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Bergamo 4 Marzo 2010

Fine della finanza


seminario tenuto da Massimo Amato e Luca Fantacci all’interno del corso di Economia Monetaria
Internazionale, Facoltà di Economica, Università di Bergamo

Intervento di apertura di Stefano Lucarelli, docente del corso di Economia Monetaria Internazionale

Nella lezione introduttiva del corso di Economia Monetaria Internazionale, all’interno del quale
ospito questo seminario, ho dichiarato che stiamo vivendo un periodo di grande confusione nella
comprensione del sistema dei pagamenti internazionali. Le variazioni dei tassi di cambio, i
meccanismi riequilibratori della bilancia dei pagamenti, e in particolare il ruolo assunto dai
movimenti dei capitali, non sembrano rispondere a quanto sostiene la maggior parte dei manuali di
economia monetaria internazionale.

Viviamo in un sistema internazionale in cui è moneta di riserva la moneta emessa dalla Banca
centrale di uno Stato la cui bilancia dei pagamenti è strutturalmente in deficit.

Può tornare utile ripercorrere la storia monetaria in cerca dei significati di parole fondamentali –
mercati finanziari, moneta, credito - che rischiamo di non conoscere veramente.

Mi pare questa la proposta avanzata da Amato e Fantacci nel libro che oggi discutiamo insieme a
Riccardo Bellofiore e Sebastiano Nerozzi che ringrazio di aver accolto il mio invito per quest’oggi.

Il libro di Massimo Amato e Luca Fantacci fa parte di un progetto di ricerca che impegna i due
autori da molto tempo. Presento qui di seguito le tappe fondamentali:

ne Il bivio della moneta del 1999 Amato affronta la storia delle politiche di stabilizzazione
monetaria del Piemonte, di Milano, Genova e Venezia nel Settecento; attraverso un’immersione
nelle fonti primarie Amato mostra come la politica monetaria che caratterizzava gli Stati Italiani nel
corso del Settecento presuppone una moneta internazionale stabile a cui la moneta nazionale deve
essere stabilmente legata. La stabilità della moneta destinata allo scambio internazionale deve
implicare la stabilità della moneta interna. Ciò può verificarsi solo attraverso l’impegno degli Stati a
controllare gli spazi monetari nazionali (attraverso la trasformazione della moneta immaginaria in
moneta di conto nazionale). Tale obiettivo può essere perseguito solo attraverso una riforma
monetaria che porti al cambio della moneta erosa e svilita, e un'attenta politica delle tariffe,
perseguita mediante l'uso della moneta immaginaria e diretta a mantenere invariati, il più al lungo
possibile, i rapporti di equivalenze tra le monete.

Ne Le radici di una fede nel 2008 Amato muove passi più decisi verso una storia del rapporto fra
moneta e credito in Occidente. Tutto il libro ruota attorno ad un principio normativo che tende ad
essere dimenticato: la relazione debito-credito è una relazione che viene aperta per poter essere
condotta a una fine; i debiti devono poter essere pagati e la misura in cui i debiti devono essere
pagati deve essere decisa. C’è un momento particolare in cui questa norma viene messa in
discussione con grande veemenza in nome di una nuova norma di segno contrario che consiste nella
finanziarizzazione del credito: si tratta di una vera e propria sfida che verso la fine del ‘500 vede
protagoniste le fiere di Lione e di Bisenzone, una sfida che mette in gioco né più né meno due

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visione opposte dei rapporti di debito e credito. Emblematiche le parole di un commentatore coevo
della fiera di Bisenzone (B. Davanzati 1582) riportate nel libro di Amato:

[a Bisenzone] non vi vanno i popoli a comprar mercanzie, ma solamente cinquanta o sessanta cambiatori con
un quaderno di fogli, a ricapitare i cambj fatti quasi in tutta Europa,e ritornarli con quegli interessi che quivi
convengono, non da altro regolati che dal far in modo che la taccola possa durare […] una parte sono arbitri,
rivolture e girandole, e non vivi debiti o crediti effettivi […]

Qui stanno le radici della moneta fiduciaria occidentale.

