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Marston Bates LA STORIA NATURALE : 4 fatura e metodi di una disciplina 4 | Universale scientifica Boringhieri volume semplice Ben difficilmente diremmo che il tempo degli storici @ passato perché si sono accumulati nella storia troppi particolari. Eppure — dice Bates — si afferma talora che il tempo dei naturalisti (intesi come persone che studiano i fenomeni della vita quali si presentano negli organismi nel loro insieme) & passato: si sostiene tranquillamente che ai nostri tempi nessuno pud avere una perfetta conoscenza delle complessita di tutte le discipline specializzate in cui @ stata divisa la storia naturale. Ma quando mai é stato in effetti possibile padroneggiare tutti i dettagli del sapere? La verita — dice Bates — @ che un uomo @ uno storico o un naturalista non perché conosce centomila fatti, ma perché li guarda da un certo punto di vista Dopo aver inventata 0 accettata quella pessima ipocrita filosofia, le vittime dell'ultraspecialismo si tramutano spesso in “filosofi della scienza” per partire alla ricerca della perduta unita del sapere. Dobbiamo a Bates — all’aver egli sistematicamente rifiutato l'alibi dello specialismo — un libro vivo e affascinante che riesce a dirci veramente la natura della storia naturale: come nas ca, come e di che cosa viva, come si sviluppi e articoli in scienza una non compromessa curiosita globale nei confronti della natura. E che riesce a dirci come tuttora a dispetto di cid che asseriscono gli pseudomoralistic pessimismi suggeriti dalla miopia specialistica — questo atteggiamento garantisca un preciso senso umanistico, delle precise possibilita umanistiche, alla scienza yews nel 1906 a Grand Rapids, ne! Michigan, lo statunitense Marston Bates & noto naturalista ed entomologo, soprattutto per i suoi studi sulla trasmissione malaria. red all'Universita della Florida e a Harvard. € stato professore di gia all’Universita del Michigan e direttore di ricerca all'Universitd di rico. Vive ad Ann Arbor. + sue pubblicazioni ricordiamo un‘analisi dei problemi domogratu:, The lence of People (1955), che ha come punto di partenza to toone di Darwin Ithus e da cui emerge il suo notevole interesse por il significate sociale scienza, e in particolare della storia naturale. Altra suo pore The in Reader (1957), Man in Nature (1960), Animal Worlds (1963, Wud it indo degli animali, Garzanti, Milano 1967) Titolo originale The Nature of Natural History Charles Scribner's Sons - New York - 2° ed. 1961 Traduzione di Marisa Mainardi Marston Bates LA STORIA NATURALE NATURA E METODI DI UNA DISCIPLINA Prefazione di Giuseppe Montalenti 1970 Boringhieri © 1970 Editore Boringhieri s.p.a., Torino, corso Vittorio Emanucle 86 Stampato in Italia presso la tipografia Capretto di Torino Gennaio 1970 Indice Prefazione di Giuseppe Montalenti, 9 . La scienza della storia naturale, 17 La classificazione degli organismi, 25 Il sistema linneano__ Ill concetto di specie _ I raggruppamento delle spe- cie Il genere Le famiglic ¢ i raggruppamenti superiori Il catalogo della natura, 39 Vegetalie animali virus I batteri_ Ifunghi Le alghe I licheni I muschie le epatiche Le felci_ Le fancrogame I protozoi_ Le spu- gne_ Icelenterati I nematodi Gli anellidi Gli echinodermi_— I molluschi Gli artropodi I cordati . La storia degli esseri viventi, 59 Lreta della terra Le epoche geologiche ~L’Era paleozoica_—_L’Era me- sozoica L’Eracenozoica _ Il Pleistocene e la Glaciazione . La riproduzione, 73 La continuita del processo vitale Le basi cellulari della riproduzione I processo sessuale _ Modificazioni del processo sessuale La base particcl- lare dell’eredita. Riproduzione, eredita ed evoluzione Lo sviluppo dell'individuo, 89 Il concetto diindividuo Lo sviluppo degli individui pluricellulari_ L’em- brione L’adulto I momenti fondamentali dello sviluppo La meta- morfosi degli insetti La metamorfosi degli echinodermi e degli anfibi Le cure parentali ¢ i limiti dell’accrescimento _La teoria della ricapitola- zione di Haeckel — Neotenia: I'infantilismo dell’uomo 7. L’ambiente, 108 Definizione di ambiente Il clima Latemperatura L’acqua_L’umi- dita Le correnti d’aria La luce La topografia Acque marine acque dolci Considerazioni gencrali sull’ambiente acquatico —_L’am- biente chimico _ L’ambiente biologico 8. Le comunita biotiche, 125 Le interrelazioni fra organismi La definizione di comunita _ I limiti della comunita _Successione: la storia delle comunita —_L’habitat ¢ la nic- chia I ruoli nella comunita biotica 9. Societa e cooperazione, 142 Il problema dei livelli Il concetto di simbiosi__ Le associazioni di alghe efunghi I rapporti di simbiosi dei batteri Il problema della digestione negli insetti_ Simbiosi e parassitismo La mutua dipendenza tra animali La cooperazione nel mondo degli insetti Gli ospiti delle for- 10. Parassitismo, 158 Dal parassitismo all’attivita predatoria I virus come parassiti__ I batteri come parassiti Funghi c fanerogame come parassiti_ _I parassitismo ne- gli animali: i protozoi_ I vermi parassiti. Artropodi parassiti Caratte- ristiche del parassitismo 11. Il comportamento individuale, 176 Il territorio Il comportamento_ sessuale Il comportamento sociale L’ordine di beccata _La vita sociale tra gli insetti_ I tropismi 12. Il comportamento delle popolazioni, 192 I cicli ¢ le infestazioni natur: La riproduzione potenziale _L’instabile equilibrio della natura La dinamica delle popolazioni__ Sovrappopola- mento, sottopopolamento ¢ densita ottimale I] numero diindividui — Gli adattamenti alle stagioni Superare l'inverno La migrazione degli uc- celli 13. Geografia biologica, 211 I tre punti di vista della geografia biologica Le principali regioni biotiche La geografia degli organismi acquatici I meccanismi di dispersione degli esseri viventi La geografia di popolazioni Le arce di distribuzione delle diverse specie 14. Gli adattamenti, 229 Gli adattamenti all’ambicnte inorganico Gli adattamenti all’ambiente or- ganico La colorazione protettiva La sclezione naturale La colora- zione terrifica Il mimetismo —_ Gli adattamenti entro l’organismo —_L’ac- climatazione —_L’ereditarieta dei caratteri acqui 15. Il meccanismo dell’evoluzione, 249 Darwin e l'evoluzione _ Il meccanismo dell’eredita_ L’origine delle spe- cie La speciazione geografica__I meccanismi di isolamento non-geogra- fici L’evoluzione dei principali tipi organici_ I ritmo evolutivo —L’ pulso all’evoluzione 16. Storia naturale ed economia umana, 266 La scienza “pura” e “impura” Le applicazioni della storia naturale Agricoltura ¢ storia naturale Medicina e stor naturale — Protezione della natura ¢ storia naturale Il problema dei valori 17. Storia naturale dei naturalisti, 281 La formazione dei naturalisti L’habitat dei naturalisti 11 comporta- mento dei naturalisti I] naturalista dilettante 18. La tattica, la strategia e il fine, 298 La tattica: il metodo dell’osservazione La tattica: il metodo sperimentale La tattica: gli strumenti scientifici La tattica: gli schemi concettuali La strategia Il fine Appendice. La letteratura della storia naturale, 316 Bibliografia, 323 Indice dei nomi, 327 Indice degli argomenti, 331 Altre letture suggerite, 337 Prefazione di Giuseppe Montalenti Nel nostro paese, in cui le discipline storico-filosofiche hanno assunto, soprattutto a partire dai primi decenni del secolo, Pegemonia della cultura, il termine “storia naturale” gode di scarso prestigio. E, col nome, anche la materia é tenuta per lo pitt in bassa considerazione: come una disciplina a cui, erroneamente, si attribuisce un compito meramente descrittivo e classificatorio degli oggetti naturali, e in particolare delle piante e degli animali. Dei quali si ritiene, sempre erroneamente, che pochi abbiano interesse per Puomo, e quei pochi soltanto per il loro valore economico, in quanto forniscono cibo ¢ altri beni materiali, anziché alimento alle pik alte esigenze dello Spirito. Quando ero ragazzo, Pinteresse per gli insctti, o i funghi, o le piante, che persistesse oltre Padolescenza, era considerato con trepido Sospetto dai genitori, e con malcelata ironia dai coetanci. | quali — se attratti dal miraggio della ricerca pura — Sindirizzavano a studi pit accreditati, oppure alle attivita artistiche; se dotati di spirito pratico Yincamminavano — col compiacimento dei genitori — verso le pro- fessioni. E lo zoologo o il botanico pertinace, cioé colui che persisteva nelPinsano proposito di continuare a dedicarsi alla storia naturale anche in eta adulta, quando é tempo di metter testa a partito, veniva guardato dai compagni con stupore mristo di commiserazione e di un tantino di annmirazione per il suo coraggio. Stolto coraggio, pensa- vano i pitt, che lo conduceva a occuparsi di minuzie o di stranezze che 10 GIUSEPPE MONTALENTI non attingono ai grandi problemi della cultura e della societa, come invece fanno la storia o la filosofia, né conducono alle professioni nobili, come Pavvocatura, o la medicina. Tanto é vero che la storia naturale, per riscattarsi da tale bassa condizione “sociale”, decise di mutar nome e si chiamoé scienza naturale, anzi scienze naturali, comprendendovi anche quelle discipline che si erano gia rese auto- nome: la chimica e la fisica. Con questo sotterfugio — rinunciando aun antico, glorioso nome, che risale ai greci, nella cui lingua istoria significa indagine, ricerca — la storia naturale risali di qualche gra- dino nella pubblica considerazione: il nome scienza impone rispetto, tutto considerato, persino ai filosofi. In tempi pid recenti, quando il grande sviluppo delle scienze — in- teso questo termine nel senso restrittivo che ormai é divenuto abi- tuale — ha colpito anche il pubblico pit ignaro, soprattutto per le strabilianti applicazioni tecniche; e quando si é imposto alPatten- zione delle persone colte il fatto che le scienze non sono soltanto tecnica, ma si sviluppano su di una trama di pensiero che la filosofia non pud ignorare, e che pervade tutta la cultura contemporanea; si é assistito a un’altra variazione semantica densa di significato: si é adottato e largamente diffuso il termine biologia. Con questo appella- tivo nobilitante, Pantica storia naturale é riapparsa, con nuova veste, nel rango delle discipline rispettabili. Alcune grandi scoperte recenti, come gli antibiotici, per il loro interesse pratico, o il codice genetico, per la grande importanza teorica e pratica, hanno contribuito a riva- lutare la storia naturale. Ma, come bene fa osservare Pautore di questo libro (p. 23) biologia non é sinonimo di storia naturale: é termine pit vasto e pit comprensivo. Storia naturale, in senso stretto, é lo studio degli animali, delle piante, dei microrganismi, visti nel loro ambiente, nelle loro attitudini e abitudini, sia singolarmente, sia, soprattutto, nel loro insieme. Se si vuole, per motivi di rispettabilita, un sinonimo termi- nante in -logia, si pud usare ecologia, che infatti si va sempre pit diffondendo. E viene fatto allora di porsi due domande: primo, se questo tipo PREFAZIONE W @indagine sia ancora importante, possa cioé fornire dati e conside- razioni che superino il momento puramente descrittivo, e anche il mero compiacimento estetico. Se la risposta a questo primo quesito é positiva, ci si chiede poi perché la storia naturale é stata sottovalu- tata nella cultura contemporanea, sia nel nostro paese, sia anche — come risulta da quanto afferma il Bates — in paesi in cui la cultura Scientifica in genere é stata meno sacrificata che da noi. La risposta alla prima domanda forma Poggetto di questo libro, dal quale si desume molto chiaramente come la storia naturale con- tenga una parte fondamentale della problematica scientifica odierna. Se anche esulano dai suoi confini — per convenzione comunemente accettata — alcuni fra i pik importanti campi Cindagine della biolo- gia, come la fisiologia cellulare, la biologia molecolare, e altri, vi rientrano invece argomenti di vivo interesse come i rapporti fra orga- nismo e ambiente, il comportamento, la struttura sociale degli orga- nismi, che recano lumi indispensabili per la conoscenza delle basi della psicologia umana, della formazione e dello sviluppo della so- cieta. Grandi problemi della biologia, come Padattamento e Pevolu- zione, non si possono studiare se non con Patteggiamento naturali- stico. Per non parlare poi di problemi teorici e pratici di vitale importanza per il benessere delPumanita, quali la produzione di cibo e di altri beni di consumo, la dinamica delle popolazioni, Pincremento demografico. E allora, se la storia naturale puo fornirci tali e tanti argomenti di ricerca scientifica e pratica, se, dunque é una disciplina viva ¢ costituisce una parte importante della cultura del nostro secolo, per quale ragione é stata degradata, e tenuta come cenerentola rispetto a discipline pit accreditate? Le ragioni sono molteplici: alcune di esse sono investigate nel libro del Bates. Non é questo il luogo adatto per fare il processo alla cultura contemporanea né sul piano mondiale né su quello nazionale. Limitiamoci a viconoscere gli errori intrinseci, cioé quelli che dipendono da noi, dal modo in cui professiamo e insegnamo le scienze. A questi é pit facile porre riparo, ¢ tale, appunto, é Pinten- szione di questo libro. L’autore esprime molto sinteticamente e chia- 12 GIUSEPPE MONTALENTI ramente la situazione quando dice (pp. 18sg.): “La scienza resta una faccenda piuttosto misteriosa, coltivata da una particolare casta sacer- dotale, difesa da un gergo incomprensibile. A scuola tutti noi siamo venuti in contatto con la scienza: ma la dissezione di una rana o gli odori del laboratorio di chimica stanno alla vivente ricerca scienti- fica come le regole delPablativo assoluto stanno alla lingua viva con cui Cicerone svolgeva i suoi giochi politici.” Troppa attenzione alPablativo assoluto; troppa specializzazione e frammentazione nelTinsegnamento della scienza; troppo distacco dei problemi scientifici, che vengono isolati e purificati come i biochimici fanno con un enzima. Si perde cost la visuale di orizzonti pit ampi, si perde il contatto fra i singoli problemi della scienza, e quelli delPin- sieme della natura, della societa, della vita umana. A questo isolamento, a questa separazione, che recide comunica- zioni essenziali per lo sviluppo stesso della scienza, che rende il feno- meno scientifico quasi disumano e finisce con Visterilirlo, si propone di porre rimedio questo libro, che ha un programma molto preciso: quello di far conoscere il reale valore scientifico e filosofico della in- dagine naturalistica, la sua funzione nella civilta odierna, la sua posi- zione nelPampio quadro della cultura attuale. Questo libro giunge, benvenuto, in un momento in cui molti segni fanno sperare che le cose che abbiamo lamentato stiano cambiando. Lattivita editoriale in molti paesi e anche in Italia vede moltiplicarsi le opere di divulgazione scientifica, biologica in particolare; divulga- zione che attinge un livello medio piuttosto soddisfacente. Sui giornali quotidiani e settimanali sono comparse, da alcuni anni, pagine dedicate alla scienza. Forse la coscienza naturalistica, inesistente o sopita nel popolo italiano, é in procinto di risvegliarsi, anche per opera di una buona, se pure ancor limitata, propaganda giornalistica. Gli scempi delittuosi che sono stati fatti delle bellezze naturali del nostro paese cominciano a destare preoccupazione nel pubblico: e sorge — si pud sperare — nell opinione generale un barlume di coscienza della neces- sita di proteggere e conservare la natura. Un altro fenomeno che potrebbe interpretarsi come un sintomo di interesse per la biologia PREFAZIONE. 13 @ il grande aumento del numero degli iscritti a questo tipo di laurea nelle nostre universita. Potrebbe... perché la preparazione e soprat- tutto Pinteresse per la scienza delle nuove reclute, generalmente par- lando, non appaiono tali da alimentare troppe illusioni. Per ottenere il risultato desiderato, sarebbe necessario che nei pro- grammi di insegnamento delle scuole secondarie si desse maggiore spazio alle discipline scientifiche, e, soprattutto, che queste fossero insegnate meglio, con lo spirito che questo libro intende promuovere. Con Pintroduzione delPinsegnamento di “Matematica - Osservazioni ed elementi di scienze naturali” nella scuola media si é fatto un passo avanti; ora occorre che le scienze vengano muovamente inserite anche nei due anni successivi ai tre della media, nei vari tipi di scuola. Communque un risveglio di interesse naturalistico c’é. Sta a noi coltivarlo, promuoverlo, e soprattutto orientarlo opportunamente, in modo che, sia attraverso gli insegnanti delle scuole, che vengono preparati nelle universita, sia con tutti i mezzi di diffusione della cultura di cui la societa oggi dispone, la coscienza naturalistica si diffonda in circoli sempre pit vasti. Questo libro, di un autore che domina la materia, fin nei suoi sviluppi pid moderni, e che, tuttavia ha saputo attenersi a uno stile piano e attraente evitando le astrusita del gergo specializzato, é certa- mente un ottimo strumento per ridare al pubblico la nozione della dignita della storia naturale. E augurabile che lo leggano anche e soprattutto gli studenti ¢ gli insegnanti di scienze. GIUSEPPE MONTALENTI Professore di genetica all’Universita di Roma La storia naturale Capitolo 1 La scienza della storia naturale E facile cedere alla tentazione di iniziare un libro con una frase lapidaria, una qualche enunciazione di grande generalita che accom- pagni il lettore fino ai dettagli del testo. La gente di cinema spesso si avvale di un espediente del genere, iniziando con la cinepresa puntata su una immensita di cielo e di nubi, abbassandola su un ampio pano- rama di foreste e campi, per inquadrare poi pit da vicino un villag- gio, una strada, una casa; all’interno della casa, infine, ecco Dorothy, seduta quietamente all’arcolaio, con la sua calma esteriore che na- sconde un tumulto di emozioni. Soltanto allora la storia inizia il suo svolgimento. Se usassimo lo stesso trucco qui, lasciando da parte le impene- trabili profondita del vasto universo metteremmo a fuoco il nostro pianeta, piccolissimo per gli standard astronomici, ma grande abba- stanza, in verita, per i suoi abitanti. Nella prima inquadratura, questa nostra terra perpetuamente ruotante sul suo asse, nella sua cieca corsa ellittica intorno al sole. Potremmo fermarci a considerare come la sua distanza dal sole sia proprio quella atta a consentire le tempera- ture per noi ‘confortevoli (e anche temperature che non lo sono), ¢ come la sua rotazione e la sua rivoluzione ci diano il giorno e la notte e una successione annuale di stagioni, e abbiano creato una particolare suddivisione in zone della superficie terrestre dai tropici ai poli. Avvicinandoci, questa superficie ci apparirebbe per la mag- gior parte coperta di un sottile strato d’acqua, con parti asciutte 18 CAPITOLO PRIMO qui percorse da catene di montagne, 14 distendentisi in ampie pia- nure. Non appena scesi in basso attraverso la coltre di nubi, ecco apparirci laghi, fiumi, baie, foreste, savane, insomma tutte le infini- tamente varie condizioni ambientali della superficie del pianeta. Se portassimo avanti la faccenda in autentico stile hollywoodiano, scenderemmo nel bel mezzo di un laboratorio biologico: qui un uomo in camice bianco, che scruta con un microscopio una goccia d’acqua, si farebbe da parte per permetterci di osservare, attraverso Yoculare, il mondo di creature invisibili che stava studiando. Ecco che ci si offrirebbero allo sguardo cose meravigliose: diatomee e desmidi con la loro simmetria cristallina; chiari filamenti verdi di alghe che formano tappeti attraverso cui ciliati gelatinosi cercano tranquillamente una strada; batteri a bastoncello in continuo tremito a causa del bombardamento molecolare, I’incessante vibrazione chia- mata moto browniano. Infine, portando l’occhio su qualche strano essere, attaccheremmo a descriverne la vita, la storia, le relazioni con gli organismi circostanti, componendo pian piano un quadro dei processi biologici. Un inizio del genere trarrebbe peré in inganno. II mio compito, nello scrivere questo libro non é quello di stupire con i fatti della biologia, o con le meraviglie di cid che abbiamo appreso sui pro- cessi della vita, bensi di destare interesse verso un certo atteggia- mento, di spiegare un punto di vista, appigliandomi ai fatti unica- mente in quanto servano a illustrare questo atteggiamento, questo punto di vista. I fatti delle varie scienze sono stati ampiamente pubblicizzati; il loro impatto ha trasformato il nostro ambiente materiale, influen- zando in mille modi, pid o meno vistosi, il corso della nostra vita quotidiana. I fatti della biologia sono entrati nella stanza dei bam- bini, in cucina, in giardino non meno che nella fabbrica o nell’ospe- dale. Ma la mentalita biologica, il metodo scientifico in generale, non sembra abbiano dato un pari contributo alla nostra cultura, non sembra abbiano portato a un altrettale cambiamento del nostro pro- cesso intellettuale. La scienza resta una faccenda piuttosto miste- LA SCIENZA DELLA STORIA NATURALE 19 riosa, coltivata da una particolare casta sacerdotale, difesa da un gergo incomprensibile. A scuola tutti noi siamo venuti in contatto con la scienza: ma la dissezione di una rana o gli odori del labora- torio di chimica stanno alla vivente ricerca scientifica come le re- gole dell’ablativo assoluto stanno alla lingua viva con cui Cicerone svolgeva i suoi giochi politici. Comunicare un atteggiamento é un compito difficile. Non credo si possa riuscirvi riferendo fatti, o ordinandoli secondo uno schema narrativo; e neppure credo si possa riuscirvi con una indagine astratta nel campo della filosofia della scienza, o passando in rassegna la sto- ria della scienza. Una certa combinazione di questi metodi, appli- cati a una delle branche della conoscenza in gia attivo sviluppo, pud essere pit efficace di ogni singolo tipo di esposizione in sé stesso. Credo che la storia naturale si presti bene allo scopo. Rappre- senta un ramo in sviluppo della scienza, un’area in cui la nostra igno- ranza colpisce molto pit che la nostra conoscenza, e anche un’area in cui la nostra conoscenza é in costante, incoraggiante aumento. E una branca della scienza che ci tocca tutti da vicino, dato che noi stessi siamo animali, soggetti alle sue leggi e alle sue indagini, sebbene nel medesimo tempo ci sforziamo di applicare quelle leggi ai nostri particolari scopi umani. Per di piu, si tratta di un settore della scienza in cui non si é ancora arrivati a un linguaggio che richieda di essere appreso ad hoc, con uno speciale addestramento. I suoi metodi, atteggiamenti, scopi, sono gli stessi di tutte le altre scienze. Vi sono moltissime definizioni della scienza: tante quante sono le opinioni su quello che debba essere compreso nel termine, Nel senso pili ampio la scienza é conoscenza sistematica e organizzata. Ma soprattutto durante il secolo scorso, il vocabolo si é andato sempre pit usando in un senso ristretto, a indicare un particolare tipo di conoscenza, cui si perviene svolgendo attivita particolari. L’impronta caratteristica della nostra civilta occidentale deriva dalla scienza intesa in questo senso pit ristretto. La nostra é I’“eta della scienza”, definizione che si ritiene la distingua da ogni altra, Nonostante noi non possiamo pretendere di essere i soli ad avere svi- 20 CAPITOLO PRIMO luppato una conoscenza sistematica e organizzata. Per scienza in questo senso ristretto si intende un particolare tipo di studio, come la fisica, la chimica, Ja biologia. E siamo anche inclini a credere che con “scienza” in tale accezione si intenda il metodo sperimentale, anche se non troviamo difficolta a includere fra le nostre scienze anche cose come la geologia e l’astronomia, a dispetto delle ben scarse tracce di esperimento presenti nella loro costruzione. Per scienza in questo senso ristretto odierno, mi piace la defini- zione di James Bryant Conant. Conant dice che “la scienza si stacca dalle altre attivita umane implicanti progresso, per il fatto che nuovi concetti si formano da esperimenti e osservazioni, e che a loro volta questi nuovi concetti conducono a ulteriori esperimenti e osserva- zioni”. La scienza é un’attivita implicante progresso. La peculiarita umana pit notevole é che Puomo si é trovato di fronte la possibilita di attivita capaci di sviluppo. Un tale progresso, I’accumulo di espe- Tienza di generazione in generazione, é dipeso anzitutto dallo svi- luppo del linguaggio, poi della scrittura e infine della stampa. Questi fatti hanno permesso l’accumulo di tradizioni e conoscenze, dell’in- tera impalpabile eredita culturale in cui siamo immersi. Tutto cid ha condizionato a tal punto la nostra esistenza che ci é quasi impos- sibile fermarci a esaminarc la natura della nostra cultura. La accet- tiamo cosi come si accetta l’aria che si respira; siamo altrettanto inconsapevoli della nostra cultura, di quanto lo é un pesce, presu- mibilmente, dell’acqua. Noi fronteggiamo il mondo con due tipi di attrezzature: la no- stra eredita biologica e la nostra eredita culturale. Entro il periodo di tempo costituito dalla storia, il nostro patrimonio biologico non é cambiato. Ad esempio, la nostra fisiologia della riproduzione & uguale a quella dei nostri progenitori cavernicoli, anche se le panto- mime che precedono l’accoppiamento possono essere diverse ai giorni Nostri, € possono variare notevolmente da cultura a cultura. Il no- stro apparato digerente rimane il medesimo, a dispetto dei diversi maltrattamenti subiti. La forma dei nostri nasi non é mutata dai LA SCIENZA DELLA STORIA NATURALE, 2 giorni di Giulio Cesare. E nonostante si sia registrato ultimamente negli Stati Uniti un incremento nella statura, sembra che si tratti del risultato di una dieta migliore piuttosto che di un mutamento delle nostre potenzialita biologiche. La nostra eredita culturale sembra soggetta a un cambiamento continuo, se confrontata con l’eredita biologica. Se la si esamina attentamente, si trova comunque che il ritmo del progresso delle sue varie parti é lontano dall’essere uniforme. Per rendersi conto di cid basta semplicemente confrontare Ja nostra cultura e le nostre attivita con quelle di qualche altro periodo storico antecedente. Con lAtene dell’eta di Pericle, ad esempio: ¢ perlomeno discutibile se le nostre attivita artistiche, letterarie, filosofiche, confrontate con quelle ateniesi rappresentino un progresso. Anche la misura del progresso in politica e nel governo pué essere discussa: ci chiediamo perché i greci fossero cosi stupidamente attaccati alle loro piccole citta- stato, perché la loro civilta fosse continuamente turbata da lotte mortali, ma a quanto pare non siamo meno coinvolti nello stesso tipo di lotte politiche e militari, anche se é cambiata la scala. Andando abbastanza indietro nel tempo, si potra ovviamente sco- prire ogni sorta di cambiamento con un aspetto di progresso. Se paragoniamo noi stessi agli uomini delle caverne, possiamo vedere progressi artistici e filosofici, e anche progressi nello sfruttamento minerario ¢ nelle attrezzature belliche. Ma, se ci muoviamo lungo la scala del tempo, i progressi in certi campi appaiono pit regolari che in altri. La scoperta di una tecnica rende possibile lo sviluppo di una forma artistica, ma é uno sviluppo che procede a sbalzi. Ad esem- pio, é evidente il progresso nel campo musicale dopo i tempi del- lAtene di Pericle (sebbene di cid le prove siano abbastanza indi- rette), ma si tratta di un progresso che registra un balzo in avanti incomparabile dopo la scoperta dell’armonia e l’invenzione di un sistema di trascrizione. L’esistenza di un progresso per accumula- zione dopo Bach, come minimo si pud dire che non trova tutti d’ac- cordo. E proprio da queste irregolarita che discendono le discus- sioni sui cicli delle culture e delle civilta. 22 CAPITOLO PRIMO Assieme a questi cicli si svolge il flusso delle attivita caratteriz- zate da progresso. Le sue prime gocce sono la scoperta del fuoco, dei minerali, dell’agricoltura, e il suo sviluppo pud essere misurato dal potere, continuamente crescente, sull’universo materiale. La cor- rente é cresciuta pil rapidamente in alcuni periodi che in altri, ma, se si guarda indietro a un ampio periodo di storia, la corrente sem- bra sorprendentemente indipendente dalle vicissitudini di culture e civilta. In Europa, anche nel periodo pit oscuro del Medioevo si osserva lo sviluppo dei mulini ad acqua e l’invenzione di cose come le staffe e i ferri da cavallo, A quel tempo la corrente principale aveva lasciato |’Europa in una curva che pass0 attraverso i lussureg- gianti periodi delle civilta Araba e Indiana, cosicché, quando tornd daccapo verso Europa nel quattordicesimo e quindicesimo secolo, era molto pitt grandiosa di quando lascid quel continente al momento del crollo del mondo greco-romano. Si pud dire senza tema di errore che la scienza emerse da questa corrente di attivita progressive, ma in maniera cos] impercettibile da rendere difficile il dire esattamente quando, come e dove. I libri di storia indicano le sue origini tra gli egiziani, i babilonesi, i greci. Si distingue gia piuttosto bene dalla filosofia in Alessandria, e comincia ad assumere un aspetto definito durante il luminoso periodo della cultura araba. Ma, dato il suo carattere del tutto particolare, dipen- dente da un’ampia fecondazione di scoperta e pensiero individuale, il suo sviluppo era difficilmente possibile senza la stampa. I suoi me- todi e le sue tendenze sono difficili da definire fino a che non si arriva al primo dei grandi scienziati moderni, Galileo, che visse nel sedicesimo secolo. Gli esperimenti, le osservazioni e gli schemi concettuali, se accet- tiamo la definizione di Conant, formano dunque Ie componenti di base della scienza, di questa attivita progressiva che si afferma per la prima volta in forma inequivoca con Galileo. In ciascuna scienza essi devono agire insieme, come un sistema autoalimentantesi, una serie senza fine in cui sono costantemente formati nuovi concetti o modificati quelli vecchi attraverso l’accumulo di fatti che risulta LA SCIENZA DELLA STORIA NATURALE 23 dalla osservazione e dalla sperimentazione. I] problema, nel com- prendere ciascuna scienza, sta nel vedere come funziona questo pro- cesso di modificazione: come, nel nostro caso, si applica alla storia naturale, Un dizionario da me consultato osserva che oggi “storia natu- rale” significa lo studio degli animali e delle piante “in forma divul- gativa e superficiale”, intendendo divulgativo e superficiale come parimenti svalutativi. A questa idea non é estranea la tendenza cor- rente, nelle scienze biologiche, di classificare qualsiasi suddivisione della scienza con un nome derivato dal greco. “Ecologia” é erudito ¢ profondo; al contrario “storia naturale” ¢ divulgativo e superfi- ciale. Eppure, per quanto riesco a vedere, sono due denominazioni per esattamente lo stesso oggetto, pil o meno. Storia naturale non equivale a biologia. La biologia é lo studio della vita. La storia naturale é lo studio degli animali e delle piante, cioé degli organismi. La biologia percid include la storia naturale, e altro ancora. Il mondo degli organismi é formato di individui. Percid sono incline a considerare Ja storia naturale come lo studio della vita a livello dell'individuo: di cid che animali e piante fanno, di come rea- giscono I’uno verso l’altro e in rapporto al loro ambiente, di come sono organizzati in raggruppamenti pid ampi quali le comunita e le popolazioni. Le altre scienze biologiche comprendono lo studio ad altri livelli di organizzazione: la dissezione dell'individuo in organi ¢ tessuti ¢ l’osservazione del loro modo di funzionare associati, come nella fisiologia; o I’analisi al livello delle cellule, come nella citologia; 0, al livello biologico ultimo, lo studio delle molecole viventi e delle loro interazioni, come in biochimica. Nessuno di questi livelli si pud considerare pid importante di un altro. I fenomeni a ciascun livello sono diversi, e bisogna tentare di arrivare a una comprensione di ognuno. Una cellula é qualcosa di pid di un aggregato di molecole; un individuo é qualcosa di pid di un insieme di organi. Una popolazione o una comunita, allo stesso riguardo, é qualcosa di pid di un insieme di individui. 