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Edises Metrica e Versificazione
Edises Metrica e Versificazione
1. Il verso
Il verso è una parte di testo, regolata dalle convenzioni della metrica. È formato
da un numero definito di posizioni, che in genere coincidono con le sillabe.
La sillaba costituisce l’unità metrica, per cui ad un uguale numero di sillabe
corrispondono versi uguali. Le sillabe possono essere accentate (in questo caso
sono chiamate arsi) oppure no (in questo caso sono chiamate tesi).
Il numero delle posizioni (sillabe) all’interno del verso è regolato da uno sche-
ma astratto che si definisce metro.
A seconda della successione e della regolarità degli accenti, viene scandito il
ritmo di un verso.
Il concetto di ritmo può essere usato su tre diversi livelli nei confronti di un
verso:
> schema metrico, cioè la precisa successione di “forte” e “debole”;
> scansione, derivata dalla successione schematica degli ictus delle parole;
> recitazione (o esecuzione), che consiste nella concreta esecuzione degli ac-
centi al momento della lettura.
I primi due livelli sono caratterizzati da opposizioni binarie (forte-debole, ar-
si-tesi), la recitazione, invece, consente diversi tipi di scelte (sillabe accentate
più o meno fortemente, innalzamento ed enfasi della voce, sillabe prive di ac-
cento). La recitazione non può essere oggetto di studio metrico, in quanto
troppo soggetta ad infinite sfumature. Per fare un parallelismo con la musica,
potremmo dire che la recitazione equivale al fraseggio e all’articolazione, che
ogni esecutore enfatizza secondo gusto personale.
Per quanto riguarda lo studio del ritmo, allora, il livello più pertinente da pren-
dere in considerazione è quello della scansione.
Abbiamo detto che la scansione è la successione ordinata e schematica degli
ictus delle parole.
L’ictus è l’accentazione di alcune posizioni del verso (quelle, appunto, forti) a
danno di altre (che vengono considerate deboli).
Nella rappresentazione grafica degli accenti, si indica con + l’ictus (sillaba ac-
centata = arsi) e con – la sillaba debole (non accentata = tesi).
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Esempio: Mi dà diletto
l’altrui dolore
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Mi/ dà/ di/let/to
L’al/trui/ do/lo/re
-+-+-
-+-+-
- + - + -
Mi/ dà/ di/let/to
- + - + -
l’al/trui/ do/lo/re
2. L’accento
L’accento delle parole
In italiano, ogni parola possiede un proprio accento tonico, che può cadere
sull’ultima, penultima, terzultima (e così via) sillaba della parola stessa.
> Si dice piana (o parossitona) la parola il cui accento cade sulla penultima
sillaba. A questo gruppo di parole appartiene la maggioranza dei vocaboli
italiani:
pace = pa/ce +-
amore = a/mo/re -+-
sorella = so/rel/la -+-
> Si dice sdrucciola (o proparossitona) la parola il cui accento cade sulla ter-
zultima sillaba:
pentola = pen/to/la +--
logica = lo/gi/ca +--
> Si dice tronca (o ossitona) la parola il cui accento cade sull’ultima sillaba:
città = cit/tà -+
lunedì = lu/ne/dì --+
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A seconda, poi, di quante sillabe atone troviamo dopo quella accentata, avremo
parole bisdrucciole, trisdrucciole e quadrisdrucciole:
Accento secondario
Autorevoli metricologi, fonologisti e fonetisti affermano l’esistenza degli accen-
ti secondari nelle parole. Stiamo parlando di quelle parole particolarmente
lunghe o composte, che nell’esecuzione sembrano avere più di un accento,
uno solo primario (´) e più accenti secondari (`).
Portabagagli = pòr/ta/ba/gá/gli
Finalmente = fì/nal/mén/te
Precipitevolissimevolmente = pre/ci/pi/tè/vo/lis/si/mè/vol/mén/te
Noi diremo semplicemente che la comparsa di questi accenti è legata alla velo-
cità di esecuzione e al tono dell’enunciazione. Ad una velocità normale di pro-
nuncia questi accenti secondari scompaiono.
