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Galileo Galilei

- 1564 nasce a Pisa, iniziò nel 1580 a studiare medicina presso l'Università della sua
città, prima di scegliere nel 1583 di specializzarsi in matematica;
- A fargli da insegnante fu Ostilio Ricci, che riteneva che la matematica fosse una
scienza non astratta, ma utile per risolvere i problemi pratici;
- Fino al 1585 Galileo rimase a Pisa dove studiò anche fisica e dove fece la sua
prima scoperta;
- Dal 1589 insegnò a Pisa e nel 1592 venne chiamato presso l'università di Padova
dove fu docente fino al 1610;
- Nello studio di Padova Galileo creò una piccola officina nella quale eseguiva
esperimenti e fabbricava strumenti che vendeva per arrotondare lo stipendio: qui
inventò nel 1593 la macchina per portare l'acqua a livelli più alti, che fu utilizzata a
Venezia;
- Nel 1604 apparve nei cieli europei una supernova. Si dice che Galileo ne approfittò
per costruire e perfezionare tra 1604 e 1609 il cannocchiale, strumento inventato in
Olanda, usato da Galileo per la prima volta per osservare le stelle;
- Nel 1611 la Chiesa e il Sant'Uffizio iniziarono a prestare attenzione alle opere di
Galileo. Per questo e per il peso accademico dei docenti Gesuiti del Collegio
romano, il matematico pisano si recò nel marzo 1611 a Roma, dove fu accolto da
papa Paolo IV e dove fu iscritto all'Accademia dei Lincei;
- Nel 1614 a Firenze il frate Tommaso Caccini lanciò contro i matematici moderni, e
in particolare contro Galileo, l'accusa di contraddire le Sacre Scritture con le loro
concezioni astronomiche ispirate alle teorie copernicane;
- Galileo Galilei aveva aderito infatti alle teorie di Keplero (sui movimenti dei pianeti)
e alla teoria eliocentrica dall’astronomo Niccolò Copernico;
- Il clima iniziava a farsi teso per i sostenitori di queste teorie e nel 1616 i teologi della
Chiesa di Roma affermarono che le idee copernicane erano eretiche perché
contraddicevano i passi delle Sacre Scritture e le opinioni dei Padri della Chiesa;
- Galileo espresse il suo pensiero in una serie di lettere scritte tra 1613 e 1616,
chiamate Lettere copernicane, e nel Saggiatore opera del 1623 dedicata allo studio
delle comete;
- In queste due opere Galileo si occupò di spiegare come la Bibbia avesse carattere
morale e salvifico e non scientifico e si preoccupò di chiarire l'approccio che si
doveva avere nelle scienze;
- Le discussioni di carattere scientifico dovevano basarsi sulla creazione di un'ipotesi
che nasceva dalla teoria e che trovava conferma nell'osservazione diretta della
realtà naturale;
- Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, opera di trattatistica scientifica
composta tra 1624 e 1630, Galileo confutò le teorie del sistema tolemaico-
aristotelico - secondo il quale la Terra era ferma al centro dell'universo con i pianeti
che le giravano intorno - a favore del sistema copernicano basato sulla teoria
eliocentrica;
- Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo ricevette molti elogi, ma sin da
subito si diffusero le voci di una proibizione del libro da parte della Chiesa di Roma;
- Nel 1633 arrivò la chiamata dell'inquisizione e iniziò il processo durante il quale
Galileo provò a spiegare, senza riuscirvi, le sue ragioni alla Chiesa.
- Il 22 giugno dello stesso anno compì un'abiura delle sue teorie, con la quale
sconfessava le scoperte fatte e la teoria copernicana, venendo condannato all'esilio
ad Arcetri;
- Nel 1638 fu pubblicato nei Paesi Bassi il trattato chiamato Discorsi e dimostrazioni
matematiche intorno a due nuove scienze, l'opera galileiana più importante.
- Galileo morì nel 1642.