24 CAPITOLO PRIMO La ricerca pud essere divertente a tutti questi livelli, e pud essere anche importante dal punto di vista umano di cercare di modificare Yuniverso per il nostro benessere e capirlo per la pace del nostro spirito. Per quanto mi riguarda preferisco l’indagine a livello del- Tindividuo; e credo si tratti del livello pit facile da comprendere. To sono un individuo; voi anche lo siete; e lo é il mio cane ¢ la quercia nel mio prato. Che cosa ci fa agire come facciamo? Come ci comportiamo l’uno con Valtro, quercia, cane e uomo? E perché? I fisiologi, i citologi e i biochimici hanno largamente a che fare con i problemi della spiegazione dei sistemi viventi in termini chi- mici e fisici. Questo é senza dubbio uno dei maggiori scopi della biologia, ma non é necessario dedicarvi troppa attenzione nella no- stra ricerca di storia naturale. La spiegazione del processo della vita é una cosa; la spiegazione della diversita degli esseri viventi ¢ un’al- tra; e quest’ultima si pud a ragione considerare il principale obiettivo della storia naturale stessa. La varieta delle forme di vita é straordinaria. Si ritiene esista un milione circa di animali diversi tuttora viventi, e centinaia di mi- gliaia di piante diverse. Neppure occorre pensare al mondo nel suo complesso. E gia abbastanza stupefacente fermarsi a osservare una foresta o una prateria: erba c alberi e bruchi e falchi e cervi. Come sono venute fuori tutte queste diverse specie di cose? Quali forze hanno presieduto alla loro evoluzione? quali forze mantengono co- stante il loro numero e determinano la loro sopravvivenza o estin- zione? quali sono i loro rapporti reciproci e con |’ambiente fisico in cui vivono? Questi sono i problemi della storia naturale, problemi che ci riguardano in quanto animali ¢ ancora di pit in quanto ab- biamo dato origine a quella cosa che chiamiamo civilta: che, tutto sommato, é semplicemente un tipo abbastanza particolare di comu- niti animale. La spiegazione di questi fatti costituisce il nostro obiettivo, un obiettivo che talvolta ci appare disperatamente lontano. Ma che lo raggiungiamo o no, noi andiamo scoprendo cose interessanti lungo la via, cosicché questa via, sebbene difficile, non risulta mai noiosa. Capitolo 2 La classificazione degli organismi Charles Elton ha fatto notare che é poco utile fare osservazioni su un animale se poi non se ne conosce il nome. Il primo passo, dun- que, per una visione generale della storia naturale dovrebbe essere lacquisizione di una certa familiarita con i sistemi di nomenclatura ¢ classificazione, con il corredo di termini usato dai naturalist Molti animali e piante hanno nomi “volgari” che ciascuno impara nell’infanzia, o che fanno parte di idiomi particolari, come quelli deci contadini, dei boscaioli o dei cacciatori. E comunque sorpren- dente quanto presto si esaurisca questa riserva di nomi; in pratica serve discretamente per i grossi mammiferi, come le linci, i cervi, lc volpi, i procioni, Ma se passiamo a osscrvare i topi di campagna scopriamo presto che non esistono nomi correnti per tutte le specie che si possono trovare: nel corso normale degli eventi, queste di- verse razze di topi, semplicemente, non destano la nostra attenzione. Se noi incominciamo a studiare gli insctti, in qualsiasi parte del mondo, ci rendiamo subito conto che ancora una volta il nostro normale vocabolario non ci é di alcuna utilita: al massimo ci offre nomi per un ristretto numero di tipi. Simile é la situazione con Ic piante, scbbene l’elenco dei nomi volgari per le piante pit notevoli © utili sia probabilmente pit lungo di quello per gli animali. La stra- grande maggioranza degli animali passa inosservata nella nostra vita quotidiana, a meno che essi non ci infastidiscano, e anche in questo 26 CAPITOLO SECONDO caso noi li scacciamo o li uccidiamo, senza alcun bisogno di dar loro un nome. Al giorno d’oggi ognuno ha qualche nozione sui nomi tecnici usati dai biologi. Questi nomi ci tornano utili per fare dell’umori- smo, e di cid spesso ha fatto le spese lo stesso Homo sapiens. I giar- dinieri con disinvoltura citano i nomi scientifici delle diverse specie di Iris, di Gladiolus o di qualsiasi altro fiore con cui abbiano a che fare correntemente. I medici hanno sempre grande familiarita con i nomi latini di batteri, protozoi e vermi parassiti. Sono invece vera- mente pochi i nomi tecnici — perlopit di piante da giardino e animali degli zoo — che sono passati nel linguaggio comune, Il fatto & che molti nomi tecnici purtroppo hanno un suono biz- zarro, poco familiare e pedantesco, e se ne vediamo troppi messi insieme su un foglio di carta stampata ci spaventiamo e cerchiamo subito qualcos’altro da leggere: atteggiamento incoraggiato anche dall’usanza tipografica di stampare tali nomi in corsivo, per indi- carne l’origine straniera. Ma i nomi tecnici non sono stranieri per nessuna lingua: sono comuni a tutte le lingue. In questo libro non saranno messi in corsivo: sara solo un dettaglio, ma forse contribuira a renderlo leggibile. Ai fini della biologia i nomi volgari sono di utilita limitata; in primo luogo si riferiscono solo ad alcuni tipi di organismi. In se- condo luogo spesso sono conosciuti solo localmente. Alcuni nomi sono entrati dall’uso locale nella lingua grazie all’ampio uso lettera- tio e giornalistico; avviene cosi che non ci rendiamo conto del ca- rattere regionale di una certa terminologia, ¢ un animale pud trovarsi ad avere tutta una serie di nomi equivalenti. Connessamente pud suc- cedere che gli stessi nomi, in contesti geografici diversi, designino animali del tutto differenti: il “leone” d’America, per esempio, non ha niente a che vedere con il “leone” africano. In taluni paesi, i nomi di tutte le piante e animali pil comuni possono variare da valle a valle. In terzo luogo i nomi volgari sono al massimo limitati a una lingua, mentre la scienza deve necessariamente tendere a un internazionalismo, sia di vocabolario sia di idee. In quarto luogo LA CLASSIFICAZIONE DEGLI ORGANISM 27 (questo elenco é gia troppo lungo) é ben difficile dare un preciso significato a un nome volgare. Nomi come quercia, pino, coniglio coprono una notevole varieta di esseri, che non sempre si possono specificare con Paggiunta di aggettivi come in “quercia bianca”, o “coniglio dalla coda a fiocco”. Spesso (0, per meglio dire, di regola) scoprono differenze non vistose ma importanti che rendono ne- cessario nominare il “coniglio dalla coda a fiocco della Florida”, o la “quercia bianca orientale di Wilberforce”, sicché alla fine ci si ritrova totalmente impigliati nella. nostra terminologia volgare, che, pure, all’inizio ci era parsa cosi semplice. La nomenclatura biologica forma un sistema mirabile. Mi chiedo se sia apprezzata quanto merita anche dal biologo medio, che spesso é propenso a irritarsi per insignificanti incoerenze che vi scopre nel suo lavoro quotidiano. Ho spesso sentito dei biologi esprimere invi- dia per la nomenclatura dei chimici. Passi per il cloruro di sodio e l'anidride carbonica, ma la mia invidia cade quando leggo la parte scritta in piccolo sulle etichette delle medicine: il “solfotiazolo”, ad csempio, diventa “2-(paraminobenzolosulfonamide)tiazolo”. In bio- logia non esiste nulla di cosi orribile; e i chimici hanno la vita dura quando passano ad applicare i loro sistemi di nomenclatura a qual- cosa di moderatamente complicato come le proteine. Beninteso, oc- corre tener presente, dall’altro lato, che quella nomenclatura chi- mica indica la struttura e di conseguenza Ie parentele tra le varic sostanze, mentre i nomi biologici sono soltanto dei simboli arbitrari. II sistema linneano La nomenclatura biologica é invenzione di Carlo Linneo. Ho cer- cato il suo nome nell’enciclopedia, scoprendo che la sua biografia occupa poco meno di una colonna. E curioso rilevare come l’autore di una delle grandi imprese dell'intelletto umano riceva cosi poca attenzione. Del resto a Isacco Newton, certamente uno degli uo- mini pit grandi, ¢ dedicato solo meta dello spazio riservato a David Lloyd George. Non si tratta, quindi, di uno specifico disinteresse nei 28 CAPITOLO SECONDO riguardi di Linneo, ma é@ purtroppo una generale mancanza di cu- riosita per le biografie e il carattere degli uomini che hanno fatto la scienza moderna. Linneo, svedese, nacque nel 1707 € mori nel 1778. Era il primo figlio di un contadino, Nils Ingemarsson, che divenne pastore pro- testante e che solennizzd questa ascesa sociale cambiando il cognome in “von Linné” (“del tiglio”; latinizzato: Linnaeus), per via di un grande tiglio che cresceva vicino alla sua casa. Carlo mostré chiara- mente fin dall'infanzia grande interesse per il mondo vegetale e soprattutto, secondo la moda di allora, per le erbe medicinali, e decise di studiare medicina. Era poverissimo, e probabilmente non avrebbe potuto rimanere all’Universita di Uppsala, se il rettore, Celsius, non l'avesse aiutato. Linneo doveva essere una persona veramente affasci- nante, se per tutta la vita ebbe sempre |’ammirazione, l’amicizia e la simpatia dei suoi colleghi. Forse era per l’entusiasmo che sapeva tra- smettere; é certo che senza quell’entusiasmo mai avrebbe potuto portare avanti l’enorme quantita di lavoro che ci ha lasciato. Egli ricevette premi e onori vari a Uppsala, ma per prendere la laurea in medicina dovette lasciare la Svezia. Cosi, con dei fondi anticipati dal suo futuro suocero andé in Olanda dove si fermé per alcuni anni. Qui, assistito dai suoi protettori di Amsterdam e di Leida, pubblicé Ja prima edizione della sua grande opera, il Systema naturae, Cié avvennc nel 1735, quando Linneo aveva ventotto anni. Pubblicé poi, in abbastanza rapida successione, altri libri, ritornando in Svezia nel 1738, dove visse il resto della vita, rifiutando onori e cariche che gli venivano offerte dall’estero. Era, comunque, tenuto in grande considerazione anche nel suo paese. Fu professore prima di medicina e poi di botanica a Uppsala, e venne insignito di un ti- tolo nobiliare. Ebbe a disposizione un gran numero di ricercatori, che mandava per il mondo a raccogliere materiale di studio. L’opera di Linneo che ci interessa maggiormente é il Sistema della natura. Durante la sua vita ne vennero pubblicate dodici edi- zioni, ognuna con cambiamenti e aggiunte. La decima edizione fu pubblicata nel 1758, data che rappresenta un momento storico della LA CLASSIFICAZIONE DEGLI ORGANISMI 29 biologia (cosi come il 1066 lo é per I'Inghilterra, o il 1776 per l'America) perché é il punto di partenza, la pietra miliare, della no- menclatura zoologica (la nomenclatura botanica data invece dal- opera Species plantarum, del 1753). Questa edizione contiene la prima espressione completa del sistema binomio, nel quale ad ogni animale e pianta vengono dati due nomi, il primo indicante il genere a cui Porganismo appartiene, il secondo indicante la specie (entro quel genere). Linneo divise l'Impero della Natura nei tre Regni degli Animali, delle Piante e dei Minerali. Divise poi il Regno degli Animali in sei classi: i mammiferi, gli uccelli, gli anfibi, i pesci, gli insetti ¢ i vermi. A loro volta le classi vennero divise in ordini, questi in generi, i yeneri in specie. Linneo esamind accuratamente il materiale di tutti i musei a lui accessibili, studid tutti i libri di‘animali e di piante che poté trovare, e diede un nome, nel suo sistema, ad ogni tipo di orga- nismo allora conosciuto, con una breve descrizione delle sue carat- teristiche, e con i riferimenti bibliografici ai vari libri di storia na- turale in cui l’organismo viene menzionato. A parte il pregio inven- tivo insito in questo sistema di nomenclatura, esso rappresenta una notevole manifestazione di capacita lavorativa e critica, da parte di un intelletto sistematico veramente brillante. Il compito che Linneo si poneva era la compilazione di un cata- logo di specie ben definite, ciascuna creata scparatamente. Egli cercava, peraltro, di sviluppare un sistema naturale nel quale gli or- ganismi tra loro strettamente affini fossero classificati negli stessi gruppi. Fondamentalmente era un botanico, e spese buona parte della sua esistenza tentando di mettere insieme una classificazione naturale delle piante, meta a cui si avvicind sempre pit nei succes- sivi lavori. Ovviamente le sue classificazioni hanno dovuto subire molti cambiamenti nel corso degli anni: ma dopo tutto il grande contributo linneano alla scienza fu proprio l’invenzione di un si- stema che potesse ordinatamente modificarsi col progressivo au- mento delle conoscenze. Non v’é motivo, a questo punto, di aggiungere altro sulla storia 30 CAPITOL SECONDO della nomenclatura biologica, a parte un solo evento: la pubblica- zione, nel 1859, del libro di Darwin, L’origine delle specie: infatti il “significato” della nomenclatura biologica cambid completamente dopo tale evento. Durante il secolo compreso tra Ja decima edizione del Sistema della natura di Linneo e L’origine delle specie di Darwin il problema era stato essenzialmente di mettere insieme un catalogo di tutte le specie, fisse e immutabili, di animali e di piante “create per popolare la terra”. Dopo il 1859, il problema divenne quello di individuare stadi diversi nell’albero genealogico degli animali e delle piante, di determinare “fasi”, pi o meno artificiosamente distinte, in un qualcosa per sua natura soggetto a continuo mutamento, a evo- luzione. Ovviamente ho semplificato al massimo, dato che molti naturali- sti erano consci di vari possibili tipi di evoluzione gid prima del 1859, d’altro canto molti altri hanno persistito, per un certo numero di anni, dopo il 1859, a considerare le specie come qualcosa di fis- sato immutabilmente da Dio. Comunque, Ia rivoluzione causata da quel solo evento editoriale & stata probabilmente pil rapida e pid drastica di quella prodotta dalla pubblicazione di qualunque altro libro in tutta la storia dell’umanita. Il concetto di specie La base della nomenclatura biologica é la specie. Una specie é un tipo di animale o pianta. Oggigiorno preferiamo pensare a una spe- cie come a una popolazione che include tutti quegli individui che, nel corso naturale degli eventi, possono verosimilmente accoppiarsi tra loro. Tutte le pid bizzarre varieta di cani domestici costituiscono una sola specie, poiché tutte appartengono a un’unica popolazione interincrociabile, come sa chiunque abbia tentato di proteggere per qualche giorno una cagna in estro. Le volpi e i lupi, pur assomi- gliandosi assai pit che certe razze canine, normalmente non si ac- coppiano tra loro, e quindi appartengono a specie differenti. Non avrei dovuto cominciare il mio discorso con i cani, poiché LA CLASSIFICAZIONE DEGLI ORGANISMI 31 ¢ssi rappresentano un caso piuttosto speciale. Nessuno sa con sicu- rezza quale cane selvatico, o quali cani selvatici, rappresentino gli antenati dei nostri amici domestici; i cani domestici possono inoltre essere incrociati con vari tipi di lupi di diverse parti del mondo. II punto importante é che essi abitualmente non si incrociano, cosic- ché di fatto si ha a che fare con una pluralita di popolazioni ripro- duttivamente isolate, che si possono tranquillamente chiamare specie. Fino a quando ci si riferisce a un singolo luogo, si pud essere ab- bastanza sicuri sulle specie. Se, nei dintorni della nostra citta, vivono tre qualita di topi e due di scoiattoli; se notiamo che non vi sono forme intermedie tra questi topi e scoiattoli; e che essi hanno abi- tudini e anche aspetti abbastanza differenti, si pud ritenere di avere tre specie di topi e due di scoiattoli. Se invece i maschi di una qua- lita di scoiattoli si mettono a corteggiare le femmine dell’altra con una certa frequenza o sucesso, I’ambiente sara ben presto popolato da un gran numero di forme intermedie, e non sara pil tanto facile tenere distinte le duc originarie: di fatto, non si tratterebbe di due specie, & pid facile che il naturalista incorra in difficolta se uno scoiat- tolo vive nella parte occidentale del paese e l’altro vive nella parte orientale. Uno pud avere la coda pid grigia dell’altro, qualche vi- brissa in pid, e le orecchie un po’ pid larghe: sono due specie, o due varicta della stessa specic? Non scmpre é possibile avere vivi un ma- schio catturato nelle zone a est ¢ una femmina catturata nelle zone a ovest per fare la prova; e ad ogni modo il comportamento degli animali in cattivita € sempre dubbio. Talora animali che mai avreb- bero rapporti tra loro allo stato selvaggio, posti insieme in una gab- bia si comportano nel modo pit scandaloso. Altri animali, che nei loro boschi natii non conoscono inibizioni sessuali, in cattivita pren- dono i voti monastici. Da cid appare chiaro che non sempre é facile usare il metodo sperimentale. Cid che il naturalista in pratica fa é di tentare di mettere insieme un gran numero di esemplari di scoiattoli raccolti nell’area tra le due zone estreme. Se il cambiamento appare graduale, se, cioé, la coda 32 CAPITOLO SECONDO diviene pit grigia, le vibrisse pit fitte, le orecchie pi larghe, man mano che ci si avvicina all’est, egli chiama sottospecie (varieta geo- grafiche, o razze se volete) i suoi due scoiattoli. Se invece verso il centro del paese il cambiamento é brusco, il naturalista decide che si tratta di due specie: avendo avuto Ia possibilita di incrociarsi, si sono invece voltate le spalle. Se il naturalista non riesce a raccogliere abbastanza esemplari per decidere sul problema, fa delle supposi- zioni, sulle quali alcuni dei suoi colleghi saranno d’accordo con lui, altri no. Percid il problema del cosa sia una specie é in realti essenzial- mente una faccenda di valutazione da parte di esperti, e i tentativi di pervenire a una definizione o di stabilire criteri oggettivi di indivi- duazione non hanno avuto molto successo. Nella grande maggio- ranza dei casi il problema non esiste, e gli esperti si trovano in buon accordo. I casi in cui gli esperti non sono d’accordo sono spesso i pit interessanti, poiché lo studio di questi casi pud offrire una chiave per il problema dell’origine delle specie. Talora vi é una tale com- plessita di forme che non é possibile trovare due persone che siano d’accordo su come dividerle in specie. Le more del Nord-America (Rubus) sono un bell’esempio. Ben difficilmente due piante di more selvatiche sono simili: alcuni pensano che vi siano centinaia di specie, altri solo poche. Forse in questo caso é stato l’uomo a causare confusione alterando drasticamente l’ambiente. Quando il Nord- America era coperto di foreste, probabilmente le more erano piut- tosto rare, limitate alle piccole aree aperte. Con il disboscamento la loro possibilita d’espandersi crebbe grandemente: le poche forme originarie separate vennero in contatto, formarono ibridi, col risul- tato di produrre ’attuale infinita gamma di forme intermedie. L’uomo stesso offre un interessante problema tassonomico (sud- dividere le cose nelle relative specie fa parte di quella scienza chia- mata tassonomia). E possibile infatti osservare, nell’uomo, una distri- buzione geografica di tipi fisici diversi: i Negri in Africa, i Cauca- sici in Europa, i Mongoli in Asia, e cosi via. Ci si pud anche ren- dere conto che questi differenti tipi non sono altro che varianti di LA CLASSIFICAZIONE DEGLI ORGANISMI 33 una medesima specie, dato che si verifica un completo mescolamento in qualsiasi caso in cui due tipi diversi si trovano a contatto per un adcguato periodo di tempo. In effetti vi son stati tanti contatti, a causa di migrazioni o di altri movimenti di popoli, che gli antropo- logi non sono in grado di trovare un accordo riguardo a una classi- ione dell’uomo in sottospecie (0 razze). Questo problema é molto simile a quello dei botanici interessati alla classificazione delle more del Nord-America. Alcuni antropologi stabiliscono razze a dozzine, altri ne riconoscono solo quattro o cinque. Altri richiedono di abbandonare senz’altro il concetto di razza. Nonostante questi casi pid imbarazzanti, l'idea di specie corri- sponde a qualcosa che ha una sua reale esistenza. A un dato tempo ¢ in un dato uogo — poniamo, nella zona della vostra citta in questo sccolo — gli animali e le piante sono suddivisi in popolazioni discon- tinue, isolate tra loro soprattutto per le loro abitudini riproduttive. Un compito essenziale del naturalista é di catalogare tutte queste popolazioni, dando a ciascuna un nome spccifico, in modo da po- terle studiare e comunicare ad altri i risultati del suo lavoro. Il raggruppamento delle specie I nomi delle specie ben difficilmente possono essere utilizzati, se non sono classificati in gruppi: quanto pid questi gruppi sono natu- rali, tante meno difficolta incontreremo nel mancggiare i nomi (e uli organismi corrispondenti). Cosi come gli individui (piante o ani- mali) cadono entro popolazioni discontinue — le specie — cosi que- ste cadono entro gruppi i cui membri sono in vario modo pit o meno simili un Paltro. Il problema é di escogitare una gerarchia di gruppi che sia insieme comoda e naturale. Linneo, come ho gia detto, raggruppé le specie in generi, questi in ordini, e gli ordini in classi. Noi abbiamo aggiunto a questa gerar- chia qualche altra categoria. Per gli animali abbiamo ora la specie, il genere, la famiglia, Pordine, la classe e il phylum (ce talora anche la tribd, tra il genere ¢ la famiglia). Queste categorie possono essere 34 CAPITOLO SECONDO ulteriormente suddivise (o riunite) in “sotto” o “super” categorie; cosi possiamo avere la sottofamiglia, la famiglia, la superfamiglia, il sottordine, l’ordine e cosi via. Il genere Il genere é formato da un gruppo di specie simili. Non esiste una regola su come si forma un genere, e il genere non corrisponde a niente di ben definito in natura; sia il genere sia tutte le categorie superiori sono essenzialmente mezzi comodi, necessari sistemi di schedatura per le informazioni che si vanno accumulando. I nomi di genere si scrivono sempre con Iiniziale maiuscola, e il nome del ge- nere e della specie vanno sempre insieme, a costituire il nome- formula dell’organismo. Prendiamo i gatti, ad esempio. I gatti nel loro insieme appartengono al genere Felis. Il gatto delle nostre case é Felis domestica. Come per tutti gli animali domestici, la sua ori- gine é incerta; si suppone derivi dal gatto selvatico egiziano (Felis ocreata) e il gatto selvatico europeo (Felis catus); le varie razze sa- rebbero incroci diversi (e variamente allontanantisi) a partire dai due progenitori. Poco pit indietro ho scritto che l’idea di specie corrisponde a qualcosa di reale in natura — cioé a popolazioni discontinue — e qui invece scelgo un altro esempio dove la cosa ¢ ovviamente artificiosa. Tener separati Felis domestica, Felis catus e Felis ocreata é chiara- mente solo questione di convenienza, se il primo non é altro che il prodotto dell’incrocio degli altri due. Ma non sempre i biologi sono coerenti, e in effetti la separazione di queste tre razze di gatti non é dovuta che a convenienza. Gli animali domestici, comunque, pre- sentano problemi di nomenclatura abbastanza particolari. Il leone, Felis leo, e la tigre, Felis tigris, sono esempi migliori di specie. Cosi pure il giaguaro americano (Felis onca). La lince nordamericana é generalmente sistemata in un altro genere, e chiamata Lynx rufus; il ghepardo (Cynaelurus jubatus) ¢ un altro esempio di gatto che normalmente é considerato non appartenente al genere Felis. Tutti LA CLASSIFICAZIONE DEGLI ORGANISMI 35 questi gatti, comunque, sono riuniti nella famiglia Felidae, che ci porta al gradino successivo della gerarchia. Il nome del genere e quello della specie presi assieme costitui- scono la formula che da i] nome a un animale o a una pianta: quei due nomi sono di fatto tutto cid che occorre per cercare quanto é stato scritto su un dato organismo (posto che la biblioteca sia suffi- cientemente fornita). Cid si ottiene grazie a due regole: 1) ogni nome pud essere usato per una sola specie entro un dato genere; 2) ogni nome puo essere usato per un solo genere in tutto il regno animale o vegetale. Un nome usato per un genere di piante pud essere usato ancora una volta come nome per un genere di animali, e di fatto se ne conoscono alcuni casi; ma dato che perlopid é chiaro se si sta parlando di una pianta o di un animale, cid provoca una confu- sione trascurabile. & usanza scrivere con V’iniziale maiuscola il nome del gencre ¢ non quello della specie (alcuni botanici mettono la maiuscola an- che al nome di specie, se esso é rappresentato dal nome di uno stu- dioso o genericamente di persona). Vi sono decine di migliaia di nome generici di animali, attual- mente in uso, cosicché la ricerca, per verificare che non siano gia stati usati due volte comporta un bel po’ di lavoro. Sono state com- pilate varie liste di tutti i nomi gia proposti, e la Societa zoologica di Londra pubblica ogni anno una lista di tutti i nuovi nomi di ani- mali. I botanici hanno un sistema analogo. E sorprendente quanto sia difficile pensare un nome per un nuovo enere che non sia gia stato usato. Posso pensare una combinazione di Iettere tale che ritengo impossibile sia stata gid usata, ma come mi metto a controllare scopro che John Smith aveva usato proprio que- sto nome per definire un pesce nel 1897, o Everett Wilberforce per identificare uno scarafaggio australiano nel 1912. E per questo mo- tivo che sono cosi numerosi i nomi scientifici simili a scioglilingua: la teoria é che quanto pid complesso é Jo scioglilingua, tanto meno ¢ probabile che qualcuno l’abbia gia usato. La Commissione per la regolamentazione della nomenclatura zoologica ha tentato di porre 36 CAPITOLO SECONDO un freno a cid stabilendo un limite alla lunghezza dei nomi, ma que- sto limite é ancora piuttosto ampio. Un altro motivo della presenza di questi scioglilingua é, neanche a dirlo, che a molti scienziati piac- ciono, probabilmente perché hanno un suono dotto. Un genere pud includere un numero qualsiasi di specie. Talora ne ha una sola, se quella particolare forma di animale o pianta non ha parenti stretti. Cosi 'uomo, tra gli esseri viventi, occupa un ge- nere a sé, sebbene vari fossili siano stati descritti come altre specie di Homo. Alcuni generi hanno centinaia di specie: gruppi di animali o di piante di vari tipi con leggere differenze, 0 in qualche caso anche piuttosto differenti gli uni dagli altri, ma con una tale gradua- lita di legami che é pit ragionevole includerli tutti insieme sotto un unico nome generico. E importante ricordare che tutte le categorie superiori alla specie hanno una base artificiale, riposando su criteri di convenienza. Io ho lavorato piuttosto a fondo su due famiglie di insetti: quella delle zanzare € quella degli sfingidi. Per le zanzare in media vi sono qua- ranta specie per genere, per gli sfingidi cinque specie. Non credo che l’evoluzione nei due gruppi sia stata molto diversa. Semplice- mente accade che coloro che studiano le zanzare, seguendo l’indi- rizzo di uno o due specialisti, hanno preso l’abitudine di usare generi ampi, mentre quelli che studiano gli sfingidi preferiscono generi pil ristretti. Personalmente ho maggior simpatia per i generi pit ampi, perché rendono pit facilmente riconoscibili i nomi, ma vi sono anche molti argomenti a favore dei generi ristretti. Alcuni tendono a unificare usando grandi gencri con molti sottogeneri. Allora scri- vono tra parentesi il nome del sottogenere, come per Anopheles (Myzomya) gambiae (che, per inciso, é la zanzara prima responsa- bile della malaria in molte zone dell’ Africa). Le famiglie e i raggruppamenti superiori Anche le famiglie, che sono gruppi di generi, sono in alcuni casi molto ampie ¢ in altri molto ristrette. I nomi di famiglia per gli ani- LA CLASSIFICAZIONE DEGLI ORGANISMI 37 mali si formano aggiungendo le lettere “idae” a un genere. Cosi la famiglia dei cani é Canidae, quella dei gatti é Felidae. Allo stesso modo per le piante i nomi di famiglia si ottengono aggiungendo “ceae” a un genere: Rosaceae é Ja famiglia delle rose, e Liliaceae quella dei gigli. Gli scienziati hanno posizioni molto diverse circa lestensione delle famiglie, e anche qui mi sembra che la decisione finale si basi sia su considerazioni di convenienza sia sul rispecchia- mento di parentele naturali. Raramente le famiglie hanno una deno- minazione nel linguaggio quotidiano. Per esempio, per riferirci ai Canidae, diciamo “i cani e i loro affini”, per i Procyonidae, “i pro- cioni ci loro affini”, per le Liliaceae, “i gigli e i loro affini” (incluse le cipolle). Gruppi di famiglie formano gli ordini, cui pit spesso corrispon- dono termini del linguaggio comune. Cosi gli scarafaggi e le mosche rappresentano ordini di insetti, i primati, i carnivori, i marsupiali ordini di mammiferi. Stranamente, gli ordini vegetali solo di rado sono riconosciuti come gruppi separati dai non specialisti. A loro volta gli ordini si riuniscono in classi, e la caratterizzazione delle si € spesso abbastanza ovvia, sicché esse sono rappresentate nel vocabolario quotidiano. Cosi alle classi dei cordati (vertebrati) ap- partengono i mammiferi, gli uccelli, i rettili, gli anfibi ¢ i pesci. Gli insctti sono una classe degli artropodi. I raggruppamenti pit gene- rali (pit elevati) del regno animale, come i cordati (vertebrati), gli artropodi, i molluschi ¢ i protozoi, sono denominati phyla. Questo termine é meno usato dai botanici. La classificazione degli organismi € costruita a partire dagli in- dividui. I campioni studiati dal naturalista sono raggruppati in spe- cic, che & gia un “concetto” astratto, sebbene corrisponda a un fcnomeno discretamente concreto, almeno rispetto alla definizione delle specie come popolazioni non interincrociabili. I generi sono definiti sulla base di uno studio delle caratteristiche di molte specie diverse, le famiglie a partire dai generi, gli ordini dalle famiglie, e cosi di seguito. NelPusare questa classificazione, tuttavia, i] naturalista procede ch 38 CAPITOLO SECONDO nel senso contrario. Dato un particolare organismo da identificare, Ja prima domanda é: a quale phylum appartiene? E una fanero- gama, un muschio, un vertebrato, un protozoo, o che cosa? La do- manda seguente é: a quale classe appartiene? II che significa, tra i vertebrati, decidere se si tratta di un pesce, un anfibio, un rettile, un uccello o un mammifero. Successivamente, entro la classe deve es- sere scelto l’ordine, poi la famiglia, poi il genere, e infine la specie. Quando queste due ultime categorie sono state identificate, si ha in mano la formula che rappresenta il nome dell’organismo. Per determinare la famiglia, il genere e la specie di solito neces- sita una conoscenza piuttosto dettagliata dell’anatomia del phylum a cui appartiene l’organismo che interessa. Dato che Ja struttura anatomica di base dei vari phyla differisce grandemente, cid im- plica una conoscenza di tipo specialistico. Nessun biologo