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Brescia

Una visita alla città romana e


longobarda di Brescia (Stemma)

Brescia è un comune italiano, capoluogo dell'omonima


provincia in
Lombardia. È il
1.0 Storia romana secondo comune
della regione per
1.1 Periodo romano-
popolazione, dopo
repubblicano
Milano. Antica città
1.2 Periodo romano alto- le cui origini
imperiale risalgono a oltre
3200 anni fa, Brescia
1.3 Periodo romano tardo- possiede un
imperiale cospicuo patrimonio
artistico e
2.0 Storia longobarda architettonico: i suoi
monumenti
3.0 aree archeologiche longobarda d'epoca
romana e sono stati
3.1 Piazza del foro dichiarati dall'UNESCO Patrimonio mondiale
dell'umanità, è tra i principali centri economico-
3.2 Capitolium
produttivi d'Italia ed è conosciuta per la celebre
3.3 Teatro romano corsa d'auto d'epoca Mille Miglia e per la
produzione del Franciacorta. La stessa città di
3.4 Monastero di Santa Brescia, inoltre, è stata scelta nel 2020 come
Giulia capitale italiana della cultura per l'anno 2023
assieme a Bergamo. La città di Brescia è
3.5 Museo di Santa Giulia soprannominata "La Leonessa", originariamente
per il valore e l’attaccamento dimostrato verso
3.6 Domus dell’ ortaglia la repubblica veneta: nel 1438, a tal proposito, lo
stesso Senato veneto proclamò la città di Brescia
4.0 Vittoria alata
“Leonessa e degna sposa del Leone”
conferendole il titolo di “Brixia Fidelis fidei et
4.1 Victoire ailée
Iustitiae”, titolo fieramente riportato sul fronte
del palazzo della Loggia
Storia romana

Periodo romano-repubblicano ( 89-31 a.C. )

Dal 196 a.C. hanno inizio per Brescia prolifici rapporti con Roma, benché comunque
la città mai fu soggetta ad una vera e propria occupazione, quanto piuttosto ad una
sorta di alleanza. Questa stessa alleanza permise infatti a Brescia, nell'89 a.C., grazie
alla lex Iulia de civitate (che conferiva la pienezza del diritto romano, assegnandola
alla tribù Fabia) di diventare a tutti gli effetti un municipium, ottenendo così il diritto
latino. Ciò fu possibile anche e soprattutto per aver aiutato i Romani, insieme a
Veneti, Galli e Liguri, a sconfiggere i socii Italici. Nel 49 a.C., allo scoppio della guerra
civile, Aulo Gabinio fu richiamato da Cesare e gli fu affidato il comando delle
operazioni nell'Illirico. Brixia divenne così parte del territorio romano ed ai suoi
abitanti venne data la cittadinanza romana.[14] Non a caso sappiamo del passaggio
della legio X Veneria dalla città in questo periodo.

In epoca repubblicana il mondo "cenomane" godette di grande autonomia, poté


auto-amministrarsi, battere moneta propria, mantenere una propria "cultura", ma
con l'acquisizione della cittadinanza romana scomparve la dicitura "Cenomani" in
favore di quella di "Brixiani".

Affresco nel santuario repubblicano capitelli del successivo tempio capitolino

Periodo romano alto-imperiale ( 30 a.C.-285 d.C. )


La Brixia romana di età augustea divenne colonia romana nel 27 a.C. con il nome di
Colonia civica Augusta Brixia.[18] Divenne, inoltre, un importante centro religioso,
inserito amministrativamente nella Regio X Venetia et Histria. Un altro aspetto da
considerare è la condizione economica Bresciana durante l'epoca imperiale. Se da
un lato vi fu un forte sviluppo economico, dall'altro la povertà di certe popolazioni
rurali spinse un gran numero di bresciani ad arruolarsi nelle legioni; in particolare
molti bresciani vennero arruolati nella Legio VI Ferrata.

In epoca romana il territorio di Brescia era attraversato da un'importante strada


romana, ovvero la via Gallica, che collegava i maggiori municipia della Pianura
Padana iniziando a Gradum (Grado) e terminando a Augusta Taurinorum (Torino).

