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Le Bucoliche

Le Bucoliche sono un'opera del poeta latino Publio Virgilio Marone, iniziata nel 42 a.C e divulgata intorno al
39 a.C. È costituita da una raccolta di dieci egloghe esametriche con trattazione e intonazione pastorali; i
componimenti hanno una lunghezza che varia dai 63 ai 111 versi, per un totale di 829 esametri. Questa
scelta colloca quindi l'opera nel solco neoterico-callimacheo, di ispirazione alessandrina e precisamente nel
filone teocriteo. “Bucoliche” deriva dal greco Βουκολικά (da βουκόλος = pastore, mandriano, bovaro); sono
state definite anche ἐκλογαί, egloghe, ovvero "poesie scelte". Esse furono il primo frutto della poesia di
Virgilio, ma, nello stesso tempo, possono essere considerate la trasformazione in linguaggio poetico dei
precetti di vita appresi dalla scuola epicurea di Napoli.

 Contesto storico e letterario


La contestualizzazione dell'opera è quella di una realtà profondamente drammatica, quella dell'Italia del I
secolo a.C., scossa dalla guerra civile. Virgilio aveva assistito da piccolo alla congiura di Catilina, quindi
all'ascesa di Giulio Cesare, alla guerra tra costui e Pompeo, al suo assassinio nel 44 a.C. ed infine agli scontri
tra i cesariani e pompeiani. Mentre Virgilio scriveva la sua opera, Ottaviano aveva trionfato a Filippi.
Tornato a Roma, Ottaviano aveva espropriato i suoi contadini delle sue terre, per ridistribuirle tra i veterani
come ricompensa per i servigi da loro resi. L'esproprio delle terre fu per Virgilio un'esperienza drammatica,
ed egli lo visse come un sintomo di barbarie. La trattazione di temi pastorali non era un elemento di novità
per l'ambiente culturale romano del I secolo a.C.; era innovativo invece il fatto che un poeta dedicasse a
questo tema un intero libro.

 Riassunto delle X egloghe


I ecloga È un dialogo tra due pastori, Melibeo, espropriato dai propri campi per far posto ai veterani
delle guerre civili, e Titiro, che ha conservato il possesso dei suoi per l'intervento di un "giovane" di
Roma. Alla serenità di Titiro, intento a cantare la sua Amarillide, corrisponde l'angoscioso lamento
di Melibeo costretto, come tanti altri agricoltori, a lasciare la casa per un triste destino di esule.
II ecloga Coridone, innamorato senza speranza del giovane Alessi, schiavo di un ricco cittadino,
grida il suo disperato canto d'amore alla natura. Si convince infine che Alessi non è adatto alla vita
agreste.

III ecloga È un dialogo tra Dameta e Menalca, in cui uno mette in dubbio le capacità poetiche
dell'altro. Da qui nasce una gara, in cui i due si alternano a recitare versi (forma amebèa, cioè
alterna). La vita pastorale, l'amore e la poesia sono i temi toccati; Palemone fa che il giudice dichiari
pari la gara. Deliziosa è l'immagine fuggente di Galatea, innamorata di uno dei due.

IV ecloga Ha un tono profetico e nulla a che fare col mondo pastorale. Virgilio, rivolgendosi al
console Asinio Pollione, annuncia l'avvento di un nuovo ciclo cosmico, che riporterà nel mondo la
mitica età dell'oro. L'inizio dell'era coincide con la nascita di un "fanciullo" prodigioso, che durante
la sua vita realizzerà una rinnovata età di pace e di felicità.

V ecloga Il pastore Menalca invita Mopso a una gara di canto in forma amebèa. Mopso eleva un
disperato lamento per la triste morte di Dafni; Menalca celebra l'apoteosi di Dafni, assunto in cielo
con gli altri dei, la gioia delle campagne e l'istituzione di cerimonie per la nuova divinità.

VI ecloga Narra la vicenda di Cromide e di Mnasillo che, trovato Sileno addormentato ed ebbro, con
l'aiuto della bellissima naiade Egle, lo legano per obbligarlo a cantare. Sileno, svegliatosi, racconta
la nascita del mondo e alcuni miti antichi. Il poeta inserisce tra le leggende un elogio per l'amico
Gallo.

