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INFEZIONI URINARIE (IVU)

CLASSIFICAZIONI
- Infezione delle alte o basse vie urinarie, a seconda che interessino il tratto urinario a monte o a
valle della giunzione uretero-vescicale;
- Infezione acuta, ricorrente o cronica;
- Infezione complicata o non complicata, se si rileva o meno un fattore favorente il recidivare
dell’infezione.

EPIDEMIOLOGIA
Nei primi mesi di vita sono più comuni nei maschi per la maggior frequenza di malformazioni.
Dopo hanno maggior incidenza nel sesso femminile a causa della minor lunghezza dell’uretra e in
particolare sono più comuni nella donna sessualmente attiva.
Dopo i 60 anni incrementa il rischio per gli uomini a seguito dell’iperplasia prostatica, che favorisce il
ristagno di urina.

EZIOLOGIA
- Infezioni non complicate: E.coli (70%), Klebsiella, Proteus, Staphylococcus saprofiticus…
- Infezioni complicate: E.coli (50%), gram – come Klebsiella, Proteus, Serratia, Enterobacter,
Pseudomonas (30%), gram+ (20%)
- Uretriti: Neisseria gonorrhoeae, Chlamydia trachomatis, micoplasmi (trasmissione sessuale)
- Prostatiti: stessi batteri delle infezioni urinarie
Sono possibili anche infezioni da miceti nei pazienti immunodefedati e tubercolosi urinaria.

FATTORI DI RISCHIO
- Sesso femminile
- Corpi estranei (calcoli, cateteri…)
- Riduzione delle difese immunitarie (immunodepressione, farmaci immunosoppressivi, diabete, età
avanzata, cirrosi, tumori…)
- Alterazioni strutturali che determinano ristagno di urina (iperplasia prostatica, gravidanza, stenosi
uretrali, stipsi…).

PATOGENESI
La via più comune di infezione è quella ascendente: dall’uretra i batteri risalgono nelle vie urinarie,
aderendo con fimbrie all’urotelio; la diffusione può essere agevolata da reflusso vescico-ureterale e
alterazioni della parete che favoriscono l’adesione dei germi.
Meno comune è la diffusione per via ematogena, a partire da una batteriemia; i patogeni responsabili sono
soprattutto S.aureus, Candida, Salmonella, M. tuberculosis.
Possibili, anche se rare, la trasmissione dell’infezione da organi vicini per contiguità (diverticoli del colon,
appendice, prostata) o attraverso il sistema linfatico (apparato genitale, colon).

Il cateterismo vescicale rappresenta una delle principali vie di ingresso per i patogeni: il rischio di
batteriuria è <5% per un singolo cateterismo, del 50% se il catetere viene usato per 7 giorni e del 100% per
il cateterismo cronico (>1mese).
La contaminazione avviene per via intraluminale (dentro al tubo) con germi trasportati degli operatori
sanitari durante le operazioni relative al cateterismo, ma soprattutto per via extraluminale (tra il catetere e
la parete).
Il catetere inoltre favorisce le infezioni per il danno meccanico che produce sulla parete uretrale e per la
formazione sulla sua superficie di un biofilm che promuove la crescita batterica e protegge dagli antibiotici.

ANATOMIA PATOLOGICA (raramente richiesta)


- Pielonefrite acuta: rene di dimensioni aumentate e consistenza ridotta, microascessi, emorragie,
infiltrazione leucocitaria
- Pielonefrite cronica: rene grinzo con cicatrici
- Cistite acuta: iperemia, edema, emorragie, infiltrazione leucocitaria
- Cistite cronica: mucosa pallida

MANIFESTAZIONI CLINICHE
- Infezioni delle basse vie urinarie: disuria, pollacchiuria, stranguria, minzione imperiosa, tenesmo
vescicale, dolore sovrapubico alla palpazione, prurito vulvare, enuresi nel bambino. Le urine sono
torbide, a volte con macroematuria.
- Pielonefrite: dolore lombare, febbre, brividi, sudorazione, disuria, Giordano+
- Uretrite: disuria, secrezioni uretrali purulente (gonorrea) o mucoidi (infezioni non gonococciche)
- Prostatite: disuria e dolore in sede perineale, testicolare, peniena, pubica, sacrale

DIAGNOSI: sintomi urinari + batteriuria significativa (>100.000/mm3).