si per- metterebbe di classificare tutti gli organismi con cui viene a con- tatto. Di solito acquisisce una conoscenza molto approfondita per uno o pochi gruppi, e quando deve identificare organismi apparte- nenti ad altri gruppi, li manda a qualche collega specialista di quel gruppo. Di conseguenza la classificazione degli organismi diviene un’impresa cooperativa, e rappresenta la funzione principale dei grandi musei, che riuniscono specialisti dei vari phyla e classi, e met- tono a loro disposizione, per i confronti, grandi collezioni di mate- riale conservato. Questi specialisti sono gli archivisti che curano il catalogo degli organismi, che forniscono il sistema di riferimento in cui si inqua- drano via via le osservazioni che tutti gli altri naturalisti vanno ac- cumulando e confrontando. II nostro prossimo passo nell’esplorare Ja storia naturale dovrebbe dunque essere rappresentato dall’esame delle principali suddivisioni di questo sistema di riferimento che é il catalogo della natura: esame che ci sara utile anche perché ci dara un’idea, sia pure approssimativa, delle differenze tra le princi- pali forme di organismi. Capitolo 3 I! catalogo della natura Si ritiene che le specie di organismi descritte e a cui é stato dato un nome siano circa un milione. Nessuno pud dire, se non approssi- mativamente, quanto cid ci abbia avvicinato allo scopo linneano di dare un nome alla totalita dei tipi di organismi. In alcuni gruppi, ad escmpio gli uccelli, quasi tutte le forme meglio distinguibili sono state sicuramente scoperte e catalogate. In altri gruppi, ad esempio certi insetti particolarmente piccoli e poco appariscenti, soltanto una bassa percentuale delle forme esistenti é stata classificata. Charles Brucs ha stimato che al mondo vi sono attualmente circa dieci mi- lioni di specie di insetti viventi, e che solo circa mezzo milione é stato finora catalogato. Quale che sia la stima esatta, é chiaro che il lavoro ancora da fare é enorme. Pur essendo molti biologi impe- gnati in questo problema, la fine non é ancora in vista. Come naturalisti, il catalogo della natura ci interessa principal- mente perché é uno strumento indispensabile. Senza un tale sistema di schedatura l’accumulo e ’ordinamento delle osservazioni e degli csperimenti sarebbe impossibile. Immaginate cosa vuol dire “avere” un'informazione concernente una cosa, tra un milione di altre con- simili, senza un qualche sistema di classificazione universalmente accettato: é proprio come non averla. Il capitolo precedente era dedicato alla teoria del sistema di nomenclatura. Prima di passare ai problemi generali della storia naturale, alla descrizione del comportamento e dei rapporti tra gli 40 CAPITOLO TERZO organismi, pud essere utile presentare il sistema di classificazione. In questo capitolo, dunque, vogliamo dare un quadro schematico dei principali tipi di animali e di piante attualmente viventi sul nostro pianeta. Tenterd, nel capitolo che segue, di inserire questa classifi- cazione in una prospettiva storica, facendo un riesame di cid che conosciamo della storia geologica di questi tipi principali. Cid do- vrebbe dare al lettore una base adeguata per seguire il discorso che svolgeré nel resto del libro, concernente questioni particolari quali il comportamento e i rapporti tra gli organismi. Vegetali e animali Nel costruire una classificazione dobbiamo ordinare i nostri gruppi in una sequenza lineare. Cid, inevitabilmente, é arbitrario. La storia evolutiva dei tipi organici si pud paragonare alle successive ramificazioni di un albero: le diverse forme attuali sono il risultato finale de] processo storico di divergenza, i ramoscelli terminali dei rami via via cresciuti in direzioni diverse durante il lungo sviluppo delle epoche geologiche. Per fare una lista dei gruppi siamo co- stretti a tagliare questi rami e ordinarli uno di seguito all’altro: A, B, C, D ecc., e cid pud dare un’impressione ingannevole. La principale dicotomia del nostro albero, ad esempio, riguarda Ja separazione tra vegetal e animali, una divergenza che prese l’av- vio chissi dove in tempi assai remoti. E certamente pit semplice trattare, nel nostro catalogo, prima tutti i gruppi vegetali, poi tutti quelli animali. Questo non significa perd che i vegetali siano “infe- riori”, 0 precedano evolutivamente gli animali. Sono due ramifica- zioni di un albero che devono essere in qualche modo disposte in successione su un foglio di carta. Questa é una pura questione di convenienza, beninteso con la precisazione che noi tentiamo di rag- gruppare i rami in modo tale da rifletterc il modo in cui, riteniamo, nei tempi geologici le ramificazioni principali presero a divergere in questo ipotetico albero. La differenza fra animali e vegetali é ovvia per gli organismi com- I, CATALOGO DELLA NATURA 4r plessi: ognuno sa distinguere un cavallo da un tiglio. Ma per gli organismi relativamente semplici le differenze non sono cosi ovvie, ¢ talora é realmente impossibile decidere se un determinato organi- smo debba esser considerato vegetale o animale. Di solito pensiamo ai vegetali come a esseri immobili, che cre- scono in una sede fissa, e agli animali come a esseri capaci di vari tipi di movimento, di locomozione. Vi sono perd molte eccezioni. Un buon numero di animali marini sono fissi: per esempio, i coralli, le spugne, gli anemoni di mare. Meno comuni sono i vegetali mo- bili, ma certi organismi vegetali unicellulari, certe alghe microsco- piche, sono attivissimi. La differenza fondamentale tra vegetali e animali si rinviene a livello di economia e di modalita dell’alimentazione. I vegetali sono, tra gli organismi, I’“industria” da cui dipende lo sviluppo delle altre forme di vita. Dall’anidride carbonica dell’aria, grazie alla magia della clorofilla, sanno costruire amido, e da esso molecole com- plesse di carboidrati e proteine: gli animali possono procurarsi que- ste sostanze solo mangiando vegetali (indirettamente, quando si cibano di animali che a loro volta si nutrono di vegetali). Quanto alle modalita dellalimentazione, gli animali il cibo lo mangiano, mentre i vegetali lo assorbono in soluzione acquosa attraverso le membrane cellulari. Anche a livello microscopico gli animali si alimentano incorporando particclle di cibo, mentre i vegetali uti- lizzano i liquidi circostanti in presenza di radiazioni solari. E so- prattutto questa differenza nelle modalita dell’alimentazione che ha indotto i biologi a includere l'importante gruppo dei funghi ¢ dei batteri tra i vegetali: infatti, pur non possedendo clorofilla, essi sono capaci di alcuni stupefacenti procedimenti chimici. I virus Ma se vogliamo iniziare il sistema di classificazione da organismi strutturalmente semplici, il primo sara un gruppo che non ho mai visto catalogato né tra gli animali — neppure dallo zoologo pit en- a CAPITOLO TERZO tusiasta — né tra le piante — neppure dal botanico pit accaparratore. Questo gruppo include i virus, cose cosi piccole e cosi semplici da eludere tenacemente i nostri tentativi di capire di che si tratta. Cosi piccoli da non poter essere visti attraverso un microscopio a luce visibile perché di lunghezza inferiore alla distanza tra due onde lu- minose; cosi semplici che é possibile discutere a lungo se considerarli © no esseri viventi. W.-M. Stanley ottenne il premio Nobel per essere riuscito a ridurre in cristalli un virus — quello che causa la malattia detta mo- saico de] tabacco — e di provare che questi cristalli erano realmente il virus, la causa della malattia. Ora il punto é che molte sostanze chimiche complesse possono essere cristallizzate, mentre é difficile immaginare un essere vivente ridotto a un cristallo o insieme di cri- stalli, per poi ritornare. al suo primitivo stato. Eppure questo mo- saico del tabacco indubbiamente cresce, si moltiplica, si riproduce e per molti versi agisce come un vivente. Tutti i virus noti sono parassiti. Alle abitudini parassitarie verra dedicata particolare attenzione in seguito; per ora supponiamo di sapere che cos’é un parassita: un organismo che si insedia in un altro © gli si attacca esternamente, e lo fa ammalare, o perlomeno gli fa venir voglia di grattarsi. Il guaio é che noi non saremmo mai in grado di cogliere un virus, se non fosse un parassita, in quanto ricono- sciamo il virus solo per i sintomi che provoca nell’ospite. Le parti- celle virali possono essere fotografate al microscopio elettronico, ma il punto di partenza e il materiale sul quale si lavora per arrivare a questo sono una pianta o animale che il virus ha fatto ammalare. Pud darsi che vi sia una gran quantita di virus innocui sparsi nel fango, ma proprio per questa innocuita non abbiamo la possibilita di scovarli, di distinguerli da tutta la sostanza morta contenuta nel fango. E possibile che tutti i virus siano parassiti: che siano tutti cosi piccoli perché, dipendendo sotto ogni aspetto dai loro ospiti, hanno mantenuto soltanto i costituenti essenziali per la vita, le nucleopro- teine primordiali, che sovrintendono alla riproduzione e alla molti- 1 CATALOGO DELLA NATURA 43 azione, mentre le cellule dell’ospite fanno tutto il resto. Tutti i jarassiti divengono, evolvendosi lungo le interminabili ere geolo- ihe, sempre pit pigri man mano che scoprono quanto é pit fa- «ile far lavorare gli ospiti in vece e per conto propri. Forse i virus hanno raggiunto il limite estremo di questa dolce vita. Forse in epo- che remote erano onesti batteri complessi, forniti di tutti i necessari ingredienti chimici, e pienamente capaci di provvedere a sé stessi, € anche di muoversi indipendentemente per le vie del mondo. Forse divennero sempre pit piccoli e sempre pit semplici per il progres- «vo dipendere da ospiti generosi, fino a che, nei casi estremi, non é timasto altro che quell’ultima sostanza chimica, quell’ultimo compo- nente essenziale che pud soltanto riprodursi, e che Stanley cosi bril- lantemente ridusse in piccoli, aghiformi cristalli di nucleoproteine. phe 1 batteri 1 botanici elencano sempre molto tranquillamente i batteri tra i vegetali, definendoli come la classe Schizomycetes dei funghi. I i, in verita, a parte il classificarli, hanno prestato poca atten- vione ai batteri; e i batteriologi, che effettivamente li studiano, per- lopid liquidano il problema se considerarli vegetali o animali con pochi paragrafi in cui si mostra come i batteri possono essere clas- sificati indifferentemente come animali o come vegetali, o viceversa come né animali né vegetali. Si tratta in effetti di organismi speciali, che richiedono di essere studiati con metodi altrettanto speciali. I batteri vengono definiti come organismi composti di un’unica cellula, senza nucleo evidente; possono avere forme e dimensioni varie (beninteso é sempre necessario il microscopio per osservare anche il pit grande di essi). In questo gruppo sono inclusi vari tipi di viventi che in realta non sono affini tra loro, e un particolare gruppo (le spirochete a cavatappi della sifilide) ¢ stato di volta in volta trasferito dal regno animale al vegetale, avendo ogni autore una sua idea personale sull'argomento. Nel loro insieme i batteri yodono di cattiva reputazione a causa di una minoranza che provoca 44 CAPITOLO TERZO malattie, mentre in realta la stragrande maggioranza é occupata in compiti microscopici ma importantissimi nell’economia della na- tura. I batteri sono gli organismi fondamentali nel processo di tra- sformazione dei cadaveri animali e vegetali in materiali semplici € nuovamente utilizzabili. Molte forme di batteri si sono messe in col- laborazione con organismi superiori, aiutandoli nella digestione di sostanze come la cellulosa, ottenendo come contropartita un rifugio sicuro nell’intestino o in altre parti del pil grande alleato. Forse i pit importanti fra tutti i batteri sono quelli che mettono costantemente a disposizione di tutti gli altri esseri viventi il neces- sario rifornimento di azoto. Di questi alcuni vivono liberi nel ter- reno, altri si sono associati con una leguminosa; ogni forma, in- somma, si é specializzata in una particolare operazione nella catena di produzione dell’azoto; si tratta quindi di una storia veramente affascinante, nota ma forse non cosi ben presentata come meritc- rebbe. Esistono poi altri batteri che ci sanno fare con lo zolfo ¢ il fosforo; altri che vivono bene senz’aria, altri ancora che non ven- gono uccisi neppure coll’ebollizione. Ci sono batteri dappertutto; essi sono di gran lunga i pid ubiquitari e numerosi tra gli organismi. I funghi Poi vengono i funghi, ¢ con loro una quantita di parenti poveri. Questi ultimi hanno incominciato a diventare famosi dal giorno in cui uno di loro, una muffa (Penicillium), riusci ad arrivare sui gior- nali e negli armadietti medici. Anche i batteri sono di solito consi- derati dei funghi, che includerebbero cosi tutti i vegetali privi di clorofilla; altre suddivisioni dei funghi sono i lieviti, le muffe, e altre forme che non hanno un nome nel parlar comune. Scrivendo questo capitolo ho tenuto d’occhio varie classificazioni, c non ho trovato due classificazioni dei “vegetali inferiori” che fosscro in accordo tra loro su tutti i punti. Il fenomeno della riproduzione sessuata compare con i funghi. Le conoscenze sul sesso nei batteri sono ancora scarse e in parte indi- CATALOGO DELLA NATURA 45 vette; nei funghi esso é stato invece ben studiato e presenta ogni sorta di complicazioni, dato che la stessa pianta pud avere nella {ase sessuata un aspetto ben diverso da quello che ha quando attende alle sue solite faccende asessuate, come il rovinare le nostre scarpe in tondo a un armadio. Tra i funghi, i pid semplici sono i lieviti, anche loro peraltro presentano problemi di sesso; il libro che ho dinanzi indica per i lieviti ben quattro diversi modi di riproduzione. I lieviti sono importanti nell’economia chimica della natura. Penso che ognuno abbia sentito almeno parlare della scoperta di Pasteur sul ruolo dei lieviti nelle fermentazioni. Quanto al resto, basta dire che vi é una grande varieta di funghi, dai semplici lieviti fino ai funghi pit caratteristici ¢ alle vesce, con una gran quantita di forme insignificanti, talora parassite, e che pure hanno a volte una parte importante nell’economia della natura, soprattutto quelle che man- tengono il suolo in condizioni favorevoli per gli altri organismi. Le alghe Le alghe sono le pit semplici tra le piante verdi, contenenti cioé la clorofilla, che é la sostanza capacc di sintetizzare l’amido a partire dall'aria, dall’acqua ¢ dalla luce del sole. Quasi tutte le alghe vivono nelPacqua, e ogni massaia conosce quelle che formano una pellicola verde in un bicchiere in cui é stata dimenticata a lungo dell’acqua. | patiti degli acquari possicdono delle spatole di gomma per aspor- tare le alghe che appannano i vetri degli acquari, ¢ poter cosi vedere i. Anche la pit limpida delle acque ha una considerevole po- one di alghe, tutte microscopicamente indaffarate a produrre amido, in attesa di essere mangiate da animali microscopici che a loro volta saranno ingeriti da qualche animale pit grande, e cosi via lungo la scala delle dimensioni. Esse costituiscono, dunque, i pascoli dei nostri laghi e mari. Come i funghi, anche le alghe sono di ogni forma e dimensione. Normalmente vengono suddivise in classi in rapporto al colore pre- dominante: alghe verdi, giallo-verdi, brunc, rosse e blu-verdi. Mol- 46 CAPITOLO TERZO tissime sono unicellulari, ¢ alcune tra queste, a causa dei movimenti attivi e della loro somiglianza con i protozoi, sono vivacemente con- tese tra botanici e zoologi. Alcune alghe microscopiche (diatomee e desmidi) hanno forme simmetriche bellissime, analogamente ai cri- stalli di neve, per cui sono gli oggetti d’osservazione favoriti dei microscopisti. In altre le cellule si raggruppano in vari modi, alcune in semplici catene, altre in comunita pil complesse con cellule di- verse adibite a differenti funzioni, altre infine costituendo vere e proprie piante, la pit grande delle quali é la laminaria gigante del- T'Oceano Pacifico. Sia ben chiaro che in nessun caso, comunque, queste alghe raggiungono la struttura complessa delle piante supe- riori (radici, stelo, foglie, fiori) sebbene certe loro parti possano so- migliare a uno stelo, una radice o una foglia. I licheni Immagino che il gruppo seguente del nostro elenco debba essere costituito dai licheni. Noi tutti li conosciamo, macchie di colore sulle rocce, o graziosi giardini giapponesi in miniatura su vecchi tronchi. I licheni vengono sempre classificati come una classe di ve- getali a sé, sebbene non lo siano affatto; essi sono in realta una strana alleanza naturale formata da una associazione di due tipi di organi- smi completamente diversi: un fungo e un’alga. Ogni tipo di li- chene é composto da un particolare tipo di fungo e un particolare tipo di alga. Il fungo partecipa offrendo il supporto, i sali e l'acqua, mentre l’alga da parte sua contribuisce fabbricando l’amido. Que- st’alleanza da luogo a una curiosa situazione riguardo alla nomen- clatura: ogni lichene ha un suo nome come lichene, pur essendo composto da un fungo che a sua volta ha un ben definito nome nel sistema dei funghi e da un’alga che pure ha un suo nome nel sistema delle alghe. A volte queste alghe e funghi hanno strutture tali da poter vivere anche separatamente, ma nella maggior parte dei casi perlomeno il fungo non pud vivere senza la sua alga. Questa al- leanza, che da luogo a differenti tipi di licheni, coinvolge forme I. CATALOGO DELLA NATURA 47 molto diverse di funghi e di alghe, per cui deve senz’altro trattarsi di un’associazione molto antica. Forse i differenti tipi di funghi scopri- rono, indipendentemente l’uno dall’altro, i vantaggi di avere sempre a portata di mano un’alga. I muschi e le epatiche I muschi, insieme con le loro cugine epatiche, formano il suc- ivo grande gruppo delle Briofite. Le alghe sono organismi essen- zialmente acquatici; i muschi sono le pid semplici piante verdi che abbiano risolto il problema di come crescere sulla terra: parzial- mente, in quanto possono vivere soltanto in luoghi umidi. In questo xruppo i tessuti della pianta presentano un inizio di differenziazione in radice e stelo, e nelle epatiche si trovano anche delle foglie, ma «ueste strutture in realta non corrispondono alla radice, stelo e fo- ulic altamente specializzate delle piante superiori. Non ho detto niente circa la riproduzione nei funghi ¢ nelle alghe — salvo il fatto che si riproducono sessualmente — perché i meccanismi riprodut- tivi di questi gruppi sono complessi ed estremamente diversi I'uno dalPaltro. Cid vale anche per i muschi, nei quali la riproduzione é ma complicata faccenda di formazione di spore e di alternanza di yencrazioni sessuate ¢ asessuate. Le felci Con il gruppo che segue, le felci, si viene finalmente a contatto con piante nel senso convenzionale della parola. Le felci hanno ri- solto tutti i problemi principali per crescere sulla terra ferma, pur mantenendo un ciclo riproduttivo affine a quello delle alghe e dei tunghi. Non fanno fiori o semi, ma producono milioni di spore, cel- lule speciali perlopit, raccolte in piccoli ricettacoli marroni nella parte inferiore delle foglie; una sola pianta pud emetterne fino a cinque milioni per stagione. Le spore si sviluppano in piccole piante squamiformi, dette protalli, che sviluppano cellule sessuali; le cel- 48 CAPITOLO TERZO lule maschili debbono nuotare in un velo d’acqua — rugiada o piog- gia — per raggiungere le cellule femminili: reminiscenza, questa, della vita acquatica dei loro pit semplici progenitori. Le felci che vediamo di solito rappresentano appunto la forma asessuata prove- niente da questo accoppiamento, che avviene nella forma sessuata. Le felci rappresentarono la vegetazione dominante in epoca geo- logica; ce ne restano i fossili in diversi tipi di rocce e in giacimenti carboniferi. Si conoscono circa otto o novemila specie viventi, al- cune delle quali, ai tropici, sono grandi quanto dei veri alberi. Questa faccenda dei numeri é interessante. Sono state descritte circa 14000 varieta di alghe; si stima che le specie di funghi finora descritte siano circa 100000; per i batteri il numero di specie de- scritte non é importante dato che rappresenta soltanto una piccola frazione del numero di forme viventi; di muschi e di epatiche se ne conoscono circa 17000 specie. Ma le piante predominanti attual- mente, sia come numero di tipi sia come massa, sono le fanerogame, ossia le piante che si riproducono mediante seme, con circa 150000 specie. Prima di passare a trattare di queste ultime, voglio ricordare che le felci appartengono a un gruppo (le Pteridofite) in cui sono anche incluse due forme vegetali ora di scarsa importanza ma con un glo- rioso passato geologico: gli equiseti e le epatiche. Le fanerogame Probabilmente non é di nessuna utilita dilungarci qui troppo sulle fanerogame. Tutti le conosciamo nei loro caratteri essenziali che abbiamo imparato a scuola. L’importante é presentare Je piante da seme al loro posto nel catalogo. Come abbiamo detto, le fancrogame sono le piante che si ripro- ducono mediante seme. Prendono anche il nome di spermatofite. Si suddividono in tre classi: le gimnosperme, le monocotiledoni ¢ le dicotiledoni. Le gimnosperme non hanno fiori ncl senso comune della parola, e producono i semi mediante spcciali foglie squami- I, CATALOGO DELLA NATURA 49 formi (quelle che vediamo in una pigna, per intenderci). Queste piante erano abbondanti in epoche geologiche passate, e anche oggi le foreste di conifere coprono una parte considerevole del nostro piancta, Da un seme di granturco spunta sul terreno un germoglio prov- visto di una sola foglia; da un pisello che germoglia spuntano invece «luc graziose foglioline simmetricamente disposte. Questa differenza é la chiave della divisione tra monocotiledoni e dicotiledoni. Am- liedue vengono poi suddivise in vari ordini e numerose famiglie. Alle prime appartengono le graminacee, le palme, i gigli, le banane, ¢ raggiungono il massimo della loro complessita con le orchidee. Le seconde includono tutte le pil comuni erbe, arbusti e alberi, e si considerano raggiungere il loro massimo livello evolutivo con le composite, cui appartiene la margherita. 1 protozoi Ho iniziato questo catalogo con l’analogia dell’albero, dato che ls storia delle divergenze cvolutive pud paragonarsi a un processo di tumificazione. Seguendo quell’immagine, siamo giunti al vertice della diramazione vegetale, dove sono le orchidce e le margherite, « ora dobbiamo discendere fino al tronco principale, nel mondo de- ult organismi unicellulari, per imboccare, con i protozoi, la serie «elle ramificazioni che rappresentano il regno animale. | protozoi sono animali unicellulari. Tra Ie piante, sono uniccllu- lui i batterie molte alghe, e ovviamente tutti gli organismi passano uttraverso uno stadio — r'uovo fecondato — in cui l’individuo con- siste di una sola cellula. AlPorganizzazione cellulare i biologi hanno edicato una particolare attenzione. Robert Hooke, alla fine del di- «1assettesimo secolo, per primo osservo in varie strutture vegetali la shivisione microscopica in compartimenti che chiamd “cellule”. Vari catori accumularono osservazioni sulle cellule; tra essi Caspar Wolff fu il primo a notare lanalogia nello sviluppo cellulare, esi- wtente tra piante e animali. Allinizio del diciannovesimo secolo due tee 50 CAPITOLO TERZO tedeschi, Matthias Schleiden e Theodor Schwann, svilupparono que- ste osservazioni in una delle maggiori generalizzazioni della biologia, e cioé che tutti gli esseri viventi sono composti di cellule. Da allora le cellule hanno rappresentato uno degli oggetti principali dell’in- dagine biologica, dando origine a due discipline speciali, la citologia e Vistologia, ampiamente rappresentate in ogni libro di testo. Negli animali complessi le cellule sono specializzate nel compiere particolari funzioni; nei protozoi tutte le funzioni dell’animale — di- gestione, escrezione, locomozione, respirazione — devono invece essere svolte entro l’unica cellula, varie funzioni speciali venendo compiute peraltro da parti distinte della cellula, proprio come gli organi nell’animale complesso, e percid vengon dette “organelli” o “organiti”. Di conseguenza il fatto che i protozoi sono costituiti da un’unica cellula non significa necessariamente che sono semplici; é stato spesso sostenuto, anzi, che li si dovrebbe chiamare animali non- cellulari, pit. che unicellulari. I protozoi sono, da ogni punto di vista, creature affascinanti, ¢ il loro studio (la protozoologia) é una disciplina ampia e complessa. La maggior parte dei protozoi é piuttosto attiva; alcuni si muovono con quei movimenti che conosciamo come “ameboidi”, altri si spo- stano rapidamente sbattendo le loro fini e numerose ciglia, altri an- cora dimenando una lunga coda detta flagello. Molti sono divenuti parassiti, e alcune gravi malattie dell’uomo (ad esempio la malaria, la malattia del sonno, la dissenteria amebica) sono provocate da ani- mali di questo gruppo. I pid grandi tra i protozoi possono a malapena essere visti a occhio nudo come puntini nell’acqua. La maggior parte ¢ grande abbastanza perché le loro strutture possano facilmente essere studiate al mi- croscopio; alcuni sono invece cosi piccoli da rendere difficile tale studio. Ciononostante, raffrontati ai batteri sono tutti piuttosto grossi, e sono addirittura dei giganti in confronto ai virus. La loro grandissima varieta e i loro movimenti li hanno resi i beniamini di tutti coloro che si dilettano a penetrare con il microscopio nello strano mondo degli esseri invisibili. I. CATALOGO DELLA NATURA st Alcuni protozoi vivono associati in colonie, in cui ogni cellula resta un organismo completo e potenzialmente indipendente, ma di fatto unita alle sorelle in una vita comune. Da tali colonie é facile passare ai membri del prossimo grande phylum animale, le spugne (poriferi). Le spugne Le spugne generalmente vengono considerate fuori delle princi- tui linee di evoluzione animale, come un gruppo di protozoi che ap- prescro a vivere in colonie abbastanza bene per svilupparsi ulterior- mente in grandi congregazioni di cellule tenute unite da una massa di fibre, spicole e sostanza gelatinosa. Ci é ben noto lo scheletro libroso di uno dei tipi di spugne, in quanto lo usiamo tutti i giorni. lc cellule delle spugne in cooperazione formano un organismo su- percellulare in cui l’acqua scorre-lungo canali regolari attraverso i pori, in modo che possano essere estratte le sostanze alimentari ed climinati i materiali di rifiuto, e le cellule possano essere specializzate in vari modi. Alcune parti della spugna sono in grado di riprodurre lintcro animale, come se fossero gemme vegetali. La riproduzione avviene di regola a opera di un gruppo di cellule indifferenziate unite in una pallina detta “gemmula”, che si stacca dalla spugna mnadre; esiste perd anche una complessa forma di riproduzione ses- | celenterati Pressoché in tutte le classificazioni proposte del regno animale il tcrzo phylum, dopo i protozoi e le spugne, é quello dei celenterati: meduse, coralli e anemoni di mare. Se ne conoscono circa cinque- mila specie, tutte marine eccetto alcune poco notevoli forme d’acqua dolee. I celenterati sono dei ben definiti e organizzati animali pluri- cellulari, Le singole cellule sono organizzate in tessuti con funzioni distinte, ed & possibile distinguere un sistema digestivo, muscolare, 32 CAPITOLO TERZO nervoso, sensoriale e anche scheletrico, mentre mancano i sistemi re- spiratorio, escretore e circolatorio. Vengono anche prodotte speci- fiche cellule sessuali, con funzioni riproduttive, ma esse non costi- tuiscono un vero e proprio sistema riproduttivo come negli organi- smi pil complessi. Contrariamente alla maggior parte degli animali, che hanno una simmetria bilaterale, i celenterati hanno una simmetria radiale, con tutti i costituenti disposti circolarmente intorno all’apertura boc- cale. Esistono due forme corporee, la forma a medusa, nuotante li- beramente, e la forma a polipo (anemone di mare), che invece é fissa. Entro Ja stessa specie pud esservi alternanza di generazioni: il polipo fisso che produce le meduse liberamente nuotanti, che, me- diante riproduzione sessuale, danno nuovamente origine a una gene- razione di polipi. Lo stesso animale (ovvero la stessa specie animale) pud percid avere aspetti completamente diversi in differenti fasi della sua vita. Anche i celenterati tendono a formare colonie. Le scogliere co- ralline sono esempi giganteschi di colonie di polipi formate dagli scheletri di un grandissimo numero di individui. Le fisalie — ben note a coloro che nuotano nelle acque tropicali — sono l’esempio di un altro tipo di colonia, composta da svariati individui che hanno forme e funzioni diverse. Un’intera collezione di animali pende da una cellula a forma di vescica: alcuni specializzati per sentire ¢ per pungere, altri per la nutrizione, altri per la difesa, altri ancora per la riproduzione. In questa rapida esplorazione del regno animale non si possono elencare tutti i phyla; del resto non é neppure possibile trovare due autori completamente d’accordo su quanti phyla riconoscere. Esi- ste, nel mare specialmente, una quantita di piccoli gruppi molto par- ticolari, composti di animali poco notevoli, abbastanza diversi da es- sere considerati appartenenti a differenti categorie superiori del regno animale. Possono rappresentare dei residui di forme un tempo abbondanti, oppure tipi di organizzazione che non si dimostrarono abbastanza “di successo”, né nel senso di generare un grande rigo- 11, CATALOGO DELLA NATURA 53 glio di specie e individui, né in quello di raggiungere una posizione chiave nell’economia della natura. Libbie Hyman, in un’autorevole rassegna del problema della classificazione degli animali, elenca 22 phyla principali. Solo nove di questi perd sembrano abbastanza im- portanti da essere inclusi nel nostro elenco. Gli altri, tutte forme marine eccetto alcune d’acqua dolce, presentano un reale interesse solo per lo studioso di morfologia o di evoluzione: ognuno di questi phyla & rappresentato al pit da poche centinaia di forme viventi, « nessuno é cosi importante da possedere un nome volgare ampia- mente noto. 1 nematodi Dopo una serie di questi gruppi di minor fama, il primo grande phylum che incontriamo é quello dei nematodi. Anche questi sono oscuri, nel senso dello scarso interesse che hanno destato, ma sono incredibilmente numerosi e non privi di importanza in una consi- derazione circa economia generale della natura. I nematodi sono vermi: Correntemente “verme” é usato per ogni sorta di animali che sia lunga, cilindrica, si dimeni, e sia troppo pic- cola per essere chiamata serpente. Per esempio vengono chiamate vermi le larve degli insetti, che sarcbbe forse pi appropriato chia- tare bruchi o bachi. I veri vermi, vermiformi durante tutta la loro vita, sono rapprescntati da due phyla completamente differenti: i nematodi e gli anellidi. I nematodi hanno un corpo liscio ¢ non seg- tuentato, € sono comunemente chiamati dai biologi “vermi tondi” o “vermi-ago”, mentre gli anellidi sono vermi segmentati (i comuni lumbrichi ne sono un tipico esempio). Sono state descritte qualcosa come 80000 differenti specie di ne- mmatodi, € probabilmente solo una piccola porzione delle viventi ¢ stata classificata. Si tratta di animali organizzati in modo ben pit complesso che i celenterati: il sistema digestivo é un tubo continuo, con bocca e ano, ¢ le cellule germinali si trovano associate a un si- stcma riproduttivo, in modo che i singoli individui possono presen- 54 - CAPITOLO TERZO tare caratteristiche maschili o femminili. Per la maggior parte, i nematodi sono esseri piccolissimi, microscopici. Molti vivono in acque dolci o salate, altri nel terreno o in ambienti umidi. Moltissimi sono parassiti, di piante, di insetti o di vertebrati. Sono nematodi al- cuni vermi intestinali dell’uomo. Anche le filarie, un gruppo nume- roso di parassiti di vertebrati, sono nematodi; tra esse figura l’organi- smo che causa la “elefantiasi” nell’uomo. Gii anellidi E forse meglio parlare ora dei vermi segmentati, o anellidi, an- che se normalmente nelle classificazioni sono collocati del tutto a parte dai nematodi. Tra gli anellidi rientrano i lombrichi, le sangui- sughe e un gran numero di vermi marini. Si tratta di organismi con- siderevolmente pitt complessi dei nematodi, provvisti di tutti i prin- cipali sistemi organici degli animali superiori. Loro caratteristica principale & la segmmentazione del corpo, che interessa non solo Taspetto esterno dell’animale, ma anche la disposizione interna degli organi. Gli anellidi descritti sono soltanto un decimo (8000) rispetto ai nematodi descritti; in compenso i lombrichi sono abbastanza nume- rosi, come individui, da risultare importantissimi nell’economia della natura. Charles Darwin fu molto interessato sia dall’abbondanza sia dall’attivita dei lombrichi, ¢ scrisse su di essi un libro in cui dimo- stro che sono i principali responsabili del mantenimento del suolo in condizioni favorevoli allo sviluppo delle piante, almeno nei climi temperati. Molti anellidi sono marini. In generale si ritiene che la vita abbia avuto il suo inizio nel mare, e senza dubbio l’ambiente marino sem- bra pit favorevole alla vita di ogni altro. La maggior parte dei phyla animali hanno avuto il loro massimo sviluppo nel mare, e solo occa- sionalmente qualche gruppo ha saputo adattarsi a vivere in acqua dolce. I gruppi che si sono adattati alla vita terrestre sono ancora pit rari, e per la maggior parte appartengono a due phyla: artropodi ¢ CATALOGO DELLA NATURA 5S cordati (o vertebrati). Anche tra i nematodi e gli anellidi vi sono tmolte forme terrestri, ma limitatamente a particolari ambienti umidi (suolo, oppure organismi parassitati). Il prossimo grande phylum, quello degli echinodermi, é esclusiva- mente marino. Gli echinodermi Gli echinodermi comprendono le stelle marine, i ricci di mare, le comatule e i loro affini. Gli individui adulti hanno simmetria rag- yiata, ma a differenza dei celenterati si ritiene in genere che si tratti «cl risultato di uno sviluppo secondario, dato che le larve hanno una smmetria bilaterale. Infatti, proprio a causa della struttura di queste forme larvali, si suppone che gli echinodermi siano parenti stretti degli antenati degli animali pik complessi, cioé dei vertebrati. Sono state descritte circa 6000 specie di echinodermi viventi. Rappresentano un gruppo ben distinto per via della simmetria rag- Kiata (praticamente sempre fondata su cinque segmenti), dei tegu- menti cornei (composti da spicole calcaree intracellulari) e del sin- wolare apparato idraulico che fornisce la spinta per il movimento. 