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NORMATIVA SCOLASTICA ITALIANA

Dalla Legge Casati alla Riforma Gentile


Il primo testo normativo italiano in materia di istruzione porta il nome del Ministro
della pubblica istruzione Gabrio Casati.
Atto di nascita della scuola nazionale, in particolare della scuola elementare, con
questo provvedimento legislativo si affrontava per la prima volta in maniera organica
il problema dell’educazione. Il suo ambito di applicazione fu esteso ai diversi territori
conquistati nel processo di unificazione italiana, ma rimase comunque una scuola
inefficiente, sia per la scarsa attrezzatura che per la mancanza di strutture e personale
docente.
È certo, comunque, che alcune affermazioni della Legge Casati, come la gratuità e
l’obbligatorietà della scuola primaria, il superamento della distinzione educativa tra
maschi e femmine e l’esigenza di una più adeguata preparazione professionale dei
docenti restarono alla base delle future riforme dell’istruzione pubblica.
Esso si colloca nel contesto sociale della seconda metà dell’Ottocento, caratterizzato
da un diffuso analfabetismo, e fu considerato un vero e proprio codice dell’istruzione
che regolava tutta la materia: dall’amministrazione all’organizzazione della scuola per
ordini e gradi (struttura, materie d’insegnamento, personale).
La Legge Casati rimase in vigore fino al 1923, quando venne varata la riforma Gentile.
Con tale legge fu sancito il riconoscimento del diritto-dovere dello Stato di intervenire
in materia scolastica, sostituendo e affiancando la Chiesa da secoli detentrice del
monopolio dell’istruzione.
L’obiettivo principale della legge Casati consisteva nel garantire un minimo di
istruzione alla popolazione analfabeta: ci si accorse subito però che la legge non
sarebbe stata in grado di risolvere il problema del diffuso analfabetismo in Italia. Il
metodo d’insegnamento adottato era di tipo trasmissivo-mnemonico: l’insegnante, in
quanto soggetto depositario di conoscenze e valori indiscutibili, aveva il compito di
trasmetterli ai propri allievi.
Riguardo all'Istruzione superiore, l'art. 47 della legge Casati specifica che essa ha il
fine di indirizzare i giovani «nelle carriere sia pubbliche che private in cui si richiede la
preparazione di accurati studi speciali, e di mantenere ed accrescere nelle diverse
parti dello Stato la cultura scientifica e letteraria». Riguardo alle scuole medie inferiori
e superiori, la legge sancisce la divisione tra istruzione secondaria classica e istruzione
tecnica, cui si attribuiscono finalità specifiche.
L’istruzione tecnica e professionale (agraria, commerciale, nautica, artistica), ritenute
tipiche della classe subalterna erano precluse a qualsiasi sbocco universitario.
Il sistema così configurato risultò comunque classista, dato il fenomeno
dell’autoesclusione culturale in virtù del quale l’istruzione tecnica sembrava destinata
a formare la classe operaia specializzata, mentre l’istruzione classica di stampo
umanistico, che consentiva l’accesso a tutte le facoltà universitarie, era riservata ai
figli delle famiglie più agiate, destinati a incarnare la futura classe dirigente.
La successiva Legge Coppino (1877) non sortì risultati migliori per quel che riguarda il
proposito dell’alfabetizzazione, nonostante l’impostazione dell’obbligo ai genitori di
far frequentare ai propri figli la scuola fino all’età di 9 anni, pena l’applicazione di
sanzioni. Il vero nodo cruciale della legge era tuttavia costituito dall’impostazione
laica dell’insegnamento, conl’ambigua posizione assunta dalla legge nei confronti
dell’insegnamento della religione: essa, sebbene non esplicitamente abolita, non
compare più tra le materie; al suo posto è inserito l’insegnamento delle “prime
nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino”, il che metterà in allarme larghe frange
dell’opinione pubblica cattolica.

LaLegge Orlando dell’8 luglio 1904, n. 407, prolunga l’obbligo scolastico fino al 12°
anno di età (4 anni di scuola elementare propriamente detta ed il passaggio alla
scuola media, dopo un esame di maturità, per i più fortunati, oppure la frequenza dei
due anni del corso popolare per chi è destinato alle attività lavorative manuali);
istituisce le scuole serali per gli analfabeti, la refezione e l’assistenza scolastica a carico
dei Comuni per i più poveri e la creazione della Direzione generale
dell’istruzioneelementare.
Anche stavolta, però, gli effetti non furono quelli sperati, in quanto i contributi statali
si rivelarono ben presto inadeguati. L'analfabetismo non decrebbe, mentre acquistò
sempre più forza il convincimento che all'istruzione e alla formazione dei cittadini non
dovessero provvedere i Comuni, bensì lo Stato.
Dopo il primo conflitto mondiale lo Stato si impegnò a fornire un assetto organico al
sistema scolastico, riesaminando le norme in vigore e rimuovendo quanto di
improduttivo e imperfetto sussisteva nell'organizzazione della scuola.
Giovanni Gentile in tutto l'arco della sua produzione culturale, dell'attività di docente
e di ministro, sostenne sempre i principi su cui impostò la sua riforma. Un programma
variamente documentato ed argomentato, che ruota attorno alla differenziazione
della scuola popolare, dei lavoratori e dei tecnici, da quella delle élites sensibili alle
problematiche culturali e filosofiche.
Gentile crede che la scuola serva alla classe dirigente, che per definizione deve dare
sempre il meglio di sé per guidare le masse e tutto il Paese e quindi è quel ceto che
deve poter frequentare al meglio la scuola migliore.
È, infatti, ancora e più di prima il liceo l’elemento caratterizzante di tutto il nuovo
impianto istituzionale: il ginnasio opera la selezione, ergendosi a barriera tra coloro
che sono destinati ad alti ruoli sociali (e quindi all’accesso all’Università) e quanti che
sono destinati nell’immediato futuro ai lavori manuali o all’attività professionale.
La riforma Gentile non aveva niente a che fare con le proposte che il fascismo aveva
avanzato fino a qualche tempo prima sulla scuola. Essa era una riforma che traeva le
sue origini dalla legge Casati. La differenza tra le due normative sta nel fatto che la
riforma Gentile cerca di dare una base teoretica e filosofica a un sistema scolastico
che la legge Casati aveva costruito spinta soprattutto da preoccupazioni politiche.
Gli altri punti-chiave della riforma furono:
- estensione dell'obbligo scolastico fino al 14° anno di età, con un corso elementare
della durata di cinque anni e un corso di avviamento professionale della durata di 3
anni;
- istituzione di scuole speciali per gli handicappati sensoriali;
- riformulazione di tutti i programmi scolastici;
- istituzione del liceo scientifico, dell'istituto magistrale e dell'esame di maturità;
- insegnamento obbligatorio della religione cattolica;
- istituzione di rigidi controlli sull'inadempienza dell'obbligo scolastico.
La riforma inserisce, nel sistema scolastico, la Scuola materna (3 anni); essa non è
statale ed è facoltativa.
La Scuola elementare divisa in 2 cicli (2+3). Programmi della scuola elementare saranno
elaborati sempre nel 1923 dal pedagogista Lombardo-Radice. Essi mirano a valorizzare
la spontaneità, la creatività e l’espressività del bambino attraverso l’educazione
religiosa, linguistica ed artistica. Il maestro non è vincolato a comportamenti educanti
prescritti ma è lasciato libero di agire in base alle esigenze della realtà concreta in cui
opera.
La «Carta della scuola» (1939) del Ministro Bottai stabilisce che la scuola materna deve
accogliere bambini in età da 4 a 6 anni e prepararli alla scuola elementare.

Costituzione e dopoguerra
“Ogni individuo ha pieno e uguale diritto all’educazione e all’istruzione, un diritto
indispensabile al graduale sviluppo della personalità. Se questo diritto non fosse concesso al
fanciullo, sarebbe compromessa quella formazione dell’uomo che sta alla base di una
Costituzione democratica”.
Aldo Moro

Gli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale possono essere


considerati come un vero e proprio spartiacque epocale; eppure, nonostante gli
avvenimenti seguiti alla caduta del fascismo ed alla creazione di un nuovo ordine
mondiale abbiano apportato numerosi cambiamenti politici ed istituzionali nel nostro
Paese, il sistema dell’istruzione ha sofferto in quel periodo una fase di stallo.
La nostra Costituzionerepubblicana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948,dedica alcuni
articoli all’istruzione, considerata come uno dei fini di cui ogni Stato deve farsi carico
per procurare maggiore benessere alla collettività e per migliorare ed elevare le
condizioni di vita dei cittadini.
In particolare la scuola è considerata ponte di passaggio tra la famiglia, primigenio
nucleo sociale e formativo della persona, e la società, luogo naturale di integrazione
con gli altri individui e di esplicazione della propria personalità.

Gli articoli principali, pur nei limiti della loro formulazione, sono stati un costante
punto di riferimento ed anche uno strumento di difesa e di proposta per quelle forze
politiche, sindacali e degli insegnanti, delle famiglie, degli allievi, che durante gli anni
difficili della storia della Repubblica non hanno mai smesso di puntare su un
rinnovamento democratico e civile della nostra scuola.
Relativamente al mondo dell’istruzione e della scuola, gli articoli più importanti sono:
Art. 31, comma 2: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti
i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”Questo secondo
comma porta una reale innovazione nel modo di impostare i rapporti tra la
formazione della persona e la situazione economica, sociale, politica.
Art. 9. “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e
tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”

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Art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua,
di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione
politica, economica e sociale del Paese.”
Tale articolo consacra lo Stato italiano come Stato di cultura, col preciso compito di
farsi carico della promozione culturale dei suoi cittadini, ovvero di fornire le condizioni
e i presupposti per il libero sviluppo della cultura e dell’istruzione, considerate fra i
più rilevanti parametri di crescita dell’individuo sotto il profilo personale e civile.
Gli artt. 332 e 343disciplinano l’istruzione scolastica secondo i seguenti principi:
- libertà di insegnamento
- disponibilità di scuole statali per tutti i tipi, ordini e gradi di istruzione
- libero accesso all’istruzione scolastica, senza alcuna discriminazione
- obbligatorietà e gratuità dell’istruzione dell’obbligo
- riconoscimento del diritto allo studio anche a coloro che sono privi di mezzi, purché
capaci e meritevoli, mediante borse di studio, assegni e altre provvidenze da
attribuirsi per concorso
- ammissione, per esami, ai vari gradi dell’istruzione scolastica e dell’abilitazione
professionale
- libera istituzione di scuole da parte di enti o privati
- parificazione delle scuole private a quelle statali, quanto agli effetti legali e al
riconoscimento professionale del titolo di studio.
Oltre che dallo Stato in prima persona, i compiti sopra indicati sono e devono essere
espletati anche da altri soggetti: Regioni, Città metropolitane, Province, Comuni,
Comunità montane, Aziende/ASL ecc.

Il comma 1 dell’art. 33 Cost. stabilisce che “L’arte e la scienza sono libere e libere ne è
l’insegnamento”. I termini arte e scienza devono essere intesi nell’accezione più
ampia possibile, in modo da abbracciare qualunque manifestazione dello spirito
compatibile con l’insegnamento. Secondo la comune accezione, la libertà
d’insegnamento dei docenti si specifica ulteriormente nella:
- libertà di manifestare il proprio pensiero con ogni mezzo possibile di diffusione;
- libertà di professare qualunque tesi o teoria si ritenga degna di accettazione;
- libertà di svolgere il proprio insegnamento secondo il metodo che appaia opportuno
adottare.
È dunque riconosciuta al docente la libertà di esercitare le proprie funzioni didattiche
e di ricerca scientifica senza vincoli di ordine pubblico, religioso o comunque
ideologico.

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Art. 33: “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai
loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.
È prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione
all'esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi
dello Stato.”
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Art. 34: “La scuola è aperta a tutti.
L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere
attribuite per concorso.”
La scuola democratica
Il primo importante provvedimento strutturale in materia scolastica, in un'Italia che
da paese agricolo si trasformava in paese industriale, è la Legge n. 1859/1962 che
istituì per la prima volta la scuola media unica e obbligatoriae senza lo studio del
latino, che permetteva l'accesso a tutte le scuole superiori, dando attuazione al
principio costituzionale dell'obbligatorietà e gratuità dell'istruzione impartita per
almeno otto anni (da 6 a14 anni).
Le convergenze politiche e le motivazioni democratiche si sommano al venir meno
delle resistenze da parte del ceto imprenditoriale, il quale comprende, ormai, che la
professionalità anticipata e per di più scarsamente specializzata si traduce in un
danno per l’organizzazione del lavoro; la scuola media assume caratteri orientativi e
formativi, tende a creare una certa omogeneità della cultura di base contemporanea
e cerca di saldare la cultura umanistica con quella scientifica e tecnologica.
L’inserimento della metodologia della ricerca, dei laboratori intende cambiare le
modalità dell’insegnamento e dell’apprendimento, anche per garantire una maggiore
apertura al mondo esterno ed alle problematiche quotidiane, compresa la vita reale
della società, delle famiglie ed in particolare dei ragazzi: si tratta in sostanza di
svecchiare il sistema scolastico.
La contestazione studentesca, anche se non priva di contraddizioni, ebbe il merito di
porre al centro delle questioni politiche i problemi presenti e connessi con la scuola:
nel 1969 (Legge n. 910) fu approvata la legge sul riordinamento degli esami di Stato di
maturitàe si aprirono tutte le facoltà a tutti i diplomati.