Si parla invece di batteriuria asintomatica in caso di assenza di sintomi e di isolamento di:
- uno stesso ceppo batterico in 2 campioni consecutivi a carica >100000/mm3 in una donna
- un ceppo batterico in un unico campione a carica >100000/mm3 in un uomo
- un ceppo batterico con carica >100/mm3 in urine da catetere.

Per la diagnosi si hanno a disposizione:


1. anamnesi ed EO (principali mezzi per porre diagnosi di IVU). In particolare indagare apporto idrico,
abitudini minzionali, vita sessuale, alvo, patologie e interventi urologici o ginecologici, patologie del
colon (diverticoli), condizioni di immunodepressione.
2. Esame urine e urinocoltura. Il campione utile è il mitto intermedio, raccolto dopo aver lavato con
acqua e sapone le mani e i genitali. In neonati e pazienti neurologici si possono prelevare le urine
con una puntura vescicale percutanea, nella donne non collaboranti con cateterismo (con però
rischio di contaminazione).
Dall’esame chimico-fisico può emergere un pH alcalino suggestivo di infezione da batteri ureasi-
produttori; possibile anche proteinuria da lisi cellulare o danno tubulare.
L’esame microscopico del sedimento può rilevare leucocituria (forte sospetto di infezione se >10
leucociti/mm3), eritrocituria e cilindruria.
Fondamentale è l’urinocoltura, che consente di identificare il patogeno, misurare la carica
microbica ed eseguire l’antibiogramma.
In caso di tubercolosi urinaria si evidenzieranno piuria, pH acido, urinocoltura negativa sui normali
terreni; è molto utile in questi casi la diagnosi molecolare.
3. Esame del secreto uretrale in caso di uretrite.
4. Test di Meares-Stamey o dei 4 bicchieri per la prostatite: si raccolgono separatamente primo mitto,
mitto intermedio, secreto prostatico dopo massaggio digitale e mitto dopo massaggio prostatico; su
ogni campione vengono eseguiti esame microscopico e microbiologico.
5. Test per porre sospetto di diffusione dell’infezione alle alte vie urinarie, quali ricerca di Ab sulla
superficie batterica, dosaggio di PCR e β2-macroglobulina (indicativa di danno tubulare).
6. Diagnostica per immagini per identificare fattori predisponenti alle IVU e valutare un danno renale.
Il primo approccio è l’ecografia, che verrà poi approfondita, se opportuno, con TC, cistoscopia o
urografia. La cistografia può dare informazioni sullo svuotamento della vescica e la scintigrafia
renale sulla funzionalità dell’organo in caso di pielonefrite. Se si sospetta un disturbo del controllo
neurologico ci può essere l’indicazione all’esecuzione di esame urodinamico.