Il Saggiatore
- È un trattato di Galileo Galilei pubblicato nel 1624 in cui, rispondendo alle critiche di
un avversario in merito alla comparsa in cielo di alcune comete nel 1618, lo
scienziato espone i punti fondamentali del suo metodo di ricerca;
- il Saggiatore si caratterizza per la carica esaltante con cui le tesi di Grassi sono
smontate e derise una per una. Dall’altro, Galileo sa esporre, in un linguaggio
chiaro e spontaneo, immediato ma esattissimo, i punti irrinunciabili di un moderno
metodo scientifico;
- L’impostazione è chiara sin dal titolo: il “saggiatore” è una bilancetta di precisione
usata dagli orafi, e si contrappone per principio alla rozza e semplicistica “libra” di
Grassi;
- Se la tesi di Galileo sulle comete del 1618 si rivelerà col tempo errata, avrà tuttavia
maggior importanza il procedimento metodologico con cui si arriva ad una ipotesi di
spiegazione dei fatti naturali: non conta il sapere nozionistico basata sui libri, tipico
dell’erudizione di Grassi, ma la verifica empirica dei fatti e delle ipotesi, così che
ogni conquista scientifica non è altro che un punto di partenza per nuove indagini;
- La struttura epistolare del saggio permette poi l’uso di un tono e di uno stile
informali e colloquiali, come se il “maestro” si trovasse a lezione con i suoi studenti,
e confrontasse con loro le proprie idee.

Il Saggiatore, Capitolo VI
- Galileo Galilei nel vi capitolo del "Saggiatore" lancia un appello diretto a Orazio
Grassi e denuncia la sua tesi prive, a suo avviso, di una verifica sperimentale.
Secondo l'autore, come si può leggere nelle prime righe, è sbagliato basarsi sulle
opinioni dei filosofi per spiegare la realtà dei fenomeni. Fare ciò è come se la mente
- utilizzando una metafora - diventa una realtà femminile condannata alla sterilità,
qualora il discorso del marito - cioè dell'autore - non la fecondi;
- Galileo continua con una similitudine, cioè paragona l'Iliade e l'Odissea a libri di
fantasia e successivamente continua a polemizzare, scrivendo metaforicamente
che la filosofia è scritta nell'universo inteso come grandissimo libro il cui linguaggio -
matematico - non è comprensibile se non si dispone dei mezzi necessari, quindi
Galileo contrappone alla filosofia il suo metodo scientifico e il linguaggio ad esso
connesso attraverso cui si può conoscere la realtà dei fenomeni naturali;
- La filosofia, secondo Galilei, è l'immagine di un oscuro labirinto, ma, supponendo
che l'uomo dovesse servirsi dell'intelletto di altri uomini, perché si preferisce la
teoria di Tycho Brahe piuttosto che quelle di Tolomeo e Copernico? Tolomeo è uno
scienziato che elaborò la teoria del sistema geocentrico, un modello astronomico
che pone la Terra al centro dell'Universo. Copernico, invece, elaborò la teoria del
sistema eliocentrico secondo cui la Terra risulta soggetta a diversi movimenti tra i
quali quello di rivoluzione attorno al Sole e di rotazione sul proprio asse;
- In questo caso Galilei sottovaluta erroneamente l'opera dell'astronomo danese, ma
è proprio questo vigore polemico che porta a considerare questo testo il manifesto
della nuova scienza con il metodo sperimentale che si oppone all'oscurità della
filosofia;
- L'uomo, infatti, era assillato da numerosi problemi esistenziali determinati dal senso
di fugacità della vita, perciò di fronte alle mancanze di risposte l'essere umano
sentiva il bisogno di aggrapparsi allo stupore e alla meraviglia, caratteristiche della
cultura barocca che vengono messe in evidenza non solo nel campo poetico,
musicale e architettonico, ma anche nella rivoluzione scientifica portata avanti da
Galileo Galilei dato che i dogmi della Chiesa vennero per la prima volta messi in
discussione.

Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo


- Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632) è un trattato scientifico in
forma dialogo di Galileo Galilei (1564-1642) a sostegno della teoria eliocentrica
copernicana rispetto al modello geocentrico tolemaico appoggiato all’auctoritas di
Aristotele e della filosofia scolastica. L’opera di Galileo verrà messa all’Indice nel
1633 e l’autore costretto ad abiurare le proprie tesi;
- Il Dialogo si innesta nel più ampio processo di smantellamento della cosmologia
aristotelico-tolemaica che anticipa la rivoluzione scientifica a cavallo tra Seicento e
Settecento, culminando poi nella filosofia dell’Illuminismo. Il dialogo si pone del
resto al culmine del percorso di ricerca galileiano, che va dal Sidereus Nuncius
(1610) al Saggiatore (1623), passando per le Lettere Copernicane;
- In accordo con i principi del metodo sperimentale e fondando le proprie
argomentazioni sulle osservazioni concrete condotte con l’uso del cannocchiale,
Galilei focalizza l’attenzione sulla questione delle maree, sostenendo la tesi - al
giorno d’oggi, rivelatasi errata - che esse sarebbero il risultato della rotazione della
Terra (e quindi, come prova decisiva a sostegno del sistema eliocentrico);
- I personaggi del Dialogo sono:
o Giovanni Sagredo, nobiluomo veneziano amico personale di Galileo e gran
appassionato di scienze, che è ipoteticamente è super partes, incarnando
l’uomo di cultura che è naturalmente predisposto al dialogo culturale e
all’apertura mentale;
o Filippo Salviati (1571-1620), astronomo e nobile fiorentino, è aperto
sostenitore della teoria eliocentrica; egli contesta il principio d’autorità cui si
appella Simplicio ed illustra a Sagredo, in modo chiaro e comprensibile, i
fondamenti scientifici del modello copernicano;
o Simplicio, sostenitore dell’aristotelismo (il suo nome sarebbe quello di
Simplicio di Cilicia, un commentatore di Aristotele del VI secolo d.C.) e delle
teorie geocentriche;
- Anche le scelte stilistico-linguistiche del Dialogo contribuiscono al progetto
galileiano di divulgazione delle tesi eliocentriche e di un metodo più “moderno” di
affrontare la scienza e il mondo. Galileo scegli infatti il volgare come strumento per
dialogare con il pubblico più ampio possibile, e non solo con la cerchia dei dotti che
conoscono il latino;
- Al tempo stesso, lo stile limpido e chiaro, più attento a spiegare esattamente i
concetti che ad abbellire retoricamente la pagina, si allontana dalla maniera
affettata della prosa barocca per scegliere una lingua comunicativa ed efficace;
- L’autore privilegia così la scorrevolezza sintattica e la precisione del lessico,
settore della lingua in cui il Dialogo ha avuto il ruolo fondamentale di introdurre una
moderna terminologia scientifica.
Carlo Goldoni
- 1707 nasce a Venezia;
- La sua vita prosegue attraverso momenti di grande instabilità in cui alterna fughe e
vagabondaggio allo studio della filosofia e della giurisprudenza;
- Una svolta fondamentale arriva quando, trovandosi a Genova, Carlo Goldoni entra
in contatto con il capocomico del teatro veneziano di San Samuele: al suo seguito
si trasferisce di nuovo a Venezia e comincia a comporre le prime opere teatrali. È
un periodo però, ancora inquieto, dove alterna l’attività di scrittore a quella di
giurista e ai vecchi studi intrapresi;
- Nel 1748 Carlo Goldoni firma finalmente un contratto con Girolamo Medebach,
impresario di un altro teatro veneziano, il Sant’Angelo, e da questo momento Carlo
Goldoni diventa a tutti gli effetti uno scrittore professionista, legando
indissolubilmente il suo lavoro al gusto del pubblico teatrale;
- Sono anni di intensissima produzione artistica: Goldoni scrive moltissime
commedie, mette in scena spettacoli curando ogni dettaglio della rappresentazione
e molti dei suoi lavori confluiscono in raccolte che lui stesso di preoccupa di curare;
- In questo periodo le idee di Goldoni lo portano ad un graduale ma deciso distacco
dagli schemi della commedia dell’arte, modificando a poco a poco le abitudini sia
degli attori che del pubblico e avviandosi definitivamente verso quella che
conosciamo come riforma del teatro di Carlo Goldoni;