Dal canto suo, Luca Fantacci in La moneta. Storia di un’istituzione mancata del 2007 si interroga
sull’essenzialità che la funzione di moneta immaginaria – la pura unità di conto necessaria nel
Settecento per denominare il valore dei beni e delle stesse monete metalliche circolanti tra gli Stati e
al loro interno - assume nella sostenibilità di ogni sistema monetario. L’ipotesi avanzata da Fantacci
è che una volta smarrita questa idea di moneta (su cui ricordo per inciso insisteva ancora Einaudi
nel 1936) ciò che si è perso è “la misura del valore che, proprio in quanto distinta dal mezzo di
scambio, consentiva di contemperare le esigenze del commercio con l’estero e del pagamento dei
debiti all’interno della comunità”.

In Fine della finanza Amato e Fantacci ci offrono una riesposizione di queste loro ricerche cercando
di avanzare considerazioni meditate sulla crisi in corso. Gli autori sostengono che ciò che è entrato
in crisi è un’intera concezione di finanza. Ciò dà l’opportunità di ripensare il ruolo dei mercati
finanziari.
Uno dei pregi del lavoro di Amato e Fantacci consiste nel ribadire che la struttura finanziaria – in
quanto sorgente dalla possibilità di mantenere aperte le posizioni di debito, rivendendole - è
profondamente legata alle mancanze del sistema monetario internazionale. Un punto che era senza
dubbio chiaro nella mente di Keynes quando nel 1944 lavorò instancabilmente alle sue Proposals
for an International Clearing Union.

1) Nella Clearing Union non vi sono depositi: i paesi non sono tenuti a versare né oro né
valuta; il saldo iniziale del loro conto è pari a zero e diventa positivo o negativo a seconda
che le loro esportazioni eccedano le importazioni o viceversa.

2) Per evitare l'accumulazione di squilibri in entrambe le direzioni, non solo i saldi passivi ma
anche i saldi attivi sono soggetti a limiti quantitativi e al pagamento di commissioni. In tal
modo, gli oneri dell'aggiustamento sono ripartiti simmetricamente fra paesi creditori e paesi
debitori.

Il libro – che soprattutto nella prima parte assume un tono accusatorio nei confronti delle letture
della crisi avanzate da quegli economisti che difendono il ruolo dei mercati finanziari (Alesina e
Giavazzi, Eichengreen, Rajan e Zingales) – presenta dei punti di vista che sono inusuali anche per
gli economisti critici che concepiscono la scienza economica, come scienza del capitalismo e
cercano di studiare il capitalismo come un’economia monetaria di produzione:
1) Amato e Fantacci utilizzano il concetto di moneta-merce in un’accezione del tutto diversa
rispetto a quella impiegata dagli economisti monetari. Mentre per questi ultimi moneta-
merce indica una moneta costituita da un bene avente un suo valore intrinseco pari a quello
attribuito dal sistema, in Fine della finanza l’espressione è utilizzata con il significato di
moneta mercificata. La cosa può far sorgere confusione.
2) Gli autori ritengono che tra le funzioni proprie della moneta deve prevalere la funzione di
unità di conto e che le norme che regolano questa funzione devono evitare che la moneta
possa essere impiegata come una merce (cioè se ho ben capito, la funzione di riserva di
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valore deve essere soggetta a delle regole). Tuttavia in un’economia monetaria di
produzione l’impiego della moneta come riserva di valore non dipende tanto da intenti
speculativi, quanto da fini precauzionali caratteristici di un mondo incerto.
3) I due autori prediligono una lettura “continuista di Keynes” (una lettura che tra l’altro si
fonda sulla ricerca che Fantacci sta conducendo preso la Wren Library del King College a
Cambridge, alcuni risultati sono stati presentati nel working paper dell’Istituto di Storia
Economica dell’Università Bocconi, "John Maynard Keynes: Escaping the Liquidity Trap" )
sostenendo che in tutta l’opera keynesiana emergerebbe la necessità di togliere alla moneta
il tratto della liquidità.

Sono certo che nel corso dei loro interventi Amato e Fantacci accoglieranno il mio invito a chiarire
questi aspetti del discorso.

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