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3. Le figure metriche
Come per le parole, anche i versi si distinguono in piani, sdruccioli e tronchi.
Siccome la maggior parte delle parole della lingua italiana è piana, lo stesso
succederà anche per i versi, che per la maggior parte saranno piani.
Nella metrica italiana è molto importante il conteggio delle sillabe del verso
per poterlo classificare, sia in base agli accenti (piano, tronco, ecc.), sia in base
alla lunghezza (quinario, endecasillabo, ecc.).
Nel nostro sistema metrico si contano tutte le sillabe del verso, fino alla sillaba
non accentata (atona) che segue l’ultima sillaba accentata (tonica) nel verso
piano.
Nel mezzo del cammin di nostra vita
+ –
Nel/ mez/zo/ del/ cam/min/ di/ nos/tra/ vi/ta
In questo esempio, tratto dall’Inferno di Dante Alighieri (Canto I, 1), ci trovia-
mo davanti ad un endecasillabo (11 sillabe) piano (una sillaba non accentata
segue l’ultima accentata + –).
Nel verso tronco, invece, bisognerà aggiungere una sillaba, che in realtà non
c’è.
Sguardo cercando il ciel (A. Manzoni, Morte di Ermengarda, v. 6)
+
Sguar/do/ cer/can/do il/ ciel
Questo verso è un settenario tronco: poiché, terminando con una sillaba accen-
tata, se ne aggiunge un’altra nel conteggio.
Dopo aver illustrato in che modo si conteggiano le sillabe dei versi, passiamo
alle figure metriche, che sono quattro: sinalefe, dialefe, sineresi, dieresi.
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Sinalefe e dialefe
La sinalefe è la più importante e frequente delle figure metriche. Si ha quando
due sillabe vicine nel verso (la prima finale di una parola che termina in vocale
e la seconda iniziale della parola successiva) si fondono, formando un’unica
sillaba. In questo modo andranno ad occupare una sola posizione nello schema
metrico del verso. Le vocali in questione, però, conservano la loro pronuncia
distinta. Il fenomeno della sinalefe riguarda, infatti, la scansione delle sillabe e
non l’esecuzione.
Inoltre, se tra una parola che termina in vocale e un’altra che inizia per vocale, si
trova un altro lessema formato da una sola vocale, questo sarà assorbito dalla sinalefe.
La figura metrica contraria alla sinalefe si chiama dialefe. Essa consiste nel con-
siderare vocali contigue come appartenenti a due sillabe distinte e, quindi, a
posizioni diverse nel verso. Questa figura è tipica della lirica del Duecento.
Sineresi e dieresi
Se due vocali sono presenti di seguito nella stessa parola, di norma occupano
una sola posizione nel verso, formando una sola sillaba. Questa figura metrica
di chiama sineresi.
Lo ciel perdei, che per non aver fe’ (Dante, Purgatorio, VII, v. 8)
Lo/ ciel/ per/dei/ che/ per/ non /a/ver/ fe’
Quando avviene il contrario, e cioè le due vocali vicine presenti nella parola
vengono distinte in due posizioni diverse (formando due sillabe separate),
avremo la dieresi.
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1 Si parla di posizioni, poiché il numero delle sillabe non è indicativo, in quanto in versi
sdruccioli o tronchi le sillabe possono essere in più o in meno rispetto alle posizioni reali
accentate.
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Siamo in presenza di due strofe di quattro versi ognuna, che nella scansione
risultano molto regolari, poiché si tratta di quinari, ma con numero di silla-
be differenti, a seconda che siano piani, sdruccioli o tronchi.
> Senario: verso di sei posizioni, con due accenti principali sulla seconda e
sulla quinta sillaba;
Un popolo pieno
di tante fortune,
può farne di meno
del senso comune.