1 molluschi Le seppic ¢ i loro affini — lumache, chiocciole, ostriche, calamari ¢ polpi — compongono il successivo phylum, i molluschi. Sono per- lopitt marini, ma molte forme hanno invaso le acque dolci, e certe lumache si sono completamente adattate a vivere sulla terraferma. I tolluschi formano un gruppo imponente per numero sia di specie sia di individui, con qualcosa come 80000 forme viventi descritte. lysi mostrano un complesso sviluppo dei sistemi organici, simile a «quello degli animali superiori, ma le loro appendici non hanno le articolazioni caratteristiche degli artropodi e dei cordati. II guscio costituisce chiaramente il loro carattere principale, anche se, in ve- titi, questo é un carattere che hanno in comune con un altro phy- 56 CAPITOLO TERZO lum di organismi marini, i brachiopodi (di cui qui non ci occupe- remo, per il ridotto numero di specie viventi). Molti molluschi — ad esempio alcune lumache terrestri, i calamari, i polpi marini — non mostrano conchiglie visibili. Un mollusco, la piovra gigante, é il pit grande dj tutti gli invertebrati, raggiungendo un’apertura di braccia di pit di 15 metri. Gili artropodi Restano due phyla per completare la nostra rassegna: gli artro- podi e i cordati. Questi includono gli animali terrestri attualmente predominanti: rispettivamente gli insetti — in assoluto i pid nume- rosi tra tutti gli organismi visibili, sia per numero di forme che di individui — e i mammiferi, cui va un’attenzione particolare per il fatto che ne facciamo parte. Gli artropodi si dividono in cinque classi principali: i crostacei (granchi, gamberi, balani), gli aracnidi (ragni, scorpioni, acari), gli onicofori (le poche strane specie di Peripatus, sopravvissute fino a noi da un oscuro passato geologico), i miriapodi (millepiedi e cen- topicdi) e gli insetti. A noi mammiferi gli insetti sembrano appartenere a un mondo alla rovescia al di Ja di ogni possibilita di comprensione. Hanno lo scheletro all’esterno del corpo; il sistema nervoso centrale sotto I’ap- parato digerente; convogliano I’aria alle cellule direttamente attra- verso un complicato sistema di tubature, mentre il sangue (per me- glio dire il liquido corporeo) lo usano solo per trasportare le so- stanze alimentari. Talora presentano forme di comportamento terri- bilmente complesse, che sembrano dipendere perd completamente da istinti ereditari rigidi, con esclusione di qualsiasi forma di appren- dimento. E gli insetti sono di un’abbondanza senza fine, di una pro- lificita senza fine, e senza fine sanno insinuarsi nella nostra vita, sia nel giardino che in cucina. Il fatto che, con un orgoglio piuttosto snobistico, siamo convinti che questa sia ’'Era dei mammiferi, non toglie che ogni tanto ci IL CATALOGO DELLA NATURA 57 colga il dubbio se per caso questi onnipresenti insetti non siano destinati, dopo tutto, a divenire i padroni del mondo. 1 cordati 1 biologi attualmente parlano di cordati, invece che di vertebrati, perché hanno riconosciuto laffinita con alcuni organismi marini che, pur non avendo uno scheletro assile, possono indubbiamente essere accolti nell’ambito familiare. Questi cordati non-vertebrati, peraltro, includono poche specie di non grande interesse in una cosi lieve rassegna del regno animale. Per i nostri scopi possiamo in ef- fetti continuare a pensare ai cordati come composti di cinque classi principali, i pesci (per Ja veritd squali e razze dovrebbero essere con- siderati una classe a parte), gli anfibi, i rettili, gli uccelli e¢ i mam- miferi, | cordati, con le loro 70000 specie circa, formano un rispetta- hile spettacolo in rapporto a qualsiasi altro phylum eccetto quello degli artropodi; e includono organismi che predominano, per di- mensioni se non per numero, in ogni tipo di ambiente. ‘Tra i cordati i mammiferi rappresentano la classe pit complessa, iui specializzata, ed evolutasi pid di recente. Con orgoglio, noi poniamo luomo al vertice della linea evolu- twa dei mammiferi, adducendo come argomenti determinanti la ita cranica, ’abilita manuale, e la sua recente comparsa. Coi tammiferi e con 'uomo giungiamo dunque al termine della nostra panoramica sul ramo animale dell’albero della vita, raggiungendo anche in questo caso specializzazioni estreme paragonabili a quelle delle orchidee e delle margherite nel ramo vegetale. Parlare di organismi “superiori” e “inferiori” pud, in verita, es- ‘re considerato inadeguato e fuorviante. In definitiva tutti gli or- #anismi viventi rappresentano una forma di successo nella risolu- vione di quel problema complesso e senza fine che é la sopravvi- senza: i batteri non meno della scimmia o dell’orchidea. Nessun urganismo vivente pud essere considerato come progenitore di un cay 58 CAPITOLO TERZO altro oggi vivente, e anche il classificare gli organismi in “primi- tivi” e “specializzati” pud indurre a interpretazioni sbagliate: in- fatti sia gli uni che gli altri, se sono vivi, hanno chiaramente avuto “successo”. La quale considerazione ci porta al problema della storia della vita su questo pianeta, che é l’oggetto della paleontologia. Capitolo 4 La storia degli esseri viventi Il Museo di zoologia comparata, a Harvard, poteva dirsi, per i stoi tempi, un bel palazzo; ma ora sarebbe meglio chiamarlo trap- pola da incendi. Vi sono raccolti i reperti accumulati da molti na- turalisti, un tesoro insostituibile di materiale biologico. Natural- mente si € presa ogni precauzione perché Ja trappola non prenda fuoco. Tra le altre cose, nessuno pud fumare all’interno del Museo. Gli scienziati fumano perlomeno quanto chiunque altro, quindi, quelli che lavorano al Museo di zoologia comparata, spinti dal loro vizio, passano il tempo libero sui gradini del Musco, a tutte le ore del giorno, anche quando il Massachusetts sfoggia il suo tempo peg- giore. Questo significa che gli studiosi di mammiferi, gli erpetologi, yli entomologi, i paleontologi ¢ i membri delle altre divisioni della tribd sono spinti dalla loro dedizione alla nicotina a uscire dalle loro tane a frequenti intervalli, ¢ ad associarsi democraticamente sulla gradinata esterna. Alcuni, logicamente, sc ne stanno appartati, sprofondati nei pensieri che si son portati dietro dalla tana; ma i pil sono portati a conversare: talvolta su pettegolezzi, talaltra sul la- voro appena fatto o su quello che contano di fare I’anno prossimo. Cosi, chi si interessa di insetti si avvicina ai problemi di chi studia uli uccelli, e chi colleziona conchiglie impara qualcosa sui rettili fossili; e ogni conoscenza viene assorbita senza fatica, pian piano, assieme alla immancabile sigaretta. Tutto questo mi viene in mente in connessione col ricordo di 60 CAPITOLO QUARTO una mattina di nevischio a Boston, in cui restai bloccato sotto la scalinata d’ingresso, per ripararmi. Venni raggiunto dal mio amico Teddy White, della tribt. dei paleontologi. Ero stato spesso a os- servarlo concentrato nella laboriosa impresa di liberare un osso fos- sile dalla sua matrice, o di mettere assieme una serie di denti, fram- menti di mandibola e vertebre. Quel mattino Teddy era piuttosto git di corda. Immagino che avesse tentato di ricostruire un qualche mostro preistorico, dispo- nendo soltanto di un pezzo di arto posteriore sinistro su cui basarsi. “La paleontologia — mi fece notare — é come ricostruire un gioco a incastri possedendo solo pochi pezzi senza neanche una idea del- Tassieme.” Questo accadde tanti anni fa, ma la frase mi é rimasta impressa. Ci ripenso quando vedo la ricostruzione di un dinosauro, quando osservo un paesaggio dell’Eocene dipinto secondo l’idea che qual- cuno se ne é fata, o quando leggo qualcosa sulle linee evolutive dei cavalli fossili. Ci vuole un tipo di persona piuttosto speciale per cavarne un pa- leontologo: occorrono a un tempo una vivida immaginazione e una costante attenzione al particolare, La combinazione di queste doti ha dato un risultato stupefacente, nella ricostruzione di una parte considerevole della storia biologica partendo da testimonianze oscure e frammentarie. Nell’Origine delle specie, Darwin ha messo in ri- lievo la “inadeguatezza delle testimonianze fossili”, e in verita in molti casi esse sono destinate a rimanere molto imperfette. Pure, io credo che Darwin, se tornasse oggi fra noi, sarebbe pit impressio- nato dai progressi della paleontologia che da quelli di qualsiasi altra branca della biologia. Qualche nozione della storia geologica e paleontologica é neces- saria per la comprensione dei fenomeni biologici del presente, per cui tracceré un quadro sintetico di questa materia. LA STORIA DEGLI ESSERI VIVENTI 61 Leta della terra Il problema dell’eta della terra ha interessato da tempo scien- siati e filosofi. Il vescovo Ussher sistemd bellamente la questione per un certo periodo con la pubblicazione, nel 1654, dei risultati dei suoi calcoli basati sulla Sacra Scrittura, secondo i quali la terra era Stata creata alle nove in punto del 26 ottobre dell’anno 4004 avanti Cristo. Questo limite temporale si impose sia in campo storico sia in campo geologico fino alla pubblicazione, nel 1785, di un lavoro «i James Hutton, intitolato Teoria della terra, ovvero ricerca delle leggi osservabili nella formazione, scomparsa e ristabilimento della trraferma sul globo. Hutton é il padre della geologia, e occupa, comunque, un posto di rilievo in ogni storia della biologia, dato che fu il primo a dare ai biologi dei periodi di tempo durante i quali la vita avrebbe potuto essersi sviluppata. La linca di pensiero passa di- rettamente da Hutton a Lyell a Darwin; di fatto nei primi anni \arwin si considerd pi un geologo che un biologo. Hutton avanzo idea che il presente é la chiave del passato e che lc caratteristiche geologiche della terra debbono essere il risultato di processi tuttora in atto, operanti attraverso lunghi periodi di tempo, Questa teoria, nota sotto il nome di “uniformismo” o “at- tualismo”, & stata per lungo tempo unanimemente accettata dagli scienziati. Una teoria simile deve essere una specie di credo della scienza, perché se per spiegare un fenomeno o un altro si postula 1 processo non osservabile al momento attuale, la spiegazione ri- sulta esclusa dal campo della scienza, per il fatto stesso di non poter essere sottoposta a osservazione o sperimentazionc. Per spiegare le caratteristiche fisiografiche della terra con la teo- tia di Hutton si dovevano supporre periodi di lunghezza inimma- uinabile, e per giungere a misurarli si sono fatti molti sforzi. Fino ul ventesimo secolo soltanto due metodi di misura sembravano pro- mettenti: il calcolo del tempo necessario per la formazione dei sedi- ienti ¢ il calcolo del tempo necessario per spiegare la salinita degli 62 CAPITOLO QUARTO oceani. Si trattava in ambedue i casi di metodi molto approssimativi. Le difficolta dei calcoli sul sedimento sono ovvie: non c’é modo di conoscere quali sedimenti siano andati perduti e con quale ritmo i sedimenti si siano accumulati nei diversi periodi del passato geo- logico. Anche la salinita dell’oceano é una misura incerta, poiché una notevole parte del sale del mare é costantemente coinvolto in cicli tramite i quali si accumula in depositi sulla terra, per tornare nuovamente al mare con l’erosione, cosicché anche se si arrivasse a calcolare la quantita di sale portata ogni anno al mare dai fiumi at- tuali, resterebbe ancora da conoscere quanto di questo sale era stato precedentemente sottratto al mare stesso, e quanto invece derivava da rocce mai erose prima (cioé non legate al ciclo suddetto). Si ritiene che il metodo basato sul decadimento dei minerali ra- dioattivi dia la pit precisa misura del tempo attualmente possibile. Per esempio si conosce con notevole precisione il tasso di decadi- mento dell’uranio in piombo; e per quanto ne sanno i fisici si tratta di un tasso costante, non influenzato da fattori esterni. Il rapporto fra uranio e piombo in un minerale dovrebbe, percid, dare una mi- sura precisa dell’eta del minerale. II ritrovamento di un discreto numero di strati sedimentari di uranio ha permesso di calcolare la durata di vari periodi geologici, e queste stime sono in buon accordo con altri tipi di calcoli, e in generale con I’enormita di tempo che & occorsa ai processi geologici e biologici per raggiungere le loro con- dizioni attuali. Con questo metodo di stima le rocce pit antiche rivelano una eta di circa due miliardi di anni, il che pone un limite minimo all’eta assegnabile alla terra. I primi reperti fossili di forme viventi in con- dizioni passabili e chiaramente riconoscibili risalgono al Cambriano: secondo l’orologio ad uranio, cinquecento milioni di anni fa. Non si possiede nessuna traccia fossile per il primo miliardo e mezzo di anni della storia geologica durante il quale gli esseri viventi raggiun- sero un notevole livello di complessita, testimoniato dai molluschi provvisti di conchiglie. Questi tempi interm abili sono al di la di una facile compren- UA STORIA DEGLI ESSERI VIVENTI 63 sione; forse pud aiutare il paragone fatto da James Jeans: “Suppo- «umo che Paltezza di un grattacielo rappresenti il tempo geologico: 1a monetina in cima ad esso rappresentera il periodo in cui é esi- stito 'uomo, e un sottile foglio di carta l’intero periodo storico!” Le epoche geologiche 1 geologi hanno dedicato un bel po’ di lavoro alla costruzione sli un quadro delle epoche geologiche, che é basato su due principi xencrali: quello della sovrapposizione e quello della successione della fauna. Il primo stabilisce che, in una qualsiasi regione fissata, i depo- sti sedimentari formano una sequenza temporale, con i pid antichi xiacenti inferiormente. Il fatto che questo ordine pud essere scon- volto dai movimenti della crosta terrestre, nei processi di forma- vione delle montagne, non cambia nulla, dato che questo tipo di alte- tavioni & ben riconoscibile. I] secondo principio asserisce che un «eterminato tipo di roccia sedimentaria di una data eta include tra 1 suoi fossili i membri della fauna di un particolare periodo. Le ca- ratteristiche delle specie fossili cambiano lentamente da periodo a periodo con lo sviluppo evolutivo. Se si trovano determinate specie lossili nelle rocce sedimentarie di una data regione, fossili della me- «lesima specie in altre regioni sono una ottima indicazione che le tocce in cui sono inclusi appartengono allo stesso periodo gcolo- xico delle prime. Nelle singole regioni, naturalmente, i reperti sono quanto mai parziali ¢ frammentari. I sedimenti si sono depositati, hanno rag- iunto un notevole spessore, sono stati erosi e di nuovo c’é stata sedimentazione: cosicché i fossili sopravvissuti integri per ciascun periodo sono sparsi qua e Ia sulla superficie terrestre; bruschi cam- hiamenti nelle specie fossili, indicano che vi sono lunghi periodi dai «uali non ci & pervenuto alcun sedimento. Faticosamente, dunque, i geologi hanno messo insieme un quadro degli eventi geologici abbastanza coerente da essere accettato quasi universalmente (un vero successo, considerato che gli scienziati non 64 CAPITOLO QUARTO tanto facilmente si trovano d’accordo). Essi hanno diviso la storia della terra in ere principali separate da ampie lacune nella docu- mentazione fossile, connesse probabilmente ai periodi di formazione dei grandi rilievi e conseguente erosione massiva; queste ere sono state a loro volta divise in periodi e i periodi in epoche. Qualcosa di simile a quanto fanno archeologi e storici quando sintetizzano in un quadro cronologico gli eventi della preistoria e della storia del genere umano. Nella storia le ere sono rappresen- tate dalle civilta, separate da intervalli connessi alle invasioni bar- bariche o altri processi distruttivi. Cosi, nel nord del Mediterraneo si trova la civilta minoica ben definita e separata — da un periodo non documentato — dalla civilta greco-romana, e questa a sua volta separata dalla civilta occidentale contemporanea dalla cosiddetta “eta oscura”. Se queste civilta rappresentano le ere, i periodi po- trebbero essere rappresentati, per esempio nella storia greco-romana, da] predominio ateniese, dalla repubblica romana, dal primo impero, € cosi via; le epoche potrebbero essere la periclea, I’alessandrina, l’au- gustea, tanto per prendere tre esempi a caso. I geologi distinguono cinque grandi Ere, precedute dal “Periodo azoico” di durata sconosciuta: l’Archeozoica, la Proterozoica, la Pa- leozoica, la Mesozoica ¢ la Cenozoica. Le rocce dell’Era archeozoica e della proterozoica sono praticamente prive di fossili, probabil- mente in parte perché Ie prime forme di vita non possedevano con- chiglic robuste che fossilizzassero velocemente, e in parte perché pressioni e temperature considerevoli sviluppatisi nei processi di tra- sformazione di queste rocce debbono avere distrutto la documenta- zione fossile. Si trovano sulle rocce impronte che quasi sicuramente rappresentano alghe e spugne calcaree, e tracce e tane lasciate pro- babilmente da specie vermiformi. E questo é pressappoco tutto. Pe- raltro i depositi di carbone che ritroviamo in queste rocce non si Possono spiegare se non come l’ultima traccia di qualche forma ani- male o vegetale; e dalla estensione dei depositi si pud supporre che queste forme devono essere state abbondanti. I periodi delle tre rimanenti Ere comunemente riconosciuti sono 1A STORIA DEGLI ESSERI VIVENTI 65 clencati nella tabella seguente, insieme con alcune indicazioni delle specie che risultano essere caratteristiche di ciascuno. Nella storia geologica, cosi come nella storia umana, la documen- tazione diviene via via pid chiara quanto pit ci si avvicina all’epoca attuale. Ma in ambedue i casi questo non avviene con regolarita, a causa dei fattori accidentali che influenzano la conservazione dei materiali, Si sa moltissimo della storia egizia perché il clima della valle del Nilo ha favorito la conservazione delle testimonianze, per- ché la civilta egizia ha lasciato reperti tali da conservarsi facilmente, PERIODI DELLA STORIA BIOLOGICA Era Periodo Durata' Caratteristiche Paleozoica | Cambriano 550 Fossil marini: molluschi, crostacci, alghe Ordoviciano —475_~—- Probabili_ primi vertebrati: pesci agnati Siluriano 400 Probabili_ primi insetti c piante terrestri Devoniano 350 Anfibi; foreste Mississippiano 300 Periodo “carbonifero”: vaste pa- Pennsylvaniano 250 ludi con foreste (felci); insetti, anfibi Permiano 210 — Estinzione di molti tipi di animali; primi rettili Mesozoica — Triassico 200 = Molti gruppi di rettili; conifere Giurassico 150 Uccelli_provvisti_di denti, mam- miferi arcaici; fancrogame dico- tiledoni Cretaceo 120 Estinzione dei dinosauri; fanero- game monocotiledoni Cenozoica Paleocene 65 Massimo sviluppo dei mammiferi arcaici Eocene 60 Foreste di alberi attuali; nascita dei mammiferi attuali Oligocene 40 Primi ratti ¢ primi antropoidi Miocene 35 massimo sviluppo dei mammiferi Pliocene 25 Evoluzione dell’uomo Pleistocene 1 Glaciazione periodica; estinzione di molti tipi di: mammiferi "In milioni di anni da oggi; la data é quella di inizio di ciascun Periodo. 66 CAPITOLO QUARTO e infine perché siamo riusciti, con I’aiuto della stele di Rosetta, a leggerli. Si sa molto meno della civilta minoica, che pure fiori nella stessa epoca, perché la documentazione é molto meno completa e non si é neppure in grado di interpretare quella pervenutaci. Una civilta che abbia costruito col legno pud non aver lasciato alcuna traccia. Le difficolta e i rischi della preistoria e della storia umana sono migliaia di volte maggiori nella paleontologia. L’Era paleozoica I fossili del Cambriano sono abbondanti, ma si trovano tutti in giacimenti marini. Si pud avere percid un’idea abbastanza precisa degli organismi che popolavano i mari del Cambriano, mentre non si hanno testimonianze di una qualche forma di vita sulla terra. Esi- steva una grande varieta di organismi in quei mari, con i rappresen- tanti di quasi tutti i maggiori phyla animali. Naturalmente la mag- gior parte dei fossili ¢ di animali muniti di solide conchiglie, che si conservano facilmente; i pil comuni sono i trilobiti, bizzarri cro- stacei dalla pesante corazza. Perlopit erano animali di piccole di- mensioni, ma una specie raggiungeva i quarantacinque centimetri: é la pil grande forma animale che si conosca del periodo Cam- briano. Sulle pendici del Monte Wapta, nelle Montagne Rocciose della Columbia Britannica, é stata trovata una meravigliosa documenta- zione fossile del Cambriano. Si tratta di scisto nero, nei cui strati si trovano splendide impronte di creature prive di scheletro che vis- sero nei mari Cambriani: meduse, spugne, alghe complesse, vari tipi di anellidi coperti di setole, delicati gamberi. Tutti organismi com- plessi, che devono rappresentare i risultati di una lunghissima evo- luzione avvenuta in un tempo pre-paleontologico. In ogni caso nel Cambriano non é stata trovata nessuna traccia di vertebrati. I paleontologi hanno molti motivi per credere che i primi ver- tebrati si siano sviluppati in acque dolci. Non si conoscono fossili del Cambriano che possano essersi formati in acque dolci. Lo stesso 1.4 STORIA DEGLI ESSERI VIVENTI 67 si pud affermare per ’Ordoviciano, a eccezione di un deposito for- matosi probabilmente all’estuario di un fiume, e che contiene pezzi di una armatura cutanea probabilmente appartenuta a dei pesci agnati d’acqua dolce. Anche le rocce sedimentarie del Siluriano sono soprattutto marine; ma alcune, che potrebbero provenire da acque dolci o da estuari di fiumi, contengono resti abbondanti di molte specie di pesci agnati, animali in qualche modo affini alle nostre lam- prede, Dato poi che sono state trovate,molte specie di pesci e alcuni frammenti di anfibi che si riferiscono al Devoniano, é probabile che in questo periodo vi fossero anche altri tipi di vertebrati. Sempre al Devoniano risalgono i primi resti abbondanti di vege- tali terrestri, fra i quali si trovano rappresentati tutti i principali uruppi vegetali, escluse le fanerogame. Alcuni di questi fossili sono radici e tronchi di grandi alberi, in parte chiaramente ascrivibili al phylum delle felci. Di altri la classificazione é pit incerta. Esiste un tipo, il nematophyton, la cui struttura é simile a quella di un’alga; ma dato che ne sono stati trovati alcuni tronchi di quasi un metro di diametro, doveva trattarsi di una pianta completamente diversa da qualsiasi cosa oggi pensabile come un’alga. Insieme a queste piante fossili si sono trovati resti di ragni e di tignole: i primi di artropodi terrestri, Il periodo Carbonifero, spesso diviso dai palcontologi americani in Mississippiano ¢ Pennsylvaniano, ha lasciato una ricca storia nei grandi giacimenti di carbone. Questi giacimenti carboniferi si pensa siano stati prodotti da grandi foreste paludose, composte principal- mente di felci giganti, “alberi a scaglie” ed equiseti giganti. Il Car- bonifero fu ricchissimo dal punto di vista biologico. A noi fa uno strano effetto soprattutto perché non erano ancora apparsi né gli animali a sangue caldo, né le piante con fiori. Gli insetti, incluse delle specie alate, erano invece abbondanti; in tutti i casi si tratta di ordini ormai estinti da molto tempo. Abbondanti anche gli anfibi e alcuni rettili, ormai estinti anche questi. 68 CAPITOLO QUARTO L’Era mesoxzoica Il Mesozoico fu I’“Eta dei rettili”: dei dinosauri, degli pterosauri volanti, degli idrodinamici ittiosauri marini: una moltitudine di tipi dj rettili diffusi in tutti gli habitat pit importanti. Tutte queste forme scomparvero alla fine del Cretaceo, e i rettili che sopravvis- sero fino al Cenozoico — tartarughe, sauri, serpenti e coccodrilli — Yappresentano una porzione insignificante della moltitudine pre- sente nel Mesozoico. Le possibili cause della quasi completa estin- zione dei rettili sono state accanitamente discusse dai paleontologi. Fu probabilmente un processo lento, per quanto brusco possa sem- brare guardando indietro la successione dei resti fossili, fu quasi certamente legato ai grandi cambiamenti climatici derivati dal for- marsi sulla superficie terrestre delle Montagne Rocciose ¢ delle altre grandi catene montagnose. E opinione generale che i grossi e biz- zarri rettili, altamente specializzati, non furono capaci di sviluppare gli adattamenti necessari ad affrontare questi cambiamenti, cosicché la terra fu ereditata dai piccoli ¢ miti mammiferi primitivi pochis- simo specializzati, le cui prime tracce troviamo tra i fossili del Cre- taceo. L’Era cenozoica La storia del Cenozoico é Ja storia dello sviluppo dell’ambiente biologico terrestre tuttora dominante: delle piante con fiori, degli ordini tuttora viventi di insetti, uccelli e mammiferi. L’Era cenozoica viene spesso chiamata anche terziaria, termine re- siduato dalla classificazione di Giovanni Arduino, un italiano che stu- did a fondo le rocce delle Alpi meridionali. Nel 1759 egli propose il raggruppamento di queste rocce in quattro serie che chiamé rispetti- vamente primaria, secondaria, terziaria e vulcanica. La prima scrie includeva gli scisti che formano il nucleo centrale delle montagne, la seconda le dure rocce sedimentarie delle pendici dei monti e la terza LA STORIA DEGLI ESSERI VIVENTI 69 Ic rocce sedimentarie meno compatte delle propaggini collinari. Que- sta classificazione era logica se riferita alle Alpi ma non si adattava ituazioni geografiche differenti; i termini “primario” e “seconda- rio” furono gradualmente abbandonati, mentre “terziario” & soprav- vissuto con un significato ristretto, sia come sinonimo di Cenozoico, sia per indicare tutto il Cenozoico a esclusione dell’ultimo periodo, il Pleistocene. Le suddivisioni del Cenozoico accettate attualmente furono pro- poste per Ja prima volta dal grande geologo inglese Charles Lyell. Sia lui che i] malacologo francese Deshayes basarono le suddivisioni sulle conchiglie fossili trovate in una serie di depositi della regione di Pa- rigi, che in epoca cenozoica era stata inondata periodicamente dal mare, Molte di queste conchiglie sono di specie tuttora viventi, la cui percentuale nei diversi depositi dipende dall’eta di ciascuno. Cosi il periodo pit antico, il Paleocene, non comprende specie oggi viventi; dall’uno al cinque per cento delle specie trovate nel periodo succes- sivo, ’Eocene, sono tuttora viventi; nell’Oligocene Ie specie tuttora viventi vanno dal 10 al 15 per cento; nel Miocene dal 20 al 4o per cento; nel Pliocene dal 50 al go per cento ¢ nel Pleistocene dal go al 100 per cento. II Pleistocene e¢ la Glaciazione Il Pleistocene rappresenta la fine della storia geologica. Quando finisca il Pleistocene e inizi Era “attuale”, o “moderna”, 0 “contem- poranea” @ in larga misura questione di definizione. Probabilmente Vintero Pleistocene abbraccié un periodo di circa un milione di anni, c durante questo periodo le terre dell’emisfero settentrionale furono coperte ripetutamente da grandi ghiacciai. L’ultimo di questi ghiac- ciai raggiunse la sua massima estensione soltanto pochi secondi fa, in termini di tempo geologico, ¢ V'inizio della retrocessione di questa laciazione (ancora rappresentata dalle calotte di ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartide) forse l’evento pit logico col quale 790 CAPITOLO QUARTO chiudere la storia geologica. I ghiacciai cominciarono probabilmente a ritirarsi circa 25000 0 30000 anni fa. Essendo il pid recente dei periodi geologici, i] Pleistocene ¢ anche il meglio conosciuto, poiché le testimonianze della sua storia sono state distrutte solo in minima parte dal trascorrere del tempo. La ca- ratteristica pit rilevante del Pleistocene fu Ja ripetuta glaciazione del- PEuropa e del Nord-America. Tracce dei ghiacciai sono evidenti in molte zone dell’Europa e del Nord-America e durante il diciassette- simo e diciottesimo secolo queste tracce “diluviali” furono attribuite al Diluvio Universale. E abbastanza giusto che fosse la Svizzera a ri- conoscere l’origine glaciale di questi resti diluviali, ed é al grande naturalista svizzero Louis Agassiz, in effetti, che si deve in massima parte l’accettazione unanime della teoria glaciale. Le impronte geologiche di una glaciazione sono assolutamente caratteristiche, e tutti i suoi fenomeni tipici sono osservabili nei ghiacciai attuali. Le rocce sono smussate, levigate e solcate in ma- niera caratteristica, e grossi macigni sono spesso trascinati dalla cor- rente di ghiaccio lontano dalle formazioni d’origine (massi erratici). Al piede del ghiacciaio si forma un grande accumulo di detriti che da luogo a una morena terminale. Queste morene possono tagliare trasversalmente i normali