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Frenati dalla paura dell'olocausto

nucleare, durante la Guerra fredda USA e


URSS trasformarono il rischioso confronto
militare in un'insolita competizione
per la scalata del cielo: una corsa a tappe
con un convenzionale traguardo segnato
dallo sbarco umano sulla Luna. Furono
gli americani a tagliare per primi il filo
di lana, il zo luglio 1969. Ma quanti
ricordano che al via i sovietici avevano
guadagnato a sorpresa la prima posizione
mantenendola, nello sgomento e
nell'ammirazione del mondo, sin quasi
alla fine della gara?
Prendendo le mosse dai pionieristici studi
sul volo spaziale di Konstantin Ciolkovskij,
Massimo Capaccioli ripercorre in modo
vivace e coinvolgente tutte le tappe
della corsa allo spazio con il riflettore
puntato sull'uRss. Un'avventura che, sotto
la costante supervisione di Sergej Korolev,
il misterioso "progettista capo", trovò
nello Sputnik 1, nella cagnetta Laika e in
coraggiosi cosmonauti come Jurij Gagarin,
Valentina Tereskova e Aleksej Leonov
i propri emblemi e i propri campioni.
Una storia fatta non solo di enormi
macchine o di sofisticati congegni,
ma anche di ambizioni, abnegazione,
patriottismo, colpi bassi, gelosie, errori
e capricci della sorte.
Sfere· 149
Massimo Capaccioli

Luna rossa
La conquista sovietica dello spazio

Carocci editore @ Sfere


A Rosanna

1• edizione, maggio 2.019


© copyright 1019 by Carocci editore S.p.A .. Roma

Realizzazione editoriale: Luisa Castellani, Torino

Finito di stampare nel maggio 1019


da Eurolit, Roma

Riproduzione vicrata ai sensi di legge


(art. 171 della legge u aprile 1941, n. 6n)

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Indice

Ballata della luna luna 9

L'alba 13

Un genio introverso 31

La saga dei Nibelunghi 49

L'Innominato 71

Cuore di cane 97

L'Icaro rosso 117

Avanti popolo 139

Il canto del cigno 163

Take me to the Moon 187

Ringraziamenti 2.15

Note 2.17

Bibliografia 2.31
Ballata della luna luna

La Terra è la culla dell'umanità, ma non si può


rimanere nella culla per sem pre.

Konstancin E. Ciolkovskij

E così premiati sono i nostri sforzi,


che avendo sconfitto l'anarchia e il buio,
abbiamo forgiato grandi ali infuocate
per la nostra nazione e per questa nostra età!
Monumento ai conquistatori dello spazio,
a Mosca

A metà dicembre 2.017, Donald Trump ha firmato una direttiva per rifoca­
lizzare il programma spaziale della NASA sulla ricerca e l'esplorazione affi­
data agli uomini oltre che ai robot. Una mossa, ha sentenziato il presiden­
te americano, che «segna un passo importante nel riportare per la prima
volca dal 1972. gli astronauti americani sulla Luna per lunghe esplorazioni
[ ...). Ora non solo pianteremo la nostra bandiera e lasceremo la nostra im­
pronta [ sul suolo lunare), ma stabiliremo le basi per un'eventuale missione
su Marce e forse un giorno su molti mondi ancora più lontani»'. Belle
parole, che lascerebbero sperare in un altruistico dispiegamento di impor­
tanti risorse economiche e di ingegno per seguire virtute e canoscenza. Un
revival di quel sogno americano che canto ci illuse, come un dannunziano
amore, negli anni caldi per la ricostruzione e freddi per la guerra a pelo
d'acqua tra USA e URSS.
Appena sei mesi dopo questa promettente uscita, però, durante una
riunione del suo Consiglio nazionale dello spazio nella Sala est della Casa
Bianca, Trump ha gettato la maschera affrontando con la consueta tra­
cotante franchezza la questione dell'occupazione militare dello spazio.
«L'essenza del carattere degli americani», ha dichiarato, «è di esplorare
nuovi orizzonti e fronteggiare nuove frontiere. Ma il nostro destino al di
là della Terra non è solo una questione di identità nazionale; è un proble­
ma di sicurezza nazionale. Non basca avere semplicemente una presenza
americana nello spazio. Dobbiamo avere il dominio americano nello spa­
zio!»". Tant'è vero che pochi mesi dopo questa esternazione ha ordinato
IO LUNA ROSSA

al Dipartimento della Difesa e al Pentagono di « avviare immediatamen­


te il processo necessario per l'istituzione di una forza spaziale quale sesto
ramo delle forze armate»'.
La motivazione è sintetizzabile in una celebre locuzione latina di auto­
re ignoto: Si vis pacem, parabellum ("Se vuoi la pace, prepara la guerra"). È
stata la guerra, la "madre di tutte le cose", calda o fredda che sia, a portarci
alla Luna, e non sarà cerco la sola spinta di Ulisse a riportarci lassù nel
prossimo decennio. Meglio non illudersi, perché la partita è seria e convie­
ne giocarla, o almeno assistervi, mantenendo una lucidità sufficiente per
evitare spiacevoli risvegli.
Come sempre, per cercare di comprendere potremmo chiedere aiuto
alla scoria, «testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, mae­
stra di vita, messaggera dell'antichità» ( Cicerone, Dell'oratore 2., 9, 36). Ma
la storia, soprattutto quella più vicina a noi, è manipolabile e manipolata,
disseminata di fake news alla maniera d'un campo minato. lnucile, se non
addirittura dannosa, ove non si cerchi di intenderne il filo, epurandola dai
luoghi comuni e dalle menzogne e ripescando dall'oblio uomini e facci in­
giustamente dimenticaci. Nessuno ha la ricetta per fare ciò che solo il tem­
po, e non completamente, riesce a darci.
Ecco perché, mentre si celebra il cinquantenario dello storico viaggio
dell'Apollo II alla volta della Luna e della prima impronta umana sulla
polvere del nostro satellite, giova ricordare quanto questa straordinaria
impresa genuinamente targata USA debba al "nemico comunista" e a colo­
ro che a cavallo del 1960 portarono l'URSS nettamente in testa nella corsa
allo spazio. Una gara più simile al palio di Siena che a una competizione
all'insegna del fair play, motivata da ragioni ben diverse dalle curiosità
di un Jules Verne, di un Giovanni V irginio Schiaparelli o di un Percival
Lowell, per citare solo alcuni scrittori o scienziati che hanno sognato e
fatto sognare le immense praterie celesti discese sopra le nubi.
Questa impresa aveva sia un valore strategico, per lo spionaggio, la di­
fesa e l'offesa, sia una forte carica promozionale, preziosa in una stagione
di confronto ali 'ultimo sangue tra due sistemi politici, economici e socia­
li egualmente giovani e fortemente antagonisti: il liberalismo americano
caro al capitale e il comunismo di stampo sovietico cui le masse povere di
turco il mondo guardavano con interesse e speranza. Due superpotenze
uscite vincitrici da una micidiale guerra mondiale, vaste come continenti
e pronte ad assumere ciascuna la leadership del mondo e a conservarla,
giocando una partita senza esclusione di colpi, ma evitando il confron-
BALLATA DELLA LUNA LUNA li

co diretto sul campo di baccaglia, frenate entrambe dalla paura nucleare.


Quel "muoiaSansone con cucci i Filistei" che, per fortuna, nessuno dei due
contendenti s'è ancora semico di pronunciare.
Così, lo scontro armato si trasferì alle guerre sussidiarie combattute con
le armi tradizionali e fuori dai territori patri dei due antagonisti principali,
e in una sublime partita per la conquista della Luna, giocata con assalti e
risposte, schiacciate e parate, e con innumerevoli finte, come al cavolo da
ping pong e a quello di panno verde del poker. Una disfida di Barletta che
delegava la salvaguardia dell'onore a un pugno di campioni rappresentativi
dell'incera nazione (molto più prosaicamente, succede anche oggi con le
nazionali di calcio).
Ma, poiché ex nihilo nihilfit, sia i sovietici sia gli americani avrebbero fa­
ticato assai di più a raggiungere i loro obiettivi spaziali senza l'aiuto degli
scienziati tedeschi che si formarono a Peenemiinde attorno a uno dei pro­
getti di armi segrete con cui Hitler concava di vincere la sfida contro il mon­
do, nello scellerato convincimento che Deutschland uber Alles. Dall'isola nel
Baltico partirono i razzi vi. che per un breve arco di tempo, ormai alla fine
dei giochi, punzecchiarono lnghilcerra e Belgio. Silenziose saette create per
seminare morte e distruzione, belle come divinità nibelungiche in una diabo­
lica apocalisse nella quale il genio si mescolò al destino peggiore per l'uomo.
Poi le armi tacquero o quasi, per lasciare spazio al più terribile tiro alla
fune di cucci i tempi, la Guerra fredda tra l'Occidente e l'UnioneSovieti­
ca.Spaventati dall'Armata Rossa, di cui temevano le vendette, con il Terzo
Reich ormai in agonia gli scienziati del Fiihrer si erano consegnati spon­
taneamente agli americani portando in dote progetti ed esemplari delle
vi.. Una scelta di campo guidata da Wernher von Braun, che non cucci
riuscirono a fare. Quelli che la travolgente avanzata dei russi aveva trovato
ancora nascosti nelle loro cane in Germania vennero catturati e risparmiaci
per servire ai disegni strategici diJosifScalin (1882-1953).
Qualche briciola della ricca corta finì anche in mani inglesi e france­
si. Quesco modesco boccino rappresentò comunque una fortuna per la
Vecchia Europa. Da lì infatti si avviò, sia pure con sostanzioso ritardo, un
programma spaziale comune, primo acro, insieme al CERN (Centro euro­
peo per la ricerca nucleare, con sede a Ginevra) e successivamente ali'ESO
(Osservatorio europeo del Sud, Monaco di Baviera), di una vera politica
comunitaria che gli scienziati seppero anticipare e continuano a interpre­
tare sebbene il cario della paura e degli egoismi abbia ormai minato le fon­
damenta di uno dei sogni più belli del Novecento.
12. LUNA ROSSA

La storia che racconteremo è fatta di grandi macchine e sofisticati con­


gegni, di conoscenze scientifiche e di illimitate ambizioni, di sublime co­
raggio e di abnegazione, ma anche di gelosie, colpi bassi, errori e cedimenti.
Una storia di persone, pedine di una scacchiera che ha per sfondo la storia
dell'umanità nel Novecento, complicata dalle trappole della propaganda
e dal gusto, tutto sovietico, di mantenere il segreto e di raccontare verità
parziali. Una storia che è anche mitologia, ricca di aneddoti e di colpi di
scena, di leggende e di false notizie, come s'addice a una saga. Una storia
che comincia da lontano, con il sogno della Luna, e radica negli ulcimi
decenni del Novecento, quando la fantascienza si apparentò alla scienza.
Una storia nella storia travagliata e complessa dei primi settant'anni del
xx secolo, nella quale svettano da un lato della Cortina di ferro il tedesco
Wernher von Braun, l'agenzia spaziale degli Stati Uniti e alcune grandi
aziende private, e dall'altro lato un pugno di ingegneri sovietici geniali e
ardimentosi. La ripercorreremo sino a quel fatidico 2.1 luglio 1969 quando,
alle ore 2. e: 56 minuti del tempo di Greenwich, Nei! Armstrong tagliò sotto
gli occhi del mondo il traguardo dell'ultima simbolica tappa della corsa
alla spazio, poggiando il suo piede sinistro sulla superficie della Luna.
Ma la grande avventura non si è fermata lì; essa è andata avanti con
imprese persino più spettacolari, e prosegue ancora oggi grazie a un' inu­
suale e promettente sinergia tra le nazioni. Tuttavia, dai primi anni Settan­
ta la Luna è praticamente uscita dal novero degli obiettivi delle maggiori
agenzie spaziali. Ci ritorna adesso, con altre motivazioni e finalità, ben più
concrete della semplice competizione per il primato. A che cosa porterà?
Difficile: a dirsi, ma non è improbabile che la prossima guerra si combatta
dalle stazioni spaziali e dalle basi lunari. Speriamo di no.
L'alba

Nella vita non esistono che gli inizi.


Madame dc Stael

Migliaia di uomini di genio vivono e muoiono


senza essere scoperti: o da sé stessi o dagli altri.
MarkTwain

La mattina del 5 ottobre 1957, svegliandosi, i terrestri scoprirono con som­


ma meraviglia di possedere una seconda Luna. Non come quella che da
sempre accompagna innamoraci e viaggiatori, poeti e contadini, in un rit­
mico andare di fasi che la fanno testimone e metro del tempo, ma una Luna
artificiale. Una piccola palla d'alluminio poco più grande d'un bel cocome­
ro, a mala pena distinguibile nel buio della notte e tuttavia garrula, con quel
suo flebile e ossessivo belato rivoire a tutti, senza confini territoriali, senza
differenze di etnia o di genere. Un bip reso volutamente facile da ascoltare
anche con un semplice apparecchio radio, così che tutti potessero sentirlo.
S'era arrampicata sin lassù, a centinaia di chilometri dalla crosta del pianeta
abitato dagli uomini, sulla punta di un gigantesco missile pensato per la
guerra, partito il giorno prima dalla sua base segreta in Kazakistan, lontano
da occhi indiscreti, alle ore 19 e 2.9 minuti del tempo medio di Greenwich'.
Il comunicato scampa dell'agenzia governativa sovietica Telegrafnoye
Agentsrvo Soverskogo Sojuza, la celebre TASS, confezionato con consu­
mata maestria e riportato sul "Times" del 5 ottobre 1957, recitava:

Da un certo numero di anni, l'Unione Sovietica svolge attività di ricerca e svi­


luppo per la creazione di satelliti artificiali della Terra. [... ] Come risultato del
vasto e articolato lavoro delle istituzioni di ricerca scientifica e degli uffici di
progettazione, è stato creato il primo satellite artificiale della Terra. Il 4 ottobre
1957, il primo lancio di successo di un satellite è stato effettuato nell'URSS. [...]
Secondo i calcoli, ora confermati dalle osservazioni dirette, il satellite si muoverà
a un'altitudine fino a 900 chilometri sopra la superficie terrestre; il tempo dell 'or­
bita completa sarà di I ora e 3S minuti[ ... ]. Stazioni scientifiche collocate in vari
punti dell'Unione Sovietica consentono il tracciamento del satellite e la deter­
minazione degli clementi della sua traiettoria. Poiché la densità dei sottili strati
14 LUNA ROSSA

superiori dell'atmosfera non è ben conosciuta, al momento attuale non ci sono


dementi sufficienti per la determinazione accurata del tempo di vita del satellite
e la posizione del suo rientro negli strati densi dell'atmosfera. I calcoli hanno di­
mostrato che, a causa dell'enorme velocità, al termine della sua esistenza il satellite
si brucerà dopo aver raggiunto gli strati densi dell'atmosfera a diverse decine di
chilometri. In Russia, già alla fine del XIX secolo, gli sforzi del grande studioso
K. E. Ciolkovskij hanno dimostrato scientificamente la possibilità del volo nello
spazio con l'aiuto di un razzo. Il successo del lancio del primo satellite della Terra
creato dall'uomo rende uno straordinario contributo alla scienza e alla cultura del
mondo. L'esperimento scientifico condotto a un• altitudine così elevata ha un· im­
portanza enorme per la comprensione delle proprietà dello spazio esterno e per lo
studio della Terra come un pianeta del nostro Siscema solare. Nel corso deli 'Anno
geofisico internazionale, l'Unione Sovietica si aspetta di condurre lanci di molti
altri satelliti artificiali della Terra. Questi successivi satelliti avranno dimensioni e
peso maggiori e condurranno un vasto programma di ricerca scientifica. I satelliti
artificiali della Terra apriranno la strada al viaggio interplanetario e, probabilmen­
te, i nostri contemporanei sono destinati a testimoniare come il lavoro del popolo
della nuova società socialista renda reali i sogni più audaci dell'umanità.

Ovunque nel mondo la sorpresa fu enorme, soprattutto perché la piccola,


inutile luna battezzata Sputnik, cioè "compagno di viaggio", parlava russo
anziché inglese con accento americano, come chiunque in Occidente si
sarebbe invece aspettato. Olcre due anni prima, infatti, per bocca del suo
addetto stampa, il presidente Dwight "lke" Eisenhower ( 1890-1969) aveva
preannunciato urbi et orbi l'intenzione degli Stati Uniti di lanciare «pic­
coli satelliti orbitanti la Terra» in occasione dell'imminente Anno geofisi­
co internazionale (IGY - lnternational Geophysical Year). Visti la potenza
economica degli USA e i successi della scienza e della tecnologia yankee in
ogni settore delle attività umane, nessuno poteva dubitare che la promessa
sarebbe stata onorata, a maggior gloria della nostra specie e soprattutto dei
nuovi padroni del pianeta.
Tra l'altro, per quest' impresa gli americani potevano avvalersi della
collaborazione dei più brillanti tra gli scienziati e ingegneri tedeschi che
avevano progettato e costruito con successo le micidiali bombe volanti, le
vz, fiore all'occhiello del pacchetto di Wunderwaffin del Fiihrer. Insom­
ma, di là dall'oceano disponevano davvero di tutto il necessario per fare
subito e farlo bene. Toccò invece ai sovietici di tagliare per primi il filo di
lana d'un traguardo che nei fatti segnò il punto di partenza dell'ennesima
gara muscolare tra le due superpotenze e le rispettive ideologie. Una corsa
allo spazio quale atto estremo e sublime della Guerra fredda.
Una guerra cominciata in sordina nel 1945, nei giardini del palazzo
Cecilienhof a Pocsdam, nella parte di Germania occupata dall'Armata
Rossa, dove i tre grandi - Harry Truman (1884-1972), Stalin e Winston
Churchill (1874-1965) - s'erano riuniti per patteggiare la pace e dividersi
le spoglie dei vinti. La contrapposizione tra i due blocchi precedentemente
alleati degenerò due anni dopo quando Truman, per contrastare lo stri­
sciante espansionismo sovietico, teorizzò la strategia degli aiuti economici
e mili rari alle forze anticomuniste in ogni dove. Da allora, senza scontrar­
si direttamente, sovietici e americani si sarebbero fronteggiaci facendo
scoppiare o sostenendo con armi e denaro vere guerre in Medio Oriente,
Africa, America Latina, Corea, Cina, Cuba e Vietnam. Un po' come se
il conflitto mondiale, anziché chiudersi, si fosse aggiornato negli attori,
nei modi e nei territori di scontro. Insomma, la guerra mondiale era finita
davvero solo per i morti.
Ali' inizio della contesa spaziale vinsero i russi. Anzi, trionfarono, umi­
liando l'avversario che nella scalata al cielo pareva non saper reggere il
passo dei temuti e criptici bolscevichi. Ma fu vittoria di Pirro. Allo stesso
modo del proditorio attacco dei caccia bombardieri giapponesi alla base
navale di Pearl Harbor, i clamorosi successi dei sovietici scatenarono la
reazione di una nazione orgogliosa del proprio ruolo nel mondo e della
propria potenza economica, industriale e militare senza uguali. Sebbene
ancora non in forma perfetta, gli Stati Unici erano intenzionati a battersi
per tutelare, insieme al prestigio e al proprio modello sociale, i grandi pri­
vilegi del loro status di superpotenza.
Il contrattacco targato USA, avviato daJohn Fitzgerald Kennedy (1917-
1963) quando pareva che ormai fosse rimasta libera solo la medaglia d'ar­
gento, finì per rovesciare la situazione e per consegnare, quasi in extremis,
il primo gradino del podio agli astronauti a stelle e strisce, relegando falce
e martello su quello inferiore. Merito sì degli uomini e del sistema America
fondaro sul libero mercato, ma con la connivenza della sorte che, dopo
aver fatto l'occhiolino ai sovietici per alcuni anni, secondandone gli azzar­
di e graziandoli per i canti, inevitabili sbagli, voltò loro la schiena sul più
bello. Un'eclissi della buona stella rossa che consentì a Nei! Armscrong,
uno yankee con antenati scozzesi e tedeschi, di imprimere la sua orma sul
suolo lunare, primo degli unici 12 uomini, tutti americani, che sino a oggi
hanno calpestato la polvere del nostro satellite.
Ma quando è nata questa curiosa ossessione, tutta umana, di visitare
la Luna? È sempre difficile stabilire in quale epoca e in che modo decolli
16 LUNA ROSSA

una nuova stagione della storia o anche soltanto una nuova avventura del­
la conoscenza. In genere, gli accadimenti o i personaggi che marcano un
avvio sono l'espressione di convenzioni spesso arbitrarie e più o meno im­
poste da chi, in un dato momento, aveva titolo per dettare le regole della
narrazione e a interpretare i fatti. Perché, si sa, sono i vincitori a scrivere
la storia. La conquista dello spazio extraterrestre e la corsa a raggiungere il
nostro satellite non fanno eccezione alla regola. L'alba di questa moderna
epopea sfuma nei secoli sino a quel primo uomo che sognò di staccarsi da
terra e librarsi nel!'aria come gli uccelli.
È la vicenda del giovane Icaro, che pretese di sfiorare il Sole e per que­
sto suo temerario gesto perse la vita. Storia del primo "incidente di volo"
causato da imperizia e da giovanile insolenza. Icaro era prigioniero a Creta
insieme al padre Dedalo, un genio della tecnologia con scarsi valori mo­
rali. Il signore dell'isola, Minosse, li tratteneva entrambi nel labirinto che
Dedalo aveva costruito per il Minotauro, l'essere mostruoso nato dall 'u­
nione della regina Pasifae con un toro bianco. Era la punizione inflitta
loro per aver insegnato alla figlia del re, pazzamente innamorata di Teseo,
l'espediente del filo di lana che aveva consentito all'eroe di uccidere la be­
stia divoratrice di fanciulli senza restare intrappolato nel labirinto. Un'ar­
ticolata narrazione che riassume vizi e umane virtù, libero arbitrio e fato, e
li intreccia in una storia senza tempo che ancora ci emoziona.
Per cavarsi d'impaccio, Dedalo fabbricò delle ali di piume tenute assie­
me con la cera e le applicò a sé e al figlio. Quando presero il volo, dimenti­
co delle raccomandazioni paterne, Icaro volle spingersi sempre più in alto
sin tanto che il calore del Sole sciolse il collante. In un istante l'ebrezza si
trasformò in tragedia: il ragazzo precipitò in mare. Un ammonimento per
coloro che osano troppo, per ambizione e anche per sete di sapere.
Dal sogno alla narrazione fantastica il passo logico è relativamente bre­
ve. Esasperando il genere del viaggio immaginario, Luciano di Samosata,
un siriano di cultura greca vissuto nel II secolo d.C., raccontò «di cose
non vedute, né sapute da alcri, che non sono, né potrebbero mai essere»
(Storia vera, 1), tra cui una scalata alla Luna sulla spinta delle gigantesche
ondate d'un fortunale in cui era incappato oltre le colonne d'Ercole. Que­
sta brillante parodia dell'Odissea inaugurava, con un nobile fine pedago­
gico, la stagione dei viaggi fantastici alla stella Diana, che con Cicerone
erano rimasti a livello di somnium, e con Dante, nel II canto del Paradiso,
presenteranno una forte matrice mistica e scientifica (per quel che la scien­
za poteva valere allora).
L'ALBA 17

Nel confezionare il suo poema epico, Ludovico Ariosto inventò addi­


rittura una sorta di nave spaziale ante Litteram, il cavallo alato con petto e
zampe anteriori di leone «ch'una giumenta generò d'un Grifo» ( Orlando
furioso, IV, 18), così da permettere ad Astolfo di recuperare il senno dell'a­
mico Orlando, volato sull'astro notturno per le intollerabili pene d'amore
del prode paladino'. Missione necessaria a restituire ali'esercito cristiano
il suo eroe e ad assicurare la vittoria alla vera fede, eseguita grazie anche a
un ippogrifo, improbabile sintesi genetica di tre simboli dell'agilità, della
forza e della capacità di volare.
Circa un secolo dopo, al fine di illustrare le sue scoperte astronomiche
viste e valutate da una prospettiva privilegiata, Giovanni Keplero fece ri­
corso ali'espediente d'un volo sulla Luna che il figlio d'una strega islande­
se, di fatto avatar del geniale scienziato tedesco, aveva potuto effettuare
con il supporto delle arti sataniche della madre. Quasi coeva a questo rac­
conto, sconsideratamente confezionato quando Katharina, la vera madre
di Keplero, s'apprestava a essere tradotta in carcere con l'accusa di strego­
neria, c'è una novella di Cyrano dc Bergerac, autore libertino reso celebre
dalla penna di Edmond Rostand. U pittoresco personaggio narra d'aver
provato a raggiungere la Luna utilizzando ampolle di rugiada che, come
si sa, evapora verso l'alto, e d'esserci finalmente riuscito grazie alla spinta
d'un razzo fatto di fuochi d'artificio armati per celebrare la festa di un san­
to. Un'interessante apertura alla tecnologia nel contesto d'una beffarda
spacconata, che avrebbe potuto fare del nasuto guascone innamorato di
Roxane il primo cosmonauta della storia, seppure solo virtuale, ove non
fosse arrivato dall'Oriente il racconto del mandarino cinese Wan Hu che
nel XVI secolo aveva preteso di raggiungere la Luna, anche lui con una
sedia spinta da una cinquantina di razzi alimentati a polvere pirica.
Nessuno sa che fine abbia fatto questo temerario, quantunque non sia
difficile immaginarlo. I suoi discepoli, che avevano agito da artificieri dan­
do fuoco alle micce dell'improbabile ascensore cosmico, riferirono che il
maestro era svanito nei fumi del lancio senza lasciare traccia di sé e della
sua primitiva astronave. Sublime follia, vera o presunta, che ha procurato
all'ardimentoso Wan un posticino nella storia e un altro, un po' meno ef­
fimero, nella toponomastica lunare. Gli è stato infatti dedicato un cratere,
situato sulla faccia nascosta del satellite, dove le caratteristiche del terreno
abbondano e molte sono ancora in attesa di un nome.
In effetti, gli storici hanno accertato che i cinesi confezionavano razzi
già alla fine del primo millennio, utilizzando la polvere nera: un miscu-
18 LUNA ROSSA

glio di zolfo, carbone vegetale e salnitro le cui virtù erano state scoperte
per caso da un oscuro alchimista. La leggenda vuole che costui fosse alla
ricerca dell'elisir dell'immortalità. Scoprì invece una sostanza incendia­
ria capace di sviluppare, se opportunamente eccitata dal fuoco, una certa
quantità di calore e di volume di gas. li ritrovato venne presto impiegato
nelle feste e nelle guerre. Fuochi artificiali per la gioia degli occhi e "frecce
di fuoco", ossia razzi a polvere pirica attaccati a una lunga canna di bambù
per dar loro un minimo di direzionalità, adoperati forse per la prima volta,
e inutilmente, dalle truppe del Celeste Impero contro i Mongoli del suc­
cessore di Gengis Khan durante l'assedio di Kaifeng nel 12.32..
Ali'avvio del Settecento, Daniel Defoe, che tutti ricordiamo per La
vita e le strane sorprendenti avventure di Robinson Crusoe, riprese il tema
d'una Luna abitata da esseri intelligenti e molto evoluti, che egli avrebbe
visitato di persona grazie a una macchina piumata, il Consolidator (da cui il
titolo del romanzo, 1705), fabbricata dai cinesi, la cui esotica cultura anda­
va allora di gran moda in Europa, grazie a una tecnologia appresa proprio
dai lunatici.L'intento dello scrittore e giornalista britannico era di portare
l'attenzione del pubblico sui temi politici e sociali del suo tempo, masche­
rando la satira dietro un racconto stravagante e irreale per sfruttarne il fa­
scino. La Luna quale espediente letterario, insomma.
L'opera ebbe incerta fortuna. Una sorte condivisa da tante altre prece­
denti e successive che utilizzarono l'artificio del viaggio nello spazio per
raggiungere altri specifici obiettivi. Ad esempio, promuovere e divulgare
idee astronomiche nuove. Nessuno, però, aveva ancora associato la scien­
za all'immaginazione per rendere credibili le invenzioni fantastiche, alla
maniera adoprata dal filosofo, politico e saggista elisabettiano Francesco
Bacone nella Nuova Atlantide (162.4).
Ci riuscì Jules Verne (182.8-1905) nel suo Dalla Terra alla Luna, pub­
blicato nel 1865, e nell'Intorno alla Luna del 1870, che fa da continuazio­
ne al primo. Insieme agli altri viaggi fantastici al centro della Terra e sul
fondo degli oceani, queste due storie inaugurarono un genere letterario
nuovo e fortunato, la fantascienza, che avrebbe avuto grande influenza nel
motivare al sogno e all'azione i primi pionieri dell'astronautica. L'idea da
cui mosse il romanziere di Nantes non era nuova né originale: sparare un
equipaggio nella direzione del satellite terrestre utilizzando un supercan­
none'.
Otto anni prima, l'astronomo e patriota napoletano Ernesto Capocci
(1798-1864) aveva raccontato di un'ardita missione alla Luna effettuata
L'ALBA 19

nell'anno 2.057, esattamente due secoli dal momento in cui scriveva, con
il coinvolgimento di una donna, Urania: semplice allegoria dell'astrono­
mia e non, come verrebbe da pensare, pionieristico manifesto femminista.
L'equipaggio era stato trasferito al sito di lancio, la bocca d'un vulcano
spento nel Sud del continente americano, mediante un pallone intitolato a
Giordano Bruno, simbolo di modernità e della rottura con i vincoli di una
scienza prona alla religione. Qui un poderoso cannone impresse a un pro­
iettile-astronave la velocità necessaria a effettuare la traversata dalla Terra
alla Luna. Pur disseminato di ingenuità e di errori, il racconto cercava di
essere verosimile mediante la cura dei particolari. Ad esempio, il ricorso al
cloroformio, da poco scoperto, per anestetizzare i coraggiosi astronauti e
far loro sopportare il trauma del lungo viaggio nel vuoto interplanetario.
Un accorgimento che nei romanzi di fantascienza del secondo Novecento
evolverà nella pratica dcli' ibernazione.
Stampato a Napoli poco prima del dissolvimento del Regno delle Due
Sicilie, il volumetto di Capocci non produsse conseguenze di rilievo. Lo
lessero in pochi, per via della lingua e di una distribuzione limitata. Ben
diverso effetto ebbe la scoria raccontata con letteraria maestria da Verne,
sapientemente illustrata e diffusa in tutto il mondo da un abile editore.
«Si parla sempre della [sua] impareggiabile fantasia nel prevedere le in­
venzioni scientifiche. In realtà era un grande lettore di riviste scientifiche,
che arricchiva di quello che via via veniva a sapere sulle ricerche in corso»,
scriveva Italo Calvino su "la Repubblica" il 2.9 gennaio 1978.
La trama dei due romanzi francesi ricalca, nella sua ossatura, quella ben
più esile dell'operetta didattica dell'astronomo napoletano, ma l'artico­
lazione risulta assai più avvincente e ricca di spunti, sino al gran finale. Il
proiettile con equipaggio umano non riesce a centrare la Luna e si colloca
in orbita attorno al corpo celeste. Gli infelici astronauti sembrano condan­
nati a una lunga agonia, e invece la trappola mortale viene scansata grazie a
un fortunato espediente. Fantasia, pathos e ironia abilmente amalgamaci e
vestiti di realtà; il racconto di un sogno che i contemporanei, ormai avvez­
zi ai progressi della scienza e della tecnologia orgogliosamente esibiti nelle
esposizioni universali, potevano percepire come realizzabile in un futuro
prossimo.
Un effetto persino maggiore sul pubblico ebbero i romanzi a punta­
te del socialista e pacifista inglese Herbert George Wells (1866-1946). La
guerra dei mondi del 1897 e, per rimanere nel tema, I primi uomini sulla
Luna del 1901, riscossero consensi entusiastici. Ma né Verne né Wells var-
2.0 LUNA ROSSA

careno mai coi loro racconci i confini, qualche volta labili, che separano
l'immaginazione, sia pure profetica, dalla rigorosa creatività scientifica.
Non possedevano appieno gli strumenti per farlo. Così i loro viaggi verso
la Luna restavano al livello dei miti greci: suggestivi, plausibili, coinvolgen­
ti e per lo più retti da fantasiose invenzioni e temperati dal buon senso•.
Per un salto di qualità serviva qualcuno con le mani in pasta nella scien­
za, oltre a un cuore perennemente lanciato oltre la siepe del possibile. Un
sognatore competente e di genio. Quest'uomo nacque il 17 settembre 1857
- «nuovo cittadino dell'universo», avrebbe poi detto di sé - da modesta
famiglia piccolo-borghese nel villaggio di Izhevskoe dell 'oblast di Rjazan,
un paio di centinaia di chilometri a sud di Mosca, con uno « scopo princi­
pale nella vita: fare qualcosa di utile per la gente». Si chiamava Konstantin
Eduardoviè Ciolkovskij. Oggi è considerato il padre della cosmonautica
teorica e della missilistica, una scienza che, profeticamente, emise i suoi
primi vagiti in caratteri cirillici.
La famiglia Ciolkovskij apparteneva alla piccola borghesia periferica
del vasto e arretrato impero zarista, perennemente in bilico tra la matrice
asiatica e la propensione all'Europa. I genitori di Konstantin possedevano
entrambi una discreta cultura. La madre aveva tempo sufficiente per oc­
cuparsi dei figli. Il padre, un polacco costretto a emigrare in Russia perché
di fede ortodossa, si sforzava di raggranellare il minimo per tirare avanti
con il lavoro di insegnante e poi di impiegato, non senza sacrifici e qualche
privazione. Così, l'infanzia del ragazzo trascorse normalmente, tra scuola,
giochi, nuotate al fiume e partite a scacchi con i fratelli.
Aveva dieci anni appena quando le cose cambiarono radicalmente.
«Cominciava l'inverno e io giocavo con la slitta. Presi un raffreddore che
mi causò la scarlattina. Stavo malissimo e deliravo. Tutti credevano che
sarei morto, invece guarii, ma ero diventato molto sordo. La sordità non
andò via. Mi infastidiva molto». Era solo l'inizio d'un piccolo calvario
privato. li padre perse il lavoro, cosicché la famiglia dovette trasferirsi in
città, a Vjatka (l'attuale Kirov), nell'Est del paese, lungo il tragitto del­
la ferrovia transiberiana. Un luogo freddo e ostile. La sordità impediva a
Konstancin di frequentare la scuola e le crisi di sonnambulismo, di cui già
soffriva, si a ggravarono. Nel 1869 morì la madre e il ragazzo venne affidato,
assieme ai fratelli, a una zia «semianalfabeta e fiacca».
Furono gli anni «più tristi e bui» della sua vita, avrebbe raccontato
poi in un'autobiografia. Nel silenzio del suo handicap prese a coltivare da
autodidatta ogni genere di scienza, divorando i pochi libri della biblioteca
2.1

di casa e rimuginando continuamente sugli innumerevoli dubbi di un ap­


prendimento senza maestri. «Non avevo altro insegnante oltre ai libri»'.
Quando suo padre si rese conto delle grandi qualità del figlio, lo esortò
a trasferirsi a Mosca per allargare le opportunità di formazione in un con­
testo assai più fertile. Fu una mossa felice perché, nella città rinata dalle ce­
neri della devastazione napoleonica, il giovane, pur costretto dal!' indigen­
za a saltare molti pasti, riuscì a completare la sua istruzione. Konstancin
si sarebbe dovuto iscrivere all'istituto tecnico superiore ma, forse anche
per le sue difficoltà relazionali, preferì fare da sé, frequentando le maggiori
biblioteche della città, tra cui in particolare la Rumjancevskaja (dal 1992.
Biblioteca statale russa), una struttura straordinaria, creata pochi anni pri­
ma e messa a disposizione del pubblico.
A fine Ottocento, Mosca rimaneva un nodo nevralgico della Rus­
sia, nonostante non ne fosse più la capitale da quando, nel 1712., Pietro
il Grande aveva trasferito il titolo a San Pietroburgo, sulla costa baltica,
con l'imeneo di avvicinare il paese all'Europa•. Nulla di strano, dunque,
che lo zar Alessandro 11, despota illuminato, avesse autorizzato nel 1862.
il trasloco a Mosca della collezione d'arte e della biblioteca personale del
conce Nikolaj Rumjancev, morto senza eredi, sottraendola a San Pietro­
burgo, al fine di riequilibrare la dotazione di risorse culturali pubbliche
tra i due poli. L'ingente patrimonio di opere, monete e libri aveva trovato
ospitalità nel palazzo Pashkov, uno splendido edificio in stile neoclassico
prospicence il Cremlino, fatto costruire da un nobiluomo moscovita e suc­
cessivamente acquisito dal!'Università. La cura della biblioteca era stata
affidata a Nikolaj Fedorovic Fedorov (182.9-1903), un personaggio asceti­
co, fondatore del pensiero cosmisca7, che avrebbe avuto un'influenza de­
terminante nelle future scelte di vita e di studio di Ciolkovskij. Dopo aver
conosciuto e apprezzato il giovane, Fedorov gli scrisse un biglietto: «Io ti
aiuterò a studiare matematica, e tu aiuterai l'umanità a costruire razzi, così
che saremo finalmente in grado di conoscere qualcosa di più della Terra, e
potremo anche osservarla». E Ciolkovskij prese la proposta sul serio.
Fedorov era il figlio illegittimo del principe Gagarin e di una serva
(l'incrigance omonimia con il primo cosmonauta della storia, di origine
contadina, è puramente casuale). Nato nella residenza di campagna del pa­
dre, nella Russia sud-occidentale, era arrivato a Mosca al termine di un'in­
fanzia faticosa e di una travagliata carriera itinerante di insegnante elemen­
tare, complicata da un'applicazione rigorosa delle sue idee utopistiche e
radicali. Era convinco che le carenze degli individui e delle società umane
2.2. LUNA ROSSA

rappresentassero una fase transitoria di un percorso guidato dal progres­


so scientifico e tecnologico teso alla perfezione, in un contesto ideale che
contemplava la castità, l'immortalità, la rinascita dopo la morte, il con­
trollo delle forze naturali e la colonizzazione degli oceani e dello spazio.
Concetti e tesi che, con l'avvento del bolscevismo, piacquero ai teorici di
un nuovo corso mirante al riscatto sociale dell'umanità intera. L'idillio
durò poco, però. Con l'acuirsi dello scontro ideologico tra comunismo so­
vietico e religione, il filosofo venne messo al bando assieme ai suoi seguaci.
Una damnatio memoriae che coinvolse anche la sua tomba dove, ancora
nel 192.8, prima della crociata anticlericale di Stalin, campeggiava la scritta
«Cristo è risorto».
Ascetico futurista, quest'uomo «bruno di bella presenza, di altez­
za media, calvo ma piuttosto ben vestito», viveva con rigida coerenza la
propria fede, anche religiosa. Mangiava frugalmente, dormiva per terra in
una fredda cella coprendosi con dei giornali e aiutava gli altri, sia i più
poveri sia i più dotati. Ai primi passava il suo magro stipendio e di notte
li ospitava nella sala di lettura della biblioteca; agli altri, incluso il nostro
Konstantin, offriva ogni possibile sostegno per una crescita culturale e
morale. Fin quasi alla morte non pubblicò nulla, per modestia e nel con­
vincimento che il pensiero dovesse essere affidato all'azione più che alla
carta e trasmesso con l'esempio. Un uomo da deridere o un maestro di
cui innamorarsi. 11 giovane Ciolkovskij se ne innamorò, come avevano già
fatto i giganti Lev Tolstoj e Fedor Dostoevskij, e questo amore cambiò la
sua vita e la storia della conquista dello spazio, che - dopo una lunga fase
prenatale puramente visionaria - poté assumere finalmente i connotati di
un progetto realistico e scientificamente fondaco.
I due si incontrarono nelle sale della Rumjancevskaja, dove il filosofo
teneva delle riunioni pubbliche intrattenendo i giovani sui temi più diver­
si della sua fede cosmista. Fedorov colse subito le qualità umane e intellet­
tuali di Konstantin, il suo ardore, il suo acume e la sua determinazione. Il
ragazzo viveva di stenti - «a parte l'acqua e il pane nero non c'era nien­
te»8, avrebbe ricordato in seguito-, spendendo il misero sussidio paterno
per libri e materiale per gli esperimenti di fisica e di chimica. Studiava sem­
pre, impegnando il poco tempo libero in estenuanti disquisizioni di filo­
sofia con i compagni che, diversamente da lui, frequentavano l'università.
Aveva optato per la castità, un modello di vita che gli assicurava la pos­
sibilità di convogliare tutte le sue energie nell'apprendimento, senza per
questo mortificare il suo animo passionale. Era perennemente innamora-
to, anche se in modo rigorosamente platonico•: scindeva il desiderio dalla
realtà, per far sì che il suo sogno scientifico potesse attingere a ogni sua
risorsa fisica e mentale.
Poco si sa sui suoi rapporti con Fedorov. Fu comunque un sodalizio utile
a entrambi. li filosofo intravide nel giovanile ardore di Ciolkovsk.ij per le
scienze uno strumento concreto di attuazione delle sue idee. Anche quel­
le pit1 estreme come la conquista dello spazio celeste e dei pianeti, che egli
condizionava alla capacità dell'uomo «di ricreare sé stesso dalle sostanze
primordiali, dagli atomi e dalle molecole», per arrivare a governare l'intero
universo. Konstantin trovò invece in lui quel «maestro universitario» che
non aveva mai avuto. Grazie a Fedorov si procurò anche un piccolo impie­
go in biblioteca: un lavoretto che gli diede i mezzi materiali per continua­
re a studiare e la possibilità di accedere a tutti i testi universitari che aveva
sognam di consultare. Fu in questo contesto che iniziò a pensare ai viaggi
nello spazio, e al cosmo come futura casa dell'umanità. Non avrebbe mai
più smesso. La sua fertile immaginazione venne catalizzata dai racconti di
Jules Verne. Storie di fantasia che in seguito avrebbero mietuto altre vittime
importanti.
Il soggiorno moscovita durò tre anni. Ciolkovskij s'era letteralmente
consumato sui libri. Debole nel fisico e con la vista così gravemente dan­
neggiata da farlo escludere dal servizio militare, nel 1876 dovette ritornare
a casa perché il padre non riusciva più a mantenerlo. Mentre raggranellava
qualche soldo impartendo lezioni di matematica e fisica, cercava di rima­
nere intellettualmente vivo leggendo Newton. Ma la vita scorreva dura,
grigia e amara, tra stenti e lutti.
Infine, superata l'abilitazione all'insegnamento della matematica, arri­
varono un lavoro stabile di docente e mezzi sufficienti per il cibo, la legna
da ardere, le candele per leggere nelle lunghe notti invernali, e anche per
mantenere una moglie. Konstantin aveva deciso infatti di sposare la figlia
d'un sacerdote presso cui era a pensione. Una ragazza che rispettava pro­
fondamente per la sua cultura e che però non amava, dalla quale avrebbe
avuto quattro figli e tre figlie (cinque dei quali morirono prima dei 30 anni).
Nel com plesso la sua fu un'esistenza in apparenza squallida che Ciolkovskij
non rinnegò mai, convinto com'era che fossero stati la miseria, i suoi handi­
cap fisici e la mancanza d'un titolo accademico a catalizzare le sue energie
sull'ambizioso disegno di rendere qualche importante servizio all'umanità.
Ingenua utopia? Sicuramente no, visto il personaggio e considerati gli altri
:z.4 LUNA ROSSA

numerosi esempi di uomini di genio che hanno rivendicato, implicitamente


e qualche volta apertamente, il valore maieutico delle difficoltà della vita'0•
Per Konstantin era arrivato il momento di applicare a problemi concre­
ti il patrimonio di conoscenze scientifiche che aveva faticosamente acqui­
sito. La pubblicazione delle sue prime opere gli diede un pizzico di noto­
rietà e gli guadagnò un posto in una società scientifica. Pensava, faceva e
sognava. Cominciò a riflettere sui comportamenti fisici degli esseri umani
e delle cose entro uno spazio privo di atmosfera e di forze esterne. Fabbri­
cava modellini per i suoi allievi, tra cui rudimentali aerostati e, quando le
cure dei primi figli glielo permettevano, scriveva racconti astronomici di
fantasia.
Intanto s'era trasferito a Kaluga, capoluogo d'una regione appena on­
dulata dal lavoro di antichi ghiacciai, fredda come si conviene a una terra
lontana dal mare, dove sarebbe rimasto dal 1892. sino alla morte. Qui scris­
se i suoi primi trattati scientifici riguardanti il volo spaziale e le proble­
matiche relative all'impiego di equipaggi umani. Calcoli, dimostrazioni,
valutazioni e rivoluzionarie proposte. Ad esempio, quella di un propel­
lente liquido fatto d'una miscela di idrogeno e ossigeno, che traghettava
la fantascienza nella dimensione del possibile. Prese anche a interessarsi di
filosofia, segno di una nuova maturità che gli consentiva di rimuove il veto
verso le attività puramente astratte che s'era imposto durame il soggiorno
moscovita.
E venne il 1903, annus mirabilis per il volo umano ncll 'azrnrro del cielo
e nel buio dello spazio profondo. li 17 dicembre a Kill Devii Hills, nella
Carolina del Nord, giovandosi d'un forte vento contrario Orville Wright
(1871-1948) riuscì a far sollevare da terra il Flyer 1, un rudimentale aeropla­
no costruito assieme al fratello Wilbur. Era la prima volta per un oggetto
motorizzato più pesante dell'aria. Quei 36 metri percorsi a pelo d'erba
in 12. secondi da un fabbricante di biciclette sdraiato lungo la struttura
orizzontale per comandare gli impennaggi d'un improbabile apparecchio
con la coda al posto del muso segnarono la nascita dell'era dell'aviazione.
Un miraggio a lungo inseguito e materializzatosi con fatica, che in un de­
cennio appena sarebbe diventato sanguinosa realtà nei cieli della Grande
Guerra e poi il veicolo principe per connettere fisicamente tra loro i più
remoti angoli del pianeta.
Nel medesimo anno Konstantin Ciolkovskij pubblicò la sua opera
scientifica più importante, intitolata Esplorazione degli spazi cosmici con
razzi a propulsione. Essa segnò, a detta degli storici della cosmonautica, lo

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Cl'.niah.: :1ucodid::i.n:1, proft:sson: di m:ircmacica. invenron:, sognatore e scritrore di fan­


r:iscicnz:1, Konsr�rnrin Eduardovié iolkovskij viene oggi riconosciuto come il padre
dell'astronautica moch:rna e dclb missiliscic::i. russa. li pittoresco apparecchio acustico ci
ricord:i che. :dl'ctà di 10 :inni. Konsrancin era diventato praticamente sordo a causa della
scarbrrina.

spartiacque era la stagione della fantasia e quella dell'esplorazione dello


spazio. Il documento venne confezionato con la morte nel cuore per il sui­
cidio, l'anno prima, del figlio diciannovenne, avvelenatosi perché incapace
di sopportare la cronica miseria.
Anche la Russia era in crisi profonda. Arretrata, frenata nel suo svilup­
po capitalista da privilegi secolari, era percorsa dai fremiti di una popola­
zione insoddisfatta. I contadini chiedevano una maggiore giustizia sociale
e altrettanto pretendevano gli operai urbanizzati, che cominciavano a or­
ganizzarsi in consigli di fabbrica, i soviet. Scalpitavano la borghesia intel­
lettuale e i liberali, e anche i militari, mortificati dall'umiliante sconfina
nella recente guerra col Giappone. L1 questo contesto bastò una scintilla,
scoccata nel dicembre 1905 a San Pietroburgo durante una manifestazione
pacifica di lavoratori, per scatenare una rivoluzione, prodromo di quella
dell'ottobre 1917.
2.6 LUNA ROSSA

Ma nel 1903, anno del volo di Wright e della pubblicazione del trat­
tato di Ciolkovskij, l'insurrezione era ancora lungi dal venire. La coinci­
denza temporale tra i due fatti inerenti il medesimo genere di sogno che
condusse Icaro a morte è invece davvero intrigante perché segna un punto
di partenza comune per entrambe le nazioni protagoniste della corsa allo
spazio. La similitudine si ferma qui, però. Per volare, infatti, gli aerei ne­
cessitano dell'aria, che serve alla propulsione e al sostentamento. I razzi,
invece, devono fare senza, e ciò comporta alcune analogie e molte notevoli
differenze.
Osservando gli uccelli che si librano in cielo e volteggiano, calvolca
senza bisogno di sbattere le ali, gli uomini hanno imparato il trucco per
"nuotare" nell'aria a dispetto del peso. La soluzione poggia su un effet­
to più generale studiato dal matematico e fisico svizzero Daniel Bernoulli
nel Settecento. Si tratta di sagomare due pinne (le ali) in modo cale che
il flusso che le investe quando sfrecciano nell'aria sia obbligato a seguire
percorsi di diversa lunghezza nelle due facce: più lungo. e quindi più velo­
ce, sul dorso gobbuto rispetto alla parte inferiore piana. Questo semplice
accorgimento geometrico-dinamico genera un eccesso di pressione verso
l'alto che contrasta la gravità e riesce a sostentare un corpo più pesante
dell'aria" qualora velocità e densità del fluido siano adeguatamente elevare
(relativamente alla massa da sollevare).
Per far muovere un aeroplano - condizione necessaria a volare, anche
se non sufficiente - basta avvitare un'elica nell'aria o alimentare con I 'os­
sigeno atmosferico un motore a reazione, ove per spostarsi si utilizzi il me­
desimo principio fisico che vale per i razzi. Questi ultimi, siano essi missili
balistici o lanciatori di veicoli spaziali, devono viaggiare invece in un am­
biente dove l'aria è molto rarefatta o assente del tutto. Ciò condiziona sia
il sostentamento sia l'approvvigionamento del comburente indispensabile
ad attivare le reazioni chimiche nel motore a reazione". Il problema è serio
ma non insolubile.
Cominciamo con la questione della spinta, che si risolve allo stesso
modo dei motori a reazione, invocando il terzo principio della dinamica.
Nel 1687 lsaac Newton, nel modellare gli effetti delle forze sui corpi, aveva
postulato che a ogni azione debba corrispondere una reazione uguale e
contraria. Quando un corpo A subisce l'azione d'una forza da parte di un
corpo B, quest'ultimo risente a sua volta d'una forza di intensità uguale
e diretta in senso contrario. Come dire: quel che è facto è reso! Le dimo­
strazioni di questo fenomeno nella vita di tutti i giorni non mancano. Il
L'ALBA

rinculo di una pistola al momento dello sparo, ad esempio, altro non è che
la reazione dell'arma all'azione dei gas di scoppio sul proiettile.
Per capire in che modo il terzo principio possa essere utile al caso nostro,
facciamo un piccolo esperimento mentale, di quelli che tanto piacevano ad
Alberc Einstein. Immaginiamo d'essere finiti al centro di uno stagno la cui
superficie ghiacciata non presenti attrito. In queste condizioni ideali, ci
troveremo impossibilitati a guadagnare la riva perché, per 1' ipotesi che ab­
biamo fatto, né le suole delle scarpe, né i guanti, né qualunque altra parte
di noi e del nostro abbigliamento, avrebbero aderenza. Potremmo al più
roteare attorno al nostro baricentro, ma non traslare perché, diversamente
dal mitico Atlante, ci manca un "punto d'appoggio". È un brutto guaio.
Fa un gran freddo e la notte s'avvicina. Rischiamo l'assideramento. Come
possiamo levarci di impaccio? Applicando un po' di fisica elementare. Ba­
sterà, ad esempio, cogliersi una scarpa e scaraventarla lontano con la massi­
ma energia possibile. Per reazione, scivoleremo in direzione opposta e con
un po' di pazienza raggiungeremo la sponda e la salvezza. Naturalmente,
faremmo prima se, invece della scarpa che pesa poco, potessimo scagliare
qualcosa di più consistente, come una palla da bowling che per qualche
fortunata ragione ci siamo portati dietro''.
Un motore a reazione si comporta allo stesso modo. Trasforma l'e­
nergia chimica (parte di quella che gli aromi trattengono nei loro gusci
elettronici) in energia termica (agitazione caotica delle particelle di gas)
mediante l'ossidazione di un combustibile di qualche natura, ad esempio
alcool, e successivamente la converte in energia meccanica tramite l'espul­
sione del gas da uno o più ugelli. li moto è generato, allo stesso modo di un
palloncino debitamente gonfiato e poi forato con una puntura di spillo,
dalla reazione dinamica al gas espulso che a sua volta è tanto più importan­
te quanto maggiori sono la massa del getto e la sua velocità.
Sembra tutto chiaro e semplice, ma non è così. Per capire dove si annidi
l'inghippo, torniamo all'esperimento dello stagno ghiacciato. Al fine di ac­
quistare velocità, abbiamo dovuto sacrificare una scarpa, rimanendo semi­
scalzi. Anche il palloncino che vola quando lo bucate, arriva sgonfio. Insom­
ma, per generare una reazione si deve separare un'entità in due o più parti
non necessariamente uguali. li motore a reazione perde via via il proprio
carburante, ma negli aerei rinnova costantemente il comburente risucchian­
do aria dall'ambiente circostante per poi comprimerla con una turbina.
Nei missili, invece, ciò non è possibile. Per funzionare, queste macchi­
ne volanti devono portare con sé tutto quanto occorre loro a produrre la
2.8 LUNA ROSSA

reazione chimica che alimenta il moto, e via via perderlo, espellendolo ad


alta velocità. In questo modo la loro massa cambia nel tempo, come un
carro pieno di sabbia che abbia un buco nel fondo del piano di carico. La
conseguenza non è: affatto banale.
Fu proprio Ciolkovskij, perduto nell'immensa campagna russa, ad
analizzare matematicamente il problema, riproponendo nel fondamentale
trattato del 1903 un'equazione che ora porta il suo nome e che egli aveva
già pubblicato sei anni prima in un lavoro con un titolo che non lascia
dubbi, Razzo. La formula, elaborata da Konstantin attingendo alla mec­
canica di Newton, ci dice che la spinta prodotta dal motore è proporzio­
nale: sia alla velocità con cui fuoriescono i gas combusti sia alla variazione
relativa della massa residua, la quale è: molto piccola alla partenza e cresce
man mano che i serbatoi si vuotano. Se ci pensate, succede anche con le
macchine: di Formula 1, che a fine gara girano più veloci (se le gomme reg­
gono) perché più leggere.
Ciolkovskij riuscì a prevedere, con le sue ricerche, quello che sareb­
be poi accaduto davvero nei cieli d'Inghilterra alla fine del 1944 con le
bombe volanti di Wernher von Braun e oltre la stratosfera con lo Sputnik,
nel 1957. Credeva fermante che «ciò che è: impossibile oggi, un domani
sarà possibile», arrivando a immaginare e a descrivere la soluzione di in­
numerevoli problemi che affioravano alla sua fertile mente. Idee geniali
riguardanti la guida, la propulsione e la gestione dei razzi; mai nessun
esperimento, però. Non sarebbe stato possibile. Mancavano totalmente la
tecnologia, le risorse industriali ed economiche e il contesto.
Tuttavia, non gli mancava la visione, come dimostra questa sorta di
profezia ragionata:

Ci fu un tempo, molto recente, in cui l'idea della possibilità di conoscere la strut­


tura dei corpi celesti era considerata audace perfino dai più noci scienziati e pensa­
tori". Questo tempo è passato. L'idea di una conoscenza più diretta e ravvicinata
dell'universo ci appare oggi, io credo, ancor più bizzarra. Mettere piede sul suolo
degli asteroidi, prendere in mano un sasso lunare, costruire stazioni mobili nel­
lo spazio, formare anelli viventi acromo alla Luna, alla Terra, al Sole, osservare
Marce da qualche decina di chilometri, andare sui suoi satelliti o perfino sulla sua
superficie.

Aveva ragione. O ggi noi abbiamo già realizzato tutto questo, e anche di
più, grazie all'impiego di «dispositivi a reazione» (razzi). Abbiamo pas­
seggiato più volte sulla Luna e presto contiamo di farlo sul suolo marziano,
L'ALBA

dove già scarrozzano da tempo dei rover-laborarorio che - per adesso -


sono i nostri occhi, le nostre mani e il nostro presidio sul Pianeta rosso.
Siamo scesi sui grandi asteroidi bucceraci di crateri, ferite di antiche guerre
stellari quando nel Sistema solare pullulavano ancora i resti del cantiere, e
sul minuscolo nucleo di una cometa a circa mezzo miliardo di chilometri
dalla Terra, non più esteso di un villaggio e incapace di offrire all'ospite un
ancoraggio gravitazionale adeguato. Viaggiamo oltre le colonne d'Ercole
del pianeta Nettuno, verso il mondo gelido e buio dei pianeti nani, fin nel­
la riserva delle comete solari. Manteniamo, grazie al servizio di taxi garan­
tito dalle sonde russe Sojuz, un presidio umano a 400 chilometri d'altezza
in una stazione spaziale, 1'1ss (Internacional Space Station), che è icona di
progresso scientifico e tecnologico ed esempio positivo di collaborazione
era nmi i popoli della Terra, o quasi.
Molte delle soluzioni e degli accorgimenti che hanno reso possibile
questa recente gloriosa stagione dcli'epopea spaziale erano state valutate e
proposte dal maestro di Kaluga: camere di compensazione, pareti doppie
per difendersi da meteoriti, camere di combustione, stazioni spaziali e raz­
zi multistadio che egli chiamava "treni di razzi cosmici".
Konstantin Ciolkovskij morì il 19 seccembre 1935. Aveva appena com­
piuto 78 anni. Una settimana prima di chiudere gli occhi, scrisse una let­
tera a Stalin per riconfermare la sua fede nei principi della Rivoluzione
d'Ottobre e nella persona del dittatore. Ormai vecchio e stanco, volle ti­
rare le somme d'una vita spesa a servizio dell'umanità, proprio come gli
aveva chiesto il suo antico maestro Fedorov. Sentiva di dovere gratitudine
al «partito di Lenin e di Stalin, dei bolscevichi e del potere sovietico, au­
tentiche guide del progresso della cultura umana», per il riconoscimento
ai suoi sforzi. Intendeva perciò donare alla patria tutti i suoi lavori «sull'a­
viazione, l'astronomia e i viaggi interplanetari» nella certezza che qual­
cuno sarebbe stato presto incaricato di portare a termine la sua opera con
successo. Si sbagliava, ma solo pro tempore.
Negli anni a venire Stalin si sarebbe interessato a cuct'altro. All a gran­
de trasformazione di una società prevalentemente agricola in una potenza
industriale. Alle grandi purghe dei nemici suoi e del popolo, veri o presun­
ti. All'eroica Velikaja Oteéestvennaja vojna, la "Grande guerra patriottica"
contro i nazifascisti. E poi a contendere il controllo del mondo agli odiaci
capitalisti occidentali e ad accendere fiammate di socialismo dove l'erba
della vita era più secca, mente isolava il suo impero entro le invalicabili
mura della Cortina di ferro. Solo nel dopoguerra sarebbe sbocciata in lui
LUNA ROSSA

una tiepida passione per i razzi, quali armi strategiche per fronteggiare la
potenza nucleare degli Stati Uniti.
Ciolkovskij non aveva preso parte attiva nei moti rivoluzionari che ave­
vano consegnato ai bolscevichi il potere, ma condivideva appieno gli idea­
li del comunismo marxista e aveva giudicato positivamente la fine d'una
guerra invisa al popolo. «L'URSS cammina strenuamente e tenacemente
sulla grandiosa via del comunismo e dell'industrializzazione del paese e
questo non posso non appoggiarlo profondamente», avrebbe sericeo in
seguito. Tuttavia, se i vecchi signori della Russia lo avevano per lo più
ignorato, i nuovi padroni non si comportarono molro meglio, limitandosi
a offrirgli nel 1918 una nomina nell'Accademia sovietica che Konstantin
non poté accettare perché prevedeva il trasferimento a Mosca.
Ormai in pensione, restò nella sua Kaluga a studiare finché, nel 192.3,
la pubblicazione della tesi di dotrorato del tedesco Hermann Oberth inti­
tolata Il missile nello spazio interplanetario non aprì gli occhi alle aurorità
sovietiche che riscoprirono il loro campione, dimenticandosi in fretta di
averlo in precedenza interrogato negli uffici della polizia segreta per via
di alcuni scritti giudicati antirivoluzionari. C'era bisogno di radici russe
per ogni casella della scienza, della tecnologia e deLla cultura, in modo da
creare intorno al nuovo regime il collante della memoria. L'anziano Kon­
stantin calzava perfettamente nel ruolo di padre della cosmonautica.
Un ruolo ancora transitorio, però, perché negli anni Venti solo un pu­
gno di avventurosi pionieri credeva davvero nell'importanza scientifica e
militare dei razzi. Nei prossimi due capitoli ci occuperemo di tre di loro,
un americano e due tedeschi, per raccontare il modo in cui la corsa allo
spazio in meno di vent'anni passò dalle parole ai facci.
Un genio introverso

O ggi molte persone non potrebbero farcela senza passioni,


perché il loro imdletro e la loro volontà sono deboli. Ma at­
traverso una selezione artificiale si può creare un essere senza
passioni e con una mente superiore[... ]. Questo è il destino
che inevitabilmente attende l'uomo, questa trasformazione.

Konstamin E. Ciolkovskij

Qualunque cosa sogni d'intraprendere, cominciala. L'auda­


cia ha del genio, del potere, della magia.

Wolfgang Goethe

Il sogno di toccare la Luna prese corpo a partire dagli anni Venti del No­
vecento, quando i razzi con cui giocavano i cinesi diventarono prototi­
pi di innovative macchine volanti. All'alba del nuovo secolo, il solitario
Ciolkovskij aveva dettato le regole del gioco e mostrato la strada mesco­
lando scienza e fantasia, senza scadere nella fantascienza. li percorso era
staro tracciato. Ora bisognava trovare il pretesto per trasformare una cu­
riosi cà scientifica in una necessità, così da reperire le risorse umane e finan­
ziarie indispensabili a mettere la teoria in pratica.
Questo fondamentale e ardito passaggio venne intrapreso a valle d'u­
na guerra mondiale efferatissima e di una pace iniqua, ispirata dall'odio e
dalla paura, e coinvolse, per ragioni diverse ma con identica passione, sia
i vincitori sia i vinti. Gli accori principali furono un fisico americano, Ro­
bert Goddard, e due ingegneri tedeschi, Hermann Oberch e Wernher von
Braun. La mano, giocata a Kaluga con veemente creatività da Ciolkovskij,
era passata per il momento ad altri giocatori sotto alcre bandiere.
I russi', infatti, avevano altro a cui pensare. li grande impero dei Ro­
manov era rovinosamente crollato sulla spinta delle tensioni interne e dei
gravi insuccessi nella guerra contro le Aquile nere di Austria-Ungheria e
Prussia. La rivoluzione antisiscema esplosa nel 1905 non s'era mai spenta.
A sopirla non erano bastate le aperture a una maggiore democrazia fatte
dal debole Nicola II e neppure le repressioni condotte con durezza dalle
sue guardie.
Gli intellettuali avevano alzato la resta, disposti anche a farsela cagliare
per una buona causa, la borghesia sgomitava, eccitata dal confronto con
32. LUNA ROSSA

l'Occidente, e un popolo di servi aveva preso a desiderare con forza con­


dizioni di vita più umane e una maggiore equità sociale. Un indigeno ri­
sveglio delle coscienze, ispirato ai venti di libertà faticosamente arrivaci
dall'Europa, che la coree di San Pietroburgo, ottenebrata da secoli di pote­
re assoluto, non era in condizione di recepire.
li castello di carta si manteneva in bilico, sorretto dalla forza della era­
dizione e dalla paura del nuovo. Per farlo crollare del tutto serviva una
spinta. Ci pensò una guerra che lo zar non avrebbe voluto dichiarare e che
non seppe condurre. Nel febbraio 1917, i disastri militari e le gravi perdite
territoriali indussero persino i conservatori più lealisti a pretendere la de­
posizione e l'arresto del sovrano e la creazione d'un governo provvisorio
per &onteggiare l'emergenza di un paese sbrindellato e scremato.
Dopo aver sonoramente battuto per due volte i russi, ora i prussiani
volevano sganciare le ingenti forze impegnate sul fronte orientale per con­
centrarle contro inglesi e francesi, perciò diedero una mano anche eco­
nomica ai rivoltosi. Rientrato in patria dall'esilio con la connivenza del
nemico, Lenin si mise alla testa del movimento di popolo. Bisognava porre
ordine nell'arcipelago dei soviet, dilaniato dalla lotta era l'ala moderata e i
bolscevichi, e fare un fronte comune per respingere i rigurgiti controrivo­
luzionari. Ali' alba del 2.5 ottobre' le milizie operaie assaltarono la sede del
governo democratico a Piecrogrado 1•
Iniziò così una stagione della scoria che vide applicate per la prima volta
le teorie sociali ed economiche di Karl Marx e Friedrich Engels. «Abbia­
mo alzato ora la bandiera bianca della resa», pare abbia detto Lenin alla
firma del trattato di pace di Brest-Licovsk coi prussiani, il 3 marzo 1918.
«Innalzeremo più tardi, su tutto il mondo, la bandiera rossa della nostra
rivoluzione»•. Il resto del xx secolo ha testimoniato i tentativi di man­
tenere questa promessa. L'esperimento, costato paura, lacrime e sangue,
alla fine non è riuscito, né nella grande Russia né in quasi ogni altro luogo
del pianeta dove è stato tentato. Allo stesso modo di tante utopie, l'ideale
comunista s'è dovuto scontrare con gli spigoli e le paludi della realtà e con
l'immaturità e l 'egoismo degli uomini.
Ci ha lasciato molto dolore, qualche rimorso, una grande delusione,
olcre ad alcuni magistrali acuti in molti e diversi settori, frutto anche del
confronto con l'Occidente capitalista e liberale. Tra questi spicca la con­
quista dello spazio, avviata per ragioni ben diverse dai disegni e dai pro­
getti del maestro di Kaluga. Ciolkovskij non poteva interessare a un Lenin
proteso a mettere in piedi uno Stato dal caos, né al suo successore Stalin,
UN GENIO INTROVERSO 33

intenzionato a ricostruire l'antico impero con nuove regole sociali sotto il


vessillo della falce e del martello.
Nata da una rivoluzione incruenta, la nuova Russia dovette fronteg­
giare fin da subito l'ostilità del mondo, incarnata dalla reazione dei vec­
chi alleaci dello zar. Inghilterra e Francia, cui si unirono gli Stati Unici e i
gruppi lealisti delle nazioni limitrofe, ritenevano che bisognasse riportare
i soldati russi a combattere per non avvantaggiare i prussiani. Gli occi­
dentali erano anche intenzionati a dare una sonora lezione alla riottosa
classe operaia, per evitare che il "pernicioso" desiderio di giustizia sociale
strisciasse fuori dai confini del paese e contaminasse il mondo, proprio
come aveva promesso Lenin. Fu guerra civile, di cui pagò le spese anche la
famiglia imperiale, massacrata in blocco per evitare che potesse prendere
la testa dei nostalgici.
La lotta fratricida si prolungò fino al 192.0. Vinsero i bolscevichi e Lenin
governò il paese sinché nel 192.4 si spense a causa d'una emorragia cerebra­
le, dopo una lunga infermità. Posta la parola fine al "comunismo di guerra",
in poco tempo egli aveva forgiato gli strumenti della propaganda, della
persuasione e della repressione che per seccane' anni avrebbero caratteriz­
zato la nuova grande nazione. Armi potenti e ben lubrificate che avrebbe­
ro avuto conseguenze anche sulla conquista dello spazio. Gli successe alla
guida della neonata Unione Sovietica il compagno Stalin, che egli stes­
so aveva promosso a segretario generale del Partito unico, pur amandolo
meno del moderato Lev Trockij.
Negli Stati Unici, più o meno in questo periodo, Robert Goddard
(1882.-1945) ragionava in tutta tranquillità sui razzi a propellente liqui­
do. Una tecnologia anticipata nelle sue linee essenziali dalle riflessioni
di Ciolkovskij e poi presa in considerazione in Germania da Hermann
Oberth (1894-1989), a riprova del fatto che, normalmente, le buone idee
scaturiscono sì da un lampo di genio, ma in un contesto ormai maturo a
farle sbocciare. Insomma, nulla nasce dal nulla, nemmeno le rivoluzioni.
La questione del propellente è di cale rilevanza da meritare una digres­
sione. I razzi erano nati nel XIII secolo in Cina (all'epoca della lotta era la
dinastia Song e gli invasori mongoli) dal!' impiego della polvere da sparo, e
con questo combustibile erano stati usaci anche in epoca moderna, quan­
do s'era affacciato il loro impiego militare. Gli inglesi li avevano scoperei
con questa funzione alla fine del Settecento combattendo contro la Tigre
del Mysore, nel Sud del!' India. Il sultano Faceh Ali Tipu, infacci, uomo
coltissimo, raffinato e fantasioso, aveva costituito un corpo di 5.000 arei-
34 LUNA ROSSA

ficieri specializzati nella gestione di razzi metallici armati di lance frontali


con una gittata di 2. chilometri circa. Esotiche Wrmderwalfen che non ba­
starono per sconfiggere i granitici soldati di Sua Maestà Britannica, ma
attrassero l'attenzione del colonnello inglese William Congrcve che li stu­
diò, perfezionandoli al punto da farne un'arma degna d · un grande esercito
moderno, nonché un'ottima fonte di reddito per sé medesimo.
Rivestiti di ferro e con una gittata porcata a 3 km, i razzi Congreve ven­
nero usati dai britannici contro le truppe napoleoniche in due feroci attac­
chi a Boulogne e a Copenaghen. Il payfoad1 era costituito da una bomba
incendiaria di 3 kg, molto apprezzata dalla marina. La traiettoria dei mis­
sili veniva controllata da una lunga coda, un'asta di legno di 4 m e più che,
dopo la partenza del razzo, arginava gli scarrocciamenti. Un crucco che i
cinesi conoscevano già da sei secoli e che trova una spiegazione in un prin­
cipio fisico relativamente semplice. Nei sistemi a controllo passivo, cioè
privi di una qualche forma di intelligenza che operi le correzioni adatte a
mantenere la rotta, il centro di spinta - nel nostro caso l'ugello del razzo
da cui fuoriescono i gas combusti - deve situarsi anteriormente (nel senso
del moto) rispetto al centro di massa (baricentro). Questa configurazione
offre una discreta stabilità, come sa per esperienza chiunque guidi un'au­
tomobile a trazione posteriore, più sportiva ma più facilmente soggetta ai
testacoda.
L'asta di Congreve serviva a traslare il baricentro del sistema in modo
da situarlo dietro all'ugello del razzo. Funzionava discretamente6, ma ri­
sultava ingombrante. A metà Ottocento, un altro inglese, William Hale,
trovò il modo di rimpiazzare la lunga coda con una rapida rotazione del
razzo attorno all'asse del moto, ottenuta tramite l'azione torcente di cop­
pie di ugelli orientati in direzioni opposte. Nulla di nuovo. Si trattava della
versione attiva di un espediente realizzato da tempo nelle armi da fuoco
mediante una rigatura elicoidale ricavata all'interno della canna. La rota­
zione imposta da questa geometria ai gas dello sparo veniva trasmessa al
proiettile in modo da fargli mantenere l'allineamento e quindi favorirne la
penetrazione nell'aria e nel bersaglio. Una magia che trova una spiegazio­
ne nel cosiddetto "effetto giroscopico". Niente panico! Tutti, da bambini,
abbiamo giocato con questo ente fisico. Solo che lo chiamavamo trottola.
In generale, prende il nome di "giroscopio" un qualunque corpo soli­
do la cui massa sia distribuita simmetricamente rispetto a un asse attorno
al quale ruota liberamente. Le leggi della meccanica pretendono che un
tale oggetco conservi caparbiamente l'orientazione dell'asse (rispetto a un
UN GENIO INTROVERSO 35

sistema di riferimento solidale con le "stelle fisse") sintantoché non inter­


vengono forze esterne a disturbarlo7• Questo ideale isolamento si ottiene,
ad esempio, montando un volano su un giunco cardanico con snodi so­
stanzialmente privi di attrito. Insomma, il giroscopio equivale a un dico
fissamente puntato su un'ipotetica stella, che non perde mai la presa e può
quindi essere utilizzato quale riferimento nello spazio. Una proprietà che
lo rende strumento quasi ideale per monitorare i cambiamenti di direzio­
ne e, qualora siano stati predisposti timoni di qualche genere, per gover­
narli in modo da correggere le rotte anche dei nostri missili.
Più semplicemente, l'effetto giroscopico può essere sfruttato per "met­
tere in riga" un qualunque proiettile costringendolo a mantenere la dire­
zione che gli è stata comandata. Basterà, come s'è detto, farlo piroettare
attorno all'asse di simmetria, come nei razzi Hale. Più maneggevoli e
precisi, questi ultimi entrarono nell'arsenale dell'esercito americano che
li utilizzò contro i messicani nella guerra del 1846 scatenata dalla que­
stione della sovranità sul Texas. In seguito, un terzo inglese, il colonnello
Edward Mounier Boxer (182.2-1898), ideò uno stratagemma per prolun­
garne la gittata, creando il primo missile a due scadi, che trovò qualche
impiego nella marineria anche in tempo di pace.
Tuttavia, sembrava che la tecnologia dei razzi a propulsione solida non
potesse offrire prestazioni in alcun modo comparabili con quelle dell'ar­
tiglieria moderna, facto salvo il ridotto ingombro dell'equipaggiamento
di lancio. Per questo motivo venne progressivamente accantonata dai mi­
litari, che la ripescarono solo col bazooka, il lanciatore di razzi anticarro
inventato del 1942 e ampiamente usato nella Seconda guerra mondiale
dagli americani, e nell'URSS con le batterie di razzi Kacjusa. Scemando
l'interesse bellico, venivano a mancare le motivazioni e le risorse per svi­
luppare tecnologie alternative. Nessuno pensava di cerco che una spinta
fiacca e non controllabile potesse bastare per andare nello spazio, almeno
in tempi brevi. La polvere pirica spendeva gran parte dell'energia ricavata
dalla combustione nella produzione di particolato grosso (fumo), inutile
ai fini del movimento, e una volta accesa non poteva essere regolata. Bru­
ciava progressivamente in proprio, sino al completo consumo.
Ecco perché le menti più creative avevano cominciato a riflettere sul
possibile impiego di combustibili liquidi. Ad esempio, idrogeno e ossigeno
che, combinandosi in molecole d'acqua, restituivano una quantità d'ener­
gia pulica relativamente grande, la cui erogazione poteva essere modulata da
un semplice rubinetto. Ma perché liquidi? Per ridurne il volume in modo
LUNA ROSSA

da poterli immagazzinare in serbatoi di dimensioni contenute. Ad esempio,


l'ossigeno liquefatto occupa uno spazio 860 volte minore di quello che gli
serve per espandersi in forma di gas a :z.o °Cdi temperatura'.
Detto così, il problema di realizzare un motore a propellente liquido
sembrerebbe relativamente semplice. Due serbatoi, uno per il materiale da
bruciare e un altro per l'ossidante, un sistema di pompaggio dei liquidi in
una camera di scoppio, uno o più ugelli per espellere il gas combusto sotto
pressione da cui ricavare la spinta•, e il gioco è fatto! Nella pratica, però,
le difficoltà sono innumerevoli, a cominciare dal raffreddamento della
camera di scoppio, dove la temperatura raggiunge 3.000 °C. Bisogna poi
disegnare gli ugelli in maniera da massimizzarne l'efficienza, visco che la
potenza a disposizione è comunque limitata rispetto alle necessità. Infine,
Ottenuta la spinta, occorre guidare in qualche modo il capriccioso puro­
sangue lungo la traiettoria voluta. Nulla di tutto ciò era mai staro provato
sino a un gelido pomeriggio di metà marzo del 192.6.
La scena è un campo innevato a Pakachoag Hill. in prossimità del vil­
laggio di Auburn, nel Massachusetts. li terreno faceva parte della fattoria
d'una zia di Roberc Goddard. Qui era stato fissato al suolo un trespolo di
ferro che ricordava un tenditoio o le intelaiature che reggono le altalene per
bambini. Sosteneva un oggetto simile a una scultura postmoderna, costitui­
to da tre serbatoi unici tra loro e connessi a un missile di forma tradizionale:
un cilindro appuntito con vistoso ugello collocato sul retro.
Nel complesso, il progetto ricalcava la geometria del razzo di Congreve,
con l'asta di guida sostituita dalle tre taniche contenenti rispettivamente
benzina, ossigeno liquido e un gas inerte sotto pressione. I Auidi comu­
nicavano con la camera di combustione attraverso lunghi cubi di colle­
gamento in alluminio. Mancando di pompe adatte allo scopo. Goddard
aveva ideato un sistema di alimentazione assistito dalla pressione, procu­
rata direttamente dall'evaporazione nel caso dell'ossigeno e per la benzina
dal gas inerte immesso nel serbatoio. L'ossigeno criogenico serviva anche
a raffreddare l'involucro della camera di combustione, sottoposta a tem­
perature estreme. Infine, uno scudo a imbuto proteggeva i serbatoi dagli
infuocati gas di scarico del razzo che troneggiava in cima a tutto.
Imbacuccato in un lungo cappotto, con guanti, basco e stivaletti mi­
litari per proteggersi dal freddo pungente, Goddard capeggiava una stri­
minzita squadra di lancio fatta da due collaboratori della locale università
in cui insegnava fisica. Assisteva anche la moglie, un'impiegata dell'ufficio
rettorale che Roberr aveva sposato due anni prima. Armata di macchina
UN GENIO INTROVERSO 37

.. I I
I/t

Roben Goddard e il suo razzo a ossigeno liquido e benzina, il primo a propellente liquido.
appoggiaro su un traliccio nella campagna circosranrc Auburn, nel Massachusetts, da cui
venne lanciato il 16 nuno 192.6. li razzo vero e proprio. con b carnera di combustione e
l'ugello conico. si trova in alto. In basso si distinguono invece i serbatoi di combustibile,
propellente e ga.s amorfo sotto pressione, utilizzato per spingere b. benzina lungo la tu­
barnra di collegamento con b. camera di combustione. L'elemento conico (che procura
l'crrac;1 impressione di essere il terminale di un secondo missile) è sobmenrc un cappuccio
protettivo per riparare i serbaroi dal getto caldo fuoriuscente dall'ugello (www.nasa.gov).
LUNA ROSSA

fotografica, era pronta a immortalare l'evento. Sul più bello, però, le finì
la pellicola.
Alle ore 14,30 venne acceso il motore, ma nei successivi 2.0 secondi il
razzo rifiutò di muoversi. La spinta non bastava a contrastarne il peso. Poi,
essendosi alleggerito di una buona parte del carburante, il bizzarro proge­
nitore delle moderne astronavi riuscì a decollare. Il suo volo durò appena
due secondi per la rottura di un ugello che lo fece sbandare. Raggiunse la
quota di 12.,5 metri coprendo una distanza di 56 metri alla velocità di 100
chilometri l'ora, dopodiché si schiantò ingloriosamente sul suolo ghiac­
ciato di un campo di cavoli'0•
Sembrerebbe il racconto di un comico disastro. Fu invece un clamo­
roso successo. Goddard aveva dimostrato che la propulsione a razzo era
possibile anche usando un combustibile liquido. Questa notizia apriva le
porte del paradiso a coloro che avevano sognato di conquistare lo spazio
cernendo però di doversi rassegnare ali' inefficienza dei propellenti solidi.
Offrì anche il destro, come vedremo, ai fabbricanti d'armi per ricredersi
sulle virtù militari dei missili. Ma chi era l'artefice di questa rivoluzione?
Nato a Worcester, nel Massachusetts, Robert Goddard apparteneva a
una vecchia famiglia del New England. Il padre si arrangiava facendo di­
versi lavori e nel tempo libero si dilettava con semplici esperimenti di fisica
e di chimica. Fu lui ad accendere le prime curiosità scientifiche nell'unico
figlio che gli era rimasto: la produzione di elettricità statica con tutte le
bizzarre conseguenze, l'osservazione del cielo con un telescopio amatoria­
le e lo studio degli insetti con un microscopio. Gli regalò anche un abbo­
namento alla rivista "Scientific American".
A Worcescer, il contesto era quello classico dell'America contadina.
Grandi spazi appena interrotti da colline ondulate, aria tersa, odore d'er­
ba, contatto con gli animali e con la natura. Un luogo ideale per crescere.
E invece, poco dopo la nascita, il piccolo Roberc si ritrovò a Boston dove
la famiglia s'era trasferita. Un inferno a poche decine di chilometri dal
paradiso. Lui non amava la grande città. Soffriva di stomaco e di seri di­
sturbi ali'apparato respiratorio, acuiti dallo smog e dalla folla. La sua sa luce
cagionevole gli impediva persino di frequentare la scuola con regolarità, e
avrebbe successivamente condizionato il suo carattere e la sua vita lavora­
tiva. Perse un paio d'anni, ma non l'occasione di apprendere: leggeva di
scienze saccheggiando la biblioteca civica e fantasticava continuamente.
Ma quando il padre lo riportava dai parenti a Worcester per una vacanza, si
godeva la campagna facendo volare gli aquiloni, passeggiando nelle radure
UN GENIO INTROVERSO 39

e nei boschi, scalando piccole alture ed esercitandosi nell'uso del fucile.