Che popolo ammodo
che Principe sodo,
che santo modello
un Re Travicello.
Giuseppe Giusti, Il Re Travicello
Siamo in presenza di due strofe di quattro versi ognuna. Si noti come il sena-
rio, molto scorrevole e orecchiabile, risulti adatto alla poesia satirica e popo-
lare. I versi sono tutti piani.
> Settenario: verso di sette posizioni, con accento fisso sulla sesta sillaba e un
altro su una delle prime quattro. Dopo l’endecasillabo, è il verso più usato
nella poesia italiana.
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Nella parte a destra della tabella, sono indicate le posizioni degli accenti per
ogni settenario. Tutti i settenari sono piani, tranne l’ultimo che è tronco.
> Ottonario: verso di otto posizioni, con gli accenti principali sulla terza e sulla
settima sillaba.
Su ‘l castello di Verona
batte il sole a mezzogiorno
da la Chiusa al pian rintrona
solitario un suon di corno.
Giosuè Carducci, La leggenda di Teodorico
+ + +
L’han/ giu/ra/to./ Li ho/ vi/sti in/ Pon/ti/da
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+ + +
con/ve/nu/ti/ dal/ mon/te,/ dal/ pia/no.
Sulla destra sono annotate le posizioni sulle quali ricadono gli accenti prin-
cipali.
L’endecasillabo è il verso più usato nella tradizione metrica italiana, il più
duttile e versatile, che conserva sempre la sua musicalità, ma, essendo di
struttura più variabile rispetto ai precedenti, non è molto cadenzato.
L’enjambement
Generalmente, ogni verso coincide con una frase di senso compiuto. Quando,
però, una parte della frase, strettamente legata con quello che precede, conti-
nua nel verso seguente senza pausa, avremo l’enjambement.
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Nella poesia italiana questo è un fenomeno notevole quando la fine del verso
cade all’interno di un gruppo di parole strettamente collegate tra loro, come,
ad esempio, sostantivo e aggettivo.
La rima
La rima è un’altra caratteristica che i versi possono avere. Unisce due o più
versi che terminano con parole identiche a partire dall’ultima vocale accentata.
Per indicare le rime si usano le lettere dell’alfabeto. Ci sono diversi tipi di rime:
> rima baciata: AA BB CC DD
Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
G. Pascoli, La cavalla storna
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> rima interna: si fa rimare la parola finale di un verso con una parola all’inter-
no del verso successivo.
La donzelletta vien dalla campagna
in sul calar del sole,
col suo fascio dell’erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e viole,
onde, siccome suole, ornare ella si appresta
dimani, al dí di festa, il petto e il crine.
G. Leopardi, Il sabato del villaggio
> rima equivoca: si ha quando nella strofa troviamo due parole di uguale suono
ma di significato diverso.
Quand’ io son tutto volto in quella parte
ove ‘l bel viso di Madonna luce;
e m’ è rimasta nel pensier la luce
che m’arde e strugge dentro a parte a parte.
Petrarca, Canzoniere
> assonanza: è una rima imperfetta, nella quale le vocali sono uguali e le
consonanti diverse.
Carnevale vecchio pazzo
s’è venduto il materasso.
G. D’Annunzio, Carnevale
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> consonanza: è una rima imperfetta, nella quale le consonanti sono uguali e
le vocali diverse.
Qual è quel cane ch’abbaiando agogna,
e si racqueta poi che ‘l pasto morde,
ché solo a divorarlo intente e pugna.
Dante Alighieri, Inferno, Canto VI, vv. 28-30
> versi sciolti: si hanno verso sciolti quando essi non rimano tra loro.
