You are on page 1of 14

PASOLINI INTERPRETE DEL PROPRIO CINEMA

Author(s): Guido Santato


Source: Studi Novecenteschi , gennaio · giugno 2003, Vol. 30, No. 65 (gennaio · giugno
2003), pp. 175-187
Published by: Accademia Editoriale

Stable URL: https://www.jstor.org/stable/43449948

REFERENCES
Linked references are available on JSTOR for this article:
https://www.jstor.org/stable/43449948?seq=1&cid=pdf-
reference#references_tab_contents
You may need to log in to JSTOR to access the linked references.

JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide
range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and
facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact support@jstor.org.

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at
https://about.jstor.org/terms

is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Studi Novecenteschi

This content downloaded from


137.204.24.180 on Fri, 29 Apr 2022 14:11:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Guido Santato

PASOLINI INTERPRETE DEL PROPRIO CINEMA*

Pasolini è un letterato che ha amato moltissimo il cinema sin d


prima giovinezza. Questo interesse comincia a tradursi in esperien
diretta solo dopo il trasferimento a Roma - dove Pasolini inizia da
prima a lavorare come sceneggiatore, aiutato nei primi contatti co
mondo del cinema da Attilio Bertolucci e da Bassani (comincia nel 1
partecipando alla sceneggiatura di La donna del fiume di Soldati) - m
sale appunto agli anni della giovinezza.1 Nel suo recente volume Pa
lini nella città del cinema Lino Micciché sottolinea giustamente che,
che dopo esservi entrato,

cittadino vero e proprio di questa città Pasolini non lo fu mai veramente,


completamente, mai fino in fondo: in principio, e a lungo, ne rifiutò le le
formali, poi ne respinse le prassi merceologiche [...] in questa «città del
nema», Pasolini fu sempre uno "straniero", magari involontariamente fun
nale a certi progetti merceologici, ma radicalmente estraneo. Egli la abitò
conto proprio, senza farsi contaminare dal «mestiere» dei concittadini, un
cineasta italiano dell'epoca a non usare mai altri che se stesso come sogge
sta, dialoghista e sceneggiatore [...] immerso [...] nella solitaria operazione
«cinema di poesia». Che è come abitare «dentro» la cinta urbana, e vivern
costrizioni, cercando di portarvi le libertà e le ebbrezze del «fuori».2

Più che straniero, forse, Pasolini è sempre rimasto un meteco:


poeta entrato nella città del cinema. Pasolini è un uomo di cinema
proviene da un altro luogo, da un'altra arte, e che quindi porta nel
cinema i codici, l'immaginario, la sensibilità estetica di quest'arte.
porta in definitiva, sin dall'inizio, un modo diverso di fare cinem
Nelle occasioni in cui parla del proprio cinema e se ne fa interprete
solini si esprime sempre come letterato, più precisamente come poe
Il suo atteggiamento cambia in modo abbastanza sostanziale quando
esprime come critico e teorico del cinema, quando cioè viene meno

* Intervento presentato nell'ambito del Convegno Letterati al cinema 11, svoltosi a


dova il 15 novembre 2002. Il titolo di questo intervento è naturalmente riferito ai n
rosi scritti in cui Pasolini ha presentato e commentato i propri film, ma accennerò
vemente anche ai saggi di teoria e critica cinematografica. Nella stesura di questo
ho ripreso alcuni punti del capitolo dedicato al cinema di Pasolini nella mia monog
Pier Paolo Pasolini. L'opera , Vicenza, Neri Pozza, 1980, pp. 251-266.
1. Cfr. le dichiarazioni di Pasolini in M. D'avack, Cinema e letteratura, Roma, Can
1964, p. 111.
2. L. Micciché, Pasolini nella città del cinema , Venezia, Marsilio, 1999, p. 9.

175

This content downloaded from


137.204.24.180 on Fri, 29 Apr 2022 14:11:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Guido Santato

parte la componente di affabulazione della scrittura saggistica. Pasolini


è un poeta che è stato affascinato dal cinema, ma che ha anche portato
nel proprio cinema tutta il mondo mitico, la sovradeterminazione sim-
bolica della realtà preesistenti nel suo universo poetico. Anche dopo
che l'attività cinematografica ha preso il sopravvento su quella lettera-
ria, dietro la macchina da presa c'è sempre l'occhio del poeta: c'è
quindi una percezione simbolica prima che una rappresentazione figu-
rativa dell'immagine. C'è molto cinema nella narrativa e nella poesia di
Pasolini - basti ricordare le descrizioni di interni di cinema popolari in-
serite in Una vita violenta e le Poesie di "Mamma Roma " - ma c'è ancor
più poesia nel suo cinema.
Nel realizzare i suoi film - dei quali scrive sempre sia il soggetto sia la
sceneggiatura, spesso collaborando anche alla scelta delle musiche3 -
Pasolini fa poesia in forma di cinema. Fa poesia attraverso il linguaggio
e le tecniche di un nuovo e diverso sistema di segni, costruendo un lin-
guaggio iconografico che presenta numerose analogie con il prece-
dente linguaggio poetico. Il cinema di Pasolini nasce all'insegna della
correspondance tra parola poetica ed immagine cinematografica:4 all'e-
vocazione di un'immagine attraverso le tecniche della scrittura poetica
si sostituisce la sua diretta rappresentazione visiva. Pasolini stesso ha
ribadito in più occasioni di aver girato i suoi film «come poeta»,5 parla
di «cinema di poesia»,6 precisando anzi, in merito ai propri film: «ho
voluto farli così esattamente come scrivo delle poesie, come scrivo i
romanzi».7 In fase di progettazione del Vangelo secondo Matteo così
riassume il proprio atteggiamento estetico di fronte all'opera che si ac-
cinge a realizzare: «Voglio fare pura opera di poesia, rischiando magari
i pericoli dell'esteticità».8 Uno dei testi poetici più suggestivi scritti da
Pasolini negli anni Sessanta - «Io sono una forza del Passato / solo
nella tradizione è il mio amore [...]» - fa parte delle Poesie di " Mamma
Roma ", diario poetico scritto durante la lavorazione del film: quasi me-
ditazione parallela, contrappunto in versi dell'esperienza del lavoro ci-
nematografico all'interno di un'ispirazione unitaria (il testo è stato poi
ristampato nel volume Poesia informa di rosa).9 In La ricotta questo
brano viene letto dal personaggio del regista, interpretato da Orson