Un ragazzo uguale a tanti di un grande e giovane paese con solide radici
nella terra. Nel frattempo, poiché la madre s'era ammalata di tubercolosi,
i Goddard dovettero rientrare a Worcester in cerca di un'aria più salubre.
Roberc aveva 17 anni quando, a sua memoria, concepì per la prima vol­
ta il desiderio di volare nello spazio. Si era arrampicato su un albero di
ciliegio d'un vicino e, mentre ammirava il panorama dei campi perdersi
all'orizzonte, immaginò «quanto sarebbe stato meraviglioso creare un di­
spositivo che avesse la possibilità di salire su Marce». «Quando scesi da
quell'albero mi sentivo un ragazzo diverso rispetto a quando c'ero salico»,
avrebbe detto poi, «poiché mi sembrava che finalmente la mia esistenza
avesse un vero scopo». Memorie a posteriori, forse aggiustate per render­
le adatte alla biografia d'un genio? Probabilmente no, perché per il resto
della vita Goddard considerò quel particolare giorno come una ricorrenza
da celebrare degnamente. Fu nel medesimo periodo che si imbatté nella
Guerra dei mondi, il romanzo di fantascienza di Wells, un'autentica miccia
per la fantasia d'un giovane visionario coi piedi per terra. « li sogno di ieri
è spesso la speranza di oggi e la realtà di domani», avrebbe detto nel 1904
in un discorso per la cerimonia di fine liceo. li suo sogno era di navigare
nello spazio e da semplice studente lo raccontò in un articolo per una rivi­
sta di divulgazione, che però lo rifiutò. li mondo non era pronto.
Crescendo, Roberc prese anche a fare esperimenti più complessi degli
elementari aquiloni con cui s'era divertito da bambino. Ad esempio, pro­
gettò e costruì nel garage di casa un aerostato di alluminio che poi riempì
di idrogeno, ma che non riuscì a far volare perché la sfera pesava troppo e
restava inchiodata a terra. Fu un'amara delusione, annotata con diligenza
in un diario che il giovane teneva segnandovi concisamente, oltre alle sue
emozioni e alle esperienze della vita, anche tutte le note relative ai suoi
esperimenti. Non smise mai di farlo.
Finalmente la sua salute migliorò un poco, consentendogli di comple­
tare con lode la scuola superiore e di iscriversi all'Istituto politecnico di
Worcester, dove, nel 1908, ottenne un baccalaureato in fisica. Aveva scelto
questa materia perché s'era convinco, riflettendo e facendo alcuni elemen­
tari test, che «se esisteva un modo per scoprire o inventare come navigare
nello spazio, sarebbe venmo dalla conoscenza della fisica e della matema­
tica». Con questo pensiero che gli ronzava in testa, per sbarcare il lunario
trascorse un anno a istruire in fisica le matricole. Poi si iscrisse all'univer­
sità a Worcester, un ateneo giovane, fondaco solo vent'anni prima grazie a
40 LUNA ROSSA

un lascito d'un ricco uomo d'affari, Jonas Gilman Clark". Nonostante la


giovane età, la Clark Universicy poteva vantare un pedigree didattico di
tutto rispetto. Vi aveva insegnato Alberc Michelson, primo americano a
vincere il premio Nobel per la fisica, nel 1907, e il mitico Sigmund Freud
vi aveva impartito una serie di celebri lezioni cui non è improbabile che
Roberc stesso abbia assistito.
Nel 1912., ottenuti rapidamente sia il master sia il dottorato, grazie a
una borsa di studio si trasferì a Princeton presso il Laboratorio di fisica
Palmer. Ma dopo appena un anno dovette rientrare a casa per gravi motivi
di salute, essendosi anche lui ammalato di tubercolosi, come la madre. Fu
un calvario, che lo portò a un soffio dalla morte. Tuttavia, il giovane non
era pronto ad andarsene: aveva un sogno in sospeso e fece ogni sforzo per
guarire. Ci riuscì, sviluppando nel contempo una sorca di patologica diffi­
denza nei confronti degli altri. Per proteggere le sue idee e le sue invenzio­
ni impiegò l'arma del brevetto in modo quasi compulsivo. Alla fine della
vita ne avrebbe accumulaci oltre 2.00.
Rimessosi in piedi, nell'autunno del 1914 rientrò alla Clark Univcrsity
in qualità di ricercatore pare-cime. In Europa era scoppiata la guerra, di­
chiarata obtorto collo dallo zar e fortemente auspicata dal Kaiser. I prussia­
ni avevano sferrato il primo fulmineo attacco a sorpresa alla Francia, ag­
girandone le difese attraverso l' invasione del Belgio neutrale e compiendo
atrocità, vere o presunte, che suscitarono lo sdegno del mondo. Per reazio­
ne e per difendere le ragioni del proprio impegno patriottico, il 4 ottobre
1914 i maggiori scienziati tedeschi sottoscrissero e diffusero un manifesto
promettendo che avrebbero combattuto «questa battaglia sino alla fine
come un popolo civile, cui l'eredità di un Goethe, di un Beethoven, di un
Kant è altrettanto sacra quanto il suo focolare e la sua zolla»". Tuttavia,
non furono di parola, a giudicare dall'uso che fecero di armi micidiali e
subdole come i gas nervini, peraltro subito imitaci dai loro avversari. Met­
tendosi a servizio della morte, la scienza aveva incominciato a «conoscere
il peccato», per mutuare le parole pronunciate da Roberc Oppenheimer a
valle dei bombardamenti nucleari del Giappone, stabilendo una macabra
consuetudine rinverdita vent'anni dopo dalla scoperta delle potenzialità
offensive degli atomi e dei missili moderni.
Esaurito lo slancio iniziale, la sanguinosa mischia s'era trasformata
in guerra di posizione. Un mortale stillicidio di dolore e di sangue per il
tragico addio dell'Europa alla guida del mondo. L'America s'era momen­
taneamente chiamata fuori dal dramma, arroccata dietro i principi della
UN GENIO INTROVERSO 41

dottrina di Monroe che si riassumono in un cinico, quanto spesso inutile


"facciamoci solo i fatti nostri!".
Nella quiete di Worcester, intanto, Goddard stava pianificando il lavoro
di una vita. Aveva ottenuto dalla sua università l'autorizzazione a occupar­
si della propulsione a razzo, una disciplina sostanzialmente nuova per la
quale esistevano alcune brillanti proposte, eleganti calcoli, ma pochissime
informazioni quantitative, a cominciare da una misura attendibile dell'ef­
ficienza dei motori. Lo scienziato costruì dunque dei pendoli e poi dei
sistemi a molla allo scopo di stimare, attraverso la loro reazione, la frazione
di energia di movimento per unità di energia chimica estratta dal propel­
lente solido. Le prove di laboratorio effettuate con l'ausilio di modellini
di motore a razzo in scala ridotta mostrarono che allo stato delle cose il
rendimento del combustibile solido era quasi ridicolo. Il 98% dell'energia
chimica, e quindi del peso passivo del carburante, andava perduto. Come
mostrato chiaramente dall'equazione del razzo di Ciolkovskij, bisognava
sfruttare meglio la spinta del gas, aumentandone la velocità di espulsione
(relativa al missile). Ciò implicava di agire anche sulla geometria dell'ugel­
lo. Ma in che modo?
Consultando la letteratura, Goddard si imbatté nel progetto che un
ingegnere svedese di origine francese aveva elaborato per migliorare l'ef­
ficienza delle turbine a vapore. Invece del tradizionale ugello convergen­
te, a fine Ottocento Gustav de Lavai (1849-1913) ne aveva brevettato uno
con la forma di un imbuto rovesciato. Il trucco fisico era di utilizzare una
strozzatura ricavata ali' attaccatura della tazza al beccuccio per accelerare
il Ausso del gas caldo sino alla velocità del suono (rispetto al razzo) e poi
farlo espandere nella parte terminale divergente ricavandone una velocità
supersonica. Era proprio quello che ci voleva. Con l'ugello De Lavai, l'ef­
ficienza statica aumentava sino a trenta volte e le velocità raggiungevano
i 2..000 m/s. Molto meglio delle macchine a vapore e anche del motore a
combustione interna brevettato da RudolfDiesel nel 1892.. Una spinta così
poderosa autorizzava la speranza di portare un veicolo nello spazio vuoto
che separa la Terra dalla Luna.
Goddard credeva fermamente che si potesse fare, ma la sua fede
nuotava controcorrente. Era opinione comune che, per funzionare da
propulsore, al getto fluido occorresse un ostacolo. Insomma, no air, no
motion! Per questo motivo scelse pragmaticamente di promuovere il
proprio lavoro puntando sui vantaggi che il raggiungimento del tetto
dell'atmosfera (dove l'aria, anche se poca, c'è ancora) avrebbe procura-
42. LUNA ROSSA

to alla meteorologia e alle scienze della Terra in generale. Gli ser vivano
soldi e appoggi. Da uomo pratico qual era, aggiunse un pizzico di con­
cretezza ai suoi sogni.
Intanto, nonostante la ferma resistenza del presidente Woodrow Wil­
son, gli Stati Uniti stavano scivolando verso un impegno armato contro gli
Imperi centrali. Più che di una scelta di campo ideale, si trattava di salva­
guardare gli interessi commerciali delle aziende americane e i mastodon­
tici prestiti concessi dalle banche USA agli Stati dell'lntesa, e di difendere
i traffici marittimi con l'Europa dall'offensiva scatenata dagli U-Booc per
stringere sotto assedio Francia e Inghilterra. Soprattutto, occorreva neu­
tralizzare la trappola in cui s'era cacciato il Vecchio Continente con un
conflitto globale che avrebbe condotto all'egemonia degli autocrati russi
se avesse vinto l'Intesa, oppure al dominio di una Prussia arrogante e guer­
rafondaia. Un grosso guaio in entrambi i casi. Dopo l'affondamento del
piroscafo Lusitania, la caduta dello zar diede il colpo di grazia ai pacifisti.
Il 2. aprile 1917 il Congresso degli Stati Uniti dichiarò guerra ad Austria
e Germania. Doveva trascorrere un anno, però, prima che il fronte occi­
dentale potesse sperimentare il peso e la potenza statunitensi. L'America,
infatti, non era pronta e dovette armarsi. I prussiani, alleggerì tisi del fronte
russo, provarono a sfruttare la dilazione per assestare il colpo finale alla
Francia. Andarono vicini alla vittoria, ma alla fine cedettero di schianto e
furono costretti a chiedere l'armistizio.
Nella bella Versailles, nel giugno 1919, Francia e Inghilterra, incattivite
dalla passata pauca e avide come sempre, banchettarono sulle carcasse dei
vinti imponendo esose riparazioni di guerra, spartendosi territori, crean­
do nazioni nuove e ripristinandone di vecchie, scontentando gli alleaci e
spaventando gli americani, che si richiusero a riccio. Wilson non riuscì
neppure a far approvare dal Congresso l'adesione a quella Società delle
Nazioni che lui stesso aveva ideato, per la fiera opposizione dei repubblica­
ni. Un rifiuto che rappresentò una sentenza di morte per l'idea utopistica
di prevenire le guerre con i ragionamenti e la buona volontà.
Goddard aveva sperato di vendere le sue competenze all'esercito ame­
ricano, proponendo ai militari il miraggio di un'arma nuova e potente.
li suo progetto venne giudicato tanto importante da richiedere speciali
misure di sicurezza. Così, nel 1918, il cagionevole Robert venne spedito
nel romitaggio dell'osservatorio di Mounc Wilson, in California. Ma, a
causa della relativa brevità dell'impegno bellico statunitense e d'una rica­
duta della tubercolosi che lo aveva colpito cinque anni prima, non riuscì a
UN GENIO INTROVERSO 43

concludere alcunché di concreto, a parte l'embrione di un tubo lanciamis­


sili portatile che anticipava il concetto del bazooka. Lo studio venne poi
completato da un collaboratore, giusto in tempo per permettere l'impiego
dell'arma nella Seconda guerra mondiale, sul fronte europeo e nel Pacifico.
I finanziamenti per consentire a Goddard di proseguire la sua ricerca ar­
rivarono invece dallo Smithsonian, un istituto di istruzione e ricerca scien­
tifica sovvenzionato dal governo federale, cui lo scienziato si era rivolto
con un progetto per l'osservazione pionieristica dell'alta atmosfera. Nella
sua proposta era stato esplicito. Tramite un razzo multistadio ante litteram,
caricato con pezzi di propellente solido da accendere in successione, inten­
deva addirittura toccare la quota di 370 chilometri trasportando anche un
po' di strumentazione scientifica per effettuare delle misure in situ.
Lo Smithsonian concesse un totale di 5.000 dollari da distribuir­
si su 5 anni, una somma il cui potere d'acquisto è pari a wo.ooo dollari
di oggi. Anche la Clark University diede un cospicuo contributo: 3.500
dollari, oltre ad alcuni locali alla periferia del campus dove compiere gli
esperimenti. Era il 1917. Tre anni dopo, l'investimento produsse un fon­
damentale trattato sul Jvletodo per raggiungere altitudini estreme, un'o­
pera di astronautica all'altezza dello studio pubblicato 14 anni prima da
Ciolkovskij, ma questa volta scritta in una lingua accessibile a molti. Per
volontà dell'autore e contro il desiderio dei finanziatori, non conteneva
neppure gli ultimi risultati relativi ai combustibili solidi, che per la verità
erano alquanto deludenti.
La risonanza fu notevole, sia in ambito accademico sia tra la gente, an­
che perché Goddard, di solito prudente e misurato nelle sue esternazioni,
s'era lasciato andare a calcolare «la massa minima [di propellente solido]
richiesta per sollevare una libbra [ di carico] a un'altezza infinita». li conto
era finalizzato a stabilire le condizioni perché un razzo potesse uscire dal
campo gravitazionale terrestre per poi lasciarsi cadere sulla Luna. Quello
che doveva restare un innocuo esercizio accademico, diventò una vera e
propria mina vagante poiché l'autore vi aveva aggiunto un intrigante sup­
plemento di discussione. Desideroso di offrire al lettore un modo per ren­
dere evidente l'effettivo impatto del proiettile sulla superficie del satellite,
ove mai l'esperimento fosse staro fatto, immaginò di usare l'esplosione di
una cartuccia posta sul naso del razzo e a questo fine stimò quanta polve­
re da sparo sarebbe occorsa per vederne la fiammata sul fondo buio della
Luna nuova tramite un grande telescopio terrestre.
L'"uomo della Luna", come fu subito ribattezzato, venne deriso sulla
44 LUNA ROSSA

stampa. L'attacco più velenoso gli arrivò dal "New York Times", che il 13
gennaio 192.0, in un editoriale intitolato Un serio richiamo affa credulità, lo
accusò di non conoscere «la relazione di azione e reazione, e la necessità di
avere qualcosa di meglio del vuoto contro cui reagire», nonostante fosse
professore di fisica all'università e nelle grazie del prestigioso Smichsonian.
«Naturalmente», concludeva l'anonimo cronista, «sembra mancargli
solo la conoscenza che viene propinata quotidianamente nelle scuole su­
periori». Venne tirato in ballo anche Einstein, ormai molco popolare in
America, sostenendo che solo lui e un altro manipolo di cervelloni avreb­
bero potuto permettersi di stravolgere le conoscenze fisiche consolidate.
Quello che poteva sembrare un complimento, era invece un ironico fen­
dente tirato al grande scienziato ebreo che con la sua teoria della relatività
aveva osato mettere in discussione la sacralità di Newcon.
Goddard la prese molco male. Cercò di reagire scrivendo qualche arti­
colo divulgativo per riguadagnare il prestigio infangaco dalle critiche. Poi
si rassegnò, chiudendosi ancora di più in sé stesso. Le conseguenze furono
importanti e in qualche misura drammatiche. Grazie al rumore accorno al
suo nome, i tedeschi che, come vedremo, scavano iniziando a pensare ai
razzi quale via d'uscita dal blocco agli armamenti imposto loro a Versailles,
scoprirono una ricca fonte di ispirazione.
Forse, senza i molti aiuti concessi loro da Goddard sin canto che non
s'accorse dei pericoli insiti nel nazismo, le v2. non avrebbero mai volato sui
cieli di Londra per seminare la morte. Né ci sarebbe stata, da parte sia ame­
ricana che sovietica, la possibilità di ricavare conoscenza dagli scienziati
del Fiihrer. E chissà, forse non sarebbe mai pareica la gara per la conquista
della Luna, per mancanza di concorrenti, e quindi non sarebbero arrivate
le scuse a Goddard, il 16 luglio 1969.
Amareggiato e furioso, per i successivi quattro anni Goddard si buccò
tra le braccia dei militari. Si rifugiò in una fabbrica di munizioni nel Mary­
land per dedicarsi alla progettazione di missili anticarro e antisommergi­
bile. Poi, rientrato alla Clark Universicy, comò alla sua vecchia passione.
Già dal 192.2. s'era orientato a sostituire il propellente solido con quelli li­
quidi. Nel marzo 192.6, come ormai sappiamo, effettuò il primo volo con
relativo successo. Il controllo passivo del missile alla maniera di Congreve
non prometteva nulla di buono. Così, già un mese dopo lo storico lancio,
cominciò a sperimentare dei controlli attivi basati su palette mobili per
deviare il flusso in uscita dall'ugello. Una sorca di timoni governati da un
inflessibile nocchiere, un giroscopio.
UN GENIO INTROVERSO 45

E venne il 1929. L'unico lancio di quell'anno sortì un magro risultato: il


razzo si sollevò per soli 27 metri prima di ricadere al suolo. Impossibile ef­
fettuarne altri per mancanza di risorse. La notizia finì comunque sul "New
York Times", a testimonianza di un giornalismo attento e di una società
sanamente interessata ai progressi scientifici e tecnologici. Per buona sor­
te, l'articolo venne letto da Charles Lindbergh (1902-1974). Il coraggioso
aviatore, che due anni prima aveva traversato l'Atlantico raggiungendo Pa­
rigi in un sol balzo, era alla ricerca di nuove idee riguardanti il volo. Forse
il professore di Worcescer poteva fare al caso suo? Effettuata qualche posi­
tiva verifica sul personaggio, Lindbergh si convinse a chiamare Goddard.
I due si incontrarono e si piacquero. Non sappiamo che cosa si dissero,
ma immaginiamo una conversazione poco formale, tipica dei rapporti in­
terpersonali negli USA: «Che posso fare per te, Bob?». «Mi servono dei
finanziamenti consistenti per andare avanti». «Ho amici potenti. Vedrò
quel che riesco a ottenere. Ti farò sapere».
In effetti, la fama di Lindbergh sarebbe stata un ottimo grimaldello
per aprire le porte del cuore di politici e finanzieri, se non fosse stato per
la concomitante Grande Depressione cominciata con il Giovedì nero di
Wall Street, il 4 ottobre 1929. Non c'erano più soldi, e i pochi che li aveva­
no, li tenevano ben stretti. L'economia stagnava, mentre i poveri, sempre
più poveri, morivano letteralmente di scemi. Finalmente, l'anno successi­
vo l'aviatore-eroe trovò una sponda in Daniel Guggenheim (1856-1930),
uno dei figli del patriarca Meyer che, venuto poverissimo dalla Svizzera
tedesca, aveva fatto fortuna nel Nuovo Mondo col mercato dell'escrazione
dei metalli. La generosa offerta del lungimirante finanziere, coperta dal
Fondo per la promozione del!'aeronautica che egli stesso aveva costituito,
fu di 100.000 dollari in quattro anni, una somma pari a 1,5 milioni di oggi.
Era l'inizio di un lungo rapporto tra Goddard e i mecenati Guggenheim.
Con questo consistente gruzzolo in tasca, lo scienziato pensò di trasfe­
rirsi in un luogo pii, idoneo ai suoi esperimenti, sufficientemente deserto
e con un buon clima per effettuare i lanci in tutta sicurezza e al medesimo
tempo restare lontano da occhi curiosi. Abbandonare il freddo Massachu­
setts avrebbe anche potuto anche giovargli alla salute, perennemente in bi­
lico. Scelse un ranch vicino alla città di Roswell, già territorio degli Apache
Mescalero, nello Stato del New Mexico.
Trascorsero due anni sereni. Goddard lavorava intensamente, teneva
sporadici contatti con i colleghi tedeschi Oberth e von Braun, aprendosi
con loro il meno possibile, ma nemmeno trascurava la cura della famiglia e
LUNA ROSSA

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Roberc Goddard trasferisce uno dei suoi razzi alla rudimtnralc rampa di lancio nd deserto
del New Mexico (1930 ca.). li razzo poggiato sul rimorchio agricolo ha una forma relati­
vamente moderna, ma l'insieme appare lontanissimo dai livelli di qualità cht: raggiunge­
ranno in poco più d'un decennio gli scienziati del Teno Rcich guidati da \Xlcrnhcr von
Braun (www.nasa.gov).

degli amici, i barbecue, le passeggiate, il bridge e il cinema. Cerca mente era


un visionario, ma non un invasato stacanovista. Ci furono tre buoni lanci
nel 1931, e uno solo, parzialmente fallito, l'anno seguente. Poi la situazione
precipitò.
Colpito al cuore dal rapimento e dall'uccisione del figlioletto, Lind­
bergh uscì di scena. In cerca di pace, lui e la moglie si trasferirono in Eu­
ropa e vi rimasero per un lustro, tra l'altro avvicinandosi fin troppo, se­
condo l'opinione pubblica americana, alla nuova scintillante Germania di
Adolf Hicler. Negli USA, il rubinetto dei Guggenheim si inaridì a causa
della morte di Daniel e della Depressione, costringendo di fatto Goddard,
rimasto al verde e senza un mecenate, a rientrare a Worcester, dove soprav­
visse col magro stipendio di professore che la Clark University gli passa­
va, e con un piccolo finanziamento dello Smithsonian. Ma la sirnazione
critica durò solo due anni e nel 1933, grazie alla rinnovata generosità dei
UN GENIO INTROVERSO 47

Guggenheim, poté tornare a Roswell, dove riprese la serie dei lanci che nel
frattempo s'era interrotta. La vena creativa di questo genio solitario non
s'era ancora esaurita. Goddard lavorava per affinare i dettagli e aumentare
la potenza dei suoi motori. In particolare, cercava modi per semplificare e
rendere affidabile l'alimentazione della camera di scoppio. Ciò che non si
trovava già in commercio, doveva essere progettato, costruito e provato.
Nel 1936 si decise a pubblicare un sunto del suo lavoro sullo Sviluppo dei
razzi a propellente liquido, un'altra pietra miliare della cosmonautica.
Ormai le sue creature, alce 4 metri e oltre, avevano la forma dei missili
moderni, con un corpo affusolato e quattro impennaggi in coda. Belli e
funzionali, anticipavano con i loro diversi equipaggiamenti gran parte del­
le soluzioni successivamente adottate, mutatis mutandis, nei grandi razzi
destinaci a realizzare il sogno di volare alto nel cielo sino alla Luna. Ma,
in nessuno dei 35 lanci che costituiscono il palmares di questo pioniere, il
missile alimentato a benzina e ossigeno riuscì sollevarsi da terra più di una
modesta manciata di chilometri.
Razzo lunare manca il bersaglio di 23S,799 n miglia, aveva cicolaco un
giornale di Worcescer riportando il fallico lancio del 1929. Un commento
acido e soprattutto ingiusto. Pur non avendo nemmeno sfiorato lo spazio
cosmico, Goddard aveva creato molte delle condizioni necessarie a far sì
che qualcun altro dopo di lui potesse farlo.
Morì sessantaduenne a Baltimora il IO agosto 1945 per un cancro alla
gola. Prima che le Parche cagliassero il suo filo, fece in tempo a vedere i do­
cumentari delle devastazioni causate dalle v2 di von Braun sulle città euro­
pee. Si era materializzato l'incubo che qualcuno potesse fare cattivo uso del
suo lavoro. Cinque anni prima, quando ancora l'America stava a guardare
alla finestra l'ennesimo suicidio dell'Europa, senza prendervi parte attiva
se non per arricchirsi, Goddard aveva cercato, insieme a Harry Guggen­
heim, di sensibilizzare le alce sfere dell'esercito e della marina degli Stati
Uniti sul pericolo che i nazisti potessero costruire bombe volanti superso­
niche, magari in grado di traversare l'Aclantico. Non gli credettero. Anzi,
forse sogghignarono pensando che Goddard stesse confondendo le virtù
delle sue pulci con quelle d'un saltatore con l'asta. Gli diedero comunque
un posto di direttore di ricerca nell'Ufficio dell'aeronautica, con l'incarico
di progettare propulsori per il cosiddetto JATO, iljet assisted take-eff. An­
cora una volta si pretendeva che egli rimanesse là dove l'aria aiuta a volare.
A guerra finita, nel 1948 venne pubblicato postumo il suo libro Lo svi­
luppo della missilistica. La ricerca sui razzi a propellente liquido, I929-I94I.
LUNA ROSSA

Pochi ci fecero caso. Ma, quando esplose la corsa allo spazio, la figura di
Goddard venne riesumata dal relativo oblio insieme ai suoi scritti. Ciascu­
no dei due paesi concorrenti voleva un proprio campione. Come l'URSS
aveva Ciolkovskij, così gli USA insignirono il loro scienziato di prestigiose
onorificenze alla memoria, anche dando il suo nome al nuovo Centro per
il volo spaziale della NASA a Greenbelt, nel Maryland. Dopo aver elemo­
sinato aiuti per tutta una vita, nel 1960 Goddard si vide riconosciuto dal
governo federale un risarcimento di un milione di dollari per l'uso fatto
dei suoi oltre 2.00 brevetti nei missili militari e nei razzi del programma
spaziale statunitense. A godere dell'ingente somma furono però la sua ve­
dova e la Fondazione Guggenheim. Così va il mondo!
La saga dei Nibelunghi

Ognuno di noi è una Luna:


ha un lato oscuro che non mostra mai a nessuno.

MarkTwain

La ricerca di base è ciò che sto facendo


quando non so cosa sto facendo.

Wernher von Braun

La sera di martedì 15 ottobre 192.9, appena nove giorni prima del rovinoso
crollo della Borsa a Wall Srreet, l'Ufa-Palast am Zoo, il grande cinema di
proprietà dell'Universum Film AG a due passi dallo Zoo di Berlino, nella
parte occidentale del quartiere di Charlottenburg, era illuminato a giorno,
come sempre in occasione d'una première. Quasi duemila persone, più di
quante ne potesse contenere la grande sala, attendevano al freddo di poter
entrare per assistere alla proiezione di Una donna sulla Luna, l'ultimo film
muto di Fritz Lang. Cappotto nero, lunga sciarpa bianca e farfallino, il
regista, ormai divo del cinema tedesco grazie a capolavori quali il Dottor
Mabuse e Nfetropolis, era presente in compagnia della moglie, la bellissima
e sofisticata Thea von Harbou, sua musa ispiratrice e autrice del romanzo
da cui era stato tratto il lungometraggio che, nella versione originale, du­
rava oltre due ore e mezzo.
La trama consisteva nel solito intreccio tra amore, lealtà, avidità e co­
dardia, sullo sfondo d'un viaggio sulla Luna progettato per mettere le
mani sulle ricche miniere d'oro che uno scienziato visionario aveva ipo­
tizzato potessero nascondersi nelle viscere del satellite della Terra. Ben­
ché raccontasse un'avventura sdolcinata, abbastanza lontana delle vette di
creatività già toccate da Lang, ancor prima dell'uscita il film aveva susci­
tato una certa curiosità per la novità che conteneva. Per raccontare visi­
vamente la traversata verso l'inusuale Klondike siderale a bordo del razzo
Friede, omonimo dell'eroina del film, superando le ingenuità e gli errori
che avevano caratterizzato la letteratura fantascientifica classica dei Verne
e dei Wells, l'onnipotente Lang, che era tra l'altro un appassionato culto­
re di fantascienza, aveva preteso un approccio rigorosamente scientifico.
so LUNA ROSSA

A questo fine s'era procurato la consulenza tecnica di un ingegnere di lin­


gua tedesca e passaporto rumeno che, con due monografie sui razzi e sul
loro futuro utilizzo, aveva conquistato notorietà e rispetto.
Più che la trama della pellicola di Lang, è la storia di Hermann Julius
Oberth a interessarci. Infatti, se Wernher von Braun deve essere ricono­
sciuto quale padre dell'impresa che portò Nei! Armstrong e Buzz Aldrin
sulla Luna, Oberth, un uomo «alto, magro, diritto, con la folta capigliatu­
ra scura, il memo largo, i baffi neri e quegli occhi vivaci, che sono preroga­
tiva di uno spirito sveglio», ne fu di sicuro il nonno.
Quando venne al mondo, il 2.5 giugno 1894, la sua città natale, Her­
mannstadt, si trovava entro i confini del!'Impero austro-ungarico, in quel
vasto altopiano abbracciato dai Carpazi che i Romani chiamavano Dacia
e che nel Medioevo prese il nome di Transilvania, ossia "paese oltre i bo­
scht. Una terra di laghi, di verde e di castelli arroccati su impervi pizzi
montani - tra cui quello del conte Dracula -, che a partire dal XII secolo
era stata sistematicamente colonizzata da popolazioni di lingua cedesca,
i Sassoni di Transilvania. Nel 192.0, però, in conseguenza del trattato di
pace del Trianon che ridisegnava i confini dell'Ungheria dopo il crollo
dell'Impero asburgico, oltre metà della regione venne attribuita al regno
di Romania. Così la città di Hermannstadt prese un nuovo nome, Sibiu,
e il ventiseienne Hermann diventò cittadino rumeno. Ma in realtà era e
rimase soprattutto tedesco, per famiglia, formazione e, dopo la Seconda
guerra mondiale, scelta.
Per non deludere il padre, facoltoso chirurgo, o, più probabilmente,
non avendo la forza di ribellarsi a lui, nel 1912. Hermann si iscrisse alla fa­
coltà di Medicina dell'Università di Monaco di Baviera. La sua vera pas­
sione era però un'altra da quando, undicenne, durante una lunga convale­
scenza in Italia aveva letto i due romanzi di Verne donatigli dal padre, che
parlavano dei viaggi sulla Luna. Tre anni dopo, ancora liceale, aveva addi­
rittura progettato un modello di razzo per viaggi interplanetari, arrivan­
do a immaginare una soluzione multistadio, realizzata cioè da più unità
funzionanti in serie con propellente liquido per raggiungere progressiva­
mente le accelerazioni necessarie. Facendo qualche semplice calcolo, aveva
compreso che l'astronave-proiettile vagheggiata dallo scrittore francese
non poteva funzionare perché il mostruoso impulso impressole dal can­
none all'atto dello sparo sarebbe risultato fatale per l'equipaggio umano,
schiacciato come una noce da un'insostenibile pressione. Arzigogoli di un
ragazzo fantasioso. Per il momento nulla di più d'una passione adolescen-
LA SAGA DEI NIBELUNGHI 51

ziale, sfogata leggendo il più possibile e sognando a occhi aperti; di quelle


che spesso evaporano con la crescita, i primi amori e i primi duri confronti
con la realtà della vita. Tuttavia, le riflessioni di questo giovinetto dallo
sguardo intenso e profondo (come ci rimanda una foto dell'epoca) mo­
stravano una marcia in più del consueto.
Il salto dalla città tra i boschi alla metropoli imperiale, ricco e gioioso
crogiuolo di arte e cultura, fu notevole. A Monaco il rigore prussiano si
aggiungeva alla natura scanzonata e concreta dei bavaresi, creando un mix
gradevole e stimolante, nel pervasivo e costante profumo della buona bir­
ra. L'accademia, poi, era un'autentica Atene per le scienze, teoriche e ap­
plicate. Imprigionato dalla promessa fatta al padre, Hermann frequentava
le lezioni di medicina ma seguiva anche quelle di matematica e fisica alla
prestigiosa Technische Universitat. Se non fosse intervenuta la guerra a
rompere il delicato equilibrio dei suoi studi, forse la passione per lo spazio
sarebbe rimasta un hobby.
Quando scoppiò la Prima guerra mondiale Oberth aveva 2.0 anni, l'età
giusta per impugnare il moschetto. Venne subito arruolato nella fanteria
tedesca e spedito sul fronte orientale a combattere i russi, dove fu ferito.
Trasportato ali 'ospedale militare di Schassburg, non lontano da casa, gra­
zie probabilmente ai buoni uffici del padre vi rimase in veste di paramedi­
co, toccando con mano che non era quello il genere di vita che voleva per
sé. Nel tempo libero dal servizio sognava come raggiungere la Luna, arro­
vellandosi sui due principali problemi da risolvere: fabbricare un'astrona­
ve capace di affrontare il viaggio e verificare la capacità dell'equipaggio di
reggere alle accelerazioni e all'assenza di gravità. La sua professione medi­
ca lo stimolava a compiere esperimenti su di sé per analizzare gli effetti del­
la mancanza di peso sull'organismo umano. Nel frattempo, continuava a
progettare missili a propellente liquido, frazionandoli in catene di serbatoi
da eliminarsi via via che si vuotavano, in modo da ridurre progressivamen­
te il peso (sarebbe stata proprio questa soluzione multistadio a portare poi
nel cielo lo Sputnik, Gagarin e l'Apollo 11). I suoi studi suscitarono anche
l'interesse del ministro della Guerra prussiano, Hermann von Stein, che
da ex artigliere aveva un palato sufficientemente fino per gustarli.
Con il ritorno della pace, Oberth - che nel frattempo s'era sposato' -
rientrò a Monaco, questa volta per studiare esclusivamente matematica e
fisica con grandi maestri. La sconfitta aveva mortificato, sfiancato e gran­
demente impoverito i tedeschi, ma non aveva intaccato la formidabile
struttura educativa dei prussiani, né aveva danneggiato le infrastrutture
LUNA ROSSA

urbane, come sarebbe invece successo col secondo conflitto mondiale.


La Germania era ancora in piedi e protesa alla rinascita, seppure morsa
dalla fame e squassata da un conflitto interno al paese tra nazionalismo
autoritario e comunismo di stampo marxista. Di lì a tre anni, sugli stessi
banchi su cui ora sedeva Oberth per ascoltare le mirabili lezioni di fisica
di Arnold Sommerfeld, avrebbero preso posto geni sublimi del livello di
Werner Heisenberg e Wolfgang Pauli.
Successivamente, Hermann si spostò a Gottingen, la storica università
di Gauss dove ora insegnava David Hilbert, per approdare infine a Hcidel­
berg, centro di pensiero democratico e insieme covo di conservatori e di
nazisti, dove contava di ottenere il dottorato in fisica discurendo una tesi
sul volo spaziale. Il diploma gli venne però rifiutato. La commissione per­
cepì il suo elaborato come totalmente privo di concretezza, addirittura
utopico: un saggio di futurologia invece di una tradizionale, solida tesi di
fisica-matematica. Tra gli argomenti affrontati, ad esempio, contemplava
la strategia per esplorare la faccia nascosta della Luna e per rifornire le navi
spaziali mediante lo stoccaggio in orbita terrestre di serbatoi di propellen­
te criogenico da agganciare e utilizzare per un viaggio interplanetario o da
parcheggiare a loro volta attorno al corpo celeste che si intendeva visitare.
Sebbene la Repubblica di Weimar fosse allora nel più completo caos
ideologico, squassata da un'inflazione galoppante e dalle violenze di fran­
ge sempre più consistenti di scontenti, l'accademia tedesca conservava la
rigorosa e rigida impostazione forgiata negli anni dell' lmpero e simboleg­
giata dal Pickelhaube, l'elmo chiodato. La parola d'ordine era "fatti e non
sogni� seppure plausibili. Oberth lo sapeva. «li nostro sistema educativo è
come un'automobile», avrebbe scritto poi, «con forti luci posteriori che
illuminano il passato di fulgida luce. Ma, guardando avanti, gli oggetti si
distinguono appena».
Per reagire alla bocciatura, fece due cose. Tornò a casa, in Romania,
dove l'anno seguente, senza cambiare nulla del suo elaborato, riuscì fi­
nalmente a ottenere il diploma presso l'antica Università di Cluj. Con­
testualmente pubblicò a sue spese l'originale lavoro di tesi. Ne risultò un
volumetto di un centinaio pagine in tedesco intitolato IL razzo neLLo spa­
zio interplanetario, di cui spedì subito un esemplare a Goddard. Non si
trattava solo di un beau geste per ricambiare la gentilezza dell'americano
che, su sua richiesta, gli aveva inviato malvolentieri una copia del saggio
del 192.0 sul Metodo per raggiungere altitudini estreme. Era anche un espe­
diente per mettere saldamente il cappello sulla sedia. Nei ringraziamenti
LA SAGA DEI NIBELUNGHI 53

infatti, dopo aver esordito con una sorta di excusatio non petita: «Ho rice­
vuto il lavoro di Goddard proprio mentre questo mio stava per andare in
stampa», dichiarava con discreta sfrontatezza: «il mio approccio teorico
è completato dal suo lavoro pratico».
Messo di fronte a questa infelice esternazione, forse ispirata dalla fru­
strazione di Hermann per i suoi fiaschi accademici, lo scienziato statuni­
tense, già diffidente per sua natura, si convinse che «quel tedesco Oberth »
avesse saccheggiato la sua opera e divenne ancor più prudente e chiuso. Un
vero disastro per gli USA che, a causa delle ritrosie del genio di Worcester,
persero l'occasione di decollare ben prima d'ogni altro sul fronte missili­
stico. E fu un disastro anche per il resto del mondo, che non poté giovarsi
della preziosa esperienza fatta sul campo dal brillante americano. Scienza e
tecnologia, infatti, si comportano come razzi multistadio. Ogni successivo
elemento eredita la spinta di tutti i precedenti. Anche per via della suppo­
nenza di un giovanotto rampante, Goddard si rifiutò di prestarsi a essere
usato come primo stadio, e chiuse i canali di comunicazione.
Per contro, il volumetto di Oberth ebbe l'effetto positivo di accendere
l'interesse verso il volo spaziale nei paesi di lingua tedesca. Con un approc­
cio scientifico, l'autore vi dipingeva un futuro fatto di stazioni permanenti
in orbita terrestre, grandi anelli in rotazione che permettevano di simulare
la gravità mediante la forza centrifuga, riforniti grazie a un flusso costante
di piccoli shuttles. Autentici porti celesti con una funzione di servizio per le
astronavi interplanetarie, ma anche piattaforme per le telecomunicazioni e
per il monitoraggio meteorologico. Abbastanza per attirare la curiosità dei
giovani ingegni in anni di grande confusione politica e di gravi disordini
sociali. Purtroppo, le conseguenze di questo proselitismo si sarebbero ma­
terializzate in un ulteriore dramma per la Germania e per il mondo. Non
per niente si dice che qualche volta il meglio è nemico del bene!
Il seme gettato da Oberth germogliò infatti nella Verein fiir Raum­
schiffahrt (vFR - Società per la navigazione spaziale), un'associazione di
persone interessate ai missili e al volo interplanetario, fondata nel giugno
192.7 dal trentenneJohannes W inkler. Questi da tempo progettava motori
a razzo per scalare lo spazio: un hobby che due anni dopo gli avrebbe pro­
curato un impiego presso l'azienda aeronautica di HugoJunkers a Dessau
con il compito di elaborare propulsori a reazione per aiutare il decollo de­
gli aviogetti.
Nell'arco di dodici mesi la VFR raccolse oltre cinquecento adesioni,
segno dell'attualità della tematica proposta, ma anche della scarsità di al-
54 LUNA ROSSA

tri valori in una società ancora allo sbando e alla ricerca di una rinnovata
identità. Nei sette anni della sua vita, l'associazione pubblicò anche una
rivista, "Die Rakete" ("Il razzo"), e fu il nido da cui spiccò il volo Wernher
von Braun (1912.-1977), uno dei due "campioni" della giostra per la con­
quista della Luna (dell'altro campione, il russo Sergej Pavlovié Korolev,
diremo poi). Oberth, che l'aveva ispirata, nei confronti della VFR svolse
funzioni di padre nobile e di consulente per lo più a distanza. Respinto
dall'accademia tedesca, aveva per il momento rifiutato la Germania, ac­
contentandosi - lui che sognava il cielo - di insegnare matematica e fisica
in un liceo a Medi�, una città termale a una cinquantina di chilometri
da Sibiu. Quando poteva, però, andava a trovare i vecchi amici a Monaco
e quelli nuovi della VFR a Berlino. Talvolta accettava di prestare consu­
lenze riguardo il mondo dei razzi, come nel 192.8 quando, insieme a un
alcro membro della VFR, il divulgatore scientifico W illy Ley ( 1906-1969),
soggiornò a Pocsdam, nel quartiere Babelsberg, presso gli studi della Uni­
versum Film AG per assistere Fritz Lang durante le riprese di Una donna
sulla Luna. Era un modo per raggranellare qualche soldo e soprattutto
un'occasione d'oro per divulgare la sua visione del futuro.
Per un breve periodo Oberth sperò addirittura di promuovere il film
realizzando, con i fondi che Lang gli aveva messo a disposizione, un vero
razzo da lanciare sino a decine di chilometri d'altezza sopra il Baltico. In
soli quattro mesi avrebbe dovuto costruire un esemplare a benzina e ossi­
geno liquido alto 2. metri, simile a quello fatto volare da Goddard nel 192.6,
ma imperizia tecnologica e inesperienza manageriale fecero rapidamente
fallire il progetto. Egli optò allora per una confusa soluzione ibrida, un
gigante alimentato da un carburante sperimentale, tuttavia il programma
abortì ancor prima di nascere. Questo secondo flop lo convinse a tornar­
sene a casa, non senza essersi assicurato che il lancio del modello di razzo
usato nel film apparisse sufficientemente convincente.
Oberth riapparve a Berlino per assistere alla première. Il lungometrag­
gio riscosse un buon successo di pubblico e servì a richiamare ulteriormen­
te l'attenzione sui razzi e sullo spazio. Il suo realismo, così profondamente
diverso dalla canzonatoria parodia del romanzo di Verne confezionata da
un altro grande regista e produttore cinematografico, Georges Méliès, nel
cortometraggio IL viaggio nella Luna del 1902., non poteva passare inosser­
vato. Molti ancora dubitavano, ma qualcuno cominciava a credere davvero
che la nuova frontiera dell'uomo stesse proprio lassù, molto oltre le nubi,
dove l'aria finisce e comincia lo spazio vuoto. Persino la prima v2. lanciata
LA SAGA DEI NIBELUNGHI 55

con successo da Peenemiinde avrebbe portato impresso alla base un riferi­


mento alla popolare pellicola, a dimostrazione di quanto profondo fosse il
segno che aveva lasciato.
Nel medesimo 192.9, Oberth pubblicò con la prestigiosa casa editrice
Oldenbourg di Monaco di Baviera un corposo saggio intitolato Percorsi
verso i viaggi nello spazio, ovvero la riedizione, completamente rivista e no­
tevolmente arricchita, del lavoro di tesi apparso sei anni prima. Conteneva
formule, tabelle, grafici e progetti che rendevano definitivamente quanti­
tativa una disciplina nata sull'onda di un sogno. Nonostante le difficoltà
di calcolo, che oggi si superano agilmente con l'impiego di potenti elabo­
rarori elettronici, il fisico era riuscito ad arrivare ali 'essenza dei problemi e
a individuare i parametri critici delle diverse situazioni.
Come ricorda von Braun,

Hermann Oberrh era il primo che, quando pensava ai problemi delle navi spaziali,
afferrava un regolo calcolatore e presentava concetti e disegni analizzati matema­
ticamente [ ... ] . lo stesso devo a lui non solo l'ispirazione della mia vita, ma anche
il mio primo contatto con gli aspetti teorici e pratici della missilistica e del viaggio
spaziale. Nella storia della scienza e della tecnologia dovrebbe essergli riservato un
posto d'onore per i suoi contributi innovativi nel campo del]'astronautica.

I nodi da sciogliere riguardavano quattro aspetti del problema del volo


spaziale umano non ancora verificati e dunque oggetto di aspre contro­
versie: 1. È possibile la spinta nel vuoto?' 2.. Se sì, come raggiungere veloci­
tà tali da sfuggire al richiamo gravitazionale della Terra? 3. Ce la faranno
gli astronauti a reggere le forti accelerazioni e le avverse condizioni dello
spazio interplanetario? 4. A che cosa serve tutto ciò? Oberth aveva una ri­
sposta per ciascuna domanda, matematicamente e fisicamente fondata per
le prime due, più ottimistica che scientifica per la terza e semplicemente
speculativa per la quarta.
La sua sconfinata fantasia gli faceva immaginare un futuro di Rotte di
piccoli ferry-boat spaziali che sciamavano attorno a vere cittadelle flottanti
in orbita sulle quali ospitare i nuovi pionieri, condurre esperimenti scien­
tifici e monitorare il pianeta. Avamposti di una novella Società delle Indie
per attività commerciali e minerarie allargate al Sistema solare o fortezze
per controllare militarmente la vecchia Terra. Tutto ciò, scriveva, avrebbe
stimolato lo sviluppo di nuove tecnologie in molti e diversi settori, a van­
taggio della qualità della vita dell'umanità intera.
Quest'ultimo argomento è utilizzato ancora oggi per giustificare i
56 LUNA ROSSA

costi stratosferici delle imprese spaziali e continua a dividere l'opinione


pubblica. Perché bruciare ingenti risorse per volare lassù, nel mezzo del
nulla, quando ci sarebbe ancora così tanto da fare quaggiù per sollevare
gli esseri umani dalla fame, dalla miseria e dalle malattie? Nel 1970, a valle
dei successi del programma lunare Apollo, una certa suor Mary Jocunda,
attorniata dal dolore nella sua povera missione di Kabwe, nello Zambia, ri­
propose il quesito a Ernst Stuhlinger (1913-2.008), potente direttore scien­
tifico aggiunto al Marshall Space Flight Center della NASA e responsabile
dell'estensione del progetto Apollo all'esplorazione umana di Marte.
L'ex scienziato nazista, già fedele servitore del Fuhrer a Peenemunde
e quindi presumibilmente provvisto di sufficiente pelo sullo stomaco,
non se la sentì di cestinare la provocazione e rispose con una lunga lettera
aperta dove sviscerava il problema'. Il suo principale argomento restava,
in estrema sintesi, una valutazione del rapporto costi-benefici. Un investi­
mento ha successo se la resa supera le risorse impegnate. E per farsi capire
utilizzò un aneddoto.
Nella Germania del Seicento, un conce di buon cuore aimava i poveri
a tirare avanti e a curarsi dalle malattie. Un giorno incontrò uno strano
individuo che pareva giocare con delle piccole lenci di vetro, montandole
dentro dei cilindri e usandole per osservare qualcosa di minuscolo. Incu­
riosito, decise di finanziarne l'attività. I suoi poveri si risentirono e accu­
sarono il benefattore di dirottare risorse su quello che a loro appariva un
passatempo. Era invece un'indagine sulle cause delle malattie col micro­
scopio. «Dedicando parte del proprio denaro alla ricerca e alla scoperta
di nuove cose», concludeva Stuhlinger, «il conce contribuì molto di più
al sollievo della sofferenza umana rispetto a ciò che avrebbe potuto fare
dando tutti i propri soldi ai malati». Nessuno sa in che modo suor Mary
Jocunda abbia reagito a questa risposta, saggia e crudele allo stesso tempo.
Forse la lesse tenendo tra le braccia uno dei suoi bambini neri con grandi
occhi scavati dalla fame e dalla febbre.
Tuttavia, negli anni in cui la VFR svolgeva la propria attività, simili que­
stioni etiche erano ancora di là da venire. La VFR era una società amatoria­
le, non diversa per struttura, organizzazione e finalità dalle analoghe asso­
ciazioni fiorite soprattutto in Russia e negli Stati Uniti a partire dagli anni
Venti, ma fu quella che produsse le conseguenze più importanti per la sto­
ria della missilistica. I soci si occupavano di tutto, dai puri divertissements
ai veri e propri studi e progetti di razzi. Nel 192.6, ad esempio, Oberth e il
sudtirolese Max Valier (1895-1930), un fantasioso e valente scrittore con
LA SAGA DEI NIBELUNGHI 57

formazione e interessi scientifici, si esercitarono a ridisegnare il cannone


lunare di Verne in modo da renderlo funzionante, anche se non realiz­
zabile (perché troppo grande) e in buona sostanza inutilizzabile (perché
l'accelerazione avrebbe ucciso i malcapitati passeggeri). Due anni dopo, lo
stesso Valier - il quale sarebbe morto nel 1930 per lo scoppio di un razzo,
prima vittima sul campo del lungo cammino verso la Luna - collaborò con
Fritz von Opel alla realizzazione di un'autovettura sperimentale, la Opel
Rak II, che il 2.3 maggio 192.8, a Berlino, batté il record di velocità toccando
i 2.30 km orari grazie alla spinta di 2.4 razzi. La guidava lo stesso Opel che
con questa rischiosa impresa sportiva intendeva promuovere la sua casa
automobilistica.
La commistione tra sogno e business, però, dispiacque a Valier e soprat­
tutto ai puristi della VFR e contribuì a seminare zizzania. Occorreva dare
una sterzata alle attività della Società, rendendole pit1 professionali e con­
crete, fabbricando razzi e provandoli. Servivano finanziamenti e una sede,
che venne individuata nella periferia nord di Berlino, a Reinickendorf. in
un'area di 12.2. ettari già adibita a deposito di munizioni durante la Grande
Guerra. Tra vecchi edifici in calcestruzzo ormai in rovina, fu ricavato uno
spiazzo segnalato da un pomposo cartello con la scritta in caratteri gotici
«RaketenAugplatz Berlin» ('"Stazione di lancio dei missili a Berlino") .
Qui, col beneplacito del municipio, cominciarono i primi esperimenti. I
fallimenti furono molti. I pochi successi portarono tuttavia a raggiungere
la quota record di 1.000 metri nel 1932.. Da questo povero contesto, tra rot­
tami e costruzioni fatiscenti, il sogno di raggiungere la Luna prese davvero
il volo, per poi diventare realtà nell'arco di quarant'anni.
Spiravano venti di cambiamento. La Germania stava lentamente ri­
fiorendo sul piano economico e della politica estera. Nel 192.6 era stata
ammessa nella Società delle Nazioni grazie a una riconciliazione con la
Francia che sarebbe valsa ai due negoziatori, il cancelliere Gustav Strese­
mann e il premier Aristide Briand, il premio Nobel per la pace. Tre anni
dopo, un piano proposto da un economista americano, Owen D. Young,
fondatore della casa discografica RCA, aveva avviato una drastica riduzione
delle riparazioni di guerra a carico dei tedeschi. Si trattava di una mossa
pragmatica che, oltre a riconoscere l'esosità del provvedimento punitivo
preteso dai francesi - ancora sotto shock per aver visto in meno di mezzo
secolo i prussiani bussare ben due volte alle porte di Parigi -, cercava di
esorcizzare un possibile atto di ribellione da parte di una nazione affamata
e di salvare quindi almeno una parte dei crediti.
58 LUNA ROSSA

Anche la montante marea dei faziosi nazionalsocialisti pareva anco­


ra sotto controllo. Nelle elezioni del 1930 i seguaci del "caporale boemo"
- come veniva chiamato con spregio Adolf Hitler dall'aristocratico pre­
sidente Paul von Hindenburg, genuino relitto dell'Impero - avevano sì
guadagnato il 18% dei seggi, ma con un ridotto 26% la Sozialdemokrati­
sche Partei Deutschlands (SPD- Partito socialdemocratico di Germania)
restava comunque il primo partito del Reichscag. Un fragile sbarramento
che non sarebbe durato a lungo, però.
Approfittando della diminuita attenzione da parte degli USA - impe­
gnati ad affrontare i problemi del recente crollo di Wall Screet, facto che
avrebbe presto offerto un'insperata sponda ai nazisti-, i tedeschi cerca­
vano cautamente di riarmarsi aggirando e in qualche caso violando i di­
vieti posti loro dal trattato di Versailles. «Le forze armate della Germania
non devono contemplare alcuna forza aerea militare o navale». Questo
prevedevano le clausole della Parte III del testo redatto dai vincitori. Esse
amputavano letteralmente l'aviazione militare e mortificandone gli assi
ormai defunti come il Barone Rosso oppure vivi e rabbiosi come Hermann
Goring. Erano vietati anche i razzi a combustibile solido perché apparen­
tati con i proiettili di artiglieria del genere di quelli della Grande Berta del­
la Krupp o del cannone del Kaiser Guglielmo che era riuscito addirittura a
bombardare Parigi. Tuttavia, nulla era stato scritto sui razzi a propellente
liquido, perché ancora inesistenti•: una comprensibile svista che diventava
un cavillo da usare per un riarmo "tecnologico" legale e rendeva appetibili
le attività della Verein fur Raumschiffahrt. Almeno così speravano i suoi
dirigenti, perennemente a caccia di finanziatori.
Nei primi mesi del 1931 il presidente della VFR,Johannes W inkler, forre
delle esperienze maturate lavorando per Junkers e con l'aiuto di sponsor
privati, costruì per proprio conto un motore a razzo alimentato con pro­
pellente liquido che per ben due volte fece spiccare il volo allo scatolone
dov'era stato alloggiato, schiantandosi poi miseramente a terra. Era la pri­
ma volta in Europa. L'iniziativa dispiacque ai soci, che si sentirono cagliati
fuori da un'impresa attinente alla missione del gruppo. Uno sgarbo fat­
to proprio da chi l'aveva costituito e lo guidava. Tuttavia, dopo varie di­
scussioni, fisiologiche nelle associazioni di volontari entusiasti e visionari,
prevalse l'ottimismo. Se l'impresa era possibile, allora occorreva lavorare
bene, alacremente e tutti insieme. I membri più attivi erano RudolfNebel,
il più anziano, già pilota della Lufì:waffe durante la Grande Guerra, empi­
rista entusiasta e abile a raccogliere finanziamenti, Klaus Riedcl, un inge-
LA SAGA DEI NII3ELUNGHI 59

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Balino, 1930. l-- h:rm:1nn Obc.:rth, :11 ccncro e di profilo, esibisce un missi.le :i propellente liqui­
do. li giovane :i dcsrr:1 dicrro b figura in camice bianco è il diciottenne \X/ernhcr von Braun.

gnere meccanico che lavorava presso una ditta di accessori per autovetture,
e un giovanotto non ancora ventenne, di bell'aspetto, educato e taciturno.
Si diceva fosse un gentiluomo con agganci potenti. Si chiamava \Vernher
von Braun e aveva già lavorato quale apprendista-osservatore alle dipen­
denze di Oberth su un motore innovativo per il missile (detto Kegelduese,
"ugello a cono", per la forma della camera di scoppio) il cui lancio avrebbe
dovuto accompagnare la première del film di Lang. Un'idea alla maniera
di Oberth, grandiosa, formalmente corretta ma impraticabile.
Decisi a ridimensionare le pretese, i tre della VFR si concentrarono su
un razzo minimo, o MIRAK dal tedesco lvlinumu.n Rakete, che avesse le
potenzialità per volare davvero. Nella più totale mancanza di denaro non
avrebbero pomto fare di più, visti anche i numerosi nodi da sciogliere. Il
primo e più serio riguardava il raffreddamento della camera di scoppio, la
cui resistenza veniva messa a dura prova dall'enorme calore sprigionato.
Goddard lo aveva brillantemente risolto utilizzando direttamente l'effetto
refrigerante dell'ossigeno liquido. Ispirandosi ai motori delle automobili,
von Braun e compagni optarono invece per una circolazione d'acqua.
60 LUNA ROSSA

Effettuato ogni genere di prova e risolta qualche incomprensione in­


terna al gruppo, il 14 marzo 1931 MIRAK III volò. Era una specie di freccia
lunga 3,5 m e larga 10 cm, con un peso a pieno carico di 2.0 kg, di cui la
metà dovuti al carburante. Per evitare che il calore dei gas di scarico facesse
esplodere le taniche di carburante, queste erano state spostate sul retro,
alla maniera dell'originale progetto di Goddard. Prima l'ossigeno liquido
e in coda l'alcool. W illy Ley, che fungeva da portavoce del gruppo, scrisse:

li razzo decollò con un grande boato; colpì iJ tetto dell'edificio e salì di traverso a
un angolo di circa 70°. Dopo più o meno 2 secondi cominciò a girare in circolo,
salì ancora un poco, sputò fuori rutta l'acqua dell'involucro per il raffreddamen­
to, e venne giù in picchiata. Mentre cadeva, la parere della camera di combustione
- ormai priva di raffreddamento - venne via in un sol pezzo, e con due getti che
lo facevano volteggiare, l'oggetto impazzì del rutto. Ma non si distrusse perché il
combustibile finì proprio mentre usciva dalla picchiata in prossimità del suolo. In
effetti, fece quasi un atterraggio.

Un parziale fiasco. Il successore, chiamato Repulsor 11, andò meglio. Non


salì più in alto, ma coprì oltre mezzo chilometro in orizzontale e venne
recuperato intatto grazie a un paracadute. L'accorgimento permise di riu­
tilizzarlo per decine di lanci che scatenarono l'entusiasmo nella VFR. Era
tempo di farlo sapere al mondo. Ci pensò ancora una volta Ley con un
articolo di giornale. L'intento era di attrarre qualche ricco finanziatore;
richiamò invece l'attenzione dei militari. Fu così che entrò in scena l'allora
capitano Walter Dornberger (1895-1980).
Già nel 1930 questo ufficiale di artiglieria era stato incaricato dall' Uf­
ficio armamenti della Reichswehr1 di un progetto segreto per lo sviluppo
di razzi a propellente liquido in grado di competere con le armi tradizio­
nali. Dornberger era l'uomo giusto nel luogo giusto al momento giusro.
Sottotenente nella Grande Guerra, era stato catturato in azione e aveva
patito due anni di campo di prigionia in Francia, passati quasi tutti in iso­
lamento per aver tentato reiteratamente la fuga. Rientrato finalmente in
patria, aveva completato i suoi studi universitari e nel 1930 s'era laureato in
ingegneria meccanica alla Technische Hochschule di Charlottenburg (nel
1935 sarebbe seguito un dottorato ad honorem). Un soldato coraggioso e
caparbio, nonché un valente tecnico. Per il suo nuovo incarico s'era siste­
mato a Kummersdorf. un'area isolata circa 2.5 chilometri a sud della capi­
tale scelta dall'esercito per sviluppare il programma di missilistica, dove
aveva iniziato a studiare il problema. Deciso a non reinventare inutilmente
LA SAGA DEI NIBELUNGHI 61

la ruota, nella primavera del 1932., assieme al suo comandante, capitano


Ernst Ritter von Horstig, e al capo dell'Ufficio di balistica e munizioni,
colonnello Karl Becker, si recò a Reinickendorf per assistere a un lancio
dei "ragazzi" della VFR: tre esperti per mettere alla prova le entusiastiche
esternazioni di Ley. «A quel tempo», avrebbe poi ricordato Dornberger,
«il mondo dei razzi era un ambiente inquinato da scemenze, ciarlatani e
scienziati svitati, e scarsamente popolato di gente davvero capace».
La dimostrazione fu un fiasco. Tuttavia, nonostante l'esito poco inco­
raggiante dell'ispezione, Dornberger offrì alla VFR un contrattino per un
altro lancio dimostrativo che ebbe luogo nel poligono militare di Kum­
mersdorf e che andò molto meglio del primo. Il razzo volò per un chilo­
metro in altezza e tre in orizzontale. Il colonnello Becker, però, non aveva
intenzione alcuna di investire denaro pubblico, ancora così scarso, per far
divenire i membri dell'associazione. Dopo un tira e molla, la sua propo­
sta si materializzò sotto forma di una collaborazione stretta, finalizzata e
vincolata al segreto militare. La matricola von Braun, che aveva personal­
mente condotto la trattativa, intendeva accettare, ma la maggioranza degli
anziani della VFR oppose resistenza. Tra l'altro, con il progressivo innal­
zamento della quota raggiunta dai razzi, scava diventando rischioso ope­
rare da una base così vicina alla città. Da un momento all'altro - facevano
notare i sostenitori di von Braun - il Comune di Berlino avrebbe potuto
ritirare l'autorizzazione al comodato d'uso, lasciando l'associazione senza
un tetto. Le discussioni che seguirono contribuirono alla morte della VFR,
che fu definitivamente chiusa all'inizio del 1934 con il beneplacito del mi­
nistro per la PropagandaJoseph Goebbels.
Da un anno la musica in Germania era radicalmente cambiata.La Na­
tionalsozialistische deucschc Arbeitpartei (NSDAP - Partito nazionalsocia­
lista dei lavoratori) aveva vinto le elezioni del 1932., anche se con un piccolo
margine, e nel gennaio 1933 l'ottantacinquenne Hindenburg, ormai con un
piede nella tomba, aveva dovuto cedere e consegnare la cancelleria a Hitler,
che in breve riuscì a farsi assegnare i pieni poteri.L'anno seguente, il 2. ago­
sto 1934, dopo una serie di abili manovre e di ciniche violenze su amici
e avversari, Hitler assunse su di sé la carica di Fiihrer e di cancelliere. Era
nato il Terzo Reich, un regime totalitario animato da propositi di vendetta
e di supremazia iiber Afles. Tutte le migliori menti ariane avrebbero dovuto
collaborare per raggiungere l'obiettivo. Anche l'astro nascente von Braun,
il quale lasciò l'università dove stava completando la sua tesi di dottorato e
si trasferì a Kummcrsdorf, accolto a braccia aperte in parte per la sua nomea
LUNA ROSSA

di fuoriclasse - gli ufficiali con cui aveva interagito possedevano I' intelli­
genza, la preparazione e l'apertura mentale per comprenderlo in pieno - e
in parte, forse, perché la sua famiglia era molto in vista a Berlino.
Wernher Magnus Maximilian von Braun era nato a W irsitz, nella
Germania orientale. Quando, nel 1920, la cittadina si trovò compresa nei
territori restituiti alla sovranità della Polonia dal trattato di Versailles, la
maggior parte delle famiglie di lingua tedesca si vide costretta a migrare in
Prussia. Tra queste anche gli aristocratici von Braun, che si trasferirono a
Berlino dove \Vernher, secondo di tre fratelli, crebbe e studiò.
Il padre, Magnus, era un uomo notevole e tutto d'un pezzo. Junker di
antiche radici, aveva servito il Kaiser Guglielmo II in qualità. di portavoce,
ricoprendo poi, a guerra finita, la medesima carica nella SPD e ottenendo
l'incarico di ministro dell'Agricoltura nel 1932. Ma nello stesso anno, osti­
le al nuovo cancelliere ( «Se Hitler prende il potere», aveva detto con lun­
gimiranza, «sarà la fine della Germania»), si ritirò dalla scena politica. La
madre di Wernher, Emmy Melitta von Quistorp, era una donna elegante,
raffinata e colta, che vantava legami diretti con alcune famiglie reali euro­
pee. Autoritaria e amante della musica e del! 'astronomia, aveva regalato al
figlio i romanzi di Verne e di Wells, nonché un telescopio per guardare la
Luna. Ma al ragazzo piaceva soprattutto la velocità.
«Ero dodicenne», racconterà nel 1963, «quando restai affascinato dai
fantastici record di Max Valier e Fritz von Opel. Così azzardai il mio primo
esperimento pratico di razzo. Assomigliava al tentativo fatto da un cinese di
nome Wan Hu nel Cinquecento». Wernher attaccò una manciata di petar­
di a un carretto giocattolo e diede loro fuoco. L'oggetto prese una gran corsa
seminando il panico e causando un piccolo disastro, tanto che l'incosciente
fanciullo fu preso in custodia dalla polizia locale e rilasciato solo ali'arrivo del
padre. Una ragazzata finita bene, o forse un aneddoto confezionato ad arte
per umanizzare la prima vita d'un personaggio che "visse due volte", quella
che va fino al 1945, macchiata dal sangue di molte migliaia di innocenti.
Nonostante i molteplici interessi e un atteggiamento tutto prussiano
verso i suoi doveri di studente, Wernher non rendeva bene a scuola, in par­
ticolare nelle materie scientifiche. Adorava la musica (fu per un certo tempo
allievo del compositore Paul Hindemith) e sognava l'avventura. Poi venne
folgorato dal]' incontro con il libro di Oberth, Il razzo nello sp azio interpla­
netario, affascinante ma pieno di incomprensibili formule. Convinto che
il suo karma gli comandasse di raggiungere la Luna, decise di impegnarsi
nello studio attento e approfondito della matematica e della fisica.
LA SAGA DEI NIBELUNGHI

Detto fatto, diventò uno studente modello. Nel 1930 entrò anche lui
alla Technische Hochschule di Charloccenburg. Faceva il tirocinante in
una fabbrica di locomotive quando il destino volle che incontrasse il suo
idolo. Oberth tenne un po' con sé questo ragazzo entusiasta e servizievole,
poi lo indirizzò alla VFR, dove ricevette i primi pratici rudimenti di missi­
listica e l'invito a lavorare per Dornberger a Kummersdorf. Quando arrivò
nel centro spaziale militare, in qualità di tecnico dell'esercito benché sen­
za uniforme, la delusione fu grande. L'ambiente era persino più squallido
e spoglio dei laboratori amatoriali della VFR a Rakecenflugplacz. Ormai,
però, il dado era stato tratto e von Braun si rimboccò le maniche, canto da
mettere in piedi in breve tempo motori a razzo sempre più potenti e per­
formanti, che per il momento venivano provati solo a banco. Arrischiare
con voli estemporanei al modo dei dilettanti che non hanno nulla da per­
dere sarebbe scaco un suicidio in un ambiente orientato alla victoria a ogni
costo. Il giovane ingegnere non temeva per sé stesso ma per il suo sogno.
Per salvarlo era disposto a cucco, anche a vendere l'anima al diavolo, come
effettivamente avrebbe poi facto. Reinventò molce delle soluzioni già tro­
vate da Goddard, incluso il raffreddamento della camera di combustione
tramite l'ossigeno liquido, conferendo loro quella perfezione di marca ger­
manica che mancava alle realizzazioni del solitario inventore americano.
E venne il tempo del volo. Dopo una prima prova fallica per un sof­
fio, nel dicembre 1934 von Braun lanciò due razzi Aggregar 2 dall'isola di
Borkum, nel Mare del Nord. L'area era stata scelta in modo da poter di­
sporre d'una sorca di poligono di tiro vasto a sufficienza per ridurre al mi­
nimo i pericoli per persone e attività umane. Fu un successo, seguito però
da un grave incidente in cui persero la vita tre persone. Cominciarono an­
che gli esperimenti per installare razzi a propellente liquido negli aerei,
progetto fortemente sponsorizzato da Ernst Heinkel, potente fabbricante
di velivoli e influente membro del Partito nazionalsocialista.
Sebbene i successivi lanci degli Aggregar avessero ottenuto risulcati
modesti, Wernher era al colmo della felicità: si era finalmente addottorato
con una tesi coperta addirittura dal segreto militare, dirigeva un gruppo
di ricerca di primissimo ordine, aveva chiamato presso di sé i migliori era i
suoi vecchi amici dei tempi della VFR ed era convinto che da ogni errore si
potessero trarre nuovi e utili insegnamenti. L'esercito, però, non intendeva
aspettare: pretendeva un'arma funzionante e la voleva subito. Per parte
sua, il ministro dell'Aviazione Hermann Goring, perennemente alla ricer­
ca di affermazioni personali, smaniava di accaparrarsi il giocattolo.
LUNA ROSSA

Nel 1938, anche grazie all'interessamento dell'influente madre di von


Braun, il gruppo venne dotato di un ricco finanziamento e ricollocato a
Peenemiinde, sull'isola di Usedom nel Baltico, alla foce del fiume Peene.
La base, rapidamente equipaggiata di caserme, impianti tecnici, rampe di
lancio e grandi officine per la produzione dei razzi, prese il nome in codice
di Heimat Artillerie Park 11. Era una scelta strategica che offriva un campo
di prova ampio e sicuro a portata di mano e una maggiore protezione da
occhi indiscreti.
Lo spionaggio internazionale aveva ormai puntato le attività dei tedeschi,
di cui si cominciava già a temere il formidabile riarmo. Inglesi, francesi e russi
speravano di carpire i segreti delle nuove meraviglie belliche che Hitler stava
confezionando. La missilistica pareva avere un roseo futuro in un prossimo
conflitto, ragione per cui il Fiihrer pretendeva che rientrasse anche formal­
mente tra le attività del nuovo corso della Germania. In quanto direttore del
Centro missilistico dell'esercito, von Braun venne sollecitato a iscriversi alla
NSDAP. «Il mio rifiuto avrebbe significato che avrei dovuto abbandonare il
lavoro», si sarebbe giustificato poi, aggiungendo che la sua adesione non ave­
va comportato la partecipazione ad alcuna attività politica.
Di lì a poco, il 1° settembre 1939, Hitler diede il via all'invasione della
Polonia e scoppiò ancora una volta la guerra. Un disastro per il mondo, ma
anche per von Braun, che si vide tagliati i fondi e soprattutto il personale,
dirottato al fronte. Tuttavia, grazie alle potenti amicizie di Dornberger, nel
frattempo diventato maggiore generale, la situazione si capovolse rapida­
mente. Peenemiinde ricevette addirittura una dotazione di 3.500 mili rari
della Wehrmacht. Wernher scalpitava. Servivano più cervelli per realizzare
la bomba volante che gli veniva richiesta. Così mise in piedi una squadra di
specialisti operanti nei diversi istituti universitari del paese; quando aveva
un problema, andava a trovarli uno a uno utilizzando un piccolo velivolo
che pilotava di persona. Una furia, nel turbine di una guerra-lampo che
sembrava ormai vinta.
Resisteva solo l'Inghilterra, protetta dalla Manica. Per averne ragione
bisognava eliminare l'aviazione di Sua Maestà Britannica. Avrebbe dovuto
provvedervi la Luftwaffe di Goring, ma l'eroismo dei piloti britannici e gli
errori dell'arrogante gerarca spensero le ambizioni del Fiihrer di vincere tut­
to e subito sul fronte occidentale, così da poter denunciare il patto Molotov­
Ribbentrop di non aggressione tra Germania e URSS e rivolgersi in tutta
tranquillità contro i bolscevichi, che nei suoi deliri odiava quanto gli ebrei.
Lo slancio dei primi mesi s'era arrestato. La guerra sarebbe durata a lungo.
LA SAGA DEI NIBELUNGHI 65

Una boccata di ossigeno per von Braun, che gli regalava altro tempo
per confezionare le bombe volanti. Per restare nel gioco dovette però ac­
consentire a diventare un ufficiale delle Schutzstalfel, le famigerate ss,
l'organizzazione paramilitare del Partito nazista, e calcare il cappello nero
con il simbolo del teschio. Avvenne nella primavera del 1940, su richiesta
del Reichsfiihrer Heinrich Hirnmler: «Chiamai immediatamente il mio
superiore militare, il maggiore generale Dornberger», ricorda von Braun.
«Mi disse che se volevo continuare il nostro comune lavoro, non avevo al­
tra scelta che aderire». Venne nominato sottotenente, e alla fine promosso
maggiore. li von Braun di Peenemiinde viene spesso dipinto nelle clip del
sapere in pillole come un radioso nibelungo al servizio del demonio, un
genio algido e spietato senza altri problemi che la creazione di macchine
stupefacenti. li quadro è vero solo in parte, però, perché chi serve Satana
deve frequentare l'inferno, dove la vita è grama e incerta per tutti, anche
per gli angeli caduti.
Finalmente, nel!' autunno del 1942. l'agognato Aggregac 4 fu pronto per
il tese di volo. Un missile moderno, simile a un proiettile con quattro pin­
ne, alco 14 metri e del peso di 13,5 tonnellate, capace di portare in punta un
carico esplosivo di una tonnellata. Dopo due lanci fallici, il 3 ottobre 1942. il
terzo esemplare prese il via in una nuvola di fumo. Quando la spinta diven­
ne maggiore del peso, si sollevò dalla rampa di lancio per poi schiantarsi in
mare alla istanza di 2.00 km dopo un volo perfetto, nel quale aveva superato
la quota di 80 km. Nelle ultime versioni avrebbe raggiunto addirittura 360
km di alcezza e una velocità di picco di 5.2.00 km orari, imprendibile per la
contraerea e per i caccia. li motore a getto lo spingeva in alto fino alla quota
prefissata, nella stratosfera, lasciandolo poi governare dalla gravità terrestre
in modo che la successiva traiettoria balistica lo conducesse a intercettare il
bersaglio, come un angelo della morte supersonico e silenzioso.
Al brindisi per il grande trionfo tecnologico partecipò anche Oberth, il
padre nobile, chiamato a Peenemiinde dall'allievo diventato maestro. Era
nata una stella, e la nuova stagione dei viaggi nello spazio si era finalmente
aperta, ma nel peggiore dei modi, all'insegna della distruzione. Apparen­
temente felici della vittoria, Dornberger e von Braun ridevano, pur nella
consapevolezza che per loro il peggio doveva ancora venire. li razzo non
era infatti pronto per essere prodotto in serie, come forse avrebbero prete­
so i militari accecaci dal primo successo e dal bisogno di armi nuove. Servi­
va tempo per risolvere i mille problemi aperti e quelli ancora sconosciuti,
tenendo d'occhio la concorrenza. E la concorrenza più temibile era in seno
66 LUNA ROSSA

allo stesso esercito tedesco: anche la Lufi:waffe, infatti, stava lavorando a


una bomba volante. Goring, che non accettava coinquilini nel dominio
dei cieli, aveva impegnato al programma il geniale progettista Robert Lus­
ser (1899-1965), distogliendolo dallo studio del Messerschmitt 262, l'aereo
a reazione che avrebbe potuto dare ai tedeschi la superiorità nei cieli. Nac­
que così la Vergeltungswaffi o v, ("arma da rappresaglia", nome coniato dal
mefistofelico ministro della Propaganda Goebbels), un ibrido tra un razzo
e un aereo senza pilota, che mise il sale sulla coda a von Braun, tanto più
che correva voce che Hitler non credesse più nel suo progetto.
Nel frattempo, però, le sorti della guerra erano mutate. L'Operazione
Barbarossa, avviata nel giugno 1941 e azzardata per anticipare le mosse di
Stalin, si stava tramutando in un disastro. Messo alle corde, il Fiihrer co­
minciò a sperare nel miracolo delle Wunderwajfen, ossia le "armi meravi­
glia". Per questo accettò di incontrare von Braun e Dornberger nella Tana
del lupo, il bunker nella Prussia orientale da dove guidava le sue armate.
Il filmato del lancio di un A4 incantò il dittatore che ordinò di produrre
l'arma e di impiegarla quanto prima.
A Peenemiinde tutti si misero all'opera. Come per magia, tutte le dif­
ficoltà si volatilizzarono lasciando spazio alla più fattiva collaborazione.
Vennero impiantate le officine per la realizzazione delle diverse parti del
razzo e si cominciarono ad addestrare i futuri "artificieri". A nulla valsero le
manovre di Goring per scalzare von Braun così da lasciare il campo libero
alla sua Lufi:waffe: A4 e VI continuarono la loro strada in parallelo.
La frenetica attività dei laboratori sull'isolotto del Balcico aveva suscita­
to la curiosità degli Alleati, allertati dalle fotografie aeree e dal!' analisi di un
rottame di razzo raccolto dalla resistenza polacca e consegnato agli inglesi.
Venne scelta una cura drastica, la stessa usata per le alcre installazioni scien­
tifiche dei nazisti potenzialmente pericolose: un bombardamento a tap­
peto, che ebbe luogo la notte del 17 agosto 1943. Dopo aver spiazzato con
una finta i caccia tedeschi, centinaia di quadrimotori inglesi vomitarono
indisturbati il loro carico di esplosivo sui laboratori, ma sbagliarono il tiro.
Uccisero molci lavoratori, per lo più prigionieri di guerra, senza apportare
gravi danni alle installazioni. Per il momento il programma era in salvo.
Furioso, Hitler prese subito provvedimenti. Sostituì Dornberger con
uno dei fedelissimi di Himmler, il generale delle ss Hans Kammler, e lo
incaricò di dirigere una completa ristrutturazione logistica del progetto.
Un vecchio deposito di carburanti vicino a Nordhausen, in Turingia, fu
trasformato in una gigantesca fabbrica sotterranea. Kammler, un uomo
LA SAGA DEI NIBELUNGHI

brutale che da ingegnere civile aveva costruito diversi campi di concen­


tramento e progettato gli impianti di cremazione di Auschwicz-Birkenau,
ebbe l'idea di usare prigionieri come manodopera schiavile nel program­
ma missilistico. Le condizioni di vita di questi disgraziati nel lager di
Mittelbau-Dora erano tremende, al punto che furono molti di più i mor­
ti per costruire i missili delle vittime dei missili stessi. Von Braun sapeva
tutto, però finse di non accorgersene. «In una piccola area accanto alla
clinica», dichiarerà un testimone, «si vedevano ogni giorno mucchi di
prigionieri che non erano sopravvissuti al carico di lavoro ed erano stati
torturati a morte dalle guardie vendicative. Ma il professor Wernher von
Braun tirava dritto, passando loro così vicino da toccarne quasi i corpi».
Nonostante il nuovo impianto industriale e la forza lavoro impiega­
ta, la produzione in serie delle A4 non decollava ancora. Il gioiello ne­
cessitava di ulteriori cure. Deciso a impadronirsi del progetto, Himmler
fece arrestare von Braun con le accuse, gravissime e false, di sabotaggio,
disfattismo e comunismo. Lo scienziato venne incarcerato e minacciato
di morte. Dopo due settimane, grazie ai buoni uffici di Dornberger e del
ministro degli Armamenti Albert Speer, venne rilasciato con l'assenso di
Hitler stesso, il quale, confidando nella produzione dell'arma vincente,
aveva ordinato che fosse risparmiata la testa del suo campione.
Intanto, però, le v1 di Goring, lanciate da rampe mobili, avevano inco­
minciato a martoriare il Regno Unico, sia pure con una bassa percentuale
di colpi andati a segno, anche perché gli inglesi avevano imparato molto
presto ad abbattere questi razzi impacciati ancor prima che penetrassero
lo spazio aereo dell'isola. Eppure, nonostante i palesi limiti, gli Aggregar
uscivano nettamente sconfitti dal confronto con le v1, se non altro perché
ancora latitanti.
A complicare le cose, il 2.0 luglio 1944 Hitler sfuggì a un accentato. Il
lupo era stato aggredito nella sua stessa tana, dai suoi stessi ufficiali, ed es­
sendosi miracolosamente salvato si era convinto di essere immortale. La
tragedia scava assumendo i colori d'una farsa bestiale. Ora o mai più, pensò
von Braun, e il 7 settembre 1944 il primo razzo A4 decollò con destina­
zione Londra. Adesso si chiamava v2.. Nel corso della guerra ne sarebbero
state lanciate alcune migliaia, di cui quasi la metà sull'Inghilterra e un sesto
sulla sua capitale. Si trattò di un grande successo militare e di un autentico
schiaffo al vanesio capo della Luftwaffe. Ma von Braun appariva insoddi­
sfatto: avrebbe voluto studiare ancora, provare ancora, migliorare ancora, e
invece aveva messo a punto dei kamikaze che, per distruggere il nemico, an-
68 LUNA ROSSA

Una v,. l'arma di rappresaglia costruita dall 'équipc di von Braun ndb bascscgrcra di Pecnc·
mi.indc. pronta per essere lanciata su una città nemica da una rampa mobile. H ider spcrav:i di
poter rovesciare la situazione bellica grazie a una di qm.:stc IViuulenva_ffen (1944 c1.).

nientavano sé scessi. Belli come un dardo di Zeus, dal punto di vista ccono·
mico apparivano un investimento in perdita. Costavano quanto un aereo di
grandi dimensioni, ma potevano essere usaci una sola voi ca. Non riuscendo
a spiegarselo, gli Alleaci cominciarono a temere che fossero le avanguardie
di un futuro missile con restata nucleare e presero le contromisure.
Nel gennaio 1945 la resistenza dei tedeschi era agli sgoccioli. L'Armata
Rossa bussava ai confini della Germania avanzando rapida, spianandosi la
strada con i famigerati razzi Kacjufa: un 'arma tattica molto più elementare
delle vz, ma efficientissima. La voci sulle crudeli vendette dei sovietici ter­
rorizzavano turci. A Peenemiinde tirava un vento di morte. Gli ingegneri
e i tecnici guardavano in cagnesco le ss, spiandone le mosse, nel timore
che Himmler le avesse istruire a eliminare le menti pensanti per non farle
cadere in mano al nemico.
li 31 gennaio Kammler ordinò invece l'evacuazione di cucci quanti,
armi e bagagli. Destinazione Nordhausen, che sembrava ancora un luogo
sicuro. Seguì un contrordine, ma von Braun e Dornberger lo ignorarono.
Caricarono cinquecento persone, connellace di carte e innumerevoli parti
di vz su due treni che avevano sequestrato e diligentemcntc rappezzato
con i simboli delle ss - un salvacondocco che funzionava ancora molto
bene nel Reich - e partirono per il cuore della Germania. 1n aprile, anche
il nuovo rifugio diventò insicuro e ai fuggiaschi giunse l'ordine di spostarsi
in Baviera, vicino al fronte presidiato dagli americani. Il piano di Kammler
LA SAGA DEI NIBELUNGHI

era di vendere il tesoro di Peenemiinde agli Alleaci nel tentativo di salvarsi


la pelle. Un progetto di resa sub conditione condiviso anche da von Braun
per sé e per i suoi perché, avrebbe sostenuto in seguito, «il segreto della
missilistica doveva andare solo nelle mani di persone che leggono la Bib­
bia». Non gli bastava vivere: voleva poter continuare i suoi scudi. Due
camion di documenti e progecci accumulaci in 13 anni di lavoro furono
nascosti in una miniera di ferro abbandonata. Poi Kammler si dileguò nel
nulla; uno dei canti gerarchi inghioccici dall'oblio e rimasti impuniti.
Nel fuggi fuggi generale, von Braun e Dornberger si ritrovano insieme
in un paesino del Tirolo. Erano cucc'alcro che disperaci: «[Vivevamo] re­
galmente in un hotel per sciatori sull'altopiano[...]. Hicler era morto, la
guerra finita [...] e il servizio in hotel eccellente». Poi, con l'aiuto del fra­
tello minore di Wernher che fece da cramice, si consegnarono agli america­
ni, sentendosi non soltanto al sicuro ma, cosa molto più grave, nel giusto:
«Noi non avremmo craccaco i vostri scienziati atomici come criminali di
guerra. Le v2 erano qualcosa che noi avevamo e voi no. È ovvio che avreste
voluto sapere cucco su di esse».
Seguì il rocambolesco recupero da parte americana dei pezzi di v2 e
dei progetti dispersi nel territorio che gli yankee avevano occupato e che,
in base agli accordi presi con gli Alleati, doveva passare ai russi. Non era il
caso di usare il fair play, si disse alla Casa Bianca. Perciò, come parte dell'o­
perazione segreta denominata Paperclip, che doveva rastrellare quanti più
scienziati tedeschi possibile per impiegarli e soprattutto per sottrarli ai
russi, le prede umane e i materiali di Peenemiinde salparono per gli USA. A
bordo della nave c'era anche von Braun che, pur corteggiato dagli inglesi
ormai immemori degli scoppi delle v2 sulle loro case, aveva scelto gli Scaci
Unici 6, nella convinzione che quella grande nazione avesse interessi e risor­
se adeguate a proseguire il suo sogno.
« li mio paese ha perso due guerre nella mia giovinezza. La volca dopo
volevo essere dalla parte dei vincitori», parve giustificarsi. Gli americani,
nell'animo puritani, erano divisi sull'accoglienza da riservargli. Prevalse l'op­
portunismo. Nei primi mesi del 1947 gli fu addirittura concesso di comare
in Germania per impalmare con rito luterano la bellissima cugina di secondo
grado, diciottenne, Maria von Quiscorp, una «damina di porcellana», come
scrissero i tabloid. La sua seconda vita era cominciata, lontano dalle grida
strazianti dei lavoratori coacci, condannaci a patimenti e morte per servire il
sogno di gloria del barone von Braun, lo Junker del Gott mit um.
Alla fine, chi era davvero costui? Sicuramente un mago del!' ingegne-
LUNA ROSSA

\X'ernhc:r von Braun si consegna agli americani, il 3 maggio 194-5. Non '-t.:mbr:i &wvt.:ro la
scena di una resa. Lo scienziato esibisce un vistoso braccio ingcssaro, conseguenza di un in­
cidente automobilistico occorso qualche mese prima a causa di un colpo di sonno dd ,;;:uo
autista. Avendo rifiutato il gesso, l'osso si era saJdato male: i.: l'ano :wcva dovuro ..:sst.:n: nuova•
mente fratturato e debitamente bloccato.

ria, un visionario e un manager straordinario, ma anche un uomo cinico


ed egoista, disposto a ogni nefandezza per raggiungere i suoi scopi. Un
amorale Obermensch e un criminale di fine intelligenza? Difficile a dirsi.
Anche se mille sono le sfumature del nero, in che modo dovremmo giu­
dicare coloro le cui menti sublimi, degne del premio Nobel, partorirono
le bombe di Hiroshima e Nagasaki? Di sicuro, sulla memoria di \1(/ernhcr
von Braun pesano la sua associazione alle ss e la sua indifferenza per le
disumane atrocità del nazi-fascismo, mentre risplendono i trionfi raccolti
nella conquista dello spazio. Comunque, un personaggio assai diverso dal
suo più grande avversario di là della Cortina di ferro, il "progettista capo":
un individuo basso e tozzo, con la testa inclinata sulle spalle, gli occhi vispi
e dolci, donnaiolo scettico e pessimista, aggressivo e paterno, il quale con
implacabile determinazione avrebbe portato la sua amara patria, l'Unione
Sovietica, molto vicino alla Luna.
L'Innominato

ANDREA Infelice i: la terra che non genera eroi.