Brixia era uno dei due terminali della via Mediolanum-Brixia, che la collegava a
Mediolanum (l'odierna Milano) passando anche da Cassianum , e della via Brixiana,
strada romana consolare che metteva in comunicazione il porto fluviale di
Cremona , che si trovava lungo il fiume Po, con Brescia , da cui passavano diverse
strade romane che si diramavano verso l'intera Gallia Cisalpina .

Periodo romano tardo-imperiale ( 286-476 d.C. )

Nel 402 Brescia venne travolta delle orde gotiche di Alarico, fu saccheggiata dagli
Unni di Attila nel 452, mentre nel 476 un guerriero Turclingio di nome Odoacre, alla
testa di un esercito di Eruli, conquistò la pianura transpadana portando alla fine
dell'Impero e facendo entrare Brescia nel suo dominio. Il Regno di Odoacre finì con
l'avanzata degli Ostrogoti guidati dal loro re Teodorico poi detto il grande che nel
493 espugnò Brescia facendone uno dei suoi maggiori insediamenti insieme alla
vicina Verona.

Durante la Guerra gotica (535-553), Brescia, guidata probabilmente dal conte goto
Widin, fu, insieme alla vicina Verona, una delle ultime due città a resistere ai
Bizantini, cadendo nelle mani di Narsete solo nel corso del 561/562.
Ritratto dell'Imperatore Settimio Severo.

Storia longobarda

I Longobardi si insediarono a Brescia presumibilmente nel 569 d.C., e la affidarono al


governo del duca Alachis. La città che videro i Longobardi era ormai ben diversa
dalla città di età romana; già con l’abbandono del paganesimo e poi con la caduta
dell’impero romano era iniziato un lento collasso dell’organizzazione urbana, con lo
spostamento dell’asse principale in corrispondenza dell’attuale piazza del Duomo e
al di fuori delle mura antiche.
L’area orientale della città era stata abbandonata e gli edifici pubblici monumentali
(Capitolium, foro, teatro e basilica), muti testimoni del ruolo di primo piano della
città romana, erano stati parzialmente spogliati e ricoperti dal terreno del colle
Cidneo che sovrasta la città. Tale area era stata occupata dai Goti di Teoderico,
insediatisi in Brescia tra la fine del V e l’inizio del VI secolo d.C. Lungo il decumano
massimo invece, all’interno di un ampliamento della cinta muraria verso ovest, i Goti
edificarono il Palatium.
L’importanza di Brescia in età longobarda si rispecchia nella sua classe dirigente, che
ebbe un ruolo di primo piano nelle vicende del regno.
Rotari, Duca della città, divenne Re dei Longobardi nel 636 d.C. e dieci anni dopo
promulgò l’editto che porta il suo nome e che contiene le prime leggi scritte dei
Longobardi.
Con l’ascesa di Re Desiderio e della moglie Ansa, poi, Brescia raggiunse il massimo
prestigio. Ad ovest, in corrispondenza del Palatium tardoantico sede dell’autorità
gota, edificarono la curia ducis (la “corte del duca”); mentre verso est erano gli spazi
di pertinenza del re.All’interno della cinta muraria di età augustea (I secolo a.C.- I
secolo d.C.), ancora in uso, nelle ampie zone abbandonate della città romana, i
Longobardi edificarono le loro semplici abitazioni e avviarono la coltivazione
unitamente a una modesta attività di pascolo.Prima dell’edificazione del Monastero
di San Salvatore, nell’area è attestata la presenza di un insediamento modesto, con
tracce di attività artigianali: le abitazioni erano costituite da capanne con pavimenti
in battuto e pareti costituite da pali di legno infissi direttamente sui resti di un
esteso e ricco quartiere di età romana; gli spaziosi vani delle antiche dimore,
affioranti dai livelli di macerie, vennero suddivisi in porzioni di piccole dimensioni
tramite paratie di frasche o di pelli.
Nel 753 Desiderio, Duca di Brescia, su beni fiscali donatigli da re Astolfo, avviò con la
moglie Ansa la costruzione del monastero femminile benedettino di San Salvatore,
affidandolo alla figlia Anselperga, che ne divenne la prima badessa.
Tre anni dopo, Desiderio divenne Re del popolo longobardo; intraprese l’ambizioso
progetto di avviare una dinastia regia e donò importanti beni al monastero, che nel
frattempo (761 d.C.) si era arricchito, tra le altre, anche delle reliquie di Santa
Giulia. Intorno all’edificio monastico vennero realizzate strutture per l’accoglienza
dei pellegrini e l’alloggio dei poveri. Il monastero si inserì nel sistema del
monachesimo diffuso su tutto il territorio longobardo e rivestì un ruolo
fondamentale nella società dell’epoca, dal punto di vista religioso, politico ed
economico. Inoltre la fondazione regia conferì al cenobio una notevole autonomia
dall’autorità religiosa della diocesi, indipendenza economica e ampio potere
territoriale, e lo arricchì di una serie di donazioni e privilegi.