3. All'interesse di Pasolini per la musica e in particolare alle scelte delle musiche per
i film è dedicato il ponderoso e importante volume di R. Calabretto, Pasolini e la mu-
sica, Pordenone, Cinemazero, 1999.
4. Cfr. P. Baldelli, Film e opera letteraria, Padova, Marsilio, 1964, pp. 345-346.
5. Al lettore nuovo, in Poesie, Milano, Garzanti, 1970, p. 5.
6. Cfr. Il «cinema di poesia», in Empirismo eretico, Milano, Garzanti, 1972, pp. 171-191.
7. Una visione del mondo epico-religiosa, in «Bianco e nero», n. 6, 1964.
8. Lettera ad Alfredo Bini, in II Vangelo secondo Matteo, Milano, Garzanti, 1964,
p. 20.
9. Poesia informa di rosa, Milano, Garzanti, 1964, p. 26. La serie delle Poesie mondane

176

This content downloaded from


137.204.24.180 on Fri, 29 Apr 2022 14:11:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Pasolini interprete del proprio cinema

Welles, inquadrato mentre tiene in mano, ben visibile, una copia della
sceneggiatura di Mamma Roma. Analogamente, in Teorema , il giovane
ospite appare, ripreso frontalmente, mentre è assorto nella lettura di
un'edizione economica delle poesie di Rimbaud (anche in questo caso
la copertina è rivolta verso la macchina da presa). Anche nella forma
concreta del libro, dunque, la poesia diviene oggetto e soggetto cine-
matografico.
Di questo pastiche di letteratura e cinema sono eloquente testimo-
nianza le sceneggiature pubblicate in volume, spesso corredate di poe-
sie scritte durante la lavorazione dei film, a conferma dell'osmosi, quasi
del rapporto di metonimica complementarità intercorrente tra i due
codici: Accattone , Mamma Roma , Il vangelo secondo Matteo , Uccellacci e
Uccellini , Edipo Re , Medea, Teorema , Ostia ,10 II padre selvaggio11 e la Tri lo-
gia della vita (il volume comprende le sceneggiature di Decameron , dei
Racconti di Canterbury e del Fiore delle Mille e una notte). Teorema costitui-
sce un caso limite di questa contaminazione pasoliniana di autonomia
di scrittura letteraria ed eteronomia di scrittura per il cinema: è una
sceneggiatura scritta come racconto (o viceversa); «più che un rac-
conto è quello che nelle scienze si chiama referto», avverte Pasolini nel
risvolto di copertina del volume, dal titolo un po' precettistico: Come
leggere nel modo giusto questo libro. Ci si trova di fronte ad un esito
estremo, apparentemente paradossale, della composizione a quattro
mani sopra considerata: questa volta però, invece che una sceneggia-
tura, Pasolini ha scritto una specie di romanzo, o di lungo racconto. Lo
conferma lui stesso, non senza una punta di narcisismo nel creare un
ennesimo sdoppiamento: «in tale natura anfibologica, non so sincera-
mente dire quale sia prevalente, se quella letteraria o quella filmica».12
Il film ed il racconto sono due esiti omologhi, anzi complementari di
un'operazione condotta contemporaneamente su due sistemi di segni
diversi, su due organismi stilistici paralleli. È un caso di programmatico
sdoppiamento all'interno del quale è impossibile stabilire quale dei due
testi - il racconto ed il film - sia l'antigrafo e quale l'apografo (anche se
naturalmente il racconto-sceneggiatura è stato scritto prima della rea-
lizzazione del film). Siamo cioè in presenza di due creazioni distinte e

cui appartiene il brano di diario in versi (datato io giugno 1962) era apparso per la prima
volta con il titolo Le poesie di " Mamma Roma" in appendice alla sceneggiatura del film
(Mamma Roma , Milano, Rizzoli, 1962, pp. 153-160).
10. Regista del film fu Sergio Citti; Pasolini scrisse il soggetto e la sceneggiatura.
11. Sceneggiatura per un film poi non realizzato, pubblicata dapprima in «Cinema e
film» (3-4, 1967), poi in volume (Torino, Einaudi, 1975).
12. Come leggere nel modo giusto questo libro, in Teorema, Milano, Garzanti, 1968. Di se-
guito Pasolini precisa che «Teorema era nato come pièce in versi, circa tre anni fa, poi si è
tramutato in film, e, contemporaneamente, nel racconto da cui il film è stato tratto e
che dal film è stato corretto».