TERAPIA
Infezioni delle basse vie urinarie: trimetoprim +/- sulfametossazolo per 3 giorni. Alternativa:
fluorochinolonici. In gravidanza meglio amoxicillina o cefalosporina per 7 giorni.
In caso di infezioni recidivanti è bene fornire, oltre all’antibiotico, acidificanti quali succo di mirtillo rosso o
uva ursina e lattobacilli in capsule vaginali; ricordare inoltre l’importanza delle norme igieniche e
dell’assunzione di 2 l al giorno di acqua. In caso di episodi molto frequenti si può provare la
somministrazione di antibiotici a basse dosi per tempi molto prolungati.
Pielonefriti non complicate: fluorochinolonici per 7-10 giorni, nelle forme più gravi per via parenterale fino
alla defervescenza e poi per os per altri 14 giorni.
Pielonefriti complicate: si possono usare fluorochinolonici, aminopenicillina+acido clavulanico,
cefalosporine di II o III generazione o aminoglicosidi. Nei casi più gravi anche carbapenemi.
Uretriti: per la gonorrea basta una monosomministrazione di penicillina o cefalosporina; per le altre forme
tetracicline, macrolidi o fluorochinolonici per 7-10 giorni.
Prostatiti: fluorochinolonici per 2 settimane.
Batteriuria asintomatica: va trattata solo in gravidanza, in età prescolare e in previsione di un intervento
urologico.
TBC urinaria: isoniazide, rifampicina, etambutolo.
Infezioni fungine: alcalinizzazione urine, lavaggi vescicali con amfotericina B, derivati imidazolici per via
sistemica.

PROGNOSI
In caso di episodio isolato di IVU la terapia è considerata efficace se scompare la sintomatologia clinica.
Negli altri casi va invece effettuato un accertamento tramite urinocoltura dopo almeno 3 giorni dalla fine
del trattamento. Si parlerà di guarigione se l’urinocoltura è negativa, recidiva se si isola lo stesso germe,
superinfezione se si isola un altro patogeno.

CALCOLOSI URINARIA

Si definisce come la presenza di concrezioni solide cristalline all’interno della via escretrice. Nella maggior
parte dei casi i calcoli si localizzano in calici, pelvi o uretere (nefrolitiasi, calcolosi reno-ureterale); più rara è
la calcolosi vescicale. In alcuni casi si osserva la deposizione bilaterale di cristalli nel parenchima renale
(nefrocalcinosi), che predispone a insufficienza renale.

CALCOLOSI RENO-URETERALE

EPIDEMIOLOGIA
La prevalenza è del 10-15%, in aumento negli ultimi decenni.
Picco di incidenza tra quarta e sesta decade.
Più comune nel maschio.

FATTORI DI RISCHIO
- Dieta iperproteica (paesi occidentali)
- Clima caldo e secco
- BMI elevato
- Lavori sedentari e in ambienti caldi
- Familiarità
- Anomalie anatomiche che favoriscono la stasi di urina (rene a ferro di cavallo, stenosi del giunto
pielo-ureterale, diverticoli caliceali, rene a spugna midollare)

EZIOLOGIA
L’urina è una soluzione formata da solvente e soluti, tra cui dei sali. In genere la soluzione è sottosatura e in
queste condizioni i sali non si aggregano tra loro; se la soluzione diventa invece sovrasatura tendono a
formarsi aggregati cristallini.
L’urina è sovrasatura rispetto ad alcune sostanze anche in condizioni fisiologiche e pertanto la tendenza alla
formazione di calcoli è piuttosto elevata. La saturazione delle urine dipende dal pH, dalla quantità di soluto
e di solvente, dalla presenza di sostanze che inibiscono l’aggregazione cristallina.
Una volta che si sono formati dei nuclei cristallini, questi possono essere espulsi oppure possono restare
intrappolati nel nefrone e accrescersi, formando il calcolo, o ancora possono danneggiare l’epitelio.
In particolare i soluti urinari coinvolti nella formazione dei calcoli sono:
- Calcio, filtrato a livello glomerulare e riassorbito per il 98% nel tubulo prossimale e distale.
La calcemia è regolata dalla vit.D3 (favorisce assorbimento nel tenue e deposizione ossea) e dal PTH
(promuove il riassorbimento osseo e renale del calcio e l’attivazione renale della vit.D).
- Ossalato, prodotto principalmente dal metabolismo. Il 20% deriva dalla dieta e il suo assorbimento
nel tenue dipende dalla presenza di cationi (se Ca e Mg legano l’ossalato, questo non può essere
assorbito) e di batteri che lo degradano.
In caso di patologie da malassorbimento nell’intestino restano acidi grassi che chelano il calcio; in
questo modo l’ossalato non viene legato e viene assorbito in quantità eccessive.
- Fosfato, che viene assunto con carne, verdure e latticini. Il 90% della quota filtrata dal glomerulo
viene riassorbita nel tubulo prossimale, in modo regolato dal PTH. Nelle urine si lega al calcio.
- Sodio, che aumenta l’escrezione di calcio, abbassa il pH urinario e riduce il citrato escreto.
- Citrato, prodotto dalle cellule tubulari e secreto nelle urine.
E’ un inibitore della formazione di calcoli di ossalato di calcio. I suoi livelli risultano ridotti in caso di
ipokaliemia e acidosi (es. acidosi tubulare distale, diarrea cronica, uso di diuretici tiazidici) e in caso
di dieta ricca di proteine animali e povera di glucidi. E’ al contrario aumentato degli estrogeni.
- Magnesio, assorbito nel tenue.
Nelle urine si lega all’ossalato, impedendo la formazione di ossalato di calcio.
- Solfato, che forma complessi con il calcio, prevenendone la cristallizzazione.
- Glicoproteine urinarie (es. nefrocalcina), prodotte dalle cellule del nefrone.
Inibiscono l’aggregazione cristallina.