aree archeologiche

Piazza del foro

Il nostro punto di partenza per conoscere la Brescia d’età Romana è Piazza del Foro,
una delle piazze più antiche di Brescia attigua a Via Musei.
La piazza del Foro di Brescia insiste sull’area del foro fatto edificare nel I secolo d.c.
dall’Imperatore Vespasiano su uno preesistente di epoca repubblicana. Le indagini
archeologiche indicano verosimilmente che diverse tipi di botteghe, gli antichi
«negozi», sorgessero sotto questi colonnati e che esponessero le vari tipologie
merceologiche presenti in quell’epoca. Pur risalente alla prima età del ferro, come
dimostrano alcuni studi archeologici sui reperti custoditi in palazzo Martinengo, la
piazza ha avuto il suo massimo splendore in epoca romana. All'antico foro romano è
stato attribuito da molti il ruolo di centro della vita civile e religiosa della Brixia
romana, come dimostrano le presenze del tempio capitolino, posto nella parte
settentrionale della piazza, che comprendeva due file di portici laterali di cui è
rimasto qualche segno nella parte centrale della piazza, e della Basilica di cui si
conservano alcuni reperti nei palazzi circostanti. Un'ulteriore dimostrazione della
centralità che questa piazza ricopriva nella vita dell'antica Brixia Romana, è la
presenza dell'antico Decumano Massimo, antica strada cittadina che permetteva i
collegamenti con le altre città della zona di Bergamo e di Verona

Capitolium

La nostra prossima meta è Il Tempio Capitolino, voluto nel 73 d.C. dall’imperatore


Vespasiano, era destinato al culto di Giove, Giunone e Minerva, le tre divinità
capitoline. I marmi scolpiti furono estratti dalle cave di Botticino, a pochi chilometri
dalla città, e issati su un precedente santuario del II sec. a.C., di cui restano solo
alcuni segni. La mole dell’edificio si percepisce nei frammenti ricostruiti: il bianco
originario misto alle pietre rosate aggiunte nel corso dei restauri, con l’atrio che
protegge tre grandi porte e le relative aule ed ospita numerose lapidi di epoca
Romana.
Nel Medioevo il Capitolium cadde in rovina e fu seppellito dalle frane e dai detriti
caduti dal sovrastante colle Cidneo. Il tempio è sacro e imponente: all'interno
conserva i pavimenti originali in lastre di marmi colorati e continua inoltre a
emozionare con la suggestione delle luci nel corso della giornata: d’estate
all’imbrunire offre affascinanti giochi d’ombra, mentre di sera, illuminato, si carica di
profondo mistero.
Ciò sta a significare che sotto quello che vediamo oggi c’è ancora molto da riportare
alla luce.
Nel 1823, durante dei lavori di restauro e riorganizzazione urbana, sotto il controllo
del Comune di Brescia, riemerse il Tempio Capitolino e tutti i resti della Brixia
Romana. Nel corso degli anni si sono organizzati per la ricostruzione parziale e le
messe in opera di restauro ed ad oggi è possibile ammirare ciò che un tempo era il
centro della città.
All’interno del Tempio Capitolino si conservano ancora i pavimenti originali, le
decorazioni, gli altari in pietra ed altri resti rinvenuti. Prima di entrare viene
riprodotta una breve introduzione video. Al suo interno è possibile ammirare alcuni
oggetti ritrovati nei diversi periodi, prima e dopo la costruzione del tempio.
Sensazionale è la passeggiata sopra un vetro dove è visibile una parte del pavimento
originale. La pavimentazione nella stanza seguente è composta da materiali molto
resistenti con un misto tra cemento e marmo.

