’esercitazione è stata troppo lunga?; 3. è divertente svolgere gli esercizi al computer?; 4. Ora ti è
più chiara la struttura della frase italiana?; 5. La scomposizione della frase in cerchi ti aiuta a meglio comprendere il suo
significato?; 6. Pensi che questo tipo di esercitazione sia utile per imparare la lingua italiana?; 7. Consiglieresti questa
esercitazione ad una tua amica / ad un tuo amico?; 8. Preferisci svolgere gli esercizi tradizionali che normalmente ti
assegna l’insegnante in classe?; 9. Hai utilizzato carta e penna durante l’esercitazione?; 10. Hai avuto tempo sufficiente
per svolgere l’esercitazione?; 11. L’insegnante ti ha incoraggiato/a durante l’esercitazione?; 12. Che cosa ti aiuta di più
a ricordare: i colori o il movimento?; 13. Come potresti definire questa esercitazione?; 14. Come dovrebbe essere, se-
condo te, una lezione che ti aiuti veramente ad imparare la lingua italiana? I tuoi suggerimenti e le tue critiche!

140
Parte III - Capitolo 12

livello di apprendimento in evoluzione, e possono essere integrate nella progettazione


di un percorso didattico che metta in coerente relazione obiettivi didattici, abilità e com-
petenze nella prospettiva di una valutazione formativa che valorizzi l’apprendimento rag-
giunto dell’apprendente alloglotto.
Abbiamo anche osservato che gli alunni si affidano ad una compilazione intuitiva degli
schemi proposti, seguono i colori e il movimento, senza porsi il problema della terminolo-
gia grammaticale, e inseguono il senso della frase; questa modalità di lavoro permette così
di passare dalla grammatica alla comprensione e produzione del testo e viceversa.
Abbiamo riscontrato infine la necessità di creare ambienti digitali adeguati, che siano im-
piantati sul principio di una equilibrata ergonomia didattica; occorre infatti che l’ambiente
didattico interattivo ricalchi i processi cognitivi del discente contribuendo ad attivare e
consolidare abilità, competenze e conoscenze (Calvani 2007). È uno dei compiti dell’inse-
gnante stimolare la motivazione dei propri alunni ed equilibrare gli obiettivi di apprendi-
mento creando un ambiente ergonomico cognitivamente attivo per il discente.
Sperimentare nuove vie di insegnamento è dunque rilevante per agevolare anche la gene-
razione dei nativi digitali alloglotti e contribuire nello stesso tempo a integrare la didattica
dell’italiano L2 con l’introduzione di una didattica innovativa. L’italiano L2 è una materia
che deve diventare campo di sperimentazione pari a tutte le altre discipline per favorire
l’apprendimento anche attraverso lo sviluppo della competenza digitale.

Riferimenti bibliografici
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Insegnare la grammatica 141


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142
Parte III - Capitolo 13

13. Teorie linguistiche e insegnamento della grammatica


Giorgio Graffi
Tratto da Favilla M.E., Nuzzo E. (a cura di), 2015,
Grammatica applicata: apprendimento, patologie, insegnamento, Bergamo Aitla,
open access http://www.aitla.it/primopiano/studi-aitla-2/

13.1. Il dibattito sull’insegnamento della grammatica negli anni ’70


Chi scrive non ha un cattivo ricordo degli anni ’70 del secolo scorso, forse perché la sua
data di nascita lo pone nella stessa situazione della vecchia marchesa francese che, nell’e-
poca della Restaurazione, diceva che l’anno più bello della sua vita era stato il 1793, e, alla
sbigottita reazione della sua giovane dama di compagnia che esclamava «Ma allora c’era il
Terrore!», rispondeva pacifica: «È vero, però avevo vent’anni». A parte comunque questo
dettaglio personale, mi piace ricordare che quella fu un’epoca di espansione della demo-
crazia (ricordiamo, tra l’altro, la caduta delle dittature in Grecia, Spagna, Portogallo) e di
grande crescita delle forme di protezione sociale (in Italia, ci furono lo Statuto dei Lavora-
tori e la riforma sanitaria). Certo, non si può dimenticare che, nel nostro paese, gli anni ’70
furono anche i tristi “anni di piombo”; e che in molti casi il furore ideologico finì col trasfor-
marsi in quello che un giornalista conservatore definì, anni dopo, «carnevale ideologico».
Io non concordo affatto con le posizioni che in quest’ultima definizione si riconoscono: e
trovo comunque preferibile il «carnevale ideologico» alla triste “crisi delle ideologie” che
caratterizza questo inizio di millennio; anzi, più che di crisi delle ideologie si dovrebbe
parlare del dominio di quella che potremmo chiamare “ideologia del mercato”, che si è
surrettiziamente imposta anche grazie a tanti intellettuali e strumenti di comunicazione
un tempo definiti “di sinistra”. Tuttavia, venendo all’argomento di questa relazione, non
si può negare che il furore ideologico abbia prodotto qualche danno anche nel campo di
cui vorrei occuparmi, ossia l’insegnamento della grammatica, che veniva ad essere consi-
derato inutile e anzi, in certi casi, dannoso. Così infatti scriveva un documento che ebbe
un’importanza epocale, ossia le Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica del GI-
SCEL (“Gruppo per l’Intervento e lo Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica”) appar-
se nel 1975 e subito destinate ad avere un largo impatto, in particolare tra gli insegnanti
seriamente preoccupati della formazione dei propri allievi in funzione del riscatto e della
promozione sociale. La settima tesi, infatti, al punto Db sosteneva quanto segue:
Se anche le grammatiche tradizionali fossero strumenti perfetti di conoscenza scientifica,
il loro studio servirebbe allo sviluppo delle capacità linguistiche effettive soltanto assai
poco, cioè solo per quel tanto che, tra i caratteri del linguaggio verbale c’è anche la ca-
pacità di parlare e riflettere su se stesso […]; pensare che lo studio riflesso di una regola
grammaticale ne agevoli il rispetto effettivo è, più o meno, come pensare che chi meglio
conosce l’anatomia delle gambe corre più svelto, chi sa meglio l’ottica vede più lontano,
ecc. (cit. da Colombo, 1979: 82).
Le tesi del GISCEL avevano uno scopo nobilissimo: stimolate anzitutto dal pensiero e
dall’azione di Don Lorenzo Milani e della sua Scuola di Barbiana, esse erano il portavoce di

Insegnare la grammatica 143


chi aspirava a fare della scuola italiana non la scuola che insegna a chi già sa (com’era, in
buona parte, fino ad allora), ma che vuole insegnare a chi ha bisogno di sapere. In partico-
lare, la loro attenzione si rivolgeva al primo veicolo del sapere, cioè la lingua madre, della
cui conoscenza erano sprovvisti in tutto o in parte, ancora negli anni ’70, molti dei ragazzi
che frequentavano la scuola dell’obbligo, ma provenivano da famiglie esclusivamente dia-
lettofone o quasi. A questo scopo, la grammatica certamente era di ben scarso aiuto, e in
particolar modo la cosiddetta “grammatica tradizionale”, che era inoltre alquanto carente
dal punto di vista dell’attendibilità scientifica, come la tesi citata correttamente rilevava.
Ma che cos’è e cosa si intendeva esattamente con “grammatica tradizionale”? Nei termini
in cui M. G. Lo Duca riassumeva la questione, una trentina d’anni più tardi,
L’addestramento grammaticale degli allievi aveva […] il suo fulcro proprio nel riconoscimento delle
diverse categorie e sotto categorie di cui si compone la lingua, e nel riconoscimento delle diverse
possibili combinazioni di tali categorie in strutture di varia complessità. È a quest’insieme di prati-
che grammaticali tradizionali – comunemente designate con “analisi grammaticale”, “analisi logica” e
“analisi del periodo” – che ci si riferisce di solito quando si usa l’espressione di modello “tradizionale”
(Lo Duca, 2003: 143).

Tra le carenze del “modello tradizionale” Lo Duca (2003: 145) segnala le seguenti:
[…] l’assenza di speciale considerazione per il lessico e per la semantica; l’assenza […] della fondamen-
tale distinzione tra complementi necessari (o nucleari) e complementi facoltativi (o circostanziali) […];
la totale disattenzione per il problema delle funzioni della lingua, che ha impedito di “vedere” certi
fenomeni grammaticali particolarmente interessanti quali […] la relazione esistente tra la struttura
informazionale delle frasi e l’ordine delle parole, quindi la differenza tra io compro il libro, il libro lo
compro io e lo compro io, il libro; l’assenza di considerazioni sociolinguistiche […]; la scarsa considera-
zione per fenomeni grammaticali che interessino frammenti di lingua superiori alla frase o al periodo,
quali l’anafora o i connettivi testuali, compresi, questi ultimi, nella assai vaga e incerta categoria delle
“congiunzioni coordinanti”.

Quindi la posizione del GISCEL sembrava perfettamente corretta: la grammatica tradizio-


nale era un corpus di dottrine inadeguato alla trattazione del suo stesso oggetto, cioè la
struttura e le funzioni della lingua, e perciò risultava del tutto inutile, se non dannosa,
all’insegnamento della lingua madre (e anche delle lingue straniere, possiamo aggiunge-
re). Queste considerazioni spinsero, in molti casi, all’abbandono totale dell’insegnamento
grammaticale. Cito ancora una volta Lo Duca (2003: 147-148):
Le risposte alla pioggia di critiche che da ogni parte si abbattevano sull’insegnamento grammaticale
tradizionale furono diverse. Molti insegnanti, disorientati e contemporaneamente del tutto impre-
parati a sostituire lo strumentario grammaticale tradizionale con modelli più aggiornati, preferirono
rinunciare. Piuttosto che insegnare nozioni e concetti sgangherati e anacronistici puntarono su altri
obiettivi dell’educazione linguistica su cui si sentivano più preparati, tralasciando, del tutto o in parte,
la grammatica.

Più tardi, tuttavia, si ebbe l’impressione di aver buttato via il bambino con l’acqua sporca.
Ma che cos’era l’acqua sporca e che cos’era il bambino? Ossia, che cosa c’era di sbagliato
nell’insegnamento grammaticale tradizionale e che cosa invece c’era di utile e quindi bi-
sognoso di essere conservato, sia pure con scopi e metodi nuovi? In realtà, già in quegli
stessi anni ’70 alcuni linguisti avevano suggerito una possibile risposta; qui mi limiterò a

144
Parte III - Capitolo 13

citare G. Cinque e M. T. Vigolo, ma su questa linea si muovevano anche altri studiosi, tra
cui in particolare Lorenzo Renzi:
Se la grammatica può avere una funzione nell’apprendimento della lingua, l’ha solo a un livello molto
più avanzato, quando ad esempio si possono stabilire confronti tra lingua scritta e lingua parlata, tra
i vari stili o linguaggi settoriali. Tutto questo però, come abbiamo già osservato, presuppone una co-
noscenza base di italiano standard parlato che si deve ottenere con altri mezzi. Dove invece l’insegna-
mento della grammatica può avere un compito importante e forse nuovo è in un’attività di riflessione
sul linguaggio. Alla media e alle superiori siamo stati finora abituati a riflettere su varie cose: fisiologia,
fisica, biologia, ecc. Non si vede perché una qualche riflessione sul fenomeno del linguaggio debba
essere completamente trascurata. L’insegnamento della grammatica potrebbe offrire uno spunto in
questo senso (Cinque & Vigolo 2007 [1975]: 3).

La grammatica non serve dunque a parlare, leggere o scrivere («tranne che a un livello
molto più avanzato», come scrivono Cinque e Vigolo; v. comunque le interessanti osser-
vazioni e proposte contenute in Serianni, 2006; Serianni, 2010: cap. 6), ma a riflettere sul
linguaggio, cioè sull’esperienza intellettuale più immediata e fondamentale della specie
umana. È interessante notare che questa posizione ha un precedente molto illustre in un
linguista della prima metà del Novecento:
A great many people seem to think that the study of grammar is a very dry subject indeed, but that it
is extremely useful, assisting the pupils in writing and in speaking the language in question. Now I hold
the exactly opposite view. I think that the study of grammar is really more or less useless, but that it
is extremely fascinating. I don’t think that the study of grammar, at least in the way in which grammar
has been studied hitherto, has been of very material assistance to any one of the masters of English
prose or poetry, but I think that there are a great many things in grammar that are interesting and that
can be made interesting to any normal schoolboy or schoolgirl (Jespersen, 1910: 530).

Una volta però chiariti lo scopo e la possibile utilità della grammatica, rimane aperto il
problema di quale grammatica insegnare. Questa era la domanda che si ponevano Cinque
e Vigolo (loc. cit.), che proseguivano così: «Quella puristica tradizionale accoppiata all’a-
nalisi logica? Oppure i testi modernizzanti che riecheggiano i risultati e le soluzioni delle
teorie linguistiche più recenti?». Nel resto di questo lavoro, proverò a dare una risposta a
tale domanda.

13.2. Quale modello grammaticale scegliere?


A mio avviso, il punto di partenza non può essere che la grammatica tradizionale, che è
carente sotto molti punti di vista, come quelli ricordati nel paragrafo precedente, ma che
contiene comunque molti concetti tuttora imprescindibili. Questa era del resto l’opinione
di Cinque e Vigolo nel saggio già citato:
Ciò che rimane ancora valido […] riguarda il tipo di categorie grammaticali che le grammatiche tradi-
zionali ci hanno trasmesso. Queste categorie sono tutt’altro che ‘superate’ come da alcuni si vuol far
credere, sfruttando a sproposito certi risultati delle teorie moderne. Categorie come ‘nome’, ‘verbo’,
‘aggettivo’, ‘soggetto’ o classificazioni di frasi come ‘frasi relative, concessive’ e così via, sono ancora
utili se non altro come denominazioni di oggetti, in questo caso linguistici, di cui servirsi eventualmen-
te nell’apprendimento di una lingua straniera o su cui in qualche modo riflettere (Cinque & Vigolo 2007
[1975],: 3).