Gli anni ’70 sono caratterizzati da iniziative legislative orientate a soddisfare istanze di
natura “sociale” emerse sia prepotentemente attraverso le lotte studentesche del ’68
sia più pacatamente attraverso la riflessione delle diverse componenti della società.
Dall’insieme del dibattito emergono due esigenze complementari: da una parte che la
Scuola si apra alla Società, dall’altra che la Società si impegni a sostenere ed integrare
l’azione formativa della Scuola.
Nel 1974 furono emanati molti Decreti delegati (confluiti poi nel Testo unico delle
leggi sulla scuola del 1994) che mirano a promuovere la “gestione sociale” della
scuola e a metterla nelle condizioni di rispondere più adeguatamente ai bisogni della
società introducendo forme di flessibilità (curricoli, orari, programmi, metodologie)
attraverso la “sperimentazione”.
Con i Corsi sperimentali si è cercato di venire incontro al diritto allo studio dei
lavoratori, di rendere effettiva la norma costituzionale, di ovviare ai fenomeni
dell’emarginazione e dell’abbandono scolastico ed, inoltre, di migliorare la
preparazione culturale dei lavoratori. Per la prima volta la scuola italiana e gli
insegnanti entrano in contatto con la fabbrica, con gli imprenditori, con i lavoratori,
con una realtà umana e sociale conosciuta molto spesso solo attraverso le indagini, le
inchieste, i libri. Si modifica anche tutto l’armamentario pedagogico, didattico,
educativo, scolastico relativo all’educazione popolare; la presenza di nuovi soggetti
sociali (lavoratori, sindacati) pone il problema dell’educazione degli adulti in termini
più realistici con modalità di riscontro decisamente nuove.
L’introduzione dei Decreti Delegati ha avuto nella scuola italiana un indubbio effetto
di mobilitazione di risorse e le molte sperimentazioni avviate hanno fortemente
contribuito ad innovare il modo d’essere e di funzionare delle istituzioni scolastiche.
Ma, in realtà, l’autentica carica riformatrice dei decreti si spense velocemente.
Ciò spiega perché l’Amministrazione scolastica abbia deciso di ricondurre a sistema la
varietà delle esperienze, accogliendone la migliore eredità e disseminandola
attraverso i “ProgettiAssistiti”.
La Legge n. 517/1977 abolì gli esami di riparazione nella scuola elementare e media,
(mentre per le superiori, la legge che abolì gli esami di riparazione è la legge
352/1995) introdusse i giudizi al posto dei voti, sostituì la pagella con la scheda di
valutazione e soprattutto integrò gli alunni disabili nelle classi normali prevedendo gli
insegnanti di sostegno.
Nel corso degli anni ’80 l’ampia diffusione dei Progetti assistiti ha permesso un
profondo rinnovamento dei curricoli, nonostante l’assenza di una riforma della scuola
secondaria, su cui è mancato l’accordo delle forze politiche.
Nel 1988 furono rivisti i programmi della scuola secondaria superiore, potenziando la
lingua inglese, la matematica e l'informatica.
Negli anni ʼ90si registra un'attenzione particolare del legislatore in materia scolastica.
Si chiede alla Scuola di fornire un “prodotto” diverso, di qualità, e di aprirsi
effettivamente alla Società, accettando di condividere con altri soggetti la
responsabilità dei processi formativi.
Legge Bassanini e il processo autonomistico: DPR 275/1999
Nella seconda metà degli anni ʼ90 si avvia un processo riformatore di
modernizzazione e razionalizzazione della pubblica amministrazione italiana, portato
avanti da una serie di provvedimenti promossi dall'allora Ministro della funzione
pubblica Franco Bassanini. Con tali leggi si realizzò una radicale riforma del sistema
amministrativo volta a creare amministrazioni più efficienti, più snelle e capaci di
assicurare servizi di maggiore qualità. Tale obiettivo è stato perseguito seguendo due
linee: la semplificazione amministrativa e il federalismo amministrativo.
Applicando per la prima volta nel nostro ordinamento il principio di sussidiarietà, già
presente nella normativa europea (principio in base al quale le decisioni vanno prese
dell'ente più vicino possibile ai cittadini), si assistette a un massiccio trasferimento di
funzioni amministrative (e di beni e risorse connessi) dall'amministrazione statale alle
amministrazioni regionali e locali sulla base del principio per il quale ogni funzione
amministrativa e ogni compito non esplicitamente mantenuto in capo allo Stato
devono necessariamente essere attribuiti alle competenze delle Regioni o di altri enti
locali.
Con la Legge 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e
compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per
la semplificazione amministrativa, il Parlamento italiano ha dato una prima risposta
alle istanze autonomistiche provenienti ormai da tutto il Paese, delegando il Governo
a conferire alle Regioni e agli enti locali tutte le funzioni che, alla luce della
Costituzione vigente, non devono necessariamente essere esercitate dallo Stato e a
realizzare una generale riforma dell’amministrazione dello Stato.
Nel quadro della riorganizzazione e della ridistribuzione delle competenze tra Stato,
Regioni ed enti locali, l'articolo 1 ha previsto che nella materia dell'istruzione spettano
allo Stato le funzioni e i compiti riconducibili agli ordinamenti scolastici, ai programmi
scolastici, all’organizzazione generale dell'istruzione scolastica e allo stato giuridico del
personale della scuola. Per bilanciare tale determinazione, che di fatto ribadisce la
prevalente competenza statale in materia di istruzione, l'articolo 21 dellamedesima
legge ha realizzato un decentramento molto spinto di competenze in favore delle
istituzioni scolastiche, attribuendo loro autonomia didattica, organizzativa, di ricerca
e di sviluppo e dotandole, a tal fine, di personalità giuridica. Le disposizioni
sull’autonomia delle istituzioni scolastiche sono quelle attorno alle quali ruota tutta la
riorganizzazione del sistema dell’istruzione sia dal punto di vista dei contenuti che da
quello dell’organizzazione amministrativa.
Il cuore della riforma, dunque, per quanto riguarda il sistema scolastico italiano sta in
quella parte dell’articolo 21 della legge n. 59 che definisce l’autonomia didattica e
organizzativa attraverso la quale le scuole che abbiano ottenuto la personalità
giuridica e l’autonomia amministrativa potranno differenziare e ampliare l’offerta
formativa ed essere sedi di ricerca, sperimentazione e sviluppo. Dalla legge emerge,
con tutta evidenza, che tali aspetti dell’autonomia, benché apprezzati come valore in
se stessi, non costituiscono il fine della riforma, ma il mezzo attraverso il quale lo
Stato intende assicurare un migliore e più efficace servizio nel settore dell’istruzione e
della formazione. In altre parole, l’autonomia è vista come lo strumento per rendere
possibile il raggiungimento di migliori livelli di successo formativo, sia dal punto di
vista qualitativo (mediante una maggiore attenzione ai bisogni di singoli e di gruppi)
sia dal punto di vista quantitativo (mediante l’arricchimento dell’offerta formativa e la
possibilità di esercitare opzioni). In questo quadro alle scuole è affidata la
responsabilità di individuare strategie, metodi e strumenti per il conseguimento degli
obiettivi e degli standard nazionali, che costituiscono il limite invalicabile per
l’esercizio dell’autonomia.
L'attuazione dell'autonomia finanziaria, organizzativa e didattica delle istituzioni
scolastiche costituiva il percorso obbligato che il legislatore doveva seguire per
realizzare una riforma della scuola in termini di modernità ed efficienza.
Con questa riforma la scuola diventava un centro di erogazione di servizi, un soggetto
protagonista in grado di progettare, programmare percorsi didattici, elaborare nuovi
metodi e ottemperare ai compiti di ricerca e sperimentazione.
Per dare attuazione all'art. 21 della Legge Bassanini fu emanato il DPR 8 marzo del
1999 n. 275, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni
scolastiche.
L’autonomia organizzativa, di cui all'articolo 5 del DPR 275/1999, si sostanzia
nell'adozione di modalità organizzative e di utilizzo dei docenti che sono espressione
di libertà progettuale in coerenza con gli obiettivi generali e specifici di ciascun tipo e
indirizzo si studio, al fine di curare la promozione e il sostegno dei processi innovativi
e il miglioramento dell'offerta formativa.
Per effetto dell’autonomia organizzativa le scuole possono, ad esempio, definire il
calendario delle lezioni, anticiparne o posticiparne l’inizio o la fine, fissare periodi
ordinari o straordinari di vacanza, organizzare attività didattiche esterne, prevedere
per i docenti periodi destinati all’aggiornamento, promuovere attività di
formazione,etc.
L'autonomia organizzativa, utilizzando la variabilità dei tempi, degli spazi e dei gruppi,
determina il passaggio da un assetto rigido a un'organizzazione che favorisce
l'interconnessione delle variabili dell'organizzazione scolastica in funzione di una
migliore pianificazione dell'offerta formativa, in conformità con le caratteristiche della
popolazione studentesca e delle sue esigenze. Essa libera le scuole da tutti i vincoli
interni ed esterni ed allarga verso l’esterno la loro capacità giuridica consentendo la
realizzazione di progetti integrati anche tra diversi sistemi formativi e ampliamenti
dell’offerta formativa che vanno dall’educazione permanente a rapporti di
interscambio con il mondo del lavoro, alla partecipazione a programmi nazionali,
regionali o comunitari.
L’autonomia didattica, di cuiall'art. 4 del DPR 275/1999, concede alle istituzioni
scolastiche, nel rispetto della libertà d'insegnamento, della libertà di scelta educativa
delle famiglie e delle finalità generali del sistema, la possibilità di adattare gli obiettivi
nazionali ai percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e
alla crescita educativa di tutti gli alunni, riconoscendo e valorizzando le diversità,
promuovendo le potenzialità di ciascuno, adottando tutte le iniziative utili al
raggiungimento del successo formativo.
La metodologia tradizionale (libro di testo, lezione frontale, orario frazionato) non è
più indispensabile ed è consentita la programmazione di percorsi e tempi di
insegnamento più consoni alla natura e alle esigenze delle singole discipline e alle
esigenze formative degli studenti. Essa consiste nella formulazione dei curricoli a
livello delle scuole: in concreto ogni istituto, in base alle indicazioni nazionali del
Ministero della Pubblica Istruzione (obiettivi formativi generali), alle indicazioni di
indirizzo e alle singole discipline (obiettivi formativi specifici) ha la possibilità di stilare
un curricolo autonomo. Al posto dei programmi nazionali vengono organizzati degli
obiettivi didattici per permettere ad ogni studente, in base alle proprie capacità, di
completare il programma annuale previsto. Tutto l’insegnamento è perciò regolato sui
ritmi di apprendimento del singolo alunno. L'autonomia didattica apre inoltre la
strada all’individuazione di obiettivi locali che integrino gli obiettivi nazionali
mediante l’attivazione di insegnamenti facoltativi, opzionali oaggiuntivi.
L'autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, sancita in base all'articolo 6 del
DPR 275/1999, in ambito scolastico si sostanzia nella possibilità di rispondere
adeguatamente ai bisogni educativi degli studenti e alle attese delle famiglie e del
territorio migliorando l'efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento,
tenendo conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà
locali e della libertà d’insegnamento dei docenti.
Fra le prerogative assegnate sulla base di tale articolo figurano:
• la progettazione formativa e la ricerca valutativa;
• la formazione e l’aggiornamento culturale e professionale del personale
scolastico;
• l’innovazione metodologica e disciplinare;
• la ricerca didattica sulle diverse valenze delle tecnologie dell’informazione e
della comunicazione e sulla loro integrazione nei processi formativi;
• la documentazione educativa e la sua diffusione all’interno della scuola;
• gli scambi di informazioni, esperienze e materiali didattici;
• l’integrazione fra le diverse articolazioni del sistema scolastico e con i soggetti
competenti dei diversi sistemi informativi.