GALILEO No, Andrea: infelice i: la terra che ha bi­
sogno di un eroe.

Bertolt Brecht

È colpa della Luna, quando si avvicina troppo alla Ter­


ra fa impazzire tutti.

William Shakespeare

Giovedì 3 ottobre 1957 a Baikonur, nella steppa semidesertica del Kazaki­


stan, spirava un gelido vento siberiano. Faceva freddo, per essere solo l'ini­
zio dell'autunno. Nel cosmodromo, un grandioso impianto situato 200 km
a est del lago d'Arai, il nervosismo si tagliava col coltello.C'era in ballo un
colpo grosso, di quelli che lasciano stordito l'avversario: la messa in orbita
di un satellite artificiale! Per l'URSS era un record, nonché un primato da
spendere nella gara con gli Stati Uniti; per Nikita Chruscev (1874-1971),
segretario del Partito comunista sovietico (PCUS - Kommunisticeskaja
Partija Sovetskogo Sojuza) insidiato da una fronda interna, era un bonus
politico. I conservatori più accesi non gli avevano perdonato l'attacco sfer­
rato alla memoria del suo predecessore Stalin e lo criticavano per la mal­
destra gestione della crisi ungherese e della guerra scatenata da francesi e
inglesi ali'amico Gamal Abdel Nasser'. Un conflitto che puzzava di petrolio
e che aveva portato il mondo intero sull'orlo del baratro.
Il cosmodromo era nuovo di zecca". La costruzione della rampa di lan­
cio era terminata in aprile, giusto in tempo per il battesimo del volo del
primo missile balistico intercontinentale (1CBM) dei sovietici. Un tour
de farce avviaro nel marzo 1954 da un decreto del ministero della Difesa
dell'URSS per l'individuazione di un siro adatto a ospitare i test e i lanci
degli ICBM, bilanciando le diverse esigenze di agibilità, economicità, sicu­
rezza e segretezza. Dopo un anno di indagini, la preferenza era caduta su
un'area semidesertica della steppa in prossimità della stazione ferroviaria
di Tyuratam, lungo la linea che dalla stazione Kazanskaja di Mosca va a
Taskent, in Uzbekistan. A favore avevano giocaro una latitudine vantag­
giosa per sfruttare al meglio il moro diurno della Terra come aiuto ai lanci
LUNA ROSSA

e la bassissima densità di popolazione locale, che minimizzava i rischi di


fughe di notizie e i pericoli per i civili in caso di incidente. La piattezza del­
la steppa, poi, semplificava le trasmissioni radio tra le stazioni di controllo
dislocate sul terreno entro un raggio di 2.50 km dalla base col fine di trian­
golare posizione e velocità dei veicoli spaziali. Queste stazioni facevano
il pari con quelle della vasta rete messa in piedi sul territorio sovietico sin
dagli albori della corsa allo spazio per consentire la comunicazione a due
vie con i missili e affini: inviare comandi a bordo e raccogliere ed elaborare
le informazioni provenienti dall'orbita.
I lavori, eseguiti per lo più da reparti del genio militare, avevano stra­
volto la vita dei pochi abitanti del vicino villaggio di Lenisk. Dal nulla
di una millenaria storia di solitudine, nell'arco di pochi mesi s'erano ma­
terializzate decine di migliaia di operai e tecnici, teorie di interminabili
treni merci carichi di materiali e una moltitudine di soldati armati a fare la
guardia. E poi le frequenti esplosioni delle mine per scavare fondamenta
e profonde trincee, la polvere e il nuovo skyline di un angolo della steppa,
delineato da altissimi e complicati tralicci e capannoni, illuminati anche
di notte.
li nome "Baikonur", con cui i media sovietici si riferivano al sito, appar­
teneva in realtà a una cittadina ubicata a 400 km di distanza dal cosmo­
dromo in direzione nord-est. Probabilmente un espediente per sviare le
indagini del!' intelligence americana, la più curiosa perché a servizio dell'u­
nico vero concorrente dell'URSS sul piano sia delle armi nucleari sia della
corsa allo spazio. In effetti, il sito risulcò tanto nascosto da indurre la CIA a
ricorrere allo spionaggio aereo ad alta quota per snidarlo. Un 'esigenza mal­
destramente gestita, che nel 1960 avrebbe generato una grave crisi interna­
zionale quando un aereo stratosferico u2., mandato proprio per fotografare
il cosmodromo, fu abbattuto da un missile SAM e il pilota, il tenente Gary
Powers, catturato con le mani nella marmellata e nessuna voglia di immo­
larsi per la Patria. In ogni modo, l'uso costante di Baikonur per indicare la
facility di lancio sovietica finì per attecchire, diventando la denominazione
ufficiale nel 1995 quando Boris Elcsin ribattezzò così Leninsk, il borgo che
il personale del cosmodromo aveva trasformato in città.
li lancio del satellite era stato fissato di lì a tre giorni, la sera del 6 otto­
bre alle ore 10 e 30 minuti del tempo di Mosca, corrispondenti alla locale
mezzanotte e mezzo. Una finestra notturna utile sia a sfruttare al meglio la
spinta della rotazione terrestre e far guadagnare gratuitamente velocità al
vettore, sia per proteggere l'operazione dallo spionaggio aereo. L'eccezio-
L'INNOMINATO 73

nale evento aveva richiamato nel cosmodromo ospiti illustri, politici e mi­
litari. Per tutti la parola d'ordine era di tenere la bocca chiusa, soprattutto
se le cose non fossero andate nel verso giusto. Il mondo sarebbe stato in­
formato solo in caso di successo ed esclusivamente tramite gli organi di co­
municazione del Partito. Era una procedura standard in tutte le dittature,
che nell' u RSS passava attraverso la TASS, l'agenzia che per decreto del Pre­
sidium del Soviet supremo deteneva «il diritro esclusivo di raccogliere e
distribuire informazioni al di fuori dell'Unione Sovietica, nonché il dirit­
to di distribuire informazioni nazionali ed estere all'interno dell'Unione
Sovietica e di gestire le agenzie di stampa delle repubbliche sovietiche»'.
Nel gruppetro dei pezzi grossi che si aggirava per l'installazione, tra
le divise verde oliva dei militari e i colbacchi dei civili, si distingueva un
cinquantenne con una bella faccia ronda e una voce ora suadente e ora ro­
nante, infagottato in un cappotro di pelle nera a falde larghe. Gli estranei
si rivolgevano a lui chiamandolo gfavnij konstruktor, "progettista capo", al
che lui annuiva accennando un sorriso larvato per invogliare l'interlocu­
tore a continuare. Poi, quasi non ascoltava, perché aveva la testa altrove.
Sentiva su di sé come un macigno il peso di quei giorni. Sua era stata la pro­
messa a Chrusè':ev di collocare, prima di chiunque altro, una luna artificiale
in orbita intorno alla Terra, a riprova delle superiori capacità tecnologiche
dell'Unione Sovietica. Come alle Olimpiadi, i comunisti di tutto il mon­
do aspettavano con ansia un podio di cui potersi vantare.
L'impresa faceva parte del lato "sportivo" del durissimo scontro fra due
ideologie e due diversi sistemi economici. Per Chruscev significava pre­
stigio fuori casa e maggiore solidità all'interno del Partito e dell'apparato
statale. Per il progettista capo essa rappresentava l'avverarsi di un sogno a
lungo anelato e pagato in anticipo a durissimo prezzo. Stava per giungere
il momento della verità. Mentre rimuginava sui possibili problemi del lan­
cio, ringhiando qualche ordine e redarguendo qualche sottoposto con un
fiume di insulti, gli venne consegnato un cablogramma che lo fece sbian­
care. Gli 007 dell'ambasciata sovietica a Washington avevano fiutato che
gli yankee stavano a loro volta per lanciare. Ma quando?
Fremente, ilgfavnij konstruktor pretese di parlare subito con Mosca, ma
la telefonata non fece che acuire la sua agitazione. Il rischio di un sorpasso
americano sul filo di lana sembrava concreto. Che gli agenti dei servizi se­
greti avessero preso un granchio si sarebbe saputo solo in seguito. Ormai le
carte erano state date e, nella totale ignoranza sulla mano del!'avversario,
non restava che giocare d • anticipo e lanciare il giorno dopo.
74 LUNA ROSSA

Assumendo su di sé la responsabilità di questa grave decisione, con lo


stesso coraggio con cui Nelson a Trafalgar aveva disobbedito al suo co­
mandante riuscendo a sbaragliare la flotta di Napoleone. l'uomo in nero
impartì gli ordini necessari e la danza incominciò. Il razzo che doveva fare
da fionda per il satellite si chiamava R-7 Semerka, parola che in russo vuole
appunto dire "7� e ora dormiva sdraiato dentro un hangar. Le sue diverse
parti erano arrivate in treno dalle fabbriche, per lo più nelle regioni di Mo­
sca, Leningrado, e di Charkiv in Ucraina, tessere di un puzzle high-tech da
assemblare nell'area tecnica del cosmodromo di Baikonur.
Una copia quasi identica dell'R-7 era stata sperimentata con successo
un mese e mezzo prima. Il gigante, caricato con un simulacro di testata
nucleare, era decollato maestosamente dal ploshchadka (sito) n. 1 seguendo
l'itinerario prefissato fino al bersaglio, sulla penisola della Kamcatka. La
TASS aveva riportato l'ottimo risultato - macchiato solo da un piccolo
incidente alla fine del volo che, come di prassi, era stato taciuto nel comu­
nicato stampa - con un laconico: «Il 2.7 agosto 1957 l'URSS ha realizzato
il primo missile balistico intercontinentale multistadio». A buon intendi­
tor poche parole.
Per adattare questa formidabile macchina da guerra a taxi per uno
Sputnik erano bastate due rapide modifiche. Un nuovo naso. più corto e
leggero di quello concepito per ospitare e proteggere la bomba atomica, e
un ritocco al carburante in modo da aumentare la spinta e raggiungere la
velocità minima richiesta per collocare una piccola sfera di 84 kg in un'or·
bita terrestre bassa.
Prima di proseguire, occorre un chiarimento. Che diffrrenza passa tra
una cannonata e un lancio di un oggetto in orbita? Nel primo caso il pro­
iettile spende la componente (verticale)• della velocità acquisita all'atto
dello sparo per guadagnare quota e poi, dopo avere esaurito la spinta, pre·
cipita a terra (a patto, è ovvio, che il botto non sia stato tale da far evadere
il proiettile dal campo gravitazionale della Terra; ma per fare ciò serve una
velocità molto elevata, 11,2. km al secondo). La nostra Luna, invece, non ci
cade in testa in quanto la forza di attrazione gravitazionale è esattamente
uguale alla forza centripeta necessaria perché essa si muova sulla sua orbita
(quasi) circolare alla sua velocità. Questa condizione vale per qualunque
altro raggio orbitale, maggiore o minore di quello lunare, a patto di non
rimanere così bassi da risentire dell'effetto frenante dell'attrito atmosfe­
rico. In conclusione, chiunque voglia mettere un oggetto in orbita, deve
porsi nella condizione che, una volta raggiunta la quota voluta, la velocità
L'INNOMINATO 75

sia proprio quella richiesta dalla gravità per tenerlo esattamente a quella
quota e su quella traiettoria. Se fosse minore il corpo scenderebbe un po',
se maggiore scapperebbe via. Allo Sputnik occorrevano 7,9 km/s, una ve­
locità di tutto rispetto che ci porterebbe in un minuto esatto da Roma a
Milano e che l'R-7 era in grado di toccare grazie a quattro bruciatori addi­
zionali collegati al secondo stadio, da sganciarsi dopo l'uso.
Torniamo a Tyuratam. In base al nuovo programma, mancavano poco
più di 2.4 ore al via. Il progettista capo ordinò ai suoi di trasferire subito
il razzo dall'hangar alla piattaforma di lancio. Un tragitto breve, a pas­
so d'uomo, per raggiungere un massiccio balcone di cemento armato nel
quale un foro al centro avrebbe permesso, al momento del via, Io sfiato
dei gas fiammeggianti su un grande bacino posto 35 metri più in basso.
Arrivato a dimora, il gigante venne raddrizzato con una gru e agganciato
alle strutture mobili di servizio, che lo abbracciarono come petali d'una
pianta carnivora. Squadre di ingegneri in camice bianco avviarono gli ul­
timi controlli alla luce delle fotoelettriche, mentre cominciava il carico
dell'ossigeno liquido, del kerosene e dei gas amorfi. Operazione lunga e
pericolosa, dove anche il minimo errore avrebbe potuto rivelarsi fatale sia
per il purosangue sia per i suoi stallieri.
Il viceministro della Difesa e capo della Forza strategica missilistica,
il pluridecorato generale Mitrofan Nedelin, assisteva alle operazioni scu­
ro in volto. Era stato lui a promuovere il programma che aveva partorito
l'R-7. Credeva infatti che un ICMB potesse essere la miglior risposta alla
sfida lanciata dagli americani con i B-52., i bombardieri strategici a lungo
raggio prodotti dalla Boeing a partire dal 1955 per trasportare le pesan­
ti testate nucleari ovunque nel mondo sfruttando il rifornimento in volo
(nonché le basi degli alleati tutt'intorno al territorio sovietico).
A cose fatte, però, Nedelin stava toccando con mano I' inefficien­
za del sistema. La capacità di portare una grossa bomba dall'altra parte
dell'Atlantico non bastava a qualificare gli R-7 come armi tattiche di difesa
se per renderli operativi ci voleva un' intera giornata. I razzi del progettista
capo si comportavano allo stesso modo di un pugile dotato di un gancio
micidiale, sferrato però al rallentatore. I nemici, rifletteva amaro il genera­
le, avrebbero avuto tutto l'agio di eliminarli al parcheggio, mentre ancora
succhiavano carburante dai loro giganteschi biberon.Tuttavia, almeno per
ora, risultava tecnicamente impossibile tenere questi siluri celesti svegli e
con i serbatoi pieni, pronti a gettarsi sull'avversario. Un grosso flop sul
piano militare. Il glavnij konstruktor capiva bene il problema, ma per il
LUNA ROSSA

momento aveva altro a cui pensare. In fondo, gli importava relativamente


poco delle paturnie dei militari e delle loro esigenze. Lui voleva lo spazio e
sognava viaggi verso altri mondi.
Finalmente scese la sera. All'approssimarsi dell'ora del lancio, l'area
venne evacuata, poiché c'era il rischio concreto che al via il razzo esplo­
desse. Le autorità e i tecnici indispensabili alle manovre trovarono rifugio
nel bunker di comando. L'ambiente era spoglio, mille miglia lontano dalle
enormi sale scintillanti di LED e di monitor che i media ci fanno vedere
oggi, quasi dei teatri dove trova posto anche un pubblico di invitati. A
Baikonur era bandito il lusso, e anche l'essenziale appariva spesso scrostato
e male in arnese.
All'epoca, i russi non utilizzavano la tecnica del conto alla rovescia già
in voga in America per sequenziare e monitorare le diverse fasi prepara­
torie al lancio. Si partiva quando lo diceva lui, ilglavnij konstruktor. E lui
lo disse, nonostante gli fosse stato segnalato che uno dei quattro razzi la­
terali non era riuscito a completare il pieno di carburante. Fermarsi, infat­
ti, avrebbe significato perdere la finestra di lancio, rimandare di un altro
giorno e magari farsi superare in extremis dagli odiati capitalisti. Meglio
rischiare.
Scattò la sequenza dei diversi passi del protocollo di lancio, ua cui un
preriscaldamento dei motori a basso regime. Il gigante sbuffava e vomitava
fiamme. Lo si vedeva bene attraverso uno dei due periscopi in dotazione al
bunker. Il rumore era assordante, come il ruggito di una gigantesca belva
ferita. Finalmente venne autorizzata la piena potenza e l' R-7, un obelisco
alto 34 metri e pesante 380 tonnellate, dopo una programmata incertezza
di qualche secondo cominciò a sollevarsi via via sempre più velocemente,
sino a diventare una debole chiazza luminosa nel nero del cielo.
Silenzioso in un camice bianco che gli andava stretto, il progettista
capo appariva estremamente teso. Stava giocandosi la carriera e tutte le
sue speranze. Esaminava attentamente le letture dei diversi strumenti e, se
qualcuno alzava la voce o mostrava segni di agitazione, era subito all'erta
per capire che cosa stesse succedendo.
Preoccupazione comprensibile ma in questa circostanza inutile. L'asce­
sa del razzo, seguita da una catena di stazioni radio sparpagliate nell'im­
menso paese, procedeva bene. Il difetto di carburante pareva non aver
avuto gravi conseguenze. Poi, forte e chiaro, si udì il bip dello Sputnik che,
espulso dal suo ascensore, s'era incamminato lungo il sentiero celeste a lui
destinato. Un'orbita inclinata' di 65° rispetto all'equatore, con perigeo a
0
L I NNOMINATO 77

Lancio dello Sputnik, dal cosmodromo sovietico di Baikonur in Kazakistan. il 4- ottobre


1957. li porcncc missile R-7 progctraro dall 'uflìcio di Scrgcj Korolcv decolla dalla piarra­
forma in cemc,uo spinto dai quattro razzi larc:rali che ne compongono il primo sr:idio. In
basso si intravede il b:igliorc del gas infuoc:uo espulso dai 16 ugelli delegati a imprimere
all'immenso obelisco volante u113. spinta suAìcicnte a portarlo :illa base della stratosfera,
dove la mano passeri :d ,;;ccondo stadio.

215 km di quoca e un apogeo a 940 km, percorsa in 96 minuri. Passò una


mezz'ora e il segnale scomparve - d sarellire era rramonraro per gli orec­
chi dislocaci sul rerrirorio sovierico - per riapparire dopo un'ora, proprio
come prcvisro. el bunker esplose la gioia. Si abbracciavano rutti. Forse
spunrò fuori qualche bottiglia di vodka e di spumanre armeno assieme
ad alcuni barattoli di caviale nero. Per un istanre il glavnij konstruktor si
dimenricò dei terribili corti subiti e baciò con slancio l'ingegnere capo,
Valentin Petrovic Glusko.
Era giunto il momenro di comunicare la norizia a Chrnsèev. Quel
giorno il leader era volato a Kiev, città che amava molro, per partecipare a
un ricevimenro serale al Palazzo Mariinskij, ricostruiro dalle rovine della
guerra. Lì la vodka scorreva davvero a fiumi. Alle II un valletto gli comu­
nicò che era desideraro al telefono da un funzionario del suo sraff di Mo-
LUNA ROSSA

sca. Nikita, che non disdegnava alzare il gomito, lasciò la sala leggermente
traballante. Quando ricomparve in pubblico, «il suo volto risplendeva»,
come avrebbe raccontato il figlio Sergej nelle sue memorie. Chiese agli in­
vitati di far silenzio e prese la parola:

[ Tovarish ], posso darvi alcune notizie molro piacevoli e importanti. disse. Korolev
ha appena chiamato (a questo punto assunse un atteggiamento di mistero). È uno
dei nostri progettisti di missili. Ricordatevi di non menzionare mai il suo nome: è
un segreto militare. Insomma, Korolev mi ha appena riferito che oggi, poche ore
fa, è stato lanciato un satellite artificiale della Terra. Chruscev guardò trionfante i
presenti, rutti sorrisero educatamente, senza capire che cosa fosse successo.

La parola "satellite" non diceva nulla a nessuno degli astanti, semplici boiar­
di di partito, ed era pure la prima volta che sentivano pronunciare il nome
di Korolev. Sicuramente fecero tutti intendere di aver prontamente dimen­
ticato ciò che non andava ricordato - Stalin li aveva educati assai bene a ob­
bedire ciecamente-, ma di certo qualcuno, in cuor suo, si chiese chi diavolo
fosse questo innominabile.
Sergej Pavlovic Korolev (1907-1966) era venuto al mondo a Zitomir,
storica città dell'Ucraina occidentale. li padre, Pavel Jakovlevic, un in­
segnante di lingua e letteratura russa di umili origini contadine, veniva
dalla Bielorussia. La madre, Maria Nikolaevna, apparteneva invece a una
famiglia ucraina di agiati mercanti di pellicce della città di Ni:iin e van­
tava genuini ascendenti cosacchi. Il cocktail di sangue era completato
da antenati greci e polacchi. Il matrimonio tra Pavel e Maria era durato
poco: la donna mal sopportava la magra esistenza cui il marito la costrin­
geva. Sergej aveva appena tre anni quando i due si separarono. Lui venne
condotto a casa dei nonni materni a Ni:iin, dove crebbe in grande so­
litudine. Aveva pochi amici. La sua brillante intelligenza e un carattere
«testardo, ostinato e polemico» gli procuravano l'antipatia e l'ostilità
dei compagni, gelosi dei suoi successi scolastici. Soffriva anche di caren­
ze affettive. Maria aveva ripreso a studiare e si assentava spesso a Kiev.
Nel 1916, la donna si risposò con un ingegnere elettronico formatosi in
Germania, che aveva appena ottenuto un impiego nelle ferrovie regio­
nali sud-orientali, perciò, l'anno seguente la nuova famiglia si trasferì a
Odessa. Il patrigno, uomo colto e gentile, si dimostrò un vero padre e un
riferimento culturale per il giovane Sergej, cui trasmise anche l'amore per
le scienze e per la tecnologia.
L'INNOMI NATO 79

Correvano tempi difficili. La Russia zarista, in guerra da tre anni, stava


collassando. L'arrivo nella nuova casa sulle sponde del Mar Nero coinci­
se praticamente con lo scoppio della Rivoluzione d'Ottobre. Odessa, che
già aveva patito i tumulti della rivolta operaia del 1905, quella sostenuta
dai marinai della corazzata Potemkin e raccontata in un celebre film di
Éjzenstejn, venne occupata dal comitato centrale ucraino, poi dall'esercito
francese, dall'Armata Bianca dei nostalgici sostenuti dall'Occidente e da
quella dei rivoluzionari rossi.
I pericoli e le violenze cessarono nel 192.0, quando la città e il suo territo­
rio vennero definitivamente annessi dai bolscevichi all'Unione Sovietica.
Nel frattempo, le scuole erano rimaste chiuse e Sergej aveva dovuto arran­
giarsi a studiare a casa. In quel difficile periodo lesse di tutto con avidità,
dalla matematica alla poesia tedesca, dai manuali di ingegneria sugli sforzi
dei materiali agli scritti di un anarchico francese esperto in aerostati, «be­
vendosi di tutto e tenendo ogni cosa in memoria». Nel 192.2. superò brillan­
temente gli esami dell'ultimo anno della scuola professionale di costruzio­
ne, sui cui banchi incontrò Ksenija Vincentini, una ragazza «snella, molto
graziosa, con una treccia che penzolava oltre la vita e grandi occhi». Nel
1931 sarebbe diventata sua moglie e madre dell'unica figlia, Nacal'ja. Due
anni dopo risalì al Nord per iscriversi ali' Istituto politecnico di Kiev. Fu un
ripiego: avrebbe infatti voluto frequentare l'Accademia militare di Mosca
intitolata a Nikolaj Zukovskij (1847-192.1), l'uomo che per primo al mondo
aveva affrontato matematicamente molti dei problemi del volo aprendo la
via a una nuova branca dcli' ingegneria. Aveva già le idee ben chiare.
La vicinanza a casa di una squadriglia di idrovolanti della guardia co­
stiera di Odessa aveva da tempo acceso in lui la passione per il volo. Non di
rado faceva lunghe nuotate per andare a godersi da vicino le loro giravolte.
Nel tempo libero aveva addirittura costruito un aliante e a 2.1 anni era sta­
to tra i primi a iscriversi alla Società degli amici della Rotta aerea. Volava
spesso, con coraggio e grande freddezza nelle situazioni di pericolo. Una
volta cadde in mare mentre, arrampicato su un'ala di un biplano in panne,
ispezionava il livello dell'olio. Un tuffo di 10 metri; se la cavò grazie alle
sue spiccace qualità sportive e a una forma fisica mantenuta con nuoto e
ginnastica, che quindici anni dopo in Siberia gli avrebbe permesso di so­
pravvivere al freddo e agli stenti.
Nella capitale, la splendida Kiev adagiata sui colli a cavallo del grande
Dnepr, Korolev trovò altri compagni con cui condividere la sua montante
passione. Passarono altri due anni e si spostò finalmente a Mosca, tornata
80 LUNA ROSSA

capitale di un grande paese in costruzione, per frequentare una prestigiosa


scuola di ingegneria, l'Istituto Bauman di alta formazione tecnica, dove si
laureò nel 192.9 con un relatore d'eccezione, il progettista di aerei Andrej
Tupolev (1888-1972.). Aveva 2.7 anni, un amore nel cuore per la sua Ksenija
(che al tempo ancora non lo ricambiava), un titolo accademico spendibile
ovunque e una passione ormai matura per il volo.
Per un po' lavorò in una fabbrica di aerei, poi ideò e costruì insieme al
patrigno un aliante acrobatico che ricevette i complimenti nientedimeno
che dal grande Sergej Iljusin, un altro gigante nella progettazione aero­
nautica. Finalmente, nel 1931, il suo maestro Tupolev lo chiamò a Mosca,
all'Istituto centrale di aero-idrodinamica, il Tsentralniy Aerogidrodina­
micheskiy lnscitut (TSAGI), con il compico di sviluppare un aucopilota per
il progetto di un bombardiere pesante a cui scava lavorando. L'Isticuco era
stato fondaco nel 1918 da Zukovskij, padre dell'aviazione russa, tre anni
prima di morire.
Quanti geni, si dirà, concentraci nella Grande Russia era la fine dell'Ot­
tocento e l'inizio del Novecento! Non è poi così sorprendente. Ogni civiltà
deve avviarsi al tramonto per poter raggiungere la propria maturità cultu­
rale. È una questione di inerzia. Il potere decade prima e più rapidamente
dell'ingegno. La Russia imperiale aveva concluso il proprio ciclo vitale e
una nuova forma di società scava maturando sulle rovine di quella scom­
parsa. Nuovi ideali che potevano accingere a un ricco patrimonio di saperi.
Dal 192.7, Stalin era il padrone assoluto di un paese grande come un
concinence, poverissimo e arretraco, dove tuttavia resistevano picchi altis­
simi di conoscenza e di competenza. Il dittatore aveva parecchi obiettivi
prioritari: razionalizzare l'agricoltura per sconfiggere la fame, industrializ­
zare le attività produttive per competere con il sistema occidentale, espan­
dere i servizi, era cui la scuola per sradicare l'analfabetismo, e valersi di
cervelli che altrimenti sarebbero andati sprecaci; e sopractutco difendere sé
stesso, annientare l'opposizione interna, conservare il potere e promuove­
re la propria immagine6•
Al tempo in cui raggiunse Tupolev, Sergej non era staro ancora conta­
giato dalla missilistica, pur avendo già ascoltaro, su consiglio dei suoi do­
centi, diverse conferenze sul tema futuribile della conquista dello spazio.
I razzi lo interessavano soprattutto per il loro impiego nella propulsione
degli aerei. A parte Ciolkovskij, che agiva da lupo solitario, in u RSS il tema
era già vivo e presence nel Laboratorio di gasdinamica a Leningrado dove
lavorava l'ingegnere Glusko (che avrebbe in seguico parteciparo al lancio
L'INNOMINATO

dello Sputnik). L'istituto di ricerca, responsabile tra l'altro dello sviluppo


dei razzi Katjusa che avrebbero fatto sentire ai nemici il loro micidiale can­
to' durante la Grande guerra patriottica, originava da un'impresa privata
patrocinata dallo stesso Lenin per « la costruzione e il benessere di una
nazione giovane di lavoratori e contadini».
A Mosca, l'interesse per i missili era invece coltivato in seno al Grup­
po per lo studio della propulsione a reazione (GIRD - Gruppa izucheniya
reaktivnogo dvizheniya). Una sorta di club per dilettanti patiti dei razzi,
fondato nel 1931 e analogo alla VFR tedesca e alla statunitense American
Interplanetary Society, che in breve tempo si ramificò a Leningrado e suc­
cessivamente a Baku (Azerbaigian), T blisi (Georgia), in Bielorussia e nel
Caucaso. Assieme a un collega del TSAGI, il lettone Friedrich Arturovic
Tsander (1887-1933), Korolev prese a frequentare sempre più assiduamen­
te la sezione moscovita.
Di vent'anni più vecchio, Tsander era uno dei primi seguaci di
Ciolkovskij e aveva già alle spalle la progettazione di motori a razzo e an­
che la pubblicazione, nel 192.4, di un libro divulgativo, Voli su altri pianeti.
Era un tedesco del Baltico, che la storia della scienza ricorda come il primo
uomo ddl'uRSS a compiere i passi necessari per trasformare l'astronautica
in una scienza applicata. Col passare dei mesi i due amici - ormai inna­
morati di Oberth, del quale conoscevano bene i lavori, e attraverso lui di
Goddard - cominciarono a trascorrere gran parte del loro tempo libero al
GIRO. Il risultato di questa attività fu un propulsore a combustibile liqui­
do non molto diverso dai primi sviluppati a Berlino.
Nello stesso periodo, a Leningrado, Valentin Glusko (1908-1989) spe­
culava su un motore a razzo con impulso prodotto da cariche elettriche
accelerate da un'intensa differenza di potenziale che, come avrebbe detto
poi sfoggiando il suo caratteristico egocentrismo, « anticipava di trent 'an­
ni circa lo stato della scienza e della tecnologia». Coetaneo di Sergej,
Glusko veniva proprio da Odessa, anche se i due, pur frequentando la me­
desima scuola, non avevano mai avuto l'occasione di incrociarsi. Era figlio
di povera gente. Ancora tredicenne, s'era invaghito dello spazio esternan­
do la sua vocazione con una lettera a Ciolkovskij che, di rimando, gli aveva
domandato da bravo crociato quanto la sua fede fosse salda. «Voglio dedi­
care la mia vita a questa grande causa», era stata la sua lapidaria risposta.
Avrebbe mantenuto la promessa, a costo della vita.
U motore su cui lavoravano Tsander e Korolev presentava diversi pro­
blemi dovuti all'inesperienza e alla mancanza di riferimenti. Finalmente,
LUNA ROSSA

nel 1933 fu pronto al lancio a bordo di un involucro snello, denominato


GIRD-X, che nel volo inaugurale raggiunse l'altezza di 5 km. Tsander non
poté gioirne: una febbre tifoide se l'era portato via qualche mese prima.
Come in Germania, il successo dell'impresa attirò l'attenzione dei militari
sull'attività del GIRD, determinandone la fusione con il Laboratorio di ga­
sdinamica di Leningrado per dar vita a una nuova entità, l'Istituto di ricer­
ca per la propulsione a getto (RNII - Reaktivnyy nauchno-issledovatel'skiy
institut), con base a Mosca. Un decreto del Soviet del lavoro e della difesa lo
poneva sotto la giurisdizione del Commissariato del popolo per l'Industria
pesante e ne affidava il controllo a un generale dell'Armata Rossa, Michail
Nikolaevic Tuchaéevskij (1893-1937 ), di origini aristocratiche, modi raffi­
nati e grande cultura: parlava diverse lingue, suonava il piano con maestria
e scriveva libri. Un bolscevico atipico. La direzione fu lasciata all'ingegnere
militare Ivan Klejmenov, già alla guida del Laboratorio di gasdinamica. Ko­
rolev venne nominato suo vice. Una promozione folgorante, ma di breve
durata. Entrato in conflitto col suo capo, Sergej fu presto retrocesso. Un
atto di mobbing che di lì a tre anni gli avrebbe salvato la pelle.
Venne infatti la stagione del grande terrore. Stalin, archetipo dell'uomo
forte (il suo nome di battaglia significa "uomo di acciaio"), del leader san­
guinario e del dittatore carismatico, alla fine degli anni Venti aveva avviato
un programma quinquennale di rinnovamento dello Stato e di gestione del
potere fondato sulla più brutale violenza. La sua attenzione era puntata sia
sulla falce che sul martello: aveva infatti introdotto la collettivizzazione
forzata e la meccanizzazione dell'agricoltura, potenziato l'industria pesan­
te e promosso la nascita di nuove città per ospitare gli operai, di nuove scuo­
le e università per procurarsi gli ingegni con cui realizzare il suo progetto.
Chi si opponeva ai suoi disegni veniva arrestato, deportato o ucciso.
Un esempio: i piccoli proprietari terrieri dell'Ucraina contadina, che tra
il 1932 e il 1933 avevano cercato di resistere alla gestione comunista della
terra, erano stati letteralmente affamati mediante una carestia pianificata a
tavolino, l' Holodomor ("fame di massa"), la cui dolorosa memoria resiste
ancora. «Una sola morte è una tragedia», si dice sostenesse cinicamente
Stalin, «un milione di morti è una statistica». E agì di conseguenza an­
che nei confronti dei militari, dell'apparato di partito, dell'intellighenzia
e della Chiesa ortodossa. Tra il 1936 e il 1938, una cieca mannaia si abbatté
sui componenti di quasi tutta la vecchia guardia bolscevica. Ossessionato
dai complotti, il dittatore voleva purificare il PCUS stesso nel convinci­
mento che si dovesse arare il campo per poter seminare il nuovo. Caddero
L'INNOMINATO

le teste di un quarto degli ufficiali dell'Armata Rossa, una strage che avreb­
be avuto gravi ripercussioni nel!' iniziale condotta della guerra contro i na­
zisti per via della carenza di leadership. Il diktat per i suoi tribunali era di
rovesciare l'amico principio giustinianeo del in dubio pro reo. Bastava un
minimo sospetto per trovarsi in grossi guai. Esattamente ciò che successe
sia a Glusko che a Korolev.
Nel giugno 1937, mentre Hicler e Mussolini si affilavano le unghie contro
i comunisti spagnoli, la TASS annunciò che il maresciallo Tuchacevskij, figu­
ra di spicco del Partito bolscevico, era stato arrestato e fucilato con la con­
sueta accusa di essere nemico del popolo perché spia dei tedeschi. Parimen­
ti, vennero uccisi anche sua madre, la sorella e due fratelli. In realtà, le prove
contro di lui erano state confezionate ad arte, su ordine di Stalin, dal Com­
missariato del popolo per gli affari interni (NKVD - Narodnyj komissariat
vnutrennich del), l'equivalente del nostro ministero degli Interni.
I rapporti di Tuchacevskij con l' RNII indussero a disinfestare l'Istituto,
eliminando tutti i funzionari di grado elevato, tra cui Glusko e Korolev.
Probabilmente, a catalizzare gli arresti giocò anche la delazione di un col­
lega che voleva sbarazzarsi della concorrenza; o forse, si disse, ognuno de­
gli arrestati, a catena, chiamò in ballo un altro nella speranza che la denun­
cia potesse giovargli. Del tipo, "porta un amico e avrai uno sconco di pena".
Il 2.7 giugno 1938, in piena notte, quattro persone, due agenti dell'NKVD
e due testimoni, irruppero nell'abitazione di Korolev intimandogli di rac­
cogliere poche cose e di seguirli. Alla sua richiesta di spiegazioni, gli venne
risposto che aveva sperperato denaro pubblico. Lo condussero nella fami­
gerata prigione di Leforcovo, nell'omonimo distretto al centro di Mosca,
dove venne interrogato e picchiato. Quando chiese un bicchiere d'acqua,
un poliziotto gli sbatté la brocca in faccia rompendogli la mascella. Un
incubo! Fu poi condotto davanti a un giudice che gli ordinò di confessare
le sue colpe. «Quali colpe?», mormorò l'accusato sotto shock. «Quelle
elencate nel foglio che ti è stato dato», rispose il giudice. «Ma io non
ho fatto nulla!». «Tutti voi criminali pretendete di essere innocenti. Sei
colpevole! Ti condanno a IO anni di lavori forzati. Avanti un altro». Una
scena da tribunale giacobino. A nulla valsero gli appelli allo stesso Stalin
da parte di un disperato Sergej e di sua madre.
Korolev venne dapprima incarcerato e poi, dopo qualche mese, spedito
nella regione della Kolyna, nell'estremo Nord-Est della Russia, al di sopra
del Circolo polare artico. Era inverno e nella tundra la temperatura scen­
deva oltre 30 °C sotto lo zero. Il gulag era localizzato presso una miniera
LUNA ROSSA

d'oro a cielo aperto. I forzati tagliavano alberi, scavavano buche e tiravano


carretti. Il cibo scarseggiava, due zuppe al giorno e 80 grammi di pane, il
vestiario era del tutto inadeguato, le baracche gelide e praticamente nessu­
na assistenza medica. Si moriva a grappoli, come da programma. A causa
dello scorbuto, Sergej perse quasi tutti i denti.
Poi, pressoché inaspettatamente, questo orrore per lui finì. Nel 1939
venne ridestinato a un campo di lavoro per eccellenze intellettuali, un isti­
tuto di ricerca segreto, la faraJka 0KB-2.9 (Opyrnoe konstruktorskoe bju­
ro - "Ufficio per la progettazione sperimentale"), con una pena ridotta a
8 anni. Che cosa era successo?
Stalin, sempre attento a cogliere le mosse degli avversari, grazie anche
ai tanti simpatizzanti per il comunismo sparsi in ogni dove nel mondo
era venuto a conoscenza dei progressi fatti dal team di von Braun a Pee­
nemiinde. Impressionato, aveva ordinato al suo fedelissimo connazionale
Lavrentij Berija (1899-1953), ora in sella all'NKVD, di studiare la faccenda
in dettaglio e prendere le adeguate contromisure. Una scelta azzeccata per­
ché costui, uomo infido, vizioso e crudele, era tuttavia uno straordinario
organizzatore. Bisognava recuperare quanti più scienziati possibile e met­
terli a lavorare sotto la guida di Tupolev, anche lui nel frattempo arrestato
con la solita cantilena «sabotaggio, attività controrivoluzionarie e spio­
naggio». A Mosca venne quindi creata una faraJka Tupolev, raccogliendo
dai gulag i migliori specialisti di aeronautica e missilistica. Tra loro i due
forzati Korolev e Glusko, che si ritrovarono a lavorare insieme pur nutren­
do scarsa simpatia l'uno per l'altro. Sergej pensava addirittura che fosse
stato Valentin a farlo arrestare, per scagionare sé stesso.
Le condizioni di vita nel campo di concentramento per VIP erano più
umane e soprattutto il lavoro pesante era sostituito da un'attività intellet­
tuale, assai meno faticosa e molto più gratificante. «Tutti gli animali sono
uguali, ma alcuni sono più uguali di altri», avrebbe detto George Orwell.
Gli scienziati facevano gli scienziati, servendo con dedizione quella pa­
tria che li aveva strapazzati e che tuttavia continuavano ad amare dispe­
ratamente. Una lealtà che in Korolev raggiungerà vette altissime. I venti
di guerra suggerivano di concentrarsi sui prodotti che sarebbero serviti a
vincere, gli aeroplani. Così i razzi vennero per il momento accantonati,
ma non i loro motori, materia di cui Glusko era un grande esperto, perché
potevano servire a rendere i velivoli più veloci e performanti. Nella corsa
alla stratosfera, i rivali tedeschi di Pcenemiinde erano ormai rimasti soli a
gareggiare con sé stessi in Europa.
0
L INNOMINATO 85

li 27 maggio 1941 i venti di guerra diventarono tempesta. Hitler, deluso


per gli esiti della Battaglia d'Inghilterra, aveva ordinato l'invasione della
Russia. Al fine di ottenere un risultato clamoroso e rapido mise in campo
tutta la potenza e l'efficienza delle sue armate di terra e di aria. Stalin, im­
preparato, chiamò a raccolta il popolo, proponendo addirittura un armi­
stizio al pope di Mosca perché tutti, ma proprio tutti, partecipassero alla
guerra patriottica dando il massimo. Nel complesso, uno spiegamento di
forze, nei due fronti, mai visto in precedenza.
Come già aveva fatto 130 anni prima la Grande Armée di Napoleo­
ne, le truppe altamente meccanizzate del Fiihrer arrivarono rapidamente
alle porre di Mosca e di Leningrado. Lì, a un passo dalla vittoria, venne­
ro fermate dalla megalomania di un disegno strategico che continuava a
ignorare le lezioni della storia, dal coraggio disperato di militari e di ci­
vili, e dal più affidabile dei soldati russi, il "generale inverno� Già alla fine
di quell'anno l'iniziale slancio tedesco s'era arrestato. Ma la vera svolta si
ebbe con la battaglia per il possesso della città di Stalingrado, porta strate­
gica per raggiungere il petrolio del Caucaso di cui la Germania aveva gran
sete. Uno scontro all'ultimo sangue durato dalla metà del 1942 al febbraio
dell'anno successivo. La spuntarono i sovietici, con miracoli di eroismo
che a 75 anni di distanza il popolo russo non ha ancora dimenticato.
Quando giunse la primavera del 1945 l'Armata Rossa tuonava ormai
minacciosamente ai confini orientali della Germania. Per il Terzo Rc:ich
la fine era questione di giorni. Passata la grande paura, Stalin ora pensa­
va al modo di utilizzare la vittoria. I suoi generali ricevettero l'ordine di
fare bottino della tecnologia nazista. Immediatamente dopo che le truppe
sovietiche avessero raggiunto e conquistato i centri scientifici e le regioni
industriali della Germania, una commissione di esperti avrebbe dovuto
procedere con la rimozione, la custodia e la spedizione a Mosca di appa­
recchiature belliche consolidate o sperimentali, macchinari industriali
e attrezzature per la ricerca, biblioteche e archivi scientifici. Similmente
all'analoga attività degli americani, l'Operazione Osoaviakhim comportò
il trasferimento coatto in URSS di oltre 2.000 specialisti, scienziati e tecni­
ci del Fiihrer con le relative famiglie.
Le Vl erano un ghiotto boccone, servito su un piatto d'argento agli
americani da von Braun. I russi, però, furono i primi ad arrivare a Peene­
miinde, dove qualcosa era rimasto. E poi, non cucci i tecnici tedeschi ave­
vano scelto l'America. Occorreva una task farce per raccogliere le molte
briciole e ricombinarle in un quadro coerente. Esigenza che fece definiti-
86 LUNA ROSSA

vamence uscire dal carcere morbido Glusko e Korolev, la cui saraika, all'af­
facciarsi della Wehrmacht davanti alle mura di Mosca, era stata trasferita
a Kazan, una città 800 km a est della capitale, a riprova che ormai quella
"sporca dozzina" di galeotti veniva considerata un valore da proteggere.
Entrambi gli scienziati vennero di fatto graziati e inviati in Germania. Ko­
rolev con il nuovo grado di colonnello dell'Armata Rossa. Era vivo, senza
più i denti, con la salute ormai minata, abbandonato dalla moglie che l'a­
veva ripudiato e che ora faceva il medico in Ucraina. Tuttavia, per quan­
to strabiliante possa sembrare, la sua fede nel comunismo era intatta, così
come la sua sete di spazio.
Il bottino fu tutt'altro che trascurabile. Vennero rintracciati e trasferiti
in URSS centinaia di tecnici che avevano lavorato al progetto e alla produ­
zione di massa delle v2., e con loro innumerevoli parti dei missili che, con
un'abile operazione di reverse engineering, consentirono di fabbricare e
sperimentare una fedele replica sovietica dei missili di von Braun. Mentre
in America si continuava a discutere su chi dovesse fare che cosa, nell'arro­
gante convinzione di non avere rivali, i sovietici scavano compiendo passi
da gigante, recuperando dai gulag i loro migliori cervelli.
Per niente tranquillo sulle reali intenzioni degli occidentali, Stalin vo­
leva i suoi missili per potenziare l'Armata Rossa in funzione difensiva, ma
anche per fiancheggiare la propagazione dell'ideologia comunista. La sua
idea di forza contemplava masse enormi di soldati equipaggiati con armi
tradizionali, seppure a ggiornate ai progressi della tecnica (I ·acciaio prima
di tutto, come nel suo stesso nome di battaglia). Ma intuiva anche l'im­
portanza delle novità e sapeva come persuadere efficacemente coloro che
dovevano riprodurle. Come nel caso della bomba atomica.
Già prima della guerra, il progetto tedesco d'un ordigno che sfruttasse
l'energia contenuta nei nuclei atomici era una sorra di segreto di Pulcinella. I
grandi impianti di purificazione dell'uranio e produzione del plutonio dava­
no troppo nell'occhio per sfuggire allo spionaggio, tant'è che vennero siste­
maticamente attaccati dagli Alleati. Dal punto di vista dell' intef!igence, poi,
Stalin godeva di una situazione di privilegio, potendo contare sulle informa­
zioni di prima mano passategli da alcuni scienziati occidentali di pura fede
comunista. Sapeva dunque, ma sottovalutò la questione fino all'agosto 1945,
quando la distruzione delle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki lo co­
strinse a toccare con mano l'immenso potere della nuova arma. Durante la
conferenza di Potsdam, il presidente degli Stati Unici Harry Truman fece di
tutto per sottolineare che la bomba aveva cancellato l'equilibrio del mondo,
L'INNOMINATO

nell'errato convincimento, non condiviso dal bellicoso Churchill, che ciò


potesse costituire un deterrente per il mantenimento di una pace duratura.
Senza perdere un istante, Stalin concepì un piano per colmare la perico­
losissima lacuna con gli unici detentori della nuova micidiale arma, adot­
tando una strategia simile a quella del "progetto Manhattan". Tra il 1939 e
il 1942. gli americani avevano approntato a Los Alamos, in Nuovo Messico,
un programma di ricerca affidato alle migliori menti fisiche dell'Occiden­
te, che aveva condotto alla sperimentazione e ali' impiego della bomba ato­
mica. Analogamente, il dittatore sovietico mise insieme una squadra con
i più valenti scienziati del paese, dotandola di tutte le risorse economiche
e di cucci i salvacondotti utili a un rapido conseguimento dei risultati. A
dirigere il programma fast tmck battezzato Operazione Borodino scelse
il fedelissimo Berija, uomo con subdole abilità persuasive cui diede pieni
poteri e un budget illimitato. Il fisico Igor Kurcatov (1903-1960), che già
prima della guerra aveva messo le mani in queste faccende, fu nominato re­
sponsabile scientifico, insieme al collega Pecr Kapica (1894-1984), il quale,
però, dopo qualche tempo si defilò per ragioni morali, guadagnandosi gli
arresti domiciliari.
Lavorando giorno e notte sotto i continui ricatti del capo dell'NKVD
- le cui minacce non erano mai vane - e beneficiando delle informazioni
di agenti8 a conoscenza dei segreti del progetto Manhattan, gli scienziati
e i tecnici russi arrivarono rapidamente alla soluzione. La prima bomba
sovietica a fissione venne fatta esplodere con successo nell'agosto 1949. Il
suo tetro fungo annunciò al mondo la fine del monopolio americano sul
nucleare e l'inizio di una nuova stagione della scoria, con l'insediarsi d'u­
no stato di guerra permanente e fredda in sostituzione di quella calda, resa
letale per tutti dalla potenza sprigionata dall'atomo. Ma la bomba andava
anche trasportata e così Stalin mise in piedi una seconda task farce con
l'obiettivo di realizzare aerei e razzi adatti allo scopo. Al vertice della pira­
mide pose Georgij Malenkov (1902.-1988), abile comandante nella Gran­
de guerra patriottica e fedele esecutore delle sue più turpi volontà, tra cui
l'attacco al maresciallo Zukov, artacamente accusato di bonapartismo, e
la persecuzione dell'intellighenzia di Leningrado che, a dire del dittatore,
puzzava di pericolose nostalgie.
Ma la strada per arrivare alla bomba e al suo trasporto era stata im­
boccata qualche anno prima, nel maggio 1946, con la creazione, avvertita
come priorità nazionale, dell'Istituto di ricerca scientifica n. 88 (Nu-88
- Nauè:no-issledovacel'skiy institut). Sorto alla periferia di Mosca, in vec-
88 LUNA ROSSA

chi e fatiscenti edifici, questo istituto ebbe il compito di gestire tutti gli
aspetti ingegneristici dell'industria sovietica per lo sviluppo dei missili a
lungo raggio. Articolato in vari dipartimenti (bureau), era sottoposto allo
stretto controllo dei militari, per ragioni di sicurezza e perché la maggior
parte dei fondi veniva dall'imponente budget stanziato per la Difesa. In­
somma, l'Armata Rossa fungeva da committente dell'NII-88, da garante e
da sua guardia del corpo.
Al rientro dalla lunga missione di recupero materiali in Germania,
Korolev, che formalmente risultava ancora un criminale graziato e quindi
soggetto al controllo della polizia segreta, venne decorato - i russi amano
molto le medaglie - e posto a capo dcli' Ufficio progettazioni speciali del­
l'NII-88, in un'orgia di contraddizioni di un sistema ingessato dalle buro­
crazie. Sotto di lui, un nutrito gruppo di tecnici, sovietici e tedeschi, aveva
trovato ospitalità in un complesso sorto nel 1946, per esplicito ordine di
Stalin, sull'isola Gorodomlja del lago Selinger, quasi 400 km a nord-ovest
di Mosca, circondato dal filo spinato e protetto giorno e notte da guardie
armate e cani. Tutto doveva restare top secret, anche il nome del glavnij
konstruktorche, seppure in incognito, si affermò per le sue capacità di abile
ingegnere e di roccioso manager, abile, leale e molto prepotente.
Bisognava procedere per gradi. Korolev aveva il compito di studiare
una serie di missili balistici per le forze armate. L'unico precedente a cui
ispirarsi erano le v2., prontamente riprodotte grazie alle informazioni car­
pite ai tedeschi. I primi esemplari "sovietici" della bomba volante tedesca,
chiamaci R-1 (dove R sta per raketa, cioè "razzo"), presero il volo nell'au­
tunno 1947 da un villaggio sperduto nelle steppe a nord del mar Caspio.
Erano macchine notevoli ma ormai datate, di relativa affidabilità e con
una capacità di carico insoddisfacente. Le crescenti esigenze dei militari
richiedevano potenze molto maggiori e di conseguenza intollerabili masse
di carburante.
Per superare l'impasse, un collaboratore stretto di Korolev, M ichail
Tichonravov (1900-1974), cercava di far passare attraverso la viscosa buro­
crazia militare il concetto dei treni di razzi originariamente partorito dal
mitico Ciolkovskij, utilizzando però i "vagoni" in parallelo. Ma in quale
modo? E chi era questo genio timido, senza il quale l'esplosiva energia del
progettista capo non sarebbe bastata a realizzare le imprese che a cavallo
degli anni Sessanta assegnarono ali' URSS la palma della vittoria nella corsa
allo spazio? «Insieme», avrebbe poi detto dei due Sergej Chruscev, «essi
crearono la massa critica che sbalordì il mondo».
0
L 1NNOMINATO

Tichonravov era nato quando nella Grande Russia regnava ancora lo


zar, da una famiglia di insegnanti di Vladimir, antica capitale russa 2.00 km
a est di Mosca. Da ragazzo aveva appreso dai genitori le lingue e la cultura
classica, acquistando uno stile e un habitus che non avrebbe più perduto.
Sarebbe stata proprio questa impronta umanistica a suggerirgli di coniare,
molto più tardi, il termine "cosmonauta"•.
Crescendo, come molti suoi coetanei s'era appassionato al volo. Scel­
se di laurearsi presso l'Accademia militare aeronautica Zukovskij pc:r poi
lavorare nella nascente industria dell'aviazione. Nel tempo libero spiava
il volo degli uccelli e degli insetti nel tentativo di carpire qualche segreto
utile ai suoi progetti di alianti: l'hobby d'una vita. Scoprì lo spazio quando
venne a sapere che il suo vecchio amico Korolev stava tentando, insieme:
a Tsander, di equipaggiare un aliante con un rudimentale razzo. Divenne:
così uno dei fondatori del GIRD.
Suo era il missile a combustibile liquido che nell'agosto 1933 toccò la
quota di 400 metri, attirando l'attenzione dei militari. Per il lancio, l'ar­
tigianale accrocco dovette essere trasferito in fretta con un trattore: alla
periferia di Mosca prima che l'ossigeno liquido evaporasse:. Ma al momen­
to del test, Michail non era presente perché in gita sul fiume per rimet­
tersi dal superlavoro. «Esame superato» gli telegrafò Korolev pc:r comu­
nicargli il successo dell'impresa che, con sette anni di ritardo, replicava
il pionieristico volo del razzo di Goddard. Con grande onestà, il futuro
zar dello spazio sovietico fu esplicito nel riconoscergli tutto il merito. Per
parte sua, T ichonravov, quando negli anni Sessanta fu eretto sul luogo del
lancio un cippo commemorativo che riportava solo il suo nome, protestò
pretendendo che venisse menzionato l'intero team.
Poi vennero il lavoro neli'NII-88 e più cardi le purghe staliniane. Fu
forse in grazia del suo understatement che T ichonravov riuscì a sottrarsi
alla mannaia del dittatore, calata invece sul collo di molti dei suoi amici.
Non che si sentisse al sicuro: come avrebbe confessato in seguito la moglie,
teneva sempre pronta una valigia. Durante la Grande guerra patriottica la­
vorò a diversi progetti, tra cui i razzi Katjusa. Tornata la pace, dopo il 1946
venne dirottato nel gruppo che cercava di riprodurre le v2., senza il vantag­
gio di potersi confrontare direttamente col loro "creatore" Wernher von
Braun, come invece potevano fare gli americani. Trascorse il resto della sua
vita in un sobborgo moscovita tanto segreto da non risultare nemmeno
nelle mappe della città. Un'area chiusa, sorvegliata dalla polizia militare:,
grigia e triste. Quasi una prigione del corpo e deil 'anima, dove si svolgeva-
90 LUNA ROSSA

no alcune tra le attività più sensibili dell'URSS riguardanti le armi atomi­


che e i mezzi per trasportarle. Lì, nel Quarto istituto per la ricerca scienti­
fica del ministero della Difesa (Nll-4), Tichonravov raccolse attorno a sé
una squadra di talenti. Fu in questo incubatore che nacque 1' idea vincente.
li problema era di far funzionare il motore dei razzi nello spazio vuo­
to. Perché non applicare tutta la spinta al decollo, si chiese Tichonravov,
quando il razzo è ancora vicino a terra? Ma in che modo? La soluzione
venne trovata nell'uso di un pacchetto di razzi operanti in parallelo in­
vece di un singolo buster. Benché la sua proposta fosse stata inizialmente
giudicata «una deriva nel regno della fantasia» e rigettata, Tichonravov
andò comunque avanti. I suoi parevano esercizi accademici, esposti con la
massima cautela perché non si accordavano con il pragmatismo di Stalin,
interessato alle divisioni corazzate molto più che alla scienza'0•
Nel frattempo, Korolev snocciolava il rosario dei raketa. L'R-2, netta­
mente migliore dell'R-1, venne surclassato dall'R-3, che poteva volare per
3.000 km. Glusko lavorava ai motori. Ormai c'era poco di tedesco nella
rinnovata tecnologia sovietica, al punto che gli ingegneri del R.cich erano
diventati un peso. Per paura dello spionaggio, essi venivano tenuti sempre
più lontano dagli aspetti qualificanti dei progetti sinché, demoralizzati,
nei primissimi anni Cinquanta vennero rispediti nella Germania dell'Est.
Per affondare le mani nei segreti militari bisognava essere al di sopra
di ogni sospetto. Per questo motivo, nel 1953 Korolcv chiese la tessera del
Partito comunista, che gli venne prontamente concessa sebbene la sua
fedina penale risultasse ancora sporca. Sarebbe stato riabilitato solo nel
1957, insieme a tanti altri, dopo l'avvio della destalinizzazione voluta da
Chrusèev, Un nuovo corso del socialismo reso possibile dalla morte del
dittatore.
All'alba del 5 marzo 1953, Stalin era stato trovato agonizzante nella sua
camera in circostanze poco chiare. Aveva 74 anni. Un colpo apoplettico,
si disse, che qualcuno sospettò fosse stato assecondato negli esiti da una
congiura di boiardi. Quando a sera spirò, il popolo russo pianse dispera­
tamente, ma nel palazzo, nel paese e nel mondo non pochi furono coloro
che tirarono un sospiro di sollievo. Morto il padrone cd eliminato il suo
mastino Berija", la rassegnazione all 'oppressionc e alla paranoia dello stali­
nismo cedette il posto, tra gli intellettuali, alla speranza di una nuova alba.
In realcà cambiò poco. Arroccata entro le proprie frontiere invalicabi­
li agli uomini e alle idee, l'URSS rimaneva socco il controllo corale di un
partito unico e alla ricerca di un nuovo leader unico. Pareva che il delfino
L'INNOMINATO 91

dell'uomo d'acciaio potesse essere Georgij Malenkov, ma dai ranghi del


PCUS emerse la figura un po' goffa di Nikica Sergeeviè Chrusèev (1894-
1971). già proconsole in Ucraina e segretario del Partito, che nell'arco dei
successivi 5 anni di aspra guerra intestina per la successione sarebbe riusci­
to a concentrare su di sé cucco il potere.
Uomo di umili origini contadine, di media scatura, di aspetto dimesso,
di modi grezzi e risoluti e di nessuna istruzione {aveva frequentato solo
due anni di scuole elementari), Chruséev seppe giocare le sue carte con
grande abilità e con quel medesimo sprezzo del pericolo che aveva mo­
strato nell'assedio di Stalingrado in vesce di commissario politico. Il 1956
fu l'anno cruciale per la sua scalata al "crono". Cominciato con l'audace
denuncia dei crimini e delle deviazioni di Stalin in un discorso a porte
chiuse sul culto della personalità, pronunciato il 2.5 febbraio ai delegaci del
XX Congresso del PCUS, era proseguito in autunno con la rivolta unghe­
rese, soffocata nel sangue, e la concomitante crisi di Suez. Azioni ed eventi
che avevano indebolito la sua posizione nel palazzo. Gli serviva un asso
per recuperare il consenso e accaparrarsi il piatto più ricco, la poltrona di
primo ministro. Quasi inaspettatamente, gli venne in soccorso lo spazio.
Da tempo Chrusèev coltivava l'idea di calmierare le imponenti spese
per gli armamenti imposte dal gioco al rialzo della Guerra fredda, inaugu­
rando una nuova politica di coesistenza pacifica. Una posizione condivisa
anche dal presidente americano Dwighc Eisenhower". L'obiettivo richie­
deva però un riequilibrio delle forze in campo, sbilanciate dall'evidente
supremazia aerea degli americani e dei loro alleaci. Insomma, bisognava
paradossalmente investire nelle armi per poter poi disinnescare l'insensata
spirale prima che questa conducesse al disastro globale.
La scorciatoia non poteva che essere il missile balistico intercontinen­
tale. Nacque così a Podlipki, nel circondario di Mosca, in seno all'Ufficio
di progettazione sperimentale OKB-1 dell'NII-88, reso autonomo nel 1956,
il progetto che avrebbe portato Korolcv e collaboratori alla costruzione
dell'R-7 Semerka, un vettore potente e di lunga vita. Ancora oggi i russi
ne utilizzano una versione modificata per sé e nelle collaborazioni inter­
nazionali.
Man mano che il lavoro procedeva, cominciò a farsi strada nella mente
di Korolev l'idea che un ICMB mulciscadio potesse essere usato anche per
collocare satelliti in orbita terrestre e, perché no, andare fino alla Luna e ai
pianeti vicini, Venere e Marce. Nel 1954, in una lettera al governo sovieti­
co, scriveva:
LUNA ROSSA

Attiro la vostra attenzione sul memorandum dd compagno M. K. Tichonravov,


intitolato Rapporto m un satellite artificiale della Terra, e anche sul materiale in­
viato dagli Stati Uniti sui lavori in corso in questo campo. L'attuale progettazio­
ne di un nuovo prodotto [1'1cBM R-7] ci consente di considerare la possibilità
di sviluppare nd prossimo futuro un satellite artificiale [... ]. Mi sembra che al
momento ci siano le condizioni [ ...] per eseguire il lavoro esplorativo iniziale su
un satellite e un lavoro più dettagliato su problemi complessi connessi a questo
obiettivo. Attendiamo la vostra decisione''·

In parallelo, s'era cominciato a riflettere anche nell'ambito della potente


Accademia delle scienze dell'Unione Sovietica su un impiego pacifico dei
futuri ICBM come lanciatori di satelliti artificiali, con un occhio alla scien­
za e alle tecnologie collegate e un ammiccamento a futuri utilizzi militari
dello spazio. La conseguenza di tali tendenze fu che la rincorsa alla supre­
mazia da parte di ciascuno dei due blocchi non si fermò affatto col pareg­
gio nei sistemi di difesa e offesa. Si materializzò invece una nuova gara per
un premio immateriale, il prestigio, che costituiva uno straordinario valore
aggiunto sia per i vertici del Cremlino sia per quelli della Casa Bianca. In
cerca di più solide stampelle, Chruscev era infatti disponibile a giocarsi
la carta dello Sputnik, visto anche che gli Stati Uniti si erano dichiarati
pronti a lanciare uno o più satelliti in occasione dell'Anno geofisico inter­
nazionale.
Il new deal della missilistica pacifica (si fa per dire) aveva preso il via
nel 1950. In una pausa conviviale durante un congresso, un gruppetto di
scienziati di vari paesi raccolto nel salotto di casa diJames Van Allen, pro·
fessore all'Università dell'Iowa, aveva concordato sull'utilità di un coor­
dinamento internazionale degli studi sulle proprietà fisiche della Terra e
sulle interazioni del pianeta con il Sole. Un tema di ricerca che gli addetti
ai lavori chiamano space weather, ossia "meteorologia spaziale". Occorre­
va trarre il massimo vantaggio dalle nuove tecnologie regalate alla scienza
dalla guerra, compresa la possibilità di impiantare un laboratorio perma­
nente in orbita terrestre per sfruttare i vantaggi di una visione panoramica
del pianeta e dell'assenza del filtro atmosferico. Approvata dall'organizza­
zione internazionale preposta alla cooperazione scientifica' ♦• la mozione
diventò plausibile con la morte di Stalin. Si convenne di dichiarare Anno
geofisico internazionale l'intervallo compreso tra il 1 ° luglio 1957 e il 31 di­
cembre 1958, perché in questi 18 mesi l'attività del Sole sarebbe risultata
particolarmente intensa.
°
L INNOMINATO 93

Il 2.9 giugno 1955, Eisenhower si sbilanciò affermando che gli Stati


Uniti avrebbero contribuito con il lancio di «piccoli satelliti della Ter­
ra». L'annuncio venne seguito in agosto dall'impegno dei sovietici a fare
altrettanto. L'occasione fu un incontro con i giornalisti ali'ambasciata so­
vietica a Copenaghen durante il VI Congresso della Federazione astronau­
tica internazionale, fondata a Londra quattro anni prima con l'ambizioso
motto "Astronautica ad pacem hominumque progressum" ("Astronautica
per la pace e per il progresso umano"). Il fisico Leonid Sedov, portavoce
del programma spaziale sovietico, comunicò l'intenzione del suo paese di
mettere in orbita uno Sputnik nel corso del1'1GY. Ovviamente nessuno
ci fece troppo caso. Il sogno americano abbagliava tutti e pronosticava il
monopolio del fu curo da parte di una nuova civiltà a stelle e strisce.
Sicuri della loro superiorità, gli yankee dormivano sugli allori, permet­
tendosi sterili dispute ali' interno delle forze armate su quale specialità, era
la marina e l'aviazione, dovesse impegnarsi in un'impresa che metteva sul
piatto prestigio, denaro e molto potere, e su quali finalità dovesse avere tale
grandiosa iniziativa: puramente scientifiche o anche militari.
Il bip dello Sputnik I fece svegliare tutti di soprassalto. I sovietici aveva­
no "sputato per primi", si disse con gergo da caserma. Il satellite "rosso" era
entrato in orbita e sarebbe rimasto in cielo sino al 4 gennaio 1958, quando
la progressiva erosione della sua velocità ad opera dell'atmosfera lo avrebbe
facto precipitare in fiamme sulla Terra, dopo 1.440 giri di boa e una di­
stanza coperta di 70.000.000 km, sorvolando addirittura l'America. Una
"violazione di domicilio" confermata con preoccupazione dagli specialisti
del Naval Research Laboratory di Washington che s'erano subito messi al
lavoro sui dati della telemetria. Questa volta i russi non avevano segreta­
to nulla. Anzi, avevano fatto in modo che tutti, davvero cucci, potessero
assistere al loro trionfo. Lo Sputnik era stato lustrato a specchio perché si
vedesse, dopo il tramonto o prima dell'alba, come un'altra stella del cielo,
pendant della stella rossa che brillava sulla guglia più alca del Cremlino.
Per bruciare i tempi, Korolev aveva ridotto all'osso la strumentazione
scientifica di bordo del suo prosteyshiy Sputnik 1, ossia "Satellite semplificato".
Il fatto è che, quando insieme a T ichonravov aveva messo mano alla costruzio­
ne di un oggetto adatto a rispondere alle aspettative dei geofisici, s'era dovuto
scontrare con l'inaffidabilità dei numerosi subappaltatori incaricaci dell'arre­
damento strumentale dello Sputnik. Con il passar del tempo, aumentava il ri­
schio di essere battuti dagli americani che, secondo i rapporti dell'intelligence,
stavano lavorando anche loro a un lancio con il razzo Vanguard.
94 LUNA ROSSA

«E se lo rendessimo un po' più leggero e un po' più semplice?», chiese


Tichonravov. «Trenta chilogrammi o giù di lì, o ancora più leggero?». La
domanda, rivolta a Korolev, fece scattare la molla. Era l'uovo di Colombo
da cui nacque un satellite puramente dimostrativo, accudito da Tichonra­
vov mentre Korolev gestiva l' impresa complessiva. Nello Sputnik, oltre
alla radio, che funzionò per 57 giorni sino all'esaurimento delle batterie,
c'era solo un termometro. Davvero poco per celebrare I' IGY, ma abbastan­
za per fare un'importante scoperta che invece sfuggì di mano agli scien­
ziati sovietici. Questi avevano notato un sistematico accoppiamento dei
periodici stop nelle trasmissioni radio con la quota del satellite, fortemen­
te variabile per via dell'orbita allungata, ma non seppero trarne le conse­
guenze. Sarebbe toccato a Van Allen il merito d'avere intuito l'esistenza,
attorno alla Terra, di una grossa ciambella equatoriale di particelle cariche.
Penetrandola all'apogeo dell'orbita, lo Spunik veniva silenziato dall'inte­
razione delle sue trasmissioni radio con il plasma delle famose fasce che
oggi portano il nome del ricercatore americano, all'epoca particolarmente
basse per via dell'intensa attività solare.
A impresa compiuta, Tichonravov annotò laconicamente nel suo dia­
rio: «I giornali scrivono sul lancio dello Sputnik». Tutto qui. Lo scien­
ziato era un uomo «senza fretta, scrupoloso nei suoi giudizi, [ e] capace di
riflettere. Non imponeva mai le sue idee a nessun altro, e non alzava mai la
voce». Al contrario, Korolev aveva un carattere impulsivo e volatile ed era
temuto da tutti: si infuriava per la più piccola sciocchezza, risparmiando
solo il suo amico Tichonravov. Insieme a Glusko, loro due avevano fatto
il miracolo.
La notizia dello Sputnik raggiunse von Braun mentre, in compagnia di
alti papaveri del Pentagono, sorseggiava un cocktail alla mensa ufficiali del
Redstone Arsenal in Alabama, una sorta di JamJka di lusso per gli scien­
ziati tedeschi del programma Paperclip. «Che io sia dannato!», fu la sua
reazione, quando scoprì di aver perso il treno. Dal canto suo, Eisenhower,
che era stato appena rieletto alla Casa Bianca, cercò invece di minimizzare
sulla stampa il valore dcli• impresa sovietica per non aumentare la montan­
te paura verso i comunisti. «L'inutile pezzo di ferro», come lo chiamò,
dimostrava però la forza scientifica e tecnologica di un nemico giudicato
pericoloso e infido, e dava ragione a coloro che rimpiangevano il grande
inquisitore Joseph McCarthy e la caccia ai comunisti condotta nei primi
anni Cinquanta.
Dopo tanti guai passati - la crisi di Berlino, la caduta di Chiang Kai-
0
L INNOMINATO 9S

shek in Cina, il pareggio nucleare dei sovietici e la sanguinosa guerra di


Corea - c'era di che sperare nella nuova dirigenza dell'URSS per uno smor­
zamento della Guerra fredda. Ma adesso, il piccolo Sputnik rilanciava le
ragioni della corsa. Di più, marcava il segno di una montante marea rossa.
Un affronto, ma anche un pericolo minimizzato da esternazioni della
Casa Bianca del tipo: «Non partecipiamo a una partita di basket nello
spazio» e tuttavia ben descritto da una lettera aperta inviata al "New York
Herald Tribune" da Bernard Baruch, figura di spicco della politica federale
e a Wall Street:

Mentre noi dedichiamo il nosrro potenziale indusrriale e rccnologico alla pro­


duzione di nuovi modelli di auromobili e di altri gadger, l'Unione Sovierica sta
conquisrando lo spazio [ ... ]. È la Russia, non gli $caci Unici, che ha avuto l'im­
maginazione di accaccare il suo carro alle sedie e I'abilità di raggiungere la Luna e
quasi di coglierla. L'America è preoccupata. Dovrebbe esserlo.

Nell'orgia di festeggiamenti, i due attori principali, Korolcv e Tichonravov,


dovettero rimanere nell'ombra, trattati alla stregua di risorse: militari: rica­
varono solo un altro paio di medaglie, utili ai fini dello stipendio. Sergej ot­
tenne anche la riabilitazione, che finalmente cancellava la macchia dell'ar­
resto e della lunga detenzione.
Riservato e refrattario alle esibizioni, autentico stakanovista e consape­
vole di dover proteggere il segreto dei suoi studi, Tichonravov restò peren­
nemente nell'ombra di Korolev, dell'uomo forte verso cui mostrò sempre:
reverenza e affetto. L'unica nota di commozione nel suo arido e criptico
diario di lavoro fu redatta nel gennaio 1966 in occasione della prematura
morte del grande amico.
Quando il comitato del Nobel volle premiare gli artefici dello Sputnik
incontrò l'opposizione di Chruséev, il quale rifiutò di fare il nome dei suoi
purosangue e suggerì in alternativa che l'ambito riconoscimento venisse:
assegnato all'Unione Sovietica. Una richiesta incompatibile, però, con le
regole della Fondazione Nobel, che premia solo persone: fisiche e in vita,
e soprattutto improponibile per i paesi del blocco occidentale. Niente
Nobel, dunque! Eppure, nonostante l'incidente contrariasse: non poco
Korolcv, frustrato nelle sue legittime ambizioni, continuò ad amare la pa­
tria prima e sopra a ogni altra cosa, limitandosi a osservare, tra l'ironico e:
l'amaro, che alla sua morte non gli avrebbero nemmeno dedicato un ne­
crologio.
LUNA ROSSA

Un lamento che sarebbe diventato un mantra. Ma per fortuna si sbaglia­


va. A tempo debito ebbe solenni funerali di Stato e la "Pravda" ("Verità")
gli dedicò due pagine intere. Così, per la prima volta, il popolo sovietico
seppe chi era e che faccia aveva l'uomo che fece volare sopra ogni altra
bandiera quella rossa con la falce e il martello.
Cuore di cane

Il raggio ddla Luna, ecco, viene a chiamarmi.

Edmond Rostand

La luna viene fana ad Amburgo da un bonaio zoppo, e serve


per ospitare tutti i nostri nasi.