VII ecloga Melibeo narra una gara poetica tra i pastori Tirsi e Coridone, che ottiene la vittoria.
Degna di nota è la descrizione del paesaggio agreste mantovano, solcato dal fiume Mincio.

VIII ecloga I due pastori Damone e Alfesibeo, gareggiano nel canto: il primo si lamenta per
l'infedeltà della bella Nisa e dichiara di voler morire, il secondo narra le pratiche magiche di una
donna per riconquistare il suo amante.

IX ecloga Il vecchio Meride, mentre conduce dei capretti al suo nuovo padrone, un ex soldato, narra
a Licida come Menalca sia stato cacciato dalle proprie terre. Licida, addolorato, ricorda le piacevoli
poesie che erano soliti sentire dalla voce di Menalca.

X ecloga È un canto consolatorio che i pastori, il dio Pan e tutta la natura elevano per alleviare il
dolore di Gallo, abbandonato dalla sua Licoride. Il poeta si illude inutilmente di trovare la pace nei
paesaggi d'Arcadia; fuori di metafora egli non lascia l'elegia d'amore per la poesia bucolica.

 Analisi critica delle X egloghe


I temi principali sviluppati nelle Bucoliche possono essere suddivisi in tre categorie: il paesaggio arcadico, il
rimpianto del "mondo perduto" e il ritorno alle origini. Il paesaggio appare infatti come un luogo idillico e
ideale, in apparente contrasto con la realtà, a sottolineare i valori epicurei tra cui l'atarassia, l'assenza di
turbamento che viene ad identificarsi quindi con l'apollinea campagna. Emerge tuttavia un secondo tema
all'interno delle dieci egloghe, quello d'un mondo perduto e del contrasto tra la natura e la cultura e il
progresso. Infine è possibile ritrovare la ricerca di un ritorno alle origini e il desiderio di una nuova venuta di
un'età dell'oro attesa in ogni ceto sociale dopo il lungo secolo di guerra che precede la stesura dell'opera.

La prima delle dieci egloghe non presenta i tipici elementi dialogici, il tutto procede su due monologhi
paralleli di tono elevato. Ciascuno dei due pastori (Titiro e Melibeo) persegue la sua visione: il primo
dell'esilio, il secondo della libertà, una libertà donata a lui da un dio (deus ex machina) che gli permetterà di
restare. Melibeo, all'inizio dell'egloga, ancora turbato per le vicende della sua vita, si ritroverà meravigliato
nell'apprendere le sorti del suo interlocutore. L'estraneità di Titiro riguardo al mutamento che tutto intorno
avviene è percepibile e lo contrappone a Melibeo. Vi è solo una simmetria, prettamente lessicale che
connette,ad esempio, i due discorsi tra di loro: ai vv. 1-5 di Melibeo corrispondono i vv. 6-10 di Titiro è
possibile notare tale correlazione.

La seconda egloga, primo componimento pastorale dell'autore, è un invito alla campagna. All'interno di
esso i due personaggi sono posti in due ambienti opposti, città e campagna. Virgilio mette in luce elementi
bucolici che se, nelle altre egloghe appaiono impliciti e propedeutici allo svolgimento artistico, qui ci
rendono in grado di ricostruire la scena. Per di più, l'andamento alterato di tutta l'egloga, l'incalzarsi dei
sentimenti,l'evolversi dei pensieri, avvicina questo monologo bucolico a uno tragico.

La terza egloga, nella sua seconda metà, è una gara di canto. In contrasto sono due poeti d'amore,
eterosessuale l'uno, omosessuale l'altro, offre qualche riferimento celebrativo per Asinio Pollione. Questi
molto doveva aver apprezzato la seconda egloga specialmente se si era riconosciuto nel personaggio di Iolla
e se in Alessi aveva riconosciuto il suo efebo. L'autore poteva inoltre riconoscere il suo protettore sia come
autore di notevoli poemi, sia come lettore di carmi bucolici. Di questa terza egloga Virgilio doveva essere
fiero se la riprenderà, non senza vanto, nella quinta.