- Nel 1753 l'autore rompe con Medebach per passare al teatro San Luca che offre al
commediografo un contratto economicamente vantaggioso e presso cui sperimenta
nuovi temi, nuove storie, divenendo celebre in tutta l’Italia settentrionale e all’estero;
- Questi anni si stagliano sullo sfondo di una situazione culturale vivacissima:
Venezia conta ben quattordici teatri che si contendono i migliori attori, le migliori
commedie e soprattutto si contendono, senza esclusioni di colpi, il consenso del
pubblico;
- Nascono aspre polemiche fra uno scrittore e l’altro e Carlo Goldoni si troverà prima
rivale di Pietro Chiari e poi, molto più aspramente con Carlo Gozzi (importante
scrittore all’epoca che sostiene la commedia dell’arte contro le riforme goldoniane)
che lo accusa di immoralità, volgarità e cattivo gusto;
- Carlo Goldoni si trasferisce così a Parigi, accogliendo la proposta di lavorare come
autore teatrale. A Parigi, però, sono ancora abituati a vedere il teatro italiano come
la commedia dell’arte e il nuovo modo di far teatro di Carlo Goldoni lascia gli
spettatori confusi;
- L’autore si trova a dover ricominciare di nuovo a lottare per le sue idee e torna ad
alternare il lavoro di scrittore con altri incarichi più vantaggiosi come, ad esempio,
insegnante privato per le figlie del re Luigi XV;
- In questi anni strinse amicizia con gli intellettuali di quel tempo, come Diderot;
- Lo scoppio della Rivoluzione Francese lo gettò sul lastrico e così gli venne revocata
la pensione concessa da Luigi XV;
- Malato e oberato dai debiti, morì il 1793 a Parigi.
La riforma goldoniana
- Ai tempi di Goldoni il teatro comico era monopolizzato dalla Commedia dell’arte,
basata sull’improvvisazione a partire da un semplice canovaccio che aveva portato
alla fissità delle parti e dei ruoli e alla ripetitività delle battute, cui si ovviava
ricorrendo a volgarità e oscenità;
- Goldoni considerava questo teatro corrotto e «cattivo», perché le opere erano
scritte male, costruite male e recitate male, e soprattutto la commedia aveva
perduto la sua fondamentale funzione pedagogica ed etica: fomentava infatti il vizio
anziché correggerlo;
- Da queste premesse mosse la riforma goldoniana, con l’obiettivo di rinnovare temi,
intrecci e linguaggi;
- L’attore doveva restituire il primo posto all’autore, mediatore tra il Mondo e il Teatro:
a questi due “libri” Goldoni diceva di ispirarsi, traendo dal primo la ricca varietà di
situazioni, vicende e personaggi che caratterizzano la vita quotidiana, e dal
secondo gli strumenti per mettere in scena tutto questo in modo naturale e
coinvolgente;
- Ciò comportava l’abbandono del canovaccio per il testo scritto e il passaggio dalla
maschera, artificiale e convenzionale, al «carattere», naturale e realistico;
- Il Mondo che Goldoni aveva sotto gli occhi era la società veneziana; di qui la scelta
iniziale di comporre in dialetto veneziano;
- L’esigenza di naturalezza lo portò però a sfruttarne tutte le risorse e tutti i registri
espressivi, contribuendo alla caratterizzazione dei personaggi. L’esigenza di
ampliare il proprio pubblico e di restituire piena dignità alla commedia riformata
anche a livello nazionale e internazionale lo convinsero a adottare anche l’italiano,
per lui comunque una seconda lingua;
- La riforma goldoniana attraversa cinque fasi:
o La prima fase tratta l’inizio della sua esperienza al teatro San Samuele e
Goldoni compose per lo più tragicommedie in versi, intermezzi e drammi per
musica;
o Nella seconda fase Goldoni passa al teatro Sant’Angelo e qui si specializza
nella composizione di commedie per la compagnia di Medebach; a questi
anni risalgono i primi esempi di commedia di carattere, come ad esempio La
Locandiera;
o Nella terza fase Goldoni si trasferisce al teatro San Luca dei fratelli
Vendramin e inizia il suo periodo difficile: Goldoni visse una crisi creativa
dove la compagna era ancora legata all’improvvisazione;
o Nella quarta fase Goldoni supera questa crisi passando dalla commedia di
carattere alla commedia d’ambiente e in parallelo in lui cresce una sempre
più amara critica nei confronti della borghesia: ne è un esempio la trilogia
della Villeggiatura;