Insegnare la grammatica 145


Inoltre, come osservava Renzi (1977: 22), “la grammatica tradizionale [..] fornisce pratica-
mente la base, il terreno d’intesa [...] per ogni discussione”. Infatti, la terminologia della
grammatica tradizionale (pur con le differenze proprie di ogni tradizione nazionale: si pen-
si, ad es., ad attribut francese che corrisponde non ad ‘attributo’, ma a ‘predicato’ in ita-
liano) è generalmente condivisa, mentre quella delle varie teorie linguistiche “moderne”
è spaventosamente diversificata, spesso per indicare le stesse entità. Questa differenza di
statuto terminologico si riconduce ad una differenza più essenziale tra la grammatica tra-
dizionale e i vari tipi di linguistica “moderna” dall’altro; come scrive Colombo (2012: 22):
Il termine linguistica moderna è puramente convenzionale: a differenza di grammatica tradizionale,
non indica un corpo abbastanza compatto di presupposti e di idee cresciuto linearmente nel tempo,
ma un insieme non omogeneo di teorie e ricerche sviluppatesi a partire dai primi del Novecento, a
volte in conflitto fra loro, a volte ignorandosi.

La strada sembra dunque quella indicata da Lo Duca (2003: 163), ossia, come già proposto
una ventina d’anni prima da M. Berretta e G. Berruto, quella di «un ragionato e critico
eclettismo». È proprio all’insegna di un tale eclettismo che, con alcuni colleghi, abbiamo
pubblicato una serie di brevi volumi intitolata proprio Grammatica tradizionale e lingui-
stica moderna (Colombo, 2012; Ferrari, 2012; Graffi, 2012; Prandi, 2013; Salvi, 2013; Ac-
quaviva, 2013; Squartini, di prossima pubblicazione). Il punto di partenza comune a tutti
questi volumi è rappresentato dalla grammatica tradizionale: come testi di riferimento di
quest’ultima sono stati utilizzati in primo luogo le opere più complete e complesse, ossia
Fornaciari (1882; 1884) e Serianni (1989). Oltre a queste, gli autori dei diversi volumi han-
no più o meno occasionalmente citato grammatiche scolastiche pubblicate, normalmen-
te, nell’ultimo mezzo secolo. I problemi affrontati sono sostanzialmente di due tipi: da un
lato, si è cercato di integrare e correggere le nozioni tradizionali che si mostrassero carenti
nella loro motivazione o nella loro definizione; dall’altro, si è cercato di dare conto di feno-
meni linguistici normalmente trascurati dalla grammatica tradizionale, o trattati in modo
sommario. Nella prossima sezione fornirò alcuni esempi di problemi dell’uno e dell’altro
tipo e delle soluzioni proposte.

13.3. Esame di alcuni casi


13.3.1. Le parti del discorso
Il punto di partenza non poteva che essere la classificazione della grammatica tradizionale
(per l’italiano, nove parti del discorso: nome, aggettivo, articolo, pronome, verbo, avver-
bio, preposizione, congiunzione, interiezione), per poi eventualmente proporne una cor-
rezione (cf. Salvi, 2013: p. 15). Questa correzione si rende necessaria per più motivi; uno
di essi è che le parti del discorso sono definite, nella grammatica tradizionale, in base a tre
criteri, che non sempre danno risultati soddisfacenti:
1. Il criterio nozionale (o semantico) individua le parti del discorso in base al significato delle parole;
2. il criterio morfologico individua le parti del discorso in base alla flessione delle parole;
3. il criterio sintattico-funzionale individua le diverse parti del discorso in base alle funzioni che le pa-

146
Parte III - Capitolo 13

role svolgono nella struttura della frase o in base alla loro distribuzione sintattica (Salvi, 2013: 16).

Il criterio nozionale è prevalentemente usato, nella grammatica tradizionale, per definire


le parti del discorso “variabili”, in particolare nomi, verbi e aggettivi: si dice infatti che «i
nomi sono normalmente usati per indicare entità come persone, animali o cose (papà,
gatto, auto), gli aggettivi qualificativi per indicare proprietà di queste entità (buono, ros-
so, veloce) e i verbi per indicare eventi […]» (Salvi, 2013: 17). La debolezza di questo
criterio è però evidente, una volta che ci si rifletta un po’:
[…] uno stesso aspetto del reale può essere espresso con parti del discorso diverse: per es. la proprietà
di essere ‘bianco’, oltre che dall’aggettivo bianco, può essere espressa anche dal nome bianchezza e
dal verbo biancheggiare; l’evento di ‘correre’, oltre che dal verbo correre, può essere espresso anche
dal nome corsa, ecc. (ibidem).

Si può allora pensare di ricorrere al criterio morfologico (come infatti fa la grammatica


tradizionale). Ma anche in questo caso ci troviamo di fronte a difficoltà, dato che tale cri-
terio non solo è inapplicabile nelle lingue in cui la flessione non esiste, come il cinese, ma
è insufficiente anche per lingue come l’italiano, in cui quattro parti del discorso (avverbi,
preposizioni, congiunzioni e interiezioni) sono morfologicamente invariabili, ed esistono,
anche all’interno delle parti variabili, lessemi invariabili («per es. nomi come casinò o crisi
e aggettivi come pari»; Salvi 2013: 18-19). Occorrerà dunque ricorrere al criterio sintat-
tico-funzionale. A questo fine, però, è necessario introdurre alcune nozioni solitamente
assenti dalla grammatica tradizionale, ossia quella di sintagma (o gruppo di parole), di
predicatore e di argomenti. La prima di esse è assente dalla grammatica tradizionale (ma
non da quella di Serianni, 1989), in quanto quest’ultima in genere riconosce due soli tipi
di entità, a livello sintattico, ossia la parola e la frase. Il sintagma poi manifesta anche una
struttura interna, in quanto «le diverse parole che compongono un sintagma non stan-
no tutte sullo stesso piano» (Salvi, 2013: 21). Ad es., entrano tre gatti è perfettamente
accettabile, mentre *entrano tre calli è perlomeno bizzarro: la ragione del contrasto «è
evidentemente dovuta alla scelta di calli, e non a quella di tre» (ibidem). «Calli» (o «gat-
ti») è dunque la testa del sintagma, cioè l’elemento che ne caratterizza le proprietà. Per
quanto riguarda le nozioni di predicatore e di argomento, osserviamo che una frase può
essere considerata come la descrizione di un evento in cui sono coinvolti uno o più parte-
cipanti (“attanti”): l predicatore […] è «l’espressione che realizza l’evento»; gli argomenti
«le espressioni che realizzano gli attanti» (Salvi, 2013: 22). Il predicatore non coincide con
il predicato: in una frase, «uno degli argomenti viene prima scelto come l’argomento sa-
liente, e l’evento viene presentato in riferimento ad esso» (Salvi, 2013: 24). L’«argomento
saliente» è il soggetto; il predicato è «quella parte della frase che viene riferita al soggetto
preso come punto di partenza nella presentazione dell’evento» (ibidem). Così, in una frase
come i miei amici accarezzano il gatto, «i miei amici» è il soggetto, «accarezzano» il pre-
dicatore, e «accarezzano il gatto» il predicato. «Le frasi hanno quindi anche una struttura
soggetto-predicato (Salvi, 2013: 23-24). «La relazione tra predicatore e argomenti costi-
tuisce la struttura portante della frase. Su questa si innestano altre relazioni secondarie
che realizzano la funzione attributiva» (ibidem). Sulla base di queste nozioni, è possibile
ridefinire nome, verbo ed aggettivo come segue:

Insegnare la grammatica 147


1. Il nome è quella parte del discorso che fornisce la testa dei sintagmi che fungono da argomenti;
2. il verbo è quella parte del discorso che funge da predicatore;
3. l’aggettivo è quella parte del discorso che fornisce la testa dei sintagmi che fungono da attributo
di un nome (Salvi, 2013: 25-26).

(In realtà, per quanto riguarda l’aggettivo la definizione deve essere integrata per rendere
conto di altre funzioni di tale parte del discorso, ossia quella attributiva appositiva, come
buon in il buon Carlo, e quella argomentale, come americana in la vittoria americana. Per
maggiori dettagli, v. Salvi 2013: 46-47).
Ricorrendo dunque al criterio sintattico-funzionale, opportunamente integrato con le no-
zioni appena introdotte, è possibile dare una definizione di nome, verbo ed aggettivo che
non incorre nelle difficoltà di quelle tradizionali, siano esse di tipo nozionale oppure di
tipo morfologico.

13.3.2. La nozione di soggetto


La grammatica tradizionale definisce il soggetto come «colui che compie l’azione» o come
«ciò di cui parla il predicato» (Serianni, 1989: 89). A queste definizioni si oppongono però
numerosi esempi. In particolare, in frasi come Maria capisce la matematica o Maria ha
subito molti torti, il soggetto Maria non può essere certamente definito come colui che
compie l’azione. Certamente, la definizione del soggetto come «ciò di cui parla il predica-
to» resta valida anche per queste frasi; ma essa non è però valida per frasi come A Maria
piace la matematica oppure Nel giardino ci sono erbe e fiori. Infatti, nella prima delle due
ciò di cui parla il predicato è Maria, e nella seconda, il giardino. Anche il secondo tipo di
definizione del soggetto (che, in realtà, è cronologicamente il più antico) si rivela dunque
insoddisfacente. Certo, la grammatica tradizionale individua correttamente il soggetto in
tutte queste frasi (Maria nelle prime due, la matematica nella terza, erbe e fiori nella quar-
ta), ma non ne dà una definizione adeguata. Il problema sta nel fatto che essa identifica la
nozione sintattica di soggetto con quella semantica di agente e con quella comunicativa
(o informazionale) di tema (= «ciò di cui si parla»); tali nozioni, pur essendo in molte frasi
(come Maria ha picchiato Paolo) espresse dalla stessa parola o dallo stesso sintagma, sono
intrinsecamente diverse, e quindi, come accade nelle frasi citate, possono essere espresse
da entità diverse: ad es. in A Maria piace la matematica il soggetto è «la matematica»,
mentre «Maria» è il tema. Occorre quindi trovare una definizione di soggetto che sia di
tipo puramente sintattico. Adattando alla nostra terminologia la definizione che si legge in
Jespersen (1927: 206-207), diremo dunque che il soggetto è l’argomento «che si accorda
con il verbo in persona e in numero» (Graffi, 2012: 74).

13.3.3. Tipi di complementi


Il termine stesso di complemento sembra suggerire che si tratti di un’entità non stretta-
mente necessaria, a differenza del soggetto e del predicato; quindi tutti i complementi,
compreso il complemento oggetto, sarebbero elementi accessori della frase. Una tale con-
cezione dei complementi appare però abbandonata già da Fornaciari (1884: xi), il quale
definisce il soggetto, il predicato e l’oggetto «elementi principali» della frase, e li distacca

148
Parte III - Capitolo 13

dai complementi, a loro volta distinti in «attributivi» ed «avverbiali». Una posizione simile,
sia pure in modo meno chiaro, è assunta anche da Serianni (1989: 98). Entrambe le gram-
matiche tradizionali più autorevoli, dunque, suggeriscono una gerarchia all’interno della
frase, e in particolar modo tra i diversi tipi di complementi. Questi suggerimenti vanno
però ulteriormente definiti: in particolare, come osserva Prandi (2013: 27-28), commen-
tando il passo di Fornaciari a cui abbiamo fatto riferimento, «le determinazioni accessorie,
a loro volta, non formano “una selva infinita” […], ma si dispongono in una gerarchia di
strati diversi». Si tratta ora di definire più esattamente questa gerarchia.
Una delle distinzioni più importanti introdotte dalla linguistica moderna è proprio la di-
stinzione tra complementi necessari (o nucleari) e complementi facoltativi (o circostan-
ziali), introdotta a partire da Tesnière (1959). La distinzione fondamentale tra elementi
nucleari e circostanziali si basa sulla obbligatorietà dei primi contrapposta alla facoltatività
dei secondi:
(1) Ieri Mario ha incontrato Gino
(2) *Ieri Mario ha incontrato
(3) Mario ha incontrato Gino
(4) Mario ha dato un libro a Maria
(5) *Mario ha dato un libro
Gli esempi (1)-(5) ci mostrano che gli elementi nucleari sono il soggetto, il complemen-
to oggetto e il complemento di termine dell’analisi logica tradizionale: con l’aggiunta di
quest’ultimo, essi corrispondono dunque agli «elementi principali» già riconosciuti da
Fornaciari. Tutti gli altri complementi indiretti sono quindi dei circostanziali; tuttavia, essi
non formano semplicemente la «selva infinita» di Fornaciari, ma presentano al loro inter-
no un’ulteriore gerarchia, in quanto costituiscono dei margini di vario tipo: margini del
processo (ossia circostanziali in senso stretto), margini del predicato e modificatori del
verbo (cf. Prandi, 2013: 33). Questi tre tipi di margini possono essere esemplificati come
segue (cf. Prandi 2013, pp. 43-45):
Margini del processo (“circostanziali” in senso stretto):
(6a) Ieri all’alba, il camion dei pompieri ha tamponato l’utilitaria di mio fratello
(6b) Il camion dei pompieri ha tamponato l’utilitaria di mio fratello; (questo) è accaduto
ieri all’alba
Margini del predicato:
(7a) Giulio ha potato le rose con queste forbici
(7b) Giulio ha potato le rose; (Giulio) l’ha fatto con queste forbici
(7c) *Giulio ha potato le rose. È accaduto con queste forbici
Modificatori del verbo:
(8a) La palla ha colpito il palo con violenza
(8b) *Il calciatore ha colpito a morte la palla
Come si vede, i margini del processo possono essere “staccati” dal resto della frase e col-

Insegnare la grammatica 149


locati in un’altra frase il cui verbo è accadere (cf. 6a vs. 6b); i margini del predicato devono
invece comparire in una frase il cui predicato è fare (cf. 7b vs. 7c); infine, i modificatori del
verbo si caratterizzano per il fatto di essere utilizzabili con certi verbi, ma non con altri, in
relazione al significato dei verbi stessi e dei loro argomenti (per es., in (8) il modificatore a
morte è utilizzabile sono con un oggetto animato). La gerarchia strutturale della frase può
essere dunque riassunta come segue:
Il soggetto e i principali complementi del verbo sono relazioni grammaticali vuote, definite sulla base
della loro forma e della loro posizione nella struttura grammaticale della frase. Il soggetto, ad esempio,
è un’espressione nominale che concorda con la forma verbale finita del predicato; il complemento
oggetto è un’espressione nominale, secondo argomento di un verbo transitivo, che diventa soggetto
in una frase passiva. Le relazioni grammaticali non hanno un contenuto proprio, ma lo ricevono di volta
in volta dal verbo: così, il soggetto di cucinare è un agente, quello di soffrire un paziente. […] I margini,
viceversa, sono innanzitutto relazioni concettuali: ad esempio, la causa, il fine, il tempo e il luogo. Le
forme di espressione hanno la funzione strumentale di renderli riconoscibili (Prandi, 2013: 34).