canali di drenaggio e, insieme all’azione diretta di erosione del ghiacciaio, danno origine ai numerosi laghi tipici delle regioni che sono state investite dalle glaciazioni. Natural- mente tutte queste tracce appaiono meno chiare quanto pid ci si sposta indietro nel tempo geologico, cosicché é difficile ricostruire con grande esattezza la storia delle glaciazioni dei periodi pid an- tichi; tuttavia esistono considerevoli prove di glaciazioni in epoche remote, cosicché i fenomeni del Pleistocene non si possono conside- rare unici nel loro genere. Attualmente vi é un generale accordo sul fatto che vi siano stati quattro grandi periodi di glaciazione nell’emisfero settentrionale du- rante il milione circa, di anni, di durata del Pleistocene. Nel periodo della loro massima estensione questi ghiacciai raggiunsero i fiumi Ohio e Missouri nel Nord-America, e la Germania settentrionale, il LA STORIA DEGLI ESSERI VIVENTI Ts Belgio e¢ le isole Britanniche in Europa. Calotte di ghiaccio pit pic- cole si formarono all’estremita del Sud-America, in Australia e nella Nuova Zelanda, e sulle montagne pit alte in ogni parte del mondo. E difficile immaginare tutti gli effetti che questo enorme accu- mulo di ghiaccio deve aver avuto sulle condizioni fisiche e biologiche della terra. Ovviamente non se ne conosce lo spessore, ma deve essere stato di circa un chilometro e mezzo, e avra raggiunto anche i tre chilometri nella zona centrale della calotta. Allo stato attuale la calotta di ghiaccio della Groenlandia raggiunge lo spessore massimo di 2700 metri vicino al suo centro, con una media di 1400 metri per un’area piuttosto ampia. I circa 25 milioni di chilometri quadri della distesa ghiacciata del Pleistocene rappresenterebbero percid un nu- mero ancora maggiore di milioni di chilometri cubi di acqua sottratta agli oceani; ne deve essere derivato un notevole abbassamento del livello del mare, tra i 50 ¢ i 100 metri. Durante i periodi interglaciali l'acqua deve essere tornata al livello attuale, ¢ forse anche pit su. Il peso di questa massa di ghiaccio sui continenti sembra che ne abbia inoltre modificato in misura notevole il livello e la pendenza. L’effetto sulla temperatura atmosferica possiamo solo immaginarlo: le zone temperate furono certamente pit fredde, mentre l’influenza sul clima delle regioni equatoriali probabilmente non fu notevole. Le possibili cause della glaciazione del Pleistocene rappresentano un campo aperto alle ipotesi, in cui non esiste un accordo generale. Probabilmente concorsero parecchie cause, fra cui una forse fu l’ele- varsi dei continenti, che avrebbe aumentato le aree di altipiano freddo alle latitudini temperate. Si é pensato anche a cambiamenti nella com- posizione atmosferica, come una diminuzione del contenuto di vapor acqueo o di anidride carbonica; un piccolo cambiamento nel conte- nuto di anidride carbonica dell’aria potrebbe infatti cambiare gran- demente la sua capacita termica. Una variazione a lungo termine della intensita della radiazione solare potrebbe essere la causa determinante per l’avviarsi di una tendenza verso la glaciazione o il disgelo. Sembra possibile che dei cambiamenti relativamente trascurabili possano dare inizio a tendenze del genere. I] ghiaccio rappresenta un deposito di n CAPITOLO QUARTO freddo, cosicché una volta che ha iniziato a formarsi e a conservarsi da una stagione fredda a quella seguente, potrebbe verificarsi un effetto cumulativo. La glaciazione del Pleistocene, cosi recente da un punto di vista geologico, certamente serve a ricordarci che non é detto che il clima attuale della terra sia costante. Infatti i grandi cambiamenti climatici Possono essere stati un fattore determinante per il corso dell’evolu- zione organica, anche se difficili da valutare. Una delle caratteristiche del Pleistocene, ad esempio, fu la grande diminuzione nel numero di specie di mammiferi. Presumibilmente tutti i mammiferi oggi viventi csistevano tutti durante il Pleistocene, ¢ inoltre vi fu un gran numero di specie che si estinsero durante quel periodo. Questa estinzione non puo essere messa decisamente in relazione con la glaciazione, dato che molte specie sembra siano scomparse assai recentemente, dopo essere sopravvissute a tutte le vicissitudini del periodo glaciale. Tra queste vanno inclusi i] mammut e altri parenti dell’clefante, gli orsi, cam- melli e bradipi terrestri giganti d’America. L’uomo inizié a esercitare la sua influenza sul resto della natura in questo periodo: ma é difficile credere che possa essere stato la causa diretta dell’estinzione di tutte queste altre specie di mammiferi. Sappiamo che egli fu contempo- raneo di molte di esse, come ci é testimoniato, ad esempio, dai graffiti rappresentanti mammut ritrovati sulle pareti delle caverne in Europa. L’uomo é un fenomeno del Pleistocene, poiché tutti i fossili chia- ramente umani iniziano da questo periodo. E chiaro, tuttavia, che deve essersi formato in seguito a una lunga evoluzione; ¢ in effetti si conoscono forme antropoidi fossili che risalgono fino all’Oligocene. La storia dell’uomo é percié legata ai ghiacciai: ma questa storia non appartiene al scttore della biologia che abbiamo iniziato a esplorare. Capitolo 5 La riproduzione La testimonianza fossile, anche cosi imperfetta, da un chiaro qua- dro del lento sviluppo della vita su questo piancta, dagli accumuli ora informi di carbone nelle rocce pre-cambriane fino ai tipi di organismi straordinariamente diversi che popolano la scena contem- poranca. Come naturalisti siamo innanzitutto interessati agli eventi di questa scena contemporanea, che i gcologi definiscono “recente”; ma per capirli dobbiamo riferirci costantemente alle testimonianze del loro sviluppo storico. Dove le testimonianze sono incomplete (come capita nella maggior parte dei casi) siamo costretti a comple- tare la ricostruzione con supposizioni, facendo bene attenzione che si accordino con quel poco che ci é pervenuto. Tutte le testimonianze rivelano che la vita, quale noi la conosciamo sulla Terra, ha un’origine unica ¢ una storia continua. Gli individui muoiono, le specie si estinguono, interi ordini, classi c phyla di viventi possono fiorire, declinare e scomparire, ma vengono rimpiazzati da nuove forme: il plasma germinale si perpetua ininterrottamente, gra- zie ai gameti che trasmettono l’impulso vitale dell’esistenza di gene- razione in generazione. Ogni generazione é quasi la copia esatta della precedente; talvolta differisce leggermente, talvolta muta, ¢ cosi attraverso tempi interminabili da origine alla evidente diversita delle forme organiche. La continuita e la diversita dipendono dal processo detto riproduzione. La riproduzione é una proprieta fondamentale degli esseri viventi. 74 CAPITOLO QUINTO Un organismo, di qualsiasi specie esso sia, ha la capacita di produrre altri organismi della sua stessa specie. E, questo, un fatto straordinario che sembra porre i processi vitali completamente al di fuori della portata delle leggi che governano altri aspetti dell’universo fisico- chimico. La riproduzione non é soltanto una proprieta fondamentale della vita, sembra esserne lo scopo fondamentale. Naturalmente ci sentiamo a disagio appena si comincia a parlare di scopi, tuttavia il concetto di finalita € importantissimo nel pensiero umano, e non abbiamo altro modo di studiare la natura se non per mezzo del nostro pensiero. Di qualsiasi avvenimento, di qualsiasi cosa, continuamente ci chiediamo che cosa sia, come funzioni e perché esista. Ci sono vari livelli di ri- sposta a tutte queste domande, ma con il “perché” non sembra pos- sibile, riguardo alla natura organica, andare oltre l’apparente scopo della continuita della specie. Qualsiasi processo vitale sembra diretto al fine ultimo di riprodurre l’individuo, di perpetuare e accrescere la specie, di assicurare la continuita del processo vitale stesso. La continuita del processo vitale I biologi si sono ormai abituati a pensare agli esseri viventi come costituenti un continuo, come manifestazioni diverse di un ininter- rotto trasferimento di materia vivente da un individuo all’altro, da una specie all’altra, attraverso la lunga storia della vita su questo pia- neta. Questo concetto si é sviluppato molto lentamente, sebbene ora sia cosi saldamente radicato nella mentalita del biologo che egli ne é quasi inconsapevole. L’idea della essenziale continuita dei processi vitali fu chiaramente compresa soltanto dopo la pubblicazione, nel 1859, dell’Origine delle Specie di Darwin, e V’idea della possibilita di una “generazione spontanea” della vita non fu del tutto abbando- nata se non con i famosi esperimenti compiuti alcuni anni pid tardi da Pasteur. Dire che l’idea della possibilita della generazione spontanea della vita venne finalmente abbandonata dopo gli esperimenti di Pasteur é LA RIPRODUZIONE 7 forse una affermazione troppo recisa. Un’idea del genere fa fatica a scomparire. Gli antichi, com’é noto, pensavano che le mosche si formassero dalla materia in putrefazione (ad esempio, Virgilio nel quarto libro delle Georgiche parla della generazione delle api dal sangue di un bue), e durante i] Medioevo era piuttosto diffusa la credenza che i ratti fossero generati dalla crusca e dagli stracci vecchi. L’italiano Francesco Redi, che visse nel diciassettesimo se- colo, fu il primo a dimostrare che i vermi della carne nascevano dalle uova deposte dalle mosche: pure, Redi credeva nella generazione spontanea dei vermi intestinali! La scoperta dei protozoi, diede natu- ralmente nuovo vigore allidea della generazione spontanea, finché Pasteur dimostré che anche i batteri dovevano derivare da altri bat- teri. Con la scoperta dei virus, e la sempre pit chiara coscienza di quanto tenue sia la differenza fra i virus, che sono certamente dei viventi, e alcuni enzimi che sono certamente “mere sostanze chi- miche”, il problema della generazione spontanea della vita ¢ divenuto nuovamente campo aperto alla speculazione, anche se di una specula- zione pit cauta, protetta da un vocabolario pit: oscuro di quello dei primi tempi. Noi ammettiamo, naturalmente, che la vita abbia avuto inizio in qualche luogo e a un dato momento; ma se ha preso il via una volta, pud averlo fatto pid volte. Le condizioni necessarie per il passaggio dallo stato non vivente a quello vivente possono cssersi realizzate in un particolare tipo di ambiente esistito soltanto nell’oscuro pas- sato geologico di questo pianeta; oppure la vita pud essere arrivata sulla terra con una meteora proveniente dallo spazio; o potrebbe in qualche modo formarsi continuamente sotto il nostro naso da qual- che processo finora sfuggitoci. I biochimici, lavorando con gli enzimi e i virus, nutrono la spe- ranza pil. o meno dichiarata di ottenere un giorno la sintesi di ma- teria vivente in laboratorio. Secondo il loro punto di vista, occorre ammettere che cid sia possibile, e hanno gia fatto grandi progressi nell’analizzare i componenti dei sistemi viventi pit semplici. Tutta- via, dal punto di vista della storia naturale é molto pitt conveniente 76 CAPITOLO QUINTO supporre che la vita quale noi la conosciamo abbia avuto origine una volta per tutte in un determinato momento, e tutte le prove raccolte fino a oggi tendono a confermare questa supposizione. Le basi cellulari della riproduzione La riproduzione, vista nel suo insieme, é un argomento di vaste proporzioni, materia di molte discipline diverse. E rimane essenzial- mente un processo misterioso, malgrado la molteplicita di fatti, os- servazioni ¢ teorie che sono state accumulate da queste discipline. La struttura delle cellule germinali é stata esaminata nei minimi dettagli dai citologi e dai biochimici. Lo sviluppo delle cellule ger- minali, per cui il singolo uovo iniziale si moltiplica ¢ gradualmente assume la forma di un determinato tipo di individuo, é materia del- Yembriologia. Lo studio dell’eredita, il ricondurre le differenze fra gli individui a differenze che si originano nei gameti, é faccenda di una scienza a sé, la genetica. I fisiologi, che studiano le varie moda- lita di svolgimento dei processi vitali, si trovano per molti aspetti ad avere a che fare con la riproduzione. Come naturalisti il nostro interesse é diretto soprattutto ai moduli di comportamento legati al processo riproduttivo, e al tasso poten- ziale di riproduzione delle varie specie di organismi in differenti condizioni. Modalita e tassi di riproduzione divengono materia di primaria importanza quando sono in esame le relazioni tra diverse specie di organismi, ¢ tra particolari specie di organismi e l’ambiente fisico in cui si trovano. Si ammette normalmente che vi siano due tipi fondamentali di riproduzione, quella sessuata e quella asessuata. La riproduzione sessuata, per cui il nuovo individuo si forma dall’unione di due cellule germinali, provenienti da due diversi individui, o anche da un unico, é un fenomeno cosi diffuso che deve essere con- siderato un attributo essenziale del processo vitale. Si suppone che la riproduzione sessuata sia assente soltanto in due gruppi impor- LA RIPRODUZIONE - 7 tanti: i virus e i batteri; peraltro anche in questi gruppi vi sono in- dizi indiretti di una sorta di fusione, un processo di tipo sessuale che avviene occasionalmente. E impossibile trattare della riproduzione senza tornare alla cel- lula, che é il comune denominatore strutturale di tutte le forme di vita organizzata. Gli organismi unicellulari (batteri, protozoi, alghe) possono riprodursi dividendosi semplicemente in due: processo, que- sto, paragonabile forse all’accrescimento negli organismi complessi, che si presenta appunto come il risultato di continue divisioni (¢ quindi accrescimento di numero) di cellule separate che vanno a formare l’organismo. Questo processo di divisione cellulare per “semplice” scissione in due, in realta é ben Jontano dall’essere sem- plice. Ogni cellula é qualcosa di molto complesso, e questa compli- cata organizzazione deve essere mantenuta e reduplicata nel processo della divisione cellulare. L’organizzazione della cellula appare con- trollata da un nucleo in essa presente, ed, entro il nucleo, da parti- colari sistemi molecolari complessi chiamati cromosomi. I cromo- somi si possono vedere usando determinate tecniche di colorazione; si @ cosi osservato che durante la divisione della cellula ciascun cromosoma si suddivide, in modo che una uguale porzione di que- sto fondamentale materiale organizzativo passa in ciascuna nuova cellula. Questo processo, chiamato mitosi, é descritto in tutti i libri di testo ed enciclopedie, e vale la pena di soffermarvisi. I] materiale nucleare, trasferito con ogni cura da cellula a cellula, in un qualche modo controlla lintera organizzazione della cellula, il che vuol dire l’intero organismo se questo é composto di un’unica cellula, Ma anche negli organismi pluricellulari questo materiale nu- cleare controlla l’organizzazione dell’intero individuo, poiché ogni siffatto individuo prende origine da una singola cellula germinale. In un organismo complesso i vari tipi di cellule sono altamente spe- cializzati per distinte funzioni: trasmettere impulsi nervosi, contrarsi ¢ dar luogo al movimento muscolare, dar luogo a speciali processi chimici nei processi digestivi, respiratori, escretori, funzionare da sostegno (per csempio nelle ossa) o da protezione (per csempio nella 78 CAPITOLO QUINTO pelle) e cosi via: ciascun organismo porta con sé anche delle cellule originarie non specializzate, cioé di plasma germinale. Al nostro livello di conoscenze é pit facile pensare che, poten- zialmente, ogni cellula di un organismo complesso abbia la possi- bilita di riprodurre l’intero organismo, ma che questa potenzialita sia andata gradatamente atrofizzandosi con la crescente specializzazione delle diverse cellule. Una cellula qualsiasi di una spugna pud ripro- durre l’intera spugna; un segmento di lombrico pud sviluppare un intero lombrico; in alcune piante molto complesse una parte di fo- glia, stelo o radice pud sviluppare una nuova pianta completa di tutti i suoi diversi tipi di cellule, dimostrando cosi che le cellule della foglia, del ramo o della radice hanno conservato la capacita di formare tutti gli altri tipi di cellule. Questo fenomeno della rigene- razione di parti di un organismo o della formazione di un intero organismo da una parte, costituisce un affascinante campo di ricerca che i biologi sperimentali hanno studiato minuziosamente. II tessuto cicatriziale che si forma nell’uomo dopo una ferita rappresenta un residuo di questa “totipotenza” delle sue specializzatissime cellule. La riproduzione asessuata é comune soltanto fra animali relativa- mente semplici. Nei protozoi un singolo individuo puéd dividersi e in tal modo divenire due individui. Nelle spugne, nei celenterati e altri phyla di animali pluricellulari poco specializzati si possono tro- vare meccanismi di riproduzione asessuata. Ad esempio una spugna pud produrre per gemmazione delle piccole gemmule sferiche che nuotano via a formare nuove spugne. Nei cclenterati la forma poli- poide (idra, anemone di mare) pud staccare da sé delle meduse (forma medusoide) per gemmazione; la medusa perd si riproduce a sua volta con un processo sessuale, generando di nuovo polipi, co- sicché vi é un’alternanza di generazioni sessuate e asessuate. Una tale alternanza forma la modalita fondamentale di riproduzione nelle piante. La faccenda non é, tuttavia, facilmente comprensibile senza qualche cenno sul meccanismo cellulare del processo sessuale. LA RIPRODUZIONE 79 Il processo sessuale Il processo sessuale comporta come elemento fondamentale la fu- sione di due cellule provenienti da due genitori diversi per formare un nuovo individuo. Ora l’organizzazione della cellula, e di conse- guenza di tutto l’individuo composto di cellule, dipende da un ma- teriale del nucleo cellulare, chiamato cromatina, che durante le fasi della divisione cellulare si struttura in organelli definiti chiamati cromosomi. Le cellule di ciascuna specie vivente hanno un determi- nato numero di cromosomi, in alcune pochissimi, in altre molti; per esempio l'uomo ne ha quarantasei, il moscerino della frutta otto. Ovviamente, se avvenisse la fusione di cellule normali, ciascuna munita del suo corredo cromosomico, il sistema non funzionerebbe senza l’intervento di un qualche meccanismo tramite il quale ciascun cromosoma potesse fondersi con il suo corrispondente. Ma non é cosi che vanno le cose. Le cellule germinali vanno, in realta, incontro a uno speciale tipo di divisione cellulare chiamato divisione riduzio- nale, in cui i cromosomi, invece di suddividersi, se ne vanno meta in una e meta nell’altra delle due cellule sorelle. In altre parole, in un dato organismo i gameti hanno soltanto la meta dei cromosomi delle altre cellule del corpo: al momento della fusione di due cellule germinali, si ripristina il numero di cromosomi caratteristico della specie, meta del corredo della nuova cellula provenendo da un ge- nitore e meta dall’altro. Il corredo cromosomico normale é chiamato numero diploide; il corredo cromosomico deci gameti, numero aploide. Naturalmente il processo nel suo insieme é pil complesso di come io ’ho presentato qui, e le sue diverse fasi e varianti hanno dato luogo a un complicato vocabolario che deve essere familiare a ogni biologo, ma di cui chi non é biologo non ha bisogno. Uno dei punti pit interessanti del problema é che in tutto il regno animale e vege- tale si possono distinguere due tipi di cellule germinali. Entrambi i tipi hanno il numero aploide di cromosomi; l’uno, perd, é piccolo e 80 CAPITOLO QUINTO attivo, e praticamente ridotto al materiale nucleare, mentre [’altro é grosso, relativamente inattivo e con una grande riserva di materiale citoplasmatico oltre alla parte essenziale rappresentata dalla cro- matina. I] primo é l’elemento maschile, lo spermatozoo o microga- mete; [altro é quello femminile, 'uovo o macrogamete. Gamete (dal greco gdmos=nozze, gameté = moglie, gamétes = marito) é il termine tecnico per indicare la cellula germinale e percid, per evi- tare di tirare nel discorso le connotazioni tipiche di “maschio” e “femmina” a proposito di organismi come i protozoi o i muschi, possiamo parlare di microgameti e macrogameti. A fusione avve- nuta parleremo di zigote (dal greco: uniti insieme), se € opportuno non riferirsi al risultato come a un “uovo fecondato”. La produzione di microgameti ¢ di macrogameti c I’insieme delle circostanze e degli “artifici” che permettono l’incontro dei due sono materia di innumerevoli variazioni fra i diversi gruppi dei regni ve- getale e animale. L’argomento é cosi importante dal punto di vista della storia naturale, dell’ecologia, dei rapporti ambientali degli or- ganismi, che sara opportuno fermarsi a considerare qualche esempio. Il comportamento sessuale si presenta con una grande varieta di forme anche fra gli organismi unicellulari, protozoi e alghe. Ovvia- mente qui l’intero animale diviene un gamete. Nei parameci, pro- tozoi che si allevano facilmente in laboratorio ¢ che quindi sono stati studiati a fondo, si riscontra un fenomeno chiamato coniuga- zione. Questi animali normalmente si riproducono per scissione, ma in certi casi (di solito quando le condizioni nel mezzo di coltura divengono sfavorevoli) sono stati osservati alcuni di questi individui appaiati, con i corpi parzialmente fusi per un certo tempo, scam- biarsi materiale nucleare; dopodiché i due animali si separano e cia- scuno continua a riprodursi col metodo normale della scissionc. I parameci che stanno per coniugarsi sembrano proprio uguali ai nor- mali parameci, ma ogni dato ceppo ha duc tipi coniuganti che si uniscono luno con altro, ma non tra membri dello stesso tipo. In alcune specie tutto cid pud esscre molto complicato: in un caso sono LA RIPRODUZIONE Sr stati trovati otto tipi di coniuganti, il che é un po’ come avere otto sessi. In molti protozoi i macrogameti e i microgameti sono chiara- mente differenziati, e il processo sessuale comporta la completa fu- sione dei due gameti. Lo scambio di materiale nucleare descritto per il paramecio é infatti un fenomeno raro, caratteristico di questo par- ticolare gruppo di organismi. II plasmodio, protozoo parassita che provoca la malaria nell’uomo, potra servire come esempio di com- portamento pit chiaramente complesso. Il plasmodio é un parassita altamente specializzato che vive al- Pinterno dei globuli rossi del sangue di particolari vertebrati, e le tre o quattro specie che parassitizzano l'uomo possono provocare gravissime malattie a causa della distruzione di queste cellule. I pa- rassiti cellulari di solito si dividono per scissione, ma a un certo punto si possono trovare dei parassiti di aspetto diverso in alcune delle cellule sanguigne, forme sessuate chiamate microgametociti e macrogametociti. Queste non si riproducono pit per scissione, e alla fine muoiono a meno che la goccia di sangue in cui si trovano non sia per caso succhiata da una zanzara. Nello stomaco della zanzara, queste cellule sottostanno a una ra- pida ¢ drastica modificazione, i microgametociti si dividono in quat- tro ¢ poi in otto attivissimi microgameti, che fuoriescono dal globulo rosso € nuotano vivacemente attorno, alla ricerca dei macrogameti che si sono a loro volta liberati dal loro globulo rosso. Un singolo microgamete si fonde con un macrogamete ¢ lo fertilizza, dando luogo a uno zigote. La trib degli studiosi della malaria ha, neanche a dirlo, dato dei nomi particolari a tutta questa roba, e chiamano per esempio oocinete il loro zigote. Questo, qualunquc sia il suo nome, penetra nelle pareti dello stomaco della zanzara, e forma una cisti, dividendosi ripetutamente fino a formare un gran numero di individui chiamati sporozoiti. Questi alla fine rompono la cisti e si spargono nel corpo della zanzara, finché si vanno a fermare nelle ghiandole salivari. Di qui essi passeranno nel sangue del primo ani- male che la zanzara punge, e se si tratta di un animale della specie 82 CAPITOLO QUINTO adatta (I'uomo, nel caso del plasmodio umano), penetrano nei glo- buli rossi e riavviano il processo della riproduzione asessuata per scissione. La riproduzione sessuata ha dunque a che fare con ogni sorta di problemi. Si esplica in un ambiente del tutto diverso rispetto alla riproduzione asessuata, la quale serve a conservare la popolazione della specie — I’una nello stomaco della zanzara, J’altra nel sangue del vertebrato — e si ricollega al problema della dispersione dell’or- ganismo. La presenza di un processo sessuale nella zanzara assicura che la specie passera in un nuovo ospite, per cui la riproduzione & anche intimamente legata ai problemi generali delle relazioni am- bientali dell’animale. Negli organismi pluricellulari i gameti vengono di norma pro- dotti da un tessuto speciale di cellule germinali che si pud chiara- mente distinguere molto presto nello sviluppo dell’individuo, e que- ste cellule germinali di solito sono associate a un autonomo sistema di organi riproduttivi. In molti animali marini i gameti, sia uova che spermatozoi, vengono semplicemente emessi nell’acqua in numero enorme, e la fecondazione dipende dall’incontro fra i gameti nel- Tacqua libera. Tali animali marini sono inoltre spesso sedentari, vi- vendo in colonie o aggregazioni, e la liberazione di gameti da parte dj vari individui pud essere sincronizzata in dipendenza da stimoli ambientali. In taluni casi ciascun individuo pud emettere gameti di un solo tipo, in altri ambedue i tipi di gameti possono essere pro- dotti da uno stesso individuo, che in tal caso sara chiamato erma- frodita. Nel caso degli animali marini mobili, come i pesci, lo sperma pud essere emesso direttamente sulle uova o nelle immediate vici- nanze della femmina. Modificazioni del processo sessuale L’adattamento all’ambiente terrestre ha richiesto l'uso di un mezzo pit diretto per assicurare i] contatto fra gameti di una data specie, ¢ la soluzione pit comune del problema fra gli animali é stata LA RIPRODUZIONE 83 la fertilizzazione interna dell’uovo nel genitore femmina tramite laccoppiamento con il maschio. Molti elaborati schemi di compor- tamento intervengono in questo processo, per assicurare che indivi- dui di una data specie si trovino in prossimita gli uni degli altri al momento giusto. Fra le piante Ja regola ¢ rappresentata da un’alternanza di gene- razioni sessuate e asessuate. Nelle alghe ¢ nei funghi si incontra una varieta di complessi sistemi di riproduzione. Nei muschi, nelle felci c nelle fanerogame vi é una chiara distinzione tra generazioni ga- metofite (produttrici di gameti) e generazioni sporofite (produttrici di spore). Quella, nei muschi, che ci si presenta come una pianta, é la forma gametofita; produce uova e spermi ¢ le uova vengono fecondate dagli spermi che le raggiungono nuotando in un velo d’ac- qua fornito dalla pioggia o dalla rugiada. L’uovo fertilizzato genera una pianta sporofita, che vive come una specie di parassita sulla pianta gametofita, e che giunta a maturita produce un enorme nu- mero di spore, necessario ad assicurare la dispersione della specie. Nelle felci, viceversa, ¢ lo sporofito che ci é noto come pianta, e tutti abbiamo notato i piccoli pacchetti di spore asessuate sulla faccia inferiore delle foglie. Queste spore, se cadono a terra in un ambiente favorevole, producono un piccolo gametofito; anche qui, come nei muschi, la fertilizzazione dipende ora dal fatto che i mi- crogameti riescano a raggiungere i macrogameti nuotando in un velo d’acqua; dopo la fecondazione lo zigote si sviluppa, producendo daccapo uno sporofito, cioé una normale pianta di felce; il game- tofito, adempiuta la sua funzione, appassisce e scompare. Cosi, sia nei muschi sia nelle felci, la moltiplicazione e la dispersione della specie dipende da spore asessuate che in ogni caso producono piante sessuate: pil vistose di quelle asessuate nel caso dei muschi, meno vistose nel caso delle felci. Nelle fanerogame la generazione gametofitica si é cosi ridotta che non sarebbe riconoscibile se non fosse per I’analogia con la pid evidente alternanza di generazioni dei muschi e delle felci. Un gra- nello di polline di una pianta da seme non é l’esatto equivalente di 84 CAPITOLO QUINTO uno spermatozoo di un animale; é piuttosto una specie di gametofito ridotto, formato essenzialmente di una cellula vegetativa e due cel- lule germinali. Analogamente, entro l’ovario del fiore si forma una sorta di gametofito abortivo, una sola delle cui cellule é 'uovo che alla fine verra fecondato; la fecondazione ha luogo quando un grano di polline adatto atterra sullo stigma del pistillo: di qui lo spermio pud raggiungere l’uovo attraverso un tubulo pollinico che spunta fuori dal grano di polline. L’uovo fertilizzato si sviluppa in una pianta embrionale impacchettata, con un deposito di materiali nutri- tizi, a formare il seme. Cosi il processo sessuale, fondamentalmente lo stesso nelle sem- plici piante acquatiche e negli animali (pur con ampie differenze nel meccanismo da gruppo a gruppo, sia tra le piante che tra gli ani- mali) ha seguito linee di sviluppo fondamentalmente diverse negli organismi pit complessi dei due regni, per permettere la formazione di meccanismi adeguati alle esigenze della vita terrestre. La base particellare delPeredita La universalita del processo sessuale é strettamente legata a un altro caratteristico fenomeno biologico, la base particellare dell’ere- dita. Tutti noi sappiamo che i figli somigliano ai genitori, ¢ anche che i figli differiscono dai genitori. Per lungo tempo i biologi non riuscirono a dare una spiegazione di questo fenomeno. Darwin fu tormentato da questo problema poiché si rendeva conto che la com- prensione dei fenomeni dell’eredit era di basilare importanza per la teoria dell’evoluzione. Né Darwin né alcuno dei suoi illustri con- temporanei riusci a elaborare una teoria accettabile dell’eredita, scb- bene, stranamente, le basi per una tale teoria fossero gia presenti in un saggio pubblicato nel 1865 da un monaco austriaco, Gregorio Mendel. La pubblicazione di Mendel non ricevette alcuna attenzione da parte degli ambienti scientifici fino al 1900, quando la sua im- portanza fu compresa del tutto indipendentemente da tre persone LA RIPRODUZIONE 8s diverse: l’olandese Hugo de Vries, il tedesco Carl Correns, e l’au- striaco Erich von Tschermak. Mendel deve essere stato una personalita veramente interessante. Nato da contadini, aveva probabilmente scelto la vita monastica come la sua sola possibilita di studiare. Si dedicd alla matematica ¢ alla storia naturale (una combinazione tanto rara quanto positiva) ¢ divenne maestro e alla fine prelato del monastero agostiniano di Brinn. Le ore libere egli le dedicava a sperimentare sull’eredita di diversi caratteri nei piselli che coltivava nel suo giardino; i risultati di questi studi furono da lui pubblicati in due lavori preparati con grande cura, che uscirono sulla rivista della locale societa di scienze naturali per essere completamente ignorati dal gran mondo della scienza ufficiale fino a molto tempo dopo la sua morte. Sostanzialmente Mendel scoperse che le caratteristiche di un dato organismo vengono ereditate come unita discrete. Cid che gli permise di accorgersi di cid fu il fatto che nei suoi primi csperimenti egli in- crocié varieta di piselli che differivano per un solo carattere: nano con gigante, liscio con rugoso, giallo con verde, e cosi via. Quando passo a incrociare varieta che differivano per due o tre caratteri, egli fu in grado di stabilire che la trasmissione dei singoli caratteri era del tutto indipendente. Questa scoperta