o Nell’ultima fase, la quinta, Goldoni si trasferisce a Parigi dove sperava di far
conoscere la propria riforma in tutta Europa ma le cose andarono
diversamente; costretto a ricominciare da capo, abbandonò la commedia di
carattere creandone un nuovo tipo, basato sul puro gioco scenico e dove
l’azione prende sopravvento sulle parole;
La Locandiera
- La Locandiera è una commedie in tre atti e venne composta nell’ultimo anno
trascorso da Goldoni al teatro di Sant’Angelo, precisamente nel 1753;
- Qui troviamo raggiunto l’apice dell’esaltazione dei valori borghesi, il gusto tipico di
Carlo Goldoni per la rappresentazione psicologica dei suoi personaggi, nonché la
satira del parassitismo dell’aristocrazia e della superbia che è propria di questa
classe;
- Mirandolina è la proprietaria di una locanda a Firenze ed ha una innata abilità nel
far innamorare gli uomini che cadono tutti ai suoi piedi. Il cavaliere di Ripafratta,
però, la tratta con disprezzo, canzonandola per la sua situazione sociale e
facendosi beffe degli altri spasimanti, cotti della bella locandiera. Mirandolina è
decisa a far capitolare ai suoi piedi anche il cavaliere e di dare una lezione al ricco
nobile. Riesce nel suo intento e alla fine si fa beffe di lui davanti a tutti e conclude
invece le nozze con Fabrizio, cameriere della locanda;
- Il personaggio di Mirandolina risulta come un condensato di astuzia femminile e di
concretezza borghese: lucida, sicura, padrona di sé e capace di ottenere ciò che
vuole calcolando a dovere ogni mossa;
- Mirandolina è così regista e attrice dell’azione scenica, tanto da rivolgersi spesso al
pubblico coinvolgendolo nella sua finzione e spiegando in dettaglio come agirà per
battere il “nemico”;
- La locandiera si sdoppia infatti tra l’azione e la premeditazione delle battute in
controscena. Attraverso di lei, Goldoni da un lato stabilisce un dialogo diretto con il
suo pubblico e dall’altro pone in rilievo l’arma con cui Mirandolina trionfa, ovvero
l’intelligenza;
- La conclusione della commedia è però nel segno dell’ordine: Mirandolina, pur
vincente, ammette d’aver esagerato e rientra nei ranghi con il matrimonio con
Fabrizio, come le era stato consigliato dal padre morente;
- Questo, del resto, è in linea con la finalità etica che, con un pizzico d’ironia, Goldoni
indica nella prefazione intitolata L’autore a chi legge: la storia de La locandiera deve
mettere in guardia gli uomini dalle illusioni e dagli amari tranelli che le donne sanno,
con somma astuzia, architettare.

La trilogia della Villeggiatura, Le smanie per la villeggiatura


- Questa commedia di Carlo Goldoni è la prima di una trilogia che l'autore ha
dedicato al tema della villeggiatura e che comprende: “Le smanie per la
villeggiatura”, “Le avventure della villeggiatura” e “Il ritorno dalla villeggiatura”;
- Essa fu rappresentata la prima volta nel 1756;
- L'azione si svolge nell'arco di una giornata, a Livorno, nelle case di Leonardo e di
Filippo, rappresentanti di un ceto borghese che vuole competere con i nobili e con i
ricchi;
- Due sono gli scenari principali: la casa del signor Leonardo, innamorato di Giacinta,
dove vive assieme alla capricciosa sorella Vittoria e con un seguito di servitori; la
casa del signor Filippo, un contadino vecchio e gioviale, padre di Giacinta;
- La vicenda inizia con i personaggi intenti nei preparativi per la partenza per la
villeggiatura. Leonardo con le ricchezze che non possiede ma che deve dimostrare,
ha ordinato per sé stesso, la sorella e i servitori una carrozza e qualche cavallo
mentre il signor Filippo, per conto proprio, ha fermato un’altra carrozza per la sua
casa;
- Mentre è intento nei preparativi Filippo riceve la visita del signor Guglielmo,
pretendente della figlia, e cortesemente ma ingenuamente gli offre un posto in
carrozza insieme a Giacinta. Quando il signor Leonardo lo viene a sapere si indigna
e si dispera a tal punto da voler annullare la partenza, ma la sorella Vittoria lo
convince rammentandogli la figura indegna che avrebbero fatto rimanendo in città;
- Leonardo, ripresa la lucidità, capisce che la soluzione non è non partire e quindi
decide di domandare aiuto all’amico Fulgenzio per risolvere la situazione.