177

This content downloaded from


137.204.24.180 on Fri, 29 Apr 2022 14:11:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Guido Santato

speculari: Tuna è il doppio dell'altra. Il gioco pasoliniano ha operato


una fusione tra l'autonomia letteraria del racconto e l'eteronomia fun-
zionale della sceneggiatura.
Pasolini sembra aver trovato nel cinema la forma d'espressione più
congeniale, ovvero un linguaggio che gli consente quella presa diretta,
quell'immediata, realistica visualizzazione della realtà fisica cui il suo
«realismo mitico» aveva costantemente teso. Il cinema diviene rappre-
sentazione per immagini di una mitologia del reale («solo chi è mitico è
realistico, e solo chi è realistico è mitico», dice il Centauro razionale a
Giasone in Medea).13 Il realismo pasoliniano aveva indubbiamente tro-
vato alcune radici e corrispondenze, sia letterarie sia cinematografiche,
nell'ambito del neorealismo: un'esperienza vissuta peraltro, sin dai
tempi di «Officina», in modo decisamente critico.14 In seguito Pasolini
rimarrà legato all'esperienza del neorealismo e confermerà la propria
fedeltà alla sua lezione.15 Rispetto alla letteratura l'adesione al realismo
trova nel cinema lo strumento per una ben diversa trasposizione figu-
rativa della realtà. In quanto strumento di rappresentazione realistica
del mito, la tecnica cinematografica ha per Pasolini qualcosa di sacro:

io utilizzo la cinepresa per creare una sorta di mosaico razionale [...]. Questa
tecnica che io avevo in qualche modo sacralizzato, secondo la definizione che
Contini ha dato di Dante - egli dice che la tecnica appartiene al dominio del sa-
cro - non ha più oggi la stessa funzione [...]. 16

quando giro un film, mi immergo in uno stato di fascinazione davanti ad un


oggetto [...] come se si trattasse di un congegno in cui stesse per esplodere il
sacro. 17

È evidente, da questo punto di vista, l'evoluzione figurativa del tema


del sacro nel cinema di Pasolini: allo stato puro in Accattone , allegorico
in Teorema. Il cinema diviene il luogo del sacro: si comprende quindi la
fenomenologia eminentemente epifanica di un film come Teorema. La
visione preistorica, pre-borghese del mondo popolare trova già la sua
esemplare rappresentazione nell'epopea sottoproletaria, tragico-reli-
giosa di Accattone. In Mamma Roma quel mondo è oggetto di una rap-
presentazione diversa, viene raffigurato in una fase di confusa, contrad-

13. Cfr. Medea - Un film di Pier Paolo Pasolini , Milano, Garzanti, 1970, p. 93.
14. Cfr. La confiisione degli stili , in Passione e ideologia , Milano, Garzanti, i960, pp. 342-
343.
15. Cfř. le dichiarazioni di Pasolini nell'intervento, Una discussione del '64, pubblicato
a conclusione del volume miscellaneo Pasolini nel dibattito culturale contemporaneo, Pa-
via-Alessandria, 1977, p. 123.
16. Entretien avec Pasolini , a cura di G. P. Brunetta, «Cahiers du cinema», n. 212, mag-
gio 1969.
17. Il sogno del centauro, intervista a cura di Jean Dunot, Roma, Editori Riuniti, 1983,
p. 85.

178

This content downloaded from


137.204.24.180 on Fri, 29 Apr 2022 14:11:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Pasolini interprete del proprio cinema

dittoria transizione verso un nuovo tipo di vita, verso ideali piccolo-


borghesi. Prende forma, conseguentemente, anche una problematica
morale assente in Accattone.
Nei saggi di teoria e di critica cinematografica pubblicati negli anni
Sessanta - raccolti in un'apposita sezione del volume Empirismo eretico
- Pasolini applica in modo spesso acuto e originale gli strumenti dell' a-
nalisi linguistica e semiologica. Si impegna soprattutto nella defini-
zione teorica dei singoli elementi che compongono Topera cinemato-
grafica e che partecipano alla sua realizzazione, dall'inquadratura alla
sequenza, al montaggio. Il suo obiettivo è quello di codificare - riallac-
ciandosi agli studi di Umberto Eco e di Christian Metz - il linguaggio, la
grammatica, la sintassi, il codice dell'opera cinematografica (vanno ri-
cordati in particolare i saggi La lingua scrìtta della realtà, Teorìa delle
giunte, Rema e Tabella ). Il suo obiettivo ultimo però è un altro: perve-
nire alla codificazione del cinema come «lingua scritta della realtà», ov-
vero come rappresentazione del sistema di segni della realtà stessa in-
tesa quale linguaggio primo, codice dei codici, Ur-codice.18 Il cinema ri-
produce questa realtà e questo linguaggio, è il codice di rappresenta-
zione del codice dei codici, la realtà :

Facendo il cinema io vivevo finalmente secondo la mia filosofia [...]. Il cinema


non evoca la realtà, come la lingua letteraria; non copia la realtà, come la pit-
tura; non mima la realtà, come il teatro. Il cinema riproduce la realtà: imma-
gine e suono! [...]. Il cinema esprime la realtà con la realtà [...] la realtà è 'ci-
nema in natura' [...]. Il cinema è la lingua scritta di tale realtà come linguag-
gio.19

Dal realismo alla realtà, dunque, come diceva Robbe-Grillet:20 alcune


suggestioni dal Nouveau roman sembrano trasparire evidenti in queste
affermazioni di Pasolini, che però ne diverge radicalmente, com'è an-
cora più evidente, per tutto quanto attiene al versante mitico del suo
realismo. Pasolini chiama le immagini cinematografiche «im-segni»,
ricalcando questo termine sulla definizione semiologica di «lin-segni»
con cui vengono indicati i segni linguistici, scritti e orali.21 Mentre
ogni altro linguaggio si esprime mediante sistemi di segni «simbolici»,