Nikolaj Gogol'

Mosca, in un imprecisato giorno a cavallo del Capodanno del 1957. Gli


accalappiacani comunali erano stati ancora una volta precettati a svolgere
un lavoro per conto del governo. Dovevano catturare qualche decina di
femmine randagie di piccola caglia e in buone: condizioni di salute:. Senza
chiedersi perché - saggio comportamento da tenersi in quei tempi e in
quei luoghi per restare fuori da inutili guai - i "cacciatori di cani" fecero
diligencemcnce il loro lavoro, rincorrendo gli animali infreddoliti che va­
gavano tra i cumuli di neve in cerca di cibo, e consegnarono il boccino a un
incaricato. Non sapevano che tra le loro prede, rannicchiata in un ango­
lo della grande gabbia, ci fosse anche una cagnetta destinata a imperitura
fama. Sarebbe stata la prima creatura a entrare in orbita terrestre.
Da sci anni i sovietici utilizzavano i cani per sperimentare la risposta degli
organismi viventi alle dure condizioni dello spazio: violentissime accelera­
zioni, assenza di gravità, radiazioni penetranti e, perché no, anche panico. Le
povere bestie venivano lanciate su traiettorie suborbitali, riportate: a terra coi
paracadute:, quando andava bene, recuperate: e analizzate. Un'attività forse
crudc:le ma indispensabile a vincere lo scetticismo dei grandi luminari della
medicina, persuasi dcli' impossibilità del volo spaziale umano.
Le cavie venivano scelte tra i cani randagi perché si riteneva che le: difficili
condizioni di vita nelle strade di una metropoli selezionassero i più forti.
Insomma, se questi barboni erano capaci di sopravvivere all'inverno mo­
scovita, avrebbero forse potuto farcela anche nello spazio. Dovevano essere
femmine, perché di solito più docili dei maschi e più semplici da gestire per
le: loro esigenze corporee, di dimensioni contenute per ragioni di peso e di
ingombro', e con un mantello variopinto, in modo da ben figurare nei cine­
giornali.
LUNA ROSSA

La leggenda vuole che uno degli accalappiacani, perplesso per la lunga


lista dei requisiti, avesse domandato ironicamente se i cani dovessero an­
che saper abbaiare in Do maggiore. Un racconto improbabile, perché allo­
ra un commento come questo poteva bastare per un viaggio senza ritorno
in Siberia. La lezione di Stalin era ancora ben viva.
li clamore sollevato dallo Sputnik aveva fatto toccare con mano a
Chruscev l'enorme valore propagandistico dello spazio', più efficace di
qualunque altro messaggio per promuovere l'immagine di un socialismo
trionfante. Per questo motivo, saltando a piè pari la catena di comando, il
leader si era rivolto direttamente al suo g!avnij konstruktor per chiedergli
un altro miracolo, altrettanto grande e subito. Korolev non aspettava al­
tro. Aveva in serbo un rosario di progetti più o meno pronti per una lunga
serie di imprese spaziali da primato. Chrusèev li acquistò in blocco, a co­
minciare da quello che contemplava la messa in orbita di un cane.
Ma si doveva fare presto, per festeggiare degnamente l'anniversario
della rivoluzione bolscevica, che sarebbe caduto il prossimo 6 novembre.
li leader venne servito a puntino. All'alba del 3 novembre 1957, quando il
Sole non era ancora sorto sul Cremlino, e ad appena un mese dal lancio
del primo satellite artificiale, prese la via del ciclo una capsula con a bordo
Kudrjavka ("Ricciolina"), una cagnolina nota in Occidente come Laika,
dal nome generico di una razza di cani siberiani. Una ex clochard con un
futuro da eroe dello spazio.
Laika era un esemplare di 3 anni d'età e 6 chili di peso. Un incrocio tra
un husky siberiano, robusto cane da slitta, e un terrier, classico compagno
dei cacciatori; aveva occhi dolcissimi e un carattere mansueto, tanto che
non abbaiava mai agli altri cani. Insieme con Belka ("Scoiattolo") e Screlka
("Freccia"), faceva parte di un gruppetto di animali selezionati come equi­
paggio "a perdere" del secondo volo orbitale della storia. Una strategia un
po' avventurosa sul piano dell'immagine perché prestava il fianco ai ben
pensanti ed esponeva alle critiche un regime che si proclamava socialista.
li protocollo degli allenamenti allo spazio di questi cani non differiva
molto da quello usato per i cosmonauti umani: esposizione alle accelera­
zioni di una centrifuga (una cella attaccata a un lungo braccio rotante), ai
rumori assordanti e alle fortissime vibrazioni che l'animale avrebbe incon­
trato al decollo, e confinamenti prolungati in spazi sempre più angusti. E
poi visite mediche, l'addestramento a mangiare un gel con alto valore nu­
tritivo che sarebbe staro l'unica fonte di sostentamento e di idratazione in
volo, e le operazioni chirurgiche per sistemare alcuni sensori sottocutanei
CUORE DI CANE 99

con cui monitorare le funzioni vitali (respiro, pulsazioni e pressione car­


diaca). Nessuna lezione di marxismo-leninismo, però, come sarebbe inve­
ce toccato ai cosmonauti per renderli degni delle loro azioni e soprattutto
edotti dei comportamenti da cenere in pubblico.
Tre giorni prima del decollo, Kudrjavka venne vestita per il viaggio,
cablata e sistemata nella capsula imbottita in cima al razzo R-7 Semerka
per consentirle di adattarsi ali• ambiente. Quando il porcello si chiuse per
l'ulcima volta, lasciando fuori dall'angusto loculo il gelo dell'inverno, ci
fu un po' di commozione era gli addetti, che s'erano affezionati a Laika e
sapevano quale triste sorte l'accendesse•. La bestiola aveva un biglietto di
sola andata. Non c'era stato il tempo per attrezzare il modulo in maniera
da farla tornare sulla Terra.
Il cibo e l'ossigeno dovevano bastare per qualche giorno. Poi, a detta del­
la TASS, la cagnetta avrebbe dovuto essere soppressa con un veleno rapido,
«per impedirle di patire una lenta agonia». Una vita come tante sacrificata
al progresso della scienza, ma questa volca davanti agli occhi del mondo e
non nel chiuso d'un laboratorio dove nessuno vede e nessuno indaga. Un
mondo invero bizzarro, capace di piangere disperato la morte di un cane e
di tacere con colpevole connivenza di fronte alle stragi di esseri umani.
Per Laika le cose andarono diversamente dalle bugie propagandistiche
dei sovietici. Lo Sputnik 2. raggiunse senza intoppi la sua orbita, un'ellisse
con apogeo a 1.660 km, quasi il doppio dello Sputnik 1, e sganciò il suo pay­
foad di ben mezza tonnellata, sei volte maggiore del "satellite semplificato".
Fu un altro clamoroso successo tecnico della missilistica sovietica, che dimo­
strava agli americani l'estrema pericolosità dell'avversario. In preda all'agi­
tazione, Laika sopravvisse in assenza di gravità per qualche ora, assumendo
anche un po' di cibo. Poi, come si sarebbe saputo solo a seguito della caduca
del Muro di Berlino, i battiti frenetici del suo cuore tacquero per sempre.
Dopo due o tre giri attorno alla Terra, la cagnolina morì per le conse­
guenze dei tremendi sbalzi termici tra i periodi di esposizione della capsula
a un Sole rovente e quelli di immersione nella gelida notte cosmica. Forse
danneggiato al momento del distacco, l'isolamento termico della capsula
non aveva funzionato a dovere. La bara continuò a girare per cinque mesi e
mezzo su orbite sempre più basse, in una blanda spirale acromo alla Terra,
prima di disintegrarsi a contatto con gli strati densi dell'atmosfera.
L' impresa suscitò una nuova ondata di entusiasmo in URSS e nella ga­
lassia dei paesi satelliti e simpatizzanti. Per gente che aveva patito 2.3 mi­
lioni di morti nella recente Grande guerra patriottica, il sacrificio di un
100 LUNA ROSSA

La cagnetta Laika all'interno della gabbia high-tcch che .wrcbbc dornto protcgi;crh du­
rante iJ volo nello p:uio e la pc:rmancnza in orbir:1 tcrrt:stn.::. Pot.!1c ore: dopo d dc olio
dalla ba.se sovietica di Baikonur, un guasto nel s,sci.:111:1 di isol:11111.::ntu termico c:1u,o h pr�­
marura marce dcl.l':rnimalc. esposto :l incollcr:ibil1 ,balzi rcrm1c1. Il ,.Knfic10 di L:11k:1 ,avi
a convincere medici e ingegneri che era possibile tcnt:i.n..: il bncio d1 un uomo nello ,;;p,nio.

cane passava in secondo piano rispcno ai valori po;icivi dell'impn:sa.


Laika diventò una specie di icona pop, un simbolo di un regime che era
stato capace di lanciare per primo e con successo I "'assalto allo pazio",
levando al ciclo un popolo che era stato di mi erabili conradini e operai.
Le immagini della cagnetta vennero riprodotte ovunqw.:, dalle scatole di
fiammiferi alle confezioni di cioccolatini. La forza del messaggio fu mie
che nel 1961 Gagarin, dopo il suo storico volo, domandò scherzosamente a
un suo intervistatore: «Sono il primo umano ad essere andato nello spazio
o l'ultimo cane?».
11 mondo occidentale, invece, reagì alla Sputnik 2. con indignazione e
preoccupazione. L'uccisione di una bestia innocente, si disse, aveva pale­
sato il vero volto di un regime spietato e sanguinario. Chissà, pensarono in
molti, forse con la sua crociata anticomunista il senatore McCarchy aveva
CUORE DI CANE 101

visto giusto? Facendo sfoggio di un'indisponente ipocrisia, gli americani,


pur zelanti cultori della Bibbia, parevano aver dimenticato l'ammonimen­
to di Cristo: «Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello
e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?». Mentre Laika moriva,
razzismo e petrolio mietevano in lingua inglese innumerevoli vittime in
ogni angolo del pianeta e nel silenzio delle coscienze dei benpensanti.
Il lutto per Laika, celebrato per decenni da cantanti e artisti, fu per
lo più un pretesto per trasformare in sdegno la paura della gente comu­
ne. Circolava infatti la voce che nell'arco dei successivi tre anni i sovietici
avrebbero potuto mettere in campo un centinaio di ICMB capaci di rag­
giungere le grandi metropoli statunitensi con micidiali carichi nucleari,
mentre gli americani per ora non ne avevano nessuno di convincente. L'al­
larme veniva dalle più alce sfere del Pentagono e da scienziati del calibro di
Edward Teller, padre della bomba all'idrogeno.
«Questo [Sputnik 2] non aumenta la mia preoccupazione nemmeno
di un epsilon», sentenziò invece Eisenhower per sdrammatizzare. Ma,
nella realtà cominciava ad avvertire una certa inquietudine. Prima di tut­
to bisognava capire quale fosse lo stato dell'arte negli USA. Il 25 novem­
bre, una commissione senatoriale presieduta dal leader della maggioranza
Lyndon B.Johnson avviò sei settimane di udienze sul "divario missilistico"
tra le due superpotenze. Il risultato fu un cambiamento nella percezione
del problema da ciò che in origine era solo difesa nazionale a una visione
che contemplava anche gli usi benefici dallo spazio e significava una spe­
ranza di pace.
Più concretamente, il vicesegretario alla Difesa dichiarava: « Il lancio
dello Sputnik mi ha convinto che siamo in grado di ottenere dal popolo
degli Stati Uniti un sostegno per un programma più forte di quello che la
scorsa primavera pensavo di poter ricevere»•. I sovietici avevano lancia­
to per due volte il guanto e, con flemma anglosassone, tra una partita di
golf e l'altra', Eisenhower aveva deciso di raccoglierlo. Vinca il migliore,
pensava, nel convincimento di sapere con chiarezza chi fosse. Ma in quel
momento si sbagliava di grosso, come ormai l'entourage diJohnson capiva
bene: «Il fatto semplice è che non possiamo più considerare i russi dietro
di noi nella tecnologia. Gli ci sono voluti quattro anni per raggiungere la
nostra bomba atomica e nove mesi per raggiungere la nostra bomba all'i­
drogeno. Ora siamo noi a cercare di raggiungere il loro satellite».
I due blocchi consolidatisi ali' indomani del conflitto mondiale si man­
tenevano in uno stato di precario equilibrio. L'accerchiamento del settore
102. LUNA ROSSA

ovest di Berlino aveva segnato il primo atto formale della Guerra fredda.
Per reazione, il 4 aprile 1949 gli occidentali avevano stretto un patto at·
!antico a guida americana, la NATO, cui aveva fatto seguito, sei anni dopo,
il patto di Varsavia sottoscritto da otto paesi comunisti. Un'ideale con·
figurazione per un braccio di ferro dove ogni contendente vuole vincere
evitando però che l'altro perda la testa e metta mano al coltello. Perché né
i russi né gli americani desideravano accendere una rissa nucleare.
Per gli USA, il lancio dello Sputnik 2. segnalò che era arrivato il tempo di
prendere adeguate contromisure, rispondendo ai sovietici con le medesi·
me armi. Quella disponibile sul momento era il Vanguard TV3, un missile
a tre stadi progettato per scopi scientifici dalla marina statunitense. Un'e·
voluzione della serie di missili V iking nata nel 1947 da una commessa del
Naval Research Laboratory degli Stati Uniti alla fabbrica di aerei e veicoli
spaziali fondata dal pioniere dell'aviazione Glenn Martin. Si trattava dd
vettore su cui Eisenhower contava quando, nel 1955, si sbilanciò ad annun·
ciare la produzione di «piccoli satelliti tnrestri senza equipaggio come
contributo della partecipazione degli Stati Uniti ali' IGY ».
In effetti, esisteva anche un'altra possibilità, rappresentata dal razzo a
tre stadi, di cui due a combustibile solido, sviluppato al Redsrone Arse·
nal dall'Agenzia per i missili balistici dell'esercito degli Stati Uniti sotto
la direzione di von Braun, che nel frattempo aveva fatto carriera nella sua
nuova patria, a capo di un'efficiente squadra di fisici e ingegneri, tra cui
molti tedeschi.
Per gli scienziati di Peenemiinde, il cammino sul suolo americano era ri·
sultato meno agevole di quanto potessero sperare, visto il valore che essi ave·
vano sul mercato militare. All'arrivo negli Stati Uniti, al termine di un pelle·
grinaggio reso duro dalla volontà di far scontare loro un po' delle sofferenze
che avevano procurato, erano stati parcheggiati a Fon Bliss, nella concea di
El Paso in Texas, in alloggi spartani e sott(! la tutela della polizia militare.
Lì erano stati raggiunti da von Braun, debitamente ripulito dai suoi prece·
denti "peccati" per evitare le critiche dei benpensanti. Come dire: pemnia
non o/et, ma non farlo sapere ai cuoi elettori, specialmente se puritani. Allo
scoppio della guerra di Corea erano stati trasferiti in massa presso la base
del Redstone Arsenal, vicino a Hunrsville, in Alabama. Una sistemazione
spartana (il villaggio aveva «due ristoranti in tutto» e un'unica piazza an·
tistante il locale tribunale, dove gli intermediari incontravano i produttori
di cotone), ma un incarico di prestigio e di responsabilità: progettare missili
balistici per impieghi bellici. Il loro mentore, l'ex maggiore delle ss, non
CUORE DI CANE 103

aveva mai smesso di pensare anche alla guerra e di suggerire, insieme agli
impieghi civili e scientifici, un uso milicare della Luna come base per batterie
di missili puntati verso la Terra6 •
Era stata proprio questa esplicita finalità bellica a condannare il razzo
Jupiter, ultimo parto dei cervelli tedeschi era il 1956 e il 1957, sconsiglian­
done l'uso quale possibile vettore di un sacelli ce artificiale. La Casa Bianca
non voleva porgere il fianco alle inevitabili accuse di imperialismo e di
spionaggio da parte sovietica, né desiderava che l'Arnerica entrasse nel co­
smo per merito di un ex nazista. La preoccupazione di urtare l'opinione
pubblica aveva addirittura spinto l'amministrazione a boicottare il tese
completo del razzo Jupiter-C. Il 2.0 settembre 1956, quando era stato lan­
ciato da Cape Canaveral7 in Florida, il suo ultimo stadio conteneva sabbia
al posto del carburante. Lo spazio profondo avrebbe dovuto essere con­
quistato da un vero americano.
Jupicer-C 8 fece tuttavia il suo dovere così bene da far pensare a Korolev,
cui non mancavano le informazioni sulle mosse degli avversari, che_gli yan­
kee stessero per lanciare un satellite e che il successivo volo dell'8 agosto
1957 fosse una prova abortita. Un sospetto che gli mise le ali ai piedi. Come
Napoleone, lui non poteva perdere nessuna baccaglia, pena la corona.
In questo scenario confuso, conseguenza dei troppi attori sulla scena e
della rivalità era i diversi corpi delle forze armate statunitensi, il 6 dicem­
bre 1957 il Vanguard TV3, progettato dalla marina, venne lanciato da Cape
Canaveral con un minuscolo satellite sulla puma. Una sfera in alluminio
«grande quanro un pompelmo», avrebbe beffardamente commentato
Chruscev, del modesto peso di 1,4 kg, equipaggiato anch'esso, come lo
Sputnik , con un trasmettitore radio e un termometro. Al via, il razzo si
sollevò di circa un metro e poi ricadde su sé stesso disintegrandosi e dan­
neggiando seriamente la base di lancio. Il satellite venne espulso dal suo
alloggiamento e cadde al suolo inspiegabilmente intatto, continuando a
trasmettere il suo bip come un animale ferito. Un disastro su cui la scampa
americana, che notoriamente non fa sconci, si accanì inventando nomi­
gnoli beffardi come "Flopnik" e "Kapucnik". A Wall Street il titolo della
Martin, l'industria che aveva costruito il razzo, precipitò e venne sospeso
per eccesso di ribasso. I bolscevichi gongolavano e gli yankee cominciaro­
no a temere il peggio.
Per correre ai ripari, la Casa Bianca decise di lascia� perdere le questio­
ni morali e di mettere in sella l'ex ingegnere del Fiihrer, che in America
sembrava essere l'unico a capirne di razzi. Venne approntato a tempo di
104 LUNA ROSSA

record un secondo satellite con la supervisione scientifica di Van Allen.


Battezzato Explorer 1, pesava 14 kg, di cui 8 di strumentazione. Oltre all'e­
quipaggiamento ormai standard, conteneva un microfono per segnalare
gli urti di micrometeoriti e un contatore Geiger per la rivelazione di rag­
gi cosmici. Collocato in cima al razzo Jupiter-C, debitamente modificato
dall'Army Ballistic Missile Agency di von Bra un in sinergia con il Jet Pro­
pulsion Laboratory (JPL) di Pasadena in California, venne lanciato con
successo il 31 gennaio 1958 su un'orbita ellittica molto schiacciata con un
apogeo a 2..550 km.
Il colpo vincente venne ripetuto il 17 marzo successivo con un lancio riu­
scito del Vanguard I e del suo minuscolo "pompelmo", superando brillan­
temente un secondo fallimento un mese e mezzo prima. Fu solo un gesto
dimostrativo, senza particolare rilievo scientifico e/o tecnologico, con due
primati tuttavia: la durata (è il più anziano dei satelliti ancora oggi in volo) e
l'impiego di una sperimentale sorgente di energia, i panneli i fotovoltaici che
sarebbero poi diventati di uso comune nello spazio. Nove giorni dopo, un
terzo satellite, praticamente identico ali'Explorer 1, si unì al gruppo. Sareb be
stato ricordato per il suo contributo alla scoperta delle fasce di Van Allcn.
Gli americani potevano tirare un sospiro di sollievo. Tuttavia, a nessu­
no sfuggiva il persistente divario con i sovietici, capaci di mettere in orbita
una manciata di quintali di payfoad, contro i pochi chili delle missioni a
stelle e strisce. Sicurezza nazionale e prestigio tecnologico rimanevano a
rischio. Urgeva mettere più soldi nel budget dello spazio e spenderli me­
glio, sottraendo il giocattolo alle mani dei militari in modo, tra l'altro,
da eliminare le liti tra i loro diversi vertici. Eisenhower decise quindi di
creare una nuova agenzia governativa civile, la National Aeronautics and
Space Administration (NASA), trasferendovi le competenze, il personale,
le infrastrutture e il finanziamento della vecchia National Advisory Com­
mittee far Aeronautics (NACA), fondata nel 1915.
Divenuta operativa il 1° ottobre 1958, la NASA prese successivamente il
controllo del JPL, che dipendeva dal California lnstitute of Technology
(CALTECH) dov'era nato, e dell'agenzia del Redscone Arscnal. che per
l'occasione cambiò nome in Marshall Space Flight Center e acquisì un
nuovo prestigioso direttore, Wernher von Braun appunto. L'ex maggiore
delle ss era diventato una figura pubblica popolare grazie a un'intensa at­
tività di divulgatore della grande avventura dello spazio e alle apparizioni
televisive accanto a Wa!t Disney, e vestiva ormai i panni del salvatore della
sua nuova patria. Era un cittadino americano di fatto, e dal 1955 di diritto.
CUORE DI CANE

Nella sua seconda vira non si aggiravano più le ombre dei lager e dei neri
cappelli col teschio, ma continuavano a esserci i razzi.
Se von Braun vegliava, di certo il suo rivale Korolev non dormiva.
Come fa, se ha ancora gambe, il ciclista in fuga che voltatosi vede con la
coda dell'occhio un inseguitore avvicinarsi, il progettista capo era pronto
a imprimere un'ulteriore accelerazione al suo programma. Il magistrale
colpo di pedale arrivò punrualmente nelle prime ore del 15 maggio 1958,
quando da Baikonur il solito R-7, costantemente ritoccato per aumentarne
le prestazioni, mise in orbita Io Sputnik 3. Il nuovo satellite aveva la forma
di un cono alto come una casa a un piano e largo alla base come un ma­
terasso a due piazze, pesante quasi tre volre di più della capsula di Laika,
collocato su un'orbita con un apogeo di 11.000 km, con una previsione di
vira di quasi due anni.
Nessuna indulgenza allo spettacolo questa volta: il carico consisteva in
un laboratorio scientifico completo per esplorare gli strati più alti dell'at­
mosfera• e per compiere osservazioni e misure di geofisica.
Si trattava del contributo sovietico all'IGY. Korolev aveva sperato di
poterlo lanciare per primo, ma l'ansia d'un possibile sorpasso l'aveva co­
stretto a cambiare i piani e a mandare in cielo una palla lucida, garrula
e quasi vuota. Poi s'era messo in mezzo Chruscev pretendendo un'altra
impresa clamorosa e lui l'aveva accontentato con Laika. Adesso, pensò il
progettista capo, era tempo di servire la scienza, come promesso.
Il glavnij konstrnktor era nuovamente solo in resta alla corsa. Nel grup­
po ormai lontano degli inseguitori, von Braun tirava la volata ai ritardatari.
Per gli americani, il 1958 si chiuse con altri due insuccessi del Vanguard, un
lancio riuscito dcli' Explorer 4, un satellite dedicato allo srudio delle fasce
di Van Allen, e poi ben sette flop consecutivi. Uno di questi, però, merita di
essere ricordato perché fu il primo della nuova gestione NASA e segnò l'avvio
della corsa alla Luna. L'11 ottobre alle 3,40 del mattino da Cape Canaveral
partì un potente missile multisradio che combinava l'esperienza dei razzi
Thor'0 con quella dei Vanguard. Portava in cima la sonda Pioneer I con I' am­
bizioso mandato di immetterla in un'orbita lunare. Un tentativo precedente
era aborrito in una palla di fuoco dopo soli 4 minuti di volo. Questa volta le
cose andarono meglio ma, a causa di un malfunzionamento del lanciatore,
il "pioniere celeste" coprì solo un terzo del tragitto e poi ricadde sulla Terra.
Insomma, gli yankee sparavano a mitraglia ma con pessima mira. I
russi, parsimoniosamente, tiravano molro meno, ma pareva proprio che
a ogni nuovo colpo facessero centro. In realtà, l'impressionante efficien-
106 LUNA ROSSA

za nasceva più che altro dalla consuetudine del Cremlino di sbandierare


solo i successi, nascondendo accuratamente i fallimenti con il silenzio o
coprendoli sotto un manto di menzogne che l'impermeabilità della Corti­
na di ferro rendeva relativamente semplice custodire. Una manipolazione
dell'informazione che è prassi per chi detiene il potere con mano forte e
che con Joseph Goebbels era diventata una scienza. Per questa ragione,
nessuno seppe per molto tempo che anche il mago di Baikonur aveva già
tentato di raggiungere la Luna, fallendo per tre volte l'obiettivo. Come al
solito, l'ordine di buttarsi in questa avventura era venuro direttamente da
Mosca. Chruséev voleva assestare un altro knock out ali 'America per poter
trattare un armistizio nella Guerra fredda da una posizione di forza. Lo
pretendeva entro un anno, senza chiedersi, come spesso fanno i governanti
di polso, se il margine di tempo fosse ragionevole.
Disciplinatamente, il progettista capo obbedì. Venne approntata una
versione del razzo R-7 modificata dall'aggiunta di un terzo stadio così da
fargli raggiungere la velocità di 11,2. km/s, indispensabile a vincere la gra­
vità terrestre". Per lo stadio "di fuga", che doveva essere capace di avviarsi
nel vuoto, Korolev decise di non utilizzare il nuovo propulsore sviluppato
dalla squadra di Glusko, che procurava sì una spinta formidabile ma che
faceva uso di un carburante sintetico altamente tossico.
In questa scelta forse pesarono anche i perenni contrasti tra i due galli
del pollaio spaziale. Tutto il mondo è paese, ma l'URSS lo era di più per­
ché lì tutti, intellettuali, scienziati e tecnici in particolare, avevano addosso
lo sguardo penetrante del Comitato per la sicurezza dello Staro (KGB -
Komitet gosudarstvennoj bezopasnosti). Non potevano sbagliare, pena
un'accusa di sabotaggio. Né potevano consentire che qualcuno alzasse
troppo la testa, pena la perdita della poltrona o peggio: quasi un'anticipa­
zione dell'atmosfera che permea il distopico film Rollerb,zll (1975).
Comunque sia, Korolev preferì tenere la strada vecchia dei motori a
ossigeno liquido e kerosene, rinnovata dall'intervento di un progettista di
genio, Semjon Kosberg (1903-1965), capo dell' OKB-154. Il Luna 8K72., un
missile alto come un palazzo di 13 piani, fallì la prima prova distruggendosi
dopo 90 secondi dal via per un cedimento strutturale. Il secondo lancio,
quasi contemporaneo al Pioneer 1, andò allo stesso modo. Il razzo volò per
120 secondi e poi si spezzò in due. Nel terzo tentativo ricadde a terra dopo
4 minuti per via di un guasto al secondo stadio.
Ma al quarto, il 2 gennaio 1959, l'8K72 salì maestosamente al cielo
puntando alla Luna. Korolev volle chiamare la sua creatura Mechta, cioè
CUORE DI CANE

"Sogno". In effetti, era il miraggio dell'umanità tutta che provava a mate­


rializzarsi. In seguito, si preferì però ribattezzarla Luna I per dare un senso
cronologico ai nomi delle ormai numerose missioni indirizzate al satellite
della Terra, e anche per cancellare la memoria dei primi tre fallimenti.
L'obiettivo dichiarato, più modesto di quello della NASA, era di impat­
tare la Luna con una navicella carica di strumenti, così da effettuare du­
rame il tragitto ogni sorra di misure in uno spazio mai esplorato prima. A
bordo della sfera, trafitta dalle antenne radio come un san Sebastiano, era
stato caricato di tutto: un magnetometro, un rivelatore di micrometeoriti,
il solito contatore Geiger e un contatore a scintillazione per la rivelazio­
ne di particelle elettricamente cariche, in aggiunta ai consueti apparecchi
radio per trasmettere i dati raccolti e notificare la posizione della sonda al
centro di controllo. Oltre a produrre una velocità quasi doppia del Pio­
neer 1, la potenza del lanciatore sovietico permetteva un carico scientifico
di oltre un quintale.
Il 3 gennaio 1959, quando ormai sembrava cosa fatta, un gongolante
Chrusècv annunciò al Soviet supremo che l'URSS aveva « tracciato il cam­
mino dalla Terra alla Luna». Un laboratorio con falce e martello tatuati
sull'involucro aveva vinto l'abbraccio gravitazionale della Terra e stava per
toccare la Luna dove avrebbe lasciato una targhetta con inciso «URSS,
gennaio 1959». Come mettere un Borsalino sulla sedia. Era la prima volta
per l'intera umanità. Radio Mosca trasmise la notizia in quindici lingue
diverse.
Gli americani, sbigottiti, cercarono di verificarla sperando in un bluff
dei russi, ma questa venne confermata il giorno successivo, mentre già i
giornali di tutto il mondo celebravano l'impresa a titoli cubitali. I tecnici
delJPL presso il Deep Space Communications Complex di Goldstone, nel
deserto del Mojave in California, erano riusciti infatti a captare il segnale di
Mechta, debole come si addice a chi ormai si trova molto lontano da casa.
Per buona sorte degli yankee, però, l'ultimo stadio del razzo s'era spen­
to un attimo troppo tardi, spingendo la sonda fuori rotta e facendogli così
mancare il bersaglio. Dopo 36 ore di viaggio, invece di infrangersi sul suolo
lunare, il "Sogno" era passato oltre senza mai avvicinarsi al corpo celeste più
d'un raggio terrestre. Un fallimento? Solo parziale, perché il ricalcitrante
kamikaze, salvandosi dallo schianto, aveva automaticamente promosso sé
stesso a "pianeta artificiale� avviandosi a dipendere esclusivamente dalla
gravità del Sole. Non un record da poco per ilpalmares del « popolo sovie­
tico impegnato a sviluppare la società socialista nell'interesse di tutta l'u-
108 LUNA ROSSA

manità». Chruscev però non si rese conto dell'inatteso colpo di fortuna e


mentì dichiarando che tutto era andato come da programma.
Non fu comunque l'unico record della missione. Gli strumenti della
sonda permisero infatti di scoprire che, diversamente dalla Terra, la Luna
non possiede un campo magnetico. Venne misurato anche, per la prima
volta, il vento di particelle cariche che emana dal Sole e campionata la den·
sità degli strati alti delle fasce di Van Allen, e fu battuto il record di disran·
za di una trasmissione radio. La sonda cessò di comunicare con Baikonur
quando ormai si trovava a mezzo milione di km dalla Terra.
La NASA rispose prontamente con una raffica di lanci. Dieci tentativi in
totale, uno per ogni mese a partire dal febbraio 1959, di cui la metà fallici
per una ragione o per l'altra. Come premi di consolazione per una nazione
abituata a vincere ci furono la prima foto del pianeta Terra dallo spazio,
scattata da un satellite messo in orbita da un Vanguard, e un primo approc·
cio alla Luna da parte della sonda Pioneer 4, il 3 marzo, grazie a una va­
riante del lanciatore Jupiter che parlava tedesco. Mancò clamorosamente il
bersaglio, facendo dieci volte peggio del Luna 1, ma anche questa sonda si
trasformò in un satellite del Sole. Un'apertura a quel cielo profondo di cui
gli americani sarebbero diventati i padroni nell'ultimo quarto di secolo.
La capricciosa Selene rimaneva ancora inviolata, ma non per molto. A
nove mesi dal tentativo che aveva fatto cilecca, Korolev provò di nuovo,
senza cambiare praticamente nulla sia nel vettore sia nel payload. Ci furo­
no alcuni problemi al lancio, che dovette essere rinviato di ere giorni. Poi,
la notte tra il 12. e il 13 settembre 1959, l'8K72. prese la via del cielo. Dopo
le solite 36 ore di viaggio trascorse a compiere misurazioni scientifiche,
la sonda si schiantò sulla Luna, a ovest del Mare della Serenità, una delle
grandi formazioni basaltiche provocate dagli impatti di meteoriti giganti
negli anni giovanili dell'astro.
Quando le trasmissioni radio cessarono di colpo, i tecnici a Baikonur
compresero di avere fatto centro. Un'ondata di incontenibile gioia dilagò
in tutta la grande base. Ovunque si beveva e si cantava felici. Era la prima
volta che un manufatto umano toccava un corpo celeste. Mezz'ora dopo il
primo impatto, cadde sulla Luna anche il terzo stadio del razzo, che aveva
accompagnato la sonda a distanza.
Come puro colpo di teatro, a bordo del Luna 2. era stata collocata una
sfera segmentata in pentagoni, simile a un pallone da calcio. Ciascuna sca­
glia portava inciso quello stesso messaggio che il Luna I non aveva potu­
to consegnare. Al momento dell'urto, una piccola carica esplosiva avreb-
CUORE DI CANE 109

be dovuto frammentarne la struttura in modo da proiettare le targhette


tutt'attorno, quasi a prendere simbolicamente possesso dell'astro in nome
del popolo dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Non sap­
piamo se il provocatorio giocattolo abbia funzionato davvero, ma forse un
giorno, quando l'umanità sarà ulteriormente progredita, queste piccole
schegge di memoria potranno diventare motivo di caccia per archeologi
astrali e per collezionisti.
L'unicità dell'evento mise temporaneamente in secondo piano un'im­
portante scoperta del viaggio: la conferma che le radiazioni presenti nello
spazio non avevano intensità tali da compromettere la salute dei futuri
cosmonauti. Era ciò che i medici volevano sentirsi dire per poter dare il
loro benestare a un programma di volo umano.
Gli americani non erano pronti a rispondere in modo adeguato.Come
da copione, lanciarono l'ennesimo satellite col solito Vanguard, puntan­
do sulla tecnologia della strumentazione e sull'impiego dei pannelli solari
per alimentarla. In questo campo l'industria statunitense era imbattibile.
Non appena i sovietici copiarono tale soluzione per produrre energia, gli
yankee passarono alle celle a combustibile, mantenendo la leadership nel
settore.
Non trascorse neppure un mese dal successo del Luna 2. e già Korolev
era pronto a sferrare un vero montante al mento degli avversari. Poco pri­
ma dell'una di notte del 4 ottobre 1959, tempo di Greenwich, da Baikonur
prese il volo la sonda Luna 3, un oggetto grande come un frigorifero e del
peso di quasi 3 quintali. La TASS ne diede un breve annuncio, ovviamente
postumo come da consuetudine sovietica e stranamente spoglio dei soliti
orpelli propagandistici. La missione appariva troppo complessa per per­
mettersi di vendere la pelle dell'orso prima di averlo ucciso.C'era il rischio
concreto d'una figuraccia. Troppe cose sarebbero potute andare storte, a
cominciare dal corredo degli esperimenti scientifici. Infatti, oltre alle dota­
zioni ormai standard, era stata fissata fuoribordo una macchina fotografica
dotata di due obiettivi, con focali di 2.00 e 500 mm rispettivamente. Le
immagini raccolte su una pellicola in bianco e nero sarebbero state svilup­
pate automaticamente in situ e poi scannerizzate così da poterle inviare via
radio a una stazione di terra.
Ma immagini di che cosa? Addirittura, della faccia nascosta della Luna,
quella che mai nessun occhio umano aveva potuto ammirare perché il no­
stro satellite, intrappolato in quella che gli astronomi chiamano una "riso­
nanza spin-orbita': gira su sé stesso esattamente nello stesso tempo in cui
110 LUNA ROSSA

rivolge attorno alla Terra". I pannelli solari avrebbero apportato l'energia


necessaria a far funzionare sia le apparecchiature sia la radio.
I parametri di lancio erano stati calcolati in modo che la sonda potesse
raggiungere la Luna per girarci attorno e, grazie all'effetto fionda - una
sorca di calcio ben assestato alla navicella dalla forza gravitazionale del sa­
tellite-, essere ricollocata su un'orbita ellittica geocentrica con perigeo a
500 km. In questo modo Luna 3 si sarebbe riavvicinata alla Terra più volte
e a sufficienza per consentire la trasmissione delle immagini raccolte nel
primo passaggio sopra la faccia nascosta del corpo celeste.
Filò quasi tutto liscio. Il 7 ottobre la sonda sorvolò il bersaglio per 40
minuti e raccolse 2.7 immagini da una distanza di 60.000 km, coprendo
circa il 70% dell'emisfero incriminato. Poi si avviò all'appuntamento con
le grandi orecchie che sulla Terra attendevano con ansia di ascoltare il re­
soconto del safari. Ma, arrivata al perigeo, perse quasi la voce. Il suo segnale
radio era troppo fioco per consentire la ricezione delle scansioni delle pre­
ziose fotografie.
Quando lo venne a sapere, Korolev si trovava a Tyuratam. Furioso, no­
nostante le pessime condizioni meteorologiche che sconsigliavano di volare,
si fece subito trasportare dall'aviazione militare in Crimea, dove si trovava
la grande antenna che avrebbe dovuto sintonizzarsi con la voce di Luna 3·
Quindici giorni dopo, la sonda si ripresentò all'appuntamento. Le furibon­
de strigliate di Korolev ai suoi tecnici avevano facto effetto perché questa
volta fu possibile scaricare 17 immagini a bassa risoluzione. Meglio di niente.
Trascorsero altri 10 giorni e i contatti si interruppero del tutto, ma la sonda
continuò i suoi giri finché nell'aprile 1960 si schiantò al suolo. Amen!
Nonostante fossero di qualità appena sufficiente, le immagini sorprese­
ro gli scienziati''. La faccia nascosta appariva fortemente butterata da una
sorta di acne giovanile, ma quasi priva delle macchie scure dette "mari", ca­
ratteristiche della faccia visibile. In buona sostanza, comunque, la medesi­
ma desolazione della faccia visibile. Niente a che vedere con la descrizione
fattane dai passeggeri dell'astronave di Intorno alla Luna di Verne. Nes­
sun bosco o lago come quelli che a loro era parso di scorgere in un lampo
di luce provocato dall'esplosione di un asteroide di passaggio. Le catene
montuose, le valli e i crateri si prestavano a campanilistici battesimi, ov­
viamente subito contestati dall'Unione astronomica internazionale'\ in
maggioranza filoamericana. Così, uno dei mari fu chiamato Moscoviense,
e alcuni crateri presero via via il nome di celebri cosmonauti: Gagarin, Ti­
tov, Tereskova e Komarov, e anche del padre nobile Ciolkovsk.ij. ln questo
CUORE DI CANE III

raptus toponomastico i russi fecero unagaffi. Chiamarono Montagne So­


vietiche una catena di alture che poi risultarono inesistenti. U nome cadde
molto prima del Muro di Berlino.
C'era di che far rodere di gelosia il vecchio Ike. Il presidente aveva già
dovuto subire l'ironia di Chruscev in occasione della recente visita ameri­
cana dello statista russo, cominciata il 15 settembre 1959, a valle del trionfo
del Luna 2.. Nel primo incontro all'aeroporto, Chruscev aveva però teso
la mano al rivale: «Siamo venuti fra voi con il cuore aperto e con buone
intenzioni». Aveva davvero bisogno di pace per avviare le riforme, soprat­
tutto quella agraria che il paese attendeva. Tra l'altro, il lungo rapporto
con la Repubblica Popolare di Cina, l'alleato di sempre, era in procinto
di rompersi. Le vittorie nella corsa allo spazio gli servivano per vendere
un'immagine ddl' URSS meno tetra e più rassicurante.
L'incontro ufficiale con Eisenhower nella residenza estiva del presi­
dente a Camp David, nel Maryland, ebbe un esito formalmente più che
confortante. Nel comunicato congiunto rilasciato in conclusione si legge
che lo scambio di opinioni avrebbe contribuito « a una migliore compren­
sione dei motivi e della posizione di ciascuno, e quindi al raggiungimento
di una pace giusta e duratura», e che «la questione del disarmo generale è
la più importante di quelle che oggi si trova ad affrontare il mondo». Belle
parole. Ma nessuno dei due leader era davvero sincero. Ciascuno pensava
di poter continuare a giocare le proprie carte, Nikita nello spazio e Ike nel
campo, molto più sdrucciolevole, dello spionaggio aereo.
Il lancio di un altro Pioneer, il quinto della serie, nel marzo 1960, fu una
vera e propria boccata d'ossigeno per gli americani. L'obiettivo originale,
un sorvolo ravvicinato (fly-by) di Venere, era sufficientemente ambizioso
per mettere in ombra l'ultima missione lunare sovietica. Ma il protrarsi di
un problema tecnico aveva fatto perdere la finestra di lancio. Quando si
tratta di pianeti, infatti, lo sparo deve avvenire in quel lasso di tempo in cui
essi si trovano prossimi a raggiungere la congiunzione inferiore (momen­
to in cui la loro distanza dalla Terra è minima)''· Perso il treno rapido, si
dovette ripiegare su un accelerato, giustificando la missione con un'esplo­
razione dello spazio tra la Terra e Venere, che confermò l'esistenza di un
campo magnetico interplanetario.
Korolev, però, aveva altri colpi in canna. U 15 maggio 1960, a mezzanotte
tempo di Greenwich, prese il via da Baikonur una vera e propria nave spaziale,
battezzata infatti Korabl'-Spurnik 1, ossia "Satellite-Nave" (che, per ragioni
di comodo, gli occidentali preferirono chiamare semplicemente Sputnik 4,
112. LUNA ROSSA

mantenendo la serie cronologica). Si trattò del tentativo di mettere in orbita


e poi recuperare un modulo da 4,5 tonnellate chiamato Yostok ("Oriente")'',
pensato per un round t1·ip nello spazio di un passeggero umano. Il modulo,
dotato di un propulsore proprio, era collocato in cima a un R-7, di cui di fatto
costituiva il terzo stadio. Il test di volo andò bene, ma un errore al momento
del rientro spinse la navicella Vostok su un'orbita superiore su cui sarebbe
rimasta due anni e mezzo circa prima di decadere e disintegrarsi. Si trattava
comunque del primo passo verso la conquista umana dello spazio circumter­
restre, una tappa della corsa alla Luna che i sovietici avrebbero vinto con di­
stacco, facendo man bassa di rutti i "gran premi della montagna".
Il mezzo successo spinse il glavnij konstruktm· a sperimentare un volo
con cavie animali e vegetali. Il primo tentativo, avviato il 2.8 luglio, si con­
cluse tragicamente entro una manciata di secondi dal via per un guasto a
uno degli stadi laterali del razzo. Sebbene i tecnici della sala di controllo
avessero azionato in tempo il sistema di salvataggio delle cavie, questo non
funzionò a dovere. Data la modesta altezza, il paracadute della capsula di
rientro si distese solo parzialmente. Una lezione che convinse i progettisti
a dotare il modulo Vostok di seggiolini eiettabili. Il secondo test, chiamato
Korabl' -Sputnik 2. o Sputnik 5, coinvolse due cagnette, Belka e Suclka,
che abbiamo visto essere state addestrate con Laika, stabilmente osserva­
te dalla sala di controllo mediante una telecamera. Sulla navicella presero
inoltre posto 40 topi, 2. ratti e un assortimento di piante. li lancio fu ef­
fettuato il 19 agosto 1960 poco prima delle 6 del mattino da quella che
sarà successivamente chiamata "rampa Gagarin". La Yostok fu collocata su
un'orbita lievemente ellittica a una quota media di 300 km e dopo 2.1 ore
venne riportata a terra, utilizzando come freno l'attrito atmosferico e poi
un paracadute. Gli animali vennero recuperati in buono stata.
Poiché durante la quarta orbita i cani avevano data segni di crisi epi­
lettica, i medici, sottovalutando le incredibili capacità di adattamento
dell'organismo umano, dedussero che i primi voli con equipaggio avreb­
bero dovuto fermarsi a un massimo di 3 orbite. Si trattò comunque di un
malessere passeggero, senza conseguenze per gli animali, tant'è vero che
l'anno successivo Strelka partarì una nidiata di bellissimi cuccioli. L'ac­
coppiamento era stato voluto come ulteriore verifica degli effetti del volo;
la necessità di una "maternità per la scienza" si sarebbe ripresentata anche
con la prima cosmonauta donna.
Uno dei cuccioli venne donato aJacqueline Kennedy. Un gesta che sot­
to l'apparenza di grazioso omaggio intendeva sottolineare tangibilmente e
CUORE DI CANE 113

velenosamente la superiorità sovietica nello spazio. Qualcuno insinuò ad­


dirittura che socco la cuce dell'animaletto fossero state installate delle mi­
crospie con cui carpire i segreti della Casa Bianca. Tale era il clima ai tempi
della Guerra fredda. Alla loro morte, entrambe le cagnette-cosmonaute
vennero imbalsamate per essere esposte in un museo moscovita dedicato
allo spazio, seguendo una prassi un po' macabra avviata addirittura con
Lenin e proseguita con Stalin.
Ormai Chruscev amava il suo glavnij konstruktor e lo proteggeva dal­
le ire dei militari che vedevano sperperato quasi il 50% del loro budget in
macchine bellissime ma dispendiose'', senza poter nemmeno comare su un
ICBM efficiente. L'R-7, nelle sue varie modificazioni, restava uno strumento
adatto alla scienza e alla ricerca, ma non ad applicazioni belliche: era troppo
lungo da armare (occorrevano 30 ore per completare un pieno di carburan­
te} e troppo dipendente da costose basi di lancio facilmente identificabili
dal nemico. Korolcv lo sapeva, ma non dava segno di preoccuparsene.
Questo sraco di cose indusse però Chruscev ad avviare una nuova li­
nea di razzi che potessero competere con i Tican statunitensi' 8• Dovevano
essere più potenti degli R-12 e R-13 sviluppati per i sottomarini nucleari,
affidabili e soprattutto ricoverabili in silos ben protetti, con i serbatoi pie­
ni in maniera da essere pronti all'uso nell'arco di pochi minuti. L'incarico
di progettarli venne assegnato a Michail Yangel (1911-1971), un ingegnere
ucraino alle dipendenze di Korolev che da tempo sperava di scalzare il suo
capo per prenderne il posto. La supervisione fu affidata al maresciallo Ne­
delin, che aveva avuto il torto di puntare sugli R-7 e ora doveva rimediare.
Nel giro di un anno il missile a due scadi R-16, alto 30 metri, venne ap­
prontato per un test su una nuova rampa di lancio aggiunta a quella dove
Korolev provava i suoi missili. Funzionava con un propellente tossico e
corrosivo gradito a Glusko, che aveva il merito di restare liquido a tem­
peratura ambiente. Proprio ciò che occorreva per trovare l'arma pronta
al momento del bisogno. Si sarebbe potuto lanciarlo in pochi minuti alla
volta delle città americane con il micidiale carico di una bomba termonu­
cleare di 3 tonnellate. Bingo!
Nedelin appariva ansioso di mostrarlo in funzione per riscattarsi agli
occhi del Partito. Decise perciò che il collaudo sarebbe avvenuto in coinci­
denza con l'anniversario della rivoluzione, il 7 novembre. Per guadagnare
tempo, molti dei protocolli di sicurezza vennero semplicemente saltati e
furono ignorate le segnalazioni di criticità. Un tragico errore, destinato
peraltro a non rimanere unico.
114 LUNA ROSSA

Al momento del via, il 2.4 ottobre 1960, il secondo stadio prese fuoco,
provocando anche l'esplosione del primo. Nedelin, che si trovava a poca
distanza, fu incenerito da una palla di fuoco. Insieme a lui morì un centi­
naio di persone; Yangel si salvò miracolosamente perché proprio allora era
rientrato nel bunker a fumare una sigaretta, cosa proibita sulla piattafor­
ma. Come dire, il fumo uccide ma talvolta può anche salvarci la vita!
Nonostante il disastro sotto il profilo umano e i gravissimi danni ma­
teriali (la nuova rampa di lancio ne era uscita completamente distrutta),
il progetto non venne fermato. Ci fu una rapida inchiesta a porte chiuse
per stabilire cause e responsabilità e a distanza di un anno l'R-16 fece il suo
volo inaugurale con successo. La "catastrofe Nedclin", accuratamente cela­
ta al mondo••, ebbe due conseguenze: sbarazzò Korolev di un pericoloso
concorrente e convinse Chruscev che, per far pari con l'America, avrebbe
dovuto installare una batteria di missili balistici sovietici a medio raggio
sull'isola di Cuba, a due passi dal suolo statunitense. Una decisione che
portò alla famosa crisi internazionale e al duello a distanza con il nuovo
inquilino della Casa Bianca,John Ficzgerald Kennedy.
Lo scenario mondiale stava cambiando, insieme ad alcuni degli accori
principali. Il 4 novembre 1958 era stato incoronato papa Giovanni XXIII
e 1'8 novembre 1960 il cattolico Kennedy aveva vinto di misura le elezio­
ni presidenziali in USA, grazie anche all'involontario aiuto offertogli dal
ritardo americano nella corsa allo spazio, che il senarore democratico del
Massachusetts aveva abilmente cavalcato attribuendolo a colpevoli distra­
zioni e sprechi dcli' amministrazione repubblicana.
Perfetta rappresentazione del sogno americano, il giovane presidente
ereditava un nuovo stato di forte tensione tra USA e URSS causato dall'ab­
battimento, il 1° maggio 1960, del!' u2. in volo lento ad alta quota sul terri­
torio sovietico. Una faccenda sporca, che era costata parecchio imbarazzo
a Washington, nonché la rottura delle trattative ginevrine per un disarmo
controllato. Chruséev era davvero furibondo per la slealtà del!' avversario.
li 1960 si chiuse con un'altra mossa a sorpresa da parte di Korolev, che
ormai stava togliendo il sonno ai funzionari della NASA: il lancio in succes­
sione rapida di ben due sonde in direzione del pianeta Marce. L'obiettivo era
di studiare lo spazio interplanetario nella regione esterna ali 'orbita terrestre
e poi, una volta raggiunto il Pianeta rosso, raccogliere dati e immagini.
I deliri di Percival Lowell, il ricco astronomo americano che all'inizio
del xx secolo aveva sostenuto l'esistenza di tracce di una civiltà intelligen­
te su Marce, capace di sfruttare l'acqua ghiacciata dei poli con mirabili reti
CUORE DI CANE 115

di canali, sarebbero state oggetto di una cruciale verifica in situ. Ma questa


volta la fortuna non arrise al progettista capo.
Chiamate Mars 1M dai sovietici e in Occidente Marsnik (contrazione di
Marte e Sputnik), le missioni dovevano portare le rispettive sonde a un pri­
mo parcheggio in orbita terrestre da cui poi, grazie alla spinta di un quarto
stadio, sarebbero state successivamente instradate su una traiettoria eliocen­
trica con apogeo alla distanza di Marte dal Sole. Fallirono ambedue per un
malfunzionamento del razzo Molnija ("Fulmine"), una nuova versione a
quattro stadi del!' R-7 alta 43 metri, superfetazione dell'affidabilissimo origi­
nale a due stadi, dettata dalla necessità di una maggiore potenza complessiva.
li treno di razzi di Ciolkovskij aveva sempre più vagoni. Forse troppi, ormai.
In prossimità del Capodanno 1961 il mondo si trovava ancora una volta
sull'orlo di una guerra totale. Ma Korolev, imperterrito, continuava il suo
programma sempre più ambizioso, con il coraggio che solo chi aveva già
visto la morte in faccia (nella Kolyma) poteva avere. Niente riusciva più
spaventarlo e nessuno aveva la forza di sottrarlo al lavoro: nemmeno la sua
nuova famiglia. Nel 1949, dopo che Ksenija lo aveva lasciato anche perché
infedele e troppo dedito al lavoro, s'era risposato con Nina lvanovna, una
ragazza molto più giovane di lui che gli traduceva dall'inglese gli articoli
scientifici. Creatura deliziosa il cui amore non era però sufficiente a com­
pensare le inquietudini di questo gigante.
Ciò che era stato progettato per volare sino a Marte, pensò, poteva
andare bene anche per Venere. Il misterioso pianeta velato da un denso
manto di nubi impenetrabile alla luce è addirittura più vicino di Marte,
anche se per arrivarci occorre più o meno la medesima energia'0• Così, il
4 febbraio di quell'anno, un razzo Molnija venne lanciato con il proposito
di raggiungere Venere con una sonda tanto massiccia da far temere che i
sovietici stessero addirittura sperimentando un volo con equipaggio uma­
no. La strategia era la stessa dei Marsnik e l'esito fu il medesimo, questa
volta per colpa del quarto stadio del razzo. Perciò il Tyazheliy-Sputnik 4
("Satellite pesante") o Sputnik 7, come venne chiamato in Occidente, ri­
mase parcheggiato in orbita terrestre.
Il successivo Sputnik 8, o anche Venera 1, partÌ otto giorni dopo, il 12.
febbraio 1961. Sembrò che tutto stesse andando per il meglio. La sonda
entrò in orbita eliocentrica riuscendo a passare a soli quattro raggi terrestri
dal Pianeta azzurro. Così almeno si crede, perché ad appena una settimana
dalla partenza, le stazioni di Terra persero contatto con la navetta. I dati
raccolti dalla ricca dotazione di strumenti a bordo di questa complessa
116 LUNA ROSS A

nave spaziale non poterono essere recuperati. Un destino che accomunerà


molte delle successive missioni sovietiche nello spazio profondo.
In marzo seguirono altri due lanci della navicella Vostok, classificati
Sputnik 9 e 10 (Korabl' -Sputnik 4 e s). Entrambi portavano a bordo sia
un cane sia un manichino dall'aspetto del tutto realistico (tanto da recare
un'etichetta con scritto "pupazzo" onde evitare che venisse confuso con un
astronauta morto), scherzosamente battezzato Ivan lvanovich (un po' l'e­
quivalente del nostro generico "Mario Rossi"). Funzionò tutto a meraviglia.
Anche il rientro, che il manichino effettuò con un paracadute apertosi subi­
to dopo l'espulsione del seggiolino eiettabile così da provare la funzionalità
del sistema, mentre il cane toccò terra dentro la capsula, appesa anch'essa a
un paracadute. Si trattava dell'ultima prova prima del grande azzardo.
E gli Stati Uniti? Nel 1960 gli americani effettuarono solo lanci prag­
maticamente utili - un satellite meteorologico, uno passivo per comunica­
zioni intercontinentali, l' Echo 1A, e per accontentare i militari, un sacellite
spia - e due tentativi falliti di aggirare la Luna con le sonde Pioneer P2.0
e P31. Ma, nel gennaio 1961 la NAS A rispose ai ripetuti servizi vincenti dei
sovietici con un rovescio lungo la linea che le fece guadagnare un punto
secco. Un razzo Mercury-Redstone simile a quello provato con successo
4S giorni prima, prese il via da Cape Canaveral per un volo suborbitale di
16 minuti con a bordo Ham, uno scimpanzé nativo del Camerun, scelto
era un gruppo di primati addestrati dall'agenzia spaziale statunitense. No­
nostante una serie di errori e di guasti, il lancio fu coronato da successo. Il
primo di una serie di piccoli passi per recuperare la distanza dai russi.
La dea bendata scava pareggiando i conti con gli yankee, dopo essere
stata spudoratamente dalla parte sovietica. Raggiunto l'apogeo, la capsula
si ribaltò per affrontare il rientro, frenata da un grosso paracadute negli
ultimi cinque minuti del tuffo in atmosfera. Quando un elicottero della
marina statunitense la raccolse mentre galleggiava a mala pena nelle acque
dell'Oceano Atlantico col rischio di affondare per via d'una falla, si scoprì
con sollievo che Ham aveva superato brillantemente la prova.
Nelle foto scattate all'apertura della navicella e distribuite ai media,
l'animale, che era stato esposto ad assenza di peso e a formidabili accelera­
zioni, anche maggiori di quelle per le quali era stato allenato, mostra un'e­
spressione stralunata. Ma era vivo e affamato! Un passo avanti degli yankee
nell'avvincente match con i sovietici. Tuttavia, anche questa volta il game
andò ai giocatori d'oltrecortina, che stavano addirittura per aggiudicarsi a
zero il primo set.
L'Icaro rosso

lo sono Gagarin.
Per primo ho volato,
e voi volaste dopo di mc.
Sono stato donato
per sempre al ciclo, dalla Terra,
come il figlio dell'umanità.
[ ... ] Sulla Terra mi sono schiantato,
quella che per primo ho visto tanto piccola,
e la Terra non mc l'ha perdonata.
Ma io perdono la Terra,
sono figlio suo. in spirito e carne,
e per i secoli prometto
di continuare il mio volo.

Evgcnij Evruscnko

Attrezzato coi suoi cinque sensi, l'uomo


esplora l'universo e chiama questa avventura
scienza.

Edwin Hubble

Rieccoci a Baikonur. Albeggiava appena, quella mattina di mercoledì 12.


luglio 1961. Il cielo, quasi del tutto sgombro di nubi, prometteva una bel­
la giornata e la temperatura frizzante stimolava l'appetito. Korolev non
aveva chiuso occhio per rutta la notte, rigirandosi nel letto. Uomo san­
guigno e passionale, non riusciva ad accantonare nemmeno per un po'
le sue preoccupazioni; diversamente da Ulisse che prima di affrontare i
Proci si era imposto il sonno così da ritrovarsi ben riposato per la prova
che lo attendeva. Nella camera a loro riservata, Jurij Alekseevic Gagarin
(1934-1968) e German Scepanovic Titov (1935-2.000) dormivano invece
della grossa, come il principe di Condé «avanti la giornata di Rocroi» di
manzoniana memoria, quando alle 5,30 vennero svegliaci.
La sera precedente avevano giocato per un po' a biliardo e poi mangia­
to in compagnia del loro medico, schizzandosi in bocca il "cibo cosmico"
contenuto in alcuni cubetti a mo' di dentifricio. Korolev era venuto a salu­
tarli e, per allentare la tensione, più sua che dei due scanzonati giovanotti,
u8 LUNA ROSSA

aveva scherzato: «Tra cinque anni per andare nel cosmo basterà fare do­
manda ai sindacati».
Gagarin aveva scritto alla moglie pregandola, nel caso il volo fosse an­
dato male, di crescere le due figlie «come degni membri della nuova socie­
tà comunista». Non aveva paura. «Parto domattina, e ancora non credo
che sia vero!». Con la sua richiesta voleva piuttosto ribadire la fede in un
sistema sociale capace di trasformare un contadino in un'aquila.
Al momento di andare a letto, ai due cosmonauti era stato offerto un
sonnifero: «Giovanotti, avete bisogno che vi aiuti ad addormentarvi?»,
aveva domandato loro il medico, ma entrambi avevano rifiutato. Il lun­
go sonno tranquillo, «senza incubi e senza sogni», testimoniava che il
barbiturico sarebbe stato inutile, a conferma di quella profonda serenità
interiore che il progettista capo tanto cercava nei sui puledri.
Dopo la colazione con i soliti tubetti {patè di carne, gelatina di ribes
nero e caffè}, i due vennero trasferiti al centro medico per un ultimo con­
trollo, che entrambi passarono senza problemi. È ragionevole pensare che
T itov, relegato al ruolo di riserva di Gagarin, in cuor suo sperasse in qual­
che piccolo acciacco dell'ultima ora così da poter soffiare in extremis al
compagno il ruolo di pilota titolare. In palio c'era l'opportunità di diven­
tare il primo cosmonauta della storia. Un'occasione che gli era sfuggita
all'ultimo momento. Aveva creduto infatti di poter essere proprio lui il
prescelto per via d'una migliore professionalità, invece gli era stato preferi­
to Gagarin, la cui umile estrazione faceva gioco a Chrusèev. Se tutto fosse
andato per il giusto verso, il leader avrebbe potuto vantare i meriti di un
socialismo che riscatta un uomo dalla zolla e lo promuove al cielo. La scel­
ta era stata condivisa in pieno anche dalglavnij konstruktor, per tutt'altra
ragione: German era più forte diJurij e avrebbe potuto essere più utilmen­
te impiegato in una prossima e più impegnativa missione.
Ma come erano stati selezionati questi "eroi giovinetti"? Attraverso
un'operazione cominciata due anni prima in seno ali' Istituto di ricerca
scientifica dell'aviazione sovietica {Nnvvs - Nauchno-lssledovatelskij
lnsrirur Voyenno-Vozdoosnykh Seel} a Mosca, dove una commissione di
esperti aveva definito le caratteristiche degli aspiranti cosmonauti. Innan­
zitutto, dovevano essere pilori militari con una grande esperienza di volo.
Questa condizione, posta anche dagli americani per il loro programma di
reclutamento, si fondava sulla ragionevole certezza che la capacità di do­
mare un aereo supersonico in ogni condizione di tempo e di luce, gestendo
con freddezza e rapidità le emergenze, fosse già un filtro efficace a selezio-
ÙCARO ROSSO 119

nare i più forti. Dovevano essere inoltre di dimensioni e peso contenuti


(non oltre 170 cm di altezza e 70-72. kg di peso), di età inferiore a 30 anni,
in perfetta salute, privi anche di cicatrici chirurgiche, e - udite udite -
membri del Partito comunista sovietico.
Complessivamente un buon insieme di requisiti, a giudicare dal fatto
che, dei primi 2.0 candidati prescelti, ben II di loro avrebbero effettiva­
mente volato e, purtroppo, tre sarebbero morti per incidenti vari. Eviden­
temente tra i criteri non era stata contemplata, per mancanza di indicatori
oggettivi a priori, una delle caratteristiche che più apprezzava Napoleone
nei suoi generali, la fortuna. Nel 1962., poi, si sarebbero aggregate al grup­
po anche cinque donne, tra le quali Valentina Tereskova.
Segnalati di solito da un superiore immediato o da un funzionario del
Partito, i candidati dovevano esibire prima d'ogni altra cosa l'anamnesi
familiare. Se ritenuti idonei, venivano sottoposti a rigorosi esami clinici
e a impegnativi test psicologici in condizioni di sforzo estremo, che con­
templavano lunghe sessioni nella centrifuga e su piattaforme vibranti in
un contesto di rumori assordanti per simulare le condizioni di decollo e
rientro, esposizioni in camere ipobariche e prove di tolleranza alla decom­
pressione. Torture necessarie a garantire la loro sopravvivenza nelle situa­
zioni reali e di conseguenza anche il successo della missione. Circa metà
dei candidati venne scartata già nella fase iniziale, oltre la metà dei restanti
dopo la visita medica e un altro w% durante il primo mese di allenamento,
in gran parte a causa del mancato superamento delle prove da sforzo.
Ai pochi superstiti fu riservato un periodo di duri allenamenti, inizial­
mente in un Centro di preparazione dei cosmonauti e poi, dal luglio 1960,
nella nuova e attrezzatissima Città delle stelle (Zvyozdni Gorodok) situata
in area moscovita, vicina a un aeroporto e a un importante asse ferroviario.
L'impianto e il programma vennero posti sotto il controllo del generale
Nikolaj Petrovic Kamanin (1908-1982.), mitico pilota, esploratore polare ed
eroe dell'Unione Sovietica, il quale ricoprì tale incarico fino al 1971.
Uomo tenace e convinto comunista, per 12. lunghi anni Kamanin
avrebbe speso le sue inesauribili energie nella lotta contro l'indifferenza
degli alti comandi dell'aviazione per le attività spaziali e contro la predi­
lezione di Korolev e dei suoi ingegneri per i sistemi di guida automatici,
che limitavano l'intervento umano nel controllo delle navi spaziali. I suoi
Diari rappresentano tuttora una fonte di informazione importante, sep­
pure di parte, su fatti coperti o distorti dal pesante filtro della propaganda
sovietica; narrano di eroiche imprese, di epiche lotte negli innumerevoli
12.0 LUNA ROSSA

comitati della galassia burocratica dell'URSS, di notti insonni prima dei


lanci, di grandi feste dopo i trionfi e di allegre scampagnate nella steppa
acromo a Baikonur nei momenti di libertà.
li programma di training rendeva a migliorare la forma fisica, la coordi­
nazione e l'adattamento all'assenza di peso, nonché la capacità di resistere
ai diversi stress ambientali come forti accelerazioni, temperature elevare
e scarsità di ossigeno. Al primo cedimento di natura fisica o psicologica il
candidato veniva inesorabilmente escluso. C'erano poi i test psicologici
per la stabilirà emotiva (due settimane di isolamento ambientale, ad esem­
pio), la suggestionabilità, la memoria operativa su compici sequenziali in
presenza di disturbi esterni, e la capacità di reagire in condizioni di sforzo,
mantenendo l'abilità di discriminare un segnale dal rumore di fondo pur
sorto la pressione di un tempo limitato.
Gagarin e T irov avevano superato tutti i rese arrivando primi in un
gruppo di sei. Toccava a uno di loro due salire sulla Vostok per un bre­
ve volo orbitale, il primo della storia. Un'opportunità unica per entrare
nella leggenda. La decisione fu presa a soli due giorni dal volo. «Tocca a
Jurij», aveva sentenziato inappellabilmente Korolev il 9 aprile, durante un
briefing della scuderia dei cosmonauti; «German sarà la riserva e volerà
nella missione successiva». Nessuno aveva osato commentare, ma T irov
c'era rimasto assai male, come si capisce dalla sua espressione corrucciata
nello storico filmato del lancio.
«Ovviamente ero frustrato perché fino all'ultimo credevo di avere
buone probabilità di poter essere io il comandante della capsula Vosrok»,
avrebbe confessato in seguito. Forse ancora gli risuonavano nelle orecchie,
come sale su una ferita, le parole di Gagarin: «Sono felice e fiero di essere
staro scelto come uno dei primi cosmonauti. Non ho risparmiato le forze
per figurare tra i migliori. Prometto ai miei compagni comunisti che non
le risparmierò in avvenire e che farò tutto quanto in mio potere per assol­
vere la missione che mi sarà affidata dal Partito e dal governo». Di certo
avrebbe voluto essere lui a pronunciarle.
Finiti i controlli medici, i due furono condotti in una sala adibita a spo­
gliatoio cosmico dove avrebbero indossato l'attrezzatura per il volo. Un'o­
perazione relativamente complessa e anche rituale - quasi la vestizione del
matador prima della corrida - che cominciava con l'applicazione al corpo
di alcuni elettrodi per il monitoraggio delle funzioni virali. Poi ricevette­
ro della biancheria di sera bianca, una leggera sottotuta termica, «azzurra,
calda, soffice e leggera», e infine la tuta spaziale pressurizzata d'un vivace
L'ICARO ROSSO 12.I

colore arancione, pensato per renderli ben visibili in caso di necessità. Ven­
nero poi richiusi gli scarponi e fu fatto loro indossare un casco speciale che
li isolava dai rumori, sormontato da un elmetto bianco con un'ampia visie­
ra trasparente che poteva essere sollevata. Per completare l'abbigliamento e
sigillare lo scafandro mancavano i guanti. Si decise per il momento di non
farli infilare ai cosmonauti, in modo che potessero avere le mani libere pri­
ma del volo. I due ricevettero anche una pistola ciascuno, da usarsi nel caso
in cui la discesa in un luogo ostile l'avesse richiesto.
Lo scafandro era a tenuta d'aria. Una precauzione pretesa dai medici per
minimizzare i rischi in caso di depressurizzazione della capsula, non condi­
visa però da Korolev per ragioni di peso e perché temeva che la realizzazione
dell'indumento potesse ritardare il via. «Khoroio, va bene, fatelo pure»,
sencenziò alla fine, «ma in tempo! Io non aspetterò». E in tempo lo fecero,
poiché tutti sapevano che Sergej Pavlovic non prometteva mai invano.
L'elmetto bianco «recava quattro lettere maiuscole: CCCP» che, se­
condo la leggenda, furono dipinte all'ultimo momento da un ingegnere
dotato di bella calligrafia, perché qualcuno aveva fatto notare che, in caso
di atterraggio al di fuori del territorio dell'URSS, il cosmonauta avrebbe
potuto essere scambiato per una spia. Tutti avevano in mente il freschissi­
mo caso del tenente Powers, il pilota statunitense catturato sul suolo sovie­
tico dopo l'abbattimento dell'uz su cui volava.
Durante la vestizione si fece vivo anche il progettista capo, «stanco e
preoccupato per la notte insonne», avrebbe poi ricordato Gagarin, «ma
con un sorriso benevolo che a tratti gli illuminava il volco tirato. L'avrei
abbracciato volentieri, come se fosse stato mio padre». Intanto il giovane
cosmonauta ascoltava gli ultimi consigli di un abile paracadutista, il quale,
con un lancio da un aereo, aveva sperimentato il modello di discesa basato
sull'espulsione del seggiolino dalla capsula. La decisione di adottare que­
sta procedura era stata presa negli ulcimi giorni. L'ipotesi iniziale era in­
fatti di far atterrare il passeggero dentro la navicella, ma Korolev dubitava
che un uomo potesse sopravvivere all'impatto con il terreno. Questo cam­
bio di procedura comportava un serio problema perché, secondo le norme
contenute nello speciale accordo internazionale garantito dalla Fédération
Aéronautique lnternationale (FAI), per richiedere la registrazione di un re­
cord aeronamico i piloti dovevano rimanere nei loro aeromobili per tutto
il tempo della prova. «Pazienza!», tagliò corto Korolev. «Se necessario,
taceremo su questo punto». E così fecero'.
Finalmente giunse il tempo di andare. Gagarin e Titov, accompagnati
12.2. LUNA ROSSA

da un paio di altri astronauti e dagli ingegneri addetti al controllo delle


funzioni vitali, presero posto in un autobus appositamente attrezzato con
sedili simili a quello della capsula, in modo da poter alimentare il siste­
ma di ventilazione della tuta. Si racconta che durante il percorso Gagarin
abbia chiesto all'autista dell'autobus di fermarsi per assolvere a un'impel­
lente necessità corporale. L'equipaggiamento non prevedeva di poterlo
fare convenientemente in volo e certo lui non avrebbe apprezzato di dover
convivere con la propria urina galleggiante in un ambiente a gravità zero.
Si liberò contro una ruota posteriore del mezzo'.
Un'abitudine acquisita in caserma, diventata un rito propiziatorio di
buona fortuna per tutti gli astronauti in partenza da Baikonur, insieme ad
altri gesti apotropaici come bere una coppa di spumante (presumibilmen­
te armeno), tagliarsi i capelli due giorni prima del volo, non assistere alla
collocazione del razzo sulla rampa di decollo (succede anche con gli abiti
da sposa), firmare la porta del dormitorio dopo l'ultima notte antecedente
il lancio e piantare un albero lungo il "viale della memoria" a Baikonur.
Per parte sua Gagarin, rispettando una tradizione scaramantica dei piloti
sovietici prima di un importante impegno, non si era rasaro.
Man mano che il mezzo si avvicinava alla rampa di lancio, Jurij comin­
ciò a scorgere «il corpo argenteo del missile puntato verso il cielo, con i
suoi sei motori capaci di sprigionare una forza di 2.0 milioni di cavalli».
All'arrivo ai piedi dell'imponente traliccio a sostegno del razzo, dove una
piccola folla lo attendeva con composta trepidazione, la sua esaltazione
raggiunse l'acme. Le occhiate ammirate di tutti gli astanti funzionavano
assai meglio della fiaschetta di grappa distribuita ai soldati sul Carso per
infondere loro coraggio prima dell'assalto.
«Questo sole dà la gioia di vivere», gridò con melodrammatica foga; o
almeno così si legge nelle sue memorie, compilate ovviamente a posteriori
con abili e pesanti ritocchi da parte degli uffici di propaganda del Partito.
Un'esternazione pregna di significati e di messaggi, e tuttavia assai meno
tragicamente vera del grido di guerra del capo dei Sioux Cavallo Pazzo:
«Oggi è un buon giorno per morire».
Dopo i saluti' e gli abbracci di rito, Gagarin, nome in codice ked,· ("ce­
dro"), salì i gradini metallici sino all'ascensore della rampa di servizio che lo
avrebbe portato lassù, a 40 metri di altezza, per fargli prendere posto nella
Vostok. Lo aspettava una capsula sferica del volume di 1,6 m1 , nettamente
meno di una Smart, e del peso di 2.,5 tonnellate, collegata con un motore a
razzo per rallentarla al momento del rientro, così da restituirla alla prepo-
°
L ICARO ROSSO 123

teme volontà dell'attrazione terrestre. Ali' aspetco era qualcosa di simile a


quelle palle di vetro colme d •acqua che si rovesciano due volte per godere
d'una nevicata su piazza San Marco o su qualche altro ameno e improba­
bile sico turistico. Complessivamente 4,7 tonnellate di ferro, strumenti e
propellente che dovevano proteggerlo, gestirlo e salvargli la pelle. La farik
("pallina") conteneva pochi comandi, peraltro interdetti al cosmonauta,
alcuni semplici strumenti per misurare e comunicare e un clima di qualità
terrestre, con la pressione a livello di un'atmosfera circa, una composizione
dell'aria simile a quella che si incontra al suolo, un'umidità del 55% e una
temperatura media di 20 °C. Una vera pacchia, almeno in teoria.
«Guardai la cosmonave sulla quale avrei dovuco imbarcarmi per un
viaggio senza precedenti. Era bella. Più bella di una locomotiva, di un pi­
roscafo, di un aereo. Di tutti i palazzi e di tutti i ponti del mondo». Alcuni
mesi prima del lancio, Korolev aveva portaco un gruppetto di candidati
cosmonauti in gira presso lo stabilimento della "città proibita" di Kali­
ningrad\ nei pressi di Mosca, dove la Voscok era in costruzione, e aveva
permesso loro di dare uno sguardo all'interno. Per salire a bordo, Gagarin
s'era tolto le scarpe'. Per lui «era come entrare in casa», avrebbe ricordaco
con tenerezza il progettista capo.
Sistemacosi sulla speciale poltrona, cablaco e sigillaco nel suo scafan­
dro arancione, il cosmonauta venne messo in stand by. C'erano parecchie
cose da fare prima del via. Innanzitutto, bisognava chiudere la capsula,
operazione che richiese due tentativi a causa di un allarme sul sistema di
riapertura tramite piccole cariche esplosive. Adesso Jurij era solo, alla luce
artificiale, con una telecamera puntata in faccia che lo spiava continua­
mente, monitorato nelle sue funzioni vitali, a guardare gli strumenti che
non poteva nemmeno toccare. Nell'impossibilità di prevedere le sue rea­
zioni durante il volo, Korolev aveva infatti stabilito che Gagarin fosse sola­
mente un passeggero, una cavia di lusso, senza autorizzazione a manovrare
la capsula. La sua funzione consisteva principalmente nel dimostrare che
l'uomo può resistere alle terribili sollecitazioni della partenza e del rien­
tro e all'ambiente ostile dello spazio extraterrestre. I comandi sarebbero
venuti da terra, alla maniera di tutte le altre sonde senza equipaggio, salvo
emergenze da gestire con un'abilitazione ai controlli fornitagli in tempo
reale tramite un codice da inserire nel computer di bordo, contenuto in
una busta che gli era stata consegnata alla partenza•.
«Va tutco bene», comunicò Jurij alla sala di controllo con voce cal­
ma. Il suo cuore batteva normalmente. Di rimando, il direttore tecnico
LUNA ROSSA

del volo lo informò che il decollo sarebbe avvenuto dopo un'ora e mez­
zo. Un'eternità! Il giovane chiese allora che gli mandassero in cuffia delle
canzoni d'amore della tradizione russa. Forse, durante l'inerzia della !un•
ga attesa rivide tutta la sua vita, riandando ai momenti salienti della sua
esistenza. Era nato in una modesta casa operaia nel villaggio di Klusino,
nell' oblast di Smolensk7, una regione pianeggiante dell'alto corso del fiu­
me Dnepr, oggi ai confini con la Bielorussia, che aveva conosciuto le in­
vasioni di Gengis Khan e di Napoleone, e da non molto tempo quella di
Hitler. Tutte finite male.
«Vengo da una famiglia comune», avrebbe orgogliosamente scritto in
seguito, «una famiglia di lavoratori come ce ne sono milioni nella mia
patria socialista. I miei genitori sono due semplici russi ai quali la Rivo­
luzione d'Ottobre ha dato una vita piena e dignitosa». Suo padre Alexeij
lvanoviè faceva il carpentiere e muratore e, nonostante una grave invalidità
a una gamba, padroneggiava «ogni genere di mestieri, perché sapeva co­
struire con le sue mani tutto ciò che può essere necessario in campagna».
Figlio di un poverissimo contadino, semianalfabeta lui stesso - aveva fre­
quentato solo le prime due classi della scuola elementare parrocchiale - e
tuttavia curioso e ingegnoso, Alexeij era «severo ma giusto». Un uomo
la cui parola in famiglia aveva la forza della legge e la cui opinione veniva
tenuta da conto nel soviet del kollektivnoe chozjajstvo (kolchoz), l'azienda
agraria collettiva in cui lavorava insieme alla moglie. Anna T imofeyevna
svolgeva mansioni di mungitrice, accudendo alle vacche dall'alba al tra·
monto, cosicché il buon latte non mancava mai ai suoi quattro figli, Valen­
tin, Zoja,Jurij e Boris, e ai loro amici.
La vita nel kolchoz scorreva tranquilla. Le purghe staliniane, con le loro
grigie paure, non sfioravano nemmeno questo avamposto agricolo lontano
dagli intrighi e dagli stenti delle grandi città. Jurij come Tom Sawyer: un
ragazzino scalzo che si godeva la campagna e la libertà di immensi spazi
aperti, che spiava i fratelli maggiori desiderando di essere simile a loro e
cominciava a porsi le prime domande esistenziali. Soprattutto una: che c'è
oltre la siepe? «Anch'io, da ragazzo, credetti che non vi fosse nulla oltre
il Vesuvio, dal momento che non potevo scorgervi niente al di là di esso»,
aveva scritto Giordano Bruno (De immenso, VIII, n). Gagarin, invece, sa­
liva sul retto del granaio per allargare il suo orizzonte, sognando di volare
lontano. E quando poteva, interrogava lo zio Pavel, fratello del padre e
assistente veterinario, che la sapeva lunga e ammaliava i nipoti con le sue
storie. Notti intere passate scesi sul fieno a guardare il cielo.
0
L ICARO ROSSO 125

Poi l'incantesimo svanì di colpo. Una domenica del giugno 1941 - Jurij
aveva 7 anni - il padre tornò a casa scuro in volto dopo una riunione del
soviet del villaggio. Parlottò con la moglie che poi «si accasciò su una pan­
ca, nascose il viso nel grembiule e cominciò a piangere silenziosamente».
Era scoppiata la guerra. Per un po' a Klusino non successe nulla, a parre il
primo incontro tra Jurij e un aeroplano, un caccia sovietico atterrato nei
pressi del villaggio per raccogliere un compagno abbattuto da un Messer­
schmitt. Poi, a novembre, le truppe della Wehrmacht in marcia su Mosca si
impadronirono del villaggio, che rimase nelle loro mani per quasi due anni.
I Gagarin patirono il sequestro della casa e si ridussero a sopravvivere in
una capanna di fango approntata alla meno peggio. I due fratelli più grandi
furono deportati in Polonia come forza lavoro coatta. Sarebbero ritornati
solo alla fine della guerra. Il padre si arruolò volontario nell'Armata Rossa
nonostante il suo handicap. e il fratello minore di Jurij rischiò di morire
impiccato per mano di un soldato bavarese che «odiava i bambini». In
effetti, a modo loro anche Jurij e Boris combattevano i tedeschi, spargen­
do frammenti di verro sulla strada, annacquando gli acidi delle batterie e
infilando patate nei tubi di scappamento. Furono 21 mesi di paure, spe­
ranze, umiliazioni e tanta fame. Poi i tedeschi cominciarono la ritirata.
Non erano più gli arroganti guerrieri biondi della prima ora, ma uomini
stanchi e demoralizzati che sognavano di tornare a casa. Nemmeno Jurij
era più lo stesso spensierato fanciullo. Doveva affrontare la vira e scegliersi
una strada.
La musica in cuffia si interruppe e con essa il Ausso dei ricordi. Una
voce dalla sala di controllo chiese: «Come va?». «Ricevuto», rispose
il cosmonauta. «Mi sento bene, il morale è eccellente, sono pronto per
partire». «Tra un'ora». Concluso il breve scambio, la musica riprese e,
presumibilmente, ricominciò il viaggio neUa memoria, a fil di voce, con la
mente e il corpo pronti a scattare al primo segno di attività.
Nel 1946, la famiglia, che nel frattempo s'era riunita, lasciò il kolchoz
e si trasferì a Gzarsk, un paese vicino (rinominato Gagarin alla morte del
cosmonauta), dove Jurij poté completare il primo livello scolare. A 16 anni,
calcando le orme del nonno materno, entrò in qualità di apprendista in
una grande fonderia nei pressi di Mosca. Di giorno lavorava e di sera stu­
diava: per poter progredire gli serviva il diploma di settimo grado. Infine,
venne ammesso a un corso di educazione tecnica speciale (tecnicum) sui
trattori presso la Scuola industriale di Saratov, un grosso centro urbano
nel basso Volga, 800 km a sud-est della capitale. I trattori andavano di gran
126 LUNA ROSSA

moda. Impegnato nella ricostruzione del paese devastato dalla guerra, Sta­
lin aveva varato due piani quinquennali, uno nel 1946 e un secondo nel
1951, che contemplavano una massiccia meccanizzazione dell'agricoltura.
«Continuavo i miei studi al tecnicum, ma ogni volta che udivo nel cie­
lo il rombo di un morore o incrociavo per strada un pilota, non potevo
non commuovermi. Era la mia passione incosciente per gli spazi». Saputo
dell'esistenza di un aeroclub e disponendo di qualche soldo racimolato la­
vorando come scaricatore sulle banchine del Volga, vi si iscrisse, imparan­
do presto a lanciarsi con il paracadute. Rappresentava la conditio sine qua
non per iniziare a volare. Il suo tirocinio di pilota avvenne dapprima su un
datato biplano e poi su un monomotore biposro prodotto subito dopo
la Seconda guerra mondiale, lo Yakovlev Yak-18. Jurij aveva trovato la sua
strada.
«Cedro, tra mezz'ora si parte!». Ancora una volta l'annuncio in cuffia
del direttore di volo aveva interrotto un amarcord cullato dalla dolcezza
languida delle canzoni russe. Korolev, il cui nome in codice sarebbe stato
da allora N. 2.0, si inserì per ricordargli che nella dispensa c'era abbondan­
te cibo e per raccomandargli, con l'umorismo tenero di un padre preoc­
cupato, di non darci troppo dentro per non ingrassare. Gagarin rispose a
entrambi e tornò sui suoi ricordi. Non c'era nulla che potesse fare se non
aspettare.
Ripreso il filo dei pensieri, gli tornò in mente il diploma al tecnicum, ap­
pena sei anni prima, l'addio al suo istruttore di volo e all'aereo che lo aveva
accompagnato nei primi passi in cielo, e la partenza per il servizio di leva.