L’autonomia delle singole scuole si compone, oltre all’autonomia didattica,


organizzativa e di ricerca, anche di alcuni elementi di autonomia finanziaria e
gestionale.
Il tradizionale modello “verticistico” di organizzazione dell'istruzione viene ad essere
sostituito da un modello “orizzontale flessibile”, formato dall'insieme delle unità
scolastiche nelle quali si fa istruzione, ricerca, formazione, nel rispetto di standard di
qualità fissati dal centro che, liberato dai compiti di gestione, assume la responsabilità
del governo del sistema, svolgendo funzioni di indirizzo e di controllo. Attraverso
l'autonomia le istituzioni scolastiche diventano protagoniste del processo formativo,
dato che le decisioni e le connesse responsabilità sono assunte dagli organi di
autogoverno. L'autonomia didattica e organizzativa comporta, tra l'altro, una forte
flessibilità nell'organizzazione della didattica e la possibilità, per ogni scuola, di offrire
insegnamenti opzionali, facoltativi, aggiuntivi, superando la rigidità di calendari,
curricoli, orari cattedraecc...
La legge sull'autonomia costituisce il fondamento e il termine di riferimento di tutta
una serie di altre iniziative che, assunte a livello legislativo o amministrativo,
disegnano la Riforma generale del sistema scolastico italiano.
Le istituzioni scolastiche autonome, in quanto dotate di personalità giuridica, possono
essere soggetti di accordi di rete fra scuole e/o enti di varia natura (università,
associazioni, enti di formazione), anche privati, per la migliore attuazione di progetti
didattici, di ricerca e sviluppo, di formazione e aggiornamento.
Le riforme degli anni 2000

Gli obiettivi dell'intervento riformatore promosso dal Ministro della Pubblica


Istruzione Luigi Berlinguer, e successivamente da Tullio De Mauro, sono stati
individuati attraverso l'analisi dei punti deboli dell'ordinamento e la riflessione sui
mutamenti intervenuti nella società. La riflessione ha riguardato, innanzitutto, la
funzione stessa della formazione che, in un contesto di relativa “stabilità” quale
quello del passato, ha avuto come suo nucleo fondamentale la “trasmissione” di un
insieme consolidato di conoscenze. Le continue rapide trasformazioni in ogni settore
della vita sociale ed economica che caratterizzano il nostro tempo, infatti, hanno fatto
emergere la necessità di sostituire al modello tradizionale della “trasmissione” di
conoscenze con l'acquisizione di competenze e metodi.
Riflettendo sulle caratteristiche che differenziano il nostro tempo dalle epoche
precedenti, la legge sottolineava il superamento dell'idea di “trasmissione delle
conoscenze”, nucleo fondamentale della scuola italiana, a favore del concetto di
“trasmissione-acquisizione di competenze”. I rapidi progressi della scienza e
l'incessante sviluppo tecnologico, infatti, hanno messo in crisi il concetto stesso di
“stabilità delle conoscenze” e fatto emergere il problema, talora drammatico, della
obsolescenza di saperi e abilità. La riforma dei cicli aveva come obiettivo non solo la
crescita qualitativa delle risorse umane, ma anche la loro crescita quantitativa. In una
società realmente democratica, infatti, tutti devono essere posti nella condizione di
acquisire conoscenze, strumenti e metodi per essere protagonisti e per “governare” la
realtà.
Il modello proposto che prevedeva l’adozione di una scansione scolastica articolata in
due cicli (scuola di base e scuola secondaria) in luogo dei tradizionali tre cicli, si
richiamava ai sistemi educativi francese, britannico e spagnolo riformati alla fine degli
anni ’80.
Tale provvedimento normativo, sostanzialmente mai entrato in vigore, fu poi
abrogato dalla cosiddetta riforma Moratti.

L'esigenza di una riconsiderazione complessiva del sistema educativo si è posta in


termini nuovi a seguito dell'entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3, che ha ridefinito, attraverso la modifica del titolo V della Costituzione,
l'assetto delle competenze dello Stato e delle Regioni. In base alla nuova normativa
costituzionale, secondo l’art. 117 allo Stato è attribuita potestà legislativa esclusiva in
materia di “norme generali sull'istruzione” (comma n) e di “determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale” (comma m).
Il diritto all’istruzione e alla formazione è riconosciuto, come diritto sociale, a tutti i
cittadini. Spetta quindi allo Stato la potestà legislativa esclusiva per la definizione del
contenuto essenziale ditale diritto,
cuicorrispondeilcorrelativodovere,dapartedituttelearticolazioniistituzionali della
Repubblica, ciascuna secondo le proprie competenze, di apprestare e assicurare un
servizio adeguato a rendere effettivo tale diritto. Ecco, dunque, che alle singole
istituzioni scolastiche spetta la responsabilità della realizzazione dei diritti dei discenti
nell'ambito delle Indicazioni ricevute e delle risorse assegnate e sono dotate di
autonomia allo scopo di perseguire il successo formativo dei singoli alunni, in termini
di pieno sviluppo della persona umana, nel rispetto dell'identità sociale, culturale e
professionale: tale legge, dunque, sancisce di fatto l’autonomia delle istituzioni
scolastiche.

La riforma Moratti, Legge 53 del 2003,delinea una compiuta e organica riforma della
scuola i cui punti rilevanti sono:
- nuova articolazione degli studi e della formazione scanditi in: scuola dell'infanzia,
primo ciclo e secondo ciclo;
- istituzione di nuovi licei;
- valorizzazione del sistema dell'istruzione e della formazione professionale anche
attraverso il sistema dell'alternanza scuola-lavoro, percorso alternativo riservato ai
giovani compresi nella fascia d'età dai 15 ai 18 anni per assicurare loro l'acquisizione
di competenze spendibili nel mercato del lavoro;
- valorizzazione della qualità del sistema dell'istruzione, attraverso le procedure di
valutazione nazionali.
In sintesi la riforma Moratti fu caratterizzata dal principio tradizionale della
personalizzazione che ribadiva la centralità della persona nel contesto educativo,
riconosceva la ricchezza delle differenze e ne faceva la base per differenziare l'offerta
formativa in termini sia di contenuti che di metodologia. Il diritto all'istruzione
diventava così anche un dovere sociale nel senso che la fruizione dell'offerta di
istruzione e formazione avrebbe dovuto costituire per tutti i minori non solo un
dovere soggettivo ma anche un dovere sociale (articolo 4, comma 2 Costituzione).

Il 18 dicembre 2006 la Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea pubblica


la“Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa a competenze
chiave per l’apprendimento permanente”.Il documento definisce 8 macrocompetenze
(spesso chiamate per brevità “Competenze Europee”) edinvitagli Stati membri a
svilupparne l’offerta nell’ambito delle loro strategie di apprendimento permanente
(che include esplicitamente l’istruzione e la formazione iniziale, ovvero scolastica).
Lecompetenze chiavesono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo
sviluppo personali, lacittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione.
Un importante passaggio del documento stabilisce che essesono considerate
ugualmente importanti: non va quindi stabilita tra di esse una gerarchia.
Esse sono:
1. Comunicazione nella madrelingua
2. Comunicazione nelle lingue straniere
3. Competenze matematica e competenze di base in campo scientifico e
tecnologico
4. Competenza digitale
5. Imparare a imparare
6. Competenze sociali e civiche
7. Spirito di iniziativa e imprenditorialità
8. Consapevolezza ed espressione culturale

Il legislatore italiano ha recepito la raccomandazione europea nell’agosto 2007. Il


Governopromulgava il decreto n. 139, a firma dell’allora ministro
Fioroni,“Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di
istruzione”,D.M. n. 139 del 22 agosto 2007 nel quale la raccomandazione veniva
attuata.
I punti principali del decreto riguardano:
- L’innalzamento dell’obbligo scolastico a 10 anni (dai 6 ai 16 anni);
- Il conseguimento, al termine dell’obbligo di istruzione, di 8 competenze chiave
di Cittadinanza.
Come si può cogliere in merito alle competenze, il legislatore italiano effettua dei
cambiamenti rispetto al dettato europeo, ponendo l’accento sul concetto di
Cittadinanza.
Le otto competenze italiane sono:
1. Imparare a imparare
2. Progettare
3. Comunicare
4. Collaborare e partecipare
5. Agire in modo autonomo e responsabile
6. Risolvere problemi
7. Individuare collegamenti e relazioni
8. Acquisire e interpretare l’informazione

Nel nuovo contesto europeo si imponeva anche in Italia l’esigenza di una riforma di
sistema della scuola che:
- investa l’intero ordinamento degli studi, i contenuti dell’insegnamento, le
metodologie didattiche e organizzative
- riguardi l’istruzione e la formazione professionale, in raccordo sia con l’università, sia
con il mondo del lavoro
- si collochi all’interno dei processi innovativi dello Stato e della Pubblica
amministrazione
- si inserisca quindi a pieno titolo nel quadro europeo.

Sul sostrato normativo rappresentato da tutti gli interventi riformatori degli anni ’90 e
2000, si diede avvio ad una complessiva riorganizzazione di tutto l'assetto
ordinamentale e didattico del sistema d’istruzione e formazione che comunemente
prendono il nome di riforma Gelmini. Tra le varie modifiche si segnalano:
- la reintroduzione del maestro unico nella scuola primariae il riordino del primo ciclo:
DPR 89/2009;
- la reintroduzione dei voti nel primo ciclo;
- l'innalzamento dell'obbligo scolastico fino a 16 anni;
- l’introduzione, in tutto il sistema scolastico, dell’insegnamento di Cittadinanza e
Costituzione;
- il riordino della scuola secondaria di secondo grado4 (DPR 87-88-89 del 2010);
- l'introduzione delle Indicazioni nazionaliper il primo ciclo5e di quelle per i Licei6delle
Linee guida per gli istituti tecnici7 e quelle per gli istituti professionali8atte a definire i
saperi ineludibili, le conoscenze fondamentali che lo studente dovrebbe possedere al
termine del proprio percorso di studi;
4
DPR 87-88-89 del 2010.
5
Decreto Ministeriale 254 del 16 novembre 2012.
6
Decreto Interministeriale MIUR-MEF 7 ottobre 2010, n. 211.
7
Direttiva Ministeriale 57/2010, Linee guidaper il primo biennio istituti tecnici e Direttiva Ministeriale 4/2012, Linee guida per il
secondo biennio e quinto anno istituti tecnici.
8
Direttiva MIUR 65/2010,Linee guida primo biennio istituti professionalie Direttiva MIUR 16.01.2012 n. 5 Linee guida secondo
biennio e quinto anno istituti professionali.
- viene potenziato l’insegnamento della lingua inglese o d’italiano per gli studenti
stranieri;
- si amplia lo spazio all’uso delle nuove tecnologie dell’informazione e della
comunicazione (TIC).

LEGGE 107/2015
Con il riconoscimento dell’autonomia, la scuola si apre alla società e lo fa attraverso il
piano dell’offerta formativa e la costruzione dei curricoli di studio, a riprova del fatto
che l’apprendimento e la diffusione della cultura della conoscenza sono alla base della
sua istituzione.
In tal senso la Legge 107/2015 (“Buona scuola”, Renzi-Giannini) porta a compimento
un processo teso a fare della scuola un’istituzione a servizio della persona, nella
convinzione che la crescita di una comunità dipenda dalle azioni che l’uomo saprà e
vorrà intraprendere in autonomia e responsabilità. Lo studente è posto così “al centro
dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei,
estetici, etici, spirituali, religiosi”.
La Legge è nata anche dal bisogno di un complessivo rilancio dell’organizzazione
scolastica e al fine di assumere i docenti precari, a seguito del “richiamo” avuto
dall’Italia da una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea che dichiarò
contraria al diritto dell’Unione la normativa italiana sui contratti di lavoro a tempo
determinato, in quanto non era giustificato il rinnovo illimitato di tali contratti per
soddisfare le esigenze permanenti e durevoli delle scuole statali9.
Per grandi temi la struttura della legge può essere così sintetizzata nelle sue parti
essenziali:
- Autonomia scolastica (commi 1-27)
- Percorsi formativi per gli studenti (commi 28-62)
- L’organico dell’autonomia (commi 63-76)
- Norme sulla dirigenza scolastica (commi 78-94)
- Assunzione di personale docente e norme generali per i futuri concorsi
(commi 95-114)
- Anno di formazione e di prova (commi 115-120)
- Formazione e aggiornamento dei docenti (commi 121-125)
- Valorizzazione del merito dei docenti (commi 126-130)
- Open data (commi 136-144)
- Agevolazioni fiscali (commi 145-152)
- Scuola innovative e sicurezza degli edifici scolastici (commi 153-176)
- Deleghe al Governo in materia di sistema di istruzione (commi 180-191).

All’art. 1, comma 7 della L. 107/2015 è presente una dettagliata elencazione degli


obiettivi formativi individuati come prioritari nel potenziamento dell’offerta
formativa, qui di seguito sinteticamente citati:
- Valorizzazione potenziamento delle competenze linguistiche, anche mediante
l’utilizzo della metodologia CLIL;
- potenziamento delle competenze logico-matematiche e scientifiche;
- Potenziamento delle competenze musicali, artistiche e nei media di

9
Sez. III, sentenza del 26 novembre 2014, n. C-22/13.
produzione e di diffusione delle immagini e dei suoni;
- Sviluppo delle competenze in materia di cittadinanza attiva attraverso la
valorizzazione dell’educazione interculturale e il sostegno dell’assunzione di
responsabilità;
- Potenziamento delle conoscenze in materia giuridica ed economico-finanziaria
e di educazione all’autoimprenditorialità;
- Sviluppo di comportamenti responsabili ispirati alla conoscenza e al rispetto
della legalità, della sostenibilità ambientale, dei beni paesaggistici, del
patrimonio culturale;
- Potenziamento delle discipline motorie e sviluppo di comportamenti ispirati a
uno stile di vita sano;
- Sviluppo delle competenze digitali degli studenti;
- Potenziamento delle metodologie laboratoriali e delle attività di laboratorio;
- Prevenzione e contrasto della dispersione scolastica, di ogni forma di
discriminazione e del bullismo;
- Potenziamento dell’inclusione scolastica e del diritto allo studio degli alunni
con BES;
- Valorizzazione della scuola intesa come comunità attiva, aperta al territorio e
in grado di sviluppare e aumentare l’interazione con le famiglie e con la
comunità locale, comprese le organizzazioni del terzo settore e le imprese;
- Apertura pomeridiana delle scuole e riduzione del numero di alunni per classe
o per articolazioni di gruppi di classi, anche con potenziamento del tempo
scolastico o rimodulazione del monte orario;
- Incremento dell’alternanza scuola-lavoro nel secondo ciclo di istruzione;
- Valorizzazione di percorsi formativi individualizzati e coinvolgimento degli
alunni;
- Individuazione di percorsi e di sistemi funzionali alla premialità e alla
valorizzazione del merito degli alunni;
- Alfabetizzazione e perfezionamento dell’italiano come lingua seconda
attraverso corsi e laboratori per studenti di cittadinanza o di lingua non
italiana, da organizzare anche in collaborazione con gli enti locali e il terzo
settore, con l’apporto delle comunità di origine, delle famiglie e dei mediatori
culturali;
- Definizione di un sistema di orientamento.