13.3.4. Tipi di frase: le “frasi marcate”


Questo paragrafo e il successivo riguardano problemi del secondo tipo tra quelli elen-
cati sopra (§ 2, fine), ossia fenomeni grammaticali poco trattati, se non trascurati, dalla
grammatica tradizionale. Uno di tali fenomeni è quello delle cosiddette frasi marcate, che
sono quelle in cui l’ordine delle parole appare diverso da quello canonico dell’italiano,
ossia Soggetto-Verbo-Complemento (cf. Ferrari, 2012: 18, con riferimento a Salvi & Va-
nelli 2004): Piero mangia la minestra è dunque un esempio di frase sintatticamente non
marcata, La minestra, la mangia Piero oppure Piero la mangia, la minestra sono esempi di
frasi sintatticamente marcate. Nella linguistica moderna, le frasi marcate dell’italiano sono
normalmente ricondotte alla seguente tipologia (cf. Ferrari, 2012: 19-21):
Frasi con soggetto posposto al verbo:
(9) Ha telefonato Piero
Frasi con dislocazione a sinistra e con altri tipi di spostamento a sinistra:
(10) Piero, non lo vedo mai
(11) Questo signore, Dio gli ha toccato il cuore (Manzoni)
Frasi con dislocazione a destra:
(12) (L’) Ho dato a Maria, l’anello
Frasi scisse:
(13) È Gianni che parlerà stasera alla cittadinanza
Alle frasi marcate le grammatiche dell’italiano hanno dato poca importanza, in quanto
esse caratterizzano soprattutto l’italiano parlato, cioè una varietà solitamente trascurata
dalle grammatiche tradizionali. Non bisogna però pensare che questi tipo di frasi sia un fe-
nomeno relativamente recente dell’italiano: esse sono infatti attestate fin dall’italiano del-
le origini (si pensi al Sao ke kelle terre, per quelli fini che ki contene ecc. dei Placiti Capuani).
Il fatto che siano trascurate dalle grammatiche dell’italiano è, come osserva Ferrari (2012:
73), «sostanzialmente una storia di esclusione: tali strutture sono state di volta in volta o

150
Parte III - Capitolo 13

ignorate, o considerate come errori». Probabilmente a questa esclusione ha contribuito


anche la mancanza, nel quadro della grammatica tradizionale non solo italiana, di un pre-
ciso riconoscimento dello statuto delle frasi marcate; come osserva ancora Ferrari (2012:
36), «diversamente da quanto assumono le grammatiche tradizionali, le frasi marcate non
sono manifestazioni marginali e contingenti della parole, che non appartengono alla nor-
ma grammaticale, e non sono neppure meccanismi da affrontare nella retorica, mescolati
con altri fenomeni più puntuali che interrogano l’ordine delle parole non usuale». Perché
le frasi marcate venissero riconosciute come strutture sintattiche dotate di uno statuto
proprio si sono dovuti aspettare gli anni ’30 del Novecento, con la scuola di Ginevra (in
particolare Bally) da un lato, e la scuola di Praga (in particolare Mathesius) dall’altro. Nella
prospettiva di Bally, le frasi marcate «rappresentano una delle tre forme caratteristiche
dell’enunciazione, andando ad affiancarsi alle “frasi coordinate” e alla “frasi legate”» (Fer-
rari, ibidem). Queste correnti della linguistica moderna hanno dunque permesso di dare
un riconoscimento esplicito a strutture sintattiche che la tradizione grammaticale italiana
aveva, di fatto, emarginato.

13.3.5. Coordinazione, testo e periodo


L’ultimo caso che vorrei discutere in un certo senso coniuga uno dei problemi del primo
tipo tra quelli accennati alla fine del § 2, ossia l’integrazione e la correzione di alcune anali-
si della grammatica tradizionale, con uno del secondo tipo, ossia l’allargamento dell’analisi
a fenomeni che la grammatica tradizionale ha abitualmente trascurato. In particolare, mi
riferirò alla classe di parole nota come congiunzioni, per esaminare se tutti gli elementi
che varie grammatiche tradizionali vi hanno collocato siano in realtà dello stesso tipo:
come si vedrà, una soluzione adeguata potrà venire soltanto aggiungendo alle nozioni
tradizionali di frase e periodo quella più moderna di testo.
Partiamo ancora una volta dalla definizione dei vari tipi di formazione del periodo che
troviamo in una grammatica tradizionale:
Seguendo la partizione e la terminologia più tradizionali e diffuse, possiamo distinguere tre diversi tipi
di relazione fra due o più proposizioni di un periodo:
I. Coordinazione (o paratassi). […]
II. Subordinazione (o ipotassi). […]
III. Giustapposizione (o asindeto).
(Serianni, 1989: 529-531).

Una volta date queste definizioni, Serianni prosegue dando questo esempio di «relazione
tra frasi in un periodo»:
(14) Chi è? te lo dico io chi è! è un perfetto imbecille! [da Lessico famigliare di N. Ginzburg]
A proposito di questo esempio, Colombo (2012: 20) osserva che «[…] molti indizi potreb-
bero spingere ad assegnare a periodi diversi almeno le due prime frasi: la prima è inter-
rogativa e la seconda esclamativa, e il soggetto cambia». Colombo si domanda «che cosa
potrebbe impedire, a questo punto, di vedere un unico periodo […] in tutto un capitolo
di Lessico famigliare». Il problema sta dunque nel fatto che l’unità linguistica di maggiore
estensione riconosciuta dalla grammatica tradizionale è il periodo, mentre esistono rela-

Insegnare la grammatica 151


zioni grammaticali che superano i confini del periodo, e caratterizzano, appunto, il testo.
Lascio ancora la parola a Colombo (2012: 20-1):
Probabilmente questa dilatazione dell’idea di periodo dipende da due fattori: dal non concepire nes-
suna unità di analisi al di sopra del periodo […] e dalla concezione della frase come «unità minima di
comunicazione dotata di senso compiuto» […]. […] La linguistica della seconda metà del Novecento
ha elaborato la nozione di testo fondata appunto su questa trama di riferimenti, dal ritorno di oggetti
e temi del discorso che stabiliscono una continuità di periodo in periodo e assicurano una certa unità
e compiutezza di senso […]. Si tratta comunque di una continuità testuale, che si vale anche di mezzi
grammaticali (ad esempio i pronomi), ma è di natura diversa dalla unità sintattica che chiamiamo fra-
se, inclusa la frase complessa o periodo. Nel primo caso parleremo di coesione testuale, nel secondo
di legami strutturali all’interno del periodo, quali la coordinazione e la subordinazione.

Distinguendo il periodo dal testo, è possibile anche mettere un po’ d’ordine nell’elenco
degli elementi definiti come congiunzioni coordinanti. Come ricorda Colombo (2012: 53),
mentre Fornaciari «restringeva le “congiunzioni primitive o propriamente dette” a e, o,
ma per le coordinanti […] Nelle grammatiche della seconda metà del Novecento la lista
si arricchisce di elementi e di categorie». Una grammatica recente (Lo Duca & Solarino,
2004: 40), ad es., distingue tra congiunzioni coordinanti a) «additive o copulative»: e, (e)
anche, (e) pure, inoltre, per di più, né, (e) neanche, (e) nemmeno; b) «disgiuntive» (o, op-
pure, altrimenti, in caso contrario); c) «correlative» (o...o, e...e, sia...sia, né...né, non solo...
ma anche, da una parte... dall’altra); d) «avversative» (ma, però, d’altra parte, tuttavia,
anzi, piuttosto); e) «dichiarative o esplicative» (cioè, ossia, ovvero, vale a dire, infatti); f)
«conclusive» (così, pertanto, quindi, dunque, allora, ebbene, perciò). Questa lista, prose-
gue Colombo, contiene in realtà elementi abbastanza eterogenei, come possiamo notare
dal loro comportamento sintattico, in particolare per quanto riguarda l’ordine delle parole
e le possibilità o meno di cooccorrenza. Si noti, ad es., che una congiunzione come ma
deve sempre apparire all’inizio della seconda frase coordinata, mentre due “congiunzioni”
come però e inoltre possono ricorrere anche in altre posizioni (da Colombo, 2012: 54-55):
(15) Tentavo di scherzare ma il sorriso si spegneva presto tra le barbe lunghe e sporche.
(Rigoni Stern)
(16) *Tentavo di scherzare, il sorriso ma si spegneva presto tra le barbe lunghe e sporche.
(17) Tentavo di scherzare, però il sorriso si spegneva presto tra le barbe lunghe e sporche.
(18) Tentavo di scherzare, il sorriso però si spegneva presto tra le barbe lunghe e sporche
Dal punto di vista delle possibilità di cooccorrenza, mentre è chiaro che e, o e ma non
possono mai ricorrere insieme (*Ho incontrato Gianni, ma e non gli ho detto niente; come
osserva Colombo, 2012: 60, e/o non è l’unione di due congiunzioni, ma una diversa con-
giunzione), esse possono ricorrere assieme ad altre “congiunzioni coordinanti” della lista
di Lo Duca & Solarino (2004):
(19) Alcuni esseri viventi, come i batteri o i protozoi, sono formati da una sola cellula e
perciò sono detti organismi unicellulari. (Universo scienze)
(20) Portano via dunque i rifiuti delle fogne, ma anche concimi e diserbanti dalle campa-
gne. (Orizzonti)

152
Parte III - Capitolo 13

Colombo propone dunque di riservare il termine congiunzioni coordinanti alle tre «con-
giunzioni primitive propriamente dette» di Fornaciari, ossia e, o e ma, e di chiamare le
altre avverbi connettori. Altre terminologie possono essere utilizzate: ad es. Prandi (2013)
parla di «avverbi anaforici» per riferirsi ad espressioni come quindi, ecc. L’adozione di una
terminologia standard è un fatto importante e non può essere trascurato, soprattutto ai
fini didattici; in ogni caso, il primo passo da compiere è una classificazione più adeguata
delle varie parole finora genericamente collocate nella classe delle congiunzioni, e a que-
sto fine è fondamentale, come si è visto, la distinzione tra testo e periodo.

13.4. Perché, come e quando insegnare la grammatica?


Alla prima di queste domande si può rispondere con alcune considerazioni svolte da due
dei maggiori esperti italiani nel campo dell’educazione linguistica. Secondo Lo Duca (2003:
167), […] «la riflessione sulla lingua – questa volta potremmo dire sulla grammatica della
lingua» può
svolgere un ruolo importante nel migliorare le abilità cognitive di base. […] Qui basti dire che a nostro
parere questo fine, vale a dire l’addestramento dei meccanismi cognitivi di base, basterebbe da solo
a “giustificare” la riflessione grammaticale sull’oggetto lingua: tale riflessione infatti aiuta ad eserci-
tare la mente, perché questa possa essere messa in grado di sfruttare al meglio le sue straordinarie
potenzialità.

Secondo Colombo (1997: 54), «la riflessione sulla lingua madre ha il compito di fungere an-
che da “grammatica generale”, di fornire un’attrezzatura concettuale riutilizzabile nell’ap-
prendimento della lingua nuova». Sviluppando con un esempio questa osservazione di
Colombo, potremmo dire che una regola come «in inglese, non si usa il verbo do quando la
frase interrogativa verte sul soggetto», ha un grande valore pratico, ma a condizione che si
abbiano ben chiari i concetti di frase interrogativa, verbo e soggetto, e quindi si conoscano
i fondamenti dell’analisi del periodo, dell’analisi grammaticale e dell’analisi logica. Non a
caso questi erano gli argomenti che stavano al centro dell’insegnamento grammaticale
tradizionale: si tratta quindi di riprenderli, correggendone le limitazioni e contraddizioni
sulla base di analisi come quelle che abbiamo svolto nel paragrafo precedente.
A questo punto si pone il problema di come insegnare la grammatica, e, più precisamente,
di come equilibrare l’aspetto “tradizionale” con quello “moderno”. Una prima distinzione
dovrebbe essere ovvia, anche se è spesso trascurata: la grammatica che gli insegnanti de-
vono conoscere non è la stessa che devono insegnare agli allievi. Ritengo quindi che l’inse-
gnamento debba basarsi sulla grammatica tradizionale, correggendone ed integrandone
i punti deboli: questa sarebbe un’ottima occasione per «migliorare le abilità cognitive di
base», nel senso indicato dalla Lo Duca. Quindi, meglio scegliere testi dichiaratamente tra-
dizionali, piuttosto che artificiosamente modernizzanti. Un errore certamente da evitare
è quello di riempire la testa dei ragazzi con una quantità di neologismi, attribuendo loro
chissà quali capacità taumaturgiche. Compito quindi degli insegnanti dovrebbe dunque
essere quello di utilizzare gli strumenti concettuali della linguistica moderna cercando di
appesantire il meno possibile l’apparato terminologico. L’operazione è tutt’altro che facile,