Quest’ultimo si reca da Filippo cercando di convincerlo ad annullare l’invito fatto al
signor Guglielmo, insistendo sulla questione del decoro, di cosa avrebbe pensato la
gente del fatto che la figlia, non ancora maritata, andasse in carrozza con un
giovane. Filippo accetta, così Fulgenzio torna a dare la notizia al signor Leonardo;
- Nel frattempo, Giacinta persuade suo padre a non annullare l’invito fatto al signor
Guglielmo, perché sarebbe risultato un atto da maleducati sottrarsi alla parola data
e che non avrebbe di certo fatto una bella impressione;
- Leonardo, appresa la desiderata notizia, riprende i preparativi, ma quando
apprende da un servitore che il signor Guglielmo andrà veramente in carrozza con
Giacinta perde le staffe e si precipita indignato e disperato a casa di Filippo;
- Nell’abitazione di Filippo si trova anche il signor Fulgenzio che è il fautore della
risoluzione della questione: egli spinge Leonardo a dichiarare a Filippo la sua
intenzione a prendere in moglie Giacinta, in modo tale che il fatto che un altro
giovane viaggi in carrozza con la figlia perda la sua importanza, dal momento che
quest’ultima risulti impegnata;
- Leonardo fa ciò che gli viene consigliato e con il permesso di maritarsi di Filippo si
risolve il conflitto e si chiude la commedia;
- Una delle grandi operazioni innovatrici di Goldoni risiede nel fatto che tutti i dialoghi
della commedia sono scritti e condotti nel dettaglio: nulla qui è affidato
all’improvvisazione che dominava nei canovacci delle commedie dell’epoca, le
battute sono puntuali e circostanziate. Ancora per lo più assenti invece le
didascalie, alle quali è affidato esclusivamente il compito di chiarire;
- Siamo a una fase matura dell’evoluzione della riforma goldoniana e i nomi dei
personaggi lo testimoniano: non si tratta delle classiche maschere della Commedia
dell’Arte ma Paolo, che mostra per di più un carattere nuovo, non quello del servo
astuto o del servo sciocco, ma quella di un personaggio saggio e giudizioso;
- Le maschere si stanno trasformando in caratteri;
- Fortemente innovativa rispetto alla comicità farsesca propria dell’epoca risulta la
lingua di Goldoni. Qui i personaggi si esprimono attraverso una lingua che aderisce
alla concretezza delle circostanze sociali in cui sono immersi, restituendone la
quotidianità; è una lingua adeguata a dare voce alla mentalità e alla cultura
borghese;
- Il linguaggio utilizzato in questa opera varia da personaggio a personaggio,
facendone emergere l’appartenenza alle classi sociali, ma tuttavia anche il
temperamento e il carattere;
Cesare Beccaria
- Alla metà del Settecento Milano, pur essendo suddita dell'impero austriaco, si
afferma come una delle città italiane più importanti dal punto di vista intellettuale,
aperta alle influenze filosofiche più innovative che provengono dalla Francia ed in
cui le teorie illuministe trovano terreno fertile, ad un punto che proprio qui queste
trovano maggiore diffusione e radicamento;
- Tra le personalità milanesi legate a questo nuovo movimento una delle più
importanti è senz'altro quella di Cesare Beccaria;
- 1738 nasce a Milano;
- Proveniente da famiglia nobile, si forma nel collegio gesuitico di Parma e poi studia,
con molto successo, legge a Pavia, dove si laurea nel 1758;
- È molto attivo nella vita culturale e mondana della città, e si lega strettamente ai
fratelli Verri, Alessandro e Pietro
- Nel 1760 si unisce con Teresa Blasco in un matrimonio osteggiato dal padre poiché
la giovane Teresa è di condizione sociale inferiore a Cesare Beccaria; da questa
unione nasce Giulia, futura madre di Alessandro Manzoni;
- Nello stesso anno si avvicina alle idee filosofiche di Montesquieu e Rousseau, cosa
che lo fa aderire definitivamente al movimento illuminista, ma nella sua formazione
ha un ruolo molto importante anche il legame e l'influenza dei fratelli Verri;
- Gli anni '60 sono gli anni che segnano la massima attività ed il massimo impegno di
Beccaria: frequenta l'Accademia dei Pugni e collabora intensamente con la rivista Il
Caffè in cui si impegna a difendere l'importanza della cultura e della sua diffusione,
ed il ruolo attivo svolto dalle riviste e dai giornali in questa direzione;
- Nel 1764 avviene la prima pubblicazione di Dei diritti e delle pene, opera polemica
in cui Beccaria, forte della sua conoscenza giuridica, esamina molti aspetti delle
pratiche processuali dell'epoca individuando una serie di difetti che impedivano alla
giustizia di essere, di fatto, applicata in maniera equa e giusta: il volume è un
successo e procura molta fama al suo autore;
- Nella stesura dell'opera Beccaria riceve un appoggio importante dai fratelli Verri,
con i quali decide di andare a Parigi: nell'intenzione dei tre, il viaggio avrebbe
dovuto consacrare gli illuministi italiani nel più importante centro culturale europeo.