Teatro romano
All’esterno, a destra del Capitolium, dopo essere passati attraverso arcate è
possibile visitare il Teatro risalente alla fine del I secolo a. C. costituito dalla
gradinata esterna ed al centro in basso il palco dedicato alle esibizione degli attori
ed artisti vari.Teatro Romano (I sec. d.C.), uno fra i maggiori teatri d’Italia in grado di
contenere sino a 15mila spettatori. Se il Teatro Romano è ancora in attesa di
riqualificazione e viene oggi parzialmente aperto in occasioni speciali, il Tempio
Capitolino, già nel 2013 è tornato ad accogliere visitatori, diventando uno dei
simboli della Brescia antica.
Il teatro fu costruito in epoca flavia (69-96 d.C.), forse su strutture precedenti, e
venne integralmente restaurato alla fine del II secolo, quando conobbe il massimo
splendore. Tra la fine del V e l'inizio del VI secolo fu in parte distrutto, ma continuò
ancora per qualche secolo a svolgere funzione di luogo pubblico di riunione.
Il teatro, al modo greco, è adagiato sul declivio del colle e, per meglio adattarsi alla
configurazione del terreno, ha la fronte lievemente inclinata rispetto all'andamento
del decumano. Osservandolo da Vicolo del Fontanone si distinguono in alto le volte
dei vomitori, gli ingressi del pubblico, in basso il livello della scena – forse a due
ordini – e la fossa dei musicanti. Il palco passava sotto l’attuale vicolo, mentre a sud
del teatro possiamo immaginare, grazie alla presenza di alcuni palazzi, il maestoso
edificio-teatro che affacciava sul decumano massimo. In pietra di medolo e marmo,
in mattoni nel più alto ambulacro, è caratterizzato da notevoli dimensioni: si ritiene
infatti che potesse contenere 15.000 spettatori.
 
Fra il Tempio e il Teatro lo splendido Palazzo Gambara già Maggi. Costruito a partire
dalla fine del ‘300 dalla famiglia Maggi  sui resti della platea del Teatro Romano
(notare le fondamenta sul lato est), fu notevolmente ampliato col passaggio del
palazzo alla famiglia Gambara. Contiene affreschi di fine ‘400 e soffitti lignei con
tavolette dipinte (attualmente non visitabile).
Monastero di Santa Giulia

Il monastero di San Salvatore venne fondato nel 753 per volere del duca longobardo
Desiderio e di sua moglie Ansa. Era un monastero femminile e la prima badessa fu
Anselperga, figlia dello stesso sovrano. Il monastero possedeva beni ingenti che
andavano ben oltre il confine bresciano ed era al centro di una intensa attività di
scambio commerciale; entrambi questi aspetti trovano giustificazione nel fatto che
Santa Giulia ricopriva il ruolo di monastero «regio» . Ulteriore prova dell’importanza
di questo luogo di culto è testimoniata dal fatto che la cerimonia di consacrazione
della basilica di San Salvatore, avvenuta nel 763, fu presieduta da Papa Paolo I in
persona . Nella cripta della stessa basilica furono inoltre collocate le reliquie di Santa
Giulia, provenienti dall’Isola di Gorgona, e quelle delle sante Sofia, Pistis, Elpis e
Agape, e dei santi Ippolito e Pimenio, provenienti da Roma . Con l’ascesa al trono di
Desiderio si ebbe un ulteriore impulso allo sviluppo del monastero, con l’intento di
trasformarlo in una tomba dinastica: come affermato da fonti storiche, confermate
da recenti ricerche archeologiche, nella basilica di San Salvatore furono sepolti la
regina Ansa assieme ad altri membri della sua famiglia, probabilmente il padre e due
suoi fratelli .
Dopo la sconfitta di Desiderio e la caduta del Regno longobardo , i Carolingi
confermarono tutti i benefici precedentemente assegnati al luogo di culto, che
proseguì la sua crescita economica ampliando i propri possedimenti in tutta Italia .
Fin dall'età carolingia, il monastero era inoltre proprietario dell'importante porto sul
Ticino di Sclavaria, posto fuori dalle mura di Pavia, allora capitale del Regno d'Italia.
Nel 916 l'imperatore Berengario I concesse alla figlia Berta, badessa del monastero,
la possibilità di realizzare un castello presso il porto .
Nella metà del XII secolo il monastero subì un primo importante rifacimento in stile
romanico: furono ricostruiti i chiostri, la cripta di San Salvatore venne ampliata e
venne edificato l'oratorio di Santa Maria in Solario . La struttura attuale è però da
attribuire all'opera di completamento intrapresa alla fine del XV secolo, periodo in
cui fu completato il coro delle monache, vennero nuovamente ricostruiti i chiostri ed
in cui fu aggiunto l’edificio settentrionale destinato ai dormitori . Nel XVI secolo
venne terminata infine la chiesa di Santa Giulia .
La struttura del monastero nei secoli