18. Cfr. Empirismo eretico, cit., p. 288. Alla semiologia cinematografica di Pasolini Eco
ha mosso aperte e talora vivaci critiche: cfř. Appunti per una semiologia delle comunica-
zioni visive, Milano, Bompiani 1767, e II codice cinematografico, in La struttura assente, Mi-
lano, Bompiani, 1968. Pasolini replica con il saggio JI codice dei codici, in Empirismo ere-
tico, cit., pp. 281-288.
19. La fine dell'avanguardia, in «Nuovi Argomenti», n. 34, nuova serie, luglio-dicem-
bre 1966, poi in Empirismo eretico, cit., pp. 138-139 (corsivo nel testo).
20. Cfr. Il nouveau roman, Milano, Sugar, 1965, pp. 159-167.
21. Cfr. Il «cinema di poesia», in Empirismo eretico, cit., pp. 171-191.

179

This content downloaded from


137.204.24.180 on Fri, 29 Apr 2022 14:11:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Guido Santato

i segni cinematografici sono per Pasolini «iconografici»: segni «iconici»


viventi che rimandano a se stessi.
Il cinema è concepito da Pasolini come una successione di immagini
immobili piuttosto che in movimento, quasi come una sequenza di
quadri-inquadrature. Da un punto di vista iconografico la sacralità del-
l'immagine è intrinsecamente legata alla sua ripresa immobile e fron-
tale, ovvero al suo radicale propriamente iconico. La predilezione di
Pasolini per i primi piani frontali, le inquadrature per blocchi visivi giu-
stapposti, alla maniera di Dreyer e di Rossellini, si rivela già in Accattone
(ma non mancano, in questo e nei film successivi, citazioni di Eisen-
stein e ricordi di Mizoguchi e di Bresson). La macchina da presa ferma e
quasi incornicia l'immagine . L'inquadratura è un quadro. Il cinema di
Pasolini sviluppa un gusto figurativo di origine eminentemente pitto-
rica. A suo tempo allievo di Roberto Longhi all'Università di Bologna,
Pasolini attinge i modelli della sua iconografia cinematografica diretta-
mente alla storia dell'arte e ai suoi pittori prediletti. Questo gusto figu-
rativo si rivela in tutte le componenti del cinema pasoliniano anche le
più tecniche. Pasolini usa la macchina da presa con una tecnica pitto-
rica, ricerca una plasticità e un'immobilità iconiche, rifacendosi al
grande modello masaccesco :

Il mio gusto cinematografico non è di origine cinematografica, ma figurativa.


Quello che io ho in testa come visione, come campo visivo sono gli affreschi di
Masaccio, di Giotto - che sono i pittori che amo di più, assieme a certi manieri-
sti (ad esempio il Pontormo). E non riesco a concepire immagini, paesaggi,
composizioni di figure al di fuori di questa mia iniziale passione pittorica, tre-
centesca, che ha l'uomo come centro di ogni prospettiva. Quindi, quando le
mie immagini sono in movimento, sono in movimento un po' come se l'ob-
biettivo si muovesse su loro sopra un quadro; concepisco sempre il fondo
come il fondo di un quadro, come uno scenario, e per questo lo aggredisco
sempre frontalmente. E le figure si muovono su questo fondo sempre in ma-
niera simmetrica, per quanto è possibile: primo piano contro primo piano, pa-
noramica di andata contro panoramica di ritorno, ritmi regolari (possibil-
mente ternari) di campi [...] la mia macchina da presa si muove su fondi e
figure sentiti sostanzialmente come immobili e profondamente chiaroscu-
rati.22

Io cerco la plasticità, soprattutto la plasticità dell'immagine, sulla strada mai


dimenticata di Masaccio: il suo fiero chiaroscuro, il suo bianco e nero [...].
Amo lo sfondo, non il paesaggio. Non si può concepire una pala d'altare con le
figure in movimento. Detesto il fatto che le figure si muovano.23

22. Le pause di «Mamma Roma», in Mamma Roma , cit., p. 145.


23. Ivi, p. 149. bui rapporto tra pittura e cinema in Pasolini e sull origine sostanzial-
mente pittorica del suo gusto figurativo si può vedere il nostro studio Pittura e poesia nel
cinema di Pier Paolo Pasolini, in Letteratura italiana e arti figurative, Atti del xn° Congresso

180

This content downloaded from


137.204.24.180 on Fri, 29 Apr 2022 14:11:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Pasolini interprete del proprio cinema