Molti allievi dell 'aeroclub erano ingaggiaci dall'aviazione civile, attratti dai lunghi
viaggi di linea attraverso il paese o dai voli all 'escero sugli itinerari ormai numerosi
delJ'AeroAoc. Altri avevano scelto l'aviazione specializzata al servizio dell 'agricol­
cura, della medicina, della geologia. Quanto a me volevo una cosa sola, adesso:
diventare pilota militare [ ... ]. Mi piaceva la disciplina e l'uniforme mi attirava.
Volevo essere, infine, un difensore del mio paese[ ... ]. Ottenni un biglietto di pre­
sentazione per la scuola aeronautica di Orenburg.

Sempre più lontano da Smolensk, ai confini tra Europa e Asia. La base, si­
tuata alla periferia della città, era intitolata al pioniere dcli'aviazione sovie­
tica Valerij Ckalov, l'uomo che alla maniera di Giulio Cesare aveva detto:
«Se devi esserci, sii il primo». Messaggio che il giovaneJurij avrebbe facto
suo scegliendo sempre la strada più difficile per cimentare sé stesso.
L'ICARO ROSSO 12.7

Ammesso al corso piloti, si distinse subito per le sue qualità fisiche e


mentali. Di statura bassa, solo 157 cm, ma con un sorriso irresistibile, pri­
meggiava in tutto: nello sport e nelle discipline teoriche, e soprattutto nel
volo. A Orenburg, nel gennaio 1956, conobbe Velja, diminutivo di Valen­
tina Goryaèeva, una minuta studentessa di medicina dallo sguardo dolce,
figlia di un cuoco, con cui decise di dividere la vita. Si sposarono alla fine
del corso, nel 1957. Durante il rinfresco che seguì alla semplice cerimonia,
preparato dal suocero che « aveva giurato di brillare nella sua aree culina­
ria», la mamma di Velja accese la radio.

[S]encimmo queste parole: «Due messaggeri dell'Unione Sovietica, due stelle di


pace sorvolano la Terra. Nel quarantesimo anniversario della festa di Ottobre i
nostri scienziati, i nostri costruttori, ingegneri, tecnici e operai hanno offerto a
noi, cittadini sovierici, un regalo meraviglioso realizzando uno dei sogni più auda­
ci dell'umanità». Riconoscemmo subito una voce che ci era cara, quella di Nikica
Sergccvié Ch rusécv.

Fu una singolare coincidenza. A quel tempo, il sottotenente Gagarin era


ormai abilitato a pilotare i MIG-15UTI, i mitici aerei a reazione con ala a
freccia che avevano seminato la morte nei cieli di Corea durante la recente
guerra: dei purosangue transonici con un pessimo carattere, una sorca di
missili con le ali, che richiedevano coraggio e determinazione per essere
domati. Quando dovette scegliere la destinazione di primo servizio tra
una rosa di possibilità, Jurij optò per una base nell'oblast di Murmansk, ai
confini con la Norvegia. Una regione con un tempo infernale. Freddo po­
lare, venti impetuosi, tanca neve e soprattutto nebbia, che ti rende cieco a
bassa quota, dove il pericolo è maggiore. «E perché proprio il Nord?», gli
aveva chiesto Velja. «Perché il Nord è più difficile». Cinque anni dopo,
parlando agli studenti delle Rice University di Houston, il presidente
Kennedy avrebbe utilizzato lo stesso concetto per giustificare la scelta di
volare sulla Luna. Un approccio alla vita audace e positivo, un memento
a11dere semper che alla spinta di Ulisse verso la pura conoscenza aggiunge il
piacere dell'avventura e il gusto per la sfida.
Gagarin inseguiva il suo fato. Alla fine del 1959, dopo un'intensa espe­
rienza di volo nel gelido Nord, si sentiva pronto per il cosmo. Chruscev
era appena rientrato dall'America, gongolante per il nuovo successo nella
corsa allo spazio. Un'abile propaganda amplificava all'interno del paese i
meriti della prima circumnavigazione della Luna, accendendo gli animi
12.8 LUNA ROSSA

dei giovani più ardimentosi e ambiziosi. Così, Jurij prese una decisione.
«Rispettando le gerarchie militari, mi misi a rapporto presso i miei co­
mandanti e presentai la domanda di ammissione al gruppo dei cosmonau­
ti». Intanto era nata la prima figlia, Elena•.
La selezione andò benissimo. Gagarin impressionò la commissione per
le sue qualità fisiche e intellettive, per l'incredibile memoria, la grande ca­
pacità di concentrazione, le reazioni rapide, la perseveranza e una discipli­
na ferrea che però non gli impediva di difendere le proprie opinioni. Così,
nel 1960 venne scelto assieme ad altri 19 coraggiosi piloti. «Per il cosmo
ci volevano uomini dal cuore ardente, dallo spirito vivace, dai nervi saldi,
dalla volontà di ferro, dal morale alto e dall'umore inalterabile». La mo­
glie non la prese bene. A l di là dei problemi familiari che la scelta di Jurij
comportava, Velja si preoccupava per la sicurezza del marito. L'impresa in
cui s'era imbarcato aveva la medesima probabilità di successo e di insuc­
cesso: 50 e 50. «Ma mio padre aveva piena fiducia nel progettista capo e
Korolev gli voleva molto bene», avrebbe poi ricordato la secondogenita
Galina, nata giusto 36 giorni avanti la data del fatidico viaggio nel cosmo'.
Man mano che il momento del possibile lancio si avvicinava, l'ansia di
Velja aumentava. Aveva appena partorito, quando J urij prese l'aereo per
Tyuracam. Lui preferì mentirle, dicendole che il volo era stata rinviato a
data da destinarsi.
Il "cedro" indugiava ancora in questi pensieri quando Korolcv gli co­
municò che tutto era pronto per la partenza. I motori del primo stadio
del razzo vennero accesi per il preriscaldamento e il gigante prese a vibra­
re come un tarantolato. Il rumore cresceva assordante, sebbene attutito
dalla cuffia protettiva. «Stadio preliminare... intermedio... principale...
decollo! Ti auguriamo buon volo. Tutto va bene», urlò quasi il N. 20.
«Poyekhali», "andiamo", fu l'asciutta risposta di Gagarin. Alle ore 9 e 7
minuti l'imponente obelisco bianco si sollevò dalla piattaforma e prese a
scalare il cielo verso est, sempre più rapido.
Nella Vostok, Jurij cominciava ad avvertire il peso dell'accelerazione
che gli schiacciava il petto e gli bloccava i muscoli degli arei. Non riusciva
nemmeno a parlare, ma non se ne preoccupò. Aveva sperimentato molte
volte questa sensazione durante gli allenamenti nella centrifuga. Dopo due
minuti, al distacco del primo stadio un attimo di requie. «Sto bene», co­
municò. Le migliaia di persone dell'immensa base, tecnici, militari, operai
e alcuni blasonati ospiti che assistevano con naso all'insù e con il cuore in
gola, quasi per incanto videro formarsi nel cielo una croce fiammeggiante,
L'ICARO ROSSO 129

detta poi "di Korolev". Era il tuffo carpiato multiplo dei quattro boosters
laterali, sganciati dal vettore perché ormai esauriti.
Con l'entrata a regime del motore del secondo stadio, l'accelerazione
tornò a farsi sentire rabbiosa. Gagarin riusciva a stento a parlare. Ciò no­
nostante, trasmetteva alla base tutta la sua serenità. «Mi sento bene. Con­
tinuo il volo. I sovraccarichi aumentano. Va tutto bene». Dopo circa 150
secondi dal decollo il missile aveva superato gli strati densi dell'atmosfera.
L'aria non disturbava piì1. Da Baikonur partì un segnale e alcune piccole
cariche esplosive fecero saltare le giunzioni tra i due segmenti che compo­
nevano il naso del razzo sotto cui era annidata la Vostok. Eliminato il co­
perchio della matrioska, la luce del sole inondò la capsula penetrando dai
tre grandi oblò e il cosmonauta ebbe un primo assaggio del panorama che
si gode da 100 km di quota. Nessuno lo aveva mai veduto prima. «Come è
bello! Il grido mi era sfuggito dalle labbra», avrebbe ricordato in seguito.
«Ma mi fermai». Cavia intelligente e disciplinata, Gagarin capiva perfet­
tamente che la sua missione «non consisteva nell'ammirare il paesaggio,
bensì nel trasmettere informazioni utili».
Intanto, il secondo stadio continuava a spingere furiosamente, dispo­
nendo ciò che rimaneva del razzo su una traiettoria sempre più parallela
all'orizzome. Poi il potente motore si spense e il macigno che Jurij avver­
tiva sul petto si dileguò quasi di colpo. Erano trascorsi quattro minuti e
mezzo dal lancio. Per qualche attimo il cosmonauta non sentì più la forza
di gravità. Ma, per raggiungere l'obiettivo mancava ancora una spinta che
portasse la velocità della navicella a 7,9 km/s, così da bilanciare esattamen­
te l'attrazione gravitazionale terrestre. Questo era il compito del terzo
stadio. Quando anch'esso si spense, alle 9 e 18 minuti, separandosi dolce­
mente dalla Vostok, il N. 20 tirò un primo, profondo sospiro di sollievo. Il
"cedro" era in orbita sano e salvo!
Tutto aveva funzionato, ma non alla perfezione. La navicella s'era si­
stemata su una traiettoria un po' più alta di quanto preventivato, con un
perigeo a quota 190 km e un apogeo a 330. Bisognava riprogrammare la
tempistica e la logistica del rientro, e incrociare le dita sperando nel buon
funzionamento dell'unico motore di cui la Vostok era dotata per la dece­
lerazione. Per ragioni di peso, infatti, non era stato previsto alcun dupli­
cato da tenere di riserva (back up). S'era preferito collocare a bordo una
riserva di cibo e di aria per sette giorni, contando sul fatto che in questo
lasso di tempo la navicella sarebbe stata comunque frenata dall'attrito con
l'atmosfera. Ora però, con un'orbita 100 km più alta, la tempistica per un
130 LUNA ROSSA

Classica immagine di Jurij Gag:1rin nella sua tura da cosmon:1ur:1.

rientro "naturale" si allungava ben oltre i limiti delle scorte. Non restava
che sperare per il meglio. Korolev decise di non caricare Gagarin di questa
preoccupazione. Non era il caso di mettere il carro davanri ai buoi. Per
parte sua "cedro", che invece aveva capito cucco, si astenne dal farlo sapere
al glavnij konstruktor per evitare di farlo agitare inutilmenre. ln seguito,
cucci si dimenticarono di raccontarlo al mondo, per non macchiare la nar­
razione dell'impresa.
Jurij incanto si godeva il panorama e si produceva in esclamazioni di
meraviglia frammezzate a frasi, diventate famose, che fanno pensare a "spi­
ritose invenzioni" costruite dagli specialisti della propaganda del Partito.
Dichiarazioni presumibilmente preparate a tavolino come questa: «Si
vede tutto. Da quassù la terra è bellissima, senza frontiere né confini. Con­
tinuo a volare. Tutto procede normalmente, tutto funziona perfercamcn·
te, sto molto bene. È magnifico: la Terra è blu». E al ere ancora, riguardanti
la presenza di Dio ( «Non c'è nessun Dio quassù»), che vennero pronun­
ciate da altri (in particolare, German T itov) ma che, secondo gli esperti
del Cremlino, stavano bene in bocca a un'icona del socialismo ateo.
L'ICARO ROSSO 131

Poi, mentre si trovava sulla verticale del Pacifico settentrionale, a nord­


ovest delle Hawaii, la Vostok entrò nel buio della notte. Passata la Terra
del Fuoco, tornò la luce, e alle 10,25, ali'attacco dell'Africa occidentale, in
prossimità dell'Angola, Baikonur lanciò il comando che avviava la pro­
cedura di rientro. La navicella ruotò su sé stessa in modo da porcare il re­
trorazzo sul davanti, dopodiché il motore a propellente liquido si accese
regolarmente. Korolev tirò un secondo sospiro. La frenata durò 42 secon­
di. Poi un altro comando fece esplodere una carica per liberare dal provvi­
denziale motore, ormai inutile, la "piccola palla" dove si trovava Gagarin.
Il diavolo, che fino a quel momento aveva sonnecchiato, disinteressato
all'impresa, si destò e volle metterci la coda. Un fascio di fili elettrici di
collegamento impedì il distacco completo delle due unità, che presero a
piroettare vorticosamente. Gagarin non si perse d'animo. Dopo qualche
minuto, ormai sulla verticale dell'Egitto, i cavi finalmente si spezzarono per
effetto del surriscaldamento da attrito con l'atmosfera, ma la capsula conti­
nuò la sua danza, forse a causa della simmetria della struttura. Con incredi­
bile sangue freddo, "cedro" decise ancora una volta di non riferire nulla di
tutto ciò a terra. Era convinco che la sgradevole giostra non avrebbe avuto
conseguenze sul buon esito del volo e non intendeva allarmare la base. Tut­
to ciò mentre l'accelerazione raggiungeva quasi dieci volte quella percepita
sulla superficie della Terra. Alle 10,55, lo sportello di ciò che rimaneva della
Vostok fu facto saltare e subito dopo il cosmonauta venne catapultato fuori
assieme al seggiolino. Ancora forti accelerazioni e vertiginose cadute.
A 2..500 metri di quota, scaricata la zavorra e azionata l'apertura del
paracadute principale, Gagarin prese a scendere verso la Terra come aveva
fatto tante volte a Saracov quando era ancora un civile. Aveva fatto carrie­
ra: partito tenente un'ora e 40 minuti prima, era stato promosso in volo
al grado di maggiore direttamente dal ministro della Difesa, il maresciallo
Rodjon Malinovskij. Raggiante, fischiettava era sé una canzone patriottica
su un morivo di Dmitrij Soscakovic. Il cesto di Evgenij Dolmacovskij, pa­
roliere di successo del realismo socialista, recitava: «La madrepatria sente,
la madrepatria sa quando suo figlio è in volo nel cielo».
Trascorse una manciata di minuti di lento dondolare e accadde un ulci­
mo incidente, l'apertura involontaria del paracadute di riserva che rischiò
di interferire con quello principale. Infine, il primo cosmonauta della sco­
ria toccò terra sano e salvo nella campagna circostante il villaggio di Sme­
lovka, nel Ternovskij rajon, non lontano da quella città di Saratov dove
aveva imparato a volare e a circa 1.700 km a est della rampa di lancio'0•
LUNA ROSSA

Erano le 10,52., tempo di Baikonur. Poco prima, nonostante il sostegno di


un paracadute, la navicella ormai disabitata s'era schiantata sul duro suolo
di Russia, proprio come Korolev aveva previsto.
Meno di tre minuti dopo la TASS batté un'agenzia che avrebbe strabilia­
to il mondo: «L'URSS è protagonista di un trionfo umano senza preceden­
ti» grazie al «figlio dell'OttobreJurij Gagarin»". Il giorno seguente l'or­
gano ufficiale del PCUS, la prestigiosa "Pravda", avrebbe ticolaco a caratteri
cubitali: «SVJERSHIL0S», cioè "FATTO!". Ma intanto il "cedro", caduto
lontano dal luogo previsto per l'atterraggio, si trovava sperso in piena cam­
pagna. Ciò che successe in seguico fa parte della leggenda, aggiustata ai fìni
della propaganda.
Appena toccata terra, Jurij sollevò la visiera per respirare l'aria fresca
della primavera che per lui aveva il gusto dell'infanzia, e s'avviò barcol­
lando verso un'anziana contadina venuta a raccogliere patate assieme alla
nipote. «Sono dei vostri, compagne, sono dei vostri», urlava il cosmonau­
ta sbracciandosi alla volta della donna. Incerta sul da farsi, Anna Takhta­
rova nascose prudentemente Margarita dietro di sé. «V idi quesco mostro
arancione con un'enorme testa che veniva verso di noi», avrebbe ricordato
qualche anno dopo la ragazza. «La nonna aiutò Gagarin a cogliersi il ca­
sco; premette una specie di boccone e quando vedemmo una faccia sorri­
dente davanti a noi, capimmo che si trattava di un essere umano». Poi la
donna offrì al cosmonauta un sorso di latte, con un gesto di ospitalità senza
tempo che ci ricorda omeriche accoglienze.
Gagarin, radioso, fu rapidamente raggiunto dai militari di una divisio­
ne antiaerea di stanza nella zona e subito trasportaco in caserma, mentre si
disponeva che i luoghi del suo atterraggio e di quello della Voscok venisse­
ro guardaci a vista. Svestito della tuta, diede le prime notizie di sé e del volo
al comandante di divisione, si mise in posa per qualche foto con i commi­
litoni e poi venne raccolto da uno degli elicotteri mandati a rintracciarlo
con a bordo medici-paracadutisti. Trasferito a Samara, poté finalmente
chiamare Mosca. «Prego di riferire al Partito e al governo e personalmen­
te a Nikita Sergeeviè Chrusèev», riportò un bollettino di Radio Mosca.
«L'atterraggio è stato normale. Mi sento bene. Non ho ferite né contusio­
ni. L'accelerazione è stata un'esperienza dura, ma sopportabile»".
Non appena la notizia del ritrovamento raggiunse Korolev, questi si
precipitò a incontrare il suo pupillo. Al Cremlino, intanto, si disponeva la
scenografia per il trionfale ingresso del nuovo eroe nella capitale. Gagarin
volò a Mosca il 14 aprile con una scorta di jet militari. Atterrò all'aeropor-
ÙCARO ROSSO 133

to di Vnukovo dove venne accolto dal premier in persona che, rompendo


il protocollo, gli andò incontro sul tappeto rosso, lo abbracciò e lo baciò.
U progettista capo dovette restare in disparte, per ragioni di sicurezza e
soprattutto perché in quel momento non era funzionale allo spettacolo.
Giovane, coi capelli biondi. gli occhi azzurri, un caglio del volto esotico
e un sorriso tra il dolce e il sornione, bello nella sua uniforme di pilota
con tutte le decorazioni appese al petto, il piccolo Jurij incarnava l'icona
del socialismo vittorioso. Migliaia di russi sventolanti fiori e immagini lo
accompagnarono nel tragitto in un'auto scoperta sino alla Piazza Rossa
per la consueta parata davanti al mausoleo di Lenin e per la consegna della
massima onorificenza della patria, il titolo di eroe dell'Unione Sovietica.
f
La TV di Stato dif use in cucco il mondo questo momento di autentica
esaltazione. « Il significaco storico mi è diventato chiaro solo il 14 aprile
quando fummo invitati nella Piazza Rossa e vidi l'oceano di persone che
urlavano, sorridevano, tutti felici, cantavano canzoni», avrebbe dichiara­
to molti anni dopo a un quotidiano German Titov, la riserva di Gagarin.
«Capii allora che era accaduto qualcosa di straordinario».
L'im presa valse subico al maggiore Gagarin alcuni vantaggi pratici.
Un 'automobile con autista e un beli 'appartamento di quattro stanze a
Mosca. Lussi inarrivabili per il cittadino sovietico standard e per il mosco­
vita in particolare. Dopo la Grande guerra patriottica, Stalin aveva privile­
giato la ricostruzione dei siti industriali utilizzando, a mo' di schiavi, i pri­
gionieri di guerra. L'edilizia abitativa, anch'essa gravemente compromessa
dalla guerra, doveva attendere. I moscoviti vivevano nelle komunalnaja
kvai·tira, appartamenti in coabitazione, in condizioni di sovraffollamen­
to estremo. Per contro, la città risplendeva di monumentali edifici, come
quello dell'Università Lomonosov inaugurato proprio alla morte del dit­
tatore, voluti per celebrare la grandezza del regime. Pomposi manufatti di
cui sono un altro esempio lampante le stazioni della metropolitana: una
formidabile rete di trasporto urbano avviata nel 1935. Più vicino alla gente
di quanto non lo fosse il suo predecessore, Chruscev aveva decrecaco la
"guerra agli eccessi", proponendo un'architettura civile spoglia e grigia e
tuttavia economica, cosicché ogni nucleo familiare potesse avere un tetto
e un minimo di privacy. Ma a un eroe dell'Unione Sovietica toccava ben
altro alloggio.
In brevissimo tempo la popolarità di Gagarin superò quella dei più fa­
mosi divi del cinema. La gente di tutto il mondo era colpita dalla figura
dell'eroico cosmonauta con un sorriso solare e un naturale savoir-fizire. In
134 LUNA ROSSA

soli otto mesi ricevette oltre un milione di lettere, per lo più da ammi­
ratrici che si proclamavano perdutamente innamorate di lui e disposte a
qualunque pazzia. La stessa Gina Lollobrigida riuscì a intrufolarsi tra gli
invitati al ricevimento organizzato in onore del cosmonauta durante il fe­
stival del cinema di Mosca e, quando Gagarin fu a tiro, gli schioccò sulla
guancia un sonoro bacio che fece indispettire la moglie Velja. «Non era
lei, Valjusha, ma tu ad accompagnarmi nel gelo del Circolo Polare Artico.
Ti apparterrò fino alla morte»'', commentò rassicurante il marito, forse in
quel momento sincero, ma non veritiero.
Dopo il 12 aprile 1961, data poi celebrata in URSS come Giorno del co­
smonauta, il numero di neonati chiamatiJurij crebbe a dismisura. «Certo,
la nostra famiglia era molto famosa», ricorderà la figlia Elena. «La gente
ci ha sempre trattato con particolare attenzione e curiosità, e ciò ha avu­
to un impatto sul nostro comportamento in pubblico, cosicché abbiamo
sempre dovuto, e dobbiamo ancora, controllare praticamente ogni passo
e ogni parola».
In effetti, colui che per primo aveva viaggiaco a bordo di un satellite
artificiale della Terra divenne l'emblema della propaganda sovietica, un
prezioso ambasciatore da usare sapientemente per rafforzare presso gli Sta­
ti amici la fiducia nel modello URSS e promuoverlo in quei paesi dell'ar­
cipelago capitalista in cui la presenza di simpatizzanti era significativa. li
maggiore Gagarin venne nominaco membro del Soviet supremo e spedito
in Egitto da Nasser e nei Caraibi dall'alleaco Fide! Castro in veste di pre­
sidente della Società per l'amicizia sovietico-cubana, e anche nel!' Europa
occidentale e in Giappone. Ovunque andasse, veniva ricevuco con tutti gli
onori. Nella sua visita a Londra, fu invitato a pranzo dalla regina Elisabet­
ta II, un grande onore che non era staro concesso nemmeno a Chruscev,
cui la sovrana aveva offerto un semplice tè con pasticcini. La micologia
gagariniana si fonda anche su un celebre aneddoco, un episodio che, a
detta dei sovietici, accadde durante il sontuoso banchetco a Buckingham
Palace. Di fronte al gran numero di posate d'ogni forma e dimensione che
attorniavano il suo piatco, Jurij si trovò in difficoltà. Non aveva la più vaga
idea di come adoprarle e in quale ordine. Senza perdersi d'animo, afferrò il
cucchiaio più grande e, affondandolo nell'insalata, esclamò sicuro: «For­
za, mangiamo alla russa». I commensali si guardarono l'un l'altro tra lo
sbalordito e l'indignato. La regina, invece, prese a sua volta il cucchiaio e
disse ad alta voce: «Signori, forza, mangiamo alla Gagarin», sussurrando
poi maternamente al cosmonauta: «Neanche io so in che modo utilizzare
L'ICARO ROSSO 135

tutte queste posate; sono i camerieri che mi porgono quella giusta». Ma


non basta. Al momento del tè, giunse un piattino con le fette di limone.
Ignorandone l'uso, Jurij ne afferrò una con le dita e la mangiò. Di nuo­
vo il panico assalì gli astanti, ma Elisabetta, impassibile, prese una fetta e
la portò alla bocca, soggiungendo: «Just delicious». Non per nulla, «in
tutte le questioni non importanti, lo stile, non la sincerità, è l'essenziale»,
sosteneva Oscar Wilde.
«A casa, mio padre era la stessa persona semplice, affascinante, allegra
e gemile che conoscevano gli altri, i suoi colleghi» avrebbe poi dichiarato
la figlia Elena. «Visto che stava proseguendo gli studi all'Accademia mi­
litare, non gli restava però molto tempo per i figli. Doveva continuare a
prepararsi, a preparare le sue lezioni. In aggiunta al suo lavoro, aveva poi
anche una serie di impegni pubblici. Ma non appena poteva, ci dedicava
tutto il suo tempo»••.
La sorte aveva dato a Gagarin la capacità di controllare la paura ma non
quella di gestire il successo. Avendo costatato che tutte le porte si aprivano
davanti a lui, dalla sua posizione di eroe-icona si prodigava per aiutare gli
amici a trovare un letto d'ospedale o una poltrona al Bol'foj. «Tutti vole­
vano bere con lui "per amicizia", "per amore" e per mille altri motivi, e per
bere fino in fondo al bicchiere», e in Russia rifiutare un brindisi è scortesia
grave. In queste condizioni è facile perdere la testa, e il maggiore Gagarin
la perse, per l'alcool, il lusso e le donne. Arrivò persino a ferirsi alla testa
saltando dalla finestra d'un hotel per evitare di essere colto in fragrante
dalla moglie mentre cercava di approfittare delle grazie di un'infermiera,
salvo poi vantarsene durante un'intervista televisiva. Il "cedro" non era più
lui. L'unico modo per indurlo a desistere da un simile stile di vita sarebbe
forse stato di farlo volare, ma il sistema lo proteggeva e lo teneva lontano
dalle piste degli aeroporti militari e dalle rampe di lancio.
Tutto questo però era ancora impensabile il 12. aprile 1961. Mentre i so­
vietici festeggiavano il loro eroe, i vertici americani si rodevano i pugni.
Per l'orgoglio yankee, l'impresa della Yostok-r fu l'ennesimo schiaffo, che
la stampa statunitense non cercò minimamente di attutire. Nei maggio­
ri giornali, titoli cubitali inneggiavano a Gagarin e alla sua impresa. Per
quanto i russi avessero ancora una volta tentato di mantenere il silenzio
assoluto prima e durante il volo del "cedro", la Casa Bianca era stata messa
al corrente quando il cosmonauta si trovava ancora in orbita. Una base di
ascolto in Alaska aveva infatti captato le sue conversazioni con Baikonur.
John Kennedy, da poco seduto alla scrivania dello Studio ovale, convocò
LUNA ROSSA

subito il suo vice Lyndon Johnson per elaborare una contromossa. Fu al­
lora che nacque in lui la volontà di vincere a qualunque cosro la corsa allo
spazio.
I ntanto, però, bisognava rispondere al micidiale servizio lungo linea dei
sovietici. In mancanza di meglio, la NASA s'affrettò a effettuare un volo ba­
listico di una capsula con passeggero. Lanciata da un razzo Redstone, que­
sta avrebbe dovuto scalare lo spazio sino a un paio di centinaia di chilometri
di quota per poi essere riacchiappata dalla gravità e ricondotta a terra''·
Niente a che vedere con l'impresa di Gagarin, che si era sistemato in
orbita beffando per un'ora e mezzo l'attrazione terrestre, tuttavia una can­
nonata come mai nessuno, russi a parte, era riusciro a tirare. Si trattava
del primo passo del progetto Mercury che, nato alla fine del 1958, doveva
accertare sia la capacità di mettere in orbita un equipaggio umano e di ri­
portarlo sano e salvo sulla Terra, sia la resistenza degli astronauti a lunghe
permanenze nello spazio.
Per l'impresa era stato scelto un pilota dell'aviazione militare non più
giovanissimo''. Alan Shepard (192.3-1998) aveva già compiuto 37 anni, per
metà spesi a servire la patria in guerra o in difficili e rischiose attività di
collaudo di aviogetti e di procedure di volo. Rampollo di ottima famiglia
(il suo albero genealogico radicava addirittura era i passeggeri del May­
flower), per essere ammesso tra i candidati a viaggiare nello spazio aveva
rinunciato a una vita da scavezzacollo, smettendo di fumare e di correre
dietro alle gonnelle per dedicarsi a intensi allenamenti fisici". Sperava di
essere il primo uomo a guardare la Terra dal cielo e, quando seppe di Ga­
garin, fu preso da un accesso d'ira e quasi sfondò un cavolo con un pugno.
Ma "cosa fatta capo ha": dovette accontentarsi di essere il secondo••.
Partì da Cape Canaveral alle 9,34 (ora locale) del mattino del 5 mag­
gio 1961 a bordo della navicella Freedom 7, 2.3 giorni dopo il volo della
Vostok-1. Aveva fatto colazione con bistecca e uova, come un pugile in
allenamento. Un menù che sarebbe diventato una regola per gli astronauti
targati USA, a riprova dell'universalità dei rituali apotropaici. Il lancio era
stato posposto di un'ora a causa delle nubi basse che avrebbero ostacolato
la ripresa fotografica dell'evento. A 2.,5 minuti dal take-off, il propulsore si
spense e la capsula, liberatasi della zavorra, continuò da sola la salita per
inerzia sino a 187 km di altezza.
Anche gli USA hanno il loro aneddoto sulle esigenze fisiologiche degli
astronauti. Data la brevità del volo, i progettisti della NASA non avevano
previsto alcun accorgimento per consentire di urinare in caso di necessità.
0
L ICARO ROSSO 137

Tuttavia, il ritardo della partenza aveva allungato a tre ore la permanenza


di Shepard nella navicella e la necessità si presentò impellente. Che fare?
Alan chiese al centro di controllo l'autorizzazione a liberarsi dentro la
tuta, che gli venne negata: si temeva infatti che il liquido organico potesse
danneggiare i sensori delle sue funzioni vitali. Poi, dal centro di controllo
il collega Gordon Cooper (1997-2004) gli comunicò che i contatti elettri­
ci erano stati momentaneamente interrotti e che quindi poteva procedere,
cosa che Shepard fece prontamente e con grande soddisfazione. Anche in
questo frangente, comunque, i sovietici si erano rivelati più pragmatici e
previdenti.
Dopo un totale di 15 minuti e mezzo, comprendenti qualche istante a
gravità zero e un'ultima fase della vertiginosa discesa frenata da un enorme
paracadute, la navicella Freedom 7 si tuffo neU 'Atlantico a 500 km da Cape
Canaveral, in uno specchio di mare protetto, dove venne rapidamente ri­
pescata dagli elicotteri della marina. Shcpard, che come Gagarin era staro
sostanzialmente un passeggero, non avendo sperimentato che per qualche
istante il controllo manuale di assetto, stava bene. « Dicono che ogni atter­
raggio dopo il quale puoi andartene coi tuoi piedi è uno buono», avrebbe
dichiarato poi ricorrendo a un mantra degli aviatori.
Il volo, trasmesso in diretta dalla TV, era riuscito perfettamente. Lo vi­
dero 45 milioni di americani, che si consolarono un poco, e naturalmente
lo vide Kennedy, che si affrettò a utilizzarlo alla maniera di Chruscev, a
riprova che tutto il mondo è paese. Telefonò subito a Shepard per congra­
tularsi con lui e per invitarlo a fèsteggiare alla Casa Bianca. Quale migliore
pubblicità per il giovane inquilino che, dopo averla spuntata per un pelo
sul suo avversario repubblicano, aveva già dovuto confrontarsi con una
grave crisi internazionale, il fallito attacco alla roccaforte di Fide! Castro
da parte di rifugiati cubani in Florida addestrati dalla CIA? Più che un
crimine, per dirla alla Taillerand, lo sbarco alla baia dei Porci del 19 aprile
1961 era staro un clamoroso errore, confezionano dal capo della CIA, Allen
Dulles, con la benedizione di Eisenhower, e motivato dalla volontà di eli­
minare la presenza sovietica da un'isola tanto vicina agli Stati Uniti. Se an­
che la preoccupazione era ampiamente giustificata, l'azione fu però gestita
con arrogante superficialità, che gettò fango sul progetto di un new dea!
nella scienza e nello spazio promesso da Kennedy in campagna elettorale.
Non potendo fare di meglio per il momento, il 2.1 luglio la NASA replicò
l'impresa di Shepard con Virgil Grissom (192.6-1967 ), un pilota e inge­
gnere aeronautico trentacinquenne che si era distinto per il suo coraggio
LUNA ROSS A

durante la guerra di Corea. Gus, come veniva chiamato dagli amici, prese
il via sulla Liberty Beli 7 con le stesse modalità di Shepard e con eguale
risultato. La NASA ce l'aveva fatta per due volte di fila con le sue cannonate
ultrastratosferiche. Restava comunque alle spalle degli odiati sovietici.
Nell'arco di cento giorni, tre uomini avevano violato il cielo sopra le
nubi, volando molto più in alto del condor, là dove l'atmosfera confina
con il vuoto cosmico. Stranamente, sarebbero tutti e tre morti in circo­
stanze tragiche. Gagarin, ancora giovane, in un misterioso incidente ae­
reo, Shepard dopo una lunga lotta con la leucemia'• e Grissom nel rogo
dell'Apollo 1. Stanca di aggredire i pionieri dello spazio, la sorte avversa
avrebbe finto di gettare la spugna con Titov, I "'aquila" della Voscok-2, per
prendersi anche con lui una rivincita mentre il cosmonauta, alle soglie del­
la vecchiaia, si godeva il relax della sua banja, la tipica sauna russa. Quasi
una Maledizione di Tutankhamon.
Avanti popolo

La scienza non è solo una disciplina della ragione, ma


una di romanticismo e passione.

Stephen Hawking

Ogni cosa nello spazio obbedisce alle leggi della fisica.


Se tu conosci queste leggi e ad esse ti attieni, lo spazio
ti tratterà gcncilmcntc.

Wernher von Braun

Nello storico aprile 1961, archiviato il presng10so risultato del volo di


Gagarin, Korolev appariva stanco, entusiasta e risentito. Aveva stravinto.
L'essere considerato solo un numero, però, messo sistematicamente da
parte nelle occasioni pubbliche, non giovava al suo umore. Dopo canea
sofferenza, tanca fatica e tanti sacrifici, riteneva di meritare anche lui una
fetta di gloria. Eppure, non c'era verso di averla. Nemmeno Chrusccv pa­
reva disposto a dargli spazio.
Decise allora di prendersi qualche giorno di vacanza a Soci, sulle rive
del Mar Nero, per staccare per un po' la spina e ritemprare sia lo spirito,
consumato dalle preoccupazioni, sia il fisico, indebolito dall'eccesso di
cibo e dalla mancanza di sonno. Non ci riuscì. Continuava a domandarsi
quale fosse la migliore strategia per dare un seguito all'impresa di Gaga­
rin. Il pensiero divenne un'ossessione, per cui chiese a Kamanin, l'angelo
custode dei cosmonauti, di raggiungerlo. Sentiva il bisogno di discutere la
faccenda con qualcuno capace di vedere le diverse sfaccettature del pro­
blema.
Ripetere la missione tout court sarebbe stato un inutile azzardo. Non
c'era molto da guadagnare o da imparare da un secondo successo e tan­
tissimo da perdere in caso di fallimento. Per mantenere la leadership sugli
americani, che certo non si sarebbero facci attendere troppo con le loro
contromosse, occorreva allungare il tempo di permanenza in volo, mol­
tiplicando il numero delle orbite. Ma di quanto? La valutazione era com­
plicata dal fatto che, per effetto della rotazione diurna, la verticale su cui
l'orbita si completa a ogni successivo giro del satellite si sposta sistemati­
camente rispetto al suolo in direzione est', effetto di una banale combina-
LUNA ROSSA

zione di due moti circolari con diversi assi di rotazione, del tutto analoga
a quella con cui vengono arrotolati i gomitoli di lana.
Alla quota della Vostok', la deriva del punto di atterraggio implica­
va un'uscita fuori dai confini dell'URSS dopo appena tre orbite. Per ri­
acchiappare il patrio suolo in condizioni di sicurezza per i cosmonauti e
per il territorio impegnato - nessuno voleva rischiare di vc::dere sfondato il
tetto d'una casa, o peggio - bisognava attendere poco meno di un giorno.
Sul piatto restavano dunque due sole opzioni: non più di tre giri prima di
ridiscendere a terra, oppure tirare dritto per almeno 24 ore.
Genuinamente preoccupato della salute dei suoi "ragazzi", Kamanin
non aveva dubbi. Le missioni con i cani avevano evidenziato una critici­
tà nel sistema vestibolare degli animali proprio allo scadere di tre orbite.
Andare oltre, per un cosmonauta umano sarebbe stato un azzardo. Ma il
glavnij konstruktor la pensava diversamente. Avvezzo ai rischi, riteneva che
il gioco valesse la candela, anche in considerazione del fatto che il distur­
bo sperimentato dai quadrupedi era risultato passeggero e privo di conse­
guenze. La discussione proseguì per un paio di giorni sulla spiaggia e alla
fine Korolev prese la sua decisione. La Vostok-2 sarebbe stata una missione
d'un giorno affidata al "superman" di riserva, German Titov. Indubbia­
mente un uomo poco fortunato: gli sarebbe toccata la prova più difficile e
la ricompensa più bassa. Così va il mondo.
Di 18 mesi più giovane di Gagarin, German era nato a Verkh-Zhilino
nella regione del Grande Altaj. I suoi bisnonni s'erano trasferiti in quel­
la landa remota, là dove la Siberia meridionale confina con la Mongolia,
attratti dal programma di distribuzione gratuita della terra, e lì i nonni
avevano contribuito alla costituzione della prima comune di contadini,
la Mattina di maggio. Suo padre Stepan aveva attinto il nome German
dal racconto di Puskin La donna di picche. Uomo di buona cultura, era
insegnante elementare a Polkonikovo, il villaggio nel quale il futuro co­
smonauta crebbe con l'amore per la letteratura, per la musica e anche per
lo spore, in particolare la ginnastica. Un'infanzia tutto sommato borghese,
ben diversa da quella contadina di Gagarin. Secondo il mito, che sempre
circonda gli eroi, fin da ragazzo German mostrò eccezionali doti di tenacia
e coraggio, salvando i compagni persi in un'improvvisa tempesta di neve e
restando a guardia di un preziosissimo sacco di farina a costo di rimanere
assiderato. Nel 1953, a 18 anni, quando giunse l'ora di scegliere il percorso
della vita, sedotto dai racconti d'uno zio aviatore si iscrisse alla Scuola mi­
litare dell'aria di Kustanaj, in Kazakistan.
AVANTI POPOLO

Sngcj Korokv (in lx1sso ,ti centro) c I suoi cosmon:1.Uti, in una foto del 1961 ca.Ju.rij Gagarin
(con b cravatta. a �inisrra ckl progcnisra capo) c Gcrman Tirov (secondo da de.sera in alto)
furono le prime due Maqu1k". Tucri d1 bassa sc:nura. come si vede dal confronto con Gagarin,
che LT:t alta �Ol;'!mtnre 157 t:m.

Divencaro pilota di velivoli da caccia, si offrì quale aspiranre cosmonauta,


facendo inferocire la rnoglic: alla quale non aveva neppure comunicaro la
sua decisione, e al cerrnine dell'addestramento venne inserito nella short
lisi dei sei dcmenri pii1 qmlificati al volo. Finalmenre, dopo la grande
illusione e I'ancor maggiore delusione, giunse l'ora della prova. U 4 ago­
sro Ticov ricevette I· invesrirura ufficiale di passeggero della Vosrok-2. e
Andrijan Nikolaev (1929-2.004) quella di riserva in panchina.
Dal canto suo, Korolev aveva manovraro politici e burocrati militari in
modo da far approvare in tempi rapidi la nuova missione, giustificandola
con la necessità di verificare il grado di adattabilità dell'organismo all'as­
senza di peso: conditio sine qua non per cominciare a pensare seriamente a
un lungo viaggio verso la Luna. C'era un solo modo per effeccuare il test.
Bisognava che una cavia umana restasse per un tempo suffìciencemence
lungo nello spazio assolvendo a cucce le richieste del corpo, dal cibo al son­
no, alle esigenze fisiologiche. Un rischio solo in parte calcolaro perché i
LUNA ROSSA

margini dell'ignoto erano davvero molto ampi. Ad esempio, non si sapeva


quali avrebbero potuto essere gli effetti reali di una lunga esposizione al
letale vento solare, nonostante la fase di relativa quiete dell'astro. Si vo­
leva anche accertare la capacità del cosmonauta di eseguire manualmente
alcune semplici manovre attinenti ali' assetto della navicella, così da tra­
sformarlo gradualmente da passeggero passivo a pilota. I cervelloni della
medicina dubitavano infatti che le capacità intellettive e i riflessi avreb­
bero retto le forti accelerazioni e la prolungata assenza di peso. Un altro
obiettivo riguardava la produzione di una documentazione filmica della
Terra vista dallo spazio. Un ottimo strumento di pubblicità con una forte
attrattiva scientifica e ovviamente militare.
Sulla scorta dell'esperienza del volo di Gagarin, l'Ufficio di progetta­
zione sperimentale OKB-1 provvide a migliorare opportunamente la Vo­
stok. Furono aggiornati il sistema di monitoraggio televisivo e quello di
comunicazione a onde corte tra la navetta e le basi sparse ovunque nel
mondo. Korolev volle seguire personalmente i lavori nelle officine mosco ­
vite. La strategia della missione rimase comunque la medesima del primo
lancio, incluso il rocambolesco rientro in paracadute dopo l'espulsione del
cosmonauta dal suo abitacolo.
Si confermò anche la scelta di un'orbita con un perigeo sufficientemen­
te basso per assicurare il rientro in caso di defezione dell'unico retrorazzo
frenante. Come per Gagarin, ci avrebbe pensato l'attrito con l'atmosfera a
riconsegnare la navicella alla gravità terrestre. Per questa evenienza, le scor­
te d'aria e di cibo in cambusa furono calcolate per una permanenza in volo
di 10 giorni: il principio del meLius abundare era inapplicabile in questo
caso perché significava peso in più. Ufficialmente il programma contem­
plava l'esecuzione di tre orbite di un'ora e mezzo ciascuna, prolungabili a
17 ove non ci fossero state controindicazioni, per un totale di oltre 2.5 ore,
con atterraggi di emergenza possibili nelle prime sei.
Il lancio avvenne il 6 agosto 1961 alle 9 in punto, tempo di Mosca, con
il rituale già sperimentato. Il risveglio prima dell'alba, la colazione in stile
spaziale, la vestizione, il trasferimento del cosmonauta titolare e del suo
rincalzo alla base del potente lanciatore dove squadre di ingegneri insonni
avevano lavorato per tutta la notte, e i baci d'addio, veri e di circostanza,
a servizio della propaganda a seguire. Nulla doveva infatti trapelare fino
all'entrata in orbita della Vostok, per evitare di regalare un goal agli avver·
sari in caso di insuccesso. Come diceva Giovenale, «La critica è indulgen·
te coi corvi e si accanisce con le colombe».
AVANTI POPOLO 14 3

Faceva un caldo torrido. Sulla scalinata, Ticov tenne il suo discorso, lo


stesso che avrebbe voluto pronunciare qualche mese prima, quando Gaga­
rin gli aveva rubato la scena: «È difficile esprimere a parole i sentimenti
di felicità e orgoglio che mi riempiono. Mi è stato affidato un compito
onorevole e responsabile».
Poi le dediche e i saluti, al XXII Congresso del PCUS che si sarebbe tenu­
to di lì a due mesi, al suo «grande amico» Yurij Gagarin, presente al lan­
cio, e al governo sovietico, incarnato dalla figura del presidente Chruscev.
Uno stile e un aplomb ben diversi da quelli esibiti da Alan Shepard, nella
preghiera mormorata quando scava per essere sparato nello spazio: «Si­
gnore, fa che non mandi a puttane tutto quanto»'.
Passaci venti minuti dal lancio, la TASS annunciò al mondo l'entrata in
orbita della Vostok, scatenando l'ansia e l'ammirazione dei rivali america­
ni. Per un po' Ticov, nome in codice ore! ("aquila"), si godette lo spettacolo
dagli oblò della capsula, e lo descrisse: la Terra azzurra maculata di nubi
bianche e il cielo nero, le stelle e il bagliore accecante del Sole. Anche lui
fece formale atto di ateismo: «Alcuni sostengono che Dio viva lassù nel­
lo spazio», avrebbe dichiarato in seguito a un reporter di Seatde che gli
aveva chiesto che cosa avesse visco. «Io mi sono guardato incorno molto
attentamente, ma non ho visto nessuno lì. Non ho individuato né angeli
né dèi [... ]. Non credo in Dio. Credo nell'uomo, nella sua forza, nelle sue
possibilità, nella sua ragione». Come un libro stampato!
Finito l'inizial e incantesimo, iniziò a esercitarsi all'orientamento ma­
nuale della nave. La Voscok poteva piroettare su sé stessa grazie alle mi­
crospince d'un gas ad alca pressione rilasciato da ugelli tangenziali accop­
piaci simmetricamente in modo da produrre un effetto torcente, utili sia a
ruotare sia a immobilizzare la nave. Cominciò anche a riprendere i primi
filmaci della Terra mediante una cinepresa professionale•.
A bordo la temperatura rimaneva confortevole, era 10 e 2.5 °C. Dopo un
primo giro di boa, fu la volta della pubblicità, che è pur sempre l'anima del
commercio. «Mi sento splendidamente». E poi un fiume di messaggi di
pace e di fratellanza inviati a tutti i popoli, senza dimenticare una menzio­
ne speciale a Chruséev.
Seguì il primo tese del sistema vestibolare, quello che preoccupava mag­
giormente i medici. Per il momento tutto ok, ma solo in apparenza. Al
tempo programmato per il pranzo, !"'aquila" dichiarò di non sentire lo
stimolo della fame. Si limitò perciò a bere un succo di frutta giocando con
una goccia di liquido che gli galleggiava davanti al naso: «La catturai col
144 LUNA ROSSA

tappo del tubetto e me la bevvi». Durante la quinta orbita, Titov ripeté


i test vestibolari. Ancora nessun problema, a eccezione di un particola­
re movimento della testa che gli produceva fastidiose vertigini. La fame,
però, continuava a latitare. All'ora di cena, durante la settima orbita, si
costrinse a ingerire un po' di paté ma fu colto da nausea e vomitò in un
apposito sacchetto predisposto per l'evenienza'. La faccenda gettò nel
panico i controllori di volo. li cosmonauta invece recuperò rapidamente,
cercando di distrarsi col lavoro. Alle 19,30, ora di Mosca, dopo aver facto
pipì - primo essere umano a eseguire questa operazione nello spazio e in
assenza di gravità, ovviamente con opportune attrezzature - si apparec­
chiò per dormire. Proprio come fa uno di noi andando a lecro, spense la
radio, lasciando attivo solo il canale di comunicazione con la base, chiuse
gli scuri degli oblò per bloccare l'intensa luce del Sole, e si addormentò.
Un sonno lungo «come quello di un bimbo», ma discontinuo, interrotto
dalla strana sensazione di avere le braccia galleggianti.
All'avvio della diciassettesima orbita, il N. 2.0 in persona lo contattò
via radio per le ultime istruzioni sull'atterraggio. Titov fece le valigie, ri­
ponendo accuratamente la cinepresa e il giornale di bordo, e si affidò agli
strumenti del rientro automatico. Tutto andò più o meno come per Ga­
garin: una brusca frenata, il distacco della "piccola palla" dal suo motore
con le già sperimentate difficoltà, ma questa volta senza il fastidioso ro·
tolamento, le fiamme tutt'attorno la navetta, la violenta accelerazione e
finalmente un po' di requie. E ancora l'espulsione dalla capsula, la caduca
verso un fitto banco di nubi, il rilascio del seggiolino e l'apertura del para·
cadute principale.
Attraversate le nubi, Titov vide finalmente la Terra: una ferrovia e un
fiume presso il villaggio di Krasnyj Kuc, nella regione di Saratov dove era
disceso anche Gagarin. Sembrava finita, e invece si ripeté l'incidente dei
due paracaduti che già aveva messo a rischio la vita di Jurij. Per German
fu anche peggio, tuttavia riuscì con abilità e freddezza a domare i due liti­
ganti impedendo loro di avvinghiarsi l'uno all'altro. Ormai quasi a terra,
venne afferrato da un forte vento che lo fece roteare più volte e lo trascinò
a lungo dopo che ebbe toccato il suolo. Dei braccianti agricoli gli corsero
incontro, lo aiutarono a svestirsi e a raggiungere in automobile la capsula,
atterrata qualche minuto prima ad alcuni chilometri di distanza.
A Titov premeva di recuperare al più presto i preziosi documenti filma·
ti e il suo diario. Venne poi raccolto dalla squadra di soccorso e portato via
per i primi test medici. Aveva viaggiato nello spazio per 2.5 ore e 18 minuti
AVANTI POPOLO 145

J\ff:lcciat0 :1.l Cremi mo, <;;ul/.1 P1:12z:1 Ro,s:1 di 1V1osca, Nikir:1 ChruSèCv (al centro) esibisce i
�uo1 gioit:111 '-p:i.d .1l1,Jun1 C.1g,1rin (:1 dc<::tD) e Gcrman Tirov (a sinistra). I due cosmonau­
ti hanno da poLO rcg:tl:no ;:ili' Unione.' Sovkcica il prim:iro assoluto nelb conquista dello
spnio c1rcum[t:1-rnrn:, ,balorcft:ndo gl, :1.1nericani per b. seconda volta. dopo gli Sputnik
(agosto 1961).

coprendo una distanza di 700.000 km e cumulando un impressionante


numero di record, tra cui quello dell'età. Era e sarebbe rimasto il più gio­
vane viaggiatore dello spazio della scoria.
ln un'America livida di rabbia, l'impresa venne archiviata dalla NASA
con un secco commento: «Risultato tecnicamente importante». Era inve­
ce un trionfo, e come tede venne celebrato in URSS. German Ticov, nomina­
rn anche lui maggiore sul campo. fu accolco da Chrusè'ev all'aeroporto mo­
scovita di Vnukovo il 9 agosto, abbracciaco e baciaco dal premier e portato
insieme a Gagarin nella Piazza Rossa per l'esposizione al popolo. Seguì una
omuosa festa al Cremlino e un'orgia di fuochi artificiali in tutto il paese.
li N. 20 continuava a non esi cere per il mondo, mentre il suo aquilotto
cumulava premi in denaro, vantaggi personali e svariate onorificenze nazio­
nali - due ordini di Lenin e una medaglia di eroe deU' Unione Sovietica - e
internazionali (per lo più negli Stati satelliti dell'URSS).
Come Gagarin, nemmeno Ticov sarebbe più tornaco nello spazio. Tra­
scorse il rcsco della vita godendosi la sua fama senza troppi freni6 , tra viaggi
all'estero (anche in USA, dove incontrò il co!Jega stanmitenseJohn Glenn),
LUNA ROSSA

la redazione delle sue memorie', una laurea in ingegneria spaziale, belle don­
ne, alcool e automobili veloci, incarichi prestigiosi, un impiego al ministero
della Difesa e un seggio nella Camera bassa, la Duma, quando ormai falce
e martello erano caduti assieme al Muro di Berlino8• Sessantacinquenne,
!'"aquila" si accomiaterà dal mondo proprio al giro del millennio, nell'anno
2.000, ucciso dall'ossido di carbonio della sua sauna o forse da un infarto. Il
suo volo aveva dimostrato che lo spazio era alla portata dell'uomo.
L'impresa di Titov fu l'ultima goccia nel calice amaro dei primi mesi di
Kennedy alla Casa Bianca. Eppure, il giovane presidente aveva già avviato
contromisure adeguate a controbattere le mosse vincenti dei sovietici. Su­
bito dopo il volo di Gagarin, aveva incaricato il suo vice Johnson di studiare
la questione e proporgli una soluzione. Il vigoroso senatore aveva intervi­
stato il massimo esperto della questione, Wernher von Braun, che nel frat­
tempo aveva fatto carriera: nel 1960 la NASA lo aveva nominato direttore
del Marshall Space Flight Center, sottraendo al controllo dei militari lui
e la sua squadra di specialisti venuti da Peenemunde, la "Huntsville gang".
Già da tempo von Braun aveva avviato lo studio di un nuovo lanciatore, un
autentico mulo per trasferire carichi pesanti sia in orbita terrestre sia nel­
lo spazio profondo, battezzandolo Saturn per segnalare la continuità con
la sua precedente creatura, il razzo Jupiter (Giove). Aveva trascorso oltre
dieci anni della sua vita americana a convincere la gente della possibilità e
bellezza dei viaggi interplanetari, scrivendo libri e articoli di divulgazione,
accettando ogni tipo di intervista e partecipando a show televisivi. Abile
promotore di sé stesso, per aumentare la sezione d'urto con il pubblico si
era legato a famosi personaggi della scienza e dello spettacolo. Tutti ormai
lo conoscevano e lo apprezzavano, ma non la Casa Bianca, sempre preoc­
cupata di mescolare il diavolo con l'acqua santa.
Accettando la direzione del Centro spaziale della NASA, l'ex nazista di­
ventato ormai cittadino americano, fece la voce grossa, esigendo di passare
dai progetti alla produzione. Gli fu dato il via libera per la realizzazione e
il test del Sacurn. Von Braun sapeva come trasportare un astronauta ameri­
cano sulla Luna. Ma era stato sprecato molto tempo e non era chiaro se ce
ne fosse ancora abbastanza per recuperare sui sovietici; di certo non se ne
poteva perdere altro. Per tentare di vincere occorrevano una forte volontà
politica, tanti soldi e un pizzico di fortuna. Questo disse aJohnson, il qua­
le lo riferì a Kennedy.
La soluzione, continuò Johnson nel suo rapporto al presidente, poteva
essere cercata in un impegno massiccio del paese per un'impresa pacifica di
AVANTI POPOLO 147

conquista della Luna, oppure nella messa in orbita di una stazione spaziale
attorno alla Terra. La seconda ipotesi aveva però due controindicazioni
forti: 1. sembrava difficile disconoscerne un possibile utilizzo militare, con
tutte le ovvie conseguenze sui delicati equilibri internazionali in tempi di
Guerra fredda; 2.. essendo la soluzione tecnologicamente più semplice,
era anche quella di più pronta realizzazione, e questo facto costituiva un
handicap. Per rientrare degnamente in corsa, alla NASA serviva infatti un
po' di tempo, e la Luna appariva ancora un bersaglio sufficientemente lon­
tano da raggiungere anche per gli ingegneri comunisti.
Nacque così nello Studio ovale, in una tiepida giornata di primavera, il
germe del progetco Apollo. Per renderlo concreto occorreva delineare una
strategia e affrontare il Congresso in modo da ottenere i finanziamenti ne­
cessari all'impresa, cosa non semplice, perché si trattava di una retromar­
cia rispetto alla posizione assunta in campagna elettorale contro i presunti
sperperi dell'amministrazione repubblicana di Eisenhower.
In verità, nel gennaio 1961 il presidente soldato aveva chiuso il suo se­
condo mandaco con parole di grande saggezza, un vero e proprio monito
contro la crescente corsa agli armamenti e gli interessi industriai-militari a
essa legati, che conviene rileggere e meditare:

Un elemento virale nel mantenimento della pace sono le nosrre istituzioni milita­
ri. Le nosrre armi devono essere poderose, pronre all'azione istantanea, in modo
che nessun potenziale aggressore possa essere renrato dal rischiare la propria di­
struzione. La nosrra organizzazione milirare oggi ha poco a che fare con ciò che
conoscevano i miei predecessori in rempo di pace o, in efferri, i combattenti della
Seconda guerra mondiale o della Corea. Fino all'ulrimo conflitto mondiale, gli
Stari Uniti non avevano un'industria degli armamenti. I produttori americani di
vomeri potevano, con il tempo e la necessità, forgiare anche le spade. Ma non
possiamo più rischiare l'improvvisazione nell'emergenza della difesa naziona­
le. Siamo sraci costretti a creare un'industria di armamenti permanenti di vaste
proporzioni. [ ... ] Ora quesro legame era un escablishment militare immenso e
un'industria delle armi di grandi dimensioni è nuovo nell'esperienza americana.
[ ...] Riconosciamo l'assoluta necessità di raie sviluppo. Tuttavia, non dobbiamo
mancare di comprendere le sue gravi implicazioni. [ ... ] li potenziale per l'ascesa
disasrrosa di poteri malriposci esisre e persisterà[ ...]. Soltanto una cittadinanza at­
tenta e informata può esercitare un giusto amalgama rra l'enorme macchina indu­
striale e mili rare di difesa e i nosrri metodi e obierrivi pacifici, affinché la sicurezza
e la libertà possano prosperare insieme•.

Pochi mesi dopo, Kennedy, ancora debole per la figuraccia alla baia dei
Porci, si presentò il 2.5 maggio 1961 davanti al Congresso {a maggioranza
LUNA ROSSA

democratica, va detto) per pronunciare un discorso sulle «urgenti neces­


sità della nazione»:

Se vogliamo vincere la battaglia che si sta svolgendo nel mondo era libertà e tiran­
nia, gli straordinari successi spaziali che si sono verificati nelle ultime settimane
avrebbero dovuto rendere evidente a tutti noi, come è accaduto per lo Sputnik
nel 1957, l'impatto dell'avventura sulla mente degli uomini che ovunque sono alla
ricerca della via da prendere [... ]. Credo che disponiamo di tutte le risorse e le
capacità necessarie. Ma il dato di farro è che non abbiamo mai preso le decisioni
a livello nazionale, né schierato le risorse del paese richieste per raie ruolo guida.
Non abbiamo mai indicato gli obiettivi a lungo termine su un calendario delle ur­
genze, né gestito le nostre risorse e il nostro tempo per assicurarne l'adempimento.
Pur riconoscendo il divario esistente con i sovietici grazie ai loro grandi motori a
razzo, che dà loro molti mesi di vantaggio, e pur riconoscendo che con ogni pro­
babilità essi porranno sfruttare raie vanraggio ancora per qualche tempo per orte­
nere dei successi ancor più notevoli, siamo rucravia chiamati a dei nuovi sforzi10•

Una premessa forte, senza scuse o infingimenti, per arrivare alla proposta
concreta:

Credo che questo paese debba impegnarsi a raggiungere, prima della fine di que­
sto decennio, l'obiettivo di far sbarcare un uomo sulla Luna e di riportarlo sano
e salvo sulla Terra. In questo periodo nessun singolo progetto spaziale sarà più
impressionante per l'umanità, o più imporrante per l'esplorazione dello spazio a
largo raggio; e nessuno sarà così difficile e così costoso da realizzare".

Ma perché citare proprio la Luna in modo così esplicito? Conviene ripe­


terlo. Perché era la prima e la più appariscente delle vittorie non ancora
colte dai sovietici, un traguardo tuttora da conquistare per rovesciare un
ordine d'arrivo sistematicamente sfavorevole all'America. Tutto il resto
era stato ormai spazzolato via dal tavolo da gioco da una sconcertante serie
di mani vincenti di un misterioso domatore di missili d'oltrecortina.
U progetto presentato al Congresso aveva un respiro anche più ampio
di così. Da abile manipolatore delle menti umane, Kennedy mise sul tavo­
lo l'idea futuribile di un razzo a propulsione nucleare con cui viaggiare nel
Sistema solare e dichiarò la ferma volontà dcli' amministrazione federale di
sostenere la leadership americana nelle telecomunicazioni e nelle osserva­
zioni meteorologiche. Erano tutti ammiccamenti più o meno espliciti alla
scienza, all'industria, ai militari e al potere economico, utili a far digerire
un salasso delle casse federali da tempi di guerra.
AVANTI POPOLO 14 9

A questo punto, infatti, il presidente arrivò al nocciolo della questione,


con una richiesta di imponenti risorse e di un giuramento di fedeltà alla
causa:

Credo che dovremmo andare sulla Luna. Ma penso che ogni cittadino di questo
paese, nonché i membri del Congresso, dovrebbero considerare attentamente la
questione nel formulare il loro giudizio[... ] perché l'onere è grave, e non ha sen­
so accettare o desiderare che gli Stati Uniti prendano una posizione di controllo
nello spazio esterno, a meno che non siamo pronti a fare il lavoro e sopporr.are il
peso per riuscirci[ ... ]. Nuovi obiettivi e nuovo denaro non possono risolvere tali
problemi, anzi, li potrebbero aggravare ulreriormente - a meno che ogni scienzia­
to, ogni ingegnere, ogni mili rare, ogni tecnico, fornitore e funzionario pubblico si
impegni personalmente affinché questa nazione possa andare avanti, con tutta la
velocità della libertà, nel! 'entusiasmante avventura dello spazio".

Tutto ciò alla luce del sole, documentato dalla stampa e ribadito con pa­
role ancora più forti l'anno successivo. Il 12. settembre 1962., a Houston in
Texas, Kennedy parlò a una folla raccolta nello stadio della Rice Univer­
sity per celebrare l'avvio dei lavori del nuovo Manned Spacecrafr Center,
il centro di controllo delle missioni vicino alla baia di Galverston, oggi
intitolato al texano Lyndon B.Johnson,

Abbiamo deciso di andare sulla Luna in questo decennio e di impegnarci anche in


altre imprese, non perché sono semplici, ma perché sono ardite, perché questo obiet­
tivo ci permerrcri di organizzare e di mettere alla prova il meglio delle nostre energie
e delle nostre capacità, perché accettiamo di buon grado questa sfida, non abbiamo
intenzione di rin1andarla e siamo determinati a vincerla, insieme a tutte le altre.[...]
Molti anni fa. alla domanda sui morivi per cui desiderava scalare il monte Everest,
cima sulla quale avrebbe in seguito perso la vira, il grande esploratore inglese George
Mallory rispose « Perché è lì». Bc'. lo spazio è lì e noi partiremo alla sua conquista
e anche alla conquista della Luna e dei pianeti, verso nuove speranze di conoscenza
e di pace. Chiediamo quindi la benedizione di Dio per l'avventura più pericolosa
e rischiosa, ma anche per la più grande impresa che l'uomo abbia mai affrontato''·

Il guanto era stato lanciato. Per scoprirlo non occorreva il solito strisciante
lavoro di intelligence. Korolev aveva ricevuto il messaggio di sfida. Poteva
tentare di correre ai ripari, nella consapevolezza del divario di mezzi tra
sé e gli avversari. Da un lato il sistema America, con le sue enormi risorse
economiche, il robusto tessuto industriale privato e l'organizzazione me­
ritocratica, basata sulla concorrenza (non importa se sleale, per chi crede
che il fine giustifichi i mezzi). Dall'altro il caos d'un paese ancora acerbo e
LUNA ROSS A

inamidato che, per mantenere prestigio e potenza militare, viveva da tem­


po al di sopra dei propri mezzi, rinviando sine die la realizzazione d'una
parte delle promesse del socialismo.
Chissà se leggendo i discorsi di Kennedy anche il progettista capo
pensò, come l'ammiraglio lsoroku Yamamoto dopo il vittorioso attacco
a Pearl Harbor: « Temo che tutto ciò che abbiamo fatto sia aver svegliato
un gigante che dormiva». Non lo sappiamo per cerco ma, se lo fece, da
abile giocatore di poker non diede a vedere di temere il ricompattamento
dell'avversario a seguito dei molti successi russi. E invece «i democratici
e i repubblicani [del Congresso] erano ormai generalmente bipartisan sul
futuro dello spazio americano», avrebbe poi ricordato l'astronauta Alan
Shepard. Tutti per uno, uno per tutti.
Intanto il progetto Mercury procedeva lungo la strada tracciata, con
un lancio che finalmente metteva in orbita un americano, uno dei sette
leggendari astronauti selezionaci dalla NASA nel 1959, che avrebbero fatto
la storia anche delle successive missioni dell'ente spaziale statunitense. La
fattibilità dell'impresa era stata valutata da un precedente lancio della son­
da Mercury-Atlas 5, partita il 2.9 novembre 1961 con a bordo ancora uno
scimpanzé, Enos. Due orbite attorno al mondo, sulle tre previste, per poi
tornare sulla Terra ammarando nel Mar dei Caraibi con il suo passeggero
vispo e in ottima salute.
Come nella missione dell'altra scimmia Ham, c'erano stati parecchi
problemi tecnici, incluso un guasto alla macchina che distribuiva ricom­
pense e punizioni all'animale in funzione delle risposte ai test cui era sot­
toposto. L'apparente tortura, messa a punto durante un estenuante alle­
namento a terra, serviva a costringere lo scimpanzé a mostrare la propria
reattività e attenzione nelle diverse condizioni del volo. Ma la preoccupa­
zione più grave aveva riguardato il rapido esaurimento del gas per i motori
di controllo d'assetto, vitali per il corretto posizionamento della capsula
all'avvio delle procedure di rientro.
In ogni modo, l'animale aveva brillantemente superato la prova. Così
la NASA, dietro la pressione dell'opinione pubblica che ne criticava aspra­
mente la lentezza, decise di rischiare un volo umano. Venne scelto un qua­
rantenne pilota dell'Air Force con un passato da eroe e un'impeccabile
vita privata, John Glenn (192.1-2.016), tipico ragazzone americano pieno
di salute, sportivo, intraprendente e profondamente religioso", capace di
uccidere per difendere il proprio paese e di rischiare la vita per glorificarlo,
e poi, ancora, umile, divertente e generoso.
AVANTI POPOLO

Venne lanciato da Cape Canaveral il 2.0 febbraio 1962. a bordo della


sonda Friendship 7 spinta dal solito razzo balistico intercontinentale At­
las. Il volo avveniva con due mesi di ritardo rispetto alla richiesta "politi­
ca" di mettere in orbita un americano nel medesimo anno in cui avevano
volato Gagarin e Titov. D'altra parte, la NASA si trovava tra l'incudine e
il martello: da un lato un'enorme fretta di riacchiappare il ciclista in fuga,
dall'altro la paura di forare e di cadere malamente durante l'inseguimento.
Si trattava della prima volta in orbita per uno yankee, e l'esperien­
za pregressa dei sovietici non aiutava se non ad accrescere l'ansia negli
inseguitori. Le conoscenze scientifiche, tecniche e gestionali raccolte a
Baikonur restavano avvolte dal più assoluto segreto, come lo sono oggi le
migliorie nei propulsori e nell'aerodinamica delle vetture di Formula I.
Nessuno aiutava nessuno. Al contrario, vigeva la regola del depistaggio.
La Vostok era stata esibita nel 1961 alla mostra aviatoria dell'aeroporto
di Tusino, presso Mosca, impacchettata e camuffata con l'aggiunta di un
corredo di pinne inesisrenti per confondere i curiosi americani. Colpi
bassi di una partita a poker più simile a una caccia alla volpe che a un
gioco di carte.
Il conto alla rovescia a Cape Canaveral s'era presentato laborioso e il
volo della Friendship fu altrettanto difficile, e in qualche momento persi­
no rischioso per il sospetto d'un guasto allo schermo termico protettivo.
«Sono entrato in controllo manuale e ho continuato in quella modalità
durante la seconda e la terza orbita, e durante il rientro», avrebbe ricor­
dato Glenn più tardi. «Il malfunzionamento mi ha costretto a provare
molto rapidamente quello che era stato pianificato doversi fare durante un
periodo di tempo più lungo»''.
Tutta la squadra dei piloti di riserva, Scott Carpenter (192.5-2.013), Do­
nald Slayton (192.4-1993) e Walter "Wally" Schirra (192.3-2.007), venne
coinvolta nella gestione da terra delle concitate fasi del volo. Tre orbite
per un totale di quasi 5 ore, concluse con un ammaraggio nell'Atlantico
del Nord. Glcnn venne ripescato sano e salvo e l'America esulcò. Al suo
rientro a Cape Canaveral, l'astronauta fu accolto dal presidente Kennedy
in persona, che lo condusse in parata nella propria auto. A New York gli
venne tributato il trionfo con il lancio d'una pioggia di coriandoli di carta
dalle finestre degli alti palazzi, la famosa ticker-tape parade. Non si vedeva
nulla del genere dai tempi della trasvolata oceanica di Lindberg, 35 anni
prima. La nazione, grata, respirava, sentendo di avere messo ormai il fiato
al collo dei russi. «Sembrava che [Glenn] avesse restituito agli americani il
LUNA ROSSA

rispetto di sé stessi», fu detto, «e più di quello- che gli americani potes­


sero nuovamente osare di sperare»'6•
Al volo di Glenn ne fecero seguito altri ere, ultimi atti del progetto Mer­
cury. Quello della navetta Aurora 7, lanciata nel maggio 1962. con a bordo
il cosmonauta Score Carpenter, che circolò tre volte attorno alla Terra; la
Sigma 7 nell'ottobre 1962. con Wally Schirra, un simpaticone di origini
italiane, figlio di acrobati dell'aria, che completò sei orbite; e la Faich 7
nel maggio 1963, con Gordon Cooper, chiamato Gordo come uno degli
scimpanzé che avevano volato nei primi lanci dei Mercury, il quale restò
sulla giostra per 2.2. giri. Poi il progetto venne chiuso perché si comprese
che non sarebbe comunque servito a riacchiappare i sovietici. Occorreva
un cambio di strategia, e così nacque il programma Gemini.
Dal canto suo, anche Korolev era conscio che i bei tempi della solita­
ria fuga a sorpresa scavano per tramontare. Per contro, a Mosca I'entusia­
smo per le canee vittorie aveva suscitato uno stato di euforia permanente e
Chruscev pretendeva un'altra prova per dimostrare al mondo incero che
gli yankee erano irrimediabilmente dietro ali' URSS. Il progettista capo
sottopose allora al governo un programma ambizioso: lanciare in sequen­
za due Vostok e farle volare per un tempo lungo in formazione. Una pa­
rata spettacolare che avrebbe fatto crepare di rabbia gli americani e pro­
curato utilissime informazioni per l'auspicato futuro viaggio sulla Luna.
L'approvazione venne data direttamente da Dmicrij Uscinov (1908-1984),
vicepresidente del Consiglio dei ministri cd eminenza grigia dell'industria
degli armamenti sovietica, insieme alla richiesta che l'impresa avvenisse
presto, entro il febbraio 1962., per annullare l'effetto taumaturgico del volo
di Glenn sui vertici USA.
Korolev, però, non era pronto. Doveva ancora risolvere molti problemi
tecnici e combattere sul fronte interno contro le gelosie e l'eccessiva pru­
denza di alcuni personaggi di peso, inconciliabile con la sfida ingaggiata
con gli yankee. Soprattutto Kamanin, che si opponeva al progetto di un
volo di molti giorni, continuando a ritenerlo rischioso. Il responsabile del­
la squadra dei cosmonauti aveva dalla sua non solo i medici - ulteriormen­
te preoccupaci dalle radiazioni immesse in cielo dagli esperimenti nucleari
americani in atmosfera-, ma anche gli alci comandi ddl 'Aviazione milita­
re. Ai generali col petto tappezzato di medaglie non importava granché la
salute di qualche avventuroso pilota. Erano però fermamente intenzionati
a ricondurre sotto il loro controllo un'attività che ritenevano fosse di loro
spettanza e che faceva girare un sacco di soldi. Per questo mettevano con­
tinuamente i bastoni tra le ruote.
AVANTI POPOLO 153

Kamanin, al contrario, aveva un atteggiamento propositivo, pur pre­


tendendo una progressione della durata dei voli in modo da verificarne
la tollerabilità per l'organismo umano. Era una cautela che Korolev non
poteva condividere perché sapeva bene di non disporre dei mezzi per ef­
fettuare tutte le corse necessarie a condurre il tese. Il treno che transitava
ora forse non sarebbe ripassato più; bisognava avere il fegato di prenderlo
in corsa. Perciò ilgfavnij konstruktor si rivolse direttamente a Chruscev, il
quale "decretò" che la durata minima del volo dovesse essere di tre giorni.
Noncurante dcli' autorevole parere, il testardo Nikolaj continuò implaca­
bile e a testa bassa la sua donchisciottesca battaglia.
C'era poi da risolvere un problema di precedenza. La piattaforma di
lancio era stata prenotata per collocare in orbita alcuni satelliti spia della
serie Zenit'', pubblicizzaci con il nome Cosmos per tentare di mascherar­
ne l'impiego. Anche in questo caso si trattava di creature sviluppate dalla
squadra di Korolev presso il suo OKB-1, probabilmente per ingraziarsi i ver­
tici politici e poter continuare l'accivicà rivolta alla conquista dello spazio
(i militari erano contrari, ma vennero momentaneamente messi a tacere).
Nonostante il vettore fosse lo stesso della Vostok, i primi lanci andarono
male e provocarono addirittura il danneggiamento della rampa, con un
ulceriore sperpero di denaro e le solite inchieste del KGB, sempre a caccia
di sabotatori. Finalmente, sullo scorcio del luglio 1962., il Cosmos 7 fece il
suo dovere, riportando a terra un buon bottino di immagini, e la rampa di
lancio poté ritornare a disposizione delle missioni scientifiche. Arrivò così
il turno del volo in formazione. Per comandare la Vostok-3 venne scelto
il trentaquattrenne pilota militare Nikolaev, nome in codice sokol ("falco­
ne"), già secondo di T itov; per la Vostok-4, Pavel Popovic, berkut ("aquila
reale"). Korolev e Kamanin si erano infine accordati per una permanen­
za nello spazio di massimo di ere giorni. Ma al di là dell'immenso valore
propagandistico di un'impresa che oscurava tutti i disperati tentativi di ri­
monta degli americani, esistevano alcuni compiti da svolgere e alcuni espe­
rimenti da effettuare. Tra questi, l'osservazione del comportamento della
nave compagna e del terzo stadio del vettore di lancio che le galleggiava
accanto, inel uso il decollo della Vostok-4 visto dallo spazio. Erano inoltre
previsti la consueta campagna fotografica, un fondamentale tentativo di
comunicazione diretta tra le due astronavi e persino una sessione di libero
galleggiamento entro la cabina per accertare le reazioni umane in assenza
di peso. Tutte attività alle quali i cosmonauti s'erano allenati per alcune
manciate di secondi durante le picchiate di reattori militari di grossa taglia.
1 54 LUNA ROSSA

Qualche giorno prima del lancio, i due piloti arrivarono a Tyuratam


con voli separati. Poi da Mosca li raggiunse anche Korolev e iniziarono i
test finali. U progettista capo era più nervoso e aggressivo del solito. Oltre
al consueto peso del persistente anonimato, lo preoccupava la logistica di
un doppio lancio dalla medesima rampa a distanza d'un solo giorno: biso­
gnava infatti armare il secondo vettore in tempo record dopo il lancio del
primo, riducendo all'osso le verifiche finali. Al decollo era presente anche
Gagarin, il quale ormai assolveva alla funzione di mascotte, quasi vergo­
gnandosene: Chruscev aveva ordinato che venisse tenuto nella bambagia,
esattamente come aveva disposto Kennedy per Glenn. Gioielli di famiglia
da proteggere in modo da poterli esibire all'occorrenza.
La Vostok-3 decollò )'11 agosto alle 11,2.4, ora di Mosca. Trascorso
qualche attimo di panico per il mancato distacco al via di uno dei masto­
dontici tralicci della torre di servizio, il gigantesco vettore puntò sicuro
verso il cielo per assumere una traiettoria quasi circolare compresa tra 170
e 2.2.0 km di quota. «E uno!», pensò Korolev. Allo scadere della prima
orbita, Nikolaev ricevette una telefonata dal Cremlino. Chruscev in per­
sona, il "caro leader" di Gagarin, si congratulava con lui. Anche al vertice
delle due superpotenze s'era ingaggiata una gara su chi comparisse di più
e meglio nelle diverse occasioni pubbliche offerte dalla space race. Succede
anche oggi, in occasione del Super Bowl o di una finale di Coppa Cam­
pioni, che improvvisati tifosi lascino il Palazzo per sedere in tribuna a farsi
vedere dalla gente, mostrando un interesse e una competenza che invece
non posseggono; perché Parigi continua "a valer bene una messa".
Intanto, sulla rampa di lancio già si lavorava per armare il secondo vet­
tore, che prese il via il giorno dopo, 12. agosto, alle ore 11,08, su una rotta
praticamente identica a quella della Vostok-3. «E due!». La precisione dei
calcoli di rotta e dei settaggi dei motori dei tre stadi era tale che le navicelle
arrivarono a una distanza minima di soli 6,5 km, per poi separarsi sempre
più nel corso delle successive orbite. La missione non prevedeva infatti al­
cuna manovra di avvicinamento, vista l'impossibilità di pilotare le Vostok.
Nessun libero arbitrio per i due splendidi manufatti consegnati alla volon­
tà esclusiva delle leggi della meccanica e della forza di gravità. Tuttavia, i
cosmonauti mantennero il cordone ombelicale del contatto radio.
Tutto andava bene, tanto che si valutò l'opportunità di allungare la du­
rata della missione. Poi la temperatura all'interno della Vosrok-4 crollò a
10 gradi e, contro la volontà del N. 2.0, si decise di far scendere Nikolaev e
Popovic. A Mosca era l'ora di colazione del 15 agosto quando, a distanza di
AVANTI POPOLO 155