Il complesso comprende la basilica di San Salvatore, la cui forma attuale non è quella
voluta originariamente da re Desiderio, bensì un rifacimento datato intorno al IX
secolo . Essa è sovrapposta ad una chiesa preesistente ad una navata e tre absidi . A
sua volta la chiesa sorge su un precedente edificio di epoca romana . Il preesistente
complesso era il monastero dei Santi Michele e Pietro , primo luogo di culto
longobardo databile alla seconda metà del VII secolo e gestito quindi come per le
altre fondazioni monastiche longobarde di quel periodo dai monaci di San
Colombano, poi riformato alla regola benedettina fra la metà del VIII secolo e l'inizio
del IX secolo.

Il sacello di Santa Maria in Solario venne integrato al monastero nella metà del XII
secolo . L’edificio ha una pianta quadrata a due piani coronata da un tiburio
ottagonale con una piccola loggia ad archi. L’interno è costituito da due piani
collegati tra di loro da una scala. Il piano inferiore non presenta particolari
decorazioni o motivi particolari, molto probabilmente perché adibito a stanza di
custodia del tesoro costituito da oggetti liturgici e preziosi vari; il piano superiore è
quasi interamente affrescato con scene tratte dalla vita di Gesù e sono riconducibili
all’opera di Floriano Ferramola .
Museo di Santa Giulia

La zona sottostante al Museo è ricca di reperti archeologici di varie epoche, in


maggioranza appartenenti all'epoca romana e ottimamente conservati, in
particolare le Domus dell'Ortaglia. Nel museo sono conservati migliaia di oggetti e
opere d'arte spazianti dall'età del Bronzo all'Ottocento provenienti soprattutto dal
contesto cittadino e dalla provincia di Brescia, che ne fanno un vero e proprio museo
cittadino, le cui tematiche di approfondimento vertono principalmente sulla storia
della città di Brescia e del suo territorio. Tra le numerose opere d'arte si ricordano
soprattutto la Vittoria Alata, la Croce di Desiderio, la Lipsanoteca e il settore
"Collezionismo e arti applicate", dove sono custodite tutte le collezioni private
donate al museo tra il Settecento e L'Ottocento.
La costruzione, su due piani, è coronata da un tiburio ottagonale dotato di una
loggetta di archetti retti da pilastrini e colonnine, in parte risalenti ai secoli VIII e IX,
probabilmente provenienti da una fase precedente del monastero e reimpiegati
nella nuova costruzione. Il sacello si presenta come un ambiente a pianta quadrata,
le cui pareti sono plasticamente definite da paraste e dalle membrature di quattro
volte a crocera rette da un’ara romana reimpiegata con funzione di pilastro centrale.
Nel 1999, nel corso dei lavori di sistemazione del sacello in vista dell’allestimento,
alcune incongruenze evidenti nella struttura, quali, ad esempio, la mancanza dei
basamenti delle paraste sulle pareti laterali, hanno indotto a compiere alcuni saggi
sotto la pavimentazione esistente. In seguito ai primi incoraggianti risultati, si è
proceduto alla rimozione del pavimento in cotto e si è scavato fino a recuperare la
quota medioevale, purtroppo priva della pavimentazione originaria, rimettendo in
luce i basamenti delle paraste e ripristinando le corrette proporzioni dell’aula.
 