sarebbe stata difficile, anche con l’abilita di Mendel nell’uso dell’analisi matematica, se egli avesse fatto i suoi primi espcrimenti con incroci fra ceppi che differivano in pid caratteri. I] lavoro di Mendel é un bell’esempio dell’impor- tanza, nella sperimentazione, di affrontare dapprima il caso pil sem- plice per poi passare ai pil complessi. La moderna scienza della genetica é nata dalla sintesi della sco- perta mendeliana del carattere discreto dell’eredita con le scoperte citologiche dei fenomeni della mitosi ¢ della maturazione delle cel- lule germinali, di cui si é detto all’inizio di questo capitolo. La gene- tica si é sviluppata in un vasto campo di conoscenza, tradotto in concreto strumento pratico dagli agronomi, e ampiamente addotto dagli cugenisti a sostegno delle loro preoccupazioni per il futuro dell’umanita. La parola “gene”, coniata dal grande biologo danese 86, CAPITOLO QUINTO Wilhelm Johannsen, é entrata a far parte del linguaggio comune; e tutti noi ora diamo la colpa dei nostri difetti ai nostri geni, o riven- dichiamo il merito dell’intelligenza dei nostri figli in nome dei geni che abbiamo loro trasmesso. La genetica moderna rappresenta sicuramente una conquista no- tevole della mente umana, composta di audaci teorie controllate da una intelligente sperimentazione, e i genetisti hanno scoperto una enorme quantita di cose sulle basi fisiche dell’eredita. E stato trovato che i geni rappresentano punti specifici lungo i cromosomi del nu- cleo cellulare, che controllano l’organizzazione della crescita dell’in- tero organismo sotto molti aspetti. I cromosomi del moscerino della frutta, la drosofila, sono stati descritti tanto dettagliatamente, che si possono indicare centinaia di punti dai quali dipendono precisi ca- ratteri, sia in individui normali che mutati. Si é tracciata la storia di questi cromosomi attraverso le complesse fasi della mitosi e della maturazione, e si é trovato che certe mutazioni hanno luogo in connessione con certi “accidenti” che si possono verificare durante questi processi. Si conosce bene la ridistribuzione dei geni in cia- scuna generazione attraverso il meccanismo sessuale, e si é fatto qualche passo nello studio della distribuzione dei geni in popola- zioni naturali. Per Jungo tempo la genetica é stata guardata con sospetto dai biologi di altre specialita, a causa del fatto che i genetisti erano im- pegnati quasi esclusivamente in problemi di laboratorio difficilmente trasferibili a popolazioni naturali (cioé non selezionate). Oggi, pe- raltro, i genetisti stanno lavorando a uno deci punti della storia natu- rale in pit vivace sviluppo, lo studio della variabilita nelle popola- zioni naturali. Riproduzione, eredita ed evoluzione Le odierne conoscenze in materia di genetica conducono alla conclusione che le potenzialita ereditarie dell’organismo sono con- trollate da questi geni, attraverso l’organizzazione determinante del LA RIPRODUZIONE, 87 materiale cromosomico del plasma germinale. Lo sviluppo di queste potenzialita pud essere influenzato dall’ambiente, ma sembra che viceversa ambiente non sia in grado di influenzare direttamente Porganizzazione cromosomica. L’ambiente pud agire soltanto per- mettendo la sopravvivenza delle combinazioni favorevoli di geni ed climinando le combinazioni sfavorevoli: cioé attraverso il processo che porta il nome di selezione naturale. L’ambiente non provoca nuove potenzialita genetiche: i caratteri acquisiti non sono trasmis- sibili. Nuove potenzialita ereditarie possono sorgere, per quanto risulta, solo da trasformazioni chimiche all’interno dei cromosomi: cioé per via di mutazioni. La frequenza di tali mutazioni é stata cal- colata per diverse specie e situazioni, e si ¢ trovato che é molto bassa, ma non tanto bassa da non accordarsi ai valori statistici richiesti per spiegare l’evoluzione entro il tempo geologico accertato. Queste fre- quenze possono essere influenzate da certi fattori esterni, special- mente radiazioni, ma le variazioni ereditarie che ne risultano sono di tipo causale, perlopii forme mostruose. Tuttavia, mentre conosciamo molto sul modo in cui si realizza la trasmissione dei caratteri, e sul modo in cui ne possono apparire di nuovi, ci é tuttora oscuro in che rapporto stiano questi fatti col processo dell’evoluzione naturale degli organismi. Alcuni biologi di valore ritengono che vi siano essenzialmente due tipi di evoluzione: una evoluzione di caratteri specifici, di particolari sia strutturali che funzionali, del tipo che i genetisti sono riusciti a studiare in labo- ratorio; e qualche altro tipo di processo che regola lo sviluppo di gruppi, generi, famiglic, ordini, phyla di organismi. La difficolta di tracciare una separazione netta fra le varie cate- gorie di animali mi rende difficile credere che esista una differenza qualitativa fra microevoluzione e macroevoluzione. Se una data po- polazione rappresenti una sottospecie o una specie ¢ spesso materia di decisione del tutto arbitraria; anche il raggruppare le specie in generi é talvolta una faccenda chiara basata su criteri di evidenza og- gettiva, talaltra arbitraria. In che modo, di fronte a passaggi cosi graduali e indefiniti, possiamo stabilire l’asserzione che le sottospecie 88 CAPITOLO QUINTO sono prodotte da un tipo di evoluzione e¢ le specie da un altro, o le sottospecie ¢ le specie da un tipo e i generi da un altro? La scala geologica del tempo pud essere tirata in ballo come scusa. & vero che l’effettivo processo evolutivo, dal primo proto- plasma in grado di riprodursi alla complessita di una orchidea o di un primate, ha richiesto un’immensita di tempo. Tuttavia é sterile dottrina credere che per questo esso sia al di 14 della portata dell’in- dagine di laboratorio. Anche la formazione delle catene montagnose, o Perosione delle valli dei.fiumi, richiede una immensita di tempo, eppure siamo in grado di ricostruire ’intero processo dai frammenti che riusciamo a osservare e misurare. Certamente riusciremo presto a far questo anche per l’evoluzione. I due aspetti della riproduzione — il processo sessuale e la base particellare dell’eredita — sono importanti se si vuole mettere assieme un quadro dell’evoluzione, cosi come sono importanti per com- prendere le interrelazioni tra individui e popolazioni di organismi, che @ lo scopo immediato della storia naturale. Lo sviluppo dell’in- dividuo, oggetto del prossimo capitolo, é essenzialmente un’esten- sione del fenomeno della riproduzione, dato che l’intero processo comprende la proiezione della forma adulta definitiva di una gene- razione sulla forma adulta definitiva della generazione seguente. Capitolo 6 Lo sviluppo dell’individuo Ogni bambino é affascinato dal problema del bruco e della far- falla. Ma Ja maggior parte di noi, crescendo, dimentica queste cose, assorbita da problemi pit importanti. Negli scienziati, invece, questa caratteristica infantile permane: per lo scienziato adulto esiste ancora il problema del bruco e della farfalla. Infatti egli non é ancora uscito da quel periodo esasperante della fanciullezza caratterizzato dagli in- finiti “perché?”. Forse il genio creativo di certi individui é semplicemente il per- sistere di tratti tipici del fanciullo nell’adulto: il persistere della cu- riosita produce scienziati e filosofi, quello della meraviglia produce pocti ¢ pittori, quello della gelosia e dello spirito di predominio pro- duce condottieri, statisti, generali: il persistere, in genere, dell’im- maginazione, della tendenza a fantasticare in tutte queste sue cate- gorie. Ma forse é saggio non portare troppo oltre questa analogia con 'infanzia. Per ritornare al bruco ¢ alla farfalla, questi rappresentano un caso di metamorfosi, di un tipo estremo di soluzione dei problemi della crescita e dello sviluppo. La crescita degli organismi non é mai sem- plicemente un aumento di dimensione. La crescita dei cristalli in una soluzione satura, del delta di un fiume, di un mucchio di immondizie, si possono considerare semplici accrescimenti quantitativi di mate- riali, Ma la crescita di un organismo implica cambiamenti qualitativi, mutamenti nelle proporzioni e nelle funzioni; “crescita” designa qui 90 CAPITOLO SESTO qualcosa di diverso. A proposito di organismi ¢ forse pid corretto parlare di sviluppo. Crescita e sviluppo possono presentarsi con caratteri del tutto diversi, s’intende, a seconda del livello concettuale a cui si esaminano i fenomeni. E possibile, per esempio, studiare questi fenomeni al livello molecolare, secondo il punto di vista del biochimico; 0 a quello cel- lulare, secondo quello che suppongo sia il punto di vista del fisiologo generale; o al livello individuale, proprio di varie branche della bio- logia. A loro volta gli individui sono riuniti in popolazioni e comu- nita, che parimenti crescono. Il concetto di individuo Crescita, sviluppo e metamorfosi possono acquistare prospettiva se prima ci si ferma a esaminare pid in dettaglio la questione del- Vindividuo. L’universo della natura organica é costituito di singoli organismi. In alcune forme viventi in colonie pud essere difficile definire con precisione i limiti dell’individuo: nelle roteanti colonie sferiche del protozoo Volvox puo costituire problema se sia la colonia o la cellula a rappresentare |’individuo, ma tali esempi sono rari. Di re- gola l’individuo é una concreta e oggettiva unita, come la cellula e la molecola. In alcuni casi, per esempio, nei batteri e nei protozoi, cellula e individuo coincidono. In certi virus, come quello del mo- saico de] tabacco cristallizzato da Stanley, individuo, cellula e mole- cola sembrano coincidere. Al livello biologico che a noi interessa lo scopo centrale é la sco- perta, descrizione e spiegazione dei vari rapporti che intercorrono tra i singoli organismi. La riproduzione rappresenta un gruppo di questi rapporti, in particolare i rapporti tra i sessi e quelli tra geni- tori e prole, che sono i rapporti che uniscono gli individui in popo- lazioni, o specie. Da un altro punto di vista, individui di gruppi differenti possono essere legati gli uni agli altri, in comunita biotiche, da catene alimentari, problemi di rifugio, vicinanza e problemi am- LO SVILUPPO DELL'INDIVIDUO or bientali comuni. Popolazioni e comunita sono concetti pid soggettivi: confusi, non ben circoscritti, difficili da definire. Negli organismi che si riproducono sessualmente i] nuovo indivi- viduo prende origine dallo zigote fecondato e termina con la morte. In quelli a riproduzione agamica la vita dell’individuo non @ cos) chiaramente precisabile; si potrebbe sostenere che il protoplasma di un tale organismo é immortale: ma d’altra parte la sostanza ger- minale é continua e immortale in tutti i tipi di organismi. Nel caso della riproduzione agamica la cosa pit sensata é probabilmente di considerare che l’individuo abbia inizio con la scissione in cui si pro- duce come unita distinta, e termini con la morte o con la scissione, con cui quell’unita viene meno. Secondo la nostra interpretazione — cioé che l’individuo é l’or- ganismo compreso tra due scissioni o due altri processi riproduttivi — Ja vita dell’individuo risulta in certi casi molto breve. In condizioni favorevoli certi batteri possono dividersi ogni 20-30 minuti, cosicché questo periodo rappresenterebbe la vita media dell’individuo. Un batterio pud, come é noto, entrare in quel particolare stato detto “spora”, condizione in cui la sua vita pud continuare indefinita- mente; ma si tratta di uno stato in cui i processi vitali sono sospesi, cosicché in realta non stiamo pit parlando di tempo in un senso biologicamente significante. Il ciclo vitale dei microrganismi talora segue schemi complica- tissimi, ma queste complicazioni riguardano, secondo la nostra defi- nizionc, una serie di individui piuttosto che i cambiamenti di forma di un singolo individuo. Questo sarebbe il caso, per esempio, del pa- rassita della malaria, il plasmodio, di cui si é parlato nel capitolo precedente. Nella circolazione sanguigna dell’uomo la vita di ciascun individuo parassita si svolgerebbe tra una scissione ¢ |'altra, e il pro- pagarsi della malattia da un uomo allaltro attraverso il ciclo della zanzara coinvolgerebbe una serie di individui: la cellula agamica che produce i gametociti; i due gameti che fondendosi originano uno zigote (qui si potrebbe porre il problema se lo zigote rappresenti una continuazione della individualita dei due gameti che hanno pre- 92 CAPITOLO SESTO ceduto); 0 lo zigote che si suddivide in numerosi sporozoiti; gli spo- rozoiti che a loro volta danno origine a nuovi cicli di individui aga- mici, una volta iniettati nel nuovo ospite (vertebrato). In una serie di questo tipo gli individui differirebbero non solo per forma o fun- zione, ma anche per durata della vita. La vita di un individuo agamico (con differenze da specie a specie di Plasmodium) pud essere di circa 24 ore; quella di uno sporozoite, che staziona nelle ghiandole salivari della zanzara, di alcune settimane. Cio richiama alla mente il differente significato che assume il tempo astronomico per differenti tipi di organismi. La curva di ac- crescimento di una popolazione di batteri, in cui la scissione avvenga in media a intervalli di trenta minuti, pud essere molto simile alla curva di accrescimento di una popolazione umana, a parte la diversa scala temporale adatta a un organismo che presenta una generazione ogni trent’anni. Per quel batterio i trenta minuti equivalgono ai tren- t’anni dell’uomo. Ambedue le popolazioni sono fatte di individui, e Vinsieme di questi individui apparentemente obbedisce alle medesime leggi. Ma la scala del tempo cambia totalmente: un anno batterico & un minuto umano. Questo concetto é del resto interamente presente nell’osservazione comune che un mese della vita di un cane corri- sponde a un anno della vita di un uomo. Lo sviluppo degli individui pluricellulari La grande differenza tra crescita degli organismi pluricellulari ¢ crescita di quelli unicellulari appare esaminando il processo al livello cellulare. In un organismo unicellulare che si riproduce per scissione Ja crescita appare simile all’accrescimento inorganico, cioé come una faccenda di semplice aumento di dimensioni. Ciascun individuo, ap- pena generato se ne va per i fatti suoi, funzionante e¢ completo di tutto, preoccupato solo di divenire grande abbastanza da dividersi a sua volta. Negli organismi pluriccllulari, invece, il complesso individuo adulto deve essere costruito partendo dall’unica cellula dello zigote LO SVILUPPO DELL’ INDIVIDUO 93 attraverso una serie di divisioni cellulari; poi le diverse cellule vanno a organizzarsi in tessuti con differenti funzioni, e i tessuti a coordinarsi in sistemi organici. Durante la fase iniziale di questo processo di sviluppo l’individuo @ praticamente sempre protetto, € nen conduce un’esistenza indipendente finché non siano stati co- struiti e messi in funzionamento alcuni sistemi organici essenziali. Durante questa fase protetta l'individuo si chiama embrione. Negli organismi pit semplici (come alcuni celenterati) l'individuo puod essere indipendente lungo I’intero corso della sua vita. I gameti vengono liberati nell’acqua e lo zigote deve contare su sé stesso fin dal momento della fecondazione. Ma anche nei celenterati pud esi- stere un periodo di protezione: é il caso delle meduse, il cui zigote trascorre il primissimo periodo di vita in speciali “camere di alle- vamento”. Quando ambedue i tipi di gameti sono liberati nell’acqua, general- mente il gamete femminile, o macrogamete, anche negli organismi pit semplici porta con sé una certa quantita di alimento immagazzi- nato, di albume, che pud venire usato come fonte di energia durante le prime divisioni cellulari, fino a che il nuovo individuo non sia cresciuto abbastanza da sviluppare metodi autonomi per procacciarsi il cibo, Gli adattamenti alimentari di questo organismo giovanissimo possono, a causa della sua semplice organizzazione, essere del tutto differenti da quelli del complesso organismo adulto. Di conseguenza ci troviamo di fronte a uova, embrioni, stadi larvali e a tutte le complesse questioni di crescita e di sviluppo. L’embrione Gli stadi iniziali di tali processi di sviluppo vengono chiamati em- brioni. Gli embrioni sono oggetto di studio di una scienza speciale, Pembriologia, ben nota ad ogni studente di medicina e di biologia. Gli embriologi sono innanzitutto interessati a spiegare la genesi dei differenti sistemi organici, ¢ questo studio @ strettamente connesso con lanatomia, listologia e la fisiologia. Dal punto di vista della 94 CAPITOLO SESTO storia naturale siamo maggiormente interessati ai sistemi messi in atto dal genitore per proteggere l’embrione che si sta sviluppando, e allo sviluppo post-embrionale, quando cioé l’individuo ha una parte at- tiva nella comunita dei viventi. Ho provato a mettere assieme una definizione generale del ter- mine “embrione”, ma senza molto successo. Per i mammiferi il pe- riodo embrionale termina con la nascita: ma il livello di sviluppo dell'individuo alla nascita varia da una categoria all’altra, nei mam- miferi. Gli estremi sono probabilmente rappresentati dagli inetti neo- nati vermiformi degli opossum e dai neonati praticamente autosuffi- cienti del cervo e del cavallo. Per gli animali che depongono uova provviste di materiali nutritizi (albume) il periodo embrionale ter- mina alla schiusa dell’uovo. Nelle fanerogame la pianta embrionale é racchiusa nel seme, e lo sviluppo post-embrionale inizia dalla ger- minazione del seme, anche se di fatto la nuova pianta continua ancora per un po’ a usare gli alimenti immagazzinati nel seme. In altri principali gruppi vegetali il concetto di embrione sembra addirittura non avere alcun significato. Non si pud dire che il periodo embrionale finisca quando l’indi- viduo smette di dipendere dai genitori o dal materiale da loro rice- vuto: si pensi al lungo periodo post-natale durante il quale i giovani mammiferi sono ancora completamente inetti, o agli uccelli appena nati che sanno a malapena aprire il becco e aspettare che la madre lo riempia di cibo. Ciononostante i mammiferi neonati 0 gli uccellini appena usciti dal guscio non sono considerati embrioni. Allaltro estremo, siamo soliti riferirci ai primissimi stadi indipen- denti dei celenterati e delle stelle marine come a “embrioni” (seb- bene “larve” sarebbe un termine migliore) non appena cessino di dipendere dal materiale nutritizio dell’uovo. Forse il momento pit importante nello sviluppo non é il parto o Ja schiusa, ma il momento in cui il nuovo individuo cessa di dipen- dere dai genitori. Nella maggior parte degli animali cid coincide con lo sgusciare dall’uovo e quindi con il termine del periodo embrio- nale. II genitore ha ben rifornito di albume I’uovo e ha messo in cir- LO SVILUPPO DELL'INDIVIDUO 95 colazione un immenso numero di queste uova, cosi che almeno una piccola parte di esse possa finire in condizioni favorevoli e cosi soprav- vivere fino alla schiusa (oppure ne ha prodotte meno, ma le ha poste tutte in luoghi appropriati, dove il rischio di incorrere in nemici & minimo, e vi sono buone probabilita di trovare cibo alla nascita). In tutt’e due i casi, il nuovo individuo non dipende pit dal genitore, quando ha finito la riserva di albume ed é nato. La “larva” di stella marina, il bruco, il giovane serpente, devono tutti provvedere a sé stessi dal momento in cui l’ultimo rimasuglio di albume é terminato. Invece il giovane uccellino deve essere ancora nutrito dai suoi genitori, e il giovane mammifero dipende dal latte materno per un lungo periodo dopo la nascita. II dipendere dai geni- tori dopo la nascita non é caratteristica esclusiva dei vertebrati. Si pensi alla larva della vespa che nasce in una celletta che il genitore ha meticolosamente rifornito di ragni anestetizzati, o alla larva del- Yape che nasce in una cella ripiena della giusta quantita di polline e miele. In questi casi la dipendenza dal genitore é totale fino al mo- mento in cui il nuovo individuo diviene adulto. Ladulto Dire che cosa é l’adulto sembra facile: il mio primo impulso é di definirlo come lo stadio in cui iniziano a funzionare i meccanismi riproduttivi. Questa definizione peraltro non funziona molto bene, dato che un certo numero di organismi si riproduce prima di avere raggiunto lo stadio cosiddetto “adulto”. D'altra parte non possiamo neanche dire che si é adulti quando non si cresce pit, perché vi sono molti organismi in cui la crescita dura fino alla morte. Sarebbe forse meglio dire che l’adulto é Ja forma finale nella serie di cambiamenti che possono aver luogo durante lo sviluppo: con l’osservazione ad- dizionale che questa forma adulta viene raggiunta di solito in coin- cidenza con V’nizio delle funzioni riproduttive, e che in moltissimi tipi di organismi la forma adulta e l’inizio della riproduzione sono in 96 CAPITOLO SESTO stretta relazione col raggiungimento delle dimensioni massime da parte dell’individuo. I momenti fondamentali dello sviluppo Forse non siamo arrivati a delle definizioni molto eleganti, ri- guardo a questo processo, ma abbiamo distinto una serie di stadi cruciali nella storia dello sviluppo individuale: la nascita o la schiusa (o il germogliare); la rottura della dipendenza diretta dal genitore; Vinizio della funzione riproduttiva; la conquista della forma finale, definitiva; il raggiungimento delle dimensioni massime, caratterizzato dalla cessazione della crescita. Resta da vedere in quali rapporti sono tra loro questi vari stadi in differenti tipi di organismi. Durante il periodo embrionale I’alimento per l’organismo in via di sviluppo é fornito o sotto forma di albume oppure (nei mammi- feri) attraverso la circolazione sanguigna della madre. Di conseguenza il problema di procacciarsi i] cibo non esiste, e i problemi della dige- stione e dell’assorbimento degli alimenti si presentano in una forma tutta speciale. Qualche meccanismo nuovo per procurarsi il cibo e per I’assorbimento degli alimenti deve di conseguenza trovarsi pronto per funzionare al momento della schiusa o della nascita. Inoltre l’organismo non ha alcun problema di autodifesa durante il periodo embrionale. Mentre si trova nel corpo materno, il pro- blema della protezione ricade completamente sulla madre. Se l’em- brione é racchiuso in un uovo deposto dalla madre, pud essere protetto da un guscio e pud anche essere attivamente difeso dalla continua presenza di un genitore, oppure le uova deposte sono estremamente numerose, e vengono abbandonate a sé stesse nella certezza statistica che una sufficiente percentuale sopravvivera ai possibili pericoli dell’ambiente. In ogni caso, l’organismo embrionale di per sé non ha difesa; anche sotto questo profilo, dunque, qualche meccanismo deve essere pronto a entrare in funzione alla schiusa 0 alla nascita. Nelle piante il legame col genitore é rotto in una fase precoce LO SVILUPPO DELL’INDIVIDUO 97 dello sviluppo dell individuo, con la formazione delle spore o con la dispersione dei semi. La difesa é quasi sempre una questione di nu- mero, che deve essere talmente grande da garantire che una suffi- ciente quantita di spore o di semi sfugga ai pericoli. Dato che la nutrizione nelle piante dipende dall’assorbimento di materiali di- sciolti, non si presentano differenze sostanziali durante lo sviluppo. Lo speciale fenomeno vegetale dell’alternanza di generazioni sessuali ¢ agamiche é gia stato descritto in precedenza. In moltissimi tipi animali la cessazione della dipendenza diretta dal genitore coincide con la nascita o la schiusa, cosicché i mecca- nismi per procurarsi e digerire gli alimenti e per Ja difesa devono essere completamente sviluppati e indipendenti dal controllo dei genitori. In due phyla, gli artropodi e i vertebrati, si sono sviluppati numerosi sistemi di dipendenza dai genitori che possono protrarsi per lungo tempo durante il periodo post-embrionale. L’organismo appena nato pud cssere completamente diverso dal- Vadulto: pud avere una forma totalmente differente, ed essere adat- tato a un ambiente totalmente differente. Lo sviluppo fino alla forma adulta pud avvenire attraverso una serie graduale di cambiamenti, del tipo cui noi pensiamo riferendoci all’accrescimento organico; oppure i cambiamenti possono essere bruschi, come quelli del bruco ¢ della farfalla, e allora costituiscono una metamorfosi. La metamorfosi si definisce di solito come un cambiamento rile- vante della forma e del modo di vita, che avvienc in un tempo rela- tivamente breve e non direttamente associato a un aumento di dimensioni. Cambiamenti improvvisi di questo tipo si ritrovano durante lo sviluppo di alcuni phyla animali. Rappresentano soluzioni al problema di superare la distanza tra organismo post-embrionale, relativamente piccolo e semplice, ¢ la complessita dell’adulto adattato. Qualcosa di simile a una metamorfosi avviene nei protozoi e nei celenterati, ma secondo la nostra descrizione dei capitoli precedenti ¢ secondo la nostra definizione, si ha propriamente a che fare con un’alternanza di individui o una successione di individui: di conse- 98 CAPITOLO SESTO guenza tale fenomeno non rientra nel problema dello sviluppo in- dividuale. La metamorfosi degli insetti Gli esempi pit classici di metamorfosi si trovano negli insetti e negli anfibi; ¢ in ambedue i casi il cambiamento é associato con un cambiamento dell’ambiente a cui l’organismo é adattato. In tutti gli insetti la crescita ¢ suddivisa in periodi ben definiti dalla operazione di spogliarsi del rigido scheletro esterno, necessaria per poter aumen- tare di dimensioni. La pelle degli insetti é fatta di sostanza dura, chi- micamente abbastanza simile al materiale delle nostre unghie, e serve assicme come supporto (scheletro) e come protezione (pelle). Questo matcriale non é composto di cellule, bensi viene secreto da cellule, e, una volta che si sia formato, un aumento di dimensioni (crescita) é possibile solo nei limiti di estensibilita ai punti flessibili (articolazioni). L’organismo cresce finché ha stiracchiato la sua pelle al massimo, poi una nuova pelle pitt ampia viene secreta sotto la vecchia, che viene spaccata, tolta di dosso ¢ abbandonata. L’organismo pud cosi cre- scere fino ai limiti di stiramento della sua nuova pelle-scheletro, dopo di che l'intero processo deve essere ripetuto. Di conseguenza negli insetti i cambiamenti di forma sono neces- sariamente associati alle mute periodiche, allorché si offre l’oppor- tunita di mettere in opera una differente struttura. In molti insetti i successivi cambiamenti non sono rilevanti: una cavalletta, dopo ogni muta, sembra pid o meno quella di prima, a parte i cambia- menti di proporzioni ¢ lo svilupparsi di ali funzionali e di organi riproduttivi in occasione dell’ultima muta. Comunque, in molti or- dini di insctti l'evolversi del giovane organismo post-embrionale e dell’adulto hanno preso corsi sempre pit divergenti fino ad arrivare alle vistose differenze tra bruco e farfalla, o tra larva e mosca. Questa “metamorfosi totale” ha probabilmente le sue origini tra insetti che si erano adattati all’acqua dolce. L’ambiente delle acque dolci offre agli organismi ogni sorta di possibilita: é ricco di sostanze LO SVILUPPO DELL'INDIVIDUO 99 alimentari, € meno soggetto dell’aria a cambiamenti di temperatura; inoltre gli organismi che vivono nell’acqua non hanno il problema di come impedire ai propri liquidi organici di evaporare (fattori questi che saranno discussi pit dettagliatamente nei capitoli seguenti). Il suo grande svantaggio é la transitorieta: una pozzanghera pud pro- sciugarsi in pochi giorni, una palude in pochi anni, un lago in poche migliaia di anni. L’acqua dolce non offre, dunque, continuita; é per questo che essa non é stata teatro di evoluzione a lungo termine di tipi organici importanti. Gli animali adattati all’acqua dolce sono i rappresentanti di una gran varieta di tipi che hanno compiuto la parte essenziale della loro evoluzione nel mare o sulla terra e che in seguito sono riusciti ad adattarsi all’acqua dolce. Per quanto si pué stabilire, gli insetti hanno scoperto molto pre- sto, nella loro storia geologica, i vantaggi dell’acqua dolce. L’insetto adulto, essendo alato, ¢ avvantaggiato nella ricerca di pozzanghere, stagni e corsi d’acqua, e questi ambicnti offrono cibo e protezione al giovane, fuori della competizione con una fauna preesistente ben adattata. I primi adattamenti sviluppati dagli insetti per vivere nelle acque dolci probabilmente permettevano loro solo un soggiorno tempo- raneo nell'acqua. Oggigiorno molti insetti acquatici traggono T’ossi- geno dall’aria che tuffandosi si portano dietro sotto forma di bolla, oppure anche da una pellicola d’aria trattenuta intorno al corpo da peli: con questi metodi essi vivono bene sia dentro sia fuori del- Pacqua. Molti altri, comunque, hanno sviluppato un qualche tipo di branchie per ricavare l’ossigeno direttamente dall’acqua, o apparati complessi come i tubi respiratori che le larve di zanzare mandano in superficie per prendere I’ossigeno dall’aria: spccializzazioni poco funzionali quando T'insetto si trova fuori dall’acqua, che lo confinano percid all’ambiente delle acque dolci. Gli insetti adulti sono rimasti essenzialmente animali terrestri. Hanno risolto il problema del volo, che offre loro immensi vantaggi sia per la dispersione sia per la ricerca di luoghi appropriati ove far crescere i propri figli. E facile immaginare come in queste circo- 100 CAPITOLO SESTO stanze il giovane e l’adulto della stessa spccic di insetto siano andati, nel corso della loro storia evolutiva, sempre pit differenziandosi. L’habitat acquatico offriva grandi possibilita per l’insetto immaturo, quello terrestre grandi possibilita per l'adulto, ma gli adattamenti per poter vivere con successo nell’acqua o nell’aria sono molto diversi tra loro. Una volta iniziata questa divergenza nel modo di vivere, il giovane fu probabilmente soggetto a pressioni ambientali diverse da quelle cui era soggetto I’adulto; il risultato sarebbe appunto I’in- staurarsi di tendenze evolutive divergenti. Il giovane e l’adulto sarebbero divenuti sempre pid differenti, e la differenza sarebbe stata sempre pit difficile da superare in un sol colpo, con la semplice muta della pelle con cui l’animale passava dalla vita acquatica alla vita terrestre. E infatti tra gli insetti viventi si ritrova una intera successione di complessita crescenti, a partire da specie a cui é possibile ottenere il cambiamento con una singola muta della pelle, fino a quelle che richiedono una lunga pausa du- rante la quale l’intera struttura del corpo viene ricostruita. In questo periodo di pausa l’insetto viene detto “pupa”. Si tratta di un’invenzione esclusiva degli insetti, il cui inserirsi nella storia evolutiva ha reso possibile l’estrema divergenza tra giovane ¢ adulto rappresentata dal bruco e dalla farfalla, Attraverso questo meccani- smo il giovane animale, la larva, si viene specializzando per I’acqui- sizione del cibo, che gli serve in gran quantita per poter crescere; generalmente egli immagazzina anche riserve alimentari sotto forma di grasso, per usarle poi durante Ja vita adulta. L’adulto, di conse- guenza, ha Ia possibilita di specializzarsi sempre pit per Ja funzione riproduttiva e di dispersione. In molti insetti, l’adulto non si alimenta affatto, in altri casi solo in minima misura, vivendo essenzialmente de] grasso accumulato nello stadio larvale. La larva, in tali insetti, ¢ un organismo di tipo totalmente diffe- rente dall’adulto, una sorta di embrione ambulante che porta addosso i caratteri dell’adulto sotto forma di tracce di