Tuttavia, la missione si risolve in un fallimento: dopo un mese Beccaria rompe i
rapporti con i Verri e torna in patria;
- Qui prende ad isolarsi dal gruppo degli illuministi meneghini e ricopre la carica di
professore di economia politica presso le Scuole Palatine e nel 1771, avvicinatosi al
governo asburgico, diventa membro del Supremo Consiglio di economia;
- Muore nella sua città il 1794.
Dei delitti e delle pene
- Giurista e lettore di Rousseau, Beccaria condivide l'idea che le società umane si
basino su un contratto, inteso come accordo in grado di tutelare i diritti dei singoli
individui e di garantire la stabilità complessiva dell'ordine che la società si è data;
- È un breve saggio pubblicato prima in anonimo nel 1764 e rivisto dall’autore nel
1766;
- Il nome di Cesare Beccaria è molto legato a quest’opera nella quale il pensatore
milanese propone una radicale riforma del modo stesso d’intendere la giustizia ed il
rapporto che deve esserci tra i delitti e le pene, motivo per cui egli dedica l’opera ai
sovrani illuminati del suo tempo, che indica come benefattori dell’umanità;
- Le istanze portate avanti da Beccaria riguardano anzitutto la tassatività della legge
penale, cioè il fatto che un’azione possa essere definita reato solo se un preciso
articolo di legge la definisce come tale, un principio teso a limitare la discrezionalità
dei giudici durante i processi, e la generalità della legge, cioè il fatto che nessuno
possa considerarsi al di sopra di essa: questo principio mirava soprattutto ad
abbattere i vari privilegi che permettevano ai nobili di sottrarsi alle pene dopo aver
commesso un delitto;
- Su un piano più strettamente procedurale Beccaria propone di distinguere la figura
dell’accusatore da quella del giudice, per promuovere l’imparzialità di giudizio di
quest’ultimo, e che le leggi vengano scritte in modo chiaro e comprensibile da
chiunque, sia per permettere a tutti i cittadini una corretta conoscenza delle leggi
che per limitare la pratica dell’interpretazione delle leggi;
- Beccaria promuove l’idea che gli accusati abbiano dei diritti processuali garantiti ed
anche il principio della presunzione d’innocenza, cioè che nessuno possa essere
trattato come colpevole finché non è riconosciuto come tale secondo le norme di
legge;
- Quest’ultimo principio è alla base di una delle grandi riforme proposte da Beccaria
ed esposte nel capitolo intitolato Della tortura, in cui argomenta i motivi per cui la
tortura, diffusissima pratica inquisitoria dell’epoca, va condannata senza esitazioni;
- Il saggio di Beccaria diventa il fulcro di un dibattito che si estende rapidamente a
livello europeo, diventando sia oggetto di critiche che di elogi. Nel 1786 Pietro
Leopoldo, granduca di Toscana è il primo sovrano ad abolire la pena di morte.

Dei delitti e delle pene, Capitolo XVI “Della Tortura”


- Beccaria si preoccupa di chiarire immediatamente con logica inoppugnabile i
termini reali del problema: o il delitto è certo oppure è incerto; se è certo, la tortura è
del tutto inutile in quanto la confessione del reo è superflua; se invece è incerto, la
tortura è indebita, in quanto sarebbe applicata ad un innocente, quale deve essere
considerato l’accusato fino alla prova definitiva e inoppugnabile della sua
colpevolezza;
- Non so fino a che punto ci si renda conto della preziosa posizione di Beccaria in
ordine alla presunzione di innocenza, difesa e razionalmente affermata oltre due
secoli e mezzo or sono, quando nessuno neppure ne parlava o la ipotizzava,
presunzione che oggi purtroppo a volte viene dimenticata o messa fra parentesi.
Per questo, Beccaria insiste che nessuno può chiamarsi reo fino a quando la sua
colpevolezza sia accertata attraverso la sentenza del giudice;
- Per il giurista milanese, nessuno dei motivi che vengono tradizionalmente offerti per
giustificare la tortura regge ad una seria critica;
- A ben vedere, secondo Beccaria, la tortura è paragonabile alle celebri prove legali
in uso nel medioevo, quali la prova del fuoco, quella dell’acqua bollente, insomma
ai cosiddetti giudizi di Dio e di questi soffre tutta la irrazionalità giuridica e la
casualità;
- Secondo la retta ragione, la sola differenza fra le prove barbaricamente legali e la
tortura risiede nel fatto che mentre nelle prime l’esito dipende da fattori estrinseci e
del tutto eventuali, in questa l’esito dipende in buona parte dalla volontà
dell’accusato;
- E’ pur vero che la confessione fatta durante la tortura necessita, per essere valida,
della conferma sotto giuramento fatta in un momento successivo, ma è anche vero
che, assurdamente, in molti Stati se l’accusato non conferma quanto in precedenza
dichiarato sotto tortura, verrà di nuovo sottoposto ai tormenti (in certi Stati solo per
tre volte, in altri a discrezione del giudice): insomma, un cane che si morde la coda,
non se ne esce più;
- Ma la vera argomentazione che rivela la assurdità della tortura sta nel fatto che
l’innocente si trova in una posizione di svantaggio rispetto al colpevole. Se infatti,
viene torturato l’innocente, questi o confessa – per far cessare il tormento – ciò che
non ha fatto e allora sarà condannato; oppure, non confessando, viene assolto e
allora avrà patito ingiustamente una enorme sofferenza. Se invece viene torturato il
colpevole, se questi stoicamente sa resistere al dolore, verrà assolto;
- Ne viene che mentre l’innocente avrà sempre perso qualcosa, il colpevole è messo
in grado di guadagnare la propria impunità. Nell’ambito di questa cornice
giudiziaria, il giudice non è più un terzo imparziale, ma diviene “nemico del reo”,
afferma in modo preciso Beccaria, non cerca la verità del fatto, ma cerca nel
prigioniero il delitto attraverso la tortura. E qui, Beccaria alza il tono del discorso
attingendo compiutamente luoghi che oggi potremmo definire propri di una teoria
generale del processo penale;
- Infatti, egli distingue fra un processo penale offensivo, dove per essere dichiarati
innocenti, bisogna prima esser detti rei, e perciò anche essere sottoposti alla
tortura; e un processo penale informativo, dove invece prevale la ricerca imparziale
del fatto da chiunque commesso. In Europa, a metà del Settecento, il secondo era
sconosciuto, mentre il primo era l’unico concretamente sperimentato: oggi, usando
il linguaggio dei giuristi contemporanei, diremmo che il processo inquisitorio deve
lasciar spazio a quello accusatorio;
- Ma a metà del Settecento era pericoloso affermare quelle che sembrano ovvie
verità. Beccaria conclude questa sezione della sua opera, criticando l’uso di far
giurare gli accusati – come oggi avviene ancora purtroppo in America. E ciò sia per
motivi pratici, perché mai il giuramento potrà spingere l’accusato a dichiararsi
colpevole, sia che questi lo sia davvero, o anche se non lo sia; inoltre, l’uso del
giuramento mescola quei due piani che per Beccaria devono restare sempre
distinti, quello divino e quello umano.

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