Insegnare la grammatica 153


e non essendo il sottoscritto un esperto dell’insegnamento, mi asterrò da ogni indicazione
in proposito, pur continuando a ritenere che questa sia la strada giusta. A monte di questo
problema ce n’è un altro: quello di formare gli insegnanti, ossia di introdurli ai concetti
della linguistica moderna ed a una loro possibile utilizzazione didattica. Questo compito
non può che essere svolto dalle Università, prima, e dai vari canali di formazione degli in-
segnanti poi. Sulla difficoltà di assimilazione delle “nuove” teorie linguistiche da parte dei
futuri insegnanti Lo Duca (2003: 169-170) ha scritto:
[…] una volta uscita, un’opera grammaticale, specie se innovativa, ha bisogno di molto
tempo per “entrare in circolo” e diventare bagaglio comune, e questo avviene solo a patto
che i luoghi deputati alla formazione universitaria degli insegnanti se ne facciano carico.
[…] Quale meraviglia se i contenuti di queste opere faticano ancora a raggiungere la gene-
ralità del mondo della scuola? La raggiungeranno, forse, ma solo dopo che i giovani, futuri
insegnanti, li avranno studiati nelle aule universitarie o nelle scuole di specializzazione:
solo allora potranno funzionare davvero come motore per il rinnovamento dei contenuti
grammaticali in senso stretto.
Quindi, necessità che i futuri insegnanti conoscano la linguistica moderna (e la linguistica
in genere; un po’ di linguistica storica serve a chiarire molti dubbi e ad eliminare molti
dogmi, per es. a proposito dell’ortografia, ma non solo): dovrebbe essere un’ovvietà, ma è
un fatto che essa non appaia tale a molti colleghi delle stesse facoltà umanistiche. Un’ope-
ra di sensibilizzazione in tal senso, rivolta alle “persone colte” in genere, potrebbe essere
utile: un mezzo potrebbe essere quello da noi utilizzato, cioè mostrare come la linguistica
moderna sia un modo per risolvere alcuni problemi tradizionali, e costituire quindi un
interessante esercizio intellettuale; se ne possono, naturalmente, immaginare molti altri.
Il nostro terzo interrogativo riguarda l’età scolare a cui insegnare la grammatica. La nostra
tradizione poneva l’insegnamento grammaticale soltanto nei livelli scolastici più “bassi”,
ossia la scuola elementare e la scuola media inferiore, lasciando all’insegnamento su-
periore esclusivamente lo studio delle forme linguistiche “con valore d’arte”, ossia della
letteratura. Ora, a quanto mi risulta, le cose stanno cambiando, anche se forse per quel
motivo sbagliato di cui si parlava all’inizio: l’illusione che la grammatica serva ad “imparare
la lingua”. Una proposta molto più motivata ed organica è stata invece ancora una volta
avanzata da Lo Duca (2003: 177):
C’è […] una seconda ottima ragione per fare grammatica anche nel triennio superiore: a noi pare che
questa fascia scolare costituisca il momento ideale per procedere ad un’opera di attenta revisione e
di sistematizzazione di tutto il sapere grammaticale accumulato dagli allievi nel corso degli anni. È il
momento in cui le osservazioni occasionali e i percorsi programmati, le attività più astratte e le analisi
degli usi e dei testi concreti dovrebbero fondersi in una visione organica, anche se necessariamente
ancora incompleta, di questo oggetto complesso che è la lingua.

Personalmente, questa proposta mi trova perfettamente consenziente, e credo che sareb-


be pienamente sottoscritta (se non lo è stata di fatto) da molti degli studiosi che ho citato
in precedenza, come Cinque e Vigolo, o Colombo. Scavando nella storia dell’istruzione,
possiamo notare un precedente storico molto interessante, risalente agli anni della Rivo-
luzione Francese. Il Décret sur l’organisation de l’instruction publique del 3 brumaio anno
IV [25 Ottobre 1795], che istituiva le écoles centrales (una sorta di scuole medie superiori),
stabiliva che nella troisième section (riservata ai ragazzi dai sedici anni in su) ci fosse, tra

154
Parte III - Capitolo 13

gli altri, un professore di grammaire générale; gli altri professori erano di belles-lettres,
di storia e di legislazione. Quali erano i compiti del professore di grammatica generale?
Cito qualche passo da Plans d’enseignement suivis par les professeurs à l’école centrale du
Département du Doubs, Besançon, à l’imprimerie de Briot, an IX [1800-1801]:
Le professeur de grammaire générale ne se borne point, ainsi que plusieurs de ses collègues d’autres
départemens, à enseigner les règles de la langue française. Convaincu que la grammaire particulière
n’est qu’une branche accessoire à son cours, et qu’on ne doit s’y arrêter que pour y appliquer les prin-
cipes généraux des langues, principes qui ne peuvent être découverts que par l’analyse de l’entende-
ment humain, et par une suite méthodique de réflexions concernant les signes en général, l’institution
de signes artificiels, leur influence sur les facultés de l’âme, et en particulier sur le raisonnement, etc. il
cherche, en prenant Condillac pour guide, à montrer que l’art de raisonner et l’art de parler, ayant une
source commune, ne peuvent faire que des progrès mutuels, et que toutes les règles de la logique se
réduisent à n’employer qu’une langue bien faite.

Di fatto, dunque, all’insegnamento della grammatica generale si assegnava il compito in


altre epoche assegnato a quello della filosofia (e infatti non c’è posto per un professore di
filosofia nella terza sezione delle écoles centrales).
Come si vede, pur nell’ovvia differenza dei concetti e dei punti di riferimento intellettua-
le, c’è una convergenza significativa tra questo progetto di insegnamento e alcune delle
proposte che abbiamo ricordato più sopra (Cinque e Vigolo, Colombo, Lo Duca). Lo studio
della grammatica non si limita a quella della lingua madre, ma ha lo scopo di avviare allo
studio della “grammatica generale” e la grammatica generale può essere l’occasione per
riflettere su una delle capacità umane fondamentali: il linguaggio. Questa riflessione deve
essere posta, ovviamente, non all’inizio, ma alla conclusione dello studio della gramma-
tica.

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Insegnare la grammatica 155


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156
Parte III - Capitolo 14

14. La rappresentazione linguistica della conoscenza


Daniele Baldassarri
Tratto da Secondo cultura. Interculturalità e società in transizione,
Roma, Edilingua, 2017, pp. 47-63

Nel corso della sua storia l’essere umano ha sviluppato una rete di contatti con i suoi
simili così composita e articolata che ha ravvisato la necessità di mettere a punto un si-
stema semiologico altamente sofisticato a cui è stato dato il nome di lingua. Tale codice è
estremamente più complesso di quello che usano gli (altri) animali e serve all’uomo non
semplicemente per comunicare con gli esseri della sua specie ma per esprimere loro, nella
maniera più chiara e incontrovertibile possibile, la sua percezione del mondo.
La comunicazione linguistica assume un ruolo centrale nei processi di conoscenza e nelle
relazioni interpersonali, dal momento che viene usata sia per condividere conoscenze, sia
per stabilire norme sociali di comportamento. Essa avviene per mezzo di un sistema di se-
gni, ognuno dei quali costituito da due elementi intrinseci al sistema lingua: uno formale e
fisico, chiamato significante, e uno ideale e immateriale, chiamato significato. Ogni segno
è poi riconducibile a un elemento della realtà, estrinseco al sistema, chiamato referente1.
Qualsiasi segno linguistico esiste solo grazie alla relazione tra significante e significato,
ossia tra la forma, fonica o grafica utilizzata per richiamare l’immagine, e il concetto im-
presso nella mente (De Saussure 1916).
Ogni lingua crea significanti i cui rispettivi significati variano in base a fattori sociali e cul-
turali e non è pensabile che una lingua possa rimanere disgiunta da questi fattori. La co-
municazione linguistica, quindi, non rappresenta un mero scambio di informazioni ma un
sofisticato tipo di interazione sociale volto a influire sulle rappresentazioni mentali di un
individuo e suscettibile di interferenze, oltreché sul piano strutturale2, anche e soprattutto
sul quello semasiologico (o semantico), come è noto attinente al significato o ai vari signifi-
cati attribuibili a un significante, e onomasiologico riguardante invece, in maniera opposta
e complementare, le diverse realizzazioni lessicali, all’interno di una o più lingue, di uno
1 Il significante, il significato e il referente sono gli elementi costitutivi del cosiddetto triangolo semiotico (o semiologico, aggetti-
vo però più vicino al filone di studi europei che anglosassoni) proposto da Charles Kay Ogden e Ivor Amstrong Richards in The
meaning of Meaning (1923). La sua interpretazione rimane tuttavia, dopo quasi un secolo, in parte controversa poiché non
tutti gli studiosi identificano allo stesso modo le entità che stanno ai tre vertici.
2 Le interferenze che incidono sul piano strutturale della comunicazione linguistica riguardano precipuamente gli aspetti fo-
nologico, lessicale, morfologico e sintattico. L’interferenza fonologica può manifestarsi sia a livello segmentale che sovraseg-
mentale. Nel primo caso, per esempio, un cinese che dicesse al telefono sto male invece di sto mare, non farebbe capire se si
sente poco bene o è alla spiaggia a divertirsi, visto che ha difficoltà a pronunciare la erre e a distinguerla dalla elle; nel secondo
caso una domanda malamente marcata dal punto di vista intonativo, potrebbe invece essere scambiata per un’affermazione.
A livello lessicale, l’interferenza si manifesta anche sul piano semasiologico e riguarda in genere a causa dei “falsi amici”, cioè
parole accomunate da somiglianze fonetico-fonologiche ma dotate di significati diversi; se per esempio una ragazza italiana
dicesse a un’amica spagnola di sentirsi imbarazzata, pensando che in spagnolo questo aggettivo indichi uno stato di perples-
sità come in italiano, la spagnola potrebbe intendere che la sua amica aspetta un bambino. Sul piano morfologico, invece,
l’interferenza può derivare da un diverso utilizzo delle desinenze verbali: è per esempio piuttosto diffusa, tra gli ispanofoni, la
tendenza ad associare alla prima persona singolare, la desinenza della terza persona singolare, sul modello spagnolo (andava
invece che andavo). Sul piano sintattico, infine, l’interferenza può essere imputabile a una diversa collocazione dei costituenti;
in questo modo se un parlante straniero dicesse che Mario anche è andato al cinema un italiano potrebbe avere difficoltà a
capire se anche Mario è andato al cinema con altre persone o se è andato anche al cinema oltreché da qualche altra parte.

Insegnare la grammatica 157


stesso concetto, ossia i diversi significanti utilizzati per esprimere uno stesso significato.
Per alcuni la parola caffè ha un significato diverso che per altri e richiama concetti distinti
in base alla cultura di appartenenza. I tanzanesi associano l’idea di caffè più a un cibo che
a una bevanda poiché nella loro cultura è usuale offrire agli ospiti chicchi di caffè da masti-
care, come segno di amicizia, ospitalità e agiatezza. Nell’immaginario degli italiani, invece,
la parola caffè evoca sì ospitalità ma innanzitutto richiama l’idea di una bevanda che aiuta
a svegliarsi bene la mattina, una sferzata di vitalità che permette di affrontare meglio gli
impegni quotidiani; per questo basta un minuto in piedi al bar per consumarla.
Molti stranieri, tuttavia, hanno difficoltà a comprendere che cosa “ci trovino” gli italiani a
bere un caffè frettolosamente in piedi e in mezzo a gente sconosciuta. Al caffè gli stranieri
assimilano anche il cappuccino, che considerano una sua variante alla stregua del caffè
corto, lungo, macchiato o corretto; per questo lo bevono con normalità anche dopo pran-
zo o dopo cena.
Per spiegare agli studenti che gli italiani assegnano ai significanti caffè e cappuccino due si-
gnificati diversi e li concettualizzano in maniera separata come due referenti distinti, porto
spesso a esempio la seguente sequenza dialogica: Ti va un cappuccino? – No, grazie, pre-
ferisco un caffè, o anche: Ti va un caffè? – No, grazie, preferisco un cappuccino. L’esempio
serve a richiamare l’attenzione sia sul fatto che lingua e cultura si trovano in un rapporto di
reciproca dipendenza e non possono essere considerate disgiuntamente, sia sul fatto che,
mentre i significanti di un referente variano in base alle lingue, i suoi significati variano a
seconda delle culture.
Dopo l’avvento delle scienze antropologiche ed etnologiche, fra i primi studiosi a interes-
sarsi del rapporto fra lingua e cultura vi fu l’antropologo tedesco naturalizzato statuni-
tense Franz Boas (1858 - 1942) che per primo introdusse anche il concetto di relativismo
culturale. Nel suo fondamentale Handbook of American Indian Languages (1911) – la
cui Introduction rappresenta ancora una ottima introduzione alla linguistica descrittiva
– Boas fornì una documentazione unica sulla grammatica delle lingue dei nativi norda-
mericani, molte delle quali oggi scomparse, asserendo che la lingua e la cultura di un
popolo sono strettamente correlate e che, anzi, per comprendere l’una è indispensabile
conoscere anche l’altra3. Boas tuttavia non approfondì questo rapporto tra lingua e cultu-
ra, che fu invece affrontato in maniera più circostanziata e sistematica dal linguista statu-
nitense Edward Sapir un decennio più tardi (1921) e ribadito nei contributi successivi da
Benjamin Lee Whorf, suo allievo4.
Sapir e Worf avanzano l’ipotesi secondo cui la forma linguistica condiziona la visione del
mondo, e quindi la cultura, poiché agisce da filtro sulla realtà circostante, su ciò che perce-
piamo, rappresentiamo mentalmente e apprendiamo. Secondo questa ipotesi, conosciuta
come determinismo linguistico, il comportamento verbale non è la conseguenza del modo
in cui gli esseri umani percepiscono la realtà ma la causa in quanto la lingua contiene in sé

3 Boas fondò la scuola antropologica statunitense: fu specialista di geografia, linguistica, scienze naturali, archeologia e studiò
a fondo i nativi americani con spedizioni sul campo. Ostile a ogni teorizzazione estrema, raccolse un’enorme quantità di dati
etnologici riguardanti usi, costumi, arte mitologia, rituali degli Indiani della costa settentrionale del Pacifico, osservando atten-
tamente i fatti sociali ed evidenziando la dimensione storica dei fenomeni culturali.
4 A differenza di Sapir, che poté vedere pubblicati i suoi scritti, Whorf morì nel 1941, prima di potere fare altrettanto. A curare
i suoi scritti e a occuparsi della loro pubblicazione fu quindi John Bissel Carroll che con l’opera Language, thought and reality:
selected writings of Benjamin Lee Whorf (1956) contribuì a divulgarne il pensiero.