Uno stimolo all'intuizione di questo modello pittorico-cinematogra-


fico era giunto a Pasolini, forse, proprio da Longhi. Recensendo Tanto-
logia degli scritti di Longhi curata da Contini, Da Cimabue a Morandi ,
Pasolini ricorda le proiezioni di diapositive con le quali Longhi accom-
pagnava le lezioni del suo corso bolognese sui Fatti di Masolino e Masac-
cio : «il cinema agiva , sia pur in quanto mera proiezione di fotografie
[...]». 24 Va ricordato che la sceneggiatura di Mamma Roma è dedicata da
Pasolini «a Roberto Longhi, cui sono debitore della mia 'figurazione
figurativa'».
Quando girava Accattone Pasolini, come dichiara egli stesso, era an-
cora piuttosto inesperto di tecnica cinematografica: aveva così dovuto
inventarsi una tecnica necessariamente elementare. Da un punto di vi-
sta stilistico la semplicità si era mutata in austerità e l'elementare era
divenuto assoluto: «ciò cui appunto miravo quando trasponevo nel ci-
nema il modello figurativo di Masaccio».25 Accattone ha per Pasolini «la
nudità, l'austerità di Masaccio o della scultura romanica».26 Risultato
della semplificazione tecnica di Accattone è dunque «una sacralità tec-
nica»: «non c'è niente di più tecnicamente sacro che una lenta panora-
mica»27 (si ricordi a questo riguardo, nel Vangelo secondo Matteo , la lenta
panoramica sul paesaggio di Betlemme dopo la nascita di Gesù). Nella
Ricotta all'influsso masaccesco si sommano le riprese dalle Deposizioni
di Pontormo e di Rosso Fiorentino. I due quadri sono riprodotti fedel-
mente in due distinte sequenze all'interno del film.28 Le due citazioni
pittoriche, inserite nel testo filmico con una intuizione stilistica di raf-
finato formalismo, costituiscono due parentesi di notevole suggestione
figurativa: il brusco passaggio al colore interrompe il continuum della
fotografia in bianco e nero, con una conseguente accentuazione dell'e-
ffetto pittorico.29 Anche il continuum narrativo subisce ovviamente l'in-
terruzione di questi improvvisi cambiamenti di quadro, il cui signi-

deir Associazione Internazionale per gli Studi di Lingua e Letteratura Italiana, Firenze,
Olschki 1988, vol. m, pp. 1281-1294. Un utilissimo strumento di consultazione per questo
tipo di indagine è rappresentato dal volume fotografico Pier Paolo Pasolini : corpi e luoghi,
a cura di M. Mancini e G. Perrella, Roma, Theorema 1981; 2aed. ampliata e arricchita
di un inserto a colori, con prefazione di Paolo Volponi, 1982. Si veda inoltre F. Gerard,
Ricordi figurativi di Pasolini , in «Prospettiva», 32, 1983, pp. 32-47.
24. Descrizioni di descrizioni, Torino, Einaudi, 1979, p. 252.
25. Il sogno del centauro, cit., p. 97.
26. Ivi, p. 116.
27. Confessioni tecniche, in Uccellacci e uccellini, Milano, Garzanti 1966, p. 44.
28. Pasolini commenta queste due riproduzioni in una delle interviste raccolte in Con
Pier Paolo Pasolini, a cura di E. Magrelli, Roma, Bulzoni 1977, p. 71.
29. Si veda la dettagliata e minuziosa descrizione dei diversi colori che compongono
l'insieme cromatico delle due scene, e particolarmente della seconda, nel testo della sce-
neggiatura (cfr. Ali dagli occhi azzurri, Milano, Garzanti, 1965, pp. 468-469 e 480-482),
dove emerge anche un mutamento intercorso tra progettazione e realizzazione delTo-

181

This content downloaded from


137.204.24.180 on Fri, 29 Apr 2022 14:11:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Guido Santato

ficato stilistico va ben oltre la semplice illustrazione iconografica, la ci-


tazione colta, per divenire emblematico contrappunto alla realistica ed
altrettanto emblematica crocifissione di Stracci. Dal Cristo morto del
Mantegna è invece ripresa, in Mamma Roma, la scena dell'agonia e della
morte di Ettore legato al letto di contenzione in carcere : l'immagine è
ripresa con inquadratura frontale, dall'alto, poi secondo la medesima
angolazione del dipinto. La citazione pittorica corrisponde ad una pre-
figurazione simbolica del personaggio e della situazione: Ettore di-
viene una figura di Cristo adolescente, una vittima predestinata.30 La
scena del pranzo nuziale dell'osteria con cui si apre il film è ricostruita a
sua volta sul modello dell'Ultima Cena leonardesca.31
Il Vangelo secondo Matteo è, insieme a La rìcotta , l'opera cinematogra-
fica di Pasolini più ricca di riprese pittoriche e quindi di un sostrato
estetico-figurativo. Sono le due opere più apertamente religiose e
quindi le più dense di implicazioni estetiche in Pasolini. La prefigura-
zione simbolica della memoria figurativa agisce nel Vangelo sin dalla
scelta del modello cui ispirare l'immagine del protagonista. Pasolini
sceglie per quel ruolo uno sconosciuto studente spagnolo che «aveva lo
stesso volto bello e fiero, umano e distaccato dei Cristi dipinti da El
Greco, severo, perfino duro in certe espressioni».32 L'amalgama stili-
stico-figurativo del Vangelo si presenta particolarmente complesso : alla
sempre fondamentale presenza masaccesca si sommano espliciti riferi-
menti a Giotto, Duccio di Boninsegna e Piero della Francesca. Quanto
a Masaccio, la fonte più evidente è rappresentata dalla Crocifissione di
Capodimonte : anche la figura della madre-Madonna che compare nella
scena della crocifissione è interamente modellata sulla Madonna della
pala di Masaccio. Fra i Cristi di Giotto il riferimento più immediato, per
la grande forza drammatica e per l'intenso chiaroscuro del volto è
offerto dal Cristo crocifisso del Tempio Malatestiano. Per la presenza di