7 minuti e di 2.90 km l'uno dall'altro, dopo essersi catapultati foori dall,l


navicella e aver aperto il paracadute secondo la procedura di atterraggio
ormai standard, i due cosmonauti toccarono terra in prossimità della cit­
tà di Karaganda, in Kazakistan. La Vostok-3 era rimasta nello spazio per
94 ore, pari a 64 orbite, polverizzando i record di Glenn e di Carpcntcr.
Un giorno in più della Vostok-4.
Gli americani risposero con i voli di Schirra e Cooper di cui s'è già det­
to, entrambi conclusi con. una sceneggiata tecnologica di grande effetto:
un collegamemo televisivo in diretta con l'astronauta in orbita. Piccole
soddisfazioni di una nazione regina della moderna tecnologia, con gran­
di università e prestigiosi laboratori di ricerca e con un ricco e variegato
apparato produttivo privato, non ancora impegnato a contrastare il passo
dei sovietici nella conquista dello spazio. Ed è proprio da questo tessuto di
creatività high-cech che sarebbe venuta una delle armi più potemi per la
riscossa degli yankee: la miniaturizzazione dell'elettronica. L'invenzione
del microprocessore alla Texas Instruments, poi perfezionata da Federico
Faggin'8 alla Fairchild, rappresema l'esempio più lampame di quel connu­
bio era scienza. applicazione e mercato che alla fine ha fatto la differenza
era USA e URSS.
Ma in quell'agosto 1962. il microprocessore era di là da venire e per il
momento Chruscev gongolava. Dal camo suo Korolev sogghignava per­
ché aveva in serbo ancora un gancio sinistro al mento, di quelli che man­
dano l'avversario al tappeto. Si trattava di un'altra missione in tandem, ma
con un clamoroso colpo di teatro: ai comandi delle due Vostok ci sareb­
bero state delle giovani cosmonaute. Uno schiaffo agli astronauti maschi
del!'America liberale, ai superman dcli'aviazione, nonché un forte ammic­
camento a tutte le donne del mondo in una stagione di montante femmi­
nismo. «Nel mio paese c'è la parità di genere», avrebbe detto Gagarin a
un giornalista, affondando il coltello nella piaga.
Immaginata da Kamanin alla fine del 1961 quale strumento di propa­
ganda, la missione era stata entusiasticamente condivisa da Chrusè:ev e
programmata per la metà del 1963, sulla scorta del sospetto che gli ame­
ricani stessero facendo altrettanto'•. Avrebbe dovuto impegnare la prima
coppia di sette lanci di navette Vostok alla cui produzione era concentrato
I' OKB-1. Sfortunatamente, nei piani alti il pollaio spaziale sovietico ospi­
tava molti galli, tutti alquanto agguerriti e bramosi di conquistare bricio­
le di potere ostacolando piuttosto che proponendo, come non di rado
succede nei regimi totalitari e non solo. L'onnipotente vicepresidente
LUNA ROSSA

Ustinov, Leonid Smimov, capo della Commissione militare per l'indu­


stria, Kamanin e tanti altri capi politici e militari volevano tutti metter
bocca nelle scelte strategiche e sovente anche in quelle tecniche. Alcuni
come Kamanin in buona fede; i più per insipienza o per sere di potere.
C'erano poi le invidie e i conflitti di interesse ali' interno della galassia
degli innumerevoli laboratori in cui era frammentata l'attività di ricerca
sovietica nell'aerospazio, modulata dai rapporti con un potere ondivago
e umorale. Questa sfrangiata carena di comando comportava un notevo­
le dispendio di risorse poiché spesso venivano portati avanti più progetti
simili in parallelo e inutilmente. Korolev, sostenuto dalla vanità del Crem­
lino, cercava di barcamenarsi, resistendo e concedendo, e facendosi il san­
gue sempre più amaro.
Alla fine, nel marzo 1963, durante una movimentata riunione del Pre­
sidium del PCUS e dopo un violento attacco del ministro della Difesa alle
spese folli per lo spazio che sottraevano risorse alla sicurezza nazionale,
venne deciso di limitare a due le missioni Vostok per quell'anno. Una sa­
rebbe stata dedicata a un volo "lungo" di un cosmonauta uomo e un'altra
a una breve permanenza nello spazio di una donna. A tale scopo si dove­
vano coinvolgere ragazze in buona salute, con i nervi saldi e una consoli­
data esperienza di paracadutismo, indispensabile per affrontare la difficile
procedura di atterraggio. Il fatto che non provenissero dall'aeronautica
militare, come invece i colleghi maschi, non presentava grosse controindi­
cazioni visto che le Vostok funzionavano in modo automatico e, volendo,
il cosmonauta poteva comportarsi alla stregua di un semplice passeggero.
A quell'epoca, in molti paesi era ancora considerato un azzardo affidare a
una donna un'automobile... figuriamoci un'astronave.
Nel marzo 1962. era stato dato il via, in grande segretezza, alla selezione
dei cosmonauti al femminile. Ragazze con meno di rrent • anni, di altezza
inferiore a 1,70 m e sotto i 70 kg di peso, provenienti da ogni angolo del
paese e di immacolata ideologia. Fu quasi un concorso di bellezza con­
dotto in più fasi che, partendo da una lista di 400 concorrenti, produsse
una cinquina di candidare i cui nomi, eccetto uno, rimasero segreti sino al
1987. Le aspiranti furono poi sottoposte alla consueta, pesante stagione di
allenamenti in palestra, nei simulatori e anche in volo sui MIG-15S. Non
essendo piloti di carriera, dovevano diventarlo in fretta, anche per ottene­
re i gradi e una divisa indispensabili per il decoro dell'aviazione militare.
Alla fine del corso, furono scelte Valentina Tereskova (1937-) e Valen­
tina Ponomaryova (1933-), per salire rispettivamente sulla Vostok-5 e sul-
AVANTI POPOLO 157

la Vostok-6. Ma, dopo il ripensamento generale del programma, a metà


maggio 1963 la Ponomaryova venne declassata'0 a seconda riserva della
Tereskova, trasferita a sua volta sulla Vostok-6. li posto lasciato libero sulla
Vostok-5 fu preso da Valerij Bykovskij (1934-2.019), il solito pilota militare
di grande esperienza che aspettava da tempo la sua chance.
Valentina Tereskova non era solcanto una donna ma addirittura un ci­
vile, senza alcuna esperienza di volo. Nata in un kolchoz di Maslennikovo
- un villaggio nella regione di Yaroslavl, nella Russia centrale - in seno a una
famiglia proletaria, aveva trascorso un'infanzia abbastanza simile a quella
di Gagarin. Orfana di padre, morto nel suo carro armato durante la Guerra
d'inverno in Finlandia quando lei aveva solo 2. anni, aveva iniziato gli studi
tardi e appena sedicenne aveva dovuto sospenderli per guadagnarsi da vi­
vere nell'industria tessile, come la madre. A salvarla dal grigio anonimato
di un'esistenza miserabile tra la polvere soffocante dei celai erano state la
passione per il vuoto, una sconfinata fede nel comunismo e una volontà di
ferro. Nel tempo libero, aveva cominciato a frequentare una scuola di pa­
racadutismo presso l'aeroclub della sua città, s'era iscritta ali' Unione della
gioventù comunista leninista (Vsesojuznyj leninskij kommunisticeskij sojuz
molodezi), il Komsomol", segnalandosi per il suo attivismo, e continuava a
studiare per corrispondenza sperando di prendere un diploma. Fu il suo in­
tegralismo in politica, più di ogni altra qualità, a farla emergere nel gruppo
delle aspiranti cosmonaute. Aveva 2.6 anni quando salì sulla Vostok-6, dieci
di meno di Cooper, il più giovane degli astronauti americani. La sua candi­
datura era stata approvata da Chruscev, che vedeva in lei il perfetto esempla­
re di nuova donna sovietica, fedele alla causa, integerrima e anche gradevole
di aspetto: un "Gagarin in gonnella". Anche Korolcv aveva avallato la scel­
ta, contando di utilizzare le altre candidate più "robuste" per un successivo
volo - che non ci fu mai - su una navicella con equipaggio multiplo.
A primavera inoltrata, a Baikonur tutto era pronto per il lancio. Dal
3 giugno, la Vostok-5 accendeva di staccare il volo dalla rampa, ormai in­
titolata a Gagarin. Il suo pilota Bykovskij, nome in codice yastreb ("fal­
co"), scalpitava: sembrava che il decollo non dovesse avvenire mai per via
di innumerevoli problemi tecnici dell'ultima ora. Poi ci si mise anche il
Sole, una stella normalmente mansueta che proprio in quei giorni emise
un poderoso starnuto, di quelli che scaraventano nello spazio una fiumana
di pericolose particelle cariche.
Finalmente, attenuatasi la tempesta celeste, nel primo pomeriggio del
14 giugno il solito razzo R-7 modificato portò in orbita la navicella senza
LUNA ROSSA

altri problemi. Un malfunzionamento dell'ultimo stadio impedì però di


raggiungere la quota programmata, per cui la Voscok si trovò a viaggiare
in un'atmosfera più densa. Questo fatto, unico alla preoccupazione per
la prolungata esposizione alle radiazioni solari, suggerì di interrompere la
missione dopo 5 giorni, invece degli 8 programmati al via. Si trattava co­
munque di un record di durata che è tutt'ora insuperato per una missione
orbitale con un solo cosmonauta. Forse il suo risultato più significativo fu
la constatazione del!' assoluta assuefazione di Bykovskij ali' assenza di peso,
che egli aveva trovato addirittura "piacevole". Un enorme passo avanti per
i lunghi viaggi sulla Luna, rispetto alle paure nate con la missione di Titov.
Nel frattempo, anche Valentina, nome in codice éajka ("gabbiano"), era
parei ca, intorno a mezzogiorno e mezzo, ora di Mosca, del 16 giugno. Nes­
sun problema al decollo. Una manciata di minuti e già si trovava in orbita
attorno alla Terra a una quota era i 160 e i 2IO km, a una velocità di 8 km/s
e a soli 3 km e mezzo dalla Voscok-5: distanza che, come in precedenza, era
destinata a crescere nel tempo a causa delle piccole differenze nei parame­
tri orbitali delle due navicelle.
Gli abitanti dello sconfinato territorio dcli' Unione Sovietica poterono
osservare in diretta TV la compagna cosmonauta nella sua capsula e ap­
presero che il segretario Chruscev le aveva telefonato personalmente dal
Cremlino per congratularsi e augurarle buona permanenza in cielo. Ma
non seppero nulla delle gravi diffìcolcà fisiche e psicologiche e dei pericoli
che il giovane "gabbiano" stava correndo. li N. 20 aveva infatti posto il
sigillo del segreto sulla vicenda, perché nulla doveva offuscare l'idillio era
URSS e spazio. «Per enfatizzare la propria legittimità politica e morale», è
stato scritto, «il regime sovietico cercò di imprimere i trionfi spaziali nella
memoria culcurale, trasformandoli in potenti miti storici, e di eliminare
l'interferenza di ogni memoria negativa». Un atteggiamento che ha indo­
rato la narrazione dei fatti in tempo reale, disseminando contestualmente
di trappole e trabocchetti il cammino dello storico.
Tra l'altro, la sistematica manipolazione dell'informazione ha reso
plausibili le affermazioni di quelli che, come i famosi fratelli radioamatori
italiani Achille e Giovanni Judica Cordiglia, hanno accusato il Cremlino
d'avere tenuto nascosti alcuni disastri collezionati durante l'epopea spazia­
le e l'elenco delle relative vittime. Animali prima e poi cosmonauti, sfra­
cellatisi al suolo, dilaniati dalle esplosioni, bruciati dal fuoco o persi nello
spazio. In effetti, a riprova del maniacale occultamento dei panni sporchi
viene spesso riportata la triste storia di Grigorij Neljubov (1934-1966), ter-
AVANTI POPOLO 1 59

zo cosmonauta in linea dopo Gagarin e T itov, il quale fu espulso dalla squa­


dra per ubriachezza e per un conflitto con la polizia. Colpe imperdonabili
per dei moschettieri spaziali senza macchia e senza paura, come dovevano
essere i testimonial del socialismo vincente. A seguito dell'esonero, il nome
di Neljubov venne fatto sparire dai documenti e persino la sua immagine
cancellata dalle fotografie che lo ritraevano coi suoi compagni durante una
vacanza a Soèi. Nulla avrebbe dovuto più collegarlo con l'eroica conquista
dello spazio: una damnatio memoriae così spietata da indurlo a suicidarsi
gettandosi sotto un treno in corsa, a soli 32 anni.
La verità sulla Vostok-6 è venuta a galla dopo 40 anni quando, gra­
zie alJa politica della glasnost' inaugurata da Michail Gorbaèev, Valentina
Tereskova, ormai potentissima icona deila politica russa, si decise a parlare.
Il suo volo, che doveva durare 24 ore, venne allungato a tre giorni perché, a
causa di un errore d"assetto, la capsula rischiava di essere sparata verso l'al­
to e di perdersi nello spazio. Il centro di controllo applicò le necessarie cor­
rezioni che riportarono a terra la cosmonauta sana e salva al termine di un
prolungato calvario fatto di pene per l'abbigliamento inadeguato, piaghe
da decubito e nausea. Senza perdersi d'animo, la giovane aveva cercato di
trascorrere il tempo di ben 48 orbite dormendo, così da far durare le scorte
di aria e di cibo il più a lungo possibile, mentre a Baikonur cercavano di
capire quale strategia adottare. «è':ajka è atterrata», comunicò Gagarin
all'amico Bykovskij ancora in volo. «Ora tocca a te». Obbediente, anche
la Vostok-5 ritornò sulla Terra.
Un altro successo per la scuderia del gfavnij konstruktor e ancora una
festa per il popolo dell'URSS che portò in trionfo sulla Piazza Rossa i
due eroi, pronti a ricevere la loro dose di decorazioni. In privato, però,
Valentina venne duramente attaccata da alcuni ufficiali dell'aviazione mi­
litare, che arrivarono ad accusarla di imperizia e indolenza e addirittura
di essersi presentata ubriaca all'audizione davanti alla commissione che
doveva valutare il suo volo. Le fu persino contestato il fatto che, subito
dopo l'atterraggio nella pianura siberiana occidentale in condizioni dif­
ficili per via del vento forte e del rischio di finire al centro d'un profondo
lago, stremata, leggermente ferita e disidratata, avesse accettato del cibo
dai suoi improvvisati soccorritori, senza attendere la squadra di salvatag­
gio ufficiale. La Tereskova si difese con tale determinazione che a finir
male furono i suoi stessi querelanti, che per loro disgrazia non avevano
compreso a tempo con quale mastino si stavano confrontando. Valentina
era intoccabile.
160 LUNA ROSSA

I pettegoli insinuavano che ci fosse del tenero tra lei e l'unico scapolo
della banda dei cosmonauti, Nikolaev, fatto confermato al momento dei
saluti prima del suo lancio, quando Andrijan l'aveva più volte abbracciata
e baciata. L'indiscrezione aveva valicato le mura del Cremlino raggiun­
gendo l'orecchio di Chruscev, sempre attento a cogliere le buone occasio­
ni per mettere in luce sé stesso e le conquiste del regime socialista. E infatti
si racconta che fu lui, con i buoni uffici di Kamanin, a spingere i due eroi
proletari, simbolo del riscatto socialista, a unirsi in matrimonio. Un'abile
manovra per risollevare con un evento in rosa di sicuro richiamo mediati­
co un'immagine pubblica offuscata dal cedimento nel braccio di ferro con
Kennedy sulla faccenda dei missili cubani". Per gli scienziati, invece, cale
unione rappresentava un prezioso strumento, con cui verificare gli effetti
dello spazio sugli organismi umani, in particolare per quanto riguarda gli
apparati riproduttivi.
Così, in un bianco novembre del 1963, Valja e Andrijan convolarono
a nozze in pompa magna nel Palazzo dei matrimoni di Mosca. Seguì un
banchetto cui partecipò anche Chruscev. I due sposi ricevettero in dono
un bell'appartamento su una centralissima arteria della capitale e, quasi
in restituzione dei tanti favori ottenuti, l'anno successivo regalarono allo
Stato una bimba, Alenka, bellissima e sana, la cui crescita sarebbe stata
seguita dai medici per ragioni di studio. Lei stessa sarebbe poi diventata
un affermato clinico.
Dopo 17 anni di convivenza, i due si separarono. Andrijan era il classico
maschilista, tribale, più incline a regalare il suo tempo agli amici e alla vodka
che alla moglie. Nel 1982 Valentina si risposò con un medico militare, non
prima d'avere ottenuto il permesso del nuovo leader Leonid Breznev (quan­
do si dice integralismo!), ma negò sempre che il precedente legame fosse sta­
to motivato dalla sola ragione di Stato. La fedeltà all'ideologia e al PCUS le
aveva procurato la fama e nel 1966 le avrebbe assicurato addirittura un posto
nel Soviet supremo dell'URSS. Un ruolo di spicco per questa "lady di ferro",
conservato anche dopo il collasso dell'Unione Sovietica, tanto da essere stata
lei il portabandiera della Federazione russa alle Olimpiadi di Soci del 2014.
Quarantacinque giorni prima delle "cosmiche nozze", il 20 settembre
1963, davanti all'assemblea generale delle Nazioni Unite, Kennedy aveva
fatto ai sovietici e al mondo una straordinaria offerta:

In un settore nel quale gli Stati Unici e l'Unione Sovietica hanno una speciale
competenza - nel campo spaziale - esistono le condizioni per una nuova coopc-
AVANTI POPOLO

razione, per ulteriori sforzi congiunti neUa regolamentazione e nell'esplorazione


dello spazio. Includo tra queste possibilità una spedizione congiunta sulla Luna.
Lo spazio non crea problemi di sovranità; con la risoluzione di questa Assemblea,
i membri delle Nazioni Unite hanno rinunciato a qualsiasi rivendicazione di di­
ritti territoriali nello spazio o sui corpi celesti e hanno dichiarato che verranno
applicate la legge internazionale e la Carta delle Nazioni Unite. Perché, quindi, il
primo volo ddl'uomo sulla Luna dovrebbe essere una questione di competizione
nazionale? Perché gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, nella preparazione di cali
spedizioni, dovrebbero essere impegnati a sostenere duplicazioni immense di ri­
cerche, costruzioni e spese? Sicuramente dovremmo esplorare se gli scienziati e gli
astronauti dei nostri due paesi - anzi di tutto il mondo - non possano lavorare
insieme alla conquista dello spazio, mandando un giorno in questo decennio sulla
luna non i rappresentanti di una singola nazione, ma i rappresentanti di tutti i
nosrri paesit '.

La prima reazione di Chruscev fu di rispedire l'invito al mittente. Perché


rendere la mano all'avversario quando ancora guidi la corsa? Tuttavia, l'i­
dea di risparmiare ingenti risorse da reinvestire nel miglioramento dell'e­
conomia reale del paese lo seduceva. Dopo il quasi mortale scontro per la
crisi dei Caraibi dell'ottobre 1962., il premier russo si fidava di Kennedy,
con il quale aveva raggiunto un ragionevole compromesso: lo smantella­
mento delle basi di missili sovietici a medio raggio piazzati a Cuba in cam­
bio di un'eguale smobilitazione (garantita sulla parola) delle batterie di
razzi balistici statunitensi collocate in Turchia e in Italia. Tra l'altro, i due
leader avevano convenuto di mantenere accesa costantemente una "linea
rossa" (inizialmente un telex, poi un "telefono rosso") di comunicazione
diretta tra loro per evitare focali incidenti.
Purtroppo, due mesi dopo il suo discorso ali' ONU, Kennedy venne
assassinato in una strada di Dallas. La notte del 2.3 novembre, poche ore
dopo l'attentato, il suo vice Lyndon Johnson giurò sulla Bibbia, diventan­
do il trentaseiesimo presidente degli Stati Uniti. Ma Chruscev non si fida­
va di lui, così la proposta di un'alleanza spaziale cadde nel dimenticatoio:
un'altra delle tragiche conseguenze del gesto omicida di Lee Oswald e di
coloro, ancora sconosciuti, che avevano armato la sua mano.
Proprio il giorno prima, Kennedy aveva visitato la base medica aerospa­
ziale di San Antonio, 400 km a sud di Dallas'\ dove aveva tenuto il suo
ultimo, pregnante, discorso pubblico:

Abbiamo una lunga strada da percorrere. Molte settimane e mesi e anni di lungo
e duro e noioso lavoro davanti. Ci saranno passi indietro e frustrazioni e delu-
LUNA ROSSA

sioni. Ci saranno, come ci sono sempre, pression i nel paese per fare meno in
questo settore così come in molti altri, e tentazioni di fare quakos' altro di più
facile. Ma questa ricerca deve andare avanti. Questo sforzo in direzione dello
spazio deve andare avant i. La conquista dello spaz io deve andare avanti e andrà
avanti. Questo è ciò che sappiamo. Questo è ciò che possiamo d ire con fiducia e
convinzionc1s.

Doveva succedere davvero, però lui non avrebbe potuto vederlo.


Il canto del cigno

Ciaula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal


gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, ndl 'averla
scoperta, là, mentr'clla saliva per il ciclo, la Luna, col suo am­
pio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che ri­
schiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura,
né si sentiva più scanco, nella notte ora p iena del suo stupore.

Luigi Pirandello

Hasra la victoria sicmpre.

Ernesto Che Guevara

Il 13 ottobre 1964 a Baikonur faceva molto freddo. Nel bunker del cen­
tro di controllo l'orologio mostrava l'una passata, ma nessuno avvertiva
la farne. L'ansia cresceva con il trascorrere dei minuti. L'ultimo segnale
dalla Voskhod-1 e dal suo equipaggio era giunto al passaggio della navicella
sul Caucaso, a riprova che l'ordine di discesa era stato correttamente rice­
vuto. Tuttavia, né il pilota Vladirnir Kornarov, né l'ingegnere Konstantin
Feokcistov, né il medico Boris Yegorov avevano più dato alcun segno di
vita. Korolev sapeva bene di stare giocando a un'autentica roulette russa.
La nuova procedura di atterraggio non era stata provata a sufficienza. O la
va o la spacca!
Poteva succedere di tutto e, se le cose fossero andate male, i gerarchi
dell'aviazione militare e i colleghi con cui era in perenne conflitto avreb­
bero avuto finalmente la carta vincente per liberarsi di lui e del!' OKB-1. La
tensione era alle stelle. Poi, giunse notizia che un pilota militare aveva av­
vistato un oggetto dondolante in cielo, appeso a una coppia di paracaduti.
Poco dopo la conferma: la capsula giaceva accasciata al suolo in un luogo
sperduto della steppa, 300 km a nord della città di Kostanay, nel Kaza­
kistan. Attorno, tre individui in abiti leggeri si sbracciavano per attirare
l'attenzione. Per il N. 20 ancora uno strike.
Nel centro di controllo grandi abbracci, rituali bevute e pronta comu­
nicazione del successo a Mosca. Erano tutti in attesa della consueta pater­
na telefonata del "caro leader", che però non arrivava. Nessun messaggio di
congratulazioni. Al contrario, per Korolev e Kamanin giunse perentorio
LUNA ROSSA

l'ordine di raggiungere la capitale, con l'ulteriore nota del rinvio della pa·
rata in Piazza Rossa. Per i tre cosmonauti, che erano già rientrati in volo
a Baikonur, la disposizione era invece di rimanere nella base fino a nuovo
comunicato.
Qualcosa doveva essere successo ai piani alti del Cremlino, sussurrava·
no voci sommesse. Ma certo non si aspettavano che a cadere fosse addi­
rittura la testa coronata del compagno Chruscev, tagliata di netto da una
congiura di palazzo capitanata da Leonid Breznev (1906-1982.), presidente
del Soviet supremo, e da un pugno di cospiratori.
Chruscev, che si trovava in vacanza nella sua dacia di Pitsunda sul Mar
Nero in compagnia del fedele amico Anastas Mikojan', aveva ricevuto
una telefonata dal suo ufficio con cui gli si chiedeva di rientrare per una
riunione straordinaria del Presidium. Problemi urgenti di agricoltura, gli
era stato spiegato. Pur sospettando un tranello, era quindi volato a Mosca,
senza prendere particolari precauzioni. Fu un errore, perché appena ebbe
messo piede all'aeroporto di Vnukovo, venne subito preso in consegna dal
KGB, condotto al Cremlino e sottoposto a un vero e proprio processo da
parte di Breznev, del segretario del Comitato centrale Alcksandr Selepin
e del capo del KGB V ladimir Semicasmij. Ma nessuna violenza fisica. Ai
cospiratori interessava agire in modo che l'operazione non sembrasse un
colpo di Stato. Meglio non fare nulla che non fosse strettamente necessa·
rio, considerato che Chruscev non manifestava grande volontà di resistere.
Logorato dagli anni, il vecchio leone non aveva più la determinazione dei
tempi di Stalingrado o dell'esecuzione di Berija, di cui talvolta, quand'era
ubriaco, si vantava d'essere l'autore materiale. Si limitò a commentare con
Mikojan che, se in sella ci fosse stato Stalin, dei congiurati « non sarebbe
rimasta neppure l'ombra».
Stanco e forse spaventato, la mattina del 14 ottobre comunicò le sue
dimissioni volontarie « a causa del!' età avanzata e del!'aggravamento dello
stato di salute», scrisse poi la "Pravda"', accontentandosi d'una modesta
pensione - meno di quanto guadagnavano Gagarin e Titov dopo le loro
imprese - e del possesso delle sue abitazioni, l'appartamento a Mosca sul•
le Colline Lenin e la dacia. Breznev venne subito eletto primo segretario
e Alexej Kosygin (1904-1980) premier. Secondo lo stile sovietico, iniziò
immediatamente la "dechruscevizzazione", un'operazione capillare che ar·
rivò al punto di cancellare l'immagine del vecchio leader dalla fotografia
in cui stringeva la mano di Gagarin sul tradizionale sfondo del muro del
Cremlino.
IL CANTO DEL CIGNO

Come avrebbe scritto in seguito l'ingegnere-cosmonauta Feoktistov


nelle sue memorie, «l'ingenuo Chruscev aveva dimenticato che un dit­
tatore non può permettersi di allentare nemmeno per un minuto la sua
presa sulla polizia, sull'esercito e sui suoi associaci». Machiavelli, nel Prin­
cipe, aveva espresso questo concetto più concisamente: «Li profeti arma­
ti vinsono, li disarmaci ruinorno». Nik.ica s'era fatto cogliere nudo sulla
spiaggia'.
Così, a undici mesi dall'assassinio di Kennedy e a poco più di un anno
dalla morte di Giovanni XXIII, scompariva anche il terzo grande attore
dell'utopico disegno di porcare la pace nel pianeta e chiudere finalmente
una guerra che dal 1945 era rimasta aperta defacto. Ormai non concava più
la constatazione di Kennedy che «il legame di base che ci unisce è in fon­
do che cucci viviamo su questo piccolo pianeta. Respiriamo cucci la stessa
aria. Turci abbiamo a cuore il futuro dei nostri figli. E cucci siamo morta­
li»•. L'Unione Sovietica era tornata nelle mani degli integralisti nostalgi­
ci del passato staliniano, mentre l'America correva allegramente verso la
dissoluzione della propria immagine di Dream Country, impantanandosi
sempre più nelle risaie del V ietnam.
Insomma, i ere cosmonauti della Voskhod-1 erano partiti da Baikonur
il 12 ottobre in « una mattina calma e gelida, con il termometro a -8 °C,
venti leggeri, cirri, visibilità oltre 20 km, tempo quasi ideale per un lan­
cio»', ed erano rientraci, dopo un volo di appena un giorno, trovando un
altro governo e un quadro politico drasticamente mutato. Davvero uno
spettacolare coup de thédtre per il primo viaggio di una nuova, breve serie
di missioni concepite dall' OKB-1 di Korolev. Nemmeno gli sceneggiatori
di Hollywood avrebbero saputo fare meglio.
La missione era nata a seguito del successo del!' impresa in tandem della
Tercskova. Gli alci gradi dell'aviazione e alcuni funzionari del governo ave­
vano cominciato a protestare a voce sempre più alca per quello che ormai
consideravano solo un circo mediatico. «Korolev lavora per la TASS!», si
diceva polemicamente. Non c'era più nulla da imparare dalle Voscok, né
si intravedeva un ritorno significativo in termini di strategia e tattica per
l'Armata Rossa. L'emorragia di risorse causata dalle enormi spese per la
sterile conquista dello spazio aveva prodotto una contrazione degli inve­
stimenti militari sulla sicurezza nazionale. Critiche legittime, che nascon­
devano però il disegno, assai più concreto e meno nobile, di impadronirsi
del giocattolo di Korolev, grande generatore di successo. Diversamente dai
cosmonauti, icone pubbliche ormai intoccabili, il progettista capo rappre-
166 LUNA ROSSA

Trasferimento dcUa sonda Voskhod-1 dall'officina di assembla gg io alla piatra forma di lan­
cio di Bai.konur. Alcune figure umane sottostanti il missile danno l'idea delle dimensioni
dd razzo R-7. li lancio sarebbe stato effettuato con grande successo il 12 onobre 1964.

sentava un bersaglio sin troppo facile per via del persistente anonimaco. Se
il Cremlino lo avesse abbandonaco ai suoi nemici, ben pochi si sarebbero
accorci della sua scomparsa e molri avrebbero potuto giovarsene.
Pur sul filo del rasoio, nel 1963 Korolev aveva avuro comunque l'auco·
rizzazione a realizzare alrre quattro Vosrok. Che farne, se il programma
andava chiuso? Nel!' imptZJse del momenco, venne in soccorso la notizia,
nient'affatto segreta, che gli americani avevano avviato un progetto bat·
tezzato "Gemini" perché contemplava il lancio di navette spaziali con due
astronauti a bordo, in luogo del solito navigarore soli cario.
«Dobbiamo farlo prima noi!», aveva ruonaro Chrusccv, ormai droga·
to dai successi della sua scuderia spaziale. Ma poiché mancava il tempo per
inventare qualcosa di genuinamente nuovo con cui vincere anche questa
sfida, Korolev pensò di modificare le Vostok che aveva in officina adacran·
dole a minibus per ben ere passeggeri, uno in più della capsula Gemini. Il
fatto che non fosse un progetto autonomo, bensì un taroccamento, andava
accuratamente nascosto agli americani per non far trapelare il momento
di difficolrà tecnica e politica. Venne perciò deciso di aggiornare il nome
della navicella da Vostok ("Oriente") a Voskhod ("Alba"), mantenendo più
o meno lo stesso suono e il medesimo significato, visco che l'alba compare
a oriente.
IL CANTO DEL CIGNO

Il primo problema da affrontare in questo restyling riguardava il poco


spazio a bordo della ex Vostok. Per alloggiare tre cosmonauti dove prima
ne stava uno solo, occorreva ridisegnare la geometria interna all'abitaco­
lo ma anche spogliare i passeggeri delle loro ingombranti tute, rischiando
una traversata del cielo in jeans e T-shirt. Bisognava anche potenziare l'ul­
timo stadio del lanciatore per compensare l'aumento del peso complessivo
da portare in orbita e ripensare la procedura di atterraggio6• L'affollamen­
to della cabina rendeva infatti impraticabile la classica procedura di espul­
sione del seggiolino nella fase finale del rientro.
Non restava altra opzione che lasciare i cosmonauti a bordo della
Voskhod, riducendo però la velocità dell'impatto sul terreno; un requisi­
to che in precedenza non interessava, visto che la capsula scendeva vuota.
A questo fine, oltre a raddoppiare il numero dei paracaduti principali, si
aggiunse un pacchetto di razzi a combustibile solido da avviare all'ultimo
istante per rendere l'atterraggio ancora più morbido. Immediatamente
dopo, i passeggeri sarebbero dovuti uscire all'aperto perché nel giro di un
quarto d'ora il calore accumulato dalla navicella al rientro in atmosfera
avrebbe portato la temperatura interna all'abitacolo a oltre 60 •e, facen­
doli arrostire, seppure a fuoco lento.
Korolev continuava a nutrire dubbi sulla validità di questa soluzione e la
volle sperimentare con lanci effettuati mediante aerei militari da 10.000 m
di quota. Pretese anche che venisse effettuata una missione completa della
Voskhod "a vuoro", cioè senza equipaggio, che andò bene. Il progettista
capo preferiva queste prove sul campo ai lunghi test di laboratorio, poco
affidabili se incompleti, e comunque troppo costosi.
C'era poi la questione della selezione dell'equipaggio. Korolev riteneva
che un paio di cosmonauti su tre potessero essere presi da ambiti profes­
sionali diversi da quello dei piloti militari. Medici e ingegneri, ad esempio,
dotati ovviamente dei necessari requisiti fisici. In considerazione del livello
spinto di automatismi delle Voskhod, un solo esperto di volo a bordo po­
teva bastare. In particolare, il roccioso e paterno Sergej reclamava un posto
per i "suoi" ingegneri cosicché potessero provare le macchine che essi stes­
si avevano creato; una pretesa che equivaleva anche a mettere il cappello
su una sedia aspramente contesa. La questione rientrava nel perdurante
conflitto tra la visione strategica del glavnij konstruktor e quella pruden­
ziale di Kamanin, sostenuta per ragioni di comodo dall'aviazione miliare.
Il vicecomandante dell'aviazione, il potente maresciallo Sergej Rudenko,
condivideva l'idea di ampliare lo spettro di competenze, ma pretendeva
168 LUNA ROSSA

la privativa sulla scelta dei cosmonauti che, a suo avviso, dovevano venire
comunque dai quadri delle forze armate.
Alla fine, dopo estenuanti discussioni, alcuni colpi bassi e un inutile
ricorso alla mediazione di Chruscev, venne composto un terzetto che pa­
reva vincente. Tre giorni prima della data proposta per il lancio, due dei
componenti furono però sostituiti, uno perché - si scoprì - era fratello di
espatriati in Francia e figlio di un "nemico del popolo" giustiziato durante
la Grande purga, e un altro - ma il motivo non è certo - perché ebreo. Era­
no rigurgiti di stalinismo, destinati a rinverdire presto anche al Cremlino.
La nuova terna era comandata da V ladimir Komarov (192.7-1967),
nome in codice rubin ("rubino"), un ingegnere-pilota di grande espe­
rienza e competenza. Moscovita trentasettenne, aveva avuto un'infanzia
difficilissima anche a causa della guerra che fra l'altro gli aveva portato
via il padre, morto in azione in circostanze sconosciute. Stimatissimo dai
colleghi, che l'avevano soprannominato "il professore" per la sua scienza
e la sua saggezza, era amico fraterno di Gagarin. Non aveva ancora volato,
nonostante fosse tra i più qualificati candidati della prima ora, perché il
progettista capo aveva posto un tassativo limite d'età ai suoi piloti. Adesso,
con una missione a più mani, questo requisito saltava.
Dei due passeggeri "laici", l'ingegnere Konstantin Feoktistov (192.6-
2.009) lavorava nell'oKB-1 di Michail Tichonravov e aveva collaborato
alla realizzazione degli Sputnik e delle Vostok. Sarebbe stato il primo e
l'unico progettista a volare con una propria creatura . Ma non possedeva il
physique du role e nemmeno la tessera del Partito, cui non aveva mai voluto
'.1derire per ripulsa allo stalinismo.
Boris Yegorov (1937-1994), medico ventisettenne, proveniva invece da
una famiglia di illustri clinici moscoviti ammanigliati con il Cremlino. Si
mormorava che il suo posto sulla Voskhod fosse uscito dal cilindro a segui­
to di una segnalazione diretta dal Palazzo. Che pensare? Forse, anche per
volare nello spazio occorrono le raccomandazioni!
I nuovi arrivati ricevettero entrambi una formazione sommaria: appe­
na quattro mesi di allenamenti e giusto un'infarinatura di astronautica. Il
treno doveva partire e non si poteva farlo aspettare, nonostante le gravi
incertezze tecniche e una certa atmosfera di abbandono. Korolev, afflitto
dal pensiero della moglie Nina ricoverata all'ospedale del Cremlino per
una difficile operazione, appariva insolitamente distratto, così come una
parte del personale, che sembrava più che altro preoccuparsi dell'immi­
nente visita a Baikonur del premier Chruscev, il 2.4 settembre.
IL CANTO DEL CIGNO

Venne infine I' 11 ottobre. Dopo reiterati rinvii per lasciare spazio sulla
rampa agli Zenit, che avevano priorità militare, e per riparare ogni sorta di
difetti e di guasti prodotti dalle novità e dalla fretta, il N. :2.0 sentenziò che
«il razzo poteva essere rifornito e lanciato». li decollo avvenne la mattina
alle ro,30, ora di Mosca, in un'atmosfera ammorbata dal timore che qual­
cosa potesse andare storto. Senza tuta e privati della via di fuga, in caso
di incidente i cosmonauti non avrebbero avuto scampo alcuno nei primi
cruciali 45 secondi di volo.
Fortunatamente, invece, tutto filò liscio e in appena 9 minuti la Voskhod
raggiunse l'orbita, collocata tra 180 e 400 km di quota. Feokristov scoprì
presto che il breve allenamento non era bastato a prepararlo ai fastidiosi
effetti dell'assenza di gravità. Tuttavia si mise subito al lavoro, insieme ai
colleghi, per svolgere le attività programmate: per lo più ricerche biome­
diche, test sui liquidi e prove di coordinamento delle attività multidisci­
plinari.
Trascorsa un 'ora e un quarto, l'agenzia statunitense United Press lnter­
narional batté la notizia, ripresa poco dopo dalla radio di Mosca: «Au­
torevoli fonti non ufficiali sostengono che oggi l'Unione Sovietica abbia
lanciato la prima nave spaziale al mondo con tre uomini a bordo»7• I co­
smonauti fecero di tutto per farsi notare: raccontarono del meraviglioso
spettacolo di un'aurora boreale e, sorvolando il Giappone dove si svolge­
vano i XVIII Giochi olimpici, mandarono il loro ecumenico saluto a rutti
gli atleti in gara.
Dalla sua dacia in Crimea, Chruscev li chiamò per la consueta telefona­
ta benaugurale. «Anastas Mikojan è in piedi accanto a me ed è desideroso
di levarmi di mano il ricevitore del telefono», scherzò il leader. Ancora
ignorava che a Mosca già si preparavano a strappargli anche il trono.
L'atterraggio andò abbastanza bene. La navicella toccò il suolo con no­
tevole velocità, poi rotolò per diversi metri scavando un solco sul terreno
e si fermò con i passeggeri a resta in giù, ma incolumi. La missione era
durata 2.4 ore e 17 minuti, per un totale di 16 orbite complete, equivalenti
a 700.000 km, tanto quanto il raggio del Sole. Il mondo ancora una volta
plaudiva.
Sia pure con cinque giorni di ritardo, i nuovi padroni del Cremlino
resero onore ai tre eroi nella Piazza Rossa con la consueta liturgia. Com­
mentando l'impresa, James E. Webb (1906-1992.), amministratore della
NASA dal 1961 al 1968, la definì un significativo successo e «una chiara
indicazione che i russi stanno continuando un ampio programma spaziale
LUNA ROSSA

per il raggiungimento del potere e del prestigio nazionale». Tutto vero.


Però era ormai chiaro che ai sovietici mancava quella limpida strategia che
invece la NASA, con una catena di comando ben definita e un obiettivo
chiaro, aveva già distillato per prepararsi ali' affondo.
Eppure, nonostante le crescenti difficoltà, il prestigiatore Korolev fu ca­
pace di tirare fuori un altro coniglio dal cappello. Sarebbe stato l'ultimo
della sua carriera, interrocca da una prematura morte, e anche l'ultimo spet·
cacolare trionfo dell'URSS nella corsa alla Luna, a riprova del ruolo inso·
scituibile del N. 2.0 nella ormai lunga serie di vittorie di tappa dei sovietici.
La Voskhod doveva essere ulteriormente aggiornata per consentire, du­
rante la permanenza in orbita, l'uscita di un cosmonauta per eseguire una
passeggiata spaziale. Si trattava di baccere ancora una volta gli americani,
ma sopraccucco di sperimentare una procedura ritenuta indispensabile per
la missione di conquista della Luna. Serviva una porta d'accesso al mon­
do esterno che permeccesse di mantenere inalterata la pressione dell'aria
ali'interno della navicella. li problema non era di far respirare i cosmonau­
ti, che per questa funzione avrebbero potuto valersi di scafandri pressuriz­
zaci, bensì di evitare il surriscaldamento dell 'eleccronica di bordo. In parti­
colare, le apparecchiature per i collegamenti radio, essenziali allo scambio
dei comandi era il centro di controllo e la Voskhod e ad assicurare le co­
municazioni a voce. L'assenza d'aria avrebbe impedito lo smaltimento del
calore prodocco dagli apparati al punto da guastarli e renderli inservibili'.
La soluzione venne trovata in una camera di compensazione concet­
tualmente simile a quelle utilizzate dai palombari per entrare e uscire dai
batiscafi. Un cilindro ampio a sufficienza da contenere un uomo, con due
portelli a tenuta scagna alle due estremità, uno per permettere al cosmo­
nauta l'accesso alla camera mantenendo chiuso quello esterno, e il secondo
per farlo uscire all'aperto dopo aver sigillato il primo in modo da isolare
l'interno della navetta (una manovra che, sia pure per finalità diverse, si
è spesso coscrecci a fare per accedere alle banche). L'idea progettuale si
concretizzò in un'unità pneumatica da gonfiarsi in orbita e da rilasciare
dopo l'uso e prima del rientro in atmosfera. Un cilindro con un'apertura
di 12.0 cm e una lunghezza totale di 2.,5 m, costituito da 40 camere d'aria in
tela unite insieme come in un materassino da spiaggia.
C'era un secondo problema. Con la Voskhod affollata come una sca·
cola di sardine, a bordo non si trovava più posto nemmeno per uno spillo,
figuriamoci per il pacco della camera di compensazione, accuratamente ar­
rotolata e tuttavia più grande d'una lavatrice, e anche per un cosmonauta in
IL CANTO DEL CIGNO 171

tenuta da esterno. Non rimaneva che rinunciare a uno dei tre passeggeri. Bi­
sognava soltanto scegliere colui che avrebbe affrontato la terribile prova di
trovarsi da solo a gaUeggiare nel vuoto celeste, senza la rassicurante presen­
za delle pareti ddla navicella. Ovviamente serviva un professionista con i
nervi d'acciaio. Nemmeno il "liberista" Korolev se la sentiva di obiettare su
questo punto. Considerando le defezioni per motivi diversi, dei 2.0 cosmo­
nauti della prima ora ne restavano 7 in attesa di un'occasione per volare.
Da questo ventaglio furono estratte due coppie da addestrare rispettiva­
mente per il ruolo di comandante e di "podista celeste". Due in modo da ave­
re, come al solito, un equipaggio di riserva per un eventuale piano B. Dopo
un intenso programma di alienamenti ed estenuanti consultazioni tra i vari
attori d'una commedia che ormai cominciava ad avere troppi comprimari,
aU'inizio di febbraio 1965 venne decretato che il comando deUa Voskhod-2.
sarebbe toccato a Pavel lvanovic Beljaev (192.5-1970 ), mentre l'attività extra­
veicolare sarebbe stata affidata ad Aleksej Archipovic Leonov (1934-).
La missione venne fatta precedere dal solito lancio a vuoto. Una proce­
dura necessaria anche questa volta a verificare il funzionamento dei nuovi
apparati sviluppati nell'arco di soli nove mesi, e comunque non troppo
dispendiosa visto che ormai Korolev disponeva di più Voskhod di quante
avrebbe mai potuto lanciarne in futuro. La corretta apertura della camera
di compensazione, battezzata "Volga", venne documentata da una teleca­
mera. Con un sospiro di sollievo, il progettista capo decretò che si poteva
dare corso alla missione.
Una a una le varie commissioni preposte a monitorare l'impresa diede­
ro la loro autorizzazione al lancio e così, il 18 marzo 1965 alle 10 del mat­
tino, ora di Mosca, la sonda prese il via dalla consueta rampa di Baikonur,
collocandosi in un'orbita tra i 170 e i 480 km di quota. Dopo neppure un
giro attorno al pianeta, iniziarono le operazioni per l'attività extraveico­
lare. Con l'aiuto del compagno, Leonov indossò la tuta spaziale, che era
un'evoluzione di quella usata dai passeggeri delle Vostok, con uno zaino
di metallo bianco per la scorta dell'ossigeno. Doveva bastargli per un mas­
simo di tre quarti d'ora. Anidride carbonica, calore e umidità del corpo
sarebbero stati trasferiti ali 'esterno attraverso una valvola di sfogo.
Poi il comandante Beljaev dispose la fuoriuscita del tunnel Volga che si
gonfiò nel!' arco di 7 minuti, creando una struttura rigida alle cui estremità
si trovavano due Range metalliche con le relative chiusure. Leonov entrò
nel tunnel, serrò il boccaporto dietro di sé, depressurizzò il cunicolo, aprì
l'accesso allo spazio e si infilò nel vuoto. A Mosca erano le 10,30. Unico
172. LUNA ROSSA

cordone ombelicale del cosmonauta con la navicella era un laccio elastico


lungo s m.

Sono sgusciato fuori con precauzione e con una spinta mi sono allontanato dalla
nave.[... ] Nero inchiostro, sedie dappertutto e il Sole così brillante che a malape­
na riuscivo a sopportarlo.[ ...] Ho filmato la Terra, perfettamente rotonda, il Cau­
caso, la Crimea, il Volga. Era stupendo[...]. Niente a che vedere con il coraggio.
Sapevo che andava facto e basca•.

Ottavo figlio d'un allevatore di cavalli siberiano, Aleksej aveva sognato di


diventare pittore. Poi s'era innamorato del volo, diventando sottotenente
pilota, e da lì aspirante cosmonauta. Sospeso nel nulla, guardava con gli
occhi d'artista ciò che nessun uomo aveva ancora visto da quella prospetti­
va, leggermente stordito dall'emozione, dal profondo silenzio e da un vago
disorientamento. «Galleggiavo senza molto controllo. Non dimenticherò
mai quelle sensazioni. [ ... ] Certo, non sapevo che stavo per vivere il mo­
mento più difficile della mia vita - il rientro nella capsula».
Dopo 12. minuti, giunse il momento di tornare a bordo. La Voskhod
stava per essere inghiottita dal buio della notte. «A casa, Lyosa!», gli in­
timò perentorio il compagno. Riportato bruscamente alla realtà, Leonov
s'accorse con orrore che la sua tuta s'era dilatata a dismisura. Le sue mani
navigavano dentro i guanti ormai sformati. I progettisti non avevano tenu­
to ben conto della differenza di pressione con l'esterno. Per potersi infilare
nel tubo Volga, il cosmonauta prese su due piedi un'iniziativa che gli salvò
la pelle. Aprì la valvola di sfiato e sgonfiò parzialmente la tuta. Così, seb­
bene già preda dei sintomi della depressurizzazione, riuscì a infilarsi nel
tunnel e a serrare dietro di sé il portello. Operazione nient'affatto sempli­
ce perché, contrariamente alla procedura prevista, era rientrato di testa.
Riuscì comunque a girarsi dentro il cunicolo e a raggiungere il boccaporto
grazie alle sue spiccate qualità atletiche e alle diete cui s'era sottoposto in
vista del volo. Di sicuro, anche la disperazione e lo spirito di sopravvivenza
gli diedero una mano. Madido di sudore, raggiunse finalmente il suo sedi­
le col cuore che batteva all'impazzata e una temperatura corporea che di
colpo s'era alzata di due gradi, a rischio di collasso cardiaco.
Ricevette subito le congratulazioni di Leonid Breznev. «Noi membri
del Politburo siamo qui seduti e osserviamo cosa stai facendo. Siamo or­
gogliosi di te. Ti auguriamo il successo. Abbiti cura. Attendiamo il tuo
rientro sano e salvo sulla Terra». Sembrava cosa fatta. Era invece soltan-
IL CANTO DEL CIGNO 173

Alcksej Leonov fu d primo uomo al mondo a eseguire, il 18 mano 1965, un 'attività cxtra­
vdcolare durante b. missione Voskhod-2. comand:ua da Pavel Bcljaev.

to l'inizio di una via crucis senza preccdenri, degna di un film di lnd.iana


Jones e altrettanto incn::dibile.
Completata la manovra, il Volga non serviva più e Beljaev fece saltare
le cariche per il suo distacco dalla Voskhod. La miniesplosione eccitò un
vorricoso moto di rotazione della capsula che fu complicato domare. Poi,
i due cosmonauti si accorsero che il livello di ossigeno nell'abitacolo aveva
superato il limite di guardia. Una scintilla avrebbe potuto far esplodere la
navicella. E non ba.ta: dopo sedici orbice attorno alla Terra e 5 minuti pri­
ma dell'avvio della procedura automatica di rienrro, scoprirono un guasto
nel sistema. Bisognava passare alla guida manuale. Per avere il tempo di
capire il da farsi, decisero di restare nello spazio per un altro giro, menrre
alla base ormai crc::devano che avessero già toccato terra. «Dove siete fini­
ti?», chiese Gagarin. « Ancora su», fu la risposta. «Dobbiamo procedere
in modalità manuale e abbiamo carburante per una sola correzione. Scen­
deremo dove possibile».
Leonov calcolò la rotta per un atterraggio vicino a Perm, negli Urali, e
Beljaev sistemò l'assecco della capsula e accese i retrorazzi. A distanza di 10
secondi dalla brusca frenata, il modulo di rientro avrebbe dovuto separarsi
da guello di servizio. Ma non successe. Come nei voli di Gagarin e Titov,
anche adesso si innescarono tremende rotazioni. Un déjà vu recuperabile
con una paziente attesa. Infatti, alla guota di 100 km circa la zavorra si
174 LUNA ROSSA

decise a staccarsi. Poi si aprirono i primi paracadute e finalmente sembrò


che l'incredibile avventura fosse arrivata al lieto fine. La palla rovente della
Voskhod attraversò un fitto strato di nubi nere per affondare quasi dolce­
mente sopra una coltre di due metri di neve fresca. Altro che Perm, però!
I due cosmonauti erano finiti 180 chilometri più a nord-est, nel cuore di
una fitta boscaglia. « Quando ci troveranno?», chiese uno. « Forse fra tre
mesi, con i cani da slitta!», rispose il compagno per sdrammatizzare. En­
trambi sapevano di essersi infilati in un bel guaio.
Cercarono di uscire dalla navicella, ma il portello era bloccato dalla neve
e da un grosso ramo. Adoperando la forza bruta, riuscirono ad averne ragio­
ne e a portarsi ali' aperto per respirare la gelida aria della buona Terra, così
gradevole dopo tanti pericoli. Si trovavano nella taiga siberiana, nel mezzo
del nulla, in una foresta di abeti e betulle popolata di orsi e lupi in amore,
particolarmente aggressivi. Entrambi i cosmonauti erano avvezzi al freddo
e "Pasha" Beljaev aveva addirittura un passato di cacciatore, ma per pro­
teggersi dal gelo disponevano soltanto delle loro tute spaziali e di un'unica
pistola per affrontare le belve. Non poteva andare peggio!
Ma furono fortunati: il disperato segnale di soccorso che erano riusci­
ti a lanciare era stato provvidenzialmente raccolto da un aereo-cargo di
passaggio, il quale fece da sponda. Così, ormai all'imbrunire, udirono il
rumore di un elicottero che s'avvicinava. Lanciarono un razzo di segnala­
zione. «Siamo salvi», pensarono in un eccesso di ottimismo. Si trattava
d'un velivolo civile, e il pilota non aveva la più pallida idea di come soc­
correrli a causa della fittissima vegetazione. Giunsero poi altri apparecchi
che gettarono ai due cosmonauti i più diversi generi di conforto, compresi
una bottiglia di cognac - che ovviamente andò in frantumi toccando ter­
ra - e degli utilissimi stivali di pelle. Ma, al calar della notte, i curiosi se ne
andarono e i due "naufraghi" dovettero arrangiarsi. Per non morire asside­
rati o sbranati dai lupi famelici, rientrarono nella capsula coprendosi alla
meglio. Non erano riusciti nemmeno a recuperare la tela dei paracadute
impigliatisi tra gli alberi e il sistema di riscaldamento non funzionava più.
Sembrava proprio che il destino si fosse accanito contro di loro.
La mattina seguente udirono il rombo d'un aereo che girava in ton·
do. Nevicava a grandi fiocchi. Poi alcuni soccorritori li raggiunsero con gli
sci: due medici, un compagno cosmonauta, e un cineoperatore per filmare
tutto quanto. Non c'era modo, però, di far atterrare un elicottero era gli
alberi. Bisognava trascorrere un'altra notte all'addiaccio. Venne eretto un
capanno, acceso un grande falò, preparato del buon cibo e anche un bagno
IL CANTO DEL CIGNO 175

caldo in una vasca paracadutata dal ciclo, e il giorno seguente, al termine


d'una passeggiata di 9 km con gli sci ai piedi, finalmente il passaggio in
elicottero per Perm.
Intervistato, Leonov sentenziò: «Con un adeguato abbigliamento,
un uomo può sopravvivere e lavorare nello spazio». Forse avrebbe voluto
aggiungere: «E può facilmente morire ritornando a terra», ma di sicuro
non lo disse. Non sarebbe stato saggio per uno che voleva vivere tranquillo
e a lungo. In effetti, questo pluridecorato superman con il vezzo dell'arte
aveva stipulato un patto con la morte, che riuscì a dribblare in molte e di­
verse circostanze. Prima dell'episodio della Voskhod-2., in un lancio con il
paracadute che scava per trasformarsi in tragedia. Poi in un incidente stra­
dale nel quale la sua auto finì in un lago ghiacciato e lui, eroicamente, mise
in salvo sé stesso, la moglie Svedana e l'autista. E nel 1971, in occasione
del disastro della Saljuc-1'0, su cui sarebbe dovuto salire se non fosse stato
per un malore del suo compagno che all'ultimo minuto aveva costretto la
coppia a cedere il posto alle riserve.
Forse, però, la circostanza più spettacolare, ancorché meno ricordata, fu
il tragico viaggio al seguito del segretario generale del PCUS, il 2.1 gennaio
1969. Leonid Breznev s'era recato a Vnukovo assieme a Nilolaj Podgornyj,
presidente del Presidium del Soviet supremo, per dare il benvenuto ai co­
smonauti delle missioni Sojuz-4 e 5, di cui diremo poi. Li stava accom­
pagnando in corteo alla Piazza Rossa per la consueta festa di popolo
quando un disertore dell'esercito, camuffato da poliziotto, aprì il fuoco
contro l'auto governativa, sbagliando però clamorosamente il bersaglio.
Invece dell'odiato Breznev, la vettura presa di mira trasportava Leonov, la
Tereskova, Nikolaev e Georgij Beregovoj (192.1-1995), uno dei festeggiati.
Tutti illesi, mentre l'autista restò ucciso sul posto. La fortuna, si sa, non ha
grande rispetto dei proletari.
Korokv, invece, non aveva stipulato un patto di lungo termine con le
Parche. Era miracolosamente sopravvissuto alla terribile punizione inflit­
tagli da Stalin, riuscendo a risalire la china d'una vita che appariva ormai
segnata, per diventare l'eminenza grigia della cosmonautica sovietica,
il padrino della più bella gara di tutti i tempi, la corsa allo spazio. Ma il
14 gennaio 1966 dovette inopinatamente gettare la spugna. Aveva compiu­
to 59 anni da due giorni.
Non si conoscono con certezza le cause della sua morte. Sergej era stato
ricoverato in ospedale il 5 gennaio per quella che doveva essere una sempli­
ce operazione. Da tempo soffriva di sanguinamenti intestinali la cui origi-
LUNA ROSSA

ne era stata individuata in un polipo che andava rimosso chirurgicamente.


Si disse che, aprendolo, i medici avessero riscontrato una grossa massa tu­
morale. Qualcun altro sostenne che, a seguito di un'emorragia mentre era
sotto i ferri, l'anestesista avesse tentato di intubarlo per aiutarlo a respirare
e che la manovra fosse stata impedita dallo stato della mascella demolita ai
tempi dell'arresto. Questa manovra avrebbe fatto perdere tempo, causan­
do un irreversibile dissanguamento. Altri ancora attribuirono la morte a
un sistema immunitario debilitato dallo stress e dal superlavoro. In effetti,
sei anni prima Korolev aveva patito un infarto e in quella occasione gli
era stata diagnosticata un'insufficienza renale che avrebbe richiesto cure e
riposo: due parole che Sergej non conosceva più da molto tempo. Succes­
sivamente aveva subito altri ricoveri per una serie di deficienze fisiche, tra
cui anche una crescente sordità, acuita forse dall'esposizione alle esplosio­
ni dei suoi razzi.
A coloro che gli consigliavano di riguardarsi e di ridurre gli impegni,
rispondeva con un sorriso mesto che ingentiliva un volto sempre più se­
gnato dalla fatica. Non se lo poteva permettere. Sapeva bene che il Crem­
lino lo avrebbe appoggiato incondizionatamente fintanto che fosse stato
capace di vincere, una dopo l'altra, le successive tappe della gara intrapresa
con i capitalisti. Mantenere questo ritmo di lavoro e di successi era tutt'al­
tro che semplice in un paese incartato dalla burocrazia, con l'ostilità della
potente casta militare, l'invidia di colleghi brillanti e un contesto tecno­
logico e industriale chiaramente inferiore a quello americano per qualità e
quantità. Eppure, il N. 2.0 la spuntava sempre, tappa dopo tappa, al punto
che viene da domandarsi se davvero fosse rutto opera sua e solo sua. Seb­
bene la ragione si ribelli a questo culro della personalità, una costatazione
è d'obbligo. Dopo di lui gli yankee, che erano sempre rimasti in coda, pas­
sarono in testa alla corsa.
Alla guida dell' OKB-1 gli successe il suo vice, Vasilij Pavlovic Misin
(1917-2.001)", ingegnere competente e gran bevitore di vodka, ma pieno
di sé ed «esitante, molle, incerto nel prendere decisioni, eccessivamente
riluttante a correre rischi e incapace di gestire il team dei cosmonauti».
Probabilmente il carattere giusto per vivere all'ombra d'un gigante e tut­
tavia inadeguato a portare avanti il disegno che Korolev, morendo, aveva
lasciato incompiuto: conquistare la Luna prima degli americani.
Ma quando si era affacciata, per la prima volta, l'idea di una missione
umana nel cielo profondo? Sicuramente circolava negli uffici dell' OKB-1
dal 1959, al tempo in cui lo spazio circumterrestre non era ancora stato vio-
IL CANTO DEL CIGNO 177

lato dai cosmonauti. Mentre la maggior parte dei progettisti del bureau di
Korolev era impegnata a realizzare i primi voli orbitali di creature viventi,
un gruppetto di sognatori - tra cui lo stesso glavnij konstruktor - si eserci­
tava a immaginare, alla maniera di Ciolkovskij, un volo di tre uomini fino a
Marce per effettuare un passaggio ravvicinato attorno al pianeta e poi fare
ritorno sulla Terra. Un viaggio della durata di tre anni a bordo di una gran­
de sonda interplanetaria lanciata da un colossale razzo alto 12.0 m e largo 2.0
alla base. La nave celeste avrebbe dovuto avere un ampio spazio abitabile
doppiamente schermato per proteggere i passeggeri dalle radiazioni cosmi­
che (per quel che allora si comprendeva del problema) e reso confortevo­
le da una gravità artificiale". li progetto di massima, firmato da Korolev e
autorevolmente condiviso dal fisico e matematico estone Mstislav Keldys
(1911-1978), presidente dell'Accademia delle Scienze, venne sottoposto a
Chruscev che non ne fece nulla.
Korolev non si diede per vinto. Nonostante un impegno a tempo pieno
per lo sviluppo delle Vostok, il 12. aprile 1960, giusto un anno prima del
volo di Gagarin, tornò a battere cassa per un progetto ancora più ambi­
zioso. Uno sbarco sia su Marte che su Venere, da eseguirsi con una forma­
zione di tre o quattro navi spaziali, ciascuna del peso complessivo di 40-50
tonnellate. Più che l'ingegneria del vettore e delle sonde, il documento
illustrava la strategia del lancio e quella del rientro, basate su una prima
sosta in orbita terrestre bassa, un hub per assemblare i pezzi della nave
spaziale spediti con più lanci e, in fase di ritorno, sul recupero di risorse
ivi parcheggiate. Venivano proposte anche soluzioni di motori a energia
nucleare e veicoli per la movimentazione degli astronauti sulla superficie
del Pianeta rosso. Veri e propri treni di piattaforme con diverse funzioni,
dalle attività minerarie agli alloggiamenti per i cosmonauti, alla produzio­
ne dell'energia necessaria alla minicolonia.
Sfortunatamente, le missioni esplorative senza equipaggio inviate a
Marte nel 1962. fallirono tutte quante per motivi diversi, con grave dan­
no economico e di immagine: tre voli delle sonde Mars spinte dal vettore
Molnija, di cui una sola riuscì a lasciare la Terra per perdersi poi nel nulla
del Sistema solare. Un pessimo viatico per un progetto che cominciava a
fare gola a molti, in un comparto spaziale dove ormai confusione e im­
provvisazione regnavano sovrane.
Ai troppi leader e a un numero esorbitante di programmi ambiziosi,
condotti senza adeguato coordinamento e senza economie di scala, face­
vano pendant l'assenza di una strategia unica e chiara, una pervicace voca-
LUNA ROSSA

zionc a servire troppi padroni e lo scollamento tra domanda della scienza


cd esigenze dei militari, che dopo tutto tenevano i cordoni della borsa.
Spiccava anche la viscosa assenza dell 'Accadcmia delle Scienze, fortemente
concentrata sulle questioni dell'integrità ideologica, mente un'endemica
carenza di fondi costringeva i costruttori a scorciatoie spesso letali e in
ultima analisi antieconomiche. Perché anche nello spazio vale il motto che
"chi più spende, meno spende".
Nel 1962., impensierito dalle dichiarazioni degli americani di voler
atterrare sulla Luna entro il decennio, il Cremlino pretese una revisione
generale della strategia di attacco allo spazio profondo. «Non vorrete la­
sciarlo agli americani!», aveva tuonato il solito Chruséev, che tuttavia si
sarebbe accontentato per il momento di vedere una sonda sovietica sorvo­
lare per prima il satellite della Terra trasportando un equipaggio umano.
L'anno dopo Dmitrij Ustinov, divenuto vicepresidente del Consiglio
dei ministri, propose di ripetere i lanci verso Marce e Venere facendoli
precedere però da un pacchetto di test oltre l'orbita della Terra, così da
verificare il funzionamento dei sistemi di comunicazione che più di ogni
altra cosa avevano dato problemi. Per ragioni di economia e di efficienza,
venne chiesto ai progettisti di non reinventare continuamente la ruota ma
di riciclare, adattandoli, i componenti dei vettori e delle sonde già speri­
mentati e funzionanti.
Il capo dell'oKB-52., V ladimir Nikolaevic Celomej (1914-1984), colse
la palla al balzo e all'avvio del 1964 propose una missione per il sorvolo
della Luna basata sul lanciatore UR-500 Procon ormai quasi completato
dal suo bureau. Un super ICBM concepito per trasportare un'atomica da
10 megatoni su un'enorme distanza, utilizzando un carburante costituito
da liquidi tossici che si infiammano per il semplice contatto. La missione
richiedeva minore potenza e un'attrezzatura più semplice, e soprattutto
eliminava tutte le problematiche connesse con l'atterraggio di un equipag­
gio umano sulla Luna. Si trattava di inviare all'astro un solo cosmonauta su
una navicella ribattezzata Luna Karabl' ("Nave lunare") e, dopo un giro di
boa, riportarlo a terra. Se l'impresa fosse riuscita, avrebbe avuco un impat­
to mediatico in grado di soddisfare il Cremlino e di offuscare la gloria delle
imprese di Korolev, così da rosicare un po' della sua potenza.
Celomej, però, non dedicava sufficiente tempo a questo progetto, preso
com'era dallo sviluppo del programma Almaz ("Diamante") per la messa
in orbita di stazioni spaziali per lo spionaggio''. Personaggio di peso, mol­
to ascoltato al Cremlino, sino a quel momento s'era impegnaco per lo più
IL CANTO DEL CIGNO 179

a progettare vettori di interesse militare, conquistandosi la stima e la grati­


tudine di Chruscev e delle alte sfere del ministero della Difesa.
Era nato nella cittadina polacca di Scdletsc, allora parte dell'Impero
russo, due giorni dopo l'assassinio a Sarajevo dell'erede al trono d'Austria­
Ungheria e di sua moglie. Ma a Sedlctse c'era rimasto ben poco. All'av­
vicinarsi del fronte della Grande Guerra, la sua famiglia aveva deciso di
trasferirsi a Poltava, nel Sud-Est dell'Ucraina, dove s'era formato in un
contesto culturalmente privilegiato, in comunione con gli credi di Go­
gol' e di Puskin, imparando a suonare il piano e ad apprezzare le letture
dei classici. A 18 anni era entrato nel dipartimento aeronautico dcli'Isti­
tuto politecnico di Kiev, segnalandosi per la sua vivida intelligenza: era
un allievo modello se non addirittura un genio precoce. Nel 1940, mentre
Korolev marciva in un gulag, era stato inserito tra i 50 migliori studenti
dell'URSS per un corso speciale di dottorato voluto da Stalin, con uno sti­
pendio principesco. Vladimir era il più giovane del branco. Giovane sì, e
anche coraggioso perché aveva osato rifiutare l'invito di Berija a diventare
membro residence dello spionaggio sovietico in Germania. Addottoratosi
nel 1941, aveva trovato lavoro ali' Istituto centrale per i motori d'aviazione
di Mosca, dove s'era guadagnato ampio spazio promettendo al suo diret­
tore una mano nella preparazione della tesi, segno di un modus operandi
"trasversale" che avrebbe accompagnato tutta la carriera di questo gigante
dell'ingegneria spaziale.
Tre anni dopo arrivò a Mosca un razzo tedesco, una v1 catturata in­
tatta dagli inglesi e spedita a Stalin da Churchill. In quei tempi difficili i
due acerrimi rivali, alleatisi contro il comune nemico, si scambiavano utili
favori. Un giorno Malenkov, viceresponsabile per l'industria aeronautica,
chiese al «professor Celomej»'• che cosa pensasse dell'idea di copiare
l'arma. La risposta fu tanto convincente che in un lampo il giovane in­
gegnere si trovò a capo di uno speciale ufficio di progettazione chiamato
OKB-52, localizzato in un sobborgo di Mosca. Il bureau si mise subito in
luce per la messe di idee e per alcune concrete applicazioni belliche, inclu­
so un missile da crociera simile alla v1.
Nell'aprile 1944 Stalin in persona lo convocò per un parere sulla fat­
tibilità del progetto di distruggere Berlino con un bombardamento di
missili della classe delle v2. Celomej ebbe la temerarietà di contraddire
il dittatore facendogli notare che le conseguenze avrebbero potuto esse­
re catastrofiche per i civili innocenti e per i monumenti di una splendida
città. Evidentemente anche questa volta risultò convincente perché Stalin
180 LUNA ROSSA

rinunciò all'idea e lui non finì in un gulag in Siberia. Ma per quale ragione
prese questa posizione? Presumibilmente si rendeva conto che i suoi razzi,
così simili alle vx, avrebbero inferto ben pochi danni al nemico. Infatti, finì
quasi in galera quando i suoi missili uscirono perdenti nel confronto col
progetto di Korolev, che invece replicava le efficaci vz. Il suo bureau ven­
ne riassegnato ad Anem Mikojan (1905-1970). progettista capo dei celebri
caccia MIG, il quale stava giocando anche il jolly di aver dato un impiego a
un figlio di Berija, capo della sicurezza di Stalin. V ladimir dovette accon­
tentarsi di un incarico di docente all'Alta scuola tecnica di Mosca.
Di lì a poco il dittatore morì e Malenkov, che aveva preso in mano le re­
dini del paese, si ricordò del giovane e brillante ingegnere e lo mise a capo
di un Gruppo speciale di progettazione, l'sKG-10, con base a Tusino pres­
so Mosca. Qui éelomej sviluppò un missile con grandi ali particolarmente
adatto all'impiego nei sottomarini. Nel 1955, l'SKG-10 venne nuovamente
ristrutturato nella NPO Mashinostroyeniya OKB-52, un bureau per la pro­
gettazione missilistica associato a un grande complesso industriale situato
a Reurov, cittadina alla periferia est di Mosca. Alter ego e acerrimo rivale
dell'oKB-1 di Korolev, éelomej dovette comunque misurarsi nuovamen­
te con altri giganti dell'aerospazio sovietico, Mikojan e Iljusin, ma il suo
progetto di missile subacqueo questa volta la spuntò. Poi cambiò temati­
ca e si diede ai vettori balistici intercontinentali, sia per scopi militari sia
come lanciatori di sonde spaziali. Volle anche giocare d'anticipo e assicu­
rarsi un paracadute politico dando a sua volta un posto di lavoro a Sergej
Chruscev, figlio del premier in sella in quel momento. Intendeva entrare in
competizione con Korolev e ci riuscì.
Tuttavia, il progettista capo era un osso duro. Già nel 1962, più per rea­
zione all'invadenza di éelomej che per un interesse concreto, aveva avanza­
to una proposta nuova e molto articolata di un lanciatore multiuso deno­
minato NI. Diventerà l'unica sinfonia incompiuta di questo straordinario
compositore di melodie spaziali. L'NI avrebbe dovuto servire per cinque tipi
di missioni lunari: un semplice sorvolo (LI); l'allunaggio di un veicolo semo­
vente senza equipaggio (u); lo sbarco umano sul suolo del satellite (q); l'as­
semblaggio di un'avveniristica stazione spaziale che non superò mai la fase
puramente concettuale (L4) e l'invio di un rover pilotato da un cosmonauta
(L5). Per lo più cappelli sulla sedia. Non c'erano né il tempo né le risorse
economiche e neppure il contesto industriale per realizzare tutto ciò.
Con la caduta di Chruscev ricominciarono i problemi, soprattutto per­
ché l'ostilità aperta di Ustinov nei confronti di èelomej spianava la strada
IL CANTO DEL CIGNO 181

a Korolev. «C'è un equivoco in Occidente quando si parla del programma


spaziale russo», avrebbe chiarito senza peli sulla lingua Sergej Chruscev.
«Esso non era centralizzato, ma in realtà più decentralizzato che negli
Stati Uniti, che avevano un programma Apollo focalizzato. Nell'Unione
Sovietica, c'erano diversi progettisti in competizione tra loro».
Nella bagarre tra i diversi bureau, i responsabili dell'industria missi­
listica avrebbero voluto prendere finalmente il comando, mentre i mili­
tari continuavano a pretendere che l'intero progetto dello spazio "civile"
venisse ridimensionato. Tutti avevano «ben chiaro che a volte un'idea
progettuale potente resta senza difesa di fronte a un membro anziano del
Politburo, all "arroganza di un maresciallo e al]'invidia di un collega».
La discussione si focalizzò in particolare sul vettore che doveva lancia­
re il modulo lunare. L'N1 di Korolev o l'uR-500 Proton di C:elomej? A
dipanare la matassa fu incaricata una commissione speciale di esperti pre­
sieduta dall'accademico Keldys e formata da rappresentanti del ministero
della Difesa, degli uffici di progettazione e dell'Accademia delle Scienze.
La maggior parte dei suoi membri sosteneva Korolev. Keldys propendeva
invece per C:clomej. Alla fine, venne raggiunto un compromesso e nell'a­
gosto 1964 il governo emanò una direttiva: i'OKB-52. avrebbe preso in ca­
rico il programma LI di sorvolo della Luna e 1'OKB-1 la missione L3 per lo
sbarco sul satellite, utilizzando una navetta che da alcuni anni il suo ufficio
progetti stava studiando, la Sojuz, che in russo significa "Unione".
Il 25 ottobre 1965, ormai sotto Breznev, vi fu un nuovo cambio di rotta.
Korokv riportò a casa 1' intero programma lunare offrendo come alternati­
va "economica" un ridimensionamento della Sojuz. Ma era furioso:

Gli americani hanno unificato le loro forze in un solo colpo e non fanno mistero
dei loro piani di dominare lo spazio. Noi invece manteniamo i nostri piani segreti
anche a noi stessi. Nessuno ha stabilito i nostri piani spaziali futuri - l'opinione
dell'OKB-1 differisce da quella del ministro della Difesa, che differisce da quella
del NIIYVS [ Istituto di ricerca scientifica dell'aeronautica], che differisce da quella
del VPK [ Commissione militare-industriale]. Alcuni vogliono che costruiamo più
Vostok, altri Voskhod, mentre ali' interno di questo ufficio la nostra priorità è an­
dare avanti con la Sojuz. L'unica preoccupazione di Breznev è di lanciare qualcosa
presto, per dimostrare che le faccende spaziali vanno meglio sotto il suo governo
rispetto a quello di Chruséev' 1 •

Tuttavia, l'immortale Celomej restò in gioco con un accordo che non ac­
contentava nessuno'6: il lanciatore per l'orbita bassa di parcheggio sarebbe
LUNA ROSSA

stato il suo Proton, potenziato con un quarto stadio per il viaggio sulla Luna
preso in prestito dall'N1 in studio ali' OKB-1. Il 31 dicembre, due settimane
prima della scomparsa di Korolev, i due progettisti firmarono l'armistizio,
cui però non si conformò Glucko, per rancore verso l'antico amico Sergej,
preferendo dedicarsi ad altro. Segno di una mortifera anarchia.
Il patto contemplava il lancio di 11 missioni di sorvolo della Luna, le LI di
Korolev, di cui le prime sette senza equipaggio per collaudare i diversi sotto­
sistemi. Tale scelta implicava la strategia di automatismo rotale sponsorizza­
to dalglavnij konstruktor, che riteneva di non poterne fare a meno. Sebbene
avesse le sue ragioni, lasciare il completo controllo ai computer di bordo e al
centro di coordinamento del volo a terra presentava alcune forti controindi­
cazioni perché complicava l'hardware e mortificava gli equipaggi.
In ogni modo, dall'accordo nacque una miniastronave performante e
longeva, ancora oggi in servizio "permanente effettivo". Lunga 7 m e larga
quasi 3, con un volume abitabile di 10 m' e un peso di 6,8 tonnellate al lancio,
che al momento della discesa diventavano meno della metà, la Sojuz consi­
steva di tre elementi connessi era loro. Sul retro un modulo di servizio con i
retrorazzi, i motori di assetto, la riserva di carburante, le antenne di comu­
nicazione e gli agganci dei pannelli solari. Al centro un modulo di rientro a
forma di ghianda, destinato a proteggere i cosmonauti nelle fasi di lancio e
di rientro, con il periscopio, l'oblò e il comparto per i paracadute. Infine, sul
davanti un modulo orbitale con la funzione di Living room durante il volo.
Simile a una grossa palla, era equipaggiato con il meccanismo d'aggancio per
le operazioni d'attracco a un'altra unità, il portello per la passeggiata spazia­
le, la cambusa con le leccornie in tubetto, le apparecchiature per il monito­
raggio e il controllo del volo, e le attrezzature per gli esperimenti scientifici.
Il primo test senza uomini a bordo ebbe luogo nel novembre 1966, a
quasi un anno dalla morte di Korolev. Una Sojuz doveva collocarsi in orbi­
ta e attendere un'altra navetta per un tentativo di attracco automatico. Ma,
dopo il lancio della prima sonda, questa perse il controllo d'assetto, av­
viandosi a un rientro naturale. Quando si capì che sarebbe caduta sul suolo
cinese, creando un caso di invasione di campo e soprattutto consegnando
a una nazione non più amica un autentico patrimonio di tecnologie, ven­
ne fatta esplodere in volo. Un insuccesso, per mascherare il quale si usò la
solita tecnica di chiamare la missione Cosmos (n. 133 per la cronaca), così
da eliminare il riferimento ai mancati obiettivi.
La successiva prova, il mese seguente, andò anche peggio. Come qual­
che volta fanno i cavalli di fronte a un ostacolo, il missile rifiutò di avviarsi
IL CANTO DEL CIGNO

e, mentre i tecnici stavano vuotando i serbatoi di carburante per renderlo


inoffensivo, esplose sulla rampa di lancio, causando una vittima e ingenti
danni. Finalmente, al terzo tentativo, il 7 febbraio 1967, tutto andò bene
fino al momento del rientro. La sonda precipitò sulla superficie ghiacciata
del lago d'Arai, bucò la lastra gelata e si immerse nell'acqua. Venne recupe­
rata con grande difficoltà dai sommozzatori.
C'era poco da stare allegri. Piutcosco che preoccuparsi e prendere le
adeguate contromisure, Misin accettò invece di lanciare un volo umano
all'avvio della primavera. La spinta a tentare l'azzardo gli veniva diretta­
mente dal Cremlino. Dopo tre anni di potere durante i quali era rimasto
quasi a bocca asciutta, e dopo tanti quattrini investiti e sistematicamente
rinfacciatigli dai suoi generali, Breznev pretendeva di celebrare anche lui
una grande impresa, di quelle che avevano fatto gongolare Chruscev.
Il momento era perfetto. Nel 1967 cadeva il cinquantesimo anniversa­
rio della Rivoluzione d'Ottobre e, quanto al mese, in aprile si festeggiava il
compleanno di Lenin. Una nuova vittoria sovietica nella corsa allo spazio
avrebbe forse potuto riaggregare all'ombra della bandiera rossa i popoli
del!' immensa ed eterogenea galassia del patto di Varsavia, facendo dimen­
ticare le "deviazioni" della Primavera di Praga iniziata il 5 gennaio con l'a­
scesa al potere di Alexander Dubcek.
Gli americani, poi, erano in lucro per i tanti loro ragazzi morti e per
la figuraccia fatta dalla nazione più potente del mondo nella guerra in
corso nel Sud-Est asiatico. La notte del 30 gennaio, Capodanno vietna­
mita, il generale Giap aveva lanciato una micidiale offensiva delle truppe
del Nord del paese e dei V iet-cong contro le città del Sud e contro le basi
statunitensi, rintuzzata a stento e con metodi brutali dai " berretti verdi". ll
turbamento dell'America, che giudicava sé stessa, riverberò in ogni dove,
arrivando a scalfire i marmi della Casa Bianca, al punto che LyndonJohn­
son decise di ritirare la sua candidatura alle primarie dei democratici per
la presidenza degli Stati Uniti, lanciando involontariamente la volata al
repubblicano Richard Nixon.
Lucro su lucro, gli americani piangevano anche i tre astronauti morti
nell'incidente dell'Apollo 1, nel gennaio 1967. Un pessimo avvio per il pro­
gramma finalizzato a portare gli yankee sulla Luna, che azzerava momenta­
neamente il vantaggio psicologico acquisito con la catena di successi della
navicella Gemini, di cui diremo nel prossimo capitolo, e riapriva i termini del
concorso. Insomma, pensò Misin, ora o mai più! Era il modo di agire del suo
"maestro", ma solo Korolev sapeva trasformare un azzardo in una vittoria.
LUNA ROSSA

La missione contemplava lo scambio di passeggeri era due cosmonavi in


orbita terrestre. Una prima Sojuz 1 sarebbe partita da Baikonur con a bor­
do un unico passeggero, il veterano V ladimir Komarov che aveva già vo­
lato una volta con la Voskhod. Il giorno successivo, dalla medesima rampa
sarebbe decollata la Sojuz 2., assolutamente identica alla precedente ma con
tre cosmonauti. Oltre al comandante Valerij Bykovskij, vi erano due reclu­
te, Evgenij Chrunov ( 1933-2.000) e Aleksej Eliseev ( 1934-), cui era riserva­
to un compito altamente spettacolare. Dopo l'incontro e l'attracco tra le
due navicelle, sarebbero dovuti transitare dall'una all'altra passeggiando
nello spazio. Una volta effettuato lo scambio, la Sojuz 2. sarebbe rientrata
con il solo pilota e il giorno seguente sarebbe scesa anche la Sojuz I con tre
passeggeri. Non si trattava di un'acrobazia da circo, di quelle che produco­
no negli spettatori catartiche scariche di adrenalina al modico prezzo d'un
biglietto, bensì di provare una manovra essenziale per il sorvolo lunare in
assenza di una via di comunicazione interna era le due navicelle.
Nelle settimane precedenti la missione, i tecnici addetti ai controlli del­
la Sojuz avevano riscontrato oltre duecento problemi e difetti più o meno
gravi. I rischi per il successo del!' impresa e la vita stessa dei cosmonauti pa­
revano a tutti eccessivi, fuorché a Misin, che non se la sentiva di sconten­
tare il Cremlino. Gagarin, caro amico di Komarov e suo secondo in questo
volo, tentò disperatamente di far rinviare il lancio appellandosi al premier
con un lungo memoriale. Poiché temeva che la sua petizione potesse im­
pantanarsi nelle anticamere, per farla arrivare sin nelle segrete stanze la
affidò alle mani di un alto ufficiale del KGB, Veniamin Russayev, suo buon
amico. Ma, se anche la lesse, Breznev non diede segno di avere inteso la
gravità della situazione. Secondo una micologia recente, Komarov avrebbe
addirittura confessato tra le lacrime a Russayev di sapere che non sarebbe
ritornato vivo da quel viaggio nello spazio, e tuttavia di non potersi tirare
indietro per il dovere di proteggere Gagarin, che era il suo sostituto. «Sa­
rebbeJurij a morire in vece mia, e noi dobbiamo avere cura di lui».
Il 2.3 aprile 1967, giorno del lancio della prima delle due Sojuz, tra i co­
smonauti convenuti a Baikonur regnava un clima di generale sconforto.
Mentre veniva trasferito in autobus alla solita rampa da cui erano partite
tutte le creazioni di Korolev, Komarov appariva come un condannato ras­
segnato a vedere compiersi il suo destino. I compagni tentarono di tirargli
su il morale cantando le classiche canzoni russe e la terapia funzionò. V la­
dimir sorrideva mentre saliva a bordo della navicella.
Alle 3,30, ora di Mosca, il razzo si sollevò dalla rampa e prese la via del
IL CANTO DEL CIGNO

cielo in direzione delle prime ombre del tramonto. Dopo 8 minuti, il "ru­
bino" si trovava in orbita a provare una macchina molto sofisticata, la più
complessa mai lanciata nel cielo e per il momento la meno sicura. Giù,
nel centro di controllo a Baikonur, non c'era a guidarlo il N. 2.0 con la sua
magica mano. I guai cominciarono subito. Uno dei pannelli solari rifiutò
di aprirsi, con il che la potenza elettrica si dimezzò. Poi si manifestarono
ulteriori problemi nell'assetto, nel controllo termico e nelle comunica­
zioni con la base. A Baikonur stavano meditando di riparare il pannello
difettoso utilizzando i cosmonauti della Sojuz 2. in modalità extraveicolare
- sarebbe stato un plus straordinario per la missione, una prima volta per
degli operai in assenza di gravità- quando una terribile tempesta d'acqua
e di vento si abbatté sulla base.
Pareva un'ottima ragione per rinunciare al secondo lancio e riportare
subito a casa il cosmonauta in volo, visto anche che le batterie, prive di
alimentazione. stavano per esaurirsi. In considerazione di ciò che stava per
succedere, viene quasi da pensare che Giove pluvio avesse deciso di salvare
la pelle a Bykovskij e compagni. La morte giocò invece con Komarov come
fa il gatto col topo, con una serie di zampate tutte abilmente schivate dal
cosmonauta, salvo l'ultima.
Il dramma ebbe inizio quando dal centro di controllo del volo venne
lanciato il comando di rientro al sistema automatico, che si rifiutò di fun­
zionare. Memore dei precedenti di Beljaev e Leonov, Komarov fece scorre­
re un'altra orbita prima di passare al controllo manuale, che tra l'altro non
aveva avuto modo di praticare in precedenza. Niente di tragico sin qui. Se
c'era qualcuno in grado di domare la Sojuz, questi era proprio lui.
La procedura di discesa prevedeva che la navicella venisse fatta ruotare
in modo da posizionare i retrorazzi nella direzione del movimento, per
frenare la corsa e poter lasciare l'orbita. Sebbene il controllo di assetto fun­
zionasse male, il cosmonauta, che aveva già cavalcato molti rori scatenati,
non si perse d'animo e si rimboccò le maniche. Ottenuto a fatica l'allinea­
mento desiderato, avviò i motori, che però si spensero prima del previsto.
Niente panico! Era già successo in precedenza. Avrebbe significato una
traiettoria di discesa più lunga e un atterraggio fuori bersaglio, quasi come
da copione. Il tuffo verso Terra, però, cominciò male perché, con un pan­
nello solare monco, la navicella risultava sbilanciata e ali' ingresso in atmo­
sfera prese a piroettare su sé stessa. Non avendo la possibilità di manovra­
re, Komarov non riusciva ad addomesticarla. La Sojuz scendeva come una
trottola. Nulla di irreparabile sin qui. Ma, raggiunti gli strati più densi, il
186 LUNA ROSSA

paracadute principale non volle saperne di uscire dal suo alloggiamento,


impedendo l'apertura anche a quello di riserva. Bolide senza freni, la Sojuz
precipitò in caduca libera come un meteorite di 3 tonnellate e si schiantò
nella steppa dell' oblast di Orenburg, negli Urali, alle 6 del mattino del 2.4
aprile. I razzi che erano stati pensati per "addolcire" l'impatto con il suolo
esplosero, incenerendo quel che restava del passeggero.
Komarov era rimasto cosciente e consapevole sino all'ultimo. La mito­
logia della tragedia, su cui si accanirono le più diverse speculazioni, offre
due scenari opposti. Quello di un eroe che affronta la morte con fermez­
za, parlando via radio con il premier Kosygin e dicendo addio alla moglie
in diretta, e quello d'un uomo disperato che impreca in lacrime contro i
suoi presunti carnefici. Probabilmente né l'uno né l'altro sono veritieri, ma
semmai verrebbe da propendere per il primo. Komarov era un ardimento­
so pilota di aviogetti da caccia, abituato a guardare la morte in faccia.
Comunque, a Baikonur nessuno sapeva nulla dell'incidente perché,
come di consueto, le comunicazioni con la navicella s'erano interrotte du­
rante la discesa. Quando le unità di recupero giunte sul luogo dell'atter­
raggio segnalarono che «il cosmonauta (aveva) bisogno di urgenti cure
mediche», si comprese che doveva essere accaduto qualcosa di grave. L'a­
viazione locale interruppe le trasmissioni per evitare inopportune fughe
di notizie. Questa volta, però, non c'era modo di nascondere la tragedia
al mondo. Poco dopo il decollo la TASS aveva emesso un asciutto comu­
nicato stampa con la notizia del lancio di un nuovo tipo di sonda, senza
far menzione dell'intero programma, ma gli analisti occidentali avevano
annusato che doveva trattarsi di qualcosa di grosso'7, per cui stavano con
gli orecchi diritti per raccogliere nuovi indizi.
Il ministro della Difesa Ustinov venne informato subito e un'ora dopo
Breznev, che era in visita in Cecoslovacchia. In serata la tragica notizia di­
venne pubblica. Toccò a Gagarin rimuovere dai rottami i brandelli abbru­
stoliti del corpo dell'amico. Prima vittima ufficiale in un volo spaziale'8,
Komarov lasciava una moglie e due figlie. Le sue ceneri vennero tumulate,
come quelle di Korolev, sul muro del Cremlino, a imperitura memoria.
Di lì a poco quello stesso muro avrebbe accolto anche un altro eroe dello
spazio sovietico, lo stesso Jurij Gagarin.
Take me to the Moon

Ora è tempo di fare passi più lunghi - tempo per una gran­
de nuova impresa americana -, tempo per questa nazione di
assumere un ruolo chiaramente da protagonista nella con­
quista dello spazio che, sotto molti aspetti, potrebbe rappre­
sentare la chiave del nostro futuro sulla Terra.