158
Parte III - Capitolo 14

la descrizione del mondo e, dunque, porta a organizzare i significati in un certo modo. In


definitiva, il parlare una certa lingua invece che un’altra, agisce in maniera determinante
sull’elaborazione della cultura perché condiziona il modo di pensare e di agire, con inevi-
tabili ricadute sul piano conoscitivo e comportamentale. L’ipotesi può anche essere spinta
all’estremo per sostenere, per esempio, che un popolo la cui lingua ignori le categorie
temporali viva in un eterno presente (Whorf 1956).
L’ipotesi viene chiamata anche relativismo linguistico, a sottolineare che non esistono pro-
prietà universali delle lingue per descrivere il mondo e che a lingue diverse corrisponde un
modo diverso di percepire, analizzare, descrivere la realtà. Ogni sistema linguistico è dun-
que peculiare e ogni lingua offre una rappresentazione della realtà diversa da quella che
offrono altre lingue; di conseguenza, i parlanti subiscono fortemente il condizionamento
della loro lingua materna e sono incapaci di avere una visione del mondo indipendente
da essa.
A questo proposito Whorf riporta l’esempio della neve, per esprimere l’idea della quale gli
eschimesi del gruppo Inuit utilizzano venticinque parole a seconda che si tratti di neve che
cade o già caduta, più o meno pulita, più o meno fresca, più o meno spessa, più o meno
ghiacciata e quant’altro, mentre agli italiani ne basta una. Singolare è il fatto che lo stesso
esempio sia stato poi riutilizzato dal linguista Geoffrey K. Pullum (1991) per confutare la
tesi di Whorf e sostenerne una diametralmente opposta: secondo Pullum, infatti, se gli
eschimesi hanno più parole per esprimere il concetto di neve non è perché la lingua de-
termina la loro visione del mondo ma, al contrario, perché nella loro cultura la neve riveste
un ruolo talmente importante da indurli a designare la neve in maniera diversificata.
L’ipotesi di Sapir-Whorf ha provocato parecchie polemiche nel mondo scientifico e ha tro-
vato sia sostenitori che detrattori.
Nell’opinione dei sostenitori, il fatto che nel lessico italiano esistano parole come zitella e
scapolo e che solo la prima sia connotata negativamente malgrado designino entrambe un
identico stato civile, orienterebbe la percezione degli italiani nei confronti dei non sposati
in maniera diversa a seconda che si tratti di soggetti femminili o maschili; d’altra parte, il
fatto che la popolazione amerinda degli hopi chiami un insetto, un aeroplano e un aviato-
re con lo stesso nome senza operare alcuna distinzione semasiologica, e che anche la lin-
gua nahuatl disponga di una sola parola per indicare ghiaccio, freddo e neve, proverebbe
che la lingua porta a categorizzare la realtà in un certo modo5.
Che la lingua influisca sulla percezione del mondo lo proverebbero anche i diversi modi
di classificare i colori: le lingue gallese e filippina degli Hanunoo, per esempio, si servono
di tre o quattro termini per definire lo spettro cromatico, mentre le lingue occidentali ne
utilizzano molti di più, fino a undici. Queste diverse classificazioni linguistiche avrebbero
pertanto un’influenza diretta sul modo di osservare e interpretare il mondo, con inevitabili
cadute sul piano culturale; ciò farebbe in modo, per esempio, che certi elementi della na-
tura come gli alberi, il mare, la terra e via dicendo, verrebbero percepiti con colori diversi
a seconda di chi li osserva.
Oltre alla singolarità con cui vengono utilizzati certi termini, anche il modo di parlare in-

5 Si tratta di una categorizzazione basata sulla nozione di prototipo, in virtù del quale la nostra mente tende a riunire nella stessa
categoria oggetti o eventi che, pur nelle loro differenze, risultano essere più simili tra loro rispetto ad altri oggetti o eventi, pur
facenti parte della stessa categoria.

Insegnare la grammatica 159


fluenzerebbe la percezione del mondo; per esempio, mentre i dialetti rurali del Devonshire
e delle Highlands scozzesi godono di un certo prestigio poiché sono considerati divertenti
e affascinanti dai parlanti urbanizzati della Gran Bratagna, negli Stati Uniti le parlate rurali
non godono di tale prestigio, venendo considerate sgraziate e irritanti; ciò denoterebbe
una diversa visione e assegnazione di valore alla vita rurale in questi due paesi. Escludere
l’influenza della lingua sulla percezione del mondo e di conseguenza sulla formazione di
una determinata cultura non sarebbe dunque una scelta percorribile e lo dimostrerebbe il
modo in cui la lingua viene utilizzata.
Nell’opinione dei detrattori, invece, l’ipotesi deterministica troverebbe smentita nel fat-
to che esistono varie designazioni di cavallo per gli arabi, di renna per i lapponi e, come
già osservato, di neve per gli eschimesi; al contrario, mentre in quasi tutte le lingue del
mondo esiste (almeno) una parola per indicare la guerra, nella lingua inuit non ne esiste
nemmeno una poiché gli eschimesi hanno una cultura basata sulla pace, sul pieno rispetto
del prossimo e della natura. Ciò starebbe perciò a indicare che la cultura – su cui agisce in
maniera particolare l’habitat di appartenenza – influisce sulla lingua e la condiziona.
Riflessi della cultura sulla lingua possono riguardare anche i rapporti sociali. Per gli abori-
geni australiani Njemal, per esempio, il termine mama corrisponde a tre legami di paren-
tela: padre, zio e cugino del genitore, ad indicare tutti i maschi della stessa generazione,
mentre i greci ricorrono a due parole distinte per concettualizzare il significato di nipote
a seconda che si tratti del figlio del figlio (εγγοvòς, pron. egonòs) o del figlio del fratello
o della sorella (αviψiòς, pron. anipsiòs); i turchi e i romeni, invece, utilizzano due parole
differenti per distinguere un amico (arkadaş in turco, amic in romeno) dal migliore amico,
quello più stretto e intimo (dost in turco, prieten in romeno).
Il condizionamento della cultura sulla lingua risulterebbe evidente anche attraverso l’u-
tilizzo di termini introdotti sottoforma di traduzioni, calchi e prestiti, che agiscono sulla
lingua secondo tre diverse modalità (Zuanelli 2009).
Nel primo caso un termine viene accolto a significazione di comportamenti culturali spe-
cifici del contesto di origine; è il caso, per esempio, di parole come geisha e cancelliere,
che definiscono aspetti e comportamenti peculiari di culture altre senza avere equivalenti
nella cultura che li accoglie.
Nel secondo caso, al contrario, il termine viene utilizzato a denominazione di aspetti cul-
turali tipici del paese di accoglienza ma privi di corrispettivi nel paese di provenienza; è
il caso, per esempio, di parole come mister e toast che, dal contesto culturale di origine
in cui designano rispettivamente un appellativo premesso a un nome o a un cognome
(similmente al signore italiano) e una semplice fetta di pane tostato, in Italia subiscono
uno slittamento semasiologico andando a denominare un allenatore sportivo o direttore
tecnico e un tipo di spuntino preparato in un determinato modo e con ingredienti non iter-
cambiabili (pane in cassetta, prosciutto cotto e formaggio in fette a pasta molle) e distinto
nettamente da altri tipi di spuntino come il panino e il tramezzino.
Nel terzo caso, infine, il termine viene introdotto insieme al modello culturale che designa
nel paese di origine; è il caso, per esempio, di parole come sit in e pic nic i cui significati
sono assunti unitamente al modello culturale a cui rimandano (il sit in indica una protesta
fatta occupando pacificamente un’area allo scopo di attirare l’attenzione sulle istanze dei
contestatori, così come come il pic nic identifica un caratteristico pasto all’aperto compiu-

160
Parte III - Capitolo 14

to in un contesto turistico o comunque ludico).


Come si noterà, mentre nei primi due casi l’integrazione è solo linguistica (con la differen-
za però che il primo non implica l’assunzione di alcun modello culturale mentre il secondo
genera nuove forme di comportamento), nel terzo caso l’integrazione è linguistica e cul-
turale insieme.
Le polemiche se sia la lingua a influenzare la visione del mondo e la cultura o piuttosto il
contrario, hanno lasciato aperta la questione senza approdare né a una definitiva smen-
tita né a una conferma decisiva. A Sapir e Whorf rimane però il merito di avere posto il
problema del rapporto tra lingua e cultura e di avere portato a riflettere sul fatto che il
pensiero e l’azione non prescindono dal contesto socioculturale in cui si realizzano e sono
linguisticamente e socialmente mediate.
Ogni parlare, quindi, è soggetto a norme d’uso che riguardano sia l’appropriatezza della
lingua alla situazione comunicativa sia il modo in cui un enunciato va strutturato e for-
mulato all’interno di un discorso; di conseguenza, la sola prospettiva linguistica – sia essa
strutturale o semasiologica – sganciata dal contesto culturale, non riesce a informare se un
enunciato, oltreché corretto, sia appropriato e se invece anche una eventuale e apparente
inesattezza formale sia adeguata o addirittura necessaria alla situazione comunicativa.
Tra i Burundi dell’Africa, per esempio, la norma sociolinguistica impone che l’interlocutore
di rango inferiore si esprima in modo confuso e sgraziato, a dimostrazione e riconoscimen-
to della sua subalternità sociale (Hymes 1972a); tra i Cahinahua del Brasile ripetere una
domanda è considerato un insulto; tra i Maori della Nuova Zelanda il canto è concepito
come discorso a tutti gli effetti e non un tipo particolare di comunicazione come nella cul-
tura occidentale (Hymes 1972b).
Nelle loro argomentazioni, Sapir e Whorf hanno tentano di rendere conto di due fatti:
primo, che le lingue umane sono diverse tra loro; secondo, che le lingue costituiscono un
importante sistema di riferimento per il pensiero e il comportamento umani. Del resto, né
l’uno né l’altro hanno mai formulato una teoria sostenendola empiricamente, ma hanno
avuto intuizioni importanti che hanno stimolato e stimolano la ricerca in una varietà di
discipline come la linguistica, la psicologia, la filosofia, l’antropologia e la pedagogia, an-
che se il rapporto fra lingua e cultura è campo di ricerca privilegiato dell’etnolinguistica
(o linguistica antropologica)6. Nel rapporto fra lingua e cultura l’ipotesi deterministica di
Sapir-Whorf rappresenta una versione “forte” a cui potrebbe contrapporsene una più “de-
bole” in base alla quale la lingua influenza sì la visione del mondo e quindi la cultura, ma
non in maniera totalizzante e risolutiva7.
Ciò che rimane certo, è che l’interpretazione della realtà varia da soggetto a soggetto e da
cultura a cultura e che uno stesso significante può essere condiviso o meno e può o meno
coincidere con determinati significati. Per raggiungere la soglia della conoscenza in una
prospettiva interculturale, è allora necessario che i saperi di altre culture si leghino e si

6 Alla disciplina etnolinguisctica hanno contribuito in maniera importante, oltre ai già citati Sapir e Worf, anche Franz Boas
(1911), Bronisław Malinowski (1944, 1945, 1947), Joseph Greenberg (1948) Alfred Radcliffe-Brown (1952), Raymond Firth
(1957) e Dell Hymes (1964, 1972).
7 Alla versione debole sembrano ricollegarsi le considerazioni di Renzo Titone (1976) secondo il quale il comportamento lin-
guistico è l’espressione della personalità individuale e sociale di ogni essere umano. La lingua, oltreché forma associata a
determinati significati culturali, è soprattutto espressione della struttura profonda dell’io. Il che significa che, quando l’uomo
parla, esprime il suo mondo interiore, la sua personale filosofia di vita, la sua coscienza.

Insegnare la grammatica 161


aggiungano a quelli della propria. In questo modo si raggiunge quel livello di input+1 che
il suo teorizzatore Stephen D. Krashen (1981, 1982) identifica come soglia utile per l’acqui-
sizione della competenza linguistica e comunicativa ma che, a nostro avviso, è applicabile
anche in riferimento a quella interculturale8.
Se, per esempio, a persone di varia nazionalità si chiede di indicare i cibi che non fanno
parte della propria alimentazione e di chiarirne il perché, si scoprirà che gli italiani non
si nutrono mai di cani e gatti perché li considerano animali da affezione e troppo intelli-
genti per finire sui piatti; ugualmente non consumano carne di balena per motivi legati
alla salvaguardia ambientale mentre, se si attengono ai precetti della dottrina cattolica,
non consumano nessun tipo di carne durante il periodo di Quaresima. Gli ortodossi (os-
servanti), invece, durante la Quaresima non si nutrono neanche di latte, uova e burro
perché sono derivati della carne. Sempre per motivi religiosi, i musulmani non bevono
vino, che potrebbe far perdere il controllo dei sensi, né si nutrono di carne di maiale, che
considerano animale immondo. Gli indiani, per cause ancora legate alla religione ma con
motivazioni opposte a quelle dei musulmani, non consumano invece carne di vacca per-
ché la considerano il più sacro tra gli animali. Per motivi di affezione, invece, i britannici
e gli argentini non consumano carne di cavallo; anzi, se sentono che qualcuno se ne ciba,
hanno una reazione paragonabile a quella di un italiano a cui giunga all’orecchio che in
Corea si consuma regolarmente carne di cane e in Cina si consuma anche quella di gatto.
In Giappone, invece, non è illegale, anche se sottoposto a restrizioni, il consumo di carne
di balena mentre in Maghreb la cucina include anche la carne di dromedario.
Le uniche carni a mettere tutti d’accordo sembrerebbero invece quelle di pollo e di agnello
e anche se è vero che certe abitudini possono e sono destinate a cambiare (in Cina, per
esempio, è stato presentato un disegno di legge che vieti il consumo e il commercio della
carne di gatto, in Australia si sta pensando di legalizzare il consumo di carne di dromedario
per uso alimentare perché i dromedari stanno diventando troppi e dannosi alle colture e
in Italia si sta diffondendo una cultura alimentare meno rivolta al consumo di carne), allo
stato attuale la situazione che emerge è questa. Queste informazioni sono in gran parte
note ma aiutano a riflettere sull’importanza del confronto nel processo di comprensione
e conoscenza interculturale.
La lingua quindi, per quanto sofisticata, è un sistema di comunicazione imperfetto e ambi-

8 Stephen D. Krashen è noto per avere ipotizzato cinque fattori che determinerebbero la conoscenza delle lingue non materne.
1. Distinzione tra acquisizione e apprendimento: l’acquisizione è un processo inconscio e duraturo nel tempo, mentre l’ap-
prendimento è volontario, rivolto primariamente alla forma linguistica e destinato ad affievolirsi con il passare del tempo. 2.
Presenza del monitor, vale a dire quel meccanismo interno dell’apprendente, responsabile dell’elaborazione linguistica consa-
pevole. 3. L’ordine naturale, secondo cui le regole (grammaticali) vengono acquisite secondo una progressione che procede, in
maniera naturale, dal facile al difficile. Si tratta di una ipotesi non pienamente convincente in quanto presupporrebbe che una
certa regola esista sia nella lingua materna che in quella non materna e che presenti lo stesso grado di difficoltà in entrambe
le lingue. Non è detto però che sia sempre così. Il corretto uso degli articoli italiani, per esempio, se può essere relativamente
semplice per uno straniero che abbia come lingua materna una lingua neolatina, non lo è affatto per uno straniero linguisti-
camente appartenente ai ceppi slavi o baltici per i quali l’uso degli articoli è sconosciuto. 4. L’input+1 secondo cui, affinché
la conoscenza di una lingua non materna progredisca, l’input linguistico deve essere per la maggior parte già noto e per una
minima parte (il +1) non ancora conosciuto ma decontestualizzabile grazie alla parte nota. 5. Il filtro affettivo, cioè quella bar-
riera psicologica che, alzandosi o abbassandosi per cause affettive – quali il desiderio o meno di integrarsi nella nuova cultura,
l’ansia, l’autostima e così via – fa in modo che i progressi nella conoscenza di una lingua non materna siano diversi da soggetto
a soggetto. A elaborare le ipotesi di Krashen hanno contribuito in maniera importante anche Heidi Dulay e Marina Burt autori,
insieme a Krashen, di Language two (1982).