tessuto non svilup- pato, sparse per il corpo. Quando la larva ha raggiunto la dimensione massima, inizia lo stadio di pupa, in cui tutte le strutture speciali LO SVILUPPO DELL'INDIVIDUO 101 della larva vengono distrutte, e dai germogli di tessuto embrionale prende a svilupparsi l’insetto adulto. Al pari dell’uovo la pupa é in- capace di difesa; percid durante questo stadio si sviluppano vari meccanismi di protezione. La larva pué tessere un bozzolo per quando diverra pupa, pud approntare una pelle dura e corazzata, oppure seppellirsi sotto terra o trovare qualche altra sistemazione nascosta € protetta. La metamorfosi degli echinodermi e degli anfibi Gli echinodermi hanno una metamorfosi altrettanto vistosa di quella degli insetti. Le larve del riccio di mare o della stella marina sono organismi trasparenti, a simmetria bilaterale, che si muovono liberamente nell’acqua. I] cambiamento da questa forma larvale alla forma adulta a simmetria radiale, dalla pelle dura ¢ dai movimenti lenti, pud essere brusco: in taluni ricci di mare esso avviene in una mezz’ora. Quando é pronta per la metamorfosi, la larva si dirige verso il fondo e vi si ancora con i suoi “pedicelli ambulacrali” che si sono andati formando sotto la pelle larvale; le braccia ciliate della larva sembrano dissolversi; i liquidi organici vengono cspulsi, e il corpo viene compresso in un disco piatto che scivola via: é il gio- vane riccio di mare. Negli anfibi la fisiologia della metamorfosi — poniamo da girino a rana — é stata studiata molto dettagliatamente. II] processo é con- trollato da ormoni secreti dalla ghiandola tiroide: se la tiroide viene asportata, la metamorfosi non ha luogo; viceversa, somministrando alle larve estratto di tiroide di qualsiasi tipo di vertebrato la meta- morfosi si accelera. Le diverse specie di anfibi differiscono moltis- simo nella velocita di metamorfosi, ma in ogni caso il processo & Icnto a paragone della metamorfosi degli invertebrati. Le cure parentali e i limiti delPaccrescimento Il prolungarsi della dipendenza post-embrionale del giovane dai genitori, che si ritrova sporadicamente in molti gruppi animali, & 102 CAPITOLO SESTO caratteristico dell’ordine degli imenotteri (formiche, api, vespe) tra gli insetti, e degli uccelli e mammiferi tra i vertebrati. Nelle api, vespe e formiche i giovani dipendono completamente dai genitori fino a quando non divengono adulti, e questo ¢ approssimativamente vero anche per l’'uomo. In ambedue i casi la dipendenza sembra es- sere associata allo sviluppo delle abitudini sociali. La vita sociale, almeno per gli imenotteri, sembra essere il risultato dei problemi che Yallevamento della prole pone ai genitori, piuttosto che esserne la causa, e cid appare dai vari stadi intermedi presenti nelle vespe. L’adulto deve provvedere interamente all’alimentazione della larva, pur continuando a condurre un’esistenza solitaria, e la linea evolutiva parte da qui fino a giungere alle societa pi complesse delle forme pid evolute. Negli uccelli e nei mammiferi il periodo in cui il giovane dipende dai genitori varia molto da specie a specie, e la conquista di un’esi- stenza indipendente avviene sempre per gradi. In molti animali e piante la crescita non ha un limite definito: Yorganismo continua ad accrescersi fino a che vive, pur essendovi, per ogni tipo strutturale di organismo, un limite, seppur vagamente definito, delle possibili dimensioni. In tali organismi la velocita di accrescimento differisce grandemente da specie a specie, e cosi pure la lunghezza media della vita, per cui alcune forme sono sempre piccole, mentre altre divengono gigantesche. II sistema riproduttivo puo iniziare a funzionare molto prima che le dimensioni massime siano raggiunte: cid é chiaramente visibile per esempio, nelle piante, nei rettili, nei pesci. Negli organismi con dimensioni ben definite da adulti, il sistema riproduttivo pud iniziare a funzionare prima 0 dopo che siano raggiunte queste dimensioni. Nei mammiferi, per esempio, animale é in grado di riprodursi prima che la crescita sia terminata; in molti insetti, invece, il sistema riproduttivo non si mette in fun- zione che qualche tempo dopo il raggiungimento dello stato adulto definitivo. LO SVILUPPO DELL’INDIVIDUO 103 La teoria della ricapitolazione di Haeckel I primissimi stadi dello sviluppo sono simili nei pid diversi tipi di animali. Lo zigote, o uovo fecondato, si divide in due cellule, poi in quattro, poi in otto, e cosi via, finché si arriva a una pallina cava di alcune centinaia di cellule, detta blastula dagli embriologi. Con Pulteriore moltiplicazione cellulare, la pallina “si ammacca” da una parte, lo strato di cellule se ne rientra, fino a che si vengono a for- mare due strati di cellule, delimitanti una cavita aperta. Questo stadio viene chiamato gastrula. Dopo la gastrula lo sviluppo diverge pil nettamente nei diversi phyla, con differenze dipendenti soprat- tutto dal tipo di soluzione adottata per nutrire l’embrione, ma in generale le somiglianze tra gli embrioni negli stadi precoci sono pitt rilevanti delle differenze. L’embrione di un pollo e di un uomo, per esempio, non sono molto diversi finché gli organismi non abbiano raggiunto un considerevole grado di complessita. Non solo gli embrioni si assomigliano tra loro, ma gli embrioni degli animali complessi possono assomigliare agli adulti di animali pit semplici. La correlazione pud essere svolta fino in fondo, dato che lo zigote pud essere comparato a un protozoo, la blastula a un protozoo coloniale, la gastrula a un cclenterato. Gli embrioni degli uccelli e dei mammiferi passano attraverso uno stadio che presenta strutture chiamate “fessure branchiali”, che si considerano come un ricordo di un progenitore che viveva nel mare. Queste somiglianze formarono la base di una gencralizzazione famosa, sviluppata da Ernst Haeckel in due opere pubblicate nel 1874 € 1875, € nota come la teoria della ricapitolazione di Hacckcl. Solitamente viene espressa in termini cleganti dicendo che Ponto- genesi ricapitola la filogenesi. Per ontogenesi si intende lo sviluppo individuale dallo zigote all’adulto; cosi, il bruco é uno stadio onto- genetico nello sviluppo di una farfalla. Per filogenesi si intende la storia evolutiva di una categoria di organismi; per csempio, i mam- miferi primitivi del Cretaceo rappresentano uno stadio filogenctico nello sviluppo dei mammiferi attuali. 104 CAPITOLO SESTO In altre parole, secondo Haeckel un animale, nel corso del suo sviluppo, traccia una specie di sinopsi della storia evolutiva della specie: vari stadi embrionali riproducono le successive forme an- cestrali, Questa teoria ebbe perlomeno il merito di stimolare Je ricerche embriologiche. Le informazioni provenienti dalla paleontologia erano incomplete e senza speranza, ma qui, nello sviluppo indivi- duale degli organismi viventi, si poteva forse trovare la chiave per Ja ricostruzione del cammino evolutivo dei vari gruppi. La teoria, comunque, non ebbe conferma. Ora noi ci rendiamo conto che i] punto fondamentale non é che il giovane degli animali complessi assomiglia agli adulti degli animali pit semplici, ma piut- tosto che i primissimi stadi di tutti gli animali sono simili. Gli stadi iniziali degli animali complessi non corrispondono allo stadio adulto di tipi pil semplici che furono loro progenitori; essi corrispondono agli equivalenti stadi iniziali di animali pil semplici. I vari tipi ani- mali divergono sempre pit durante il corso dell’accrescimento ¢ dello sviluppo: tutti inizialmente simili tra loro, essi si differenziano sempre pil’ man mano che appaiono i caratteri specifici dei differenti phyla, classi e ordi: Che le cose stessero cosi, ci se lo sarebbe dovuto aspettare, dato che gli stadi iniziali protetti degli animali risultano meno soggetti alle pressioni ambientali che non gli stadi finali in diretto contatto con l’ambiente. Entro il guscio dell’uovo o nel grembo materno, Pambiente é all’incirca lo stesso in ogni sorta di animali, e i problemi della moltiplicazione cellulare e dell’accrescimento rimangono simili finché l’organismo non raggiunge lo stadio in cui iniziano a svilup- parsi gli adattamenti caratteristici del suo gruppo. La somiglianza degli stadi embrionali di forme animali molto dif- ferenti tra loro fu per la prima volta osservata da Karl von Bacr, vissuto dal 1792 al 1876, quindi molti anni prima di Haeckel. Von Baer porté a termine una quantita di studi dettagliati sullo sviluppo degli animali, scoprendo tra le altre cose l'uovo dei mammiferi. Le sue osservazioni sulla somiglianza degli stadi precoci degli animali e LO SVILUPPO DELL'INDIVIDUO 105 sulla successione degli stadi nello sviluppo — per cui nell’ontogenesi prima appaiono i caratteri generali, poi quelli specifici — sono rias- sunte in una serie di enunciati noti come “leggi di von Baer”, che rappresentano, per gli studi sullo sviluppo, una guida pil pratica della dubbia “teoria della ricapitolazione” di Haeckel. Neotenia: Pinfantilismo delPuomo In effetti vi sono notevoli prove che un processo all’incirca op- posto a quello postulato da Haeckel pud avere avuto notevole im- portanza nell’evoluzione: un processo chiamato meotenia. Questa parola viene usata per descrivere quei casi in cui la forma adulta di un animale é simile alla forma giovane dei suoi presunti antenati; 0, in altre parole, casi in cui caratteristiche giovanili del progenitore sono mantenute dal discendente allo stato adulto, Pud essere interes- sante soffermarsi un poco a considerare questa teoria, dato che la neotenia riguarda direttamente il problema della evoluzione del- Tuomo. Sembra che noi siamo una specie di scimmia che non si sviluppa mai oltre le sue caratteristiche infantili. Si conoscono svariati casi in cui gli organi riproduttivi possono funzionare gia durante il periodo Jarvale. L’axolotl, la famosa sala- mandra messicana, rappresenta il caso classico: per lungo tempo lo si ritenne una forma speciale di animale finché non si scopri che in determinate condizioni (per csempio nutrendolo con tiroide) cresce fino a svilupparsi in una normale salamandra del genere Amblystoma. Certi altri tritoni chiaramente hanno perso del tutto la capacita di trasformarsi nella forma adulta, anche in condizioni sperimentali. Inoltre si conoscono certi insetti che si riproducono nel periodo larvale, e alcuni, come le lucciole femmine, risultano essere larve che hanno perso la capacita di crescere. Il significato di questo fenomeno nell’evoluzione é un problema puramente speculativo, ma non per questo meno interessante. L’echi- noderma adulto (stella marina 0 riccio di marc) non é certamente il progenitore di nessuno dei tipi animali pit complessi, eppure la 106 CAPITOLO SESTO larva degli echinodermi mostra cospicue somiglianze con alcuni dei cordati pid semplici, presunti precursori dei vertebrati. Cosi pure, la larva dei miriapodi subito dopo la schiusa somiglia moltissimo alla forma adulta degli insetti. La teoria dei rapporti tra neotenia ed evoluzione umana fu ampia- mente sviluppata da L. Bolk in un libro pubblicato nel 1926. Bolk dimostré che molte delle strutture dell’uomo adulto sono molto simili alle corrispondenti strutture embrionali delle grandi scimmie: il peso relativamente alto del cervello, l’angolo che la testa forma col tronco, il ritardo nella saldatura delle suture tra le ossa del cranio, la dentizione, la piattezza della facia, la scarsita di peli del corpo, il colore chiaro della pelle, e cosi via. Nell’uomo le suture tra le ossa del cranio non si chiudono fino al trentesimo anno circa di eta. In altri mammiferi, tra cui le scimmie antropomorfe, queste suture si chiudono molto prima della nascita, e, quando cid é avvenuto, il cranio non pud pit accrescersi. Il cer- vello di uno scimpanzé neonato assomiglia a quello di un uomo adulto per varie caratteristiche, molto pid che quello di uno scim- panzé adulto. Particolarmente interessante é la faccenda dei peli, che Bolk (cito da de Beer) riassume nei seguenti termini: 1) le piccole scimmie nascono completamente coperte di pelo; 2) il gibbone nasce col capo ¢ la schiena coperti di pelo, mentre le altre regioni si ricoprono in seguito; 3) il gorilla nasce col capo coperto di pelo, mentre Ie altre regioni si ricoprono parzialmente in seguito; 4) 'uomo nasce col capo coperto di pelo, mentre Ic altre regioni si ricopriranno solo scarsamente in seguito. II finissimo pelo che ricopre il bambino prima della nascita é pre- sente prima della nascita anche nelle antropomorfe, e nell’uomo non viene perso del tutto se non qualche tempo dopo. Cosi, un’intera serie di caratteri umani pud essere spicgata con un ritardo nelle fasi dello sviluppo dell'uomo in rapporto ai suoi cugini primati. Anche lo sviluppo degli organi riproduttivi é ritar- LO SVILUPPO DELL'INDIVIDUO 107 dato nell’uomo, ma i caratteri umani si spiegano se noi supponiamo che gli organi riproduttivi acquistino la loro funzionalita relativa- mente tardi, ma quando gli altri caratteri corporei — raffrontati con il presunto tipo ancestrale — sono ancora giovanili. La teoria della neotenia perlomeno ci offre un campo fecondo per le ipotesi. Molti di noi trovano che i mammiferi giovani sono molto pid divertenti degli adulti, dato che questi ultimi divengono necessariamente smorti ¢ seri a causa delle numerose responsabilita e preoccupazioni che derivano dal problema dell’esistenza. E forse per questo che mi fa particolarmente piacere pensare all’uomo come un mammifero che ha perso la capacita di crescere. Capitolo 7 L’ambiente La storia naturale é spesso considerata pit o meno equivalente alla speciale scienza chiamata ecologia, che si suole definire come lo studio degli esseri viventi in relazione al loro ambiente. Le relazioni ambientali, cui ci siamo accostati senza fretta e in maniera indiretta, sono dunque il nucleo essenziale della storia naturale. In questi primi capitoli si é trattato soprattutto di nozioni fondamentali. E apparso utile dare all’inizio una spiegazione del sistema di nomenclatura degli esseri viventi. Questo ci consente di avere uno schema approssima- tivo delle massime divisioni nella classificazione degli organismi, e il sistema di schedatura usato per controllare le osservazioni di storia naturale, Il logico passo successivo ci é sembrato una rassegna della storia dell’evoluzione dei grandi gruppi, quale possiamo ricostruire dai reperti fossili. La continuita della storia degli organismi viventi ci ha portato del tutto naturalmente, poi, a prendere in considera- zione i fenomeni della riproduzione, della crescita e dello sviluppo, testé discussi. Si potrebbe di qui passare, ora, allo studio dei problemi dell’adat- tamento e dell’evoluzione; tuttavia, prima di affrontare questo argo- mento, sara bene esaminare le caratteristiche dell’ambiente stesso al fine di capire meglio come i fattori ambientali influenzino gli adat- tamenti. Questo coinvolge non soltanto l’ambiente fisico, ma anche quello biologico: cioé le relazioni di organismi con altri organismi nelle comunita, in mutue associazioni (simbiosi) ¢ in associazioni an- tagonistiche (cioé parassitarie 0 predatorie). L’AMBIENTE, 109 Definizione di ambiente L’ambiente viene di solito definito come la somma delle forze esterne che agiscono su un organismo. Sj tratta in verita di un con- cetto molto ampio, e, come ha fatto notare Charles Elton, non sem- pre é facile stabilire dove finisce |’organismo e comincia l’ambiente. L’ambiente diretto di un organismo in embrione é, come é ovvio, il grembo materno, i materiali nutritizi dell’uovo, o il materiale e le strutture del seme. Le caratteristiche particolari di questo ambiente Possono essere di enorme importanza nel controllo dello sviluppo dell’embrione, come é stato dimostrato dagli embriologi sperimentali mediante la modificazione dell’ambiente embrionale e il conseguente sconvolgimento della normale sequenza di sviluppo. Anche nell’adulto indipendente non é facile tracciare una linca di demarcazione tra organismo e ambiente, tra forze interne ed esterne. In effetti l’animale (o pianta) e l’ambiente formano un si- stema interdipendente, modificandosi a vicenda. Cosi la radichetta in continua crescita di una pianta controlla in modo considerevole la natura chimica e fisica del terreno nelle sue immediate vicinanze. Oppure, per prendere un caso estremo, basta considerare gli effetti della civilta umana sull’aspetto della campagna. La citta é un am- biente creato dall’uomo, il che non toglic che questo ambiente a sua volta influenzi Puomo esattamente come l’ambiente naturale artico influenza l’eschimese. Tl cibo & un componente basilare dell’ambiente. Ma a che livello del processo della digestione il cibo cessa di essere parte dell’am- biente ¢ diventa parte dell’organismo? In bocca, nello stomaco, 0 nella corrente sanguigna? L’intestino umano costituisce l’ambiente immediato di un verme intestinale; ma non é il verme stesso una parte dell’ambiente dell’uomo? Questo é un sofisma, ma bisogna ammcettere che mette a fuoco la difficolta, forse il pericolo, o almeno la futilita di una definizione di tipo logico. L’organismo (la sua forma, la sua storia, le sue attivita, 110 CAPITOLO SETTIMO le sue potenzialita) é il prodotto di forze che in ultima analisi pro- vengono da due diverse sorgenti: una interna, dal plasma germinale, Yaltra esterna, che rappresenta l’ambiente. A livello di storia natu- rale, la differenza é chiara e profonda. A un diverso livello questa differenza potrebbe scomparire, essendo senza dubbio il plasma ger- minale, in qualche modo, il prodotto di forze ad esso esterne. Ma seguendo questa linea di ragionamento si entra nell’area del pro- blema della spiegazione dei fenomeni biologici in termini fisico- chimici. Il clima E giusto, quando si prende in considerazione |’ambiente, inclu- dervi i fattori sia biologici che fisico-chimici. I principali fattori ambientali di tipo fisico, nel caso degli organismi terrestri, sono rac- colti sotto la denominazione di clima. Il clima si pud intendere come la somma delle variabili dell’atmo- sfera: pioggia, temperatura, vento, sole splendente, nuvolosita, radia- zione solare, umidita. L’influenza di questo clima atmosferico sugli organismi acquatici é indiretta. L’acqua presenta variabili simili, ma di solito non le riguardiamo come costituenti un particolare clima acquatico. Il vocabolo clima deriva da una radice greca che significa incli- nazione, in riferimento alla pendenza della terra verso i poli. Un cambiamento di clima significava dunque un cambiamento della lati- tudine, per passare poi a poco a poco a significare un cambiamento di condizioni atmosferiche e di durata del giorno, fino al significato attuale del termine. Nell’uso corrente per “tempo” si intende un par- ticolare evento climatico; il clima di un particolare luogo potrebbe essere definito come l’andamento medio del suo tempo. Nella ricerca biologica é utile intendere il clima nel senso comune di clima geografico, ricordando tuttavia che ad altri livelli devono essere studiate le condizioni atmosferiche. II clima geografico viene descritto da misurazioni prese in determinate stazioni metcorologi- L'AMBIENTE ur che: la pioggia ¢ misurata da un apposito apparato, disposto in modo che nulla possa impedire all’acqua di raccogliervisi; Ja temperatura viene misurata all’interno di una speciale scatola e a una determinata altezza da terra; il contenuto di umidita dell’aria viene misurato a istanti fissi, nel corso delle ventiquattro ore, ¢ cosi via. Grazie a questa standardizzazione delle misure é possibile con- frontare le condizioni atmosferiche di un dato luogo in differenti stagioni, e le condizioni medie di diversi luoghi possono a loro volta esscrce confrontate tra loro. Se ci si ferma un istante a riflettere, ci si rende conto che in realta pochissimi organismi vivono nelle condizioni misurate da queste stazioni meteorologiche standard. La temperatura e le condi- vioni di umidita in una foresta sono diversissime da quelle della zona aperta di una stazione; possono essere differenti in differenti tipi di foreste, o in zone differenti della stessa foresta. L’importanza di queste misure standard é anche minore se consideriamo Ie condizioni atmo- sferiche che circondano un singolo essere vivente; una cavalletta sulla faccia infcriore di una foglia, un fungo che cresce su un tronco fra- dicio, una marmotta addormentata nella sua tana. Per la maggior parte degli scopi del biologo, il clima geografico é utile soprattutto come un termine di riferimento a cui rapportare questi diversi climi particolari, come una sorta di indice dei tipi gencrali di condizioni che ¢ possibile trovare in una certa regione. Per il naturalista é utile considerare il clima a due altri livelli: ci sono le condizioni atmosferiche in un particolare tipo di terreno, come una foresta, 0 una savana o un burrone, che si possono chia- mare clima ecologico, ¢ ¢é il livello delle condizioni atmosferiche che influenzano direttamente un particolare individuo, che conviene chiamare mricroclima. Ad ognuno di questi livelli, i climi coinvolgono variazioni in quattro seric principali di fattori: temperatura, acqua, luce (radia- zioni) e movimenti dell’aria. La composizione dell’aria, che potrebbe costituire un quinto fattore, é talmente costante che di solito non si considera, trattando del clima. m2 CAPITOLO SETTIMO. La temperatura La temperatura ha grande importanza in qualsiasi processo vitale. Gli uccelli e i mammiferi, con l’'acquisizione di un considerevole controllo sulla temperatura corporea, si sono resi indipendenti dalla temperatura ambientale a un grado maggiore di altri gruppi di vi- venti; ma anche fra gli uccelli e i mammiferi le variazioni di tempe- ratura che una data specie pud tollerare hanno precisi limiti. Se la temperatura corporea di un organismo cade al di sotto del punto di congelamento dell’acqua (zero gradi centigradi), cessa qualsiasi nor- male processo vitale; nella maggior parte degli organismi, anzi, tali processi cessano prima di arrivare a questa temperatura, a 7-10 gradi centigradi. Soltanto pochi organismi, con particolarissimi adatta- menti, possono sopravvivere quando la loro temperatura corporea sale al di sopra dei 45-50 gradi centigradi. Se si pensa alle oscilla- zioni di temperatura di cui si conosce l’esistenza nell’universo, questi sono limiti molto ristretti, in verita. Lacqua L’importanza della temperatura per i processi vitali dipende dalle proprieta fisiche di quel curioso composto chimico che é l’acqua. Gli esseri viventi si possono riguardare come soluzioni acquose, ¢ una buona parte della biologia si occupa del comportamento del solvente, cioé dell’acqua. L.S. Henderson ha descritto le caratteri- stiche dell’acqua nel suo libro The Fitness of the Environment [L’idoneita dell’ambiente]; e Thomson King ha scritto un libro sull’acqua, ricco di considerazioni scaturite dagli studi su questo elemento. Ci sono molte ragioni per supporre che la vita sia sorta nell’acqua, in particolar modo nelle acque dei mari precambriani. Non posse- diamo reperti fossili di questo inizio: i nostri fossili pid antichi sono, si, marini, ma rappresentano gia forme di vita altamente organizzata. L’AMBIENTE 113 Ma prima deve essere trascorso un lungo periodo, durante il quale la materia vivente ha lentamente acquistato il tipo di organizzazione che noi conosciamo. Sul come cid possa essere avvenuto possiamo soltanto fare supposizioni. Comunque, in ogni organismo rimangono tracce del mare, per cosi dire. Le proporzioni dei sali inorganici nel protoplasma sono per esempio notevolmente simili a quelle dell’ac- qua di mare; e la pit semplice spiegazione di cid é che ogni vivente porta ancora il segno del mare in cui si é originato. Buona parte dell’evoluzione si pud interpretare in termini di mo- dificazioni tali da permettere agli organismi di vivere in ambienti diversi da questi mari precambriani: modificazioni piccole ¢ lente per vivere nei mari sempre pit ricchi di sale degli ultimi periodi, modificazioni pit drastiche per la vita nell’acqua dolce, e, pid dra- stiche di tutte, per la vita sulla terraferma. La maggior parte dei phyla animali sono tuttora completamente acquatici, ¢ moltissimi animali e piante che hanno invaso l’ambiente terrestre dipendono da condizioni esterne di umidita. Questo forse é pil evidente nei meccanismi della riproduzione sessuale. I gameti dei muschi e delle felci devono tuttora incontrarsi nuotando, anche se tutta Poperazione del nuotare pud essere confi- nata all’interno di una goccia di rugiada. Per evitare questa specifica dipendenza dall’acqua libera le fanerogame hanno sviluppato la cu- tiosa fase gamctofitica, in cui il polline viene trasportato a contatto dei macrogameti mediante complessi adattamenti di comportamento, come per esempio l’impollinazione entomofila, grazie alla quale la fecondazione pud avvenire tramite il tubulo pollinico. Gli animali, in modo particolare quelli appartenenti ai due grandi phyla terrestri degli artropodi ¢ dei vertebrati, hanno sviluppato tutta una serie di comportamenti ugualmente singolari culminanti nella penetrazione, in modo che i gameti, ancora completamente dipendenti dal mezzo liquido, possano raggiungersi. La vita sulla terra, dunque, dipende dall’acqua, e una parte note- vole delle abitudini e della fisiologia degli organismi terrestri é in relazione con la necessita di provvedersi di acqua, immagazzinarla ed 11g CAPITOLO SETTIMO economizzarne l’uso. Sotto questo profilo, essi sono legati al ciclo gas-liquido-solido dell’acqua, che rappresenta una parte cosi impor- tante del clima. Le misure concernenti I’acqua come componente del clima pos- sono essere di vari tipi, ma riguardano essenzialmente le precipita- zioni (pioggia, neve ecc.), l'umidita relativa e P'evaporazione. Sulle precipitazioni conviene fare qui qualche considerazione. In alcune zone della terra la pioggia é un fenomeno quasi sconosciuto (alcune parti del Sahara e della costa Peruviana), e in ampie zone la pioggia é cosi scarsa che le poche forme di vita esistenti dipendono da parti- colarissimi adattamenti alle condizioni desertiche. La distribuzione stagionale della pioggia pud essere pit importante della precipita- zione totale annua, nel determinismo del carattere dell’habitat bio- logico: questo fatto é particolarmente marcato nelle zone tropicali, in cui vi é un alternarsi di stagioni secche e umide. Gli adattamenti per poter sopravvivere ai periodi di siccita sono spesso paragonabili agli adattamenti per la sopravvivenza durante l’avversa stagione in- vernale, che si presenta alle latitudini temperate. La pid alta precipitazione annuale che si conosca é di 11,455 metri, media registrata a Kauai, una delle isole Hawaii. La giungla tropicale, che per il carattere lussureggiante e la varieta rappresenta l'ambiente terrestre pit favorevole alla vita, ha bisogno di una preci- pitazione vicina ai quattro metri, distribuiti quasi uniformemente durante I’anno. La maggior parte della superficie terrestre ha una precipitazione annuale compresa circa fra i 70 centimetri e i 2 metri. L’umidita Il biologo é interessato all’umidita relativa e all’evaporazione non meno che alle precipitazioni. La quantita di vapor acqueo che un volume di aria pud tenere in sospensione dipende, com’é noto, dalla temperatura dell’aria. Per questa ragione si usa misurare il contenuto in acqua dell’aria in termini di umidita relativa: il che significa rap- portare il contenuto di vapor acqueo nell’aria con il valore di satu- L'AMBIENTE, ms razione alla stessa temperatura. Quando diciamo che vi é il novanta per cento di umidita, intendiamo dire che l’aria contiene il novanta per cento dell’acqua che potrebbe trattenere, a quella stessa tempe- ratura, senza che I’acqua si condensasse. La quantita di acqua presente in un metro cubo dij aria al novanta per cento di umidita relativa é dunque molto diversa in una giornata calda ¢ in una fredda. Il tasso di evaporazione dell’acqua sarebbe probabilmente una delle misurazioni climatiche di maggiore interesse biologico, ma é difficile da standardizzare, specie in rapporto allo scopo di fare con- fronti fra regioni diverse. Di conseguenza é pit usato negli studi sul clima ecologico che in quelli sul clima geografico, Il tasso di evaporazione dipende dalla temperatura, dall’umidita atmosferica e dai movimenti dell’aria, e riassume questi diversi fattori pi o meno nello stesso modo in cui essi influiscono sugli esseri viventi. Le correnti daria I meteorologi misurano sempre le correnti d’aria di ogni tipo, dato che sono importanti per analizzare la genesi di un dato clima geografico o prevedere le fluttuazioni climatiche. L’influenza dei vari tipi di correnti d’aria sugli esseri viventi spesso indiretta e difficile da valutare. In zone protette, come la foresta tropicale, si sono evolute forme di foglia molto delicate, che non potrebbero sopportare l’esposizione al vento. La forma degli alberi sulla costa o sulla cima di una mon- tagna pud essere determinata dai venti costanti. Gli insetti che vivono in zone esposte al vento, come sulle isole oceaniche si sono adattati o nel senso che hanno perso I’attitudine al volo 0, viceversa, hanno sviluppato una elevata potenza nel volo, sufficiente a superare il vento che spira normalmente. Molti organismi, come le spore e svariati tipi di semi, dipendono dalle correnti d’aria per la di- spersione. 