John F. Kennedy

Ci sono solo due problemi da risolvere quando si va sulla


Luna: primo, come arrivarci; e secondo, come tornare in•
dietro. Il segreto sta nel non partire prima di averli risolti
entrambi.

Nei! Armscrong

Nuvole basse coprivano il cielo sopra i boschi innevati di betulle tutt'intor­


no a Mosca. Quella mattina di mercoledì 2.7 marzo 1968, alle 10,15, dall'a­
eroporto militare èkalovskij s'era levato in volo un monomotore a getto
MIG-15UTI' con a bordo Gagarin e il suo istruttore Vladimir Seryogin, pi­
lota di provata esperienza. Per reagire alla tragica scomparsa di Komarov,
Jurij aveva ripreso il suo precedente mestiere di aviatore, e l'amico Viado
lo stava rieducando a domare il magnifico monomotore a getto progettato
nell'oKB-155 di Mikojan, un purosangue nervoso e bizzarro. Una missio­
ne breve. Un quarto d'ora dopo il decollo i due avevano già completato
il programma loro assegnato e Gagarin chiese alla torre l'autorizzazione a
rientrare. Da quel momento le comunicazioni radio s'interruppero.
Tre ore di affannose ricerche. Finalmente, l'aviogetto venne identifica­
to dai suoi resti tra gli alberi d'una fitta foresta vicino alla città di Kiriac,
nel!' oblast di Vladimir. I corpi del cosmonauta e del suo compagno giace­
vano senza vita tra i rottami ancora fumanti. Dopo lo sgomento, fu grande
pianto a èkalovskij, nell'Unione Sovietica e nel mondo intero. Era morto
l'immortale Icaro, il contadino diventato aquila che aveva aperto all'uma­
nità le vie del firmamento.
Il KGB, il governo e l'aviazione militare avviarono ciascuno un'inchie­
sta indipendente per accertare le cause della tragedia ma, secondo la con­
solidata prassi sovietica, le conclusioni non vennero rese note al pubblico.
Si disse solo che Gagarin era rimasto vittima di un incidente. Ma quale?
188 LUNA ROSSA

In assenza di fatti, si diffusero subito le illazioni e le calunnie da parte


delle solite iene che per riempirsi la pancia non esitano ad avventarsi sulle
carogne, o per bocca di chi si realizza sul dolore altrui in una sorta di catarsi
virtuale ai limiti della demenza. Un assassinio politico, si disse, commis­
sionato dal Cremlino per gelosia o per far scomparire un mito diventato
scomodo. Oppure l'esito di una sbornia; e persino un sequestro da parte
di entità aliene. Più realisticamente, i due esperti aviatori avevano perso il
controllo dell'aereo per evitare un ostacolo improvviso, un volatile o un
pallone aerostatico. Oppure non erano riusciti a richiamare il loro jet dopo
una brusca picchiata avviata a 3.000 metri per compensare una perdita di
pressurizzazione in cabina', forse perché male informati nel briefing mat­
tutino sulla quota dell'ultimo strato di nubi. Il cosmonauta Leonov, che
volava in elicottero nelle vicinanze, scrisse in seguito di avere sentito due
bang, da cui dedusse che il jet di Gagarin fosse stato mandato in stallo dalla
turbolenza prodotta dal passaggio a velocità supersonica di un altro aereo,
un caccia intercettore su-15' che non avrebbe dovuto trovarsi così in basso.
Al trentaquattrenne conquistatore dello spazio vennero riservati fu­
nerali di Stato, e le sue ceneri andarono a raggiungere quelle di "papà"
Korolev e dell'amico Komarov sul muro del Cremlino, vicino alla tomba
di Lenin, una sorta di santuario laico e all'aperto, dove il popolo russo
ancora venera i propri eroi. La patria, grata, Io avrebbe ricordato anche
con un monumento realizzato in occasione delle Olimpiadi moscovite del
1980. Una statua in titanio alca oltre 40 metri, collocata in piazza Gagarin,
lungo il Leninskij Prospekt, una delle maggiori arterie della capitale russa.
Sul basamento un'iscrizione: «Il 12. aprile 1961, la nave spaziale sovietica
Vostok con un uomo a bordo volò attorno al mondo. La prima persona a
penetrare nello spazio è un cittadino delle Repubbliche Socialiste Sovie­
ciche,Jurij Gagarin». Attestato di una grande vittoria ma anche, sapendo
leggere tra le righe, excusatio non petita di un'altrettanta clamorosa scon­
fitta nella gara per raggiungere la Luna.
Correvano tempi difficili. Cinque giorni dopo i funerali di Gagarin, a
Memphis, nel Tennessee, venne assassinato a colpi di pistola il reverendo
Martin Lucher King, leader del movimento per i diritti civili degli afroa­
mericani. Fu un'altra pugnalata alla politica di integrazione razziale del
presidenteJohnson, dopo l'assassinio di Malcom X a New York nel 1965.
Passarono altre cinque settimane e per le strade di Parigi sfilarono 800.000
persone in un'imponente manifestazione delle sinistre che faceva seguito
agli incidenti di qualche giorno prima nel Quartiere latino era polizia e
TAKE ME TO THE MOON

studenti universitari. Erano i primi segnali di quel vasto movimento di


contestazione di masse socialmente eterogenee noto come "Maggio fran­
cese" e "Sessantotto". E poi ancora, circa un mese dopo, il 5 giugno, il can­
didato scelto dai democratici per la successione a Johnson, Robert Ken­
nedy, venne ucciso nel!' hotel Ambassador di Los Angeles dal revolver di
un siriano-palestinese, per vendicare, dichiarò l'omicida, il sostegno ame­
ricano allo Stato d'Israele nella Guerra dei sei giorni•, madre di molci dei
successivi e gravi problemi nello scacchiere mediorientale.
Solo pochi anni prima, nell'agosro 1963, parlando a Washington in
occasione della marcia per il lavoro e per la libertà, Martin Lucher King
aveva detto: « Ho un sogno: che un giorno questa nazione possa sollevarsi
e vivere appieno il vero significato del suo credo: "Riteniamo queste verità
di per sé evidenti: che tutti gli uomini sono stati creaci uguali"»'. Un'aspi­
razione che divideva la società americana, dove il razzismo aveva ancora
forti radicamenti. Tutti o quasi, invece, approvavano lo sforzo naziona­
le di conquistare per primi la Luna, come John Kennedy aveva chiesto e
promesso di fare. Questo sogno collettivo poté realizzarsi grazie ai pro­
grammi Gemini e Apollo che non solo vinsero la gara con i sovietici, ma
dimostrarono concretamente la superiorità tecnologica e organizzativa del
modello americano. Una scoria i cui prodromi ci riportano indietro nel
tempo di qualche anno.
Il programma Gemini era nato quale sviluppo del progetto Mercury,
tanto che inizialmente lo avevano battezzato Mercury Mark II. Nono­
stante avesse preso il via dopo l'Apollo, si concluse prima che il fratello
maggiore cominciasse i suoi gloriosi voli sulla Luna. Dodici missioni, di
cui le prime due senza equipaggio e le rimanenti con una coppia di astro­
nauti ciascuna - da cui il riferimento ai gemelli Castore e Polluce - in un
crescendo rossiniano di brillanti successi simile, mutatis mutandis, a quelle
prime tappe della corsa allo spazio vinte sistematicamente dai sovietici.
L'obiettivo consisteva nel provare dispositivi, uomini e procedure, sia di
volo che a terra, guadagnando preziose esperienze da riciclare nelle missioni
lunari. Lanci in orbita terrestre, per lo più bassa, con permanenze da cinque
ore a due settimane, per collaudare cambiamenti di traiettoria, accostamen­
ti (rendezvous) e attracchi (docking) con alcre navicelle, passeggiate spazia­
li (extmvehicular activity- EVA) e ammaraggi mirati, affidando il controllo
delle manovre agli astronauti, veri e propri piloti e non semplici passeggeri,
cavie passive e testimonial del perfetto funzionamento delle macchine.
Era l'esatto contrario della strategia adottata da Korolev per via delle
insufficienti risorse finanziarie e per il timore che l'inadeguatezza fisica
LUNA ROSS A

dell'organismo umano a sopportare le condizioni estreme dello spazio po­


tesse compromettere la sicurezza del volo. Aveva cominciato così, il pro­
gettista capo, quando pareva non esservi al era soluzione, e poi ci aveva pre­
so gusto, col risultato che l'estrema robotizzazione aveva colto ai sovietici
il valore aggiunto dell' intelligenza umana nella gestione sia dell'ordinario
sia, soprattutto, delle emergenze.
La squadra dei "magnifici sette" astronauti impiegaci nelle missioni
Mercury' venne potenziata quadruplicando l'organico con nuove regole
di reclutamento. Alla NASA serviva uno spettro di competenze più ampio
e articolato di quello dei primi eroici voli, quando bastava un coraggioso
pilota da caccia per assolvere a tutti i compici. Vennero selezionaci 2.0 gio­
vani di sesso maschile7, in buona salute e con formazione universitaria. Di
norma elementi delle forze armate o comunque con un cursus mili care alle
spalle; ma tra di loro c'era anche un aspirante senza divisa. Sarà proprio lui
a calpestare per primo il suolo lunare. Per ogni volo venivano formate tre
coppie: un equipaggio ufficiale, uno di riserva e due astronauti per coor­
dinare le comunicazioni da terra, nei ceneri di Houscon e Cape Canaveral.
La capsula Gemini aveva la forma di cono troncato in punta e diviso in
due moduli distinti e collegaci tra loro. Quello di base, più cozzo, conteneva
i retrorazzi, il combustibile e il corredo strumentale. Anteriormente a esso si
trovava un modulo di rientro con la cabina pressurizzata di poco più di 2. m',
capace di ospitare due astronauti su sedili eiettabili in caso di necessità. Di­
sponeva di due piccoli oblò, uno per ogni postazione, e conteneva i comandi
della sonda, i pannelli degli strumenti e sistemi vari per il mantenimento in
vita dei passeggeri, quali l'impianto di riscaldamento e quello di aerazione.
U fondo della capsula era protecco da uno scudo termico per il tuffo finale
in atmosfera. In punta al cono, un piccolo cilindro accoglieva i congegni per
l'eventuale attracco con un'altra nave spaziale e i tre paracaduti per frenare
la discesa: ombrelli con diametri da 2.,4 sino 2.5,6 m, da aprire in successione
a partire dalla quota di 15.000 m.
li primo lancio di prova ebbe luogo 1'8 aprile 1964 da Cape Canaveral
- da qualche mese rinominato Cape Kennedy8 -, con l'obiettivo di ve­
rificare la resistenza della capsula Gemini. A spingerla in cielo un razzo
Titan li a due stadi, evoluzione di un ICBM realizzato dalla società privata
Martin Company, diventata nel 1961 il gigante Martin-Marietta•; detta­
glio che ci consente di comprendere l'incidenza dei finanziamenti privaci
nel!'avventura spaziale degli Stati Uniti.
Dopo tre orbite la navetta, che era ancora collegata al secondo stadio,
venne abbandonata al proprio destino, lasciando che bruciasse in un rien-
TAKE ME TO THE MOON 191

tro naturale (procurato, cioè, dall'attrito frenante dell'atmosfera) al ter­


mine di 64 orbite, mentre sorvolava l'Oceano Indiano. Per favorirne la
distruzione in aria, erano stati praticati quattro fori nello scudo termico in
modo da indebolirlo.
Il pieno successo di questa missione convinse la NASA che poteva ri­
schiare un volo umano. Furono scelti un equipaggio titolare, composto
dal comandante Virgil "'Gus" Grissom (192.6-1967) e dal pilotaJohn Watts
Young (1930-2.018), e uno di riserva, con Walter Schirra e Thomas Staf­
ford (1930-). Ma, alla data prevista per il lancio, il 16 novembre 1964, non
successe nulla. Si vociferò che in agosto un fulmine avesse danneggiato la
rampa di lancio, ma pare più verosimile pensare che la programmazione
fosse saltata a causa di un ritardo nei collaudi a terra della Gemini.
Poi ci si misero anche gli uragani, ben tre di quelli che dai Caraibi van­
no a morire in Florida creando condizioni meteorologiche improponibili
per un lancio. Devastazioni benvenute, in questo caso, per motivare i rinvii
davanti al Congresso che ormai teneva il dito puntato sulla NASA. I sena­
tori volevano vittorie e non chiacchiere, e per cale motivo avevano conces­
so ali 'ente spaziale risorse e libertà di movimento che di solito si riservano
ai generali al fronte.
Così, il 19 gennaio 1965 prese il via una missione ancora senza equipag­
gio per un volo balistico suborbitale. li test più importante riguardava la
resistenza dello scudo termico, salvavita degli astronauti. Un malfunziona­
mento avrebbe potuto significare una morte certa e orribile, con i passeg­
geri arrostiti dal calore sprigionato dall'attrito del modulo di rientro con
l'aria. La NASA intendeva anche sperimentare alcuni sottosistemi innova­
tivi come, ad esempio, le celle a combustibile sostitutive dei pannelli solari,
dispositivi in grado di convertire direttamente l'energia chimica in energia
elettrica. Una miglioria che i sovietici non avevano ancora preso in consi­
derazione.
Dopo aver toccato la quota di 170 km, la Gemini 2. aveva esaurito l'im­
pulso, tornando a farsi dominare dalla gravità terrestre, che non molla mai
la presa. Al termine d'una traiettoria parabolica simile a quella d'un sasso
lanciato per aria da un muscoloso fromboliere, l'involucro senza vita s'era
tuffato col giusto garbo nell'Oceano Atlantico, a 3.400 km da Cape Ken­
nedy. Diciotto minuti di volo in totale, durante i quali tutto aveva funzio­
nato a puntino, salvo le celle a combustibile.
Infine, il 2.3 marzo 1965, l'equipaggio che era rimasto a terra, formato
da Grissom e Young, venne imbarcato sulla Gemini 3 per un volo orbitale
192. LUNA ROSSA

di quasi s ore, concluso con un ammaraggio (splashdown) in vicinanza


dell'isola Grand Turk, territorio di Sua Maestà Britannica nell'Adancico
del Nord. L'obiettivo principale riguardava la qualifica degli ascronauci
nelle diverse manovre e il collaudo del sistema di cracciamenco della na­
vetta da qualunque postazione sulla Terra: una facility che i sovietici non
possedevano appieno. Il tese includeva anche la funzionalità dei ceneri di
concrollo del volo a terra, a Cape Kennedy e sopraccucco a Houscon.
Raggiunca in una manciata di minuti la quota di parcheggio, Grissom
afferrò i comandi della Gemini e cominciò a pilotarla facendole cambia­
re traiettoria. Non si trattava di semplici aggiuscamenci d'assecco, già am­
piamence sperimencati dai sovietici, ma di vere e proprie manipolazioni
della rotta. Un po' come i colpi di timone in una barca spinta dal venco.
Lui e Young avevano imparato a eseguire queste manovre in un simulatore
a Se. Louis, nella sede della casa costruttrice della navetta, la McDonnell
Aircrafc (produttrice dei ben noti DC9), e poi a Cape Canaveral. Ovvia­
mente, in aggiunca agli altri allenamenci di rito, come ad esempio, pilotare
i caccia, lanciarsi col paracadute, sottoporsi a prolungate sessioni di centri­
fuga e abituarsi in piscina sia all'assenza di peso sia a uscire da un simulacro
della capsula galleggiance sull'acqua.
Dopo la terza orbita i due astronauti si portarono a quota molco bassa,
solo 84 km, per ricorrere a un rapido riencro naturale in caso di fallimen­
to dei retrorazzi. La leggenda narra che a Cape Kennedy fossero furiosi
perché Young, che era un burlone, aveva portato a bordo della Gemini un
sandwich, violando il protocollo che proibiva ogni forma di cibo diversa
da quello in tubetti per evitare il crearsi d'una nuvola di briciole Auccuante
nella cabina. «Che roba è?», gli aveva chiesto Grissom. «Un panino di
carne in scatola», aveva risposto il collega. «Da dove diavolo viene?».
«L'ho portato con me. Vediamo che sapore ha. Si sence l'odore, vero?».
Un dialogo degno di due cowboy attorno al fuoco di un bivacco in un
film sulla gloriosa epopea di un'alcra conquista, quella del Far West: poco
credibile, ma gradito, a una certa America ancora non svezzata dai luoghi
comuni di una scoria nazionale troppo breve.
La discesa andò sostanzialmente bene, a parte la manovra che, al cam­
bio tra il secondo e il terzo paracadute, avrebbe dovuto rovesciare la navet­
ta per adattarla all'ingresso in acqua. Un'esecuzione troppo brusca mandò
i due astronauti a sbattere con la cesta concro l'oblò, canto che la visiera
del casco di Grissom si ruppe. L'ammaraggio, poi, avvenne molto lontano
dal luogo preventivato. Gli astronauti restarono per mezz'ora entro la loro
TAKE ME TO THE MOON 193

capsula ben sigillata per timore che potesse affondare, soffrendo persino il
mal di mare. Il colmo per chi aveva sopportato formidabili accelerazioni
e galleggiato in assenza di peso! Poi vennero recuperati e messi in salvo.
Complessivamente fu un successo. Ora si poteva fare uno scatto in avanti
e tentare di mettersi alle costole dei sovietici in fuga.
La vera rimonta avvenne con l'entrata in orbita della Gemini 4, lancia­
ta da Cape Kennedy il 3 giugno 1965 con a bordo James McDivitt (192.9-)
e Edward White (1930-1967 ), entrambi novizi, per un raid di 62. giri della
Terra da farsi in quattro giorni. Nettamente meglio di Phileas Fogg e del
suo servo Passepartout che un secolo prima ne avevano impiegati ottanta
per fare un solo giro.
Oltre a vari esperimenti scientifici e alcune verifiche tecnologiche, la
missione contemplava due novità: un tentativo di rendezvous con il secon­
do stadio del vettore Titan II e una passeggiata spaziale, resa però meno
esaltante dall"exploit di Leonov di due mesi prima. «Solo là fuori puoi
sentire la grandezza - l'enorme dimensione di tutto ciò che ci circonda»,
aveva detto il russo'0• Anche White avrebbe provato questa sensazione ine­
briante, ma in seconda battuta, e questo ritardo in una gara ti toglie l'appe­
tito. « Signore, dài forza al mio nemico e fallo vivere a lungo, affinché possa
assistere al mio trionfo», sosteneva con ragione Napoleone Bonaparte.
L'avvicinamento della Gemini al mozzicone di Titan fallì per il rapido
esaurimento del propellente a disposizione per la manovra. L'EVA venne
invece effettuata per una durata complessiva di 2.3 minuti, il doppio del
tempo in cui Leonov era stato a galleggiare nel nulla, e senza nemmeno
il bisogno di mantenere l'abitacolo in pressione per garantire il raffred­
damento dell'elettronica. Un passo avanti verso la semplificazione delle
procedure, con l'eliminazione della camera di compensazione. White di­
mostrò un grande adattamento al vuoto, aiutandosi nei suoi spostamenti
con una pistola ad aria compressa che però si scaricò quasi subito. Una
specie di minirazzo molto rischioso da gestire perché al più piccolo erro­
re avrebbe potLJCo sparare l'astronaLJCa lontano nello spazio, rendendone
problematico il rientro se non fosse stato per un cordone ombelicale di
8 metri che lo ancorava alla navicella. Una precauzione apparentemente
ovvia che tuccavia generò qualche fastidio.
In assenza di gravità, infacci, la lunga fune sembrava animata di vita
propria e si aggrovigliava a ogni possibile appiglio, intralciando non poco
il camminatore spaziale. «Il momento (in cui mi hanno ordinato di rien­
trare) è stato il più triste della mia vita», affermò poi White. Una spacco-
194 LUNA ROSSA

Li l giugno 196s, Edward White, pilota della Gemini 4, sperimentò la passeggiata spaziale
intrapresa per la prima volta in assoluto dal sovietico Lconov due mc.:si e mezzo prim:i.
mostrando con questo gesto che b rincorsa era finita e chi.: gli USA si scavano preparando
al sorpasso.

nata? Sicuramente sì, ma anche il segno di una crescente assuefazione allo


spazio cosmico. Ormai padrone della terra, dell'acqua e dell'aria, l'uomo
si scava impossessando a piccoli passi dell'ultima Thule, lo spazio vuoto.
Dopo quasi cento ore di volo, la Gemini 4 prese la via del mare, man­
cando di ben 80 km il punto programmato per lo splashdown per via
di un guasto al computer di bordo che aveva costretto McDivirr a un
ammaraggio manuale. Gli astronauti vennero comunque ripescati senza
problemi. Il record di permanenza in orbita restava ancora in mano so­
vietica, grazie a Bykovskij e al suo volo di quasi cinque giorni. Ma ormai
gli inseguitori si trovavano a una spanna dai primi e mostravano un'unità
di intenti e una capacità di programmazione che oltrecortina non si so­
gnavano nemmeno. Korolev capiva che la partita s'era riaperta e cercava
un altro asso nella manica per ricostruire il distacco. Sfortunatamente li
aveva giocaci tutti e quattro, e gli americani lo stavano attaccando da ogni
direzione.
TAKE ME TO THE MOON 195

li 14 luglio 1965, anniversario della presa della Bastiglia, gli yankee si


presero infatti la soddisfazione di mostrare al mondo 2.2. foto del piane­
ta Marte ottenute dalla sonda Mariner 4 lanciata il 2.8 novembre 1964,
scannerizzate in situ e poi spedite a terra in forma digitale. I segnali erano
giunti da una distanza di mezzo miliardo di km, record assoluto per le
onde addomesticate da Marconi. Un'impresa scientificamente e tecnolo­
gicamente importante, ma ancora non bastevole a far recuperare il buon
umore ai contribuenti d'oltreoceano.
E così venne Gemini 5, con un lancio spostato dal 19 al 2.1 agosto 1965
a causa di un guasto tecnico e del mal tempo. A bordo Gordon Cooper e
Charles "Pete" Conrad (1930-1999) per sperimentare una lunga crociera e
la prolungata assenza di gravità, insieme a una simulazione di rendezvous
e dei relativi apparati e procedure. Come sparring partner avrebbero uti­
lizzato un facsimile di flangia trasportato da loro stessi e poi sganciato in
orbita. Nonostante un problema con le celle a combustibile, che avevano
quasi fatto pensare a un annullamento della missione, furono effettuati
diversi tentativi di rendezvous pilotando la navicella finché il sistema di
guida non si ruppe. L'arrivo di un tifone tropicale nell'area prevista per
l'ammaraggio suggerì al centro di controllo di ordinare un rientro antici­
pato, dopo 12.0 orbite e 191 ore passate nello spazio.
Gli astronauti vennero recuperati a 150 km dal punto previsto per lo
splashdown da sommozzatori elitrasportati e condotti in salvo a bordo
d'una nave della marina. Ancora un successo e questa volta un record di
durata assicurato alla squadra degli Stati Uniti. Nella stecca segnapunti del
biliardo cosmico, i pallini bianchi e blu si stavano pericolosamente avvici­
nando a quelli rossi.
Il programma Gemini avanzava come uno schiacciasassi, aiutato dalla
fortuna. Successe, per esempio, che Gemini 6 non potesse essere lanciata
per la mancata disponibilità dello sparring partner con il quale effettuare
gli allenamenti al rendezvous e al docking. Non una semplice flangia di
attacco, ma un supertecnologico Gemini-Agena Target Vehicle (GATY)
costituito dal secondo stadio di un razzo Agena della Lockheed equipag­
giato con un sistema di ancoraggio realizzato dalla McDonnell Aircrafi:.
Per un problema del vettore, il GATV-6 non era riuscito a entrare in orbita
e la NASA lo aveva distrutto in volo.
Senza partner, la missione della Gemini 6 diventava quasi inutile. Un
grosso scorno per la NASA. Senonché, a qualcuno venne in mente una so­
luzione: mandare in orbita anche Gemini 7 ed effettuare il rendezvous
LUNA ROSSA

direttamente tra due navicelle. L'idea piacque così tanto che fu lo stesso
presidente Johnson a darne notizia alla nazione durante una trasmissione
televisiva. Un azzardo, perché una volta detto bisognava farlo. James Webb
aveva deciso di metterci la faccia e anche, eventualmente, il collo. Si tratta­
va di invadere il campo dei sovietici che da tempo accarezzavano l' idea di
fabbricare una stazione spaziale in orbita terrestre bassa assemblando, alla
maniera dei bambini col Lego, moduli porcari via via nello spazio da una
processione di missioni.
Con questo intento venne lanciata prima Gemini 7, il 4 dicembre 1965,
perché l'equipaggio sarebbe dovuro rimanere in volo per ben 14 giorni,
record di durata destinato a restare imbattuto sino al volo della Sojuz 9
nel 1970". I due astronauti, Frank Barman ( 192.8-) e James Lovell ( 192.8-),
dovevano dimostrare di potere resistere a lungo in assenza di peso speri­
mentando cuce leggere, inadatte però alla sopravvivenza in caso di depres­
surizzazione rapida. Assunsero il ritmo lavorativo delle giornate terrestri,
conducendo esperimenti scientifici e medici: il programma dei turni al­
ternaci di riposo era infatti miseramente naufragato di fronte alla consta­
tazione dell'impossibilità di un minimo di privacy per il sonno. In attesa
della Gemini 6, utilizzarono il loro tempo per saggiare il rcndczvous con
il secondo stadio del Titan 11, che però oscillava pericolosamente, ragione
per cui non gli si avvicinarono più di 15 metri.
Il 15 dicembre 1965, Gemini 6 prese il volo con Walter Schirra e Thomas
Stalford. C'era grande preoccupazione per la gestione da terra di due missio­
ni in simulcanea. Invece andò tutto per il meglio. Le due navicelle colmaro­
no la distanza inziale di 1.900 km (più di quella era Roma e Londra) in poco
più di cinque ore e si avvicinarono sino quasi a toccarsi, muovendosi con una
velocità relativa di soli 3 cm al secondo (100 m l'ora, come in certi ingorghi a
Ferragosto in autostrada). Non era una novità. Le Vostok lo facevano già da
tre anni, ma in modalità automatica, attraverso precisi calcoli delle traietto­
rie di lancio. Per incontrarsi, le due navicelle americane sfruttavano invece la
loro agilità di movimento e la capacità dei pilori nel guidarle.
In effetti, ad agire fu soprattutto Gemini 6, perché la sua breve missione
le consentiva maggiore libertà nell'utilizzo del propellente. Si dice che, nel
momento di massima vicinanza, il pilota di Gemini 7 abbia chiesto ai com­
pagni dell'altra navicella: «Come è la vista?», e che Schirra abbia rispo­
sto: «Pessima. Infatti, se guardo dalla finestra posso vedere i vostri brutti
musi». L'americano medio andava in delirio per questo genere di battute.
Le due navette restarono per un po' a 110 metri di distanza, giocherel­
lando a mosca cieca. Poi, dopo cinque ore di tira e molla, si allontanarono
TAKE ME TO THE MOON 197

l'una dall'altra per consentire agli astronauti un sonno tranquillo. Sembra


quasi di vedere, come nei film d'avventura, due galeoni accostati che a sera
si separano per dare fondo alle ancore e mandare le ciurme a dormire senza
il pericolo di accidentali collisioni.
Alla quindicesima orbita, dopo un volo di 25 ore, la Gemini 6 venne ri­
chiamata sulla Terra. L'ammaraggio fu trasmesso in diretta TV: bisognava
pur ripagare i milioni di cittadini le cui casse stavano significativamente
contribuendo alla realizzazione di queste imprese. La Gemini 7 aveva cu­
mulato 330 ore di navigazione ininterrotta. Gli astronauti stavano tutti
bene, anzi «meglio di quanto ci si aspettasse».
Poi, il 16 marzo 1966 arrivò Gemini 8, con Nei! Armstrong (1930-2012),
un ingegnere collaudatore di aerei ad alta velocità, e David Scott (1932-),
un pilota da caccia texano figlio d'arte. Toccò a loro l'onore di coronare
un rendezvous con un ancoraggio completo a un GATV lanciato un paio
d'ore prima. Erano alla loro quinta orbita. Tutto andò per il meglio, ma
appena Armstrong accennò a una piccola manovra, l'accoppiamento tra
i due veicoli divenne instabile. Sconcertati, i due astronauti sganciarono
immediatamente il partner ma, stranamente, le oscillazioni si accentuaro­
no. La Gemini 8 piroettava su sé stessa come una trottola impazzita. Scott
non perse il controllo e riuscì in qualche modo a stabilizzare la navetta
prima che la vorticosa rotazione lo stordisse. Pericolo scampato. Uno degli
ugelli del sistema di correzione d'assetto era rimasto aperto generando una
costante torsione, ma ancora nessuno lo sapeva. La missione venne imme­
diatamente interrotta, dopo solo sette giri di boa, perché nella manovra di
recupero della stabilità era stato consumato troppo propellente. Il GATV
fu lasciato in orbita per un futuro utilizzo.
Lo splashdown avvenne a 800 km da Okinawa, l'isola degli eroismi dei
marine nel Pacifico occidentale. Subito soccorsi dai sommozzatori lanciati
da un aereo, i due astronauti furono raccolti solo tre ore dopo da una nave
della marina militare. Troppo tempo e una nuova lezione imparata: biso­
gnava migliorare la procedura di recupero degli equipaggi. Un passo dopo
l'altro, caparbiamente, la NASA stava mettendo a punto gli strumenti per
affrontare in sicurezza la lunga traversata verso il satellite della Terra.
Ormai era chiaro che la classifica del campionato lunare aveva un nuo­
vo leader. Una squadra a stelle e strisce salda, determinata, ricca di mezzi
e dotata di ingegno, fantasia e metodo. Ma, se come ci insegna Giacomo
Leopardi, « il più solido piacere di questa vita è il piacere vano delle illusio­
ni», si comprende perché i sovietici non si rassegnassero ancora a fare da
LUNA ROSSA

spettatori. Vivevano nella consueta speranza di realizzare un'arma segre­


ta, un lanciatore superpotente che avrebbe potuto cambiare le sorti della
storia. Tuttavia, il razzo N1 immaginato da Korolev non decollava: troppo
grande, complesso e costoso, e finito in mani inadeguate al compito.
Intanto il Cremlino si regalò ben tre boccate di ossigeno inframmezza­
te dalla tragica perdita di Komarov, abilmente sfruttata dalla propaganda
occidentale per denigrare i sovietici accusandoli di trattare con superfi­
cialità la vita dei propri cosmonauti. li 3 febbraio 1967, ancorché priva di
equipaggio, la sonda Luna 9 era arrivata indenne sulla superficie del satelli­
te della Terra a conclusione di un viaggio di 79 ore. Era partita ali' alba del
31 gennaio da Baikonur. I primi tre scadi del solito vettore Molnija avevano
collocato su un'orbita terrestre bassa un treno costituito dal quarto stadio
e dalla sonda vera e propria. Con l'ulteriore spinta del motore rimastole
attaccato, Luna 9 era stata iniettata su un'orbita geocentrica molto allun­
gata, con apogeo a 500.000 km dalla Terra. Qualche correzione di rotta,
una frenata ben assestata e una complicata sequenza di manovre avevano
portato la capsula contenente gli strumenti a essere espulsa da una altezza
di appena s metri, così da planare sul suolo lunare a velocità molto bassa.
Due o tre rimbalzi e voi/a! Il primo manufatto umano integro e capace di
occhi e orecchie giaceva incolume sulla sabbia dell'Oceanus Procellarum,
pronto a inviare immagini raccolte da una telecamera. Ancora un record
per i sovietici e ancora un regalo di Korolev, perché l'impresa era stata
inizialmente progettata dal suo OKB-1 quand'egli era ancora in vita e poi
affidata a un altro bureau.
La gioia del popolo dell'URSS si rinnovò due mesi dopo con l'arrivo
di Luna 10 in un'orbita selenocentrica. Un satellite del satellite che a ogni
giro vedeva idealmente un altro pezzo della tecnologia sovietica poggiato
sulla polvere lunare. Non era mai accaduto in precedenza, a dimostrazione
del!' indomita vitalità degli ingegneri spaziali d'oltrecortina. Mancava solo
l'impronta di un piede umano ma, smentendo il proverbio che non c'è
due senza tre, questo "piccolo passo" non sarebbe toccato a un piede rosso
con tatuati falce e martello.
In mezzo a queste due missioni, il 1° marzo era arrivata sul Pianeta az­
zurro la nave interplanetaria Venera 3. Una tonnellata di strumenti che
avevano viaggiato nello spazio interplanetario per tre mesi e mezzo e,
nell'intenzione dei progettisti del!' OKB-1, avrebbero dovuto depositarsi
dolcemente sul suolo venusiano. Per uno dei soliti guasti, però, la sonda
s'era invece tuffata a cesta bassa e senza freni nel fitto manto delle nubi che
TAKE ME TO THE MOON 199

avvolgono il pianeta, schiantandosi al suolo. Primo atterraggio, seppure


catastrofico, di un manufatto dell'uomo su un pianeta del Sistema solare
diverso dalla Terra. Gli yankee avevano provato a competere con i loro
Mariner 4 e 6, e con i Ranger 6 e 7, ma tutte le coppe in palio erano state
vinte dagli ingegneri comunisti.
!manto, però, il programma Gemini continuava con metodo il per­
corso intrapreso, facendo tesoro dell'esperienza di volta in volta acquisi­
ta. li 3 giugno 1966, Tom Stafford ed Eugene "Gene" Cernan (1934-2017)
- equipaggio di riserva in sostituzione di quello ufficiale, perito in un in­
cidente aereo durante un trasferimento interno agli Stati Uniti - furono
messi in orbita terrestre per ulteriori test sul docking e sulle passeggiate
spaziali. Decollarono in ritardo per via del fallito lancio sia dello sparring
partner con cui esercitarsi all'abbraccio spaziale, sia di un esemplare di
GATV semplificato. Quest'ultimo era riuscito a raggiungere l'orbita por­
tandosi però con sé un involucro di protezione che ora mascherava proprio
la flangia di attracco. Niente docking, dunque, ma soltanto un rendezvous
alla prudenziale distanza di 8 metri.
li s giugno Cernan effettuò una passeggiata di oltre due ore nello
spazio, caricandosi sulle spalle uno zaino delle dimensioni di una valigia
dotato di sistemi di sopravvivenza, comunicazione e spostamento, frutto
dei laboratori dcll'Air Force. li risultato non fu entusiasmante. Tra l'al­
tro, Cernan ebbe grandi difficoltà nell'eseguire i lavori affidatigli perché le
mani vagavano perennemente alla ricerca di appigli. È ben vero che il soli­
to cordone ombelicale lo assicurava alla nave, tuttavia bastava una piccola
spinta per allontanarlo dal punto di lavoro o per fargli fare una capriola.
li sudore poi, mal gestito dalla climatizzazione del casco, faceva appannare
la visiera procurando ulteriore ansia al "podista spaziale". La NASA com­
prese che qualcosa andava ripensato. Richiamata a terra dopo tre giorni e
45 orbite, la Gemini 9 si immerse nelle acque dell'Atlantico occidentale a
soli 700 metri dal punto previsto. Il programma di docking non era stato
completato e nemmeno le attività previste dalla lunghissima passeggiata
nello spazio. Ma il record di Leonov era stato polverizzato!
Trascorse un mese e mezzo e toccò alla Gemini 10 e a John Young e
Michael Collins (1930-), incaricati di collaudare le solite manovre, ossia
un rendezvous e docking con un GATV, lanciato come di consueto un paio
d'ore prima e questa volta con successo, e due attività extraveicolari, assie­
me a molti esperimenti scientifici e medici. L'ancoraggio riuscì alla quarta
orbita, dopo aver inseguito il bersaglio per 1.600 km, con un consumo di
200 LUNA ROSSA

carburante doppio del previsto. Per questo morivo il centro di controllo


ordinò agli astronauti di non sganciarsi dal veicolo bersaglio in modo da
poterne sfruttare i motori per le manovre. Infatti, proprio grazie ai propul­
sori del GATV la sonda venne trasportata a quota 760 km. Nuovo record
di altezza, perché la Voskhod-2 aveva raggiunto un apogeo di soli 475 km.
Sempre più bandiere dell'URSS venivano ammainate e sostituite da quelle
americane.
Liberatasi del proprio GATV, come un insaziabile golden retriever la
Gemini IO si mise a caccia del veicolo bersaglio abbandonato in orbita da
Gemini 8 e, avendolo rintracciato, gli si avvicinò sino a una distanza di 3 m.
Collins, che aveva già assaggiato lo spazio libero affacciandosi dalla navi­
cella senza però uscirne completamente (un'operazione detta "stand-up
EVA"), lasciò il suo nido sicuro per raggiungere il bersaglio passeggiando
nel vuoto. Aveva solo 25 minuti di autonomia per raccogliere un rivelatore
di micromereoriti agganciato al GATV-8, che era stato esposto ormai per
più mesi e quindi avrebbe dovuto risultare gravido di reperti. Ci riuscì; e
questo era ciò che contava per gli strateghi del volo verso la Luna. Ma, nel
rientrare con un po' d'affanno nella Gemini, lo perse insieme anche alla
macchina fotografica; e ciò dispiacque molto agli scienziati.
Erano stati fatti alcuni errori. Si andava però consolidando, da entram­
bi i lati della Cortina di ferro, la sensazione che ormai gli americani fossero
padroni dello spazio attorno alla Terra. Soprattutto, era finalmente riusci­
ta l'operazione fondamentale di agganciare in orbita due unità distinte,
grazie all'intelligenza dei sistemi automatici ma anche - e questo i sovie­
tici non lo avevano ancora metabolizzato - grazie all'intervento di abili
piloti. Alla quarantatreesima orbita, Gemini 10 venne fatta rientrare con
uno splashdown nell'Atlantico occidentale, a 875 km da Cape Kennedy e
a soli 5 km dal punto previsto.
Gemini II volò il 12 settembre 1966 con Pere Conrad e Richard Gor­
don (1929-2017) per una missione di tre giorni: ancora una volta un test
di docking con un GATV precedentemente spedito in orbita. Operazione
riuscita già al primo giro e questa volta con un consumo di carburante
addirittura minore del previsto. La scuola guida stava dando i suoi frutti.
I due astronauti ripeterono l'esercizio due volte per ciascuno in modo da
consolidare la procedura e poi andarono a dormire rimanendo collegati
al bersaglio. 11 giorno seguente era programmata i'EVA di Gordon della
durata di 107 minuti. L'astronauta doveva staccare dal GATV una delle
due estremità di un cordone di 30 m e collegarla alla Gemini. Ma la fatica
TAKE ME TO THE MOON

dell'operazione gli causò l'appannamento della visiera per cui, eseguito il


lavoro, tornò di corsa a bordo della navicella dopo soli 26 minuti di espo­
sizione allo spazio. 11 giorno seguente, usando il motore del GATV, la Ge­
mini venne porcara a quota 1.370 km, nuovo record di distanza dalla Terra,
battuto solo dall'Apollo 8. Tornati giù, Gordon si sporse dalla navetta a
scattare fotografie in una stand-up EVA di oltre due ore. Ripressurizzaca la
nave, i due astronauti effettuarono una manovra singolare, una specie di
tiro alla fune e girotondo. Fecero stendere il cavo di 30 metri che legava
la Gemini al GATV e posero i due oggetti in rotazione attorno al comun
baricentro. Un pezzo di bravura che ostentava l'assoluta padronanza del
mezzo e delle procedure.
Dopo aver domato, come un pellerossa col suo mustang, le inevitabili
oscillazioni innescate dall'improbabile configurazione, Pere e Richard si
godettero un pizzico di gravità artificiale per la prima volta ricreata in or­
bita. Nulla che il loro fisico potesse avvertire, che tuttavia risultava perce­
pibile negli oggetti flottanti nell'aria della cabina. Poi sganciarono il cavo
e ad abund,mtiam eseguirono un altro rendezvous senza nemmeno usare
il radar, che nel frattempo s'era guastato. Alla quarantaquattresima orbita
accesero i retrorazzi e scesero, per la prima volca in modo completamente
automatico, cosa che i sovietici facevano invece quasi sempre. Un amma­
raggio tranquillo nell'Atlantico occidentale chiuse un volo di 71 ore. Mis­
sione perfettamente riuscita.
Due mesi dopo, I' 11 novembre 1966, il lancio della Gemini 12 chiuse
il programma. 11 comandante Jim Lovell e il pilota Buzz Aldrin (1930-)
avevano il compito di ricapitolare tutte le lezioni imparate in tre anni di
prove sulle tecniche di avvicinamento e di attracco. E in effetti, durante
la terza orbita, agganciarono con facilità un GATV lanciato da un razzo di
tipo Adas. Dovettero manovrare a vista, perché il radar s'era rocco. Un'al­
tra prima volta. La procedura venne ripetuta, ma si dovette rinunciare a
utilizzare il motore del veicolo bersaglio perché si temeva un malfunzio­
namento.C'era il rischio di essere sparati fuori orbita, lontano dalla Terra.
Con la nuova classifica che ormai li vedeva in testa, gli azzardi non erano
più necessari e soprattutto erano molco sgraditi alla NASA, che temeva i
contraccolpi dei disastri sul budget.
Ora si trattava di far passare il tempo di 59 orbite. I due astronauti fu­
rono impegnati a osservare un'eclissi totale di Sole che aveva il suo cor­
ridoio in Sudamerica, e Aldrin trascorse parecchio tempo ad analizzare
le proprie reazioni in uno stand-up EVA che si concluse col primo selfìe
2.02. LUNA ROSSA

spaziale della scoria. U giorno successivo uscì nuovamente, e questa volca


in una vera passeggiata, visitando il veicolo bersaglio ancora attaccato alla
Gemini 12. e facendo anche il lavavetri... letteralmente, perché, mentre era
fuori dalla navicella, pulì gli oblò, a conferma della tipica duttilità dello
studente universitario americano. Aldrin era l'unico astronauta del grup­
po con un dottorato. U giorno dopo effettuò ancora uno stand-up EVA.
Poi la navicella rientrò, con qualche brivido, a s km dal luogo pianificato,
ultimo atto di un programma ben organizzato che aveva consegnato agli
americani il pieno possesso delle procedure per gestire le attività in orbita
terrestre. L'avversario in maglia rossa, che all'inizio della tappa li aveva
spaventati con una fuga in avanti improvvisa e inattesa, era stato raggiunto
e superato, e adesso pedalava con difficolcà per quanto ancora non domo,
accennando addirittura a qualche volata.
Per assestargli il colpo di grazia occorreva sfruttare il momento di dif­
ficoltà e le liti tra le diverse squadre della compagine sovietica. L'arma era
già pronta. Si chiamava programma Apollo, in gestazione da quando Ken­
nedy, nel 1961, aveva indetto la crociata per « far sbarcare un uomo sulla
Luna e [per] riportarlo sano e salvo sulla Terra». I precursori Mercury e
Gemini avevano avuto successo. Ora si trattava di chiudere il cerchio e
mantenere la parola data dal presidente.
Pragmaticamente, fu richiesto l'aiuto del grande pioniere della missi­
lista, Wernher von Braun, perché innanzitutto serviva un vettore potente
e affidabile. Bisognava lasciare le ormai familiari orbi re terrestri basse e li­
brarsi nello spazio a distanze incommensurabili per la scala umana, garan­
tendo agli esploratori di questa nuova frontiera una ragionevole probabi­
lità di sopravvivenza.
Al generico contribuente americano il costo economico dell'operazione
poteva sembrare esorbitante rispetto all'impatto immediato sulla sua vira
quotidiana, fatta salva la soddisfazione di dare una lezione ai bolscevichi.
Ma all'industria privata, scaltra ed efficiente, appariva invece ben chiaro che
la conquista della Luna avrebbe stimolato inimmaginabili progressi in mol­
ti settori delle scienze e delle tecnologie, tra cui l'avionica, l'informatica, i
materiali e le telecomunicazioni, con formidabili ritorni per la ricchezza e
il prestigio del paese. Orgoglio, quattrini e benessere, dunque, contro un'u­
topica ed eroica celebrazione del socialismo, foglia di fico di ben altri dise­
gni politici e meno nobili ambizioni. James Webb lo aveva ben chiaro e lo
avrebbe ribadito nel 1966, in occasione di un'audizione del Comitato per le
scienze spaziali e aeronautiche del Senato degli Stati Uniti:
TAKE ME TO THE MOON 2.03

Ritengo che l'atterraggio lunare sia erroneamente considerato l'obiettivo princi­


pale [del programma Apollo]. La capacità di operare nello spazio, di vedere che
cosa si può o non si può fare, e poi di andare avanti a fare quelle cose che si posso­
no fare e che sono utili alla nazione è, penso, [un concetto] che diventerà palese
nel budget del 1968".

Fissato l'obiettivo, per gli USA si trattava di definire la strategia di massi­


ma. Due erano le vie possibili: andare dritti alla Luna con un supermissile,
che però doveva essere ancora sviluppato, oppure arrivarci dopo una sosta
tecnica in un'area di servizio. Wernher von Braun, ad esempio, proponeva
di dimezzare i carichi da lanciare, dividendo la navicella dal serbatoio del
carburante. Una soluzione, questa, valutata anche da Korolev. Le due unità
sarebbero state poste in orbita terrestre separatamente e lì assemblate per
raggiungere la Luna, effettuare lo sbarco e poi tornare a farsi catturare dalla
gravità terrestre. Sembrava l'uovo di Colombo, perché sfruttava appieno
tutto quanto già sperimentato dalle missioni Gemini. C'era però un grup­
petto di ingegneri della NASA che la pensava diversamente. li loro portavoce
eraJohn Houbolt (1919-2.014), un quarantenne dell'Iowa con un dottorato
conseguito al prestigioso Politecnico federale di Zurigo. La sua proposta ro­
vesciava la prospettiva. L'orbita di servizio doveva essere attorno alla Luna
e non per assemblare qualcosa, bensì per dividere la navicella in un modulo
di comando ( Command Service Module - CSM), da lasciare in orbita e poi
usare per il ritorno sulla Terra, e in uno di poco peso per l'escursione lunare
(Lunar Excursion Module - LEM), da impiegare come ascensore per calarsi
sul satellite e poi risalire a riacchiappare l'autobus per casa.
Il Lunar Orbit Rendezvous (LOR) comportava un aumento dei rischi.
Se qualcosa fosse andato male, non si sarebbe potuto contare sulla gravità,
che nelle orbite terrestri basse assicurava un rientro naturale. «Houbolt dà
agli astronauti il 50% di probabilità di sbarcare sulla Luna e lo 0,1 di torna­
re sulla Terra», si disse. Tuttavia, il suo schema rappresentava una scorcia­
toia capace di rimettere in gioco l'America quando ancora i sovietici con­
ducevano la corsa. In breve, anche von Braun si persuase a promuoverlo.
L'idea non era nuova. Oltre che da Oberch, era stata elaborata negli
anni della Prima guerra mondiale da uno scienziato ucraino,Jurij Vasilievic
Kondratyuk (1897-1942.), pioniere dell'astronautica e dei voli spaziali, teo­
rico e visionario. Un personaggio con una vita ai limiti della fiaba che vale
la pena di raccontare, anche perché il suo ruolo nella saga lunare è stato
riconosciuto ufficialmente dalla NASA e dallo stesso Neil Armstrong.
LUNA ROSSA

Nato in una famiglia benestante a Poltava, allora città dell · impero russo
nel Sud-Est dell'Ucraina, il suo vero nome era Oleksandr Ignat'evic Shargei.
Il padre aveva studiato fisica all'università. La madre, insegnante di france­
se e attivista dei diritti civili, discendeva da un ceppo di militari di fama.
Giudicata pazza, era stata rinchiusa in manicomio quando Oleksandr era
ancora bambino, cosicché lui era staro cresciuro dai nonni paterni. Mentre
frequentava il Grande politecnico di Pietrogrado, lo zar dichiarò guerra al
Kaiser, e il giovane venne arruolato per combattere i tedeschi e spedito nel
Caucaso settentrionale a comandare un plorone di mitragliatrici. Lì trovò
il tempo per riempire di riflessioni e calcoli sui voli spaziali alcuni quaderni
cominciati quand'era diciassettenne. Un altro Ciolkovskij con un destino
persino più singolare del genio di Kaluga. I concetti anticipati nei quaderni
riguardavano delle protocelle a combustibile alimentate dal calore solare,
un razzo multistadio per andare sulla Luna utilizzando un parcheggio in
orbita attorno al satellite, una tuta spaziale, il controllo d'assetto dei razzi
mediante un giroscopio e la sua celebre fionda gravitazionale per guadagna­
re spinta dal!' incontro « ben temperato» con un corpo celeste''.
Alia firma dell'armistizio con le Aquile nere tentò di tornare a casa.
Venne invece forzosamente arruolato dai Bianchi del generale Kornilov.
Disertò e fuggì a Poltava, ma il suo nome era ormai nelle liste di proscri­
zione degli ufficiali zaristi e dei disertori. Per salvarsi la pelle decise allora
di cambiare la propria identità con quella di un morto e di lasciare i luoghi
dove poteva essere riconosciuro. Con il nuovo nome di Jurij Kondratyuk
si stabilì a Novosibirsk, in Siberia. Qui radunò i suoi appunti in un libretto
pubblicaro nel 192.s con il tirolo La conquista dello spazio inte,planetario.
1n seguito, accusato di sabotaggio per aver costruiro un ingegneristico si­
los granario privo di chiodi metallici {un'innovazione giudicata come una
congiura per indebolire la struttura), fu condannaro a tre anni di gulag, ma
venne presro trasferito in una farafka per sfruttare la sua creatività e avvia­
to a studiare fonti alternative per l'approvvigionamenro energetico delle
campagne. Qui fu notato dal commissario per l'Industria pesante, liberato
e spediro a Charkiv, a sud-est di Poltava. Passando da Mosca, Jurij incon­
trò il giovane Korolev che tentò invano di coinvolgerlo nei suoi progetti
spaziali. Chissà che cosa sarebbe successo se ci fosse riuscito. Kondratyuk
trascorse il resto della sua breve vita occupandosi di centrali coliche. Allo
scoppio della Seconda guerra mondiale venne arruolaro in fanteria e morì
in circostanze sconosciute il 2.5 febbraio 1942. nel villaggio di Krivtsov,
oblast di Orci, 2.7 anni prima che le sue elucubrazioni spaziali diventassero
TAKE ME TO THE MOON 2.os

realtà'•. Un suo grande concittadino, Nikolaj Gogol', aveva scritto: «Che


forza strana e ammaliante, e trascinante, e piena d'incantesimo in questa
parola: viaggio! E com'è pieno esso stesso d'incantesimo, il viaggio!». E
quale viaggio è più ammaliante di quello alla bella Selene?
E infatti la Luna era l'obiettivo del programma Apollo. Dopo moire in­
certezze, nel novembre 1962. l'architettura della missione fu approvata e 11
ditte aerospaziali invitate a gara. Per il LOR serviva un megarazzo che por­
tasse gli astronauti ali 'orbita lunare. Ci pensarono von Braun stesso e Archur
Rudolph (1906-1996), un altro valente scienziato nazista trasferito in USA
nel 1945 grazie all'operazione Paperclip. Negli uffici e nei laboratori del
Marshall Space Flighc Center della NASA si udivano spesso parole o intere
frasi in tedesco, che adesso suonavano come altrettante rassicurazioni: i ma­
ghi di Hitler erano al lavoro per la bandiera a stelle e strisce. U risultato del
loro sforzo fu il Saturn V, il più grande razzo mai realizzato dall'uomo. Alto
111 m, largo 10, con una massa netta di 130 tonnellate che diventavano 3.000
dopo il pieno di carburante, si sviluppava su ere scadi a propellente liquido
realizzaci rispettivamente dalla Boeing, dalla North American Aviacion (la
ditta che aveva fornico i B-52. all'Air Force) e dalla Douglas.
L'adozione del programma Apollo determinò un formidabile cambio di
scala nell'ente spaziale, unico responsabile del!' impresa. In meno di un lustro
l'organico della NASA crebbe di quattro volte, arrivando a 36.000 unità. U
ricorso sistematico ad appalci esterni assegnati ad aziende private ma anche
a istituti universitari come il Massachusetts lnstitute ofTechnology (MrT)
diede lavoro a quasi 400.000 persone. Vennero costituiti centri di ricerca e
sviluppo completamente nuovi. A partire dal 1962. il budget totale dell'ente
schizzò a 5 miliardi di dollari all'anno, pari al potere d'acquisto di 34 miliardi
di euro odierni, oltre dieci volte di più di quanto i sovietici fossero in grado di
investire. Di questa montagna di soldi, il 60% venne utilizzato per l'Apollo,
principalmente per la realizzazione della navetta e del Saturn V, per i metico­
losi tese a terra e per lo sviluppo del!' informatica necessaria alla progettazio­
ne e al volo. I requisiti erano stringenti: motori potenti e riaccendibili, con
propellenti aucoinnescanti per evitare il rischio di fallimenti nell'accensione,
e soprattutto grande affidabilità. La NASA richiedeva infatti a progettisti e
appalcarori di certificare una probabilità d'insuccesso dell'hardware com­
plessivamente inferiore ali' 1% e allo 0,1% quella per la perdita dell'equipag­
gio. Per raggiungere un obiettivo tanto ambizioso fu istituita la regola della
ridondanza: nei limiti del possibile, ogni unità critica doveva disporre di un
backup, ossia di un sostituto o di un piano B da utilizzare in emergenza.
206 LUNA ROSSA

Wernher von Braun posa davanti ai motori del bnc1:1tore S:uurn v che ponn:Ì sulb L11n:1
la navicella Apollo 11 della NASA. consentendo :1 Ncil Armqrong c :1 Buzz A Idrin di pos:in:
per primi il piede sulla superficie del s:ircllitc. Si rr:itr:1 di un vcro vt.:icolo e�posro pre�so lo
US Space Rocker Ccntcr di Humsvillc, in Alabama. Progcrtato e sviluppato dalla compa­
gnia Rockerdyne sono la direzione dello Stesso von Braun (1969 ca.).

Le modalità con le quali avrebbe dovuto svolgersi il viaggio sulla Luna


contemplavano in primo luogo la scelta della traiettoria e l 'individuazio­
ne della finestra di lancio. L'allunaggio doveva avvenire sulla faccia visi­
bile della satellite, in maniera da mantenere un contatto radio costante, e
TAKE ME TO THE MOON

all'avvio del giorno lunare (di 2.9 giorni terresti), per consentire al pilota
del LEM di sfruttare le ombre lunghe nella scelta del sito adatto. Era es­
senziale che il modulo lunare cadesse in piedi, pena l'impossibilità della
ripartenza, con conseguente perdita dell'equipaggio.
Le II missioni umane sull'Apollo mandate nello spazio dall'ottobre
1968 al dicembre 1972. ebbero tutte analogo svolgimento. Come di prassi,
il via alla missione era dato alla fine del conto alla rovescia. Al comando di
"ignition sequence start" venivano accesi i cinque motori del primo stadio
del Saturn V. Servivano IO secondi perché raggiungessero una spinta pari
al peso; a quel punto il razzo, con la navicella Apollo in cima, poteva so­
stenersi e decollare. Poi si facevano saltare i bulloni esplosivi che la ancora­
vano al castello di lancio e l'incredibile torre bianca spiccava il volo, divo­
rando 15 tonnellate di carburante al secondo. Passati due minuti e mezzo,
il razzo raggiungeva la velocità di 10.000 km l'ora e la quota di 60 km.
Avendo esaurito la sua funzione, il primo stadio veniva sganciato e lasciato
cadere in mare al largo di Cape Kennedy. Ora toccava al secondo stadio,
sette volte meno muscoloso perché la massa da accelerare s'era nettamente
ridotta. Triplicate quota e velocità, anch'esso si esauriva e veniva abbando­
nato per cedere il passo al terzo e ultimo stadio. Questo aveva un primo
compito di spingere per una manciata di secondi in modo da collocare
in un'orbita terrestre circolare sé stesso e il carico costituito dal CSM, una
navicella simile alla Gemini ma IO volte più pesante e capace di ospitare
tre astronauti, e dal LEM, più somigliante all'incubo di un pittore cubista
che a un'astronave. Mancava infatti totalmente di aerodinamica, dovendo
operare in assenza di atmosfera, ed era esso stesso fatto di due parti: un'u­
nità per scendere sulla Luna e una cabina con un motore per risalire.
Effettuato un giro e mezzo attorno alla Terra, il terzo stadio riaccen­
deva il motore per inserirsi in un'orbita di trasferimento con destinazione
Luna. Esaurita anche questa incombenza, entravano in azione gli astro­
nauti ospitati nel CSM. Essi dovevano disancorare il modulo di comando e
servizio dall'ultimo moncone del Saturn, ruotarlo di 180°, agganciare con
la punta il LEM, estrarlo dal suo contenitore e proseguire il viaggio verso
la Luna, mentre il terzo stadio, ormai inutile, si perdeva nello spazio. La
traversata durava poco più di tre giorni, durante i quali una lenta rotazione
de li 'Apollo attorno ali'asse di simmetria favoriva un'uniforme distribuzio­
ne del calore solare.
Raggiunta la Luna grazie anche a qualche piccola correzione di rotta
suggerita dal centro di controllo di Houston, il motore del CSM veniva
2.08 LUNA ROSSA

acceso il tempo necessario a rallentare la corsa e ad immettersi in un'orbita


lunare. La traiettoria di avvicinamento era stata scelta in modo raie che, ove
il motore non avesse funzionato, la navicella Apollo avrebbe fatto un giro
di boa attorno alla Luna e sarebbe tornata direttamente verso Terra. Una
manciata di rivoluzioni per studiare la situazione e poi un colpo di motore
ben assestato trasformava l'orbita lunare in un'ellisse con un perilunio a
soli 1s km dalla superficie del satellite e un apolunio di rno. Quote non pra­
ticabili per le orbite terrestri a causa dell'attrito atmosferico. Ora si poteva
liberare il LEM, in cui nel frattempo s'erano trasferiti due degli astronauti,
e manovrare in modo che, annullando la componente tangenziale di velo­
cità, questo venisse attratto dalla Luna, contrastandone la debole gravità
tramite un retrorazzo (senz'aria i paracadute non funzionano).
U pilota doveva essere allenato a trattare il modulo lunare (lander)
alla stregua di un elicottero, in modo da dirigere l'allunaggio sul terreno
migliore mediante spostamenti orizzontali. Il tutto in poco tempo e con
poco propellente. Dopo il rouchdown, si svolgevano le operazioni sul
suolo del satellite, fondamentalmente un'EVA sui generis per la presenza
della pur scarsa attrazione gravitazionale (la quale fa sì che un uomo di 70
kg "senta" di pesarne solo 12.). Poi, col ritorno degli escursionisti nel LEM,
la parte superiore del lander risaliva usando un proprio motore, avendo
sfruttato il modulo di discesa come rampa di lancio. Seguivano l'ingresso
in orbita lunare, il rendezvous con il modulo di comando, il docking e il
rientro nel CSM dei due astronauti scesi sulla Luna.
A quel punto, la missione stava volgendo alla fine. Con il CSM dall'altra
parte del satellite rispetto alla Terra, veniva acceso il motore per riprende­
re la traiettoria di trasferimento. Ancora un momento critico, perché un
errore nella spinta poteva lanciare gli astronauti in orbita eliocentrica con­
dannandoli a morte certa. Superato anche questo scoglio, altri tre giorni di
°
viaggio e un EVA per recuperare il materiale dal modulo di servizio (foro e
trappole per i micromereoriri) e infine l'arrivo in prossimità della Terra, lo
sgancio del modulo di servizio e il rientro in atmosfera della sola capsula
di comando frenata dallo scudo termico e dai paracadute, fino all'amma­
raggio in qualche specchio di mare poco trafficato.
Di cerro, c'era da avere paura. Troppe cose potevano andare storte,
condannando l'impresa e traendo a morte l'equipaggio. Onore a chi, cin­
quanta anni fa, seppe farlo più volte, con precisione chirurgica perché tut­
ce le missioni da Apollo 7 ad Apollo 17 furono coronate da successo: ogni
cosa filò perfettamente, come in un miracolo o in una favola per bambini.
TAKE ME TO THE MOON 2.09

Tune, ali' infuori di una, proprio quella che avviò il programma e che
portò alla morte degli astronauti Grissom, W hite e Roger Chaffee (1935-
1967 ), arsi nel rogo della navicella Apollo I in un'esercitazione da fermi
il 2.7 gennaio 1967. Non molto tempo prima, Grissom aveva detto: «Se
moriamo, vogliamo che la gente lo accetti. Siamo in un'impresa rischiosa
e speriamo che se qualcosa dovesse accaderci, non ritarderà il program­
ma. La conquista dello spazio vale il rischio della vita». La NASA prese
sul serio le sue parole e continuò il programma. Dal novembre 1967 all'a­
prile 1968 furono effettuate ere missioni senza equipaggio - Apollo 4, s
e 6 - per collaudare l'hardware. Poi, I' 11 ottobre 1968, Walcer Schirra
(comandante), Donn Eisele (1930-1987) e Walter Cunningham (1932.-)
fecero un primo test dell'astronave lunare restando in orbita terrestre.
Dall'altra parte della Cortina di ferro, Misin proseguiva lungo la linea
tracciata da Korolev. Dopo la tragica fine di Komarov, la Sojuz, la "macchi­
na del futuro" a detta del progettista capo che l'aveva concepita, era stata
rivisitata da capo a piedi e modificata in quelle parti che avevano dimostra­
to le maggiori criticità, a partire dai paracadute. I sovietici continuavano a
preferire per i rientri il duro terreno alle onde del mare perché disponeva­
no di ampie praterie per l'atterraggio mentre avevano difficoltà a trovare
uno specchio d'acqua che non presentasse problemi logistici quasi insupe­
rabili e il rischio di consegnare le navicelle in mani indesiderate.
Archiviata la verifica sulle missioni di avvicinamento alla Luna, biso­
gnava sperimentare l'aggancio vero e proprio. Vista l'opzione del totale
automatismo, il 30 ottobre 1967 furono lanciate due navicelle Sojuz senza
equipaggio che eseguirono brillantemente l'attracco ma manifestarono
ancora numerose pecche, al punto che una delle due dovette essere distrut­
ta in volo. Per camuffare la vera natura delle fallimentari missioni, vennero
chiamate Cosmos 186 e 188. li lupo russo non aveva perduto nemmeno il
pelo, oltre al vizio.
L'esercizio venne ripetuto con le Cosmos 2.12. e 2.13, lanciate il xs aprile
dell'anno successivo, questa volta con grande soddisfazione. Tutto aveva
funzionato a regola d'arte. Si poteva riprovare con un equipaggio umano.
La questione da dirimere era la configurazione della prova, che contempla­
va I· aggancio e il passaggio di uno o due astronauti da una Sojuz ali' altra.
Dopo estenuanti discussioni avvelenate da interessi di parte e da fattori
ideologici, che coinvolsero anche la selezione degli equipaggi, si convenne
di ridurre i rischi inviando un solo cosmonauta e una seconda navicella
senza equipaggio. Per governare la Sojuz 3 fu dunque scelto il quarantaset-
2.10 LUNA ROSSA

tenne Georgij Beregovoj, gradito a Breznev in quanto anche lui ucraino.


Il lancio ebbe luogo nel pomeriggio del 2.6 ottobre 1968. Il giorno prece­
dente era stata spedita in orbita, sempre da Baikonur, la scarola vuota della
Sojuz 2.. L'incontro tra i due veicoli spaziali andò bene, ma l'accracco fallì
per banali errori di montaggio delle luci di guida e per una cerca imperizia
di Beregovoj nel governare la navetta. L'atterraggio, quattro giorni dopo,
fu assolutamente perfetto. Tuttavia, nel complesso la missione venne con­
siderata un fallimento.
Il programma Apollo, invece, camminava spedito e senza intoppi in
direzione della Luna. Il 2.1 dicembre 1968 venne lanciato l'Apollo 8 con a
bordo Frank Borman,Jim Lovell e W illiam Anders (1933-), che raggiunse­
ro l'orbita lunare e poi riuscirono a ritornare a casa sani e salvi. Un' impresa
epocale che poneva l'America largamente davanti agli avversari. Va detto
che la missione era stata programmata con un altro obiettivo: provare le
operazioni con il lander rimanendo in orbita terrestre. Ma poiché il LEM
non era pronto, la NASA la trasformò in un'impresa diversa per tirare su
il morale della nazione, ferita da un anno particolarmente difficile, tanto
più che James Webb era stato informato dalla CIA che i sovietici scavano
organizzando essi stessi una missione lunare. Bisognava giocare d'anticipo.
magari costringendo l'avversario a un passo falso. «Non eravamo sicuri di
poter vincere, ma eravamo sicuri di poter gareggiare», avrebbe ricordato
poi il coraggioso amministratore della NASA.
A Webb rintronavano ancora nelle orecchie le parole sarcastiche rivol­
tegli da un senatore del Missouri in occasione di un'audizione a Capito!
Hill dopo la passeggiata spaziale di Leonov quattro anni prima. Ali 'os­
servazione che i sovietici fossero in una posizione di vantaggio nella corsa
alla conquista dello spazio, il capo della NASA s'era difeso rispondendo
che «i russi stanno facendo cose più spettacolari di noi, però noi dispo­
niamo di attrezzature scientifiche molto più raffinate. Abbiamo svolto
missioni fotografiche superbe, abbiamo perfezionato apparecchi e stru­
menti di valore incalcolabile». Bruciante la replica del senatore: «Voi
della NASA parlate e parlate e fate dell'ocrima propaganda. Ma poi i farti
sono a favore degli altri. Siete bravissimi, ineguagliabili, però poi arriva­
no i russi e passeggiano nello spazio». Finalmente si stava presentando
l'occasione per far inghiottire ali' insolente polirico le sue affermazioni.
Ormai la Luna era a tiro.
Seppure staccaci di molto, i sovietici proseguivano però lungo il loro
percorso e, con le Sojuz 4 e s lanciate in orbita terrestre rispettivamente il
TAKE ME TO THE MOON 2.11

14 e il 15 gennaio 1969, riuscirono a collezionare un altro record. Le due


navicelle si agganciarono il 16 gennaio, restando unite per 4 ore e mezzo.
Due cosmonauti, Aleksej Eliseev ed Evgenij Chrunov, transitarono in mo­
dalità EVA sulla Sojuz 4'1, lanciata nello spazio con un singolo passeggero,
Boris Volynov (1934-), mentre Vladimir Sacalov (192.7-) rimaneva da solo
nella Sojuz 5. Mano,·ra riuscica!'6
Era il primo pa_sso per la realizzazione di una stazione spaziale assembla­
ta in orbita pezzo.dopo pezzo, nonché la dimostrazione della faccibilicà di
quegli agganci in volo indispensabili per il viaggio sulla Luna. Von Braun
aveva avuto ragione. Non si potevano battere i bolscevichi su questo ter­
reno. Ma su quello della conquista della Luna sì. E infacci, il 3 marzo Pece
Conrad, Richard Gordon e Alan Bean (1932.-2.018), a bordo dell'Apollo 9,
eseguirono con pieno successo il test del modulo lunare lasciato indietro
da Apollo 8. Quarantacinque giorni dopo, l'esercizio venne ripetuto in or­
bita lunare da Stafford, Young e Cernan sull'Apollo 10. Era giunca l'ora
della verità.
Il 16 luglio 1969, all'una e mezzo del pomeriggio, tempo di Greenwich,
Nei! Armstrong, Michael Collins e Buzz Aldrin partirono da Cape Ken­
nedy per conquistare il satellite della Terra. Tucco come da manuale: lan­
cio, orbita terrestre di parcheggio, trasferimento sulla Luna, ingresso in
orbita e distacco del modulo di discesa. Alle ore 2.0,18 del 2.0 luglio il LEM
Eaglc si posò sul suolo del remoto corpo celeste. «Houscon, qui base della
Tranquillità. L' Eagle è atterrato», comunicò Armstrong, che insieme ad
Aldrin aveva preso posto nel lander, lasciando Collins sulla navetta Co­
lumbia a fare la guardia in orbita.
«La voce di Nei! era calma, sicura, soprattutto chiara!», avrebbe decco
poi Alan Shcpard, il primo americano ad andare nello spazio, parlando del
primo umano ad andare sulla Luna. A Houscon ci fu un attimo di assoluto
silenzio, poi un 'esplosione di incontenibile gioia. La nazionale scacunicen­
se aveva cagliato il traguardo.
Dopo sei ore e mezzo di preparativi, Armscrong uscì dal LEM e scese con
giustificata circospezione la scaletta. Col cuore in gola, insieme al mondo
che lo vedeva in differita di poco più d'un secondo (canto impiega la luce ad
arrivare sulla Terra dalla Luna), poggiò per la prima volca il piede su quella
«magnifica desolazione», pronunciando la famosa frase, di cerco preparata
in anticipo: «Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo
per l'umanità»", e aggiudicandosi gioco, partita e incontro.
La Luna non doveva più aspeccare. Gli yankee avevano stravinco il palio
212 LUNA ROSSA

Il 21. luglio 1969 b corsa alla Luna è uffìcialmcnrc vinta d:igli Sr:ni Uniri d'America. Nei\
Armscrong e Buzz Aldrin. due dei tre cornponcn,i dell'equipaggio dcli 'Apollo 11. possono
pianrarc la bandiera a stelle e strisce sulla superficie:: del satdlirc, primi esseri ununi a ctl�
care il suolo di un corpo cclcsrc diverso dalla Terra {www.nasa.gov).

beffardamente sventolato per lungo tempo dalla sorte davanti agli occhi
dei sovietici. Il loro N 1, provato a gennaio e ali' inizio di I ugl io, aveva fallito.
Non sarebbe mai riuscito a volare. Game over.
La "Pravda" comunicò il trionfo americano con un articoletto in pri­
ma pagina seguito da tre colonne all'interno del giornale: la notizia non
poteva essere taciuta, ma neppure le si poteva dare troppa enfasi. Quanto
ai cittadini dell'ormai debole Unione delle Repubbliche Socialiste So­
vietiche, come avrebbe detto in un'intervista Sergej Chruscev, essi erano
troppo concentrati a «confrontarsi con problcm i quotidiani crescenti»
per preoccuparsi del colore della Luna, se rosso sangue o a stelle e strisce
bianche e blu.