162
Parte III - Capitolo 14

guo poiché il significato di quanto si dice (o scrive) non può mai essere controllato appieno
e non assicura che quanto il locutore vuole esprimere sia ciò che l’interlocutore effettiva-
mente capisce. Le divergenze cognitive dovute alla mancata condivisione di certi aspetti
della vita e a una diversa attribuzione dei significati ai valori di riferimento, possono per-
tanto dare origine a interferenze che rischiano di rendere incomprensibile o inaccettabile
un messaggio.
Ciò si nota, per esempio, in certe espressioni idiomatiche. Dire a un amico inglese in evi-
dente stato di ansia o di agitazione: Drink a camomile (Prenditi una camomilla) non signi-
ficherebbe niente perché in Inghilterra la camomilla non viene associata all’idea di calma
e di tranquillità; egli quindi non capirebbe il senso del messaggio a meno che – allora è un
altro paio di maniche – non abbia a sua volta assimilato quel tratto della cultura italiana
che associa la camomilla alla calma. Per un soggetto di cultura anglosassone non avrebbe
alcun senso neanche l’espressione: it’s a word! (è una parola!) a cui un italiano ricorre
quando vuole fare intendere la difficoltà o l’impossibilità di realizzare qualcosa. D’altra
parte, un italiano potrebbe avere difficoltà a capire un greco che, per paura di rimanere
“scottato” da ulteriori delusioni e insuccessi, ora “soffia sullo yougurt”, alimento notoria-
mente fresco, che occupa un posto importante nella cultura alimentare balcanica e che,
nella lingua greca, assume significati figurati che la lingua italiana non gli attribuisce (Bal-
dassarri 2008). Apprendere una lingua significa quindi apprendere anche gli impliciti cul-
turali che vi sono collegati e se la comunicazione si rivela efficace è in virtù di aspettative
comuni che i soggetti hanno tacitamente stabilito in base alla loro cultura di appartenen-
za. In altre parole, quando un soggetto comunica un messaggio, già si aspetta determinate
risposte che assumono significato perché proiettate in uno specifico contesto sociocultu-
rale. Siccome lo scopo della lingua è quello di fornire il maggior numero di elementi utili a
trarre conclusioni su ciò che si vuole comunicare, è importante tenere in conto (anche) le
inferenze che la lingua implica e che influiscono su una determinata rappresentazione del
mondo. Lingua e cultura, quindi, sono strettamente legate poiché la lingua riflette convin-
zioni e comportamenti strettamente connessi alla cultura delle persone che la parlano e si
rivela tanto più efficace quanto più i locutori condividono ipotesi, convinzioni e conoscen-
ze, hanno esperienze affini e provengono dallo stesso ambiente.

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164
Parte III - Capitolo 15

15. Il ruolo delle tecnologie educative nella didattica della


grammatica in italiano L2
Matteo La Grassa
Tratto da Mosaic. The Journal for Language Teachers,
Welland, Soleil, 2017, n. 1

15.1. La didattica della grammatica: lo stato attuale


La modalità di insegnamento della grammatica, il peso che deve assumere all’interno di
un percorso di educazione linguistica, l’effettivo ruolo che riveste nello sviluppo della com-
petenza linguistico comunicativa, rappresentano temi su cui si è ampiamente dibattuto e
che, sebbene oggi le posizioni si vadano facendo indubbiamente più convergenti, appas-
sionano ancora docenti di lingua e ricercatori di linguistica educativa, come è confermato
anche dalla letteratura recente (Corrà, Paschetto 2011; Ciliberti 2015). Limitando il campo
all’insegnamento di una L21, le questioni vertono principalmente su due fronti tra loro
strettamente interrelati: la reale efficacia dell’insegnamento della grammatica all’interno
di un corso di lingua e il metodo con cui la riflessione grammaticale dovrebbe essere pro-
posta agli studenti.
Per quanto riguarda il primo aspetto, si è assistito nel tempo all’alternanza tra metodi glot-
todidattici ciascuno dei quali, pur segnando via via l’avanzamento verso una visione più
marcatamente pragmatica nell’insegnamento di una L2, tendeva a porsi su poli estremi in
relazione all’importanza da attribuire alla didattica della grammatica2. In alcuni momenti
si è dato ad essa un ruolo assolutamente preponderante, considerandola il vero e unico
fattore propulsivo nello sviluppo delle competenze linguistiche dell’apprendente. La com-
petenza grammaticale coincideva di fatto con la competenza linguistica tout court a tal
punto che in didattica delle lingue si è affermato a lungo il metodo denominato gramma-
ticale-traduttivo, tuttora largamente adottato nell’insegnamento delle lingue classiche.
La lingua oggetto di studio veniva considerata come un repertorio di frasi da tradurre
nella lingua target, mentre era residuale l’interesse verso la sua funzione di strumento di
comunicazione3.
Al contrario, chi si pone sul polo opposto rispetto a questo modo di intendere la lingua,
considera la grammatica come sostanzialmente inutile se non addirittura dannosa nel
percorso di apprendimento linguistico. È il punto di vista assunto dai sostenitori del me-
todo diretto e da chi si ispira alle posizioni più rigide dei metodi che rientrano nella sfera
dell’approccio comunicativo. Secondo questa posizione, l’intero sviluppo delle competen-

1 Ampia è anche la letteratura di riferimento sull’insegnamento della grammatica in lingua madre. Tra gli altri Lo Duca
(2013); il recentissimo Colombo, Graffi (2017). Sui temi della didattica della grammatica si focalizzano anche gli articoli
della rivista G&D – Grammatica e didattica (https://goo.gl/CoAyKD), attiva fino al 2013.
2 Porcelli (1994) parla di “sindrome del pendolo”, utilizzando una metafora divenuta molto nota tra gli studiosi di glottodi-
dattica.
3 Balboni (2012: 234) presentando le principali caratteristiche di questo metodo afferma che addirittura è messo in secon-
do piano il significato che veicolano le frasi, purché queste siano funzionali alla presentazione della regola grammaticale.

Insegnare la grammatica 165


ze sarebbe determinato da esposizione a input, che deve essere comprensibile nella sua
globalità, senza prevedere specifici momenti di analisi e riflessione sulle strutture lingui-
stiche; ne consegue, pertanto, l’inaccettabilità di un percorso didattico incentrato sulla
descrizione formale delle regole che governano il sistema linguistico.
In questo dibattito si inserisce un dato oggettivo che, con riferimento al contesto italiano,
emerge già dalla semplice osservazione del repertorio linguistico posseduto dall’ampio nu-
mero di stranieri presenti nel nostro paese ed è inoltre confermato dalle ricerche in ambito
acquisizionale per la gran parte svolte su apprendenti spontanei4 (Giacalone Ramat 2003):
si impara a comunicare in una L2 anche se non si segue nessun percorso di apprendimento
in contesto guidato e di conseguenza, a livelli diversi, i parlanti sono in grado di apprendere
e applicare regole grammaticali che non gli sono mai state esplicitamente mostrate5.
A fare da contrappeso a questo dato difficilmente confutabile, vi sono numerosi studi che
dimostrano l’importanza del focus on form (Long 1991) nella didattica delle lingue, ovvero
il ruolo svolto da varie modalità di riflessione sulla lingua, ivi compresa la presentazione di
regole grammaticali e il lavoro di fissaggio, memorizzazione e riuso incentrato su di esse.
Se da un lato viene confermato che anche gli apprendenti in contesto guidato seguono
gli stadi acquisizionali già individuati per gli apprendenti in contesto spontaneo, dall’altro
si evidenzia quanto una istruzione formale possa agire da volano propulsivo nell’avanza-
mento del continuum interlinguistico, laddove la semplice esposizione all’input può avere
invece risultati positivi molto più diluiti nel tempo6.
L’approccio che assegna alla riflessione sulla lingua un ruolo non secondario, sebbene non
più prioritario o esclusivo come avveniva in passato, è anche quello del Quadro comune
europeo di riferimento (Consiglio d’Europa 2002) e del modello di competenza linguisti-
co-comunicativa che esso propone. In tale modello, che integra in maniera equilibrata
le competenze sociopragmatiche e quelle linguistiche7, (differenziando queste ultime in
competenza fonologico-ortografica, grammaticale e lessicale) sembra risolversi la vexata
quaestio della presunta mutua esclusività delle une sulle altre che ha a lungo caratteriz-
zato il dibattito della linguistica educativa a partire dagli anni Settanta. Dunque, anche il
Quadro comune europeo riconduce la riflessione entro un’ottica più equilibrata che vede
la competenza svilupparsi all’interno delle dimensioni linguistiche, sociolinguistiche e
pragmatiche e non entro una sola di queste a esclusione delle altre. Ne consegue che an-
che la riflessione sulla lingua in generale, e di conseguenza sulla grammatica, deve trovare
un suo spazio all’interno dei percorsi formativi in L28.
4 Ricerche di linguistica acquisizionale sull’italiano L2 sono state svolte in anni più recenti anche su apprendenti che han-
no seguito percorsi guidati (Corino, Marello 2017; Palermo 2009).
5 Questo non significa che l’apprendente spontaneo non compia un articolato lavoro di riflessione sulla lingua che
apprende, nonché sul processo di apprendimento nel suo complesso, come messo ben in luce già diversi anni fa da
Vedovelli (1990).
6 Ne consegue la necessità di tener conto dei risultati della linguistica acquisizionale e delle sue ricadute sul piano didat-
tico. Su questo aspetto le posizioni sembrano convergere a tal punto che si parla di didattica acquisizionale (Vedovelli,
Villarini 2003; Rastelli 2009).
7 Sottoordinate alle competenze generali declinate nelle categorie di sapere, saper fare, saper essere, saper apprendere.
8 Ci riferiamo, in questo contributo, alla didattica della grammatica tradizionalmente intesa, nozione del resto oltremodo
complessa e difficile da limitare in schemi rigidi. Facciamo quindi riferimento all’insegnamento della fonologia, morfologia,
sintassi e testualità di una lingua; in termini glottodidattici il “sapere la lingua” (Balboni 2012). Di grande interesse, è invece
la proposta di Ciliberti (2013) che sottolinea l’importanza didattica della grammatica dei processi discorsivi, ovvero le rego-
larità, o meglio le tendenze, culturalmente specifiche sovraordinate alle interazioni linguistiche in una determinata lingua.

166
Parte III - Capitolo 15

Parallelamente alla riflessione che riconosce di fatto la legittimità del ruolo della gram-
matica ai fini della progressione della competenza in L2, va considerata la seconda im-
portante questione, ovvero quella relativa all’approccio all’insegnamento da adottare per
rendere il più proficuo possibile tale insegnamento. Tradizionalmente, come si è accenna-
to, un approccio molto utilizzato è stato quello deduttivo che in linea di massima prevede
le seguenti fasi: presentazione della regola da parte del docente; memorizzazione della
regola da parte dello studente; esercitazioni (prevalentemente scritte) mirate al fissag-
gio della regola e alla presentazione di eventuali eccezioni. L’approccio induttivo, inve-
ce, propone un percorso opposto che procede in genere dall’osservazione delle strutture
presenti all’interno di testi e guida l’apprendente verso la riflessione sulle forme e la loro
sistematizzazione. Tale metodo sembra avere una serie di vantaggi di vario tipo: rispetta la
«grammatica mentale» dell’apprendente (Diadori et al. 2015: 170 e sgg.) che prevede un
passaggio dalla funzione alla forma e non viceversa; fa assumere all’apprendente un ruolo
attivo, con ovvie ricadute motivazionali; propone un lavoro di riflessione che richiede più
tempo, ma che risulta verosimilmente più proficuo in termini di memorizzazione della
regola.
L’approccio induttivo, pertanto, può essere quello maggiormente adeguato per l’insegna-
mento della grammatica che in questo modo tende a diventare riflessione metalinguisti-
ca. Il cambiamento terminologico sottende anche un cambiamento processuale profon-
do, ponendo l’accento sulla riflessione e l’azione di scoperta dei meccanismi linguistici
da parte dell’apprendente sotto la guida del docente. Si tratta quindi di un netto cambio
del protagonista del processo di insegnamento/apprendimento e dell’oggetto della rifles-
sione, non più limitato alle sole strutture, come chiaramente afferma Balboni (1999: 84)
«L’attività di riflessione vede come soggetto l’allievo e come oggetto l’intero complesso
della competenza comunicativa e si differenza dunque profondamente dall’insegnamento
della grammatica, che ha come soggetto l’insegnante e come oggetto più frequente la
morfosintassi e le regole testuali».
Lo spazio da attribuire alla riflessione grammaticale e l’approccio da adottare per il suo
insegnamento, non può non tenere conto di fattori quali il contesto di insegnamento e
il profilo degli apprendenti a cui ci si rivolge: la riflessione esplicita sulla lingua sarà ten-
denzialmente maggiore con apprendenti adulti, alfabetizzati in lingua madre, che lavora-
no su testi scritti (Pallotti 2000). Questi fattori potranno incidere verosimilmente anche
sull’approccio da adottare durante un corso di lingua. Per fare un esempio, se la classe di
apprendenti sarà composta da senior che hanno maturato esperienze di apprendimento
studiando le lingue con un metodo grammaticale traduttivo, sarà sconsigliabile, almeno in
una prima fase, relegare a un ruolo residuale la riflessione formale sulla lingua a favore di
un approccio spiccatamente induttivo che attribuisca centralità all’apprendente e chieda
di esplorare autonomamente il testo, trovare regolarità, formulare ipotesi9. È possibile in-
fatti che quanti abbiano avuto esperienze di apprendimento di tipo fortemente diverso, si
aspettino il tipo di approccio già sperimentato e percepito come funzionale e rassicurante.
Tuttavia, fatti salvi casi specifici, è riscontrabile attualmente una certa convergenza della
didattica delle lingue verso un approccio che prevede la riflessione sulla lingua da svolgere
in maniera induttiva, da considerarsi del resto naturale sbocco della visione teorica sottesa
9 Per una disamina approfondita su questo profilo di apprendenti si rimanda a Villarini, La Grassa (2010).