PATOGENESI
Nel 75% dei casi si ha una calcolosi contenente calcio, soprattutto con calcoli di ossalato di calcio, meno
frequentemente con calcoli di idrossiapatite e brushite.
In 2/3 dei casi si riscontra un difetto metabolico tra i seguenti:
1. Ipercalciuria assorbitiva, da aumentato assorbimento intestinale.
2. Ipercalciuria renale, da difetto tubulare di riassorbimento del calcio.
3. Ipercalciuria riassorbitiva, da iperparatiroidismo primitivo, malattie granulomatose (sarcoidosi, TBC,
silicosi), tumori secernenti sostanze PTH-like, terapie cortisoniche, allettamento prolungato.
4. Ipocitraturia, primitiva o associata a ipokaliemia/acidosi.
5. Iperossaluria, primitiva o dovuta a malassorbimento o eccessiva assunzione di frutta secca, tè…
6. Ipomagnesuria, da ridotto assorbimento intestinale.

Nel 25% dei casi si ha invece una calcolosi non contenente calcio; tra queste:
1. Calcolosi da acido urico (5% delle litiasi), più comune nel sesso maschile. L’acido urico è il prodotto
finale del metabolismo delle purine. I cristalli di acido urico possono essere puri o costituire il
nucleo di aggregazione per l’ossalato di calcio.
Per la formazione di calcoli di acido urico sono necessari:
- Iperuricosuria, dovuta a dieta eccessivamente ricca di proteine animali, farmaci uricosurici,
citolisi (es. in corso di chemioterapia o per malattie ematologiche);
- pH urinario ridotto.
2. Calcolosi da infezione (10%), più comune nella donna. Questi calcoli sono composti da struvite
(fosfato ammonio-magnesiaco) e calcio fosfato e si formano in caso di infezione da batteri ureasi-
produttori, che alcalinizzando le urine le rendono sovrasature. I batteri responsabili sono
principalmente gram- (Proteus, Klebsiella, Pseudomonas). I calcoli da infezione sono a rapida
crescita, ostruiscono le cavità e favoriscono in questo modo anche il mantenimento dell’infezione.
3. Calcolosi cistinica (1%). E’ esclusiva dei pazienti affetti da cistinuria, una malattia ereditaria AR
caratterizzata da un mancato riassorbimento renale degli aminoacidi COLA (cistina, ornitina, lisina,
arginina).
4. Calcolosi da farmaci, da attribuire a farmaci che precipitano nelle urine (indinavir, triamterene,
efedrina) o favoriscono la cristallizzazione (steroidi, vit.D, antiacidi, diuretici dell’ansa, lassativi).
FISIOPATOLOGIA
Se il calcolo è <7mm può muoversi lungo le vie escretrici, spesso rimanendo intrappolato presso il giunto
pielo-ureterale o uretero-vescicale. Questo determina la dilatazione delle vie escretrici a monte
(idronefrosi), con dolore e riduzione della funzionalità renale. Una volta che il calcolo raggiunge la vescica
viene eliminato con la minzione.
I calcoli più grandi invece non si muovono, si accrescono in sede e riempiono le cavità calico-pieliche
(calcolosi a stampo), danneggiando la funzionalità renale.