Penso che la Russia non abbia avuto la possibili,à di arrivare davanti agli america­
ni.{ ... ] KorolCv non era uno scienziato, né un progecrisra: solo un brillante mana­
ger. li problema era la sua mcnralicà. Intendeva usare in qualche modo il lanciatore
che aveva. La sua lilosofìa era: non lavoriamo per tappe, ma assembliamo tu[[O
e poi proviamo. E alla fine funzionerà. Ci furono diversi tentativi e fallimenti.
Inviare l'uomo sulla Luna è una faccenda troppo complicata, troppo complessa
per un simile approccio. Penso che il progetto fosse condannato fin dall'inizio.
TAKE ME TO THE MOON 213

L'opinione di Sergej Chrusè'ev, ancorché autorevole, è però inficiata dal


suo legame ombelicale con Celomej, uno dei rivali di Korolev, e dalla
constatazione che, anche dopo l'Apollo II e l'abbandono del programma
lunare per mancanza di motivazioni, i sovietici prima e poi i russi di oggi
hanno continuato a essere una grande potenza nello spazio, rivali e partner
di primo piano per il resto del mondo.
Una nota patetica.James Webb, l'uomo che aveva guidato la NASA alla
rimonta, s'era dimesso l'anno precedente lo sbarco sulla Luna, allo scadere
del mandato presidenziale di Johnson. Democratico convinto e militan­
te, a seguito dell'elezione di Nixon aveva preferito fare un passo indietro
piuttosto che esporsi allo spoils system inevitabile con un nuovo presiden­
te repubblicano. Dopo quasi mezzo secolo l'America lo ha però voluto
ringraziare intitolandogli il secondo, prestigioso telescopio spaziale' 8: quel
JWST (James Webb Space Telescope, appunto) che la NASA, in collabora­
zione con l'Agenzia spaziale europea e quella canadese, dovrebbe lanciare
entro il prossimo quinquennio.
«I razzi che hanno reso possibile il volo nello spazio rappresentano un
progresso che, più d'ogni altra vittoria tecnologica del xx secolo, era radi­
cato nella fantascienza[ ... ]. Una cosa che nessuno scrittore di fantascienza
ha immaginato, però, per quanto ne so», avrebbe scritto Isaac Asimov, lo
scrittore di fantascienza russo naturalizzato statunitense, «era che gli sbar­
chi sulla Luna sarebbero stati guardati dalla gente sulla Terra attraverso la
televisione» '9• Sbarchi in diretta e poi guerra in diretta, per fare partecipi
i contribuenti.
Non c'era nessuna folla estatica e plaudente quando Colombo si ingi­
nocchiò sulla spiaggia di ciò che credeva il Cipango, battezzando quella lin­
gua di terra "San Salvador". Solo un manipolo di canaglie arrivate su legni
di seconda mano messi a disposizione di un avventuriero dai cattolicissimi
re di Castiglia e Aragona. L'impresa da cui nacque l'evo moderno aveva ri­
chiesto un investimento molto modesto. La conquista dello spazio ha bru­
ciato invece fiumi di denaro e s'è conclusa davanti a un pubblico da mondo­
visione, perché non di sola avventura si trattò, bensì di un investimento e di
un braccio di ferro tra due giganti, di cui uno con i piedi d'argilla.
Costata molto, la corsa alla Luna aveva reso più che altro in immagine.
Ora lo spazio chiedeva un nuovo e più grande sforzo per adempiere compiu­
tamente al destino dell'uomo. Per questo occorreva fare squadra e mettere
fine alla rincorsa al missile più potente. La Luna violata aiutava a porre mano
a un disarmo controllato e a unire gli sforzi per la colonizzazione dello spazio.
2.14 LUNA ROSSA

Ed è successo davvero, stando alle parole di Charles Bolden, già ammi­


nistratore della NASA, e di John Holdren, consigliere anziano del presi­
dente Barack Obama: «Con una partnership che comprende 15 nazioni
e con 68 nazioni che attualmente utilizzano la Stazione spaziale interna­
zionale in un modo o nell'altro, questo laboratorio orbitante unico è una
chiara dimostrazione dei benefici che l'umanità può ottenere attraverso
una cooperazione globale pacifica»"0•
Poi sono venute le dichiarazioni di Trump con cui abbiamo aperto que­
ste pagine. Ma quella è un'altra storia, parecchio diversa, parrebbe, dalla
vicenda dei paladini e dei mori alla Roncisvalle lunare. Una storia profe­
ticamente delineata da Verne nell'incipit del suo Dalla Terra alla Luna:

Durante la guerra di Secessione americana fu fondato nella città di Baltimora,


nel cuore del Maryland, un nuovo circolo estremamente influente. È risaputo
quale forza abbia acquistato l'istinto militare presso questo popolo di armatori,
di mercanti e di meccanici. Umili bottegai abbandonarono i loro scanni per im­
provvisarsi capitani, colonnelli, generali, pur senza aver mai frequentato i corsi di
West Point, uguagliando ben presto nell'"arte della guerra" i colleghi del vecchio
continente, e al pari di questi conseguendo vittorie a forza di sperperare munizio­
ni, milioni e uomini.
Ma la cosa in cui gli americani superarono di gran lunga gli europei fu nella
scienza della balistica. Non già che le loro armi avessero raggiunto un grado più
alco di perfezione, ma erano di proporzioni inusitate, pervenendo in tal modo a
portate sino a quel momento sconosciute.
ln facto di tiri radenti e diretti, concentraci, d'infilata o di sbarramento, inglesi,
francesi e prussiani non hanno più nulla da imparare; ma i loro cannoni, i loro
obici, i loro mortai non sono che gingilli tascabili in paragone ai formidabili con­
gegni dell'artiglieria americana".

Non c'è speranza? Homo homini lupus per sempre? «Era una notte mera­
vigliosa. Una di quelle notti come forse possono essercene soltanto quan­
do si è giovani [...]. Il cielo era così stellato e così luminoso che, guardan­
dolo, involontariamente veniva da chiedersi: possibile che sotto un cielo
come questo possano vivere persone adirate e lunatiche di vario genere?»,
scriveva Fedor Dostoevskij nel!' incipit di Le notti bianche". Domanda re­
torica. Sappiamo tutti che è possibile! Ce lo insegna la storia. Ma, oltre
agli uomini con la loro ira e cattiveria, ce ne sono altri, «li omini boni» di
Leonardo da Vinci, che guardano le stelle e scalano il cielo. Un pizzico di
speranza nel pessimismo della ragione.
Ringraziamenti

Come sempre nella vita, nulla è mai il frutto di uno solo. Questo libro non
fa eccezione. Molte persone mi hanno aiutato a scriverlo, a correggerlo e
ad arredarlo in modo acconcio. A loro devo un profondo ringraziamento,
conservando per me la responsabilità di errori e omissioni. Ringrazio gli
amici di Mosca e di Charkiv per gli stimoli, le utili conversazioni e gli aiuti
con i cesti in lingua russa. In particolare, Michail V. Sazhin, che sa di fisica
come pochi al mondo, Jurij G. Skuracov, specialista della Luna, il rettore
dell'Università nazionale Karazin di Charkiv, Vii S. Bakirov, e sopraccucco
Elena Y. Bannikova, che ha risposto sempre con sapiente gentilezza alle
mie reiterate richieste. Sono grato i miei amici Alessandro Beccini, fisi­
co padovano e uomo di ampia cultura, e Pietro Greco, maestro di divul­
gazione scientifica, alle profrssoresse Angela Della Valle Adelini e Paola
Capaccioli Giorgi e alla dottoressa Bella B. Takushinova per aver lecco e
chiosato il manoscritto. Un ringraziamento particolarmente caloroso va a
Luisa Castellani, che non solo ha risciacquato il cesto in Arno con cortese
rigore, passando al pettine ficco ogni singola frase e ogni affermazione, ma
ha anche composto con vera sapienza l'archiceccura della bibliografia ra­
gionata. Per merito suo il cesto è più bello, più chiaro e più rigoroso. Infine,
un grazie a Gianluca Mori che mi ha proposto il progetto, costringendomi
così a rivivere le emozioni provate quando, da ragazzo, ascolcavo in diretta
le notizie, allora quasi sconvolgenti, dei successi russi e poi americani nella
corsa alla Luna.
Note*

Ballata ddla luna luna

1. New Space Policy Directive Callsfar Human Expansion Across Solar System, NASA,
Dee. 11, >017, in https://www.nasa.gov/prcss-release/new-space-policy-direccive­
calls-for-human-expansion-across-solar-syscem.
>. Trump Orders Space Forcefar /lmerican Dominance" Signs Space-Trajfic Policy, in
https://www.space.com/409,1-trump-space-craffic-policy-american-leadership.hcml.
3. Rema,·ks by President 1ì·1m1p at a Meeting with the National Space Council and
Signing of Space Policy Dil·ective-3, in hccps://www.whicehouse.gov/briefings-scace­
mencs/remarks-presidenc-crump-meecing-nacional-space-council-signing-space-po­
licy-direcrive-3/-.

L'alba

1. Per ricavare 1 'ora ufficiale di Mosca o di Baikonur, dov'era la base di lancio sovietica
(oggi della Federazione russa), basca aggiungere rispettivamente 3 o 6 ore al tempo di
Greenwich (detto anche tempo coordinato universale o UTC).
>. L'ippogrifo lo conduce al paradiso terrestre dove lo accoglie san Giovanni Evange­
lista che lo informa della pazzia d'Orlando e lo accompagna sulla Luna con un carro
volante.
3. Classico "lanciatore", impiegato per sbalordire, come nel racconto del barone di
Miinchhausen, o per uccidere, come il "cannone del Kaiser Guglielmo" e l'hideriano
Schwerer Guscav, due megacannoni fabbricati dalle acciaierie Krupp di Essen e tra­
sportati su ferrovia.
4. Verne, ad esempio, tratta correttamente l'inerzia, ma non l'assenza di gravità cui
avrebbero dovuto essere esposri gli inquilini del proiettile-astronave. Né si pone il
problema di stabilire se l'impulso necessario al viaggio alla volta della Luna paresse
essere tollerabile per un organismo umano, limitandosi a immaginare, come conse­
guenza, un semplice svenimento.
5. Frustrazioni comuni a molci scienziati fai-da-te, di cui è fulgido esempio Giovanni

• Per tutti i siti menzionati l'ultima consultazione risale a12. aprile 2.019.
2.18 LUNA ROSSA

Battista Odierna (1597-1660), arciprete del feudo dei Tornasi a Palma di Montechiaro
(antenati dell'autore del Gattopm·do), che nel Seicento compilò per primo al mondo
un catalogo di nebulose celesti. Fervente cultore di scienza, dal profondo della Sicilia
lamentava di non avere «socium, ve! amicum, aut propinquum, quo paululum su­
blevari possim. Mens mea praeceptor meus, et difficultates meas nulli communico»
("Un partner o un amico o una persona vicina cui potermi appoggiare un poco. Ho
solo la mia mente per insegnante, e nessun altro per condividere le mie difficoltà").
Luoghi e tempi diversi, ma storie comuni ai "geni di periferia".
6. Nel 1918, Lenin sarebbe ricorso all'argomento contrario per riportare la capitale
sulle rive della Moscova.
7. Il cosmismo russo è una teoria che rifiuta la contemplazione a favore della trasfor­
mazione, e che ha per fine la creazione, da parte degli uomini stessi, di un mondo nuo­
vo dove i vivi non muoiano e i morti risorgano, e dove vi sia pieno possesso del cosmo.
8. La miseria fu costante compagna di Konstantin e della sua famiglia. L'uomo che
voleva conquistare lo spazio aveva un secondo grande sogno, quello di possedere una
mucca come segno di benessere e garanzia per il quotidiano e per il futuro.
9. Un approccio indubbiamente severo e tuttavia più umano di quello di Cristoforo
Clavio (1537-16a), l'arcigno matematico gesuita che, turbato dal reiterato spettacolo
d'una fanciulla intenta ad asciugarsi i lunghi capelli al sole, fece murare la finestra del­
la sua cella al Collegio Romano, veicolo del turbamento, tagliando cosi la testa al toro.
10. Ad esempio, il torinese Giuseppe Luigi Lagrange (1736-1813), principe dei mate­
matici, il quale attribuiva agli errori del padre, che con speculazioni sbagliate aveva
ridotto la famiglia sul lastrico, la ragione della sua scelta di votarsi alla scienza. Se
fosse rimasto benestante, pensava, forse si sarebbe adagiato sui morbidi cucini d'una
esistenza dorata senza cercare i "più economici" piaceri dell'intelletto.
11. Quelli più leggeri, come gli aerostati e i dirigibili, sfruttano semplicemente la spin­
ta di Archimede, cioè quell'eccesso di pressione verso l'alto che mantiene in perfetto
equilibrio con la gravità la massa d'aria entro il volume occupato dal!'oggetto volante.
12. Questa seconda condizione non vale per i razzi a combustibile solido, che hanno
in sé l'agente ossidante.
13. Infatti, il principio d · azione e reazione comporta che il baricentro del sistema che s'è
sdoppiato (l'individuo e una sua scarpa, ad esempio), per l'azione d'una forza interna
(l'azione dei muscoli del braccio), resti immobile e le due parti si separino andando in
direzioni opposte con velocità inversamente proporzionali alle relative masse.
14. Nel 1835, in un'opera dedicata alla filosofia delle scienze fisiche (Corsi di.filoso­
fia positiva), il sociologo Auguste Cornee scriveva: « [S]iamo convinti della possibi­
lità di misurare le forme degli astri, le loro distanze, dimensioni e movimenti; ma
non potremo mai studiare in alcun modo la loro composizione chimica, o la loro
struttura mineralogica, e, a maggior ragione, la natura dei corpi organizzati che vi­
vono sulle loro superfici» (citato in http://adsbit.harvard.edu/cgi-bin/nph-iarti­
cle_query?bibcode=2010JAHH ...13...90H&db_key=AST &page_ind=11&plate_
sdect=NO&data_type=GIF&type=SCREEN_GIF&classic=YES). Le ragioni di
questa perentoria affermazione riguardano l'impossibilità di fare le necessarie misure
sia a distanza che in situ, attraverso i viaggi spaziali. Due clamorosi errori in un sol
NOTE

colpo da parte di un uomo di genio ma privo di visione! Analoga miopia mostrò Lord
William Thomson, primo barone Kelvin, quando, all'inizio del Novecento, senten­
ziò che ormai non c'era più nulla da scoprire in fisica. Quel che restava da fare sarebbe
stato solo un lavoro di rifinitura delle conoscenze acquisite.

Un genio introverso

1. L'aggettivo "russo" viene qui utilizzato in sostituzione di "sovietico". Nella lingua


russa la confusione è evitata dall'esistenza di due forme, una per l'etnia e l'altra per la
nazionalità. I russi (msskij) sono il gruppo etnico di maggioranza della Russia, dove
oggi rappresentano !'80% della popolazione totale con quasi 116 milioni di individui.
Rossijane (plurale) è il nome cumulativo dei cittadini della Russia, indipendentemen­
te dalla loro origine etnica. Il termine è noto sin dal!' inizio del XVI secolo. Negli anni
Novanta del Novecenro ha ricevuto il suo significato moderno, ossia quello di cittadi­
no della Federazione russa indipendentemente dalla nazionalità.
i. La Rivoluzione russa del 1917 è detta "d'Ottobre" perché. secondo il calendario
giuliano ancora in vigore nell'Impero russo l'insurrezione ebbe inizio il 2.4 e 2.5 di
quel mese, corrispondenti al 6 e 7 novembre del calendario gregoriano, che venne
adottato poco dopo, il 14 febbraio 1918.
3. Così si chiamò San Pietroburgo dal 1914 al 192.4 per volontà di Nicola Il che con­
siderava il precedente nome "troppo tedesco". Successivamente, e sino al 1991, la città
venne rinominata Leningrado.
4. Riportato in A. Salomoni (a cura di), La Rivoluzione russa, Corriere della Sera,
Milano w16, ebook.
5. Letteralmente "carico pagante", termine inglese ripreso dal mondo dei trasporti,
che distingue il carico utile dal totale del vettore.
6. Perché l'asta potesse essere efficace, occorreva che il razzo fosse in movimento. Per
questo motivo andava "guidato" alla partenza da un "canale di lancio".
7. Questo testardo ente fisico reagisce alla perturbazione con un moto conico (di
precessione) attorno ali'originale direzione della rotazione.
8. A pressione atmosferica, l'ossigeno diventa liquido se viene portato a una tempera­
tura di -183 °C. A pressioni ma ggiori, per liquefarlo è sufficiente una temperatura più
elevata, ma comunque molto inferiore allo zero centigrado.
9. Molti, sbagliando clamorosamente, credevano che questa spinta dovesse eserci­
tarsi contro qualche cosa, e dunque escludevano la possibilità che i razzi potessero
funzionare nel vuoto.
10. Oggi il siro del lancio fa parte dei luoghi storici e culturali (National Historic
Landmarks) protetti dal governo degli Stati Uniti.
11. Jonas Gilman Clark ( 1815-1900) aveva accumulato una grande fortuna con specu­
lazioni immobiliari in California e, su suggerimento di Leland e Jane Stanford, suoi
amici e a loro volta sponsor dell'omonima celebre università, aveva investito parte
della propria ricchezza per promuovere l'alta formazione dei suoi concittadini. Un
mecenatismo ormai quasi sconosciuto in Europa.
2.2.0 LUNA ROSSA

12.. WWI Document Archive,M11nifmo ofthe Ninety-Thru German lntellectu11ls, World


\Var I, in https://wwi.lib.byu.edu/index.php/Manifesto_of_the_Ninery-Three_
German_lnteUecruals.

La saga dei Nibelunghi

1. Nell'estate 1918 aveva preso in moglie T illi Hummel, dalla quale avrebbe avuto
quattro figli, due dei quali morti durante la Seconda guerra mondiale:Julius, dato per
disperso in Ucraina, e lise, uccisa da un'esplosione sul luogo di lavoro.
2.. La questione era già stata affrontata e risolta da Goddard nel suo laboratorio di
Worcester, ma Oberth ne era ali 'oscuro.
3. La lettera, tradotta in italiano, è reperibile ali' indirizzo https://www.scienzanacu­
ra.ir/perche-spendere-cosi-ranto-per-lesplorazione-spazialc/.
4. La "svista" verrà corretta nel trattato di pace tra le potenze alleare e l'Italia, firmato
a Parigi nel 1947. L'articolo s1 (United N11tiom - Trenty Series, voi. 49, 1950) recita
infatti: «L'Italia non dovrà possedere, costruire o sperimentare[ ...] alcun proiettile
ad autopropulsione o guidato, o alcun dispositivo impiegato per il lancio di rali pro­
iettili». li riferimento è ovviamenre alle v1 e alle Vl.
s- "Difesa del Reich": nome dato alle forze armate tedesche dal 1919 al 1935, quando
venne cambiato in Wehrmacht, "Forze di difesa".
6. Anche Dornberger, scampato a una condanna capirale in Inghilterra, emigrò negli
USA, ma venne escluso dal riciclaggio governativo degli ex nazisti. Lavorò quale pri­
vato cittadino nella fabbrica aeronautica che avrebbe prodotto la maggior parte degli
elicotteri usati dalle truppe americane in Vietnam. Come dire: il lupo perde il pelo
ma non il vizio!

L'Innominato

1. Secondo il politico di lungo corso Vjaéeslav Molotov, uomo per ogni sragione,
Chrusécv «era indubbiamente un reazionario infiltratosi nel Partito. Sicuramente
non credeva in alcun genere di comunismo».
2.. Primo cosmodromo al mondo, è ancora oggi il più grande. Dopo lo sfaldamenro
dell'URSS, l'arca in cui sorge, un quadrato di 90 km di lato, si trova nel territorio
della repubblica indipendcnre del Kazakisran. Tuttavia un accordo internazionale ne
assegna l'uso alla Federazione russa fino al 2.050.
3. Dal sito della TASS: http://tass.com/history.
4. La componente orizzonrale della velocità non risente della gravità e genera solo un
moto traslatorio che, in assenza di attrito atmosferico, risulrerebbe rettilineo e uni­
forme. È la combinazione di questo moto con quello accelerato in direzione verticale
a generare la famosa traiettoria parabolica dei proiettili studiata da Galileo Galilei.
s- L'inclinazione è indispensabile per far sì che il piano su cui si muove il satellite,
ovviamente passante per la località di lancio {Baikonur in questo caso) contenga an­
che il cenrro della Terra, che è un fuoco dell'orbita perché lì è idealmenrc concentrata
NOTE 2.2.I

tutta la massa del pianeta che sprigiona la forza gravitazionale. Poiché un piano è
individuato da tre punti, l'inclinazione è identificata a meno di un grado di li berrà,
utile per ottimizzare altre condizioni.
6. Purtroppo, l'immensa energia, il coraggio e il fiuto politico di Stalin, istruito per
fare il pope e divenuto un ribelle armato, non avevano una controparte di pathos al­
trettanto grande. Lo ammetteva lui stesso, se è vero che, disperato per la morte della
prima moglie Kato, confessò a un amico: «Questa creatura ha ammorbidito il mio
cuore di pietra. È morta, e con lei sono morti i miei ultimi sentimenti per l'umanità».
7. Essi equipaggiavano il cosiddetto "organo di Stalin", una batteria di decine di mis­
sili tattici per lo più trasportata da autocarri.
8. Importante ruolo come informarore ebbe sopratrutro il fisico tedesco naturaliz­
zato britannico Klaus Fuchs (1911-1988), il quale nel 1950 confessò ai servizi segreti
inglesi di aver passato ai russi i progetti della bomba aromica, a cui aveva lavorato du­
rame il suo soggiorno a Los Alamos, negli Srati Uniti. Si ritiene che senza il suo aiuto
Stalin avrebbe dovuto aspettare altri due anni per produrre un proprio deterrente
nucleare e pareggiare i comi con gli USA.
9. Che differenza c'è tra cosmonauta e astronauta? Nessuna. Significano entrambi
la stessa cosa, cioè essere umano che viaggia nello spazio celeste, cosmo o regno delle
stelle che sia. I russi preferiscono il primo, gli americani il secondo.
10. Secondo Molotov, suo fedelissimo scudiero, «Stalin pensava che la Prima guerra
mondiale aveva strappato una nazione alla schiavitù capitalista, che la Seconda aveva
creato il sistema socialista e che la Terza avrebbe annientato una volta per tutte il capi­
talismo» (https://it.wikiquote.org/wiki/Vja%C4%8Deslav_Michajlovi%C4%8D_
Molorov).
11. ChruSCCv «aveva il vezzo di cambiare concinuamcntc versione sulla morte

di Berija. Una volta diceva che l'aveva ammazzato lui, un'altra passava il merito a
Mikoyan, un 'altra al generale Moskalenko» (https://www.ilpost.itho11/o9/I9/
kruscev-a-disneyland/).
12. Ike, come era soprannominato il presidente soldato che aveva riconquistato l'Europa
strappandola ai nazisti, era stanco di guerra. Nell'aprile 1953, poco dopo la morte di Stalin,
tra una partita di golf e l'altra rifletteva sulla pace e sul ruolo che il suo grande paese, uscito
vincitore dal più devastante conflitto d'ogni tempo, avrebbe dovuto avere per far trion­
fare la giustizia in un mondo ormai bipolare, dove l'altro polo era !'"impero del male�
per usare l'espressione rubata da Ronald Regan a G11en-e stellari: «Il governo sovietico
ha adottato una visione molto diversa del futuro. Nel suo modo di vedere il mondo, la
sicurezza doveva essere trovata non nella mutua fiducia e mutuo soccorso ma nella forza:
eserciti enormi, sovversione, dominio delle nazioni vicine.[ ... ] L'accresciuto potere sovie­
tico ha messo in allerta le nazioni libere contro un nuovo pericolo di aggressione. Li ha
costretti ali' autodifesa, a spendere denaro ed energia senza precedenti per gli armamenti.
Li ha costretti a sviluppare armi da guerra ora in grado di infliggere una punizione istan­
tanea e terribile a qualsiasi aggressore. [ ... ] Ogni fucile che viene fabbricato, ogni volta
che si vara una nave da guerra o si lancia un missile significa, alla fine dei conti, un furto
perpetrato ai danni di chi ha fume e non ha cibo, di chi ha freddo e non ha di che coprirsi.
2.2.2. LUNA ROSSA

Questo mondo in armi non sta solo spendendo denaro. Sta spendendo il sudore dei suoi
operai, il genio dei suoi scienziati, le speranze dei suoi giovani. [ ...] Questo non è affatto
un modo di vivere, in alcun senso legittimo. Dietro le nubi di guerra c'è l'umanità appesa
ad una croce di ferro» (http://www.informationclearinghouse.info/article9743.htm).
13. http://epizodyspace.ru/bibl/inoscr-yazyki/acta-astronavtika/wo8/siddiqi_
spucnik_so.pdf.
14. Dei grandi paesi, solo la Cina maoista rifiutò di aderire.

Cuore di cane

1. Un requisito da fantini, applicato anche alla selezione dei primi cosmonauti.


2.. Abilissimo nel gioco delle parti, Chruséev esibì un atteggiamento quasi indifferen­
te. «Mi sono congratulato con tutto il gruppo di ingegneri e tecnici per questo bril­
lante risultato», disse in seguito, «e poi sono andato tranquillamente a dormire».
3. Si racconta che il suo trainer Oleg Gazenko, un chirurgo militare dal cuore tenero,
se la fosse portata a casa per qualche giorno prima del volo, in modo da coccolarla
per un'ultima volta. E molto dopo il volo, quando ormai l'URSS non c'era già più,
avrebbe detto: «Lavorare con gli animali è una fonte di sofferenza per tutti noi. Li
trattiamo come bambini che non sanno parlare. Più passa il tempo, più mi dispia­
ce per questo. Non avremmo dovuto farlo. Non abbiamo imparato abbastanza dalla
missione per giustificare la morte del cane» (https://www.sundaypost.com/fp/how­
che-kremlin-covered-up-truch-of-canine-cosmonaut-laikas-death/).
4. Non rutti la pensavano allo stesso modo. Un texano di Fort Worch scrisse al com­
patriota Johnson: «Noi del Texas ci difendiamo sempre e non lasceremo nulla di
intentato per stanare i nostri nemici, ma non ci piace vedere miliardi su miliardi di
buon solido contante buttati via in una "gara acrobatica" nello spazio esterno>"._; E un
altro: «La Russia ha deciso di mandarci in bancarotta» (https://history.nasa.gov/
sputnik/sputorig.html).
5. La beffarda poesia del governatore democratico del Michigan, G. Mennen W illiams,
esprime con vivida chiarezza il sentimento di sconcerto e di rabbia del popolo america­
no (almeno quelle di fede democratica): «Oh little Sputnik, Aying high / With madc­
in-Moscow beep, / You teli che world it's a Commie sky / and Unclc Sam's asleep. / You
say on fairway and on rough / The Kremlin knows it ali. / We hope our golfer knows
enough / To get us on che bai!» ("Oh piccolo Sputnik, che voli alto / Con il bip made­
in-Moscow, / Dici al mondo che il cielo è comunista / e lo zio Sam è addormentato. /
Tu dici in modo giusto e diretto / Che il Cremlino sa rutto, / Speriamo che il nostro
golfista ne sappia abbastanza / Per farci prendere la palla). Cfr. ibid.
6. L'idea venne presa sul serio con il Progetto Horizon, proposto nel 1959 dalle forze
armate statunitensi per realizzare un avamposto lunare «necessario per sviluppare e
proteggere i potenziali interessi degli Stati Uniti sulla Luna; sviluppare tecniche di
sorveglianza lunare della Terra e dello spazio, per le comunicazioni e per le opera­
zioni sulla superficie della Luna; servire come base per l'esplorazione della Luna, per
ulteriori esplorazioni nello spazio e per operazioni militari sulla Luna, se necessario; e
NOTE 223

sostenere le indagini scientifiche sulla Luna» (https://www.filosofiadogos.it/News/


Progetto-Horizon-Documenti-declassificati-rivelano-avamposto-lunare-ddla-US­
Army.html).
7. Come molte località dd Sud degli Stati Uniti, il toponimo è di origine spagnola
e significa "capo del canneto". Si tratta di uno di quei nomi che sono diventati tanto
familiari da non suscitarci più domande, perdendo così il collegamento con la storia.
Allo stesso modo, il celebre osservatorio di Palomar Mountain, in California, prende
il nome dal "monte delle colombe".
8. Alan Shepard, il primo astronauta statunitense a volare nello spazio, avrebbe poi
scritto: « Eisenhower, il suo consulente scientificoJames Killian e altri alla Casa Bian­
ca non volevano si ricordasse loro che il razzo era lo stesso dannato Jupiter-C che
avrebbe poturo collocare in orbita un satellite più di un anno prima dello Sputnik. Ai
militari fu ordinato di mantenere l'informazione coperta - in effetti, di cambiare il
nome del razzo, eJupiter-C divenneJuno-1».
9. Per convenzione, il limite tra atmosfera e spazio esterno è posto a 100 km sul li­
vello del mare. Viene chiamato limite di Karman, dal cognome di un ingegnere-fisico
ungherese cui si deve la dimostrazione che, a quelle quote, per avere portanza un ae­
reo dovrebbe viaggiare a una velocità maggiore di quella orbitale.
10. Famiglia di lanciatori dell'us Air Force derivaci da un missile balistico a medio
raggio, evolutasi in seguito nel ben noto razzo Delta della NASA.
11. Se, con un iniziale impulso. si lanciasse un sasso verso l'alto, questo a un certo
punto interromperebbe la sua scalata per poi ricadere a terra. Ma, se si avesse la forza
di imprimergli una velocità iniziale di almeno 11,2. krn/s (quanto basca a fare il giro
deli 'equatore in un'ora), allora il sasso si affrancherebbe per sempre dall'attrazione
terrestre, consegnandosi a un altro padrone.
12.. Come farebbe questo libro tenuto in mano mentre girate su voi stessi. Continue­
rete a vedere sempre la copertina, mentre il retro resterà nascosto, e ad ogni vostro
giro anche il libro ne avrà fatto uno.
13. I mosaici fotografici vennero pubblicati in un Aclante lunare inserito, alla fine
degli anni Sessanta, nella Grande enciclopedia dell'Unione Sovietica.
14. È l'organizzazione internazionale degli astronomi professionisti cui viene rico­
nosciuta l'autorità di assegnare i nomi ai corpi celesti, incluse le caratteristiche pre­
senti sulla superficie di alcuni di essi.
15. Vicino perché si deve tenere in conto anche il tempo di volo di una sonda, proprio
come fa il cacciatore di anatre che spara puntando davanti al becco dd volatile.
16. «Forse per ricordare che il Sole sorge a Oriente e che la luce sgorga dall'Oriente
quando viene a cacciare le tenebre della notte», scrisse Gagarin nelle sue memorie.
17. Per farsi un'idea del costo di un R-7 che tenga conto di tutte le spese, basterà
pensare che oggi occorrono so milioni di dollari per comprarsi uno di ere posti in una
Sojuz per un volo di pochi giorni alla Stazione spaziale internazionale.
18. I Titan sono stati una famiglia di ICBM a disposizione dell'aviazione militare
degli Stati Uniti per scopi bellici dal 1959 al 1987, usati anche come lanciatori delle
navicelle spaziali Gemini nd corso degli anni Sessanta.
LUNA ROSSA

19. Si disse che Nedelin era mono in un incidente aereo, e così anche gli altri tecnici
e operai.
2.0. In generale è più economico volare in direzione opposta al Sole che verso di esso.
La cosa può apparire paradossale perché il Sole è il corpo del Sistema solare che eserci­
ta il richiamo gravitazionale di gran lunga più forre. Il fatto è che, partendo dalla Ter­
ra, le sonde partecipano già della velocità di rivoluzione del pianeta, che è di 30 km/s.
Essa deve essere compensata per poter liberamente cadere sull'astro.

L'Icaro rosso

1. I sovietici tacquero sulle modalità di atterraggio e il FAI registrò il record del co­
smonauta russo. Ma, con il successivo volo di Ticov, il problema venne a galla. Dopo
una lunga indagine e un'inutile azione di lobbying degli americani, furono modificate
le regole in modo che Gagarin mantenesse il suo primato.
2.. La popolare leggenda si scontra con l'effettiva difficoltà di assolvere alla funzione
organica come descritto quando si abbia indosso una cura da astronauta.
3. Ecco le sue ultime parole prima di spiccare il volo. «Cari amici, a me conosciuti
e sconosciuti, compagni russi e gente di tutti i paesi e continenti, era pochi minuti
una possente astronave mi porterà nelle lontane discese dello spazio. Che cosa pos­
so dirvi in questi ulcimi pochi minuti prima della partenza? In questo momento,
tutta la mia vita sembra essere condensata in un unico meraviglioso attimo. Tutto
ciò che ho sperimentato e ho fatto fino ad ora è stato in preparazione di questo
momento. Dovete comprendere che è difficile esprimere il mio sentimento ora che
la prova per la quale ci siamo allenaci da tempo e con passione è a porcata di mano.
Non devo dirvi che cosa ho provato quando è stato suggerito di fare questo volo, il
primo della storia. Era qualcosa di più: orgoglio? No, non era solo orgoglio. Mi sen­
tivo molco felice. Per essere il primo a entrare nel cosmo, a impegnarmi da solo in
un duello senza precedenti con la natura. Qualcuno poteva forse sognare qualcosa
di più grande di ciò? Ma subito dopo ho pensato all'enorme responsabilità che pesa
sulle mie spalle: essere il primo a fare ciò che generazioni di persone hanno sognato;
essere il primo a spianare la strada verso lo spazio per l'umanità. Questa responsabi­
lità non è verso una persona, non verso poche decine, non verso un gruppo. È una
responsabilità verso tutta l'umanità, verso il suo presente e il suo futuro. Sono felice
di partire per questo volo spaziale? Cerco che sono felice. Dopo tutto, in cucci i
tempi e le epoche la più grande felicità per l'uomo è stata quella di prendere parte a
nuove scoperte. Ora è questione di minuti prima dell'inizio. Vi dico, "Fino a quan­
do ci incontreremo di nuovo", cari amici, proprio come le persone dicono l'una
ali' alera quando si intraprende un lungo viaggio. Mi piacerebbe molto abbracciarvi
tutti, persone a mc conosciute e sconosciute, amici intimi ed esrranei a!lo stesso
modo. A presto!» (Rzmian Archives Online, in hccp://www.russianarchives.com/
gallery/gagarin/gagarin_speech.hcml).
4. Città sacellice della capitale, da cui dista circa 30 km, già polo della lavorazione
della seta, dopo il 1945 divenne centro dcli'industria spaziale sovietica e delle attivi-
NOTE

tà scientifiche e tecnologiche collegate. Nel 1996, grazie all'azione di recupero della


memoria avviata da Eltsin, venne ribattezzata Korolcv in onore del progettista capo.
5. I russi hanno l'abitudine di togliersi le scarpe quando entrano in casa. Chiedono
anche ai loro ospiti di fare altrettanto, e per questo tengono nell'ingresso un discreto
assortimento di pantofole di tutte le misure. Una norma igienica in un paese nelle cui
strade abbondano neve e fango.
6. Resta il dubbio se l'abilitazione ai comandi in caso di emergenza non fosse solo
una bugia per tranquillizzare Gagarin.
7. In questa regione, nacque anche il famoso scrittore di fantascienza Isaac Asimov
(1919-1992), un altro "pioniere" dei grandi spazi celesti, raccontati con una penna ca­
rica di fantasia e di ingegno.
8. Oggi, Elena Jurievna Gagarina dirige il Museo statale del Cremlino dove, quasi
paradossalmente per l'erede di uno dei simboli dell'URSS, si prende cura dei mantelli
imperiali, degli scettri e delle uova di Fabergé, icone di un passato che la Rivoluzione
d'Ottobre, tanto cara a suo padre, aveva rinnegato.
9. Galina Jurievna Gagarina è diventata poi docente di economia all'Università
Plekhanov di Mosca.
IO. Nel 1991, il siro dell'atterraggio venne proclamaro luogo dell'eredità culturale

dalla Federazione russa.


11. In https://www.energia.ru/en/history/gagarin/cass.hcml.
1 ,. In https ://www.newscientist.com/ arride/mg210 2807 5-600-yuri-gagarin-108-
minures-in-space/.
1 l• In https ://forum.termometropolitico.it/697914-fatti-sconosciuti-del-volo-di­
gagarin.html.
14. In https://it.euronews.com/2011/04/12/mio-padre-yuri-gagarin-la-figlia-clena­
ricorda.
15. Ovviamente la gravità è sempre presente. In fase di salita divora la velocità che via
via scema sino ad annullarsi, poi la ricostruisce ma in direzione opposta.
16. I limiti fisici posti dagli americani ai candidaci astronauti erano più laschi di quel­
li dei sovietici: altezza inferiore a 180 cm ed età non superiore a 40 anni. In compenso,
era richiesta una preparazione tecnica a livello universitario.
17. È interessante notare la differenza era l'approccio al volontariato spaziale da parte
dei sovietici e degli americani. I primi erano accecati dal patriottismo, i secondi pre­
occupati che la distrazione dalle normali attività militari potesse danneggiare la loro
carriera, tanto che dovettero essere rassicurati ufficialmente su questo punto.
18. In molti siti web, Shepard viene definiro il primo astronauta "americano" della
storia. Un'affermazione formalmente corretta che nasconde però l'intento di ridurre
la distanza che separa un originale da una copia nemmeno troppo somigliante.
19. Alan Shepard fu doppiamente sfortunaro perché dopo il suo primo volo con­
trasse la sindrome di Ménière, una patologia dell'orecchio interno che causa vertigi­
ni e altri gravi disturbi e che lo tenne per 6 anni lontano dalle rampe di lancio. Poté
tuttavia ritornare nello spazio con la missione Apollo 14 e sbarcare sulla Luna dove
2.2.6 LUNA ROSSA

volle fare qualcosa di eccentrico: tirare due shot a una pallina da golf con un ferro
6, adatto alle distanze medie ... sulla Terra. Con un'accelerazione di gravità ridotta
di sci volte, il colpo di un ferro 6 diventa molto più lungo di quello lanciato con un
legno 1.

Avanti popolo

1. Di quanto? È semplice stimarlo. Lo spostamento ali'equatore ammonta a 40.oooh4 =


1.670 km per ogni ora di periodo orbitale. A Baikonur, che si trova a una latitudine di
46°, vale circa il 30% di meno.
1.. Precisazione necessaria perché il periodo è una funzione della dimensione massi­

ma dell'orbita (terza legge di Keplero) e quest'ultima dipende dalla potenza a dispo­


sizione del lanciatore.
3. «Dcar God, plcasc don't lct mc fuck up cverything». Anzi, più propriamente
disse: «Don't fuck up, Shcpard», come si vede nel filmato in https://getyarn.io/
yarn-clip/cfb73c68-1.f91-4oob-845b-9c4cb:1.41.d106.
4. li filmato di Titov (audio in russo) è visibile in https://www.youtube.com/
watch?v=HHcSCSdn3HY.
5. Quando il compagno Nikolacv gli chiese notizie del volo, si dice che Titov abbia
risposto: «Andrjucha, allena il tuo sistema vestibolare!».
6. Titov cominciò a sbalordire quando, appena atterrato e condotto in una caserma
per essere visitato, si impadronì di una lattina di birra e, rompendo ogni protocollo, la
bevve avidamente davanti agli increduli medici.
7. lo sono Aquila, scritto a quattro mani con l'americano Martin Caidin e pubblicato
nel 1962., e Diciassette albe conniche, dell'anno successivo.
8. Proprio tre giorni prima dello storico volo di Titov, Walter Ulbricht, il dittatore
delle Germania Est, aveva cominciato a erigere, con la benedizione di Chrusci'v, il
Muro, una "barriera di protezione antifascista" (il nome ufficiale era infatti Anrifa­
schistischer Schutzwall) per impedire la libera circolazione delle persone e delle idee
tra i due settori di Berlino.
9. D. Eisenhower, Discorso di commiato alla Nazione, in http://mcadams.posc.
mu.cdu/ike.htm.
10. In https://www.spacc.com/11772.-prcsidcnt-kenncdy-historic-specch-moon-space.
htrnl.
II. Ibid.
12.. Jbid.
13. In https://cr.jsc.nasa.gov/SEH/ricctalk.htm.
14. Diversamente da Titov, dichiaratamente ateo nonostante lo spettacolo del
cosmo, John Glcnn, dopo il suo secondo volo con lo Space Shuttle Discovcry nel
1998, alJ'ctà di 77 anni, avrebbe affermato: «Guardando a tutte le cose create, per
mc è impossibile non credere in Dio» (in https://www.washingtonpost.com/
ncws/acts-of-faith/wp/2.016 /12./ 08/ in-outcr-space-john-glenn-saw-the-facc-of­
god/ ?norcdircct=on&utm_tcrm=.79008d3fqb8).
NOTE

15. In https://roundupreads.jsc.nasa.gov/mobi.aspx?pagcid=564.
16. In https://www.nytimes.com/2016/12./08/us/john-glenn-dies.html.
17. Originariamente anche questi satelliti si chiamavano Vostok, ma vennero ribat­
tezzati Zenit quando, con il volo di Gagarin, Vostok divenne un nome noto in tutto
il mondo.
18. Federico Faggin (1941-) è uno fisico italiano naturalizzato statunitense, noto per
aver progettato il primo microprocessore commerciale.
19. Nella sua visita negli Stati Uniti nel maggio 1962, T itov era stato invitato a un bar­
becue da Glenn e, tra una birra e l'altra, aveva inceso che gli americani volevano im­
piegare un pilota donna in una missione Mercury. Tornaco a casa, si affrettò a riferirlo
a Kamanin, che utilizzò l'informazione come leva per convincere l 'cstablishmcnt del­
la necessità di un volo al femminile.
20. Tecnicamente superiore alla Tereskova, era però giudicata meno affidabile sul
piano dell'assoluta integrità morale e soprattutto ideologica. Si racconta che, alla do­
manda di che cosa volesse dalla vita, Ponomaryova avesse risposto: « Tutto ciò che
posso avere», mentre la collega aveva opportunamente affermato: «Voglio sostenere
con tutte le mie forze[ ...] il Partito comunista».
21. Il cursus di formazione ideologica di un giovane sovietico prevedeva tre livelli: 1. gli
oktyabryata (da "ottobre", mese della Rivoluzione), per scolari di 7-9 anni; 2. i pionie­
ri di tutta l'Unione V ladimir Il' ic Lenin (Vscsojuznaja pionerskaja organizacija imeni
V. I. Lenina), per ragazzi di età compresa tra 9 e 14 anni; 3. i giovani del Komsomol,
dai 14 anni in poi. Un ultimo livello, non accessibile a tutti, era l'iscrizione al Partito
comunista dell'URSS.
22. Quando seppe del!' intenzione di ritirare i missili dall'isola, Fide! Castro apostro­
fò Chrusccv con epiteti pesantissimi, mentre i cubani intonavano lo slogan: «Nilcita
mariquita, lo que se da no se quita», ossia "Nilcita mammoletta[ma anche gay], quel
che si dà non si riprende» (https://www.newyorker.com/news/news-desk/castros­
defining-crisis).
23. In https://www.jfklibrary.org/archives/other-resources/john-f-kennedy-spcechcs/
united-nations-19630920.
24. Dallas è la città simbolo del patriottismo americano, con quel Forte Alamo dove
nel 1836 i texani di William Barrett Travis e la carabina di David Crockett tennero in­
chiodate per giorni le preponderanti forze del generale messicano Santa Anna, come
avevano fatto 2.316 anni prima gli Spartani alle Termopili con gli Immortali di Serse.
25. In https://www.jfklibrar y.org/archives/other-resources/john-f-kennedy­
speeches/san-antonio-cx-19631121.

Il canto del cigno


1. Anastas Mikojan (1895-1978), vicepresidente, era un fedele sostenitore di Chrusècv
e del processo di destalinizzazione condotto dal segretario generale. Lui stesso era
stato quasi vittima delle purghe di Stalin, da cui era scampato per l'improvvisa (e
provvidenziale) morte del dittatore.
2. In http://tesi.cab.unipd.it/i981o/i/tesi_sgaravato.pdf. p. 28.
2.2.8 LUNA ROSSA

3. Quando Chrusccv morì, nd settembre 1971, era ormai una "non persona", come si
diceva a Mosca, appena degna di un misero trafiletto sulla "Pravda" e di una sepoltura
nd cimitero di Novadievici. Eppure, quest'uomo dal]'aspetto contadino, buffo, goffo
e chiassoso, aveva fatto tremare e sperare il mondo intero. «Nikita Sergeevic, mio
padre, è stato amato da alcuni, detestato da altri», sentenzò icasticamente sulla romba
il figlio Sergej. «Ma a nessuno è stato indifferente».
4. In https://www.jfklibrary.org/learn/about-jfk/historic-speeches/american-uni­
versity-commencement-address.
5. In http://www.svengrahn.pp.se/trackind/voskhod1/voskhod1.html.
6. I cosmonauti furono anche sottoposti a una rigida dieta così da pesare meno e
occupare un minor volume.
7. In https://artsandculrure.google.com/exhibit/QRACpDMx.
8. Furono proprio le perdite di pressione che danneggiarono le apparecchiature di
trasmissione di molte delle sonde sovietiche dirette a Marte e Venere, ad esempio.
9. In https://www.theguardian.com/world/ 2015/mar/18/russia-soviet-first-space­
walk-alexei-leonov.
10. Stazione spaziale raggiunta nel giugno 1971 da una Sojuz con tre uomini a bordo
per un soggiorno di 23 giorni. Tutto andò bene, ma al momento dello sgancio per il
rientro a terra, la rottura di una valvola della Sojuz causò la perdita totale dell'ossige­
no e la morte dei cosmonauti per asfissia.
11. Nd 1974, dopo i reiterati fallimenti nella gestione del progetto del megarazzo N1
e dopo la delusione per il sorpasso statunitense nella corsa allo spazio, sarebbe stato
sostituito da Valentin Glusko alla guida dell' OKB-1.
12. Gli effetti della gravità possono essere simulati dalla forza centrifuga in un sistema
rotante con un raggio adeguatamente grande.
13. Tre di queste stazioni vennero effettivamente messe in orbita dall'URSS nel perio­
do tra il 1973 e il 1975 sotto il nome di Saljut, per camuffare con una denominazione
civile un'impresa militare.
14. Così recava pomposamente scritto una targa sulla sua porta.
15. In http://www.nmspacemuseum.org/halloffamc/dctail.php ?id=15.
16. Nonostante vi fosse competizione tra i due, Korolev rispettava l'avversario:
«Non sottovalutate Cclomej. È della stessa scuola di progettazione di Tupolev ( ... ).
Se gli diamo la possibilità e i mezzi, i suoi prodotti saranno uguali a quelli degli ame­
ricani. Ora è il momento giusto per unire le forze con lui».
17. Gli esperti dcli'intelligence che analizzarono i filmati avevano notato che il nome
della navicella era accompagnato da un numero d'ordine, Sojuz 1, fatto inconsueto
per un prototipo singolo. Questa osservazione faceva il pari con una nota della Reu­
ters, apparsa quattro giorni prima del lancio, in cui si speculava su possibili meraviglie
da parte sovietica riguardanti l'aggancio di due cosmonavi in orbita per qualche mi­
steriosa avventura in tandem.
18. Esistono sospetti di altre vittime tra i cosmonauti sovietici di cui però non è mai
stata data notizia né ufficiale né ufficiosa.
NOTE 2.2.9

Take me to the Moon

1. La sigla MIG, conosciutissima a partire dagli anni Cinquanta, sta per Mikojan•
Gurevic, nome dei due progettisti di aerei a reazione per l'Armata Rossa.
,. Si disse che, nel preparare l'aereo, i tecnici a terra avessero lasciato inavvcrtitamcn•
te aperto un portello di aerazione della cabina di pilotaggio.
3. Il SU·1s era un jet armato con missili aria-aria per colpire bersagli in volo intcrcet•
tari dal sistema radar sovietico, realizzato dall'oKB dell'ingegnere aeronautico Pavcl
Sukhoj, uno dei geniali progettisti di aeroplani sbocciati al di là della Cortina di ferro.
4. La Guerra dei sei giorni (5-10 giugno 1967) fu un'azione militare iniziata senza atti
formali, con un proditorio attacco alla maniera di Pearl Harbor, segno di un nuovo
"stile" nei rapporti tra le nazioni in tempi di guerra ininterrotta.
5. Il discorso integrale di Martin Luther King, pronunciato il ,8 agosto 1963 si può
leggere in traduzione italiana in https://www.rcpubblica.it/csrcriho13/o8h8/
news/martin_I uther-king-discorso-65443 S 75/.
6. Malcolm Scott Carpenter, Leroy Gordon Cooper Jr., John Herschcl Glcnn Jr.,
V irgil Ivan Grissom, Walter Marty SchirraJr., Alan Bartlett ShcpardJr., Donald Kcnt
Slayton.
7. La prima americana ad andare nello spazio fu Sally Ride, nel 1983, come membro
di un equipaggio dello Space Shuttle Challcnger: terza in assoluto dopo le cosmo•
naute sovietiche Valentina Terdkova e, nel 198,, Svcdana Savickaja (che fu la prima a
volare due volte e a effettuare una passeggiata nello spazio).
8. Fu il nuovo presidenteJohnson a dare l'annuncio del cambiamento di denomina·
zione in un intervento televisivo il giorno del ringraziamento del 1963, a soli sci giorni
dall'assassinio di Kcnnedy. La decisione era stata presa su suggerimento della moglie
Jacqueline.
9. Nel 1995 diventerà Lockheed-Martin Corporation dopo la fusione con la potcn•
tissima azienda aerospaziale californiana.
IO. In http://www.bbc.co.uk/news/special/ ,014/newsspec_9035/indcx.html.
11. Quella dalla Sojuz 9 fu una missione di 17 giorni e 17 ore, mirata a verificare la
resistenza umana a una lunga esposizione alla gravità zero.
IL United States-Congress-Senate-Committec on Aeronautica! and Space Scicnccs,

NASA Authorizationfor Fiscal Year 1907: Hearings, Eighty-ninth Congress, Second Ses•
sion, GPO, W.,shington DC 1966, p. 30.
13. In occasione di un incontro ravvicinato con un pianeta, un corpo di piccola massa
che si trovi in orbita eliocentrica può acquisire oppure cedere energia in funzione
delle modalità con cui l'incontro stesso avviene.
14. Il suo nome compare nella sala internazionale della fama nel Musco di storia
dello spazio ad Alamogordo, nel Nuovo Messico, accanto a quelli di Ciolkovskij,
Gagarin, Korolcv, Leonov, Tereskova, T ichonravov, Zandcr, Oberth e von Braun,
di Armstrong e Aldrin e dei tanti astronauti americani, di Galileo Galilei e di Isaac
Newton.
LUNA ROSSA

15. Nelle Sojuz, i sovietici non avevano ancota implementato un sistema per transita­
re da una nave all'altra senza la necessità di uscire nello spazio.
16. I festeggiamenti per il felice rientro degli astronauà vennero funestati dall'atten­
tato a Breznev di cui s'è detto, quasi un segno premonitore per avvertire i sovietici che
la buona sorte li aveva ormai traditi passando al nemico.
17. li giornalista Walter Cronkite, che commentava l'epica impresa in diretta per la
CNN, non riuscì a recepire tutte le parole dcli'astronauta a causa di una lieve inter­
ferenza. Solo quando gli furono riportate, una manciata di secondi dopo, le ripeté
al mondo intero {https://www.universetoday.com/113331/one-small-step-quote-on­
apollo-11-brieAy-confused-legendary-broadcaster/).
18. li primo, i'HST, è intirolato a Edwin Powcll Hubble {1889-1953), l'asrronomo che
scoprì la natura delle galassie e la legge di espansione dell'universo.
19. I. Asimov, Asimov on Physics, Doubleday, New York 1976, p. 35.
2.0. In https://obamawhitehouse.archives.gov /blog/2.014/01/08/ obama-admini­
straàon-cxtends-international-space-station-until-least-2.02.4.
2.1. J. Verne,Dalla Terra alla Luna, in Id., Viaggifantastici, Rizzoli, Milano 1009 {ed.
or. 1865).
2.2.. F. Dostoevskij, Le notti bianche, Garzanti, Milano 1014 {ed. or. 1848).
Bibliografia

L'alba
Per un quadro storico del periodo trattato in questo capitolo, cfr. R. Scrvice, A Pen­
guin History o/Modem Russia: From Tsarism to Twenty-First Century, Pcnguin, Lon­
don 2.01s•.
Per una lettura tra lo storico e il romanzato della vita di Konstantin Ciolkovskij,
si consiglia T. Bullough, Il bambino che invento le stelle, Piemmc, Milano 2.01s (cd. or.
1013). Una prima biografia della vita del grande scienziato, tradotta in lingua inglese
nd 19s6, si deve ad A. Kosmodemyansky, Konstantin Tsiolkovsky: His Lift and Ulòrk,
University Press of the Pacific, Hawaii 2.000. Alcuni spunti e citazioni presenti in
questo capitolo sono tratti da C. Lega, Sulla Luna di Kostantin Ciolkovskij. Tradu­
zione e commento, tesi di laurea, Università di Padova, relatori D. Possamai, D. No­
vokhatskij, a.a. 2.014-1s, in http://dspacc.univc.it/bitstrcam/handle/ios79/6714/82.9
72.s-11832.04.pdf ?sequencc=2..
Su Fcdorov e il pensiero cosmista, cfr. G. Young, I cosmisti russi. Ilfuturismo esote­
rico di Nikolaj Fedorov e dei suoi seguaci, Tre Editori, Roma 2.017 (ed. or. 2.013).

Un genio introverso

Per un'accurata ricostruzione della figura di Robcrt Goddard, ripulita dalle istanze
agiografiche delle precedenti biografie invariabilmente vagliate dalla vedova dello
scienziato, si consiglia D. A. Clary, Racket Man: Robert H Goddard and the Birth of
the Space Age, Ypcrion, New York 2.003. I ricordi di Goddard citati in questo capito­
lo provengono da E. S. Rabkin, Mars: A Tour oJ the Human Imagination, Pracgcrs,
Westport (cT) 2.oos (in particolare pp. 114 ss.}.
Utili notizie si possono ricavare anche dalla lettura del testo online Robert God­
dard and His Rockets, in https://www-istp.gsfc.nasa.gov/stargazc/Sgoddard.htm
(ultima consultazione 2.0 marzo 2.019). Più nello specifico, per gli studi sull'altezza
raggiungibile dai razzi si consigliano i due saggi scritti per lo Smithsonian lnstirutc
2.32. LUNA ROSSA

nel 1919 e nel 1936: R. H. Goddard, Rockets: Two Classica/ Papers, Dover Publica­
tions, Mineola (NY) 1002 . Più impegnativa la lettura dell'ampia saggistica (frutto dei
finanziamenti dello Smichsonian e dei Guggcnheim) pubblicata nei ere volumi di Id.,
The Papers o/Robert H. Goddard: r93S-r945, McGraw-Hill, New York 1970.

La saga dei Nibelunghi


In generale, per una panoramica sulla storia delle esplorazioni spaziali e per le pos­
sibilità che esse riservano per il futuro, si consiglia la lettura di C. lmpey, IlJrauro
nello spazio.L'ultimafrontiera dell'uomo e le tecnologie per esplorarla, Codice edizioni,
Torino 20,6 (cd. or. 20,5). In specifico, per i razzi e il loro funzionamento si possono
leggere R. Millcr, Rockets, Twency-First Century Book, Minneapolis (MN) 1008 e, per
un approccio divulgativo, W. Sierra, Beyond the Saga o/Racket Science: The Dawn o/
the Space Age, XLIBRIS, Bloomington (IN) 1016.
Sulla vita e sui progetti di Hermann Oberth è utile D. Myhra, Herman Oberth:
One of the Fathers o/Rocketry, RCW Technology & Ebook Publishing, Fort Myers
(FL) 1013, pubblicato in formato ebook. Interessante, e fornico di un cospicuo appa­
rato iconografico, è anche B. V. Rauschenbach, Hemiann Oberth: The Father ofSpace­
flight, rS94-19S9, West-Art, Clarence (NY) 1994. Si segnalano inoltre, direttamente
dalla penna dello scienziato: H. Oberch, Uomini nello spazio, Longanesi, Milano 1957
(cd. or. 1954), e Id., l¼zys to Spaceflight, National Aeronautics and Space Administra­
tion, Springfield (vA) 1972 (ed. or. 1929). Infine, ancora su Oberth, ma nell'ottica di
una complessiva storia dell'evoluzione dei veicoli spaziali, si suggerisce F. H. Winter,
Rockets into Space, Harvard University Press, Cambridge (MA)-London 1990.
Su Wcrnhcr von Braun e sulla vicenda dell'abbandono dei sogni di esplorazione
spaziale a favore della produzione dei letali missili v2, si veda D. Piszkiewicz, The Nazi
Rocketeers: Dreams o/Space and Crimes ojl¼zr, Pracgers, Wescport (cT) 1995, piutto­
sto critico nei confronti del rapporto tra lo scienziato e il nazismo. Per la tcstimonianza
dell'atteggiamento incurante di von Braun nei confronti dei prigionieri nel campo di
Mittelbau-Dora, cfr. A. Fiederrnann, T. Hess, M. Jaegcr, Das Konzentrationslager Jvlit­
telbau Dora. Ein historischer Abriss, Bad Miinstercifel-Westkrcuz, Berlin-Bonn 1993
(soprattutto p. 100 ). Più accondiscendente nei confronti di von Braun (giustifica il
suo passato nazista e il voltafaccia americano come circostanze determinate dall 'csi­
f
genza primaria di costruire missili) appare B. Ward, Dr. Space: The Life o Wemher von
Braun, Naval lnstitute Prcss, Annapolis (MD) 2005, che si focalizza in particolare sulla
fase statunitense e sull'attività di ricerca condotta a Huntsvillc. Sull'operazione Paper­
clip si consiglia la lettura di A. M. Jacobsen, Operazione Paperdip. Come gli scienziati
nazisti hanno costruito !:America, Piemme, Milano 2015 (cd. or. 1014).
BIBLIOGRAFI A

L'Innominato
Sulla vicenda dello Sputnik si suggeriscono Y. Surin, Il segreto degli Sputnik, Laterza,
Bari 1958; R. D. Lanius,J. M. Logsdon, R. W. Smith (eds.),ReconsideringSputnik: Forty
Years since theSovietSatellite, Roucledge, London-New York 2.000; e P. Magionami, Gli
anni della Luna, I950-I972. L'epoca d'oro della corsa allo spazio, Springer, Milano 2.009.
La lettura di L. K. Erickson, Space Flight: History, Technology, and Operations, Tue
Scarecrow Press, Lanham (MD), Toronto, Plymouch 2010, è consigliabile se interessati
anche agli aspetti più propriamente scientifici e tecnologici della storia dei voli spaziali.
Sulla figura di Korolev, ricostruita in dettaglio grazie alle numerose interviste fatte agli
ingegneri e ai progettisti che lavorarono con lui: J. Harford, Korolev: How One Man
Mastenninded theSoviet Drive to Beat America to the Moon,John Wiley and Sons, New
York 1997. Le famfki (in cui Korolev fu confinato) e le condizioni di vita al loro interno
sono descritte in A. Solzcnicyn, Il primo cerchio, Mondadori, Milano 1970 (ed. or. 1968).
Per un inquadramento storico e politico dell'URSS si consiglia D. R. Marples, Rus­
sia in the Twentieth Century: The Q!wtfar Stability, Pearson, Harlow 2011, oltre a, na­
turalmente, alcuni lavori più specifici sui due leader che segnarono la scoria del paese tra
il 1927 e il 1971. Notizie sulla giovinezza e la formazione di Stalin si trovano in S. Sebag
Montefiore, Il giovane Stalin, Longanesi, Milano 2.010 (ed. or. 2007 ), mentre, per una
diversa lettura ddl'opcram del dittatore, si consiglia: L. Martens, Stalin. Un altro punto
di vista, Zambon, Verona 2017 (ed. or. 1994). Per quanto concerne Nikita Chrusècv,
cfr. la biografia scritta dal figlio: S. Khrushchev, Khrushchev on Khmshchev: An Inside
Account o/the Man and His Era, by His Son, Sergei Khrushchev, ed. by \Y/. Taubmann,
Little, Brown & Company, Boston (MA) 1990, da cui si ricavano utili notizie sul suo
interesse per le esplorazioni spaziali nonché sulla sinergia tra Korolcv e T ichonravov.
L'occupazione sovietica della Germania è il tema trattato da N. M. Naimark, The Rus­
sians ;,, Germany: A History ojthe Soviet Zone ofOcmpation, 1945-1949, Harvard Uni­
versicy Press, Cambridge (MA)-London 1995, fondamentale per la ricerca aerospaziale
poiché dirottò cer velli e materiali dai centri di ricerca nazisti a quelli dell'URSS.
Sulla rivalità tra sovietici e americani in campo spaziale e, in particolare, sul ten­
tativo di sminuire l'impresa russa da parte dei vertici USA, si consiglia la lettura di
M. Brzezinski, Red Jvfoon Rising:Sputnik and the Rivalries that Ignited theSpace Race,
Bloomsbury, London 2.007.
Infine, sull'impatto che lo Sputnik ebbe su un'intera generazione di russi bam­
bini o adolescenti al tempo del primo lancio: D. J. Raileigh (ed.), Russia's Sputnik
Generation: Soviet Baby Boomers Talk about Their Lives, Indiana Universicy Press,
Bloomingcon-Indianapolis (IN) 2006.
2.34 LUNA ROSSA

Cuore di cane

Per un riassunto delle fasi preliminari del programma spaziale sovietico e sul ruolo
guida di Sergej Korolev si consiglia la lettura del breve Korolro and Freedom ofSpace:
February r4, r955-0ctober 4, r957, NASA Origins and che Dawn of che Space Age,
Monographs in Aerospace History #IO (hctps://hiscory.nasa.gov/monograph10/
korspace.hcml). Interessante, per il parallelismo tra le ricerche guidate da Kocolev e
quelle statunitensi al cui capo era l'ex nazista von Braun, è il recente S. Pivaco, M. Pi­
vaco, I comunisti sulla Luna. L'ultimo mito deLLa Rivoluzione mssa, il Mulino, Bologna
1017.
Per saperne di più sulla vicenda di Laika e, soprattutto, sull'uso di animali nei test
nello spazio si può leggere K. Caswell, Laika 's Window: The Legacy ofa Soviet Space
Dog, Trinity University Press, San Antonio (Tx) 1018.
Per una rapida panoramica della storia dello Sputnik e del suo ruolo determi­
nante nella nascita della NASA, si veda R. D. Launius, Sputnik and the Origins ofthe
Space Age, https:/ /history.nasa.gov/sputnik/spucorig.hcml. Ancora sull'origine e gli
sviluppi della NASA, raccontati con dovizia di particolari da uno dei primi control­
lori di volo, cfr. M. von Ehrenfried, The Birth o/NASA: The Work of the Space Task
Group, America's First True Space Pioneers, Springer, New York 1016. Sulla crisi se­
guita al lancio dello Sputnik negli Stati Uniti negli ultimi mesi del 1957 si consiglia
I. H. Kennedy, The Sputnik Crisis and America 's Response, Master thesis, University of
Centrai Florida, Orlando (FL) 1005 (https://scars.library.ucf.edu/cgi/vicwcontent.
cgi ?referer=https://www.google.com/&httpsredir=1&arcicle=1578&context=etd).
Per la reazione del presidente degli Stati Uniti al lancio dello Sputnik e per le con­
seguenze che esso ebbe sul cambio di rotta di Eisenhower per quanto attiene ai suoi
principi, alla sua leadership e ali' approccio nei riguardi del prestigio internazionale
del suo paese, si legga Y. Mieczkowski, Eisenhower 's Sputnik Moment: The Race far
Space and World Prestige, Cornell University Press, !thaca (NJ)-London 1013.
Per una fonte di prima mano sul progetto Horizon, avviato da van Braun nel
1959 per creare un avamposto lunare, cfr. la relazione A. G. Trudeau, Project Horizon,
I: Summary and Supporting Considerations, United States Army, s.l. 1959 (https://
nsarchive1.gwu.edu/NSAEBB/NSAEBB479/docs/EBB-Moono1_sm.pdf).
Per informazioni tecniche sui satelliti, cfr. il dettagliato volume J. A. Angelo Jr,
SateLLius, Infobase Publishing, New York 1006.
Infine, per una visione dall'interno del programma spaziale USA, ricca di dettagli
tecnici, è utile la consultazione di A. Shepard, D. Slayton, J. Barbree, Moon Shot: The
Jnside Story oJAmerica's ApoLLo Moon Landings, Turner Publishing, Nashville (TN)
1994.
BIBLIOGRAFIA

L'Icaro rosso

Per un ottimo quadro d'insieme dd programma spaziale sovietico dai primi passi com­
piuti da Korolev negli anni Cinquanta alle vicende dei primi anni Settanta, corredato
da numerose immagini, si rimanda a B. Harvey, Soviet and Russian Lunar Exploratùm,
Springer, New York 2007. Utile, anche se per sua natura più frammentaria, è la collet­
taneaJ. T. Andrews, A. A. Siddiqi (eds.),Into the Cosmos: Space Exploration and Soviet
Culture, TueJohns Hopkins University Press, Pitcsburg {PA) 2011. In particolare, al suo
interno si segnala il contributo di S. Gerovirch sulla figura di Nikolaj Kamanin e sullo
stretto concrollo da lui esercitaro sul progetto e sui cosmonauti. Ancora su Kamanin,
preziose testimonianze sono contenute nei suoi diari, tenuti segreti fino al 1995: se ne
danno stralci in http://www.astronautix.com/k/kamanindiaries.html.
Sulla figura di Gagarin, il testo che ne dà il quadro più completo, individuando
l'uomo - con debolezze e contraddizioni - dietro la figura di supereroe che ne fece
il regime è L. Danilk.in, Gagarin, Castdvecchi, Roma 2013. Le citazioni di Gagarin
sono tratte dal volume di memorie che scrisse subito dopo il volo ndlo spazio: nono­
stante l'imeneo propagandistico alla base ddla loro pubblicazione, esse costituiscono
un interessante documento: J. Gagarin, Non c'è nessun Dio quassu. L'autobiografia
del primo uomo a volare nello spazio, Red Star Press, Roma 2017. Per ulteriori sfac­
cettature della personalità di Gagarin. si rimanda al libro che il cosmonauta scrisse
con lo psicologo, V ladimir Lebedev, che lo seguì e preparò nell'incenso percorso di
addestramento al volo nello spazio: J. Gagarin, V. Lebedev, Quello che ho visto nello
spazio. Psicologia e cosmo ne/l'esperienza del primo uomo a volare tra le stelle, Red Star
Press, Roma 2016.
Sui progetti spaziali statunitensi, si può consulcare il poderoso volume, estrema­
mente ricco di documentazione archivistica, diJ. M. Logsdon, R. D. Launius {eds.),
Exploring the Unknown, 7: Human spaceflight: Projects, lvlercury, Gemini, and Apollo,
NASA Hiscory Division, Washington DC 2008.
Sulla figura di Alan Shepard, oltre alla sua autobiografia A. Shepard, The First
American in Space, Tue Rosen Publishing Group, New York 2004, si veda anche
N. Thompson, Light This Candle: The Lift and Times ofAlan Shepard, Three Rivers
Press, Random House, New York 2004. Sui rituali scaramantici degli astronauti:
Astronauts Have Some lféird Pre-La,mch Traditions. Rituals are important when
you're about to rocket into space, Smichsonian.com (https:/ /www.smichsonianmag.
com/smart-news/astronauts-pre-launch-traditions-180956151/).
Una lettura originale sui primi passi dell'avventura spaziale statunitense è O. Fal­
laci, Se il Sole muore, Rizzoli, Milano 1965, diario di viaggio durato un anno tra la Ca­
lifornia e New York, in un'America che seguiva spasmodicamente i progressi dei suoi
LUNA ROSSA

studi spaziali e le imprese dei suoi astronauti. Di questi astronauti, l'autrice delinea
ritratti di estrema accuratezza.

Avanti popolo

Sulla sfida agli USA rappresentata dal lancio dello Sputnik: Robert A. Divine, The Sput­
nik Challenge, Oxford University Press, Oxford-New York-Toronto 1993. Per gli ultimi
anni della vita e della ricerca di Korolev si rimanda a Harford, Korofev, cit. Molte no­
tizie interessanti e approfondite sulle prime fasi dei programmi spaziali in URSS e USA
si trovano in F. French, C. Burgess, lnto That Silent Sea: Trailblazers ofthe Space Era,
I9lfr-I9tf5, University ofNebraska Press, Lincoln (NE)-London wo7. da cui sono state
fra l'altro attinte le informazioni su German Titov e sul suo volo nello spazio, nonché
quelle su Valentina Tereskova. ln specifico, su Titov molte informazioni si ricavano dal­
le interviste in G. Tirov, M. Caidin, I am Eagfe!, Bobbs-Merrill, Indianapolis (IN )-New
York 1962.. Sulla Terdkova, si veda la breve autobiografia V. Tereshkova, The First Lady
o/Space: In Her Own Words, scaricabile su ](jndJe.
Ancora sulle vicende dei cosmonauti russi è utile la consultazione di C. Burgess,
R. Hall, The First Soviet Cosmonaut Team: Their Lives and Legacies, Springer-Praxis,
New York-Chichester 2.009, oltre alla narrazione di Boris Cherrok (uno degli inge­
gneri che lavorò sotto Korolev), Rockets and People, 3: Hot Days ofthe Cold U,',,r, ed.
by A. Siddiqui, NASA History Division, Washington DC 2.009 (scaricabile in pdf in
https://history.nasa.gov/SP-4110/vol3.pdf). A. Zak, RussianSpaceWeb.com, in http://
www.russianspaceweb.com/index.html, è un pot-pourri di informazioni sullo spazio
sovietico e russo, ricco di notizie ma poco equilibrato; serve per una consultazione di
base, grazie alla presenza di numerose voci sulla gara spaziale e sui suoi atrori, alcune
ben scritte e documentate, altre egualmente avvincenti ma scarse di riferimenti.
Il lungo articolo di A. Jenks, The Flight that Launched a Thousand Rumors, in
"Russian History Blog", 5 Aprii 2.011, in http://russianhistory blog.org/2.ou/04/the­
Aight-that-launched-a-thousand-rumors/, analizza il passaggio del governo sovietico
dall'atteggiamento di segretezza maniacale sulle prime imprese spaziali a una nuo­
va linea politica basata sulla diffusione ad hoc delle notizie e all'esibizione pubblica
dei suoi cosmonauti in veste di rappresentanti ufficiali della potenza dell'URSS. Sulla
creazione di un'immacolata mitologia dei cosmonauti da parte dell'URSS è utile la
lettura di S. Gerovitch, "Why Are We Telling Liesf" The Creation o/Soviet Space Histo­
ry Myths, in "Tue Russian Review", 70, 3, 2.011, pp. 460-84 (in https://www.jstor.org/
stable/ 412.89978?seq=1#page_scan_tab_contents).
Riguardo alla reazione statunitense alle missioni dei cosmonauti sovietici e, in
BIBLIOGRAFIA 2.37

particolare, a quella del vicepresidente Lyndon Johnson dopo l'impresa di Ticov,


il rapporto che egli inviò a Kennedy si trova, scansionato, in https://www.jfklibra­
ry.org/asset-viewer/correspondence-between-jfk-and-lbj-on-the-space-program.
Sull'importante ruolo di Johnson nell'avventura spaziale si può consulcare il ben
documentato volume di R. B. Woods, LBJ: Architect of American Ambition, Free
Press, New York ,006, da cui si evince anche l'essenziale contributo all'accettazione
del programma da parte di democratici e repubblicani. Che il Congresso america­
no mantenesse un atteggiamento bipartisan nei confronti del programma spaziale
è testimoniato anche in Shepard, Slayton, Barbree, Moon Shot, cit., molco utile nel
complesso anche per la scoria dei progetti Mercury, Gemini e Apollo. Per i discor­
si di John F. Kennedy, rimando al sito https://www.jfklibrary.org/learn/about-jik/
historic-speeches; quello del Il settembre 196, esiste anche in traduzione italiana.
Sulla figura di John Glenn si consiglia l'agile lettura di A. Chaikin,john Glenn:
America, Astronaut, ebook a cura della rivista "Art & Space� corredato di molte fo.
cografie e di due filmati ripresi dalle telecamere della navicella dell'astronauta, tra cui
uno del!'ammaraggio nel! 'Atlantico.

Il canto del cigno


Per la missione di Komarov, Feoktiscov e Yegorov sulla Voskhod-1, olcre a Chertok,
Rockets and People. 3: Hot Days ofthe Cold i¼ir, cit., è utile un breve articolo online,
corredato di grafici: S. Grahn, The Flight ofVoskhod-I, What a Surprise!, in http://www.
svengralm.pp.se/trackind/voskhodr/voskhodr.html. Feoktistov scrisse delle memorie,
per ora pubblicate solo in russo, ma circa il loro contenuto si dà sinteticamente conto in
lingua inglese in http://csef.ru/en/nauka-i-obshchcscvo/306/feoktistov-kp-zaco-my­
delali-rakety-vospominaniya-i-razmyshleniya-kosmonavca-issledovatelya-7837.
Per quanto concerne le ripercussioni che il cambio di leadership al Cremlino da
Chruséev a Breznev ebbe sul programma spaziale si rimanda a T. T. Vajda, The Gaga­
rin Mystery: Columb11s ofCosmos, iUniverse, New York-Lincoln (NE)-Shanghai 2006.
Sulla prima attività spaziale extraveicolare della storia si consiglia la lettura di
D. Scott, A. Leonov, Ttuo Sides ofthe Moon: 011r Story ofthe Cold i¼ir Space Race,
Simon & Schuster, New York ,004, un libro la cui originalità consiste nel narrare
due storie parallele, quella di Leonov, appunto, e quella di un astronauta statunitense,
David Scott, sullo sfondo dello scontro tra il sistema comunista e quello democratico.
Interessanti osservazioni sulla percezione del tempo e sugli stati emotivi esperiti nello
spazio si trovano in A. Leonov, V. Lebedev, Space and Time Perception o[the Cosmo­
na11t, Universiry Press of che Pacific, Honolulu (m) 2001.
LUNA ROSSA

Per la successione di Vasilij Misin alla guida dell'OKB-1 dopo la morte di Korolev,
il rendiconto migliore si trova in Harvey, Soviet and Russian Lunar Exploration, cit.
Sulla figura di V ladimir èelomej non esiste una biografia esaustiva in lingua in­
glese; occorre quindi fare riferimento a un sintetico cesto online: http:/ /www.ascro­
nautix.com/c/chelomei.html, e a un saggio più esteso scritto in occasione del 95° an­
niversario della sua nascita e pubblicato sul sito del Politecnico di Kiev in cui compì i
suoi srudi: hctps://kpi.ua/en/node/9234.
I commenti di Sergej Chruséev circa le rivalità interne al programma spaziale so­
vietico si trovano in Khrushchev, Khrushchev on Khrushchev, cic.
Da ultimo, sulla crisce vicenda della morte in volo di Komarov si consiglia la lec­
rura di Chertok, Rockets and People, 3: Hot Days of the Co/d J¼ir, cic., mentre per la
scoria dell'amicizia tra Komarov e Gagarin e per il tentativo da parte di quest'ulti­
mo di impedire la partenza della missione, si vedano due articoli del 2011: R. Krul­
vich, Cosmonaut crushed imo Eart "Crying in Rage", in https://www.npr.org/
sections/krulwich/ 2011 I 05/ o 2/ 13 4 597 833/cosmonaut-crashed-in to-earth-crying­
in-rage ?t=1554077232984, e Id., A Cosmonaut 's Fiery Death Reto!d, in https://www.
npr.org/blogs/krulwich/2011/05/03/ 13 59193 89/a-cosmonauts-fiery-death-retold.

Take me to the Moon


Sulla morte di Gagarin si può leggere Vajda, The Gagarin Mystery, cic. SuUa trasforma­
zione del cosmonauta in figura mitologica si veda S. Gerovicch, Soviet Space Mytholo­
gies: Public lmages, Private Memories, and the Making ofa Cultura! Jdentity, University
ofPietsburghPress,Pietsburgh (rA) 2015. Sulle avvenrure spaziali sovietiche della secon­
da metà degli anni Sessanta - con le navicelle Sojuz/Cosmos - si rimanda, ancora una
volca, a Harvey, Soviet and Russian Lunar Exploration, cit., e agli esaurienti contributi
in Andrews, Siddiqi, lnto the Cosmos, cit. Per notizie di prima mano sono ucili i diari di
Kamanin, la cui edizione integrale esiste solo in russo. Sul periodo considerato in questo
capitolo, ve ne sono stralci interessanti in B. Hendrickx, The Kamanin Diaries, 1969-
1971, in "Journal of che Bricish lncerplanetary Society� SS, 2002, pp. 312-60 (http://
www.bis-space.com/belgium/wp-content/uploads/2015/o5/kamanin69-71.pdf ).
Per i progetti starunitensi Mercury e Gemini si può consultare Logsdon, Launius,
Exploring the Unknown, 7: Human spacejlight: Projects, Mercury, Gemini, and Apollo,
cit. In generale, per le vicende spaziali americane si segnala l'ampia collana History
Series Publications pubblicata a cura della NASA, con vari titoli scaricabili grarui­
camente (htcps://hiscory.nasa.gov/series95.hcml). Più in specifico, sulla missione
Gemini 3 e sui ricordi dell'astronauta Virgil Grisson, si rimanda a V. I. Grissom,
A Persona/Account ofMan's Venture lnto Space, Macmillan, London 1968; per la Ge-
BIBLIOGRAFIA 2.39

mini 4, si veda invece la testimonianza di W hice in hccps://www.nasa.gov/audience/


foreducacors/k-4/features/F_Going_Ouc.hcml.
Sul secondo amministratore della NASA,James Webb, e sul rischio che si assunse
con la messa in orbita della missione Gemini 6 e 7 si consiglia il breve ma deccagliaco
articolo del 2017 di N. Taylor Redd.james Webb: Early NASA Vuionary, in https://
www.space.com/38870-james-webb-biography.hcml. Sulla Gemini 8, si raccomanda
la lettura di Score, Leonov, Two Sides ofthe Moon, cic., scoria particolareggiata narrata
da uno dei due astronauti, David Score.
Sulle straordinarie esperienze di Eugene Cernan, dalla passeggiata del s giugno
1966 ai due viaggi dalla Terra alla Luna, si veda l'autobiografia E. Cernan, D. Davis,
L'ultimo uomo sulla Luna, Cartabianca Publishing, Bologna 2018 (ed. or. 1999).
Per quanto riguarda il programma Apollo, che portò Armscrong sulla Luna nel
luglio 1969, le principali letture generali consigliate sono: H. Lindsay, TrackingApol­
lo to the Moon, Springer, London 2.001; M. von Ehrenfried,Apollo Mission Contro!:
The Mnking o/a Nntionnl HistoricLandmark, Springer-Praxis, New York-Chichescer
2018. Ricco di informazioni e dettagli tecnici, in particolare sul disastro dell'Apollo 1
e sulle missioni Apollo li e 13, è 1heApolloProgram: 1he HistoryandLegacyofAmm­
cn s Most 1-àmous Space Missions, Charles River Edicors, Kindle edition. Un altro libro
tecnico e molco ben documentato, scritto da uno degli ingegneri che presero parte al
progecro Apollo, è T. H. Kdly, Moon Lander: How We Developed the Apollo Lunar
lvlod,,!e, Smichsonian Books, Washington DC 2009.
Sul sistema rendcvouz proposto da Houbolc e dalla sua squadra di ingegneri si può
leggere J. R. Hansen, Enchnnted Rendezvous:john C. Houbolt and the Genesis ofthe
Lunnr-Orbit Redezvous Concept, in https://web.archive.org/web/2.0060929003231/
e hccps://history.nasa.gov/monograph4.pdf.
Sulla figura di Jurij Kondracyuk, che tanto colpì Nei! Armscrong, le informazioni
riportate sono tratte dalle pubblicazioni (in russo) curate dal museo dell'omonima
università in Polcava (Ucraina). Un racconto esaustivo sulla missione che condusse
gli astronauti Armscrong, Collins e Aldrin sulla Luna si ha in D. Parry, Moonshot:
The lnside Story o/Mnnkind's GreatestAdventure, Ebury Press, London 2009, mentre
per il resoconto dello sbarco di Armstrong si può leggereApo!lo II Plus 45: How Nei/
Armstrong Saved the Day on the Moon, in https://www.nbcnews.com/science/space/
apollo-11-plus-45-how-neil-armstrong-saved-day-moon-n160386.S
Sul commento di Sergej Chrusècv riguardo l'interesse affievolito dei sovietici nei
confronti delle imprese spaziali, si veda l'intervista in S. Engdahl, 1heApoflo II Moon
Lnnding, Greenhaven Press, Farmingcon Hills (Ml) 2011.
Infine, al lettore incuriosito si segnala la lettura di un recente volume della giorna­
lista scientifica statunitense M. Roach, Come vivremo su Marte, il Saggiatore, Milano
2017 (ed. or. 2.010), ricco di aneddotica tratta dalla scoria delle esplorazioni spaziali.

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