La legge, nel richiamare la centralità che riveste il diritto all’apprendimento in ambito


didattico e formativo, non poteva dunque che riaffermare il significato che riveste
l’autonomia scolastica ai fini dell’allineamento della scuola italiana a quella europea e,
suo tramite, fare della progettazione per competenze il viatico per una concreta e
reale qualificazione dell’offerta formativa. Tutto questo nella consapevolezza che, in
regime di autonomia, l’offerta formativa va sistematicamente monitorata e valutata e,
nel contempo, costantemente ammodernata, per vincere le sfide del futuro.
LA NUOVA RACCOMANDAZIONE DEL PARLAMENTO E DEL CONSIGLIO EUROPEO,
22/05/2018
Il 22 maggio del 2018 il Consiglio dell’UE ha adottato una nuova Raccomandazione
sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente: essa rinnova e sostituisce
la precedente del 2006.
Anche questa Raccomandazione, i quanto atto non vincolante, fornisce agli Stati
membri solo orientamenti. Gli Stati restano i soli responsabili dell’organizzazione del
loro sistema di istruzione e dei contenuti dell’insegnamento.
Tenendo conto delle profonde trasformazioni economiche, sociali e culturali degli
ultimi anni nonché delle gravi difficoltà nello sviluppo delle competenze di base dei
più giovani, il documento fa emergere una crescente necessità di maggiori
competenze imprenditoriali, sociali e civiche. Parallelamente viene sottolineata
l’importanza del sostegno al lavoro degli insegnanti, da realizzare attraverso diversi
canali.
In un contesto di continuo cambiamento socioeconomico qual è quello
contemporaneo, anche le competenze non possono essere considerate statiche ma
devono cambiare nel corso della vita dell’individuo. In questo senso le nuove
competenze chiave vengono declinate in un’ottica meno orientata alle tradizionali
materie “scolastiche” (competenze linguistiche, matematiche ecc.) ma più informale e
trasversale.
In un mondo in rapido cambiamento ed estremamente interconnesso, ogni persona
avrà la necessità di possedere un ampio spettro di abilità e competenze e dovrà
svilupparle ininterrottamente nel corso della vita. Le competenze chiave, come
definite nel nuovo quadro di riferimento 2018, intendono, quindi, porre le basi per
creare società più uguali e più democratiche che soddisfano la necessità di una
crescita inclusiva e sostenibile, di coesione sociale e di ulteriore sviluppo della cultura
democratica.
Le competenze sono definite in questa nuova raccomandazione come una
combinazione di conoscenze, abilità ed atteggiamenti, in cui:
- La conoscenza si compone di fatti e cifre, concetti, idee e teorie che sono già
stabilite e che forniscono le basi per comprendere un certo settore o
argomento;
- Per abilità si intende sapere ed essere capaci di eseguire processi ed applicare
le conoscenze esistenti al fine di ottenere risultati;
- Gli atteggiamenti descrivono la disposizione e la mentalità per agire o reagire
a idee, persone o situazioni.
Le competenze chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo
sviluppo personali, l’occupabilità, l’inclusione sociale, uno stile di vita sostenibile, una
vita fruttuosa in società pacifiche, una gestione della vita attenta alla salute e la
cittadinanza attiva. Esse si sviluppano in una prospettiva di apprendimento
permanente, dalla prima infanzia a tutta la vita adulta (le competenze chiave non
riguardano infatti solo gli studenti ma tutte le persone di qualsiasi età), mediante
l’apprendimento formale, non formale e informale in tutti i contesti, compresi la
famiglia, la scuola, il luogo di lavoro ecc.
Come già quelle del 2006, sono considerazione tutte ugualmente importanti, poiché
ciascuna di esse può contribuire a una vita positiva nella società della conoscenze.
IL PTOF
Originariamente previsto dall'art. 3 del DPR 275/1999, il Piano dell'offerta formativa è
un documento fondamentale, operativo e progettuale, delle singole istituzioni
scolastiche.
Attraverso il Piano dell'offerta formativa (P.O.F.) l'autonomia costruisce le condizioni
giuridiche, organizzative, professionali e di relazione per rendere flessibile l'attività
educativa e per migliorarne così l'efficacia. Nel Piano dell'offerta formativa gli
strumenti di flessibilità fanno emergere e consentono di consolidare comportamenti e
progetti talvolta già in atto: moltissime istituzioni scolastiche hanno infatti avviato da
anni processi di innovazione riuscendo a superare, sia pure con qualche difficoltà, le
rigidità proprie del sistema. Oggi tuttavia la flessibilità, sia quella interna alla singola
istituzione scolastica sia quella propria dell'intero sistema di istruzione e formazione,
è al tempo stesso più necessaria e più facile. Curricoli flessibili, progettati da docenti
messi finalmente in grado di operare in base alle esigenze e alle inclinazioni del
singolo studente, conducono quest'ultimo lungo la strada più adeguata perché
esprima i talenti che possiede. Il successo formativo si rivela, infatti, attraverso la
corrispondenza tra le potenzialità di ciascuno e i risultati che egli ottiene lungo il suo
cammino di apprendimento, nella scuola e fuori di essa, nella fase iniziale della sua
formazione e nel corso della sua intera esistenza. Anche l'alunno in situazione di
handicap ha un successo formativo da conquistare, un successo che consiste nella
piena realizzazione delle sue possibilità. È allora indispensabile che ogni processo di
insegnamento determini un preciso percorso di apprendimento i cui tempi e i cui
traguardi siano perfettamente proporzionati a ciascuno degli allievi a cui si rivolgono.
L'innalzamento dell'obbligo di istruzione, l'introduzione dell'obbligo formativo a
diciotto anni e le nuove norme sulla formazione professionale e l'apprendistato
hanno delineato un vero e proprio sistema formativo integrato. Gli studenti delle
scuole superiori possono così spaziare tra istruzione, formazione professionale e
mondo del lavoro componendo percorsi che realizzano le loro capacità e attese.
I curricoli possono poi essere integrati con discipline ed attività facoltative. Le scuole
possono articolare in moduli il monte ore annuale (ovvero si possono dividere le ore
annuali di una materia in moduli di diversa entità per ciascun periodo dell’anno);
utilizzare le unità di insegnamento diverse dall’ora di 60 minuti; attivare percorsi
didattici individualizzati; dividere il gruppo classe per particolari attività; unire delle
discipline in aree disciplinari e realizzare percorsi di accoglienza, continuità e
orientamento. Alle scuole compete comunque la predisposizione di percorsi di
recupero e di orientamento, così come la definizione, nell’ambito delle indicazioni
nazionali, dei criteri di valutazione e di riconoscimento dei debiti- crediti formativi.
Nell’elaborazione del Piano dell’Offerta Formativa, oltre all’intervento degli insegnanti
e del Dirigente scolastico, assume una funzione decisiva l'apporto delle componenti
fino ad oggi chiamate “esterne”. Infatti anche per queste è prevista una
partecipazione consapevole al progetto della scuola e quindi una maggiore
responsabilità. Genitori e studenti esprimono aspettative ed esigenze (delle quali,
secondo quanto prescrive il Regolamento, il Piano deve tenere conto) e costituiscono
quindi il necessario raccordo tra realtà “interna” della scuola e territorio. La loro
partecipazione alla elaborazione del Piano dell'offerta formativa è libera nelle forme,
in quanto può esprimersi attraverso organismi e associazioni anche di fatto - e ciò
consentirà a genitori e studenti di organizzarsi come meglio credono -, ma necessaria
nella sostanza ed espressamente richiesta dalle norme. Il “clima” e l'armonia di ogni
istituzione scolastica dipendono dal modo in cui queste componenti si collocano
all'interno dei processi che portano alle decisioni.

La Legge 107/2015 lo ha reso triennale ed ha ribadito la sua essenziale funzione: è lo


spazio progettuale nel quale le scuole definiscono la propria visione strategica, lo
strumento di programmazione e gestione interna atto a rilevare la situazione di
partenza della scuola, evidenziare le linee di sviluppo e individuare possibili
scostamenti dagli obiettivi.
Il PTOF deve integrare in modo armonico e coerente gli obiettivi generali e specifici
dei diversi indirizzi di studio, determinati a livello nazionale, con la risposta alle
esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale, a partire
quindi da un’analisi del contesto e dall’interpretazione delle sue esigenze educative.
La legge 107/2015 conservando l’impostazione e le finalità generali del DPR 275/1999
ma aggiornando ed integrando parzialmente lo scenario di riferimento, fornisce alle
scuole, oltre agli obiettivi formativi prioritari di cui al comma 7, significative
indicazioni concernenti alcuni punti qualificanti ed ineludibili del PTOF. Ci si riferisce in
particolare a:
- il piano di miglioramento elaborato a seguito dell’autovalutazione
- la programmazione delle attività formative, rivolte al personale docente e
amministrativo, tecnico e ausiliario
- i percorsi di alternanza scuola-lavoro
- le azioni coerenti con le finalità, i principi e gli strumenti previsti nel Piano nazionale
per la scuola digitale
- i fabbisogni dell’organico dell’autonomia
- il fabbisogno di infrastrutture e di attrezzature materiali
- l’introduzione di insegnamenti opzionali nel secondo biennio e nel quinto anno delle
scuole secondarie di secondo grado, con l’utilizzo delle quote di autonomia e degli
spazi di flessibilità.
Nel PTOF è inserito il Piano per l’inclusione, strumento di riflessione e di
progettazione, elaborato con la finalità di integrare le scelte della scuola in modo
sistematico e connesso con le risorse, le competenze professionali del personale, le
possibili interazioni con il territorio, gli Enti Locali e le ASL.
Il Piano è elaborato dal collegio docenti, sulla base degli indirizzi e delle scelte di
gestione e amministrazione definiti dal dirigente scolastico, che a tal fine tiene conto
anche delle proposte formulare dalle associazioni dei genitori e degli studenti (per le
scuole secondarie di secondo grado). Viene predisposto entro il mese di ottobre del
triennio e può essere rivisto annualmente (sempre entro il mese di ottobre).
Approvato dal Consiglio di circolo o di istituto, è pubblicato sul sito della scuola.
In sostanza il PTOF connota, contraddistingue e diversifica ciascuna realtà scolastica: è
la carta d'identità, la presentazione della scuola nei confronti sia dell'utenza, sia delle
altre realtà socio-territoriali, in primis la famiglia ma anche le imprese, le istituzioni, il
mondo del lavoro. Attraverso il PTOF la scuola presenta le proprie attività, i propri
obiettivi, allo scopo di innescare processi di miglioramento che mirino a potenziare i
processi formativi degli studenti.

GLI ALTRI DOCUMENTI NELLA SCUOLA DELL’AUTONOMIA


Nell'ambito dell'autonomia scolastica la scuola è chiamata a produrre una serie di documenti
che disciplinano i rapporti tra l'organizzazione scolastica erogatrice di servizi e i suoi utenti.
Vediamo quali sono i più importanti:

IL PROGRAMMA ANNUALE
Per realizzare il Piano dell'offerta formativa, ogni scuola ha bisogno di risorse finanziarie. Al
Consiglio di Istituto compete l'approvazione del Programma annuale, che è bilancio della
scuola, cioè, il documento contabile predisposto dalle scuole per lo svolgimento e l'attuazione
della propria attività finanziaria la cui elaborazione e successiva gestione concreta spettano al
dirigente. Il Programma annuale nasce con la funzione di organizzare le risorse finanziarie di
ciascun istituto autonomo in modo utile per la realizzazione delle attività previste nel PTOF.
Il Programma annuale prevede una razionale suddivisione in singole attività e progetti, per
dotare ciascun settore delle risorse finanziarie e dunque strumentali, necessarie.

LA CARTA DEI SERVIZI


Introdotto nel 1995, è un documento nel quale gli enti che erogano servizi pubblici presentano
ai clienti le loro prestazioni. In campo scolastico essa è deliberata dal Consiglio d'Istituto e
informa l'utente circa il servizio erogato dalla scuola, presentando gli elementi dell'offerta
formativa di maggiore rilevanza. Inoltre fornisce informazioni circa le modalità di erogazione del
servizio e descrive i criteri e gli strumenti di valutazione riferiti alle prestazioni.
La Carta dei servizi deve rispondere ai seguenti requisiti:
- chiarezza e leggibilità
- Coerenza interna e pertinenza
- completezza e flessibilità
- praticabilità, confrontabilità e condivisione
- pubblicizzazione e accesso.
L'obiettivo di fondo è quello di garantire alle famiglie-utenti l'informazione sugli standard di
qualità delle prestazioni, mettendole in condizione di controllare la qualità del servizio e,
all'occorrenza, di sporgere reclamo.

IL PEI
Nel DPCM 7 giugno 1995 viene precisato che fra i documenti che devono essere elaborati dalla
scuola figura anche il cosiddetto Progetto educativo d'istituto (PEI), che contiene le scelte
educative e organizzative delle risorse, e costituisce un impegno per l'intera comunità scolastica.
Integrato dal Regolamento d'Istituto, delle proposte culturali, delle scelte educative e degli
obiettivi formativi elaborati dai competenti organi scolastici, provvedendo a regolare, in
particolare, "l'uso delle risorse d'istituto e la pianificazione delle attività di sostegno, di
recupero, di orientamento e di formazione integrata". Inoltre, contiene i criteri concernenti la
formazione delle classi, l'assegnazione dei docenti alle classi stesse, la formulazione dell'orario
del personale docente e ATA, nonché la valutazione complessiva del servizio scolastico.