E’ stata quindi posata la nuova pavimentazione, che si configura come una sorta di
pedana realizzata con una maglia di tubolari in acciaio su cui sono posate lastre
rettangolari in pietra di Sarnico, mantenuta distante dalle murature perimetrali di
circa dieci centimetri in modo da porre in vista e sottolineare i basamenti riportati
alla luce. L’aula superiore, a cui si accedeva da una ripida scaletta interna, è
costituita da un ampio locale dotato di tre absidi ricavati nello spessore della parete,
interamente decorata con affreschi che narrano storie di santi, realizzati tra il 1513 e
il 1525 ad opera di Floriano Ferramola e della sua bottega. La cupola emisferica,
raccordata alle pareti con pennacchi, è affrescata con un firmamento a sfondo blu
cobalto, in cui le stelle convergono al centro, dove è raffigurato Dio benedicente. Il
progetto di allestimento ha collocato al centro di questo ambiente prestigioso un
unico elemento, l’oggetto più prezioso del Tesoro del monastero, la Croce di
Desiderio, ormai diventata, insieme alla Vittoria Alata, uno dei simboli della città.
 
Altri vani scavati solo parzialmente, esterni al perimetro della copertura, vennero
invece rinterrati. Preliminarmente alla definizione di un progetto museografico-
allestitivo ed architettonico in estensione del Museo della Città, per il quale erano
ormai maturate le convinzioni e le condizioni, si ritenne quindi necessaria una
ulteriore campagna di scavo, se non altro per recuperare almeno i vani già
parzialmente individuati nel ’67 e verificare quale contributo potessero dare ad una
restituzione più comprensibile dell’impianto costruttivo. 

Domus dell’ ortaglia

Le domus dell'Ortaglia sono situate tra l'area pubblica monumentale e le mura


orientali. Intorno ad altri lastricati in pietra sono distribuiti gli ambienti di
rappresentanza, quelli della vita privata e quelli di servizio, con mosaici ed affreschi
secondo modelli decorativi analoghi a quelli di Roma e Pompei, affacciati sui
viridaria e gli orti verso le mura. I vani più importanti sono dotati di un impianto di
riscaldamento a parete ed a pavimento, una fitta rete di condutture in piombo,
derivata da uno degli acquedotti urbani, garantiva acqua corrente ai vani di servizio
ed alle fontane, rinvenute anche all'interno delle sale più rappresentative, a
testimonianza dell'alto livello sociale e culturale dei proprietari.
Le domus rimasero in uso dal I al IV secolo d.C. quindi subirono un progressivo
degrado fino al'abbandono per diventare, con i Longobardi, area demaniale regia e
poi ortaglia del convento del monastero di Santa Giulia.
L'alto livello di conservazione di strutture murarie e piani pavimentali nonchè la
prossimità al Museo di Santa Giulia hanno favorito la progettazione di un percorso
espositivo omogeneo, che consente ai visitatori di passare senza soluzione di
continuità dai settori archeologici del museo all'interno delle domus, protette da
una grande struttura che mantiene inalterati i parametri conservativi e che consente
una corretta lettura del sito ed un'ottimale percezione dei suoi rapporti con la città
antica.
I primi scavi del 1967-70, nell’Ortaglia delle monache di Santa Giulia, avevano
restituito alcuni vani completi in seguito protetti con una copertura «provvisoria»in
ferro, legno e laterizio, chiusa perimetralmente da una vetrata continua con sistema
u-glass. 
All'esterno è stato realizzato un grande spazio verde, arricchito da resti
architettonici, che ricostruisce un esempio di “hortus” e di “Viridarium”, giardini che
arricchivano le case romane.
Vittoria Alata