pera, ovvero tra testo della sceneggiatura e testo filmico. I due inserti pittorici inizial-
mente progettati erano ripresi entrambi dal Pontormo (rispettivamente l'Incoronazione
e la Deposizione). Nella realizzazione del film invece Pasolini sostituisce l'Incoronazione
con la Deposizione di Rosso Fiorentino. Si vedano inoltre le dichiarazioni di Pasolini in
O. Stack, Pasolini on Pasolini, London, Thames and Hudson, 1969, p. 63.
30. Cfr. Mamma Roma, cit., pp. 120-124; si vedano al riguardo le osservazioni di P.
Baldelli in Film e opera letteraria, cit., pp. 375. Si tenga presente che quello presentato in
questo volume è il testo della prima sceneggiatura del film: il testo di Mamma Roma suc-
cessivamente raccolto nel volume Ali dagli occhi azzurri, per quanto datato 1961, è infatti
diverso. A parte l'eliminazione delle didascalie, si ha una sostanziale trascrizione della
sceneggiatura in forma di racconto che anticipa, in parte, l'esperienza di Teorema.
31. Cfr. Mamma Roma, cit., p. 13 e Ali dagli occhi azzurri, cit., p. 363 e 367; 1 indicazione
offerta dalla sceneggiatura trova un preciso ed eloquente riscontro figurativo nella
scena d'apertura del film.
32. Intervista sul Vangelo secondo Matteo, in «Settimana Incom Illustrata», 24 maggio
1964 (brano riportato in II Vangelo secondo Matteo, Milano, Garzanti, 1964, p. 301).

182

This content downloaded from


137.204.24.180 on Fri, 29 Apr 2022 14:11:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Pasolini interprete del proprio cinema
Duccio il riferimento va naturalmente alla Maestà del Duomo di Siena.
Il Vangelo è Topera cinematografica di Pasolini in cui si esprime mag-
giormente la componente iconica del suo gusto figurativo legata alla
sacralità del soggetto e conseguentemente quella in cui sono più nume-
rosi i primi piani. Dalla Madonna del parto di Piero della Francesca è ri-
presa, secondo l'indicazione di Pasolini stesso,33 l'immagine iniziale di
Maria, figura pasolinianamente emblematica di madre-bambina. Da
Piero della Francesca sono inoltre ripresi, nel Vangelo, i costumi ed i co-
pricapi dei farisei (i mazzocchi). L'immagine di Salome che danza - al
suono dell'adagio di Telemann - non deve avere secondo Pasolini nulla
di sensuale: potrebbe essere anzi «un angelo di Botticelli - o la sua
Primavera».34
Decameron , I racconti di Canterbury ed II fiore delle Mille e una notte rap-
presentano, da un punto di vista pittorico, il coronamento dell'espe-
rienza cinematografica di Pasolini nel segno di un grande manierismo:
sono autentici affreschi nei quali il gioco delle luci e dei colori, la lenta
ed elaboratissima successione di campi lunghi e di primi piani rag-
giunge spesso risultati di grande suggestione formale. Nel Decameron la
scena del Giudizio universale è costruita sul modello del Giudizio uni-
versale di Giotto: al centro della scena, però, l'immagine del Cristo giu-
dice è sostituita, con una variante emblematica, da quella della Ma-
donna in Maestà . Appare estremamente significativo inoltre il fatto che
Pasolini abbia inserito nel suo Decameron l'episodio di Giotto e lo abbia
presentato - si noti - in una versione completamente rielaborata ri-
spetto alla corrispondente novella del capolavoro boccacciano. L'intera
seconda parte dell'episodio, che si svolge all'interno di una chiesa di
Napoli e vede un ispiratissimo Giotto-Pasolini intento a portare a ter-
mine l'affresco dell'abside, è originale creazione pasoliniana (gli affre-
schi riproducono fedelmente alcune scene dei Miracoli di San Francesco
della Basilica inferiore di Assisi). Ancor più significativo appare il fatto
che Pasolini stesso abbia interpretato l'episodio (anche se ha dichiarato
di esservi stato costretto a causa delle rinunce di Sandro Penna e di
Paolo Volponi). Quanto ai Racconti di Canterbury , l'immagine dei due
sederi femminili accostati che spuntano dalla finestra di un gabinetto
pensile di legno nel Racconto del fattore è ricostruita con assoluta fedeltà
da un particolare dei Proverbi fiamminghi di Bruegel. Da Bosch sono in-
vece riprese le immagini dell'Inferno visitato dal frate. Nello stesso
film compare il lungo omaggio a Chariot interpretato da Perkin-Ni-
netto nel Racconto del cuoco : l'ultimo ed il più vistoso di una lunga serie
di omaggi e di citazioni iniziata con La ńcotta e proseguita con Uccellacci

33. Cfr. Il Vangelo secondo Matteo, cit., p. 42.


34. Ivi, p. 141.

183

This content downloaded from


137.204.24.180 on Fri, 29 Apr 2022 14:11:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Guido Santato

e uccellini , La terra vista dalla luna e Che cosa sono le nuvole. Da Bruegel è
naturalmente ripresa la scena del ballo tondo nel corso del banchetto di
nozze.