La quarta egloga suona come un carme genetliaco in onore di un puer che sta per nascere o che è appena
nato. Nel carme, con evidenti riferimenti all'epodo 16° di Orazio, la palingenesi incomincia con il puer, il
fanciullo avrà vita simile a quella degli dei e degli eroi e 'reggerà il mondo con le patrie virtù (Norden
1924,9) o, secondo Hommel e Jachman(1952,56 n.1) pacificato dalle virtù paterne'.

La quinta egloga ridiscende nel mondo quotidiano bucolico quasi a cancellare i toni elevati raggiunti nei due
precedenti episodi: morte e apoteosi di Dafni. L'interpretazione fu sin dall'antichità sviata dal desiderio di
prevedere chi si nascondesse sotto le spoglie di Dafni: sono stati fatti diversi nomi ma chi ha prevalso è
stato Giulio Cesare.

Nella sesta egloga Virgilio tenta di comporre un'opera che sia in onore di Alfeno Varo e narrare le guerre
civili alle quali Varo aveva partecipato ma, dissuaso da Apollo, ritorna alla bucolica. Più che un racconto
autobiografico si può considerare una recusatio a causa delle continue insistenze di Varo che esigeva da lui
un poema celebrativo. Con l'ammonimento di Apollo, l'autore cerca di rendere l'omaggio dovuto a Varo:
l'egloga è per Gallo, ma la pagina porta il nome di Varo.

La settima egloga, ancora una volta una gara di canto, ha come modello Teocrito. I contendenti, Coridone e
Tirsi, svolgono ognuno il proprio canto in strofe di quattro esametri, il primo risultando ben più raffinato, il
secondo, ricorrendo alle volgarità verrà poi dichiarato perdente e, a giudizio di Dafni, non riesce, seppur
abile, pari a Coridone. Giudizi più etici e non altrettanto oggettivi sono quelli formulati dallo stesso Melibeo,
cronista dell'intera gara, il quale 'privilegia colui che meglio riesce ad esprimersi nei canti d'amore'[30].
L'egloga, confrontabile con la terza, nella quale i due personaggi erano posti alla pari, vede la svalutazione
di Tirsi, 'poeta di vecchio stile'[31] qui, Virgilio 'fa vincere Coridone'[32].

L'ottava egloga, pur essendo una gara di canto, si avvicina più alla quinta che alla terza o alle settima egloga
anche per la divisione dei monologhi dei due protagonisti. L'azione si sperde nei rituali magici ma non
mancano descrizioni pittoresche dal modello teocriteo. Tutta la scena, infatti, ricorda Teocrito, dall'atrio
della casa all'ancella o al cane sulla soglia. Pollione, benché non sia espressamente nominato, è
identificabile dai fatti (l'egloga si pensa recasse probabilmente il nome di Pollione, in testa, come dedica.
Virgilio gli attribuisce il merito di averlo indotto a scrivere poesie stil-novistiche. L'esordio, carico di
solennità, ha sollevato dubbi di autenticità[33].

La nona egloga lascia scorgere i veri gesti dei personaggi: il racconto pastorale si volge al termine. Su
Menalca si è abbattuta la catastrofe; egli ora incarna il personaggio di Melibeo ma al contrario di
quest'ultimo, che accettava l'esilio rinunciando ai suoi possedimenti, Menalca, invece, rimane. I pastori
spariscono dalla scena bucolica e solo la funzione del canto potrà richiamarli alla vita; l'uomo diventa mito e
il mito si attua in poesia: da una parte il desiderio di Licida, dall'altra il canto di Menalca. (G. Stegen, La
neuvième Bucolique de Virgile, ivi 21,1953,331-42)
La decima egloga, che Stegen[34] divide in tre parti, consta di un proemio, un racconto e un congedo.
L'egloga, dedicata a Gallo, trova in quest'ultimo il suo protagonista di cui Virgilio ne canta gli affanni
d'amore. La vicenda ha un fondo di verità: Gallo in quegli anni era innamorato della liberta Volumnia nota
anche come Citeride ma alla quale il poeta applicò il nome di Licoride. La ragazza tuttavia non ricambiò
Gallo dello stesso amor, bensì fuggì per seguire un militare sul Reno. Questa fuga sarà il motivo del dolore
di Gallo. Tutto il passo ha come modello Teocrito per la scomparsa di Dafni.

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