IL REGOLAMENTO D'ISTITUTO
Comprende le norme riguardanti:
- la vigilanza sugli alunni;
- il comportamento degli alunni e la regolamentazione di ritardi, uscite, assenze, giustificazioni;
- l'uso degli spazi, dei laboratori e della biblioteca;
- la conservazione delle strutture e delle dotazioni.
Nel Regolamento sono altresì definite in modo specifico:
- le modalità di comunicazione con studenti e genitori con riferimento ad incontri con i docenti,
di mattina e di pomeriggio (prefissati e/o per appuntamento);
- le modalità di convocazione e di svolgimento delle assemblee di classe, organizzate dalla
scuola o richieste da studenti e genitori, del Comitato degli studenti e dei genitori, dei Consigli
di intersezioni, di interclasse o di classe e del Consiglio di circolo o d'istituto;
- il calendario di massima delle riunioni e la pubblicazione degli atti.

IL PATTO EDUCATIVO DI CORRESPONSABILITA'


Il Patto Educativo di Corresponsabilità (PEC) è un documento importante, una sorta di contratto
educativo tra scuola e famiglia, sottoscritto dai genitori e dagli studenti al momento
dell’iscrizione, finalizzato a definire in maniera condivisa diritti e doveri nel rapporto tra scuola,
famiglia e studenti.
Nasce in un provvedimento che era destinato ad inasprire le misure sanzionatorie previste per
gli allievi autori di illeciti.
I contenuti sono relativi all’enunciazione degli impegni della scuola, della famiglia e degli
studenti.
L’obiettivo del patto educativo, vincolante con la sua sottoscrizione, è quello di “impegnare le
famiglie, fin dal momento dell’iscrizione, a condividere con lascuola i nuclei fondanti dell’azione
educativa” (nota ministeriale del 31/7/2008). È una vera e propria alleanza al centro della quale
ci sono i giovani, e tutti insieme, genitori, docenti, dirigente, personale ATA, pur con ruoli
diversi, sono chiamati ad impegnarsi per un obiettivo comune: il bene dei ragazzi, offrendo loro
le migliori condizioni per una crescita sana.
I genitori devono, inoltre, essere consapevoli che le infrazioni disciplinari dei propri figli (le
infrazioni e i conseguenti provvedimenti disciplinari sono reperibili nel regolamento di Istituto)
possono dar luogo a sanzioni ispirate alla riparazione del danno. Il Dirigente Scolastico, quale
rappresentante dell’istituzione scolastica, assumerà l’impegno affinché i diritti dei genitori e
degli studenti siano pienamente garantiti.
Come per il PTOF, anche per il Patto educativo di corresponsabilità la differenza tra
l’adempimento formale e l’efficacia sostanziale è costituita dal reale coinvolgimento delle
componenti della comunità scolastica nella sua elaborazione ed attuazione.
GLI ORDINAMENTI DIDATTICI
Il sistema di istruzione nazionale è stato interessato negli ultimi anni da numerose riforme degli
ordinamenti didattici che hanno coinvolto tutti gli ordini di scuola.
I regolamenti attualmente in vigore riguardano, in particolare:
- il riordino della scuola dell'infanzia e del primo ciclo (DPR 89/2009, INDICAZIONI NAZIONALI del 2012)
- il riordino delle scuole del secondo ciclo (DPR 87-88 e 89 del 2010)
- il coordinamento delle norme per la valutazione degli alunni (DPR 122/2009 e D.LGS. 62/2017).

SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO


La scuola secondaria di primo grado (prima chiamata scuola media) non è più, anche in riferimento
all'obbligo scolastico, scuola terminale. Essa ha il compito di assicurare ad ogni allievo il consolidamento
delle padronanze strumentali (lettura, scrittura, matematica, lingue) e delle capacità di apprendere,
nonché un adeguato livello di conoscenze e competenze, che formano la piattaforma su cui costruire il
percorso successivo.

La frequenza alla scuola secondaria di primo grado è obbligatoria per tutti i ragazzi italiani e stranieri che
abbiano concluso il percorso della scuola primaria. Il primo ciclo d'istruzione, di cui la scuola secondaria
di primo grado rappresenta l’ultimo segmento, si conclude con un esame di Stato, il cui superamento
costituisce titolo di accesso al sistema dei licei e a quello dell'istruzione e della formazione professionale.

L'orario annuale obbligatorio delle lezioni nella scuola secondaria di primo grado è di complessive 990
ore, corrispondenti a 29 ore settimanali, più 33 ore annuali da destinare ad attività di approfondimento
relativamente agli insegnamenti di materie letterarie, per un totale di 30 ore settimanali.

Nel tempo prolungato (spesso poco utilizzato per la mancanza di strutture e servizi idonei) il monte-ore è
determinato mediamente in 36 ore settimanali, elevabili fino a 40, comprensive delle ore destinate sia
agli insegnamenti e alle attività, sia al tempo della mensa.

Il quadro orario settimanale delle discipline per gli insegnamenti, definiti tenendo conto dei nuovi piani
di studio, è determinato come specificato nella tabella che segue:
L'insegnamento della religione cattolica è facoltativo.

Il quadro orario settimanale delle discipline per gli insegnamenti della scuola secondaria di I grado a
tempo prolungato è invece determinato come specificato nella tabella che segue

Le Indicazioni nazionali per il curricolo sono quelle prescritte dal Decreto n. 254/2012 per il primo ciclo
di istruzione. In tutte le classi della scuola secondaria di I grado è impartito l'insegnamento della lingua
inglese per 3 ore settimanali e di una seconda lingua per 2 ore settimanali. A decorrere dall'a.s.
2009/2010, a richiesta delle famiglie e compatibilmente con le disponibilità di organico, è stato
introdotto l'insegnamento potenziato dell'inglese per cinque ore settimanali complessive, utilizzando
anche le ore d'insegnamento della seconda lingua comunitaria.

La Legge 107/2015 ha confermato il potenziamento dello studio della lingua inglese ed, inoltre, della
musica ed educazione motoria ricorrendo, nell'ambito delle risorse di organico disponibili, a docenti di
scuola primaria in possesso di competenze certificate o a docenti abilitati per altri gradi di istruzione
come specialisti, per i quali è prevista una formazione specifica.

La valutazione finale degli alunni comprende il giudizio di ammissione all'esame e lo svolgimento di una
prova nazionale.
“Il primo ciclo dell’istruzione… ricopre un arco di tempo fondamentale per l’apprendimento e lo sviluppo
dell’identità degli alunni, nel quale si pongono le basi e si acquisiscono gradualmente le competenze
indispensabili per continuare ad apprendere a scuola e lungo l’intero arco della vita.

La finalità del primo ciclo è l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali per sviluppare le
competenze culturali di base nella prospettiva del pieno sviluppo della persona. Per realizzare tale finalità
la scuola concorre con le altre istituzioni alla rimozione di ogni ostacolo alla frequenza; cura l’accesso
facilitato per gli alunni con disabilità; previene l’evasione dell’obbligo scolastico e contrasta la
dispersione; valorizza il talento e le inclinazioni di ciascuno; persegue con ogni mezzo il miglioramento
della qualità del sistema dell’istruzione.

In questa prospettiva ogni scuola pone particolare attenzione ai processi di apprendimento di tutti gli
alunni e di ciascuno di essi, li accompagna nell’elaborare il senso della propria esperienza, promuove la
pratica consapevole della cittadinanza.” (Indicazioni Nazionali 2012)
IL SECONDO CICLO DI ISTRUZIONE
La scuola secondaria di II grado rappresenta il secondo ciclo dell'istruzione e, soprattutto nell'impianto
della Legge 53/2003 (Riforma Moratti), ha la finalità di preparare lo studente agli studi universitari
nonché a fornirgli un'adeguata preparazione per il mondo del lavoro.
In seguito, è stato modificato sostanzialmente l'impianto della normativa, lasciando però, come
conquista acquisita, la pari dignità ai percorsi del sistema dell'istruzione secondaria superiore e quelli del
sistema dell'istruzione e formazione professionale, in cui si realizza il diritto-dovere all'istruzione e alla
formazione.
Dal 1° settembre 2010 è entrata in vigore la riforma complessiva e simultanea del secondo ciclo
d'istruzione e formazione ad opera dei regolamenti emanati nel marzo 2010 (Riforma Gelmini), presidiati
dai livelli essenziali delle prestazioni definiti a livello nazionale.
Il volto della scuola secondaria di II grado, completamente riorganizzata, si presenta così:
- 6 licei
- istituti tecnici suddivisi in 2 settori con 11 indirizzi
- istituti professionali suddivisi in 2 settori e 6 indirizzi

Questa “varietà” ha lo scopo di garantire il più possibile che “nessuno resti escluso” e che “ognuno venga
valorizzato”.
Il Profilo educativo, culturale e professionale sottolinea, in continuità con il primo ciclo, come le
conoscenze disciplinari e interdisciplinari (il sapere) e le abilità operative apprese (il fare consapevole),
nonché l’insieme delle azioni e delle relazioni interpersonali intessute (l’agire) siano la condizione per
maturare le competenze che arricchiscono la personalità dello studente e lo rendono autonomo
costruttore di se stesso in tutti i campi dell’esperienza umana, sociale e professionale.

PUNTI QUALIFICANTI: Il riordino ha riguardato alcuni specifici aspetti:


• la necessità di dare spazio all'approfondimento delle nozioni chiave: molti istituti, spinti
anche da problemi legati agli orari dei mezzi pubblici, avevano ridotto le ore a 50 minuti,
aumentando di conseguenza il numero delle materie da studiare. La riforma, ripristinando le
ore da 60 minuti, ha voluto invece diminuire il numero delle materie, per consentire agli
studenti di rafforzare ed approfondire le nozioni trasmesse a scuola;
• il rafforzamento dell'autonomia scolastica: ogni istituto ha la possibilità di progettare dei
percorsi in maniera autonoma, sulla base del proprio background, delle proprie caratteristiche
e delle esigenze del territorio in cui è situato. Per far questo è possibile intervenire su una
percentuale dell'orario (variabile dal 20 al 30%), coinvolgere esperti esterni alla scuola,
operare in rete con altri soggetti del territorio, come scuole, università, centri di ricerca
aziende, ecc.;
• unione tra tradizione e modernità: a questo proposito sono stati introdotti dei provvedimenti
come: rafforzamento della componente scientifica nei curricula scolastici tramite un
incremento orario di materie quali matematica, fisica e scienze; insegnamento della lingua
inglese in tutti gli istituti per la durata complessiva dei cinque anni; introduzione
dell'insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera; utilizzo dell'informatica
e delle nuove tecnologie come strumenti per l'apprendimento. Inoltre, si sostiene
l'organizzazione di percorsi che permettano di superare la tradizionale rigida separazione tra
mondo della scuola e mondo del lavoro, per rendere più "morbido" il passaggio tra questi due
ambiti: spazio dunque a stage, tirocini e percorsi di alternanza scuola-lavoro. 

Allo stesso tempo è stato compiuto un decisivo passo verso il superamentodella tradizionale
configurazione"acanned'organo"delsecondociclo dell'istruzione, che rappresenta un opportuno
tentativo di verticalizzazione del curriculum di studi (comprendendo peraltro anche "conoscenze e
abilità" da raggiungere già al termine del primo ciclo di istruzione secondo le relative Indicazioni vigenti)
finalizzato al raggiungimento di uno "zoccolo di saperi e competenze" comune ai percorsi liceali, tecnici e
professionali e ai percorsi dell'istruzione e dell'istruzione e formazione professionale, anchealfine di
fornire a tutti gli strumenti culturali utili a esercitare lapropria cittadinanza, ad accedere all'istruzione
superiore,apotercontinuare ad apprendere lungo l'intero arco della propria vita e
difavorirel'eventualeriorientamentoepassaggiodaunpercorsoall'altro ai fini
dellalottaalladispersionescolasticaedelsuccesso formativo.
Rafforzando le caratteristiche identitarie dei quattro settori nei quali è stata organizzata l'offerta
formativa dopo il primo ciclo si rende più semplice e chiara l'offerta di istruzione secondaria,
semplificando così il vecchio panorama di centinaia di percorsi che si erano costituiti nei decenni
precedenti.
I piani di studio delle scuole secondarie di II grado nei decenni addietro erano stati ampliati fino a
raggiungere dimensioni anomale – se confrontate con quelle degli altri Paesi europei – sia per estensione
oraria, sia per numero di materie previste. Per questo motivo con la riforma Gelmini, i quadri orari delle
lezioni sono stati alleggeriti in media del 10-15%. Le istituzioni scolastiche, avvalendosi della propria
autonomia, possono ampliare e arricchire il curricolo con attività e insegnamenti facoltativi che, una
volta scelti, comportano comunque l'obbligo di frequenza.
In sostanza la riforma mira ad offrire un'organizzazione più efficiente in un quadro più moderno e
semplificato, mantenendo un servizio analogo a quello precedente dal punto di vista del monte-ore
annuale.
Anche nella scuola secondaria di II grado, l’insegnamento della religione cattolica è facoltativo; per chi
decide di non avvalersene possono essere previste:
- Attivitàdidattiche e formative
- Attività di studio e/o di ricerca individuali con assistenza di personale docente
- Libera attività di studio e/o di ricerca individuale senza assistenza di personale docente (per
studenti delle istituzioni scolastiche di istruzione secondaria di II grado)
- Non frequenza della scuola nelle ore di insegnamento della religione cattolica.
IL RIORDINO DEI LICEI (DPR n. 89/2010)

Il quadro normativo di disciplina dei licei è rappresentato dal D.P.R. 15 marzo 2010, n. 89, dove si legge:

“I percorsi liceali forniscono allo studente gli strumenti culturali e metodologici per una
comprensione approfondita della realtà, affinché egli si ponga, con atteggiamento
razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai
problemi, ed acquisisca conoscenze, abilità e competenze coerenti con le capacità e le
scelte personali e adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore,
all'inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro.”