Insegnare la grammatica 167


a tale approccio: la lingua è considerata in primo luogo strumento di comunicazione e sul
piano applicativo ciò si traduce anche nello spostamento dell’asse di interesse dalla mera
descrizione delle strutture, delle norme e delle regolarità che vi si applicano, verso il pro-
cesso di apprendimento linguistico nel suo complesso.

15.2. La modalità di presentazione della grammatica nei materiali


cartacei
Un riscontro evidente di questa tendenza nell’insegnamento della grammatica è senz’altro
offerto dai materiali didattici: i corsi di italiano L2 di recente pubblicazione, infatti, pro-
pongono nel complesso un percorso che si concretizza tendenzialmente in attività di tipo
induttivo volte alla scoperta delle regolarità linguistiche, alla verifica delle ipotesi avanzate
e al riutilizzo delle forme in contesti diversi10 (Troncarelli 2016).
Può essere utile a questo punto osservare un esempio tratto da un corso di lingua. Nella
figura seguente (cfr. figura 1) vediamo come viene trattato in un manuale11 di italiano L2
l’insegnamento di un tratto grammaticale: forma e uso dei verbi modali.

Figura 1 - Presentazione della grammatica in materiali cartacei.

Non ci interessa in questa sede esprimere un giudizio o fare un’analisi qualitativa delle

10 Si tratta, come si è detto, di una tendenza. Non è scontato che l’approccio di tipo induttivo possa essere proficuamente
adottato con tutti i pubblici di apprendenti e per tutti i tratti linguistici oggetto di riflessione (Diadori et al. 2015). In
alcuni casi, una spiegazione di tipo più esplicito potrà risultare più economica in termini di energia e con un livello più
alto di accettabilità da parte degli apprendenti.
11 Un discorso diverso va fatto per la grammatiche pedagogiche rivolte a parlanti non italofoni. A prescindere dal rigore
descrittivo nella presentazione delle forme, dalle scelte operate per la selezione dei tratti da presentare, dal peso dato
alla scelte del parlante e dalla varietà delle attività esercitative proposte, tutte le grammatiche seguono lo schema de-
scrizione della voce > attività esercitative.

168
Parte III - Capitolo 15

attività proposte dal manuale in questione. Ciò che qui è importante sottolineare, riguar-
da la possibilità di presentare l’elemento grammaticale in forma induttiva: si parte infatti
dall’osservazione delle forme oggetto di riflessione presenti nel testo input dell’unità; si
passa poi alla elicitazione delle ipotesi sull’ espressione delle modalità e sul contorno sin-
tattico dei verbi; si conclude infine con la richiesta di completamento di una tabella con
le forme che lo studente potrà rintracciare nel testo input. Seguono all’interno del volu-
me diversi esercizi di riutilizzo della regola in forma scritta e orale e, in fondo all’unità, la
presentazione di uno schema che sintetizza le forme e i principali usi dei verbi oggetto di
analisi (cfr. figura 2).

Figura 2 - Presentazione della grammatica in materiali cartacei.

15.3. La grammatica con le tecnologie educative


Nel vivace dibattito incentrato sulla didattica della grammatica in una L2, si deve rilevare
che il ruolo assunto dalle tecnologie educative è stato finora largamente trascurato. Seb-
bene di “glottotecnologie” si parli in maniera sistematica da almeno 20 anni e sebbene
non manchino lavori focalizzati sull’uso delle TIC nella didattica delle lingue in generale e
dell’italiano L2 in particolare (Jafrancesco 2010; Villarini 2010; La Grassa Troncarelli 2016),
oltreché come strumento da utilizzare nella formazione dei docenti (Balboni, Margiotta
2008; Fratter, Jafrancesco 2014), continua a risultare difficile contrastare una idea di fondo
di cui troppo spesso sono convinti anche quanti si occupano in prima persona di insegna-
mento linguistico; tale idea potrebbe essere sintetizzata in questo modo: il supporto tec-
nologico è per definizione uno strumento ausiliario che può risultare più o meno efficace
a seconda dell’uso che se ne fa, ma che di per sé è neutro e non può e non deve incidere
né sulle teorie psicopedagogiche a cui si fa riferimento, né sulla metodologia da adottare.
In sostanza, in molti casi l’atteggiamento di quanti pure accettano l’introduzione del sup-
porto tecnologico nella didattica, è quello di pensare che si possano trasferire pedisse-
quamente metodologia e attività già sperimentate con successo in classe e relegare le

Insegnare la grammatica 169


tecnologie a una funzione prevalentemente “distributiva”: il docente realizza materiali in
formato elettronico, ricalcando in genere ciò che è già stato realizzato in formato carta-
ceo, e grazie ai supporti informatici è in grado di distribuirli a un numero potenzialmente
infinito di studenti12.
Come si è già avuto modo di segnalare (La Grassa, Troncarelli 2016a), contrariamente a
questa opinione diffusa, si ritiene che la scelta di utilizzare un supporto tecnologico non
sia mai neutrale13 e in alcuni casi possa incidere anche sulle fondamenta stesse del pro-
cesso di apprendimento/insegnamento linguistico. Non solo: si ritiene che l’insegnamento
linguistico rappresenti un caso a parte nel panorama della formazione online e pertanto
oggi risulti quanto mai necessario svolgere indagini “sul campo” (ancorché virtuale) per
confermare o smentire teorie e metodologie la cui validità è acclarata nell’e-learning in-
teso genericamente come modalità di apprendimento che si avvale del supporto tecnolo-
gico, ma che ci sembrano oggi molto meno solide se riferite specificamente alla didattica
delle lingue online. Per esempio, nella letteratura sull’e-learning si fa continuo riferimento
alle teorie costruttiviste (Varisco 2002) che considerano la conoscenza come un processo
multidirezionale che si realizza tramite l’interazione e la condivisione tra i membri di una
comunità di apprendimento, e alle teorie connessioniste (Siemens 2005) che rappresenta-
no l’evoluzione del costruttivismo alla luce del ruolo svolto dalle nuove tecnologie. Se que-
sti riferimenti forniscono una solida cornice per la formazione online, l’impianto teorico
sembra invece molto meno stabile e definito per la didattica delle lingue. Il costruttivismo
come teoria di riferimento, lo svolgimento di compiti in forma collaborativa, le relazioni e
le modalità di comunicazione che si realizzano in una comunità di apprendimento, sono
davvero aspetti pienamente estendibili anche a tutte le forme di didattica delle lingue
online, compresa quella svolta totalmente a distanza tra apprendenti che non condivido-
no nessun momento di lavoro in presenza14? È possibile che chi sceglie di svolgere un per-
corso di lingua online sia maggiormente orientato all’apprendimento autonomo e che, di
conseguenza, venga meno buona parte delle ricadute applicative di un approccio teorico
fondato sulla condivisione delle competenze e la relazione tra pari15? Dopo circa un de-
cennio di erogazione di corsi di lingua da parte di vari enti formatori, i tempi ci sembrano
maturi per provare a rispondere a questi quesiti.
Limitandoci al tema oggetto di questo contributo, porsi queste domande significa chie-

12 Ci troviamo perfettamente d’accordo con quanti ritengono un falso mito dell’e-learning la possibilità di garantire una
formazione efficace, quale che sia la materia oggetto di studio, a un numero elevato di studenti e a costo pressocché
nullo. Sulla “sostenibilità” dell’e-learning, si veda Trentin (2008). La questione, comprensibilmente, si è recentemente
ripresentata con la proliferazione di corsi massivi (Laurillard 2016).
13 A questo proposito, afferma Calvani (pubblicazione online) «Solo una concezione ingenua vede le tecnologie come
appendici neutre, statiche, povere di significatività teorica e culturale. Calate nei diversi contesti socio-culturali, esse si
coniugano ed amplificano determinati assunti teorici, atteggiamenti, orientamenti del pensiero e della cultura».
14 Segnaliamo che trovare risposta a tale domanda può significare l’eventuale rivisitazione di posizioni che anche chi scrive
ha a lungo condiviso. Rientra però nella natura stessa della ricerca scientifica l’opportunità di rivedere anche in chiave
critica le proprie posizioni. Questo è tanto più vero quando ci si riferisce all’e-learning, che rappresenta un campo di
studio recente e in cui il ruolo assunto dalle tecnologie è per definizione in evoluzione e, di conseguenza, richiede ancora
di più di assumere posizioni flessibili e non dogmatiche.
15 Una prima indicazione, che sembra confermare l’ipotesi di un pubblico prevalentemente interessato a forme di auto-
apprendimento, ci sembra emergere dai dati rilevati dal Mooc di italiano L2 – Introduction to Italian: le attività mag-
giormente gradite all’interno del corso riguardano la fruizione autonoma di materiali e lo svolgimento di esercizi auto
correttivi. Livelli di gradimento ben più modesti risulta avere il confronto tra pari (Villarini 2017).

170
Parte III - Capitolo 15

dersi se tutta la riflessione teorica e metodologica portata avanti sull’insegnamento della


grammatica rimanga valida anche quando si fa riferimento alla modalità e-learning. In
particolare, per quanto è stato finora detto, se un approccio induttivo continui a essere
realizzabile online o se l’uso stesso del supporto informatico incida anche sulla metodolo-
gia da adottare.
Nei prossimi paragrafi si analizzerà quindi come viene realizzata la didattica della gramma-
tica sia all’interno di corsi di lingua implementati su piattaforme e-learning (LMS - Learning
Management System) utilizzate frequentemente da università e altri enti formativi, sia
in MOOC (Massive Open Online Courses) che possono essere frequentati da centinaia o
migliaia di studenti e rappresentano l’ultima frontiera della didattica delle lingue online.
La modalità con cui viene trattato l’insegnamento della grammatica all’interno dei corsi
online rappresenta da un lato un ottimo esempio per mettere in luce le differenze esisten-
ti tra la didattica delle lingue condotta in presenza e quella online, dall’altro uno dei banchi
di prova del ruolo che possono avere gli strumenti informatici nella didattica. Cominciamo
con l’osservazione della soluzione adottata per la presentazione di un aspetto grammati-
cale simile all’esempio già considerato nell’analisi dei materiali cartacei: il verbo potere nel
MOOC “Introduction to italian”.
Questo MOOC presenta una sezione di riflessione grammaticale in cui lo studente può
vedere un video con le spiegazioni della forma e della funzione, fornite dal docente. La
forma è presente nel testo input dell’unità e viene evidenziata e richiamata con la precisa
citazione degli esempi (cfr. figura 3)16.

Figura 3 - Presentazione della grammatica nel MOOC Introduction to Italian.

Il focus grammaticale procede con la presentazione delle principali funzioni del verbo,
sempre facendo riferimento agli esempi presenti nel testo input. Si passa poi (cfr. figura
4) alla presentazione di tutte le forme del verbo potere e infine alla presentazione di altri
esempi con le forme verbali evidenziate che servono a presentare la struttura sintattica
della forma (potere seguito da infinito).

16 L’uso della lingua inglese anche nelle spiegazioni grammaticali è una precisa scelta metodologica adottata nel Mooc
“Introduction to Italian”.

Insegnare la grammatica 171


Figura 4 - Presentazione della grammatica nel MOOC Introduction to Italian.

Lo studente ha poi la possibilità di fare alcuni esercizi scritti per il reimpiego della forma.
Soluzione non dissimile dal punto di vista metodologico, fatto salvo l’uso di supporti di-
versi, è quella adottata in un corso online implementato su LMS. In questo caso, l’aspetto
grammaticale viene presentato in una sezione specifica all’interno della quale si sugge-
risce allo studente di prendere visione di una scheda grammaticale prima di svolgere gli
esercizi per il reimpiego della forma (cfr. figura 5). Anche in questo caso la forma è pre-
sentata facendo riferimento al testo input a cui gli studenti sono già stati esposti.

Figura 5 - Presentazione della grammatica in corsi in LMS.

Dall’osservazione delle soluzioni adottate in questi due casi, ci sembrano emergere alme-
no tre aspetti ricorsivi nella presentazione della grammatica:
● è sempre presente l’ancoraggio della forma al testo input. Questa è una scelta metodo-

logica su cui ci troviamo assolutamente d’accordo17, che è comunque possibile adottare


in qualsiasi tipo di corso, come dimostra anche l’esempio tratto dal manuale cartaceo;
● è prevista una fase di analisi della forma e una fase di reimpiego tramite attività;

● c’è un percorso suggerito che prevede l’osservazione della regola e poi il reimpiego me-

diante attività, ma lo studente ha comunque la possibilità di scegliere un ordine diverso


e quindi, per esempio, svolgere gli esercizi prima di osservare la spiegazione o addirit-
tura ignorarla del tutto.

17 Si tratta di una scelta metodologica a nostro parere del tutto appropriata ma forse ancora non così pienamente condi-
visa come si potrebbe pensare. Si segnala, a questo proposito, il Mooc erogato in FutureLearn dalla Open University in
cui la grammatica è presentata mediante la presentazione della forma subito seguita dagli esercizi, senza che vi sia alcun
testo input a cui fare riferimento.

172
Parte III - Capitolo 15

Quello che manca, a ben osservare, è la presentazione della grammatica con un approc-
cio realmente induttivo. Al contrario, la grammatica viene presentata in maniera preva-
lentemente deduttiva con schede o video di spiegazione che illustrano immediatamente
la regola e poi suggeriscono il reimpiego in attività. Perché questa scelta? Escludiamo una
decisione fondata su ragioni metodologiche da parte di chi ha elaborato i corsi. Chi scri-
ve ha infatti partecipato in prima persona come co-autore di MOOC e di corsi erogati in
LMS e, insieme agli altri realizzatori dei corsi, è un sostenitore dei vantaggi dell’approccio
induttivo, per i motivi che sinteticamente sono già stati indicati.
L’impossibilità di adottare un approccio induttivo è stato quindi imposto esclusivamente
dalla tipologia di corso. L’approccio induttivo, infatti, prevede l’elicitazione di ipotesi, il
confronto con i pari, la verifica delle ipotesi fatte mediante, per esempio, un confronto
in plenum. Queste diverse fasi richiedono, come si può intuire, la compresenza degli ap-
prendenti che seguono il corso e del docente che fornisce supporto, coordina le attività,
conferma o corregge le ipotesi fatte.
Non è un caso, pertanto, che l’approccio induttivo sia adottato in molti materiali carta-
cei, come quello che è stato presentato, mentre non si ritrova nei corsi online, MOOC o
implementati in LMS, che si è avuto la possibilità di osservare. Questi corsi, infatti, pre-
vedono una interazione che per la quasi totalità si realizza in forma scritta e asincrona.
Mentre la proliferazione e l’evoluzione delle tecnologie educative costituisce un dato cer-
to (anche se resta difficile prevederlo con esattezza nelle forme e nei tempi), la condizio-
ne di asincronicità che rappresenta uno degli enormi vantaggi dell’e-learning, se accet-
tata non potrà mai essere modificabile. Come per altri aspetti a cui spesso si accenna in
letteratura, per esempio l’impossibilità di sviluppare l’abilità di interazione orale, anche
nel caso della presentazione della grammatica incidono dei limiti strutturali e inelimina-
bili dell’online: o si rinuncia alla dimensione asincrona, o si rinuncia alle forme di appren-
dimento e alle modalità di sviluppo di abilità e competenze che richiedono immediato
confronto tra pari e tra studenti e docenti.
Ci troviamo al momento in una situazione che è stata efficacemente descritta da Tronca-
relli in un suo recente contributo (2016a), quella di lavorare con nuovi strumenti (le piat-
taforme LMS e, ancor di più, le piattaforme per i MOOC di lingua), ma di essere costretti
a riproporre vecchi paradigmi: la prevalenza delle attività scritte su quelle di interazio-
ne orale; la riproposizione di approcci di insegnamento linguistico tradizionale; l’enfasi
sull’autoapprendimento.

15.4. Grammatica induttiva nei corsi online: una strada possibile?


Come si è detto sia i corsi online che i MOOC adottano, giocoforza, un approccio di presen-
tazione della grammatica prevalentemente deduttivo. Ciò è dovuto a limiti strutturali del
mezzo informatico e al non poter fare affidamento su una modalità sincrona di fruizione
dei contenuti da parte degli studenti.
In questo paragrafo si vuole però presentare una proposta che, almeno in qualche misu-
ra, risolve l’impossibilità di adottare approcci induttivi nella didattica online. Per quanti
si occupano di realizzazione di corsi online, questo aspetto è sembrato fino a ora irrisol-

Insegnare la grammatica 173


vibile per i problemi già esposti. Tuttavia, negli ultimi anni, alcuni software liberamente
presenti in Rete sembrerebbero poter indicare una strada alternativa. Facciamo in par-
ticolare riferimento a H5p, un Community Driven Project nato nel 2013 che consente di
creare attività didattiche online e di implementarle su piattaforme, siti internet o blog.
Tra le tante interessanti attività, ci interessa in questo caso quella denominata Interactive
video, che consente di didattizzare un video intervallandolo con attività chiuse in auto-
correzione o integrandolo con immagini o testi di approfondimento. Grazie a questo stru-
mento, invece di essere costretti a fornire una spiegazione del fenomeno grammaticale
nei modi che sono stati indicati nel paragrafo precedente, il docente potrà preparare un
video in cui siano previste attività di elicitazione di ipotesi che verranno immediatamente
corrette.
Inoltre, il software consente all’autore di far bloccare il video automaticamente quando
viene presentata l’attività, a favore di una corretta messa in sequenza dei momenti della
riflessione grammaticale di tipo induttivo, ovvero: focalizzazione sulle forme oggetto di
riflessione > elicitazione delle ipotesi > verifica, riformulazione e correzione delle ipotesi
> sistematizzazione del fenomeno grammaticale.
Nelle figure seguenti (cfr. figure 6), viene presentato un esempio di questa attività realiz-
zata con H5p e implementata su un ambiente Wordpress nell’ambito di una sperimenta-
zione attualmente in atto su nuove forme di didattica dell’italiano L2 portata avanti dal
Centro FAST dell’Università per Stranieri di Siena.

6a 6b

6c 6d

Figura 6 - Presentazione della grammatica con Interactive Video.

174
Parte III - Capitolo 15

Lo studente che svolge l’attività può visionare il video in cui scorrono le slide18 con le frasi
o i brevi testi in cui è presente l’elemento grammaticale oggetto di studio (figura 6.a - fase
di focalizzazione); dopo questa fase il video si blocca proponendo lo svolgimento di attività
che inducono a riflettere su un aspetto dell’elemento grammaticale (la funzione, in figura
6.b; la forma, in figura 6.c – fase di elicitazione); le attività vengono corrette immediata-
mente e, nel caso in cui venga selezionata una risposta sbagliata, è possibile fornire un fe-
edback per dare indicazioni volte a condurre lo studente a elaborare l’ipotesi corretta: egli
avrà pertanto la possibilità di ritornare al video di spiegazione, riformulare la sua ipotesi
e in seguito ricevere il feedback (figura 6.b – fase di verifica, riformulazione e correzione
delle ipotesi); infine, dopo aver proposto una attività di completamento della regola, il
fenomeno grammaticale potrà essere presentato nella sua completezza (figura 6.d).
È evidente che si tratta di momenti del tutto diversi da quelli presentati nel paragrafo
precedente (cfr. paragrafo 15.3) per l’insegnamento della grammatica nei corsi online e
nei MOOC presi in considerazione. Interactive video consente un cambiamento di pro-
spettiva rilevante e permette, di fatto, di adottare un approccio induttivo nella riflessione
metalinguistica, prevedendo l’elicitazione delle ipotesi sulle strutture linguistiche, la loro
eventuale modifica e la loro verifica e, infine, la sistematizzazione della regola. A questo si
aggiungano i vantaggi dati dalla presentazione mediante materiale audiovisivo e quindi la
possibilità di vedere le spiegazioni infinite volte, di usare i sottotitoli etc., modalità ovvia-
mente non replicabili con un materiale cartaceo.
Resta il limite, torniamo a dire ineliminabile, della modalità di fruizione: anche le attività
che sono state presentate in questo paragrafo sono state elaborate per essere fruite in au-
toapprendimento perché non è possibile prevedere a priori una modalità di lavoro online
in sincrono.
Tuttavia, ben consapevoli che qualsiasi previsione che riguardi lo sviluppo dell’e-learning
corra il rischio di andare incontro a nette smentite nel giro di pochi anni, si vuole conclu-
dere con una suggestione, un auspicio che potenzialmente potrebbe trovare le condizioni
adeguate per realizzarsi. Con riferimento alla possibilità di adottare un pieno approccio in-
duttivo anche online, si ritiene che uno dei fattori distintivi dei MOOC, ovvero la frequenza
massiva del corso, potrebbe trasformarsi in una risorsa. Infatti, se gli iscritti a un corso
sono migliaia o addirittura decine di migliaia sparsi in tutto il mondo, di fatto aumenta
esponenzialmente la possibilità che più utenti siano collegati in sincrono in piattaforma e
svolgano la stessa attività nello stesso momento. Se in un prossimo futuro l’attività di Inte-
ractive video potrà essere fruita nello stesso momento da piccoli gruppi di studenti, cosa
che non ci sembra difficile immaginare dal punto di vista tecnico, per esempio creando in
piattaforma diverse stanze in cui limitare l’accesso a qualche decina di utenti consenten-
do loro di svolgere contemporaneamente le attività di riflessione grammaticale proposte,
allora potranno di fatto essere create le condizioni ideali per mettere in atto pienamente
un approccio induttivo che preveda anche la collaborazione in sincrono di più studenti, lo
scambio di ipotesi e il confronto.

18 Dal momento che si possono utilizzare video autoprodotti, registrando lo schermo di un computer, si potrà utilizzare
qualsiasi supporto per la presentazione. Per esempio sarà possibile utilizzare Power Point o Prezi; il video inoltre potrà
includere le spiegazioni orali del docente che può apparire sullo schermo alternandosi alle slide e potrà essere sottoti-
tolato.

Insegnare la grammatica 175


15.5. Conclusioni
Come emerge dalla letteratura sull’argomento, dall’analisi dei materiali didattici, dalle
preferenze espresse dai docenti, attualmente si è affermata una posizione di consenso
abbastanza generalizzato che attribuisce all’insegnamento della grammatica in L2 un peso
importante, ma non prioritario o esclusivo, proponendo un approccio di tipo induttivo.
In questo quadro, i corsi e-learning svolti in modalità asincrona rappresentano un esempio
paradossalmente in controtendenza, poiché in qualche misura costringono ad adottare
metodi di insegnamento desueti pur avendo a disposizione tecnologie educative avanza-
te. Ciò conferma che la didattica della lingue online non è sovrapponibile alla didattica del-
le lingue in presenza, poiché sono diversi i pubblici, gli obiettivi, le attività che è possibile
proporre. Imparare una lingua online è cosa profondamente diversa dal farlo in presenza,
non tanto perché “manca il contatto fisico con i compagni e il docente” – espressione piut-
tosto vaga che spesso si sente ripetere ma che, a nostro parere, sottende tutta una serie di
fattori affettivi e di relazione di cui è importante tenere conto ma che non possiamo tratta-
re in questa sede –, quanto piuttosto perché la dimensione asincrona dell’erogazione dei
corsi costringe in massima parte a un apprendimento autonomo. Tuttavia, l’e-learning è
per definizione in veloce evoluzione e anche su questo aspetto potremmo assistere in un
prossimo futuro a cambiamenti di un certo rilievo: il proliferare di corsi di lingua massivi
e le implicazioni determinate dalla frequenza dei corsi da parte di un numero altissimo di
studenti, potrebbero rendere possibili, per esempio, esperienze di apprendimento sincro-
no in piccoli gruppi; inoltre, l’evoluzione dei software e degli strumenti tecnologici, quasi
mai nati in origine per la didattica delle lingue, possono rappresentare un altro volano di
innovazione come abbiamo cercato di dimostrare con la descrizione delle attività create
con il software H5p. Essenziale sarà, da qui in poi, un dialogo più stretto tra gli esperti di
didattica delle lingue e quanti si occupano di elaborare e allestire ambienti e strumenti
di apprendimento virtuali, nella speranza che le istanze che emergono dai primi vengano
intercettate e accolte (o per lo meno discusse e negoziate) dai secondi, dal momento che il
semplice adattamento nel campo dell’insegnamento linguistico di proposte nate con altri
scopi mostra alla lunga tutti i suoi limiti.
La didattica delle lingue online rappresenta dunque un campo di ricerca e sperimenta-
zione che deve trovare un suo spazio di autonomia senza necessariamente guardare a
modelli “paradigmatici” rappresentati dalle buone pratiche già svolte nella classi di lingua.
Nello specifico, la didattica della grammatica online, come si è cercato di dimostrare in
questo contributo, può rappresentare uno degli ambiti della didattica delle lingue in cui
avanzare in questa direzione.

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Vedovelli M., 1990, “Attività metalinguistica e apprendimento spontaneo nell’italiano L2”,
in Giunchi P. (a cura di), Grammatica esplicita e grammatica implicita, Milano, Zanichelli, pp.
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Vedovelli M., Villarini A., 2003, “Dalla linguistica acquisizionale alla didattica acquisizionale:
le sequenza didattiche nei materiali di italiano L2 destinati agli immigrati stranieri”, in Giaca-
lone Ramat A. (a cura di), 2003, Verso l’italiano. Percorsi e strategie di acquisizione, Roma,
Carocci, pp. 270-304

Insegnare la grammatica 177


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stranieri, n. 22, pp. 3-8
Villarini A. (a cura di), 2010, L’apprendimento a distanza dell’italiano come lingua straniera.
Modelli teorici e proposte didattiche, Milano, Le Monnier
Villarini A., La Grassa M., 2010, Apprendere le lingue straniere nella terza età, Perugia, Guerra

178
Insegnare
la grammatica

Dopo aver analizzato natura e metodi dell’insegnamento della civil-


tà italiana, in quest’ultimo volume della collana Al servizio degli inse-
gnanti si affronta l’insegnamento della grammatica.
Con questa nuova collana Edilingua offre gratuitamente agli insegnan-
ti di italiano una serie di volumi di autoformazione in cui trovano:
• alcuni saggi che delineano le coordinate concettuali relative al tema
del volume;
• alcuni interventi di carattere operativo, pensati per la classe;
• una guida bibliografica, con gli accessibili gratuitamente;
• un’antologia di scritti sul tema del volume apparsi in riviste e libri,
regalati a questa collana dagli autori e dagli editori, che ringraziamo
per essersi messi, insieme a noi, Al servizio degli insegnanti.

Nel volume Insegnare la grammatica abbiamo voluto riflettere, come


casa editrice, sulla natura dei volumi di ‘grammatica dell’italiano’ e
condividere con gli insegnanti questa riflessione per aiutarli a formarsi
una loro opinione che li guidi nella scelta del tipo di manuale gramma-
ticale da utilizzare con i propri studenti.

www.edilingua.it ISBN: 978-88-31496-30-8

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