Si tratta di una figura femminile, volta leggermente verso sinistra; è vestita di una
tunica fermata sulle spalle e di un mantello che avvolge le gambe.
È realizzata con il metodo della fusione a cera persa indiretta e risulta costituita da
almeno trenta parti fuse singolarmente e saldate poi tra loro; è inoltre rifinita, come
i ritratti, con strumenti a punta che ne definiscono con precisione i dettagli. Ad essa
è stata poi aggiunta una agemina in argento e rame che ne cinge la capigliatura.
Dovette essere prodotta nel secondo quarto del I secolo d.C. da un’officina
bronzistica di alto livello dell’Italia settentrionale.
La posizione della figura, con una gamba leggermente sollevata e le braccia
avanzate, si spiega con la presenza in origine di alcuni attributi che permettevano di
identificarne il soggetto. Il piede doveva infatti poggiare sull’elmo di Marte, il dio
della guerra, e il braccio sinistro doveva trattenere uno scudo, sostenuto anche dalla
gamba piegata, sul quale erano stati incisi, con la mano destra, il nome e le “res
gestae” del vincitore .
La figura della Vittoria alata è ben documentata nell’arte romana, soprattutto su
monete e rilievi di età imperiale. Il tipo costituisce una variante di una statua della
fine del IV secolo a.C., l’Afrodite di Capua, raffigurata mentre si ammira seminuda
nello specchio che tiene tra le mani. Questo modello venne riprodotto in numerosi
esemplari a partire dal II secolo a.C.
Successivamente lo schema iconografico dell’Afrodite venne trasformato in Vittoria
con l’aggiunta della tunica e delle ali e con la sostituzione dello specchio con lo
scudo sul quale la divinità incide il nome del vincitore. Questa variante godette di
larga fortuna a partire dal I secolo d.C. La Vittoria di Brescia, forse inizialmente
realizzata senza ali, aggiunte in un momento successivo, ne costituisce uno degli
esempi più conosciuti.
Per preservarla da tale sorte, la statua venne nascosta in un’intercapedine del
tempio, motivo per cui essa è giunta a noi.
A partire dal 1826 la fama della Vittoria di Brescia si diffuse in tutta Europa, al punto
che Napoleone III, ospite a Brescia prima della battaglia di Solferino, nel giugno
1859, volle visitare il Museo Patrio e rimase così colpito dalla bellezza della statua
che chiese di poterne avere una copia, ora visibile presso il museo del Louvre. Grato
per l’omaggio bresciano, l’imperatore donò alla città due monumentali vasi in
porcellana di Sèvres, che riportano i ritratti ufficiali di Napoleone III e della consorte,
esposti nel Museo del Risorgimento della città.
In alcune vecchie fotografie si può osservare la statua con un elmo coricato sotto il
piede sinistro e un ampio scudo rotondo tra le mani: sono delle integrazioni,
verosimilmente in gesso, suggerite dallo studioso Giovanni Labus e inserite nella
statua probabilmente nel 1838. Non è noto fino a quando questi oggetti vennero
lasciati, è possibile che siano andati persi nel trasferimento della statua il 13 giugno
1940 durante un allarme aereo, quando la Vittoria alata venne portata nel parco di
Villa Fenaroli a Seniga, a sud di Brescia, per essere protetta.

La Victoire ailée

 "La Victoire ailée de Brescia est un des plus beaux, sinon le plus beau
bronze antique qu’on connaisse, et dans un état de conservation
incroyable". La Victoire ailée de Brescia, dont la tête est légèrement tournée
vers la gauche, est vêtue d’une tunique et d’un manteau qui enveloppe ses
jambes. Le pied devait poser sur un casque, peut-être le casque de Mars, le
dieu de la guerre? Tandis que le bras gauche tenait un bouclier, qui
s’appuyait sur la jambe pliée. Sur ce bouclier on avait gravé le nom et les
gestes du vainqueur.

La Victoire ailée de Brescia avait été probablement dédiée à la déesse par


une personnalité importante en guise de remerciement pour un succès
militaire et pourrait avoir été exposée à l’intérieur du temple ou dans un
bâtiment public de la ville, probablement le Capitole. La statue était peut-être
associée à un personnage masculin dont le nom était écrit sur le
bouclier. ailée a souvent été représenté dans l’art antique, surtout sur les
bas-reliefs et les pièces de monnaie. Avec l’ajout d’une tunique et des ailes et
remplaçant le miroir par le bouclier, Aphrodite est devenue ici une Victoire
ailée.

À partir de 1826, la renommée de la Victoire ailée de Brescia se répand dans


toute l’Europe. Napoléon III, invité à Brescia, en juin 1859, visite le musée
Patrio et s’impressionne par la beauté de la statue. A l’occasion, la mairie de
Brescia accorde la première copie en absolu de la statue au Musée du
Louvre. Reconnaissant, l’empereur offre à la ville deux vases en porcelaine
de Sèvres, avec son portrait et celui de son épouse, exposés aujourd’hui au
Musée du Risorgimento de Brescia.

Aujourd’hui comme ailleurs il est impossible de ne pas être émerveillés


devant l’œuvre devenue justement, le véritable symbole de Brescia.

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