116 CAPITOLO SETTIMO. La luce La luce, cosi importante per gli esseri viventi, di solito non viene considerata come un fattore del clima geografico, se non in termini generali, come ore giornaliere di luce solare. Le fluttuazioni stagio- nali nella lunghezza del giorno, una delle componenti astronomiche del clima geografico, sono un fattore importante nel determinare la distribuzione e gli adattamenti degli organismi. La collocazione temporale degli eventi biologici stagionali, come la fioritura di una determinata pianta o la migrazione di una specie di uccelli, pud dipendere dalla Junghezza del giorno, invece che dal pit ovvio cam- biamento stagionale della temperatura. I cambiamenti della lun- ghezza del giorno nelle diverse zone geografiche sono notevolissimi, dall’estremo di una successione annuale di giornate sempre uguali all’equatore, fino alle ventiquattro ore di luce delle giornate estive o le ventiquattro di buio totale delle notti invernali ai poli. La prima fonte di energia per tutti i processi vitali é naturalmente la radiazione solare, soggetta a fluttuazione stagionale e geografica, e probabilmente a cicli a lungo termine. Tuttavia la radiazione & stata relativamente trascurata negli studi biologici sul clima. La topografia Si é soliti definire il clima come la somma delle variabili dell’at- mosfera. L’ambiente fisico degli organismi terrestri dovrebbe inclu- dere anche la topografia, dato che tali esseri viventi, pur respirando Paria sono comunque legati alla terra, l'aquila non meno della quer- cia. I] clima e la topografia sono intimamente correlati, dato che le catene di montagne e la configurazione delle coste possono avere grande influenza sulle precipitazioni, la temperatura, l’umidita e le correnti d’aria, ¢ viceversa la pioggia, il vento, la temperatura pos- sono, attraverso |’erosione, controllare la topografia. Anche la natura fisica del suolo, del substrato dei viventi terrestri, dovrebbe essere L'AMBIENTE, 7 inclusa in questo elenco di fattori fisici. Anche se qui di nuovo di- viene difficile separare causa ed effetto: la natura del suolo é un fattore importante per lo stabilirsi di un dato tipo di vegetazione, e di conseguenza anche della fauna; ma la natura del suolo é anche, in gran parte, il risultato del tipo di vegetazione che si é sviluppata. Acque marine e acque dolci I fattori fisici dell’ambiente acquatico sono in parte simili a quelli dell’ambiente terrestre, in parte molto diversi. In primo luogo esi- stono due tipi principali di ambiente acquatico, quello marino ¢ quello di acqua dolce, che richiedono adattamenti molto diversi. L’ambiente marino ricopre la maggior parte della superficie ter- restre e possiede una continuita sia geologica sia geografica. Proba- bilmente é in questo ambiente che é sorta la vita, ed & qui che si & verificata la pit: grande proliferazione di forme viventi. Tutti i prin- cipali phyla animali sono rappresentati nel mare, e la maggior parte dj essi ha avuto nel mare la sua origine. Soltanto pochi gruppi im- portanti, come gli insetti ¢ i vertebrati, pare abbiano avuto origine da adattamenti alla vita d’acqua dolce oppure terrestre. D'altro canto, Tevoluzione dei gruppi vegctali pit importanti é stata pit chiara- mente legata alla vita fuori dal mare, c la flora marina é tuttora com- posta prevalentemente di forme relativamente semplici, in particolar modo batteri e alghe. E interessante osservare che mentre nel mare si trova, rispetto a qualsiasi altro ambiente, il maggior numero di tipi di organismi, il numero di generi o di specie é invece di gran lunga inferiore. La massima proliferazione di specie si é avuta sulla terra, tra le fanero- game, i funghi, gli insetti ¢ i vertebrati. Per quanto riguarda il nu- mero dej singoli organismi, il mare probabilmente vincerebbe di nuovo, a causa del numero incredibile di individui microscopici che vivono negli strati superficiali. L’ambiente d’acqua dolce non ha continuita, né geografica né geologica. I nostri laghi pit grandi, che tanto ci colpiscono, rappre- 18 CAPITOLO SETTIMO sentano qualcosa di transitorio nella storia geologica, con due o tre singolari eccezioni: il lago Baikal in Siberia, il lago Tanganika in Africa e, in minor grado, il lago di Ochrida in Europa. Il Baikal e il Tanganika sono entrambi molto antichi e molto profondi, e in essi si sono evolute faune locali straordinarie. Alcuni dei pit impor- tanti sistemi fluviali del mondo hanno pure una notevole eta geolo- gica, e in essi si ¢ sviluppata, corrispondentemente, una fauna par- ticolare. In massima parte, dunque, I’acqua dolce é, in senso geologico, transitoria, e in gran parte lo é in ogni senso. I laghi si formano per incidenti geologici, e fin dalla nascita si avviano verso una succes- sione di stadi per cui essi gradualmente si riempiono di detriti fino a formare stagni, paludi, o a disseccarsi totalmente. I fiumi hanno enormi oscillazioni nella portata d’acqua, e cosi pure molti stagni e laghi, e molte ampie aree d’acqua dolce si prosciugano, stagional- mente o irregolarmente. Le acque dolci sono inoltre discontinue, cosicché ciascun sistema d’acqua dolce deve essere invaso, indipendentemente dalla terra o dal mare vicino, attraverso adattamenti degli organismi marini o terrestri; oppure gli organismi d’acqua dolce devono avere qualche mezzo di dispersione attraverso I'ambiente marino o quello terrestre. Considerazioni generali sulPambiente acquatico I fattori fisici dell’ambiente acquatico, marino o d’acqua dolce, sono molto pit costanti di quelli dell’ambiente terrestre. L’elevato calore specifico dell’acqua rende lenti i cambiamenti di temperatura. La temperatura dell’aria pud cambiare con brusca irregolarita ed é comunque soggetta a cicli giornalieri e stagionali. I corrispondenti cambiamenti nell'acqua sono sempre di minor entita, e i cicli sta- gionali e giornalicri sono marcati soltanto in uno strato superficiale, o nelle acque basse, o in bacini di ridotte dimensioni. La temperatura in mare aperto é praticamente costante alle diverse profondita, ¢ lo LAMBIENTE 119 stesso accade per Je acque dolci tropicali da mezzo metro a un metro al di sotto della superficie. L’umidita relativa, di cosi grande importanza per gli organismi terrestri, non esiste nell’ambiente acquatico; l’acqua perduta con Tevaporazione non rappresenta pit’ un problema. Tuttavia esiste un altro fattore fisico di notevole importanza per la fauna ¢ flora acqua- tica: il peso specifico del mezzo. La poca differenza tra il peso specifico dell’acqua, in modo parti- colare dell'acqua di mare, e il peso specifico del protoplasma spiega perché gli organismi acquatici non necessitano di scheletri partico- larmente robusti per sostenere il loro peso. Sembra quasi che non esista alcun limite fisico, in questo senso, alle dimensioni di una lami- naria gigante, di una piovra o di una balena, mentre le creature terrestri sono vincolate dal problema di sostenere ¢ spostare il proto- plasma, il cui peso ovviamente cresce con I’aumento di dimensioni. Una notevole porzione del mondo vivente acquatico, il plancton, semplicemente fluttua o va alla deriva con I’acqua. II nuoto si ¢ evo- luto negli organismi acquatici non per permettere il galleggiamento bensi Ia locomozione; mentre nell’aria una costante erogazione di energia é necessaria gia per restare sospesi nella stessa posizione, salvo il caso degli organismi piccolissimi, come spore o batteri. Gli esseri che vivono fuori dell’acqua sono sempre in un modo o nell’altro legati alla superficie terrestre; ma la vita nel mare pud essere del tutto indipendente dal fondale. Il fattore del peso specifico é in buona parte all’origine della pro- fonda differenza fra l'ambiente d’acqua dolce ¢ quello d’acqua salata. Gli organismi acquatici non sono disturbati dall’evaporazione, ma si trovano di fronte al problema dell’osmosi. Qualsiasi spiegazione ve- ramente chiara del fenomeno dell’osmosi richicdercbbe una notevole digressionc. Io non so se un tale tipo di spiegazione sia necessario o meno. Credo che “osmosi” sia un vocabolo che ciascuno di noi porta con sé dal corso di scienze della scuola secondaria, senza avere un ticordo del tutto chiaro del suo significato. Si riferisce alla diffu- 120 CAPITOLO SETTIMO sione di un solvente attraverso le membrane semipermeabili, e rap- presenta un fattore importante in tutti i processi fisiologici. I fluidi interni degli organismi acquatici sono separati, dall’acqua in cui gli organismi vivono, per mezzo di vari tipi di membrane: la pelle, il tubo digerente, le branchie ¢ cosi via. Generalmente i sali dei liquidi corporei sono pit diluiti dei sali dell’acqua marina e pit concentrati di quelli dell’acqua dolce. Di conseguenza é importante che le membrane che separano le soluzioni all’interno dell’organismo da quelle all’esterno siano fatte in modo da non permettere pressioni osmotiche sfavorevoli allo sviluppo dell’organismo. Dato che le con- dizioni nell’acqua dolce ¢ in quella salata sono cosl completamente diverse rispetto alla condizione generale del protoplasma, i due tipi di ambiente acquatico richiedono adattamenti fisiologici diversi da parte dei loro abitanti. La pressione é un altro fattore fisico dell’ambiente acquatico, seb- bene meno determinante, nel condizionare la distribuzione degli or- ganismi, di quanto si pensasse un tempo. Per lungo tempo fu accet- tata Pidea che a causa delle enormi pressioni non potesse esistere vita nelle profondita oceaniche. Questa teoria venne smentita nel 1858, quando un cavo sottomarino, collocato a una profondita di circa 600 metri, al momento in cui venne tirato in secca per essere riparato fu trovato completamente incrostato di organismi viventi. Ai giorni nostri é ben noto che la vita esiste anche a grandissime profondita, sebbene gli organismi che vivono laggit debbano possedere adatta- menti particolari. La pressione dell’acqua in sé stessa @ un fattore limitante la penetrazione negli strati profondi, ma soltanto in quegli animali che hanno aria o altri gas all’interno dei loro corpi, come ne hanno le balene e gli altri mammiferi marini nei polmoni, o alcuni pesci nelle vesciche natatorie, poiché il gas é molto pit soggetto a compressione di quanto non Io sia il liquido protoplasmatico. Ho gia fatto notare che Ja composizione gassosa dell’aria potrebbe essere considerata un fattore del clima, sennonché é piuttosto costante a causa della rapida diffusione dei diversi componenti J’aria. Invece nell’acqua i gas disciolti si diffondono molto meno rapidamente ¢ le LAMBIENTE, mr quantita di ossigeno o di anidride carbonica disciolte nell’acqua sono una importantissima variabile nell’ambiente acquatico. L’ambiemte chimico I gas disciolti si possono considerare pid un fattore chimico che fisico dell’ambiente. Ma, come ho fatto notare all’inizo del capitolo, qualsiasi classificazione dei fattori ambientali @ innanzitutto uno schema di comodo. Quando si studiano gli organismi acquatici l'im- portanza dei fattori chimici dell’ambiente diventa particolarmente chiara, L’acqua pura non esiste che in laboratorio, ¢ anche in labo- ratorio si produce e conserva con difficolta, giacché quasi ogni cosa é soggetta a sciogliersi in una sia pur piccola misura nell’acqua. La pioggia, cadendo raccoglie tracce di molte sostanze chimiche dal pulviscolo atmosferico, come pure si disciolgono in essa gas della stessa atmosfera. Quando si studiano gli animal terrestri, facile perdere di vista T'ambiente chimico, in quanto il suo effetto in questo caso particolare é indiretto, agendo attraverso la dinamica biologica delle sostanze alimentari. Le piante terrestri, invecc, dipendono dall’ambiente chi- mico quanto gli organismi acquatici, avendo direttamente a che fare con le soluzioni chimiche del suolo. Spesso nci testi di biologia si trovano clencati gli elementi chimici che sembrano necessari al protoplasma. Tredici di questi clementi si trovano di regola in quantita considerevole negli organismi viventi: idrogeno, cloro, ossigeno, zolfo, azoto, fosforo, carbonio, silicio, sodio, potassio, magnesio, calcio e ferro. Tracce di molti altri ele- menti sono state trovate in ogni sorta di organismi, ¢ in molti casi sono indispensabili alla sopravvivenza dell’organismo stesso, ma le quantita coinvolte sono talmente piccole da renderne difficile lo studio e l’analisi. Quasi tutti gli organismi assorbono ossigeno dircttamente dall’at- mosfera o dall'acqua, in cui si trova in soluzione; e quasi tutti gli organismi hanno bisogno di notevoli quantita di ossigeno libero ¢ di 122 CAPITOLO SETTIMO acqua libera. Le eccezioni a questa regola, per esempio gli organismi che possono fare a meno di ossigeno, o che hanno trovato dei sistemi per produrre da sé l’acqua, sono interessanti ma rare. Gli animali terrestri ricavano gli altri elementi di cui hanno bisogno dalle so- stanze alimentari, che derivano, in ultima analisi, dalle piante. I vege- tali, perlomeno quelli provvisti di clorofilla, per sintetizzare il loro protoplasma ricavano il carbonio dall’anidride carbonica dell’aria, mentre per quanto riguarda tutti gli altri elementi dipendono dai sali disciolti nel suolo o nell’acqua. Percié la concentrazione relativa dei diversi elementi e dei sali disponibili in differenti tipi di terreno 0 di acqua é di estrema importanza nello studio dell’ecologia vegetale. Alcune piante sono capaci di tirar fuori gli ioni di un dato elemento anche da una soluzione molto diluita, mentre per altre é necessaria una notevole concentrazione. La distribuzione di una determinata specie vegetale pud dunque dipendere dalla natura chimica del- Yambiente. Tutto cid vale anche per gli animali acquatici, molti dei quali hanno bisogno di certi elementi in misura maggiore di quella offerta dal cibo, per cui dipendono dai sali disciolti nell’acqua. Il contenuto di sostanze chimiche del terreno o dell'acqua pud anche avere influenza pit indiretta sugli esseri viventi. Certe so- stanze possono essere velenose per talune specie animali e vegetali, se presenti in grande quantita; altri organismi possono risentire del- Vacidita o dellalcalinita del terreno o dell’acqua, il che dipende in ultima analisi dalla natura dei sali presenti in soluzione. A questo punto mi trovo in verita a fare ’equilibrista tra il met- tere in luce limportanza dell’ambiente chimico senza essere coin- volto in spiegazioni complicate che sarebbero fuori luogo in questo libro, da un lato, e dall’altro il tentativo di evitare eccessive sempli- ficazioni 0 affermazioni crronee o tali da trarre in errore. Prendendo in esame l’ambiente chimico e le necessita chimiche degli esseri vi- venti si viene per forza a considerare |’alimentazione; ma non si pud, daltra parte, parlare di cibo se non entro il quadro dei rapporti intercorrenti tra gli organismi, e tra questi e l’ambiente chimico ¢ LAMBIENTE, 123 fisico; di conseguenza la miglior cosa é considerare il problema del- Yalimentazione come parte di quello dell’ambiente biologico, come una delle tante relazioni nella comunita degli organismi viventi. L’ambiente biologico Quando si studia Ja storia naturale di un dato organismo, poniamo un pesce, é comodo e relativamente facile riunire i fattori ambientali in gruppi. In questo caso temperatura, luce, correnti ¢ densita del- Pacqua, si potrebbero raggruppare e considerare come i fattori costi- tuenti l’ambiente fisico. Le diverse sostanze disciolte nell’acqua for- merebbero l’ambiente chimico. L’ambiente biologico includerebbe gli organismi usati come cibo, i predatori e i parassiti che formano la lista dei nemici del pesce, la vegetazione che offre nascondigli e luoghi adatti alla nidificazione e cosi via. Tali raggruppamenti divengono meno agevoli quando si tenta di analizzare il concetto di ambiente da un punto di vista pil generale senza far riferimento ad alcuna specie particolare di organismo. Nel caso di quel tipo di fattori che si potrebbero elencare come costi- tuenti l’ambiente biologico, secondo me é meglio non tentare nep- pure una classificazione formale. T tre capitoli che seguono, di fatto prendono in esame l’ambiente biologico. Nel prossimo capitolo tenteré di tracciare un disegno ge- nerale della comunita biotica. Per comunita biotica si pud intendere Yambiente biologico totale di ciascuno dei membri che la compon- gono, ma se ci si attenesse veramente a questa definizione si dovrebbe poi qualificare diversamente questa totalita in rapporto al particolare membro della comunita preso in esame. Il problema non é dissimile da quello di descrivere una comunita umana. Si potrebbe intendere Ia descrizione di una citta come la descrizione di un ambiente urbano. La citta, ovvero ambiente ur- bano, apparirebbe diverso a seconda che si prendessero in conside- razione i trasporti, l’industria dell’acciaio, le massaie, i falegnami, 0 i rapporti ambientali del signor Rossi. In questa sede non mi interesso 14 CAPITOLO SETTIMO delle relazioni ambientali del signor Rossi, o dei falegnami, o dei sistemi di trasporto. Desidero invece descrivere qualcosa che con- tiene tutte queste cose, cio una citta. O per meglio dire, nel mio caso, cid che le corrisponde da un punto di vista biologico: la co- munita degli organismi. Capitolo 8 Le comunita biotiche Cerco d’immaginare un organismo che vive da solo, in isola- mento. Non é una condizione semplice da immaginare, ma forse il tentativo sari un buon punto di partenza per la comprensione del- Vinterdipendenza degli organismi nelle comunita. Gli animali sono da escludere. E impossibile immaginare una qualsiasi specie di animale in grado di vivere da solo, poiché ogni animale ha bisogno di un’alimentazione a base di composti complessi del carbonio, e se li pud procurare soltanto mangiando piante, o animali che a loro volta si nutrono di piante. Cosi nella nostra ricerca ci dobbiamo limitare al regno vegetale. Le cosiddette “piante superiori” sono anch’esse da escludere, gia solo per via dell’azoto. Una quercia 0 un tarassaco possono sintetiz- zare amidi dall’acqua e dall’anidride carbonica dell’atmosfera, ma dipendono anche da vari elementi chimici che assorbono dal ter- reno. L’azoto é fra questi clementi indispensabili. Si tratta di uno degli elementi pid diffusi, costituendo, sotto forma di gas, la com- ponente pit abbondante dell’aria; ma né il tarassaco né la quercia possono sfruttare l’azoto in questa sua forma semplice: bisogna che esso sia combinato in qualche sale solubile, per esempio un nitrato. L’azoto gassoso inerte dell’aria pud essere “fissato” sotto forma di ossidi dalle scariche elettriche temporalesche e arrivare a terra con la pioggia come acido nitroso. Ma anche in questa forma né la quercia né il tarassaco sono in grado di utilizzarlo. E necessario che 126 CAPITOLO OTTAVO sia ossidato a nitrato dai batteri del suolo. Non si conosce alcun processo grazie al quale queste piante “superiori” possano rifornirsi di azoto senza l’intervento, in una qualche parte, di certi microrga- nismi. Le piante della famiglia delle leguminose, come ogni agricol- tore sa, si possono usare per arricchire il terreno di nitrati, ma questo dipende appunto dal fatto che le leguminose vivono in cooperazione (simbiosi) con certi batteri particolari: quelle stesse piante, isolate dai batteri, risulterebbero prive di qualsiasi effetto in quel senso. E che dire di un batterio vivente in isolamento? I batteri non hanno clorofilla, e percid non possono sintetizzare, per mezzo del- Penergia solare, i carboidrati necessari al protoplasma, come fanno le piante verdi; di conseguenza la maggior parte dei batteri dipende dalle piante verdi per i suoi carboidrati. Tuttavia esistono alcune specie che hanno utilizzato sorgenti di energia del tutto differenti, ¢ alcune delle quali appaiono completamente autotrofe, cio’ capaci di vivere su materiale puramente inorganico, cioé nelle condizioni che presumibilmente si presenterebbero in assenza di ogni altra forma di vita. Sono questi i tiobatteri, che ricavano Tenergia dall’ossida- zione dei solfuri. Per immaginare un organismo in grado di vivere completamente da solo, dobbiamo dunque spingerci git fino a degli oscurissimi bat- teri come i tiobatteri, 0 magari a qualcuna delle alghe semplici capaci di utilizzare l’azoto atmosferico al pari dell’anidride carbonica del- Vatmosfera. Ma in natura questi batteri e alghe fanno parte di sistemi complessi di organismi che dipendono l’uno dall’altro per la sintesi o la trasformazione delle catene dei composti di questi elementi fon- damentali, cioé azoto, carbonio e zolfo. Si pud immaginare un tio- batterio che porta avanti le sue reazioni con lo zolfo in un ambiente privo di vita, ma in realta egli € coinvolto fino in fondo nella com- plicatissima economia che accomuna gli organismi del suolo. LE COMUNITA BIOTICHE 127 Le interrelazioni fra organismi Un qualche tipo di organismo deve, a un certo momento, aver passato il ponte dal mondo inorganico al mondo delle cose viventi tutto da solo. Una qualche forma vivente deve percid essere esistita da sola per una eternita, prima che, in qualche modo, si iniziasse una divergenza funzionale e di conseguenza si producessero due forme viventi diverse in luogo dell’unica iniziale. Per immaginare qualcosa del genere, sulla base degli esseri viventi attuali, ci si deve limitare a organismi del tipo dei batteri. Ma al giorno d’oggi i batteri sono integrati fino in fondo nell’economia della natura organica, e dipen- dono dalle “piante superiori”, tanto quanto queste dipendono da loro; percid il primo liquido protoplasmatico precambriano fu pro- babilmente qualcosa di molto diverso. Quello che sto cercando di mettere in evidenza qui é l’interdi- pendenza delle diverse specie viventi che popolano la terra attual- mente. Ci siamo abituati a considerare il mondo organico come una massa di organismi coinvolti in una lotta competitiva, ciascuno im- pegnato ad avere la meglio sull’altro per conquistarsi un posto al sole. Ma questa competizione, questa “Jota”, é una faccenda di su- perficie, per cosi dire, che viene a sovrapporsi a una fondamentale mutua dipendenza. Nella natura il tema di base é la cooperazione piuttosto che la competizione: una cooperazione che é diventata cosi ubiquitaria, integrata in modo cosi assoluto, da rendere difficile districare ¢ seguirne isolatamente le singole connessioni Dopo aver cercato di immaginare un organismo in isolamento, potremmo provare con due, cercando di immaginare le possibili dif- ferenti relazioni tra essi. Immediatamente ci si trova di fronte a una alternativa fondamentale: o i due organismi appartengono alla stessa specie, o a specie diverse. Se sono della stessa specie, possono coo- perare nella ricerca del cibo, come due formiche, o lottare per im- padronirsi di una scorta di cibo disponibile, come due cani. I due individui possono cooperare per la riproduzione,; oppure, se sono 128 CAPITOLO OTTAVO dello stesso sesso, possono lottare per avere J’opportunita di accop- piarsi con un terzo individuo; o ancora, essendo dello stesso sesso, Ppossono pacificamente avere in comune funzioni riproduttive con il terzo individuo. Se esiste un rapporto prole-genitore tra i due indi- vidui, pud essere protettivo, materno, 0 pud essere invece del tipo ruvido, stile “togliti-dai-piedi-e-cavatela-da-te”. Quando i due individui appartengono a specie diverse é interes- sante indagare da che parte stia il vantaggio immediato nelle loro relazioni. Uno pud servire all’altro come cibo. In questo caso il van- taggio immediato é unidirezionale, se cosi pud dirsi. Uno pud ser- vire da protezione o da supporto per T’altro, come l’albero per la vite. In questo caso A pué ricavare un beneficio da B senza nuocer- gli; oppure A puéd disturbare B in vari gradi (dipende dal peso che la vite accolla all’albero); 0 A pud essere protetto da B e dargli in cambio un qualche vantaggio. Questi casi di mutuo beneficio, di associazione, di simbiosi, sono comunissimi e assumono ogni sorta di forma: si pensi al fungo ¢ l’alga uniti a formare un lichene; o al protozoo nell’intestino della termite che digerisce la cellulosa per conto dell’ospite, in cambio di protezione; 0, ancora, alle numerose specie di alberi tropicali che hanno sviluppato speciali nettari e ca- vita come cibo e nido per formiche munite di pungiglione, le quali, a loro volta, nel proteggere i loro nidi proteggono I’albero. Probabilmente é del tutto inutile tentare di catalogare i possi- bili tipi di rapporti fra due organismi diversi, poiché ci si rende conto che la maggior parte di questi rapporti coinvolge anche altri organismi; che i due competono nell’usare qualche altra specie di vivente come cibo, 0 cooperano al sostentamento di qualche altro organismo, o utilizzano come cibo parti diverse di un terzo orga- nismo. In questo tentativo di elencare i rapporti fra due diversi organismi, ci imbattiamo nei problemi delle relazioni all’interno della comunitd degli organismi nel suo complesso. E come tentare di analizzare i rapporti tra Giovanni, il barbiere, e Pietro, il lattaio. Immediatamente si é coinvolti con Alfredo, il droghiere; con la moglie di Pietro che lavora con quella di Alfredo; LE COMUNITA BIOTICHE 129 con Elisabetta che vende abiti che arrivano da Firenze, e cosi ci porta fuori della comunita e ci introduce in rapporti pil generali e pit indefiniti, ma non meno essenziali. La base logica per lo studio dei rapporti tra i viventi non sono gli individui 0 Je specie, ma la comunita biotica. E qui incontriamo un problema di definizione. La definizione di comunita La maggior parte degli ecologi ha fatto le sue ricerche nella zona temperata nelle foreste di pini o di faggi, e si é abituata a pensare la comunita biotica come determinata da una specie particolare, do- minante, di organismo. Si considera dominante quella specie che controlla Pintera comunita per il semplice numero degli individui, 0 per il volume di protoplasma, o per un effetto biologico che tocca un po’ tutti gli organismi. L’intero complesso degli organismi viventi in una foresta di pini o di faggi ¢ dominato ovviamente dai pini o dai faggi, cosicché questi alberi rappresentano una comoda guida per definire i limiti di quelle particolari comunita. Ma nella foresta tropicale é vano il cercare una qualche partico- lare specie di organismo dominante nel senso che si é detto per il pino o il faggio nelle loro foreste. La mia esperienza ai tropici mi ha appunto reso molto dubbioso riguardo allintera idea ecologica dei dominanti. L’idea funziona abbastanza bene nei boschi di pini, ma anche nella zona temperata bisogna fare uno sforzo di immagina- zione per applicarla in un lago, in un corso d’acqua o sulla costa del mare. To credo che l’elemento essenziale nel concetto di comunita sia Vinterdipendenza dei suoi diversi membri per cui essi formano una unita funzionante. La comunita rappresenta lo specifico livello ge- nerale di organizzazione che viene subito al di sopra di quello del- Pindividuo e quello della popolazione. Gli individui di una data specie sono organizzati in popolazioni attraverso i loro legami gene- tici, ma il comportamento e la storia di queste popolazioni omogence 130 CAPITOLO OTTAVO rispetto alla specie possono essere compresi soltanto se correlati al comportamento e alla storia delle altre popolazioni con cui vengono a contatto. Si pud definire la comunita, almeno cosi mi sembra, come il pid piccolo gruppo di popolazioni studiabile e inquadrabile come una unita pid o meno autosufficiente. Si arriva dunque a un parallelo con la definizione data da Toyn- bee di un concetto egualmente difficile, quello di “civilta”. Una comunita biotica pud ben essere definita come “un campo di studio comprensibile” dal punto di vista delle relazioni fra differenti specie di organismi. Si tratta di un’unita di ricerca ecologica, proprio come una civilta é un’unita di ricerca storica. Toynbee ha messo in evidenza come la storia inglese risulti in- comprensibile se considerata come un campo a sé. Dal suo primo chiaro capitolo, la conversione della popolazione al Cristianesimo, fino all'ultimo, cioé l’affermarsi dell’economia industriale, il corso degli avvenimenti in Inghilterra non ¢ comprensibile se non attra- verso la considerazione degli avvenimenti negli stati nazionali vi- cini, Ma nel seguire la genesi di questi fatti, lo studioso scopre che non é necessario prendere in considerazione tutto il mondo ma che si possono stabilire dei limiti pid o meno definiti di spazio e di si possono stabilire dei limiti pit o meno definiti di spazio e di tempo, limiti che, nel caso in questione definiscono per Toynbee il campo particolare della civilta cristiana d’Occidente. Entro questo campo, la maggior parte dei rapporti é diretta verso l’interno, come del resto avviene nelle altre civilta contemporanee, la Cristiano-ortodossa, VIslamica, I’Indiana e quella dell’Estremo Oriente. Un concetto come quello di campo di studio comprensibile non offre una serie di unita nettamente definite; d’altro canto la materia da studiare, a questo livello, non é composta di unita nettamente de- finite. La cultura umana é un continuo, ma é un continuo con dei tratti salienti, sia nello spazio che nel tempo, cosicché il problema sta nel riconoscere questi tratti particolari e seguirne lo sviluppo e le caratteristiche. Perfino un fenomeno apparentemente cosi isolato come la civilta Maya é collegato al filone generale della cultura. LE COMUNITA BIOTICHE 131 Deve aver preso il via da popolazioni che quando lasciarono il vec- chio Mondo lungo il ponte delle Isole Aleutine o attraverso il Pa- cifico, si portarono dietro un certo corredo culturale, e questo cor- redo culturale rappresenterebbe il punto d’incontro fra le civilta del Vecchio e del Nuovo Mondo. Naturalmente fra le civilta del Vec- chio Mondo i rapporti sono numerosi, in parte anche ovvi, e di va- rio genere. La cosa importante é che si tratta di rapporti esterni, il che significa che il loro studio non é essenziale per comprendere lo sviluppo di eventi entro una singola civilta. Non deve sembrare particolarmente strano che civilta e comunita biotiche siano soggette allo stesso tipo di procedimento per essere definite, trattandosi in entrambi i casi di fenomeni biologici relativi a un raggruppamento di organismi individuali. L’analogia sarebbe stata anche pit stretta se Toynbee avesse considerato le culture in- vece delle civiltd le quali sono essenzialmente un particolare tipo di sviluppo culturale: semplicemente, le civilta sono gli unici raggrup- pamenti culturali strettamente legati al problema particolare della storia. Se si fosse studiata l’etnologia umana, piuttosto che la storia, Vinteresse si sarebbe concentrato sullo sviluppo delle relazioni cul- turali in generale, e la civilta sarebbe apparsa in prospettiva come un particolare tipo di sviluppo caratteristico di poche culture sparse. 1 limiti della comunita Una quercia pud sembrare, da sola, tutto un mondo. Centinaia di organismi appartenenti a dozzine di specie possono dipendere da essa per il cibo, pud offrire sostegno a delle bromeliacee e altre epi- fite, protezione agli uccelli che nidificano fra i suoi rami. Le foglie che lascia cadere si decompongono, e le caratteristiche dello strato di foglie di quercia possono determinare il tipo di organismi del suolo e la tendenza evolutiva del suolo stesso. Ma questo insieme di organismi non forma una comunita. Non si tratta di una “unita di studio comprensibile”. Se cominciamo ad analizzare i rapporti dei vari organismi associati all’albero di quercia, 132 CAPITOLO OTTAVO ci troviamo di continuo trascinati lontano da quella associazione entro qualche raggruppamento pid ampio. I bruchi che si cibano delle foglie della quercia sono stadi dello sviluppo di una farfalla che ticava il cibo dai fiori gialli di un cespuglio a una certa distanza. Gli uccelli che fanno il nido sull’albero cercano il cibo nella vicina fo- resta, e il loro comportamento non pud essere studiato in relazione all’albero, ma soltanto in relazione alla foresta. Allo stesso modo tro- viamo che le associazioni di organismi nel suolo non dipendono tanto dal fatto che si trovano sotto un albero di quercia, quanto dal- Tessere parte di una foresta di querce. La nostra comunita biotica é quindi la foresta, non l’associazione intorno all’albero. Il complesso di organismi che compongono la foresta forma appunto un comprensibile campo di studio, in cui gli avvenimenti e i rapporti possono essere compresi facendo riferi- mento soltanto casuale e occasionale a fenomeni esterni. I] campo dazione degli uccelli che nidificano nel nostro particolare albero dipende dai loro rapporti con gli uccelli negli alberi circostanti, dal territorio disponibile per ciascuna famiglia nella foresta. Il tipo di cibo che possono raccogliere é frutto di una selezione tra quelli di- sponibili nella foresta. Il numero di bruchi di una data specie che divorano le foglie della quercia dipende dalla densita della popola- zione di quella particolare specie nella foresta, che é a sua volta frutto di un equilibrio di parassiti, di relazioni climatiche e cosi via. Le caratteristiche della foresta nel suo insieme possono essere messe in relazione col clima della regione, con i fattori fisici e chimici del- Yambiente. Si pud capire il clima all’interno della foresta riferendosi alla densita ¢ alla mole degli alberi. La foresta costituisce una comu- nita biotica, Uno stagno nella nostra foresta pud essere abitato da una comu- nita distinta oppure no: Ia risposta immediata, a una indagine sugli organismi dello stagno. Se lo stagno formasse una unita comprensi- bile senza particolare riferimento alla foresta, rappresenterebbe senza dubbio una comunita separata. Ma si potrebbe scoprire che il com- portamento degli abitanti dello stagno ¢ costantemente condizionato

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