Gli excursus cinematografici di Pasolini nella pittu


sono a loro volta tutť altro che rari e non privi di sorp
racconto Teorema compare una lunga descrizione de
un quadro di Wyndham Lewis, il teorico del vortic
di Pound, contenuta in un volume di pittura conte
tro, il figlio, sta leggendo insieme all'ospite. In una
descrizione il quadro di Lewis viene presentato c
una «civiltà della scomposizione»35 (allusione alla di
dine familiare e borghese rappresentata nel film). N
spondente alla prima scena, però, il quadro di Lewi
immagini di alcune riproduzioni di quadri di Bacon
tre Studi di figure per la base di una crocifissione : grot
produzioni di uccelli il cui significato simbolico e se
stosa corrispondenza nella gabbia vuota collocata
stanza. A Andy Warhol sembra infine rinviare la «s
metti realizzata da Pasolini per Che cosa sono le nuvole
grafica che forma una sorta di dittico onirico-fiabesco
dalla luna.36
Se Accattone e Mamma Roma sono da ascriversi al primo periodo neo-
realistico e romano del cinema di Pasolini, in diretta continuità con la
tematica dei romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta , in La ńcotta - un
piccolo capolavoro - si verifica la confluenza e la fusione a caldo di te-
matiche precedenti e successive. L'episodio - rappresentazione di una
ricostruzione cinematografica della Passione - si colloca all'ideale con-
fluenza tra Accattone e JÏ vangelo secondo Matteo. La crocifissione di
Stracci diviene rappresentazione realistica e allegorica insieme della
quotidiana crocifissione dell'umanità popolare.37 Con II vangelo secondo
Matteo la passione religiosa che prima era rimasta tutta interna alla rap-
presentazione tragica del mondo popolare - o si era espressa in forme
allegoriche - si fa esplicita attraverso la rivisitazione realistica del gio-
vanile mito estetico-religioso di Cristo (si pensi in particolare alle poe-
sie dell' Usignolo della Chiesa Cattolica). Anche il Vangelo rientra dunque,
pur se con un proprio specifico rilievo, nell'ambito della rivisitazione
mitica del sacro che Pasolini viene operando. In Uccellacci e uccellini alla
tematica allegorico-religiosa si intrecciano l'espressione di una pole-
mica ideologica e trasparenti riferimenti autobiografici (affidati agli in-

35. Cfr. Teorema, cit., pp. 134-135.


36. Pasolini scrisse successivamente la Prefazione all'edizione italiana di un catalogo
di Andy Warhol, Ladies and. gentlemen, Milano, Anselmino, 1976.
37. Cfr. Poesia informa di rosa, cit., pp. 78-79.

184

This content downloaded from


137.204.24.180 on Fri, 29 Apr 2022 14:11:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Pasolini interprete del propńo cinema

terventi del corvo), insieme alla prima affermazione del tema della bor-
ghesia che ha ormai identificato tutto il mondo con se stessa. Il modulo
del racconto picaresco, della favola si sdoppia nell'alternanza delle due
vicende parallele (come poi in Porcile). Edipo Re inaugura la serie dei ri-
facimenti cinematografici di opere letterarie: faranno seguito i rifaci-
menti della Medea di Euripide, del Decameron , dei Racconti di Canterbury ,
delle Mille e una notte e delle 120 giornate di Sodoma di Sade. Edipo Re apre
inoltre un ciclo di opere che attingono il loro soggetto direttamente
alla mitologia ed alla tragedia greca, cui appartengono la tragedia Pilade
e la successiva Medea (ma già del i960 è una traduzione dell' Ores tiade di
Eschilo). Edipo Re è film scopertamente autobiografico:38 un'autobio-
grafia ripercorsa sovrapponendo Freud a Sofocle, con un distacco nar-
rativo reso possibile dal tempo. In Porcile si può riconoscere un lontano
preannuncio di Salò : l'alternanza delle due vicende parallele - gli antro-
pofagi sulle pendici dell'Etna e la famiglia della borghesia industriale te-
desca - stabilisce una trasparente chiave analogica nella parabola della
borghesia che divora se stessa. Sull'alleanza conclusiva tra vecchio e
nuovo capitalismo si chiude infine la visione anarchico-apocalittica del-
l'autore. La Tńlogia della vita - Decameron, I racconti di Canterbury ed II
fiore delle Mille e una notte - coincide con il periodo erotico e festoso del
cinema pasoliniano: il regista si abbandona al gioco epico e figurativo,
alla rappresentazione della corporalità popolare quale era prima del-
l'età moderna e quale aveva trovato espressione nelle tre raccolte di
novelle, ambientate in contesti geografici ed etnico-culturali profonda-
mente diversi tra loro.39 Pasolini ritorna dunque al passato, al Me-
dioevo - con una vistosa rimozione della realtà presente - per ritro-
varvi le immagini di un'umanità ancora viva e intatta nelle sue manife-
stazioni, soprattutto sessuali; si abbandona al sogno, alla festa, al
gioco:
con questo film [ Decameron ] non solo ho giocato, ma ho capito che il cinema è
gioco [...]. Ma mentre in Porcile e Medea il mio gioco era atroce, ora esso è
lieto, stranamente lieto. [...] gioco. Ma giocando mi distinguo da una realtà
che non mi piace più: nel Decameron gioco una realta che mi piace ancora ma
che nella storia non c'è più.40

Sogno, piacere di raccontare e lieto fine siglano emblematicamente le

38. Cfr. O. Stack, op. cit., p. 12.


39. Pasolini derivo probabilmente l'idea e la «cornice» della Tńlogia da Sklovskij, il
quale cita appunto successivamente le Mille e una notte, Decameron e i Racconti di Canter-
bury come esempi di «incorniciamento» di una serie di novelle in un sistema narrativo
che le contenga e raccordi (cfr. La struttura della novella e del romanzo, in I formalisti russi, a
cura di T. Todorov, Torino, Einaudi, 1968, pp. 225-227).
40. Io e il Boccaccio, intervista a cura di D. Bellezza, in «L'Espresso /colore», 22 no-
vembre 1970.

185

This content downloaded from


137.204.24.180 on Fri, 29 Apr 2022 14:11:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Guido Santato

conclusioni di Decameron , I racconti di Canterbury e II fiore delle Mille e una


notte.41 Il gioco ed il piacere di raccontare si aprono all'intera gamma
delle manifestazioni dell'eros. Il fiore delle Mille e una notte si svolge at-
traverso una sospesa alternanza di sogno e realtà: è un film onirico,
scandito musicalmente dalla melodia dei canti popolari orientali. È il
momento «orientale» del cinema di Pasolini: la narrazione procede
con un ritmo orizzontale, rapsodico ed estremamente fluido, secondo
una struttura circolare che ha il suo centro nella novella di Nur ed Din e
Zumurrud. La Trilogia rappresenta dunque il momento dell'appassio-
nato abbandono al tempo perduto,42 della rivisitazione mitica, estetica,
onirica. Salò o Le 120 giornate di Sodoma rappresenta per contro un vio-
lento ritorno nell'inferno della realtà presente, un ritorno del rimosso
in immagini di violenta brutalità che approdano ad una sorta di manie-
rismo dell'orrido. Pasolini costruisce un'espressionistica allegoria del-
l'orrendo universo neocapitalistico-borghese, del «genocidio» da esso
operato e della sua ideologia edonistica, proponendosi di dare all'ele-
mento figurativo del film una leggibilità che aggredisca lo spettatore,
che gli si imponga con la violenza traumatizzante delle immagini. Que-
sto proposito viene enunciato già nell'Abiura dalla Trilogia della vita:

mi sto adattando alla degradazione e sto accettando l'inaccettabile. Manovro


per risistemare la mia vita. Sto dimenticando com'erano prima le cose. Le
amate facce di ieri cominciano a ingiallire. Mi è davanti - pian piano senza più
alternative - il presente. Riadatto il mio impegno ad una maggiore leggibilità
(«Salò»?).43

Salò è l'equivalente cinematografico della Seconda forma de «La meglio


gioventù ,M il rifacimento della raccolta di poesie friulane La meglio gio-
ventù (1954), pubblicato da Pasolini nel 1975 insieme alla ristampa della
raccolta. È un viaggio nel lutto, un tragico trionfo del negativo, una be-

41. Allievo di Giotto (Pasolini): «Ma... io mi domando... perché realizzare un'opera,


quando è così bello sognarla soltanto?»; «Qui finiscono i Racconti di Canterbury rac-
contati per il solo piacere di raccontare» (frase posta da Chaucer /Pasolini a chiusura del
libro); Nur ed Din: «Lo sai? Anch'io la so una poesia 'Che notte! Dio non ne ha creato
di uguali! Il suo inizio fu amaro, ma come dolce la sua fine!'» ( Trilogia della vita, Bolo-
gna, Cappelli, 1975, pp. 48, 91 e 132).
42. Cfr. l'« autointervista» di Pasolini II sesso come metafora del potere, in «Corriere
della Sera», 25 marzo 1975.
43. Abiura dalla ' Trilogia della vita', in «Corriere della Sera», 9 novembre 1975 (corsivo
nel testo), poi in Trilogia della vita, cit., p. 13 (raccolta infine in Lettere luterane, Torino, Ei-
naudi, 1976).
44. È significativo infatti l'inserimento nella colonna sonora del film della musica del
canto popolare II ponte di Perati, da cui era tratta la citazione che apriva il Volume secondo
della Meglio gioventù anche nella ristampa del 1975: «Sul ponte di Bassano bandiera nera
/ la meglio gioventù va soto tera». All'altezza della Nuova gioventù e all'interno di Salò la
citazione assume naturalmente un significato diverso rispetto all'originario.

186

This content downloaded from


137.204.24.180 on Fri, 29 Apr 2022 14:11:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Pasolini interprete del proprio cinema

stemmia gridata in viso agli spettatori, un'opera dichiaratamente all'in-


segna dell'eccesso. Lungo il film si susseguono le inquadrature delle ci-
tazioni da Proust, Barthes, Klossowski, Baudelaire, Nietzsche, Spitzer.
Gli orrori del morente regime di Salò vengono assunti quale metafora
del genocidio operato dalla civiltà neocapitalistica: un tema al quale
(insieme ad altri analoghi come la «mutazione» antropologica) Pasolini
dedicava negli ultimi anni le sue più violente polemiche pubbliche. Per
Pasolini dopo la fine degli anni Sessanta neocapitalismo e consumismo
borghesi hanno operato una espropriazione del corpo nei giovani: è
scomparso così l'« ultimo luogo in cui abitava la realtà, cioè il corpo, os-
sia il corpo popolare»:45

Se volessi continuare con films come II Decameron non potrei più farlo, perché
non troverei più in Italia - specie nei giovani - quella realtà fisica (il cui vessillo
è il sesso con la sua gioia) che di quei films è il contenuto.46

Se io oggi volessi rigirare Accattone, non potrei più farlo. Non troverei più un
solo giovane che fosse nel suo 'corpo' neanche lontanamente simile ai giovani
che hanno rappresentato se stessi in Accattone.47
Il Nuovo Potere brucia il Passato lasciando dietro di sé le livide tracce
di tale distruzione, da cui nasce Salò. L'irruzione trasgressiva del pas-
sato nel presente appare sempre più a Pasolini come la sola «rivolu-
zione» possibile. È l'ultimo sogno della ragione, l'estrema utopia di un
pensiero mitico - divenuto pensiero negativo e apocalittico - di fronte
all'egemonia della nuova storia. Parlare del proprio cinema è divenuto
sempre più per Pasolini - così come ogni altro argomento - un discorso
declinato e rivolto al passato: un passato perduto, non recuperabile,
non risarcibile.

45. Tetis, in Erotismo, eversione, merce, Bologna, Cappelli, 1974, p. 102.


46. Ivi, p. 103.
47. Il mio ' Accattone ' in Tv dopo il genocidio, in «Corriere della Sera», 8 ottobre 1975, poi
in Lettere luterane, cit., p. 155.

187

This content downloaded from


137.204.24.180 on Fri, 29 Apr 2022 14:11:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms

You might also like