Le strofe
I versi sono raggruppati tra loro in strofe. Le strofe possono essere di diversi
tipi:
> distico: strofa di due versi, generalmente in rima baciata o alternata;
> terzina: strofa di tre versi in rima incatenata;
> quartina: strofa di quattro versi in rima alternata o incrociata;
> sestina: strofa di sei versi con rime varie;
> ottava: strofa di otto versi endecasillabi, i primi sei in rima alternata, gli ulti-
mi due in rima baciata;
> stanza: è la strofa della canzone. È formata da due parti: fronte e sirima, colle-
gate tra di loro da un verso chiamato chiave;
> strofa libera: il numero dei versi non è fisso.
5. Le forme poetiche
Le forme metriche finora descritte sono usate nelle forme poetiche. Di seguito
un glossario delle forme poetiche più diffuse.
> La canzone
La canzone antica (o petrarchesca) è un componimento di lunghezza varia-
bile, composto da cinque o più stanze, chiuse da un congedo. I versi utilizza-
ti sono gli endecasillabi e i settenari. Dal Cinquecento ha cominciato il suo
processo evolutivo, sfociando, nell’Ottocento, nella canzone libera (o leo-
pardiana), in cui endecasillabi e settenari si alternano senza uno schema
fisso.
Una canzone petrarchesca è Chiare, fresche e dolci acque, di F. Petrarca.
Una canzone leopardiana è A Silvia, di G. Leopardi.
> Il sonetto
Il sonetto è un componimento di 14 versi endecasillabi, composto da due
quartine in rima alternata o chiusa, e da due terzine con schema metrico
vario.
Un sonetto è A Zacinto di U. Foscolo.
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> La ballata
È una forma di poesia destinata al canto e alla danza. È composta da un ri-
tornello di introduzione, seguito da due strofe (o stanze), e si conclude con
la ripetizione del ritornello.
Una ballata è Il trionfo di Bacco e di Arianna di Lorenzo de’ Medici.
> La canzonetta
È una variante della canzone. Presenta versi brevi, in genere settenari, con
strofe più brevi rispetto a quelle della canzone.
Una canzonetta è Meravigliosamente di Jacopo da Lentini.
> La lassa
È una forma poetica, tipica della poesia epica medievale, composta da una
serie di versi decasillabi o dodecasillabi, in rima o assonanza. Il numero dei
versi è variabile, a seconda della grandezza dell’episodio che racchiude.
> Il sirventese
È un componimento che appartiene al genere basso, di argomento morale,
religioso o politico, generalmente di tipo narrativo. Non ha una struttura
fissa, ma si basa sulla rima concatenata.
> La terza rima
È la strofa usata da Dante Alighieri nella Divina Commedia. È costituita da
tre endecasillabi, in rima incatenata.
> L’ottava
Fu probabilmente inventata da Boccaccio ed è la forma tipica della narrazio-
ne lunga in versi. È costituita da otto versi endecasillabi.
> Il madrigale
È un componimento molto in voga tra il XIV e il XVIII secolo di argomento
amoroso. Era formato da due o tre strofe di tre endecasillabi ognuna e da
due endecasillabi in rima baciata.
> Lo strambotto
È un componimento monostrofico, in genere di sei o otto versi endecasilla-
bi, di argomento generalmente amoroso e satirico, sviluppatosi nel XIV se-
colo in Sicilia e in Toscana.
> La frottola
È un componimento la cui caratteristica è l’affastellamento di pensieri senza
nesso e quasi senza senso, in un metro irregolare. Le frottole letterarie, o motti
confetti, sono spesso filastrocche di proverbi in versi settenari rimati a coppia.
> L’ode
È un componimento poetico di contenuto nobile e profondo, privo di uno
schema metrico preciso e vario nell’utilizzo dei versi, che possono essere
settenari, ottonari, decasillabi, ecc.
Si sviluppò nel Cinquecento ad imitazione dei classici greci e latini. È stata
molto utilizzata da poeti come Foscolo, Parini, Manzoni, Carducci, Pascoli e
D’Annunzio. Se tratta di argomenti civili o religiosi prende il nome di Inno.
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