Tutti i percorsi liceali sono accumunati dalla maggiore sostenibilità per gli alunni del carico annuale
obbligatorio, adattato alle esigenze dei percorsi, che contempla di norma (con delle differenziazioni per
alcuni percorsi) 891 ore per ciascun anno del primo biennio e 990 ore nel secondo biennio e nell’ultimo
anno, prolungato a 1.023 ore nel secondo biennio e nell’ultimo anno per il liceo classico, al fine di
rafforzare gli insegnamenti di lingua straniera e dell’area matematico-scientifica.

L’orario annuale, comprensivo della quota riservata alle Regioni, alle istituzioni scolastiche autonome e
all’insegnamento della religione cattolica, è articolato in attività e insegnamenti obbligatori per tutti gli
studenti e in insegnamenti eventualmente previsti dal PTOF coerenti con il profilo educativo, culturale e
professionale (PECUP) dello studente elaborato per il relativo percorso liceale, il tutto affidato a un
contingente di insegnanti messo a disposizione degli Uffici scolastici regionali e anche assumendo, in
base al proprio bilancio, esperti qualificati.

Una scuola imprenditrice, dunque, che instaura rapporti più incisivi anche con il mondo del lavoro
(attraverso l’alternanza scuola-lavoro e stage) e con il mondo dell’alta formazione (università, istituti
tecnici superiori, conservatori, accademie).

Tutti i percorsi liceali hanno durata quinquennale, sviluppandosi in due periodi biennali e in un quinto
anno che completa il percorso disciplinare:

- Il primo biennio è finalizzato all’iniziale approfondimento e sviluppo delle conoscenze e delle


abilità e ad una prima maturazione delle competenze caratterizzanti le singole articolazioni del
sistema liceale, nonché all’assolvimento dell’obbligo d’istruzione di cu al DM n.139/2007.
- Il secondo biennio è finalizzato all’approfondimento e allo sviluppo delle conoscenze e delle
abilità e alla maturazione delle competenze caratterizzanti le singole articolazioni del sistema
liceale.
- Nel quinto anno si persegue la piena realizzazione del profilo educativo, culturale e
professionale (PECUP) dello studente, nonché il completo raggiungimento degli obiettivi
specifici di apprendimento, e si consolida il percorso di orientamento agli studi successivi e
all’inserimento nel mondo del lavoro.
I percorsi dei licei si concludono con un esame di Stato, secondo le vigenti disposizioni sugli esami
conclusivi dell’istruzione secondaria superiore.

Al superamento dell’esame di Stato conclusivo dei percorsi liceali viene rilasciato il titolo di diploma
liceale, indicante la tipologia di liceo e l’eventuale indirizzo, opzione o sezione seguita dallo studente. Il
diploma consente l’accesso all’università e agli istituti di alta formazione artistica, musicale e coreutica,
agli istituti tecnici superiori e ai percorsi di istruzione e formazione3 tecnica superiore. Il diploma è
integrato dalla certificazione delle competenze acquisite dallo studente al termine del percorso liceale.

Il sistema dei licei comprende le seguenti 6 tipologie:

- ARTISTICO
- CLASSICO
- LINGUISTICO
- MUSICALE E COREUTICO
- SCIENTIFICO
- SCIENZE UMANE

Quanto alle discipline di insegnamento, la riforma e le successive Indicazioni nazionalidegli obiettivi


specifici di apprendimento per il sistema dei licei approvate il 26 maggio 2010 prevedono che:

- Nel liceo classico è rafforzato l’insegnamento della lingua straniera, previsto anche nel triennio;
è altresì previsto il potenziamento dell’asse matematico-scientifico e della storia dell’arte;
- Nel liceo scientifico è confermato lo studio del latino;
- Nel liceo delle scienze umane, opzione economico-sociale, si studiano due lingue straniere
- Nel liceo musicale e coreutico l’istruzione è subordinata al superamento di una prova di verifica
specifica delle competenze possedute
- In tutti i licei sono previsti stage e tirocini formativi.

____________________________________________

LA RIFORMA DEGLI ISTITUTI TECNICI (DPR 88/2010)

Il decreto di riordino degli istituti tecnici, DPR 15 marzo 2010, n. 8810, li configura quali percorsi
quinquennali di articolazione del secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione:

“L'identità degli istituti tecnici si caratterizza per una solida base culturale di carattere
scientifico e tecnologico in linea con le indicazioni dell'Unione europea, costruita attraverso
lo studio, l'approfondimento e l'applicazione di linguaggi e metodologie di carattere generale
e specifico ed è espressa da un limitato numero di ampi indirizzi, correlati a settori
fondamentali per lo sviluppo economico e produttivo del Paese, con l'obiettivo di far
acquisire agli studenti, in relazione all'esercizio di professioni tecniche, saperi e competenze
necessari per un rapido inserimento nel mondo del lavoro e per l'accesso all'università e
all'istruzione e formazione tecnica superiore.”

Gli istituti tecnici collaborano con le strutture formative accreditate dalle Regioni nei poli
tecnico-professionali costituiti secondo le linee-guida adottate dal Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca, anche allo scopo di favorire i passaggi tra i sistemi di istruzione e
formazione.

Gli istituti tecnici operano in due settori che comprendono, in totale, 11 indirizzi.

Tutti i percorsi di studio hanno la seguente struttura:

10
Le Linee guidaper il primo biennio sono contenute nella direttiva ministeriale 28 luglio 2010 n. 57, a
completamento delle quali sono state emanate poi le Linee guida per il triennio (direttiva n. 4/2012) che
contengono, a sostegno dell’autonomia degli istituti tecnici, i riferimenti per la definizione del PTOF e gli
orientamenti per l’organizzazione del curriculo.
PRIMO BIENNIO SECONDO BIENNIO e QUINTO ANNO
- 660 ore (20 ore a settimana) di attività e - 495 ore (15 ore a settimana) di attività e
insegnamenti di istruzione generale insegnamenti di istruzione generale
- 396 ore (12 ore a settimana) di attività e - 561 ore (17 ore a settimana) di attività e
insegnamenti obbligatori di indirizzo insegnamenti obbligatori di indirizzo

- Il primo biennio è finalizzato all’assolvimento dell’obbligo di istruzione e all’acquisizione dei


saperi e delle competenze di indirizzo in funzione orientativa, anche per favorire la
reversibilità delle scelte degli studenti
- Il secondo biennio e il quinto anno costituiscono insieme un complessivo triennio nel quale,
oltre all’area di istruzione generale comune a tutti i percorsi, i contenuti scientifici,
economico-giuridici e tecnici delle aree di indirizzo vengono approfonditi e assumono
connotazioni specifiche che consentono agli studenti di raggiungere, nel quinto anno,
un’adeguata competenza professionale di settore, idonea anche per la prosecuzione degli
studi a livello di istruzione e formazione superiore, con particolare riferimento all’esercizio
delle professioni tecniche.

Ciascun percorso è strutturato in modo da favorire un collegamento organico con ilmondo del lavoro e
delle professioni. È previsto lo sviluppo di metodologie innovative basate sull’indirizzo diffuso del
laboratorio a fini didattici in tutti gli ambiti disciplinari e un raccordo più stretto con il mondo del
lavoroe delle professioni, compresi il volontariato e il privato sociale, attraverso la più ampia diffusione
di stage, tirocini, alternanza scuola/lavoro.

I percorsi degli istituti tecnici si concludono con un esame di Stato, al superamento del quale viene
rilasciato il diploma di istruzione professionale.

Al termine degli istituti tecnici, i diplomati hanno doppia opportunità:

- Inserimento nel mondo del lavoro


- Prosecuzione degli studi, scegliendo tra: a) iscrizione ad università/accademie ecc; b)
iscrizione a percorsi brevi per conseguire una specializzazione tecnica superiore (IFTS) per
rispondere alle esigenze formative del territorio; c) iscrizione a percorsi biennali per
conseguire un diploma di tecnico superiore nelle aree tecnologiche più avanzate presso gli
Istituti Tecnici Superiori (ITS).

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LA RIFORMA DEGLI ISTITUTI PROFESSIONALI (DPR 87/2010)

Il DPR 87 del 15 marzo 2010 definisce gli istituti professionali quali percorsi quinquennali di articolazione
del secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione.

“L'identità degli istituti professionali è connotata dall'integrazionetra una solida base di


istruzione generale e la cultura professionale che consente agli studenti di sviluppare i saperi
e le competenze necessari ad assumere ruoli tecnici operativi nei settori produttivi e di
servizio di riferimento, considerati nella loro dimensione sistemica.”

Gli istituti professionali operano in due settori che comprendono, in totale, 6 indirizzi in luogo degli
originari 28. L’attuale composizione risponde a un’esigenza di razionalizzazione e, in particolare, consente
di evitare il rischio di sovrapposizione con l’istruzione tecnica e soprattutto con il sistema regionale
dell’istruzione e della formazione professionale.

Tutti i percorsi di studio degli istituti professionali hanno la seguente struttura:

PRIMO BIENNIO SECONDO BIENNIO e QUINTO ANNO


- 660 ore (20 ore a settimana) di attività e - 495 ore (15 ore a settimana) di attività e
insegnamenti di istruzione generale insegnamenti di istruzione generale

- 396 ore (12 ore a settimana) di attività e - 561 ore (17 ore a settimana) di attività e
insegnamenti obbligatori di indirizzo insegnamenti obbligatori di indirizzo

- Il primo biennio è finalizzato all’assolvimento dell’obbligo di istruzione e all’acquisizione dei


saperi e delle competenze di indirizzo in funzione orientativa, anche per favorire la
reversibilità delle scelte degli studenti
- Il quinto anno (o monoennio) deve consentire allo studente di acquisire una conoscenza
sistematica della filiera economica di riferimento, idonea anche ad orientare la prosecuzione
degli studi a livello terziario con particolare riguardo all’esercizio delle professioni tecniche.

I percorsi degli istituti professionali si concludono con un esame di Stato, al superamento del quale viene
rilasciato il diploma di istruzione professionale.

Al termine degli istituti professionali, i diplomati hanno doppia opportunità:

- Inserimentonelmondo del lavoro


- Prosecuzione degli studi, scegliendo tra: a) iscrizione ad università/accademie ecc; b)
iscrizione a percorsi brevi per conseguire una specializzazione tecnica superiore (IFTS) per
rispondere alle esigenze formative del territorio; c) iscrizione a percorsi biennali per
conseguire un diploma di tecnico superiore nelle aree tecnologiche più avanzate presso gli
Istituti Tecnici Superiori (ITS).
LA GOVERNANCE SCOLASTICA
A monte di tutte le istituzioni scolastiche l'ente di governo centrale è il MIUR che è coadiuvato
da altri organismi collegati all'amministrazione centrale. A livello periferico la governance della
scuola è invece affidata agli USR (Uffici scolastici regionali) che costituiscono i precedenti
Provveditorati agli studi.

Gli organi della partecipazione e dell’autonomia scolastica


Come affermato dall'art. 3 del T.U. 297/1994, l'istituzione nella scuola degli organi collegiali
risponde all'intento di favorirne la gestione sociale o meglio di non relegare in uno sterile
isolamento l'istituzione scolastica e coloro che in essa vi operano, nel delicato compito di
trasmissione della cultura e di elaborazione di essa e nel processo quotidiano di sviluppo della
personalità dell'alunno.
È parso, dunque, più che mai necessario il coinvolgimento nella gestione della scuola di tutte le
componenti della società (famiglie, rappresentanti degli enti locali, organizzazioni sindacali) al
fine di consentire l'adeguamento continuo alle mutevoli e contingenti esigenze sociali.
La legge 30 luglio 1973, n. 477, istituì “nuovi organi collegiali di governo… finalizzati a realizzare
la partecipazione nella gestione della scuola… dando alla scuola stessa i caratteri di una
comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica” (art. 5).
A partire dalla filosofia della partecipazione, la legge n. 477/1973 affiancò a ogni organo della
piramide amministrativa della scuola un organo collegiale di cui facevano parte componenti del
personale interno (direttivo, docente, non docente) e dell’utenza (genitori e studenti), con
compiti che in alcune materie erano deliberanti, in altre consultivi.
Gli organi collegiali nacquero all’indomani della rivolta del Sessantotto, allo scopo di favorire e
regolare la partecipazione delle componenti scolastiche (personale docente e non docente,
genitori, studenti) alla gestione democratica della scuola.
Nel 1999, con l’avvento dell’autonomia scolastica e il conferimento della dirigenza ai capi
d’istituto, gli organi collegiali della partecipazione divennero gli organi di programmazione,
indirizzo e controllo dell’autonomia stessa.