MANIFESTAZIONI CLINICHE
- Dolore, dovuto alla distensione della capsula renale. Il dolore è localizzato al fianco e alla fossa
iliaca, con irradiazione ai genitali, ed ha carattere colico. L’insorgenza è improvvisa e si accompagna
spesso a segni neurovegetativi, quali nausea e vomito. Sono assenti segni di peritonismo.
In genere i calcoli di piccole dimensioni danno una sintomatologia più intensa.
- Ematuria, dovuta all’effetto meccanico del calcolo sulla parete dell’uretere.
- Possibile infezione secondaria alla stasi.

DIAGNOSI
1. Anamnesi, che indaga caratteristiche del dolore ed eventuali episodi simili in passato.
2. EO: pz agitato, che non trova una posizione fissa; Giordano+; addome trattabile.
3. Esami di laboratorio: lieve leucocitosi, moderato incremento della creatinina; microematuria.
4. Esami strumentali: TC senza mdc è la prima scelta, perché vede tutti i tipi di calcoli (Rx invece
permette di vedere solo calcoli contenenti calcio, calcoli da infezione e calcoli di cistina); ecografia è
la prima scelta in gravidanza e vede i calcoli come immagini iperecogene con cono d’ombra
posteriore; urografia è un esame molto utile, ma va eseguito a distanza dalla fase acuta.

TERAPIA
Nella maggior parte dei casi il calcolo può essere espulso spontaneamente. In questi casi è sufficiente
garantire una terapia del dolore (FANS o, se non risponde, oppiacei) ed eventualmente una terapia
antibiotica in caso di ostruzione e sospetta infezione (leucocituria, nitriti aumentati, batteriuria, febbre).
Va evitata l’assunzione forzata di fluidi, mentre può essere utile, se il calcolo si trova nell’uretere distale, la
somministrazione di α-litici per rilasciare la muscolatura vescicale.
In caso di calcoli di acido urico, l’alcalinizzazione delle urine favorisce la disgregazione del calcolo.
Importanti sono poi i consigli per la prevenzione delle recidive: bere almeno 2l di acqua al giorno,
consumare agrumi (acido citrico), limitare l’assunzione con la dieta di proteine animali, calcio, ossalato e
sodio.
Il calcolo deve essere invece asportato se è >7mm o se c’è rischio di urosepsi o ancora se vi è un unico rene.
Per far questo si usa in genere la litotrissia extracorporea (ESWL), che frantuma il calcolo in frammenti
espulsibili spontaneamente; in alternativa si può sottoporre il paziente a litotrissia intracorporea
(endoscopica) se il calcolo è >2cm o resistente a ESWL. L’intervento chirurgico è praticato molto raramente.

CALCOLOSI VESCICALE

EPIDEMIOLOGIA: Più frequente nel maschio, dopo la sesta decade, per ristagno di urina da iperplasia
prostatica.

PATOGENESI: Si tratta di calcoli di acido urico (urine non infette) o di struvite (urine infette).

MANIFESTAZIONI CLINICHE
- Dolore sovrapubico esacerbato dal movimento
- Mitto interrotto
- Ematuria terminale

TERAPIA: Litotrissia endoscopica.

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