Gli organi collegiali dell’istituzione scolastica


La base della struttura partecipativa della scuola prima designata dai decreti delegati del 1974,
poi fatta propria e novellata dal T.U. D. Lgs. n. 297/94, è rappresentata dagli organi collegiali che
operano a livello di circolo e di istituto:
> il consiglio di circolo o di istituto;
> il collegio dei docenti, con il comitato per la valutazione del servizio dei docenti;
> i consigli di intersezione (scuola dell'infanzia), di interclasse (scuola primaria) e di classe
(scuole superiori), con i relativi comitati dei genitori e degli studenti;
> le assemblee studentesche e dei genitori.
Gli atti amministrativi di alcuni fra gli organi collegiali hanno rilevanza esterna: vanno cioè a
incidere direttamente su diritti e interessi legittimi di soggetti esterni all’amministrazione
(alunni, genitori, Enti locali, fornitori di beni e servizi ecc.). Nella scuola gli organi collegiali che
hanno rilevanza esterna sono:
> il consiglio d’istituto per gli aspetti organizzativi, regolamentari e finanziari nonché per i più
gravi provvedimenti disciplinari a carico degli studenti;
> il consiglio di classe per la valutazione degli apprendimenti, l’ammissione alla classe successiva
o agli esami di Stato, i provvedimenti disciplinari a carico degli studenti.
Il collegio dei docenti è organo tecnico, competente all’interno dell’istituto nell’ambito delle
attribuzioni che gli sono riservate, ma non ha rilevanza esterna.
Il Consiglio di circolo o di istituto
Il consiglio di circolo (nelle scuole primarie) o di istituto (nelle scuole secondarie) è un organo
elettivo che esercita le funzioni di indirizzo. È composto dal DS e da rappresentanti elettivi dei
genitori, del personale docente e non docente e degli studenti nella scuola secondaria di II
grado.
Esso è la sede del confronto tra l'istituzione scolastica e la società del territorio in cui la scuola
agisce. All'interno dell'istituto, il consiglio è l'interlocutore del collegio docenti: se il collegio
docente è l'organo dell'elaborazione della programmazione educativa e didattica nonché del
PTOF, il consiglio è la sede della deliberazione sulle proposte del collegio in merito all'offerta
formativa nonché del sostegno organizzativo e finanziario per la sua attuazione. Esso ha potere
deliberante nei seguenti settori fondamentali:
- approvazione del PTOF
- organizzazione e programmazione della vita della scuola
- materia di bilancio annuale
- materia regolamentare, con particolare riferimento alle responsabilità derivanti dagli obblighi
di vigilanza sugli alunni minori e al regolamento di disciplina nella scuola secondaria
- calendario scolastico.
Il consiglio elegge al proprio interno una Giunta esecutiva, con competenze tecniche quali
quelle di proporre al consiglio i documenti di gestione finanziaria.
Tali documenti sono:
- il programma annuale, cioè il bilancio preventivo.
- il conto consuntivo, composto del conto finanziario e del conto del patrimonio.

Il collegio docenti
Il collegio dei docenti è presieduto dal DS e composto da tutti i membri del personale docente in
servizio nell'istituzione scolastica. Il dirigente affida le funzioni di segretario a uno dei docenti
collaboratori.
Il collegio dei docenti ha potere deliberante in una serie di materie; proponente in altre; in via
residuale è corpo elettorale.
Le materie in cui è deliberante sono le seguenti:
- funzionamento didattico dell'istituto, in particolare la programmazione educativa e didattica
nonché la valutazione degli alunni;
- la valutazione periodica dell'andamento complessivo dell'azione didattica;
- l'adozione dei libri di testo;
- la promozione di iniziative di sperimentazione;
- la promozione di iniziative di aggiornamento per gli insegnanti;
- la programmazione e l'attuazione di iniziative per il sostegno degli alunni disabili o con DSA,
l'integrazione degli alunni stranieri, il recupero degli alunni in difficoltà di apprendimento.
Nelle materie che seguono formula proposte al DS, tenuto conto dei criteri deliberati dal
Consiglio d'istituto:
- formazione e composizione delle classi;
- assegnazione ad esse dei docenti;
- formulazione dell'orario delle lezioni.
È collegio elettorale quando elegge due docenti nel comitato di valutazione e quando designa i
docenti responsabili delle funzioni strumentali al PTOF.
L'attività del collegio dei docenti si interseca di frequente con quella del consiglio d'istituto, dal
quale lo distingue una diversa competenza generale.
Paradigma significativo della collaborazione fra i due organi è la costituzione del PTOF, elaborato
dal collegio dei docenti e deliberato del consiglio di istituto. La recente legge 107/2015 ha
assegnato al dirigente scolastico il compito di fornire preventivamente al collegio "gli indirizzi
per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione", tutto quello che cioè
verrà a far parte del PTOF.

I consigli di intersezione, di interclasse e di classe


I Consigli di classe (scuola secondaria), di interclasse (scuola primaria) e di intersezione (scuola
dell’infanzia) sono gli organi collegiali in cui le diverse componenti scolastiche (docenti, genitori
e studenti per la scuola secondaria di II grado) si incontrano per pianificare e valutare
costantemente l’azione educativa e didattica.
All’interno di ogni Consiglio di classe, di interclasse e di intersezione sono previste due
importanti figure, il coordinatore e il segretario.
Il Consiglio di classe, che opera nella scuola secondaria di I e II grado, è composto dai docenti
di ogni singola classe (inclusi quelli di sostegno), da quattro rappresentanti dei genitori nella
scuola Secondaria I grado e da due rappresentanti dei genitori e due rappresentanti degli
studenti nella scuola Secondaria II grado.
Presiede il DS o un docente da lui delegato, facente parte del Consiglio.
Nella scuola secondaria di II grado fanno parte del Consiglio di classe i docenti tecnico pratici
anche quando il loro insegnamento si svolge in compresenza. Gli ITP sono membri del Cdc a
pieno titolo e con pienezza di voto deliberativo. Le proposte di voto per le valutazioni periodiche
e finali relative alle materie il cui insegnamento è svolto in compresenza sono autonomamente
formulate per gli ambiti di rispettiva competenza didattica, dal singolo docente sentito l’altro
insegnante.
Il voto unico viene poi assegnato dal consiglio di classe sulla base delle proposte formulate e
degli elementi di giudizio forniti dai due docenti interessati.
Nei corsi per lavoratori studenti, sono previsti tre rappresentanti degli studenti, ma non è
prevista la presenza della componente genitori.
Il consiglio di classe, attraverso i rappresentanti dei genitori e degli studenti, informa gli studenti
e le famiglie sull’andamento della classe. I rappresentanti dei genitori e degli studenti riferiscono
al Consiglio le richieste ed evidenziano le problematiche della classe. Pertanto il Consiglio è un
organo che ha anche lo scopo di favorire i rapporti con gli alunni e le famiglie nell’interesse
comune di garantire un successo scolastico agli studenti.
Il Consiglio di classe, di interclasse e di intersezione si occupa dell’andamento generale della
classe, si esprime su eventuali progetti di sperimentazione, ha il compito di formulare proposte
al Collegio Docenti relative all’azione educativa e didattica e di proporre gli strumenti e le
modalità per agevolare e rendere più efficace il rapporto scuola-famiglia e il rapporto tra
docenti e studenti.
In particolare il Consiglio di classe, di interclasse e di intersezione esercita le sue competenze in
materia di programmazione, valutazione e sperimentazione.
Un compito importantissimo del Consiglio di classe è la predisposizione della Programmazione
educativo-didattica, che deve essere stilata nelle prime riunioni al fine di programmare l’anno
scolastico stabilendo tutte le attività che i docenti della classe intendono portare avanti con gli
studenti, esplicitando modalità, metodologia, mezzi e strumenti, in sintonia con quanto previsto
in sede di Dipartimenti disciplinari e in armonia con le indicazioni contenute nel PTOF
dell’Istituto.
Il Consiglio di classe formula, inoltre, le proposte per l’adozione dei libri di testo. Tali proposte
vengono presentate al Collegio dei docenti il quale provvede all’adozione dei libri di testo con
relativa delibera.
Rientrano nelle competenze dei Consigli di classe anche i provvedimenti disciplinari a carico
degli alunni, che comportano l’allontanamento dalla comunità scolastica per un periodo
inferiore a quindici giorni.
Con la sola presenza dei docenti ha competenza riguardo alla realizzazione del coordinamento
didattico e dei rapporti interdisciplinari e alla valutazione periodica e finale degli alunni.
Le competenze del Consiglio di classe, di interclasse e di intersezione, risultano diverse a
seconda della sua articolazione che può essere semplice o composta.
Al Consiglio di classe, con la sola presenza dei docenti (articolazione semplice) spettano le
competenze relative alla realizzazione del coordinamento didattico e dei rapporti
interdisciplinari, in particolare:
1. attribuisce la responsabilità per lo sviluppo delle competenze ad ogni docente tenendo
conto delle proposte dei docenti membri e delle indicazioni stabilite nei vari Dipartimenti;
2. definisce le competenze in relazione alle discipline, le metodologie idonee e gli strumenti
in relazione alla situazione iniziale della classe e alle indicazioni generali dei Dipartimenti;
3. controlla in itinere lo sviluppo della Programmazione educativo-didattica della classe anche
in rapporto alla tempistica stabilita a inizio anno e ai risultati attesi in relazione alle
competenze definite;
4. pianifica interventi di potenziamento, consolidamento, recupero in itinere;
5. alla definizione di un comportamento comune nei confronti degli studenti nei vari
momenti della vita scolastica;
6. alle valutazioni periodiche e finali degli alunni della classe.

Al Consiglio di classe, con la presenza dei docenti e dei rappresentanti dei genitori e degli
studenti (articolazione composta) spettano le seguenti competenze:
1. formulare al Collegio dei docenti proposte in ordine all’azione educativa e didattica;
2. proporre e farsi promotore di iniziative di sperimentazione, attività culturali e formative
che integrano l’insegnamento curricolare come visite e viaggi di istruzione,
frequentazione di mostre, teatri, cinema, partecipazioni a seminari, convegni, visite
aziendali, partecipazione degli alunni a stage, concorsi;
3. agevolare ed estendere i rapporti reciproci tra docenti, genitori ed alunni.

I Consigli di classe si insediano dopo le elezioni dei rappresentanti dei Genitori e degli studenti.
Si riuniscono secondo il Piano delle Attività proposto dal DS e votato dal Collegio dei Docenti nel
rispetto del tetto fissato dalla programmazione annuale delle quaranta ore; di norma se ne
svolge almeno uno per ogni periodo in cui è suddiviso l’anno scolastico.  Può anche essere
convocato su richiesta scritta e motivata della maggioranza dei suoi membri; anche gli studenti
possono richiedere/proporre la convocazione del Consiglio.
La convocazione viene fatta dal DS con preavviso scritto almeno 5 giorni prima (2 gg. in caso di
urgenza) e con indicazione dell’ordine del giorno, dell’ora di inizio e della durata.
I Consigli si svolgono in orari non coincidenti con quelli delle lezioni.

Il comitato per la valutazione dei docenti


Il comitato per la valutazione di docenti ha tre funzioni:
1. individuare i criteri sulla base dei quali il DS assegna il bonus per premiare i docenti
meritevoli;
2. esprimere il parare sull'anno di prova-formazione dei neoassunti;
3. valutare il servizio dei docenti già di ruolo che ne facciano richiesta.

Il comitato ha la durata di 3 anni, è presieduto dal DS ed è così composto:


- tre docenti, di cui due scelti dal collegio docenti e uno dal consiglio di istituto;
- due rappresentanti dei genitori per la scuola del I ciclo, un rappresentante dei genitori e uno
degli studenti per il II ciclo;
- un componente esterno individuato dall'USR tra docenti, DS e dirigenti tecnici.
Nella composizione appena descritta, il comitato svolge la funzione di determinare i criteri per
la valorizzazione dei docenti; ad essi si attiene il DS quando, a fine anno, individua i docenti
meritevoli del bonus.
Quando il comitato esprime il proprio parere sul superamento del periodo di formazione e di
prova per il personale docente ed educativo, esso si riunisce in una formazione
tecnico-valutativa, composta dal DS, che lo presiede, e da tre docenti dell'istituzione scolastica;
è integrato dal docente a cui sono affidate le funzioni di tutor.

Le assemblee dei genitori e degli studenti


Ai genitori e agli studenti delle scuole del II ciclo, i decreti delegati del 1974 diedero la possibilità
di riunirsi in assemblee di classe o di istituto, nonché di istituire un comitato composto dai
rappresentanti eletti nei consigli di intersezione, di interclasse o di classe.
LA VALUTAZIONE

Introduzione: La valutazione nel sistema scuola

Sin dagli anni novanta il processo di decentramento amministrativo che ha portato al


riconoscimento dell’autonomia scolastica ha comportato la necessità di operare una
verifica complessiva dell’organizzazione e del funzionamento dei vari comparti della
Pubblica Amministrazione.
A questo scopo però la valutazione non va intesa come una mera operazione di
controllo quanto invece come l’analisi degli esiti confrontati con gli obiettivi e i risultati
attesi.
Il tema della valutazione, all’interno del sistema scolastico italiano, è molto articolato e
riguarda numerosi aspetti, anche molto eterogenei. Occorre, quindi, delinearne gli
ambiti di intervento a partire dalla valutazione come sistema.
Possiamo, infatti, rintracciare i diversi profili in merito a:
- una valutazione strettamente didattica, che deve apprezzare i processi e gli esiti
dell’apprendimento,
- una di istituto, finalizzata a rilevare le caratteristiche del servizio scolastico erogato,
- una del sistema scuola, orientata a cogliere le tendenze, il rapporto costi/qualità ed i
macro indicatori di riferimento.
Le scuole dell’autonomia sono tenute a dotarsi di strumenti e procedure per verificare i
risultati ottenuti in riferimento agli standard nazionali (e internazionali), anche
attraverso procedure di autovalutazione, ma sono anche sottoposte a varie tipologie di
verifiche. Il significato dei processi integrati che sono alla base di un sistema di
valutazione si fonda sulla consapevolezza che l’azione pubblica è finalizzata a garantire
il massimo benessere dei cittadini rendendo conto dell’utilizzo delle risorse.
La cultura della valutazione, che con molta difficoltà si sta diffondendo nella scuola
italiana, deve svincolarsi da quell’alone punitivo che l’accompagna e deve invece essere
intesa come un indispensabile spazio per la valorizzazione, funzionale alla diffusione
della “cultura del risultato” e del servizio nelle pubbliche amministrazioni a fronte di un
definitivo superamento dell'autoreferenzialità.
La promozione di valutazione e autovalutazione costituisce fattore decisivo per il
miglioramento delle scuole e del sistema di istruzione.

Pertanto è necessario fare un’ulteriore distinzione in base ai soggetti coinvolti nella


valutazione:
- la valutazione interna coinvolge i soggetti stessi che compiono l’attività
- la valutazione esterna, di sistema, condotta da soggetti esterni, finalizzata a testare il
raggiungimento di obiettivi definiti per il sistema scuola.
La valutazione rappresenta pertanto uno snodo cruciale dal quale far partire il processo
di rinnovamento del sistema di istruzione e formazione.

Poiché l’obiettivo ultimo è agire per il miglioramento, è opportuno che i due momenti
siano in costante interazione dal momento che gli esiti dell’apprendimento si
intrecciano inevitabilmente con il tema delle competenze, quali standard nazionali di
livelli accettabili di prestazione.
L’autonomia scolastica, dunque, richiede la definizione di criteri di qualità e di standard
nazionali. Ogni scuola potrà predisporre in maniera flessibile le modalità per la
valutazione in itinere, ma la certificazione finale degli esiti dovrà sottostare a regole e
criteri nazionali, definiti da documenti programmatici, contenenti obiettivi di
apprendimento finalizzati allo sviluppo di traguardi di competenza, da certificare alla
fine dei percorsi.

La valutazione degli apprendimenti


Il concetto di valutazione degli alunni ha subìto negli anni profondi cambiamenti e
trasformazioni di significato. Possiamo oggi considerare la valutazione sotto il profilo
pedagogico, amministrativo e docimologico.
Sul piano pedagogico, in passato la valutazione scolastica era essenzialmente
considerata come il momento conclusivo di un processo che prevedeva 3 fasi:
- l’insegnamento del docente
- l’apprendimento dell’alunno
- il giudizio espresso dal docente sul livello di apprendimento conseguito dall’alunno.
Attualmente, invece, la valutazione è intesa come un’operazione diagnostica, nella
quale, per ogni alunno, devono essere presi in considerazione gli aspetti misurabili del
suo apprendimento, il suo stile cognitivo, nonché le dinamiche emotive, affettive e
relazionali in gioco. Di conseguenza, la valutazione assume l’ulteriore compito di
regolazione dell’azione didattica e risulta strettamente legata al lavoro del docente.
Anche la figura dell’alunno assume un ruolo diverso: da oggetto passivo del giudizio
espresso nei suoi confronti a soggetto attivo del processo di apprendimento, in quanto
consapevole degli obiettivi da perseguire, dei risultati conseguiti e da conseguire, delle
proprie potenzialità e delle proprie debolezze.
In merito all’aspetto amministrativo, fino al 1977, i documenti di valutazione erano
due:
- la pagella, centrata sul voto numerico, prettamente quantitativo
- il libretto scolastico, dove erano descritte in forma discorsiva alcune informazioni
generali sull’alunno (capacità, famiglia ecc.)
La L. 517/7711 ha introdotto nuovi strumenti di valutazione:
- la scheda di valutazione, suddivisa in discipline
- il foglio notizie, estratto sintetico delle singole valutazioni, da consegnare alla famiglia.
L’art. 21 comma 9 della legge 59/199712, Legge Bassanini, stabilisce che l’autonomia “si
sostanzia nell’obbligo di adottare procedure e strumenti di verifica e valutazione della
produttività scolastica e del raggiungimento degli obiettivi”.
Con la Legge 425/199713 si è, invece, provveduto a riformare l’esame di Stato
conclusivo della scuola secondaria di II grado, introducendo inoltre un nuovo sistema di
valutazione del rendimento scolastico calcolato in centesimi e con l’espressione del
credito scolastico.

11
“Norme sulla valutazione degli alunni e sull'abolizione degli esami di riparazione nonché altre norme di
modifica dell'ordinamento scolastico”.
12
"Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma
della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa".
13
“Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria
superiore”.
Il D.P.R. 275/9914 in cui si introduce il concetto di verifica periodica del sistema
scolastico e di certificazione volte a valutare le conoscenze, le competenze, le capacità
acquisite, i crediti formativi.
Con la L. 169/200815 la valutazione torna ad essere espressa con voto numerico.
Secondo la docimologia, cioè la scienza che studia i problemi legati alla valutazione il
cui fine è quello di dare indicazioni su come trovare parametri oggettivi per
l’attribuzione di punteggi nelle prove, si devono distinguere 3 momenti:
- la verifica, cioè l’insieme delle prove somministrate
- la misurazione, ossia l’elaborazione quantitativa delle prove di verifica
- la valutazione vera e propria, l’interpretazione dei dati che deve tener conto di diversi
parametri: gli obiettivi previsti dalle disposizioni legislative, quelli adattati al contesto
classeed, infine, quelli previsti per la storia personale dell’alunno.

LE PROVE INVALSI
Introdotte agli inizi degli anni duemila, le prove INVALSI sono periodiche rilevazioni nazionali sugli
apprendimenti e sulle competenze degli studenti, diventante obbligatorie e, in parte, modificate
dal recente Decreto 62/2017 in particolare riguardo 2 aspetti:
- L’introduzionedellaprovad’inglese
- Prove computer based.

Vengono svolte in tutti i gradi di scuola.


Per la scuola secondariadi primo grado, obbligatorie ai fini dell’esame di Stato conclusivo del
primo ciclo, le prove riguardano le classi III e sono così definite nel Decreto 62/2017: “prove
standardizzate, computer based, volte ad accertare i livelli generali e specifici di apprendimento
conseguiti in italiano, matematica e inglese in coerenza con le Indicazioni nazionali per il curriculo”.

Le novità introdotte dal Decreto n. 62/2017 sono le seguenti:


- Le prove si svolgono entro il mese di aprile, non più quindi durante l’esame di Stato, ma la
partecipazione rappresenta requisito di ammissione all’esame conclusivo del primo ciclo
d’istruzione.
- È introdotta una prova per verificare l’apprendimento della lingua inglese (abilità di
comprensione e uso della lingua, si riferisce principalmente al livello A2 del QCER16) in
aggiunta alle prove di italiano e matematica;
- È prevista la restituzione individuale alle famiglie, attraverso un giudizio in forma descrittiva,
del livello di apprendimento raggiunto in italiano, matematica e inglese (articolo 9).

Nella scuola secondaria di II grado le prove INVALSI sono a “carattere nazionale, computer based e
volte a verificare i livelli di apprendimento conseguiti in italiano, matematica e inglese” (art. 19).
I testi relativi alla suddetta prova sono scelti dal Ministero, tra quelli predisposti dall’INVALSI, e
inviati alle istituzioni scolastiche interessate. Poiché tale prova concorre alla valutazione
complessiva dell’allievo che sostiene l’esame di Stato è evidente la responsabilità delle scuole. In
quanto soggetti istituzionali, esse sono chiamate a far sì che lo svolgimento della prova stessa
avvenga nella massima regolarità e in modo da garantire risultati oggettivi e attendibili.

14
“Regolamento in materia di istituzioni scolastiche”, all’art. 10 “verifiche e modelli di certificazione”.
15
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1º settembre 2008, n. 137, recante
disposizioni urgenti in materia di istruzione e università.
16
Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue.
La prova scritta nazionale, in quanto rilevazione della qualità degli apprendimenti nell’intero Paese,
viene analizzata secondo griglie di correzione fornite direttamente dell’INVALSI.
Anche gli alunni con disabilità e DSA partecipano alle prove INVALSI, prevedendo per loro l’utilizzo
di opportune misure compensative e dispensative o specifici adattamenti delle prove stesse.

Le prove INVALSI supportano il processo di autovalutazione delle istituzioni scolastiche e


forniscono strumenti utili al progressivo miglioramento dell’efficacia dell’azione didattica.
I testi e le griglie di valutazione sono predisposti dall’INVALSI e inviati alle istituzioni scolastiche
interessate. Poiché tale prova concorre alla valutazione complessiva dell’allievo che sostiene
l’esame di Stato è evidente la responsabilità delle scuole.
Anche gli alunni con disabilità e DSA partecipano alle prove INVALSI, prevedendo per loro l’utilizzo
di opportune misure compensative e dispensative o specifici adattamenti delle prove stesse; in casi
estremi è possibile l’esonero.

Il concetto di autonomia organizzativa, amministrativa ed anche didattica,


introdotto dalla L. Bassanini del ’97, è stato via via ribadito, ampliato e tracciato nel
D.P.R. 275 del 1999, che ha disposto, tra l’altro, l’elaborazione del Piano dell’Offerta
Formativa.
Ai fini del progressivo miglioramento e dell’armonizzazione del sistema educativo è
stato istituito un articolato Servizio nazionale di valutazione (SNV) del sistema
educativo di istruzione e di formazione. Obiettivo di tale Servizio è quello di valutare
l’efficienza e l’efficacia del complessivo sistema di istruzione e formazione,
inquadrandone la valutazione nel contesto internazionale, soprattutto europeo.
Appare chiaro che tutta la normativa in merito alla valutazione, converge verso un
punto essenziale: la Scuola è chiamata a verificare l’efficace ed efficiente utilizzo
delle risorse per il raggiungimento degli obiettivi dell’Istituto.
La valutazione esterna svolta da organismi nazionali si combina con
l’autovalutazione di istituto, tesa a determinare il grado di raggiungimento degli
obiettivi che essa stessa si è prefissata.
L’autovalutazione d’Istituto costituisce, quindi, un obbligo di legge, ma anche una
proposta che mira allo sviluppo di una cultura collaborativa, che porta tutti i
protagonisti coinvolti a impegnarsi in un dialogo costruttivo per la definizione di
fattori di qualità, per la loro valutazione e per le azioni di miglioramento da porre in
essere. Tale processo di verifica realizza un aspetto dell’autonomia scolastica in
grado di mettere in campo la capacità responsabile di valutare l’istituzione e, nel
contempo, di accettare la valutazione delle proprie azioni, valorizzando le capacità
innovative e progettuali della professionalità del personale, in particolare dei
docenti. 
Per l’istruzione e la formazione professionale tale valutazione concerne
esclusivamente i livelli essenziali di prestazione ed è effettuata tenuto conto degli
altri soggetti istituzionali che già operano a livello nazionale nel settore della
valutazione delle politiche nazionali finalizzate allo sviluppo delle risorse umane.
L’introduzione di un nuovo sistema di valutazione, oltre ad allineare il nostro paese
al resto d’Europa, dovrebbe consentire di migliorare l'efficacia formativa delle
istituzioni scolastiche, attraverso una sistematica e sinergica attività di
collaborazione tra le singole scuole e gli enti nazionali. Infatti, il Sistema nazionale di
valutazione, regolato oggi dal D.P.R. 80/201317, è articolato su 3 livelli rappresentati
da:
- INVALSI
- INDIRE
- Contingente ispettivo.

L’INVALSI cura anche la formazione dei neoassunti attraverso specifici servizi su


piattaforme online

La certificazione delle competenze nei diversi cicli dell’istruzione

Se nell’ambito della formazione professionale la certificazione delle competenze si è


affermata da anni per il bisogno di titoli spendibili e leggibili nel mercato del lavoro,
nell’ambito dell’istruzione invece il procedere è stato più lento.
Il tema era emerso con la riforma degli Esami di Stato: nella legge n. 425/1997 si
introduceva l’idea di certificare conoscenze, capacità, competenze e crediti formativi
documentati degli studenti. Da allora sono stati emanati alcuni modelli di certificazione
integrativi al diploma, che mettono in trasparenza il percorso di studi.
Vari fattori hanno contribuito negli anni seguenti a evidenziare la necessità della
certificazione: le Raccomandazioni internazionali, in particolare quelle relative a EQF ed
ECVET, gli sviluppi dell’autonomia, con l’affermarsi dei Curricola di Istituto e della
personalizzazione dei percorsi formativi, l’ampliamento delle tipologie di filiere formative
(istruzione, formazione, apprendistato…) con la possibilità di assolvere l’obbligo di
istruzione anche in percorsi di istruzione e formazione professionale. Evidentemente, la
varietà dei percorsi e l’opportunità per gli studenti di passaggi tra i percorsi hanno reso
sempre più necessari la leggibilità e il reciproco riconoscimento delle competenze
comunque acquisite.
Entrambi i fattori fin qui accennati sono importanti, tanto quello della trasparenza dei
titoli e delle qualifiche professionali per far dialogare le diverse istituzioni tra loro e con il
mondo del lavoro, quanto quello culturale-pedagogico relativo all’utilità – in primo luogo
per l’allievo e per il suo orientamento – di attestare e descrivere, anche attraverso
gradazioni in livelli, le competenze personali acquisite al termine di un percorso di
apprendimento.
Il DPR 122/2009 ha imposto l'obbligo alle istituzioni scolastiche di rilasciare la
certificazione delle competenze acquisite da parte degli alunni.
La valutazione delle competenze da certificare in uscita all'obbligo d'istruzione "è
espressione dell'autonomia professionale propria della funzione docente, nella sua
dimensione sia individuale che collegiale, nonché dell'autonomia didattica delle
istituzioni scolastiche" (art. 1 DPR 122/2009) ed è effettuata dai consigli di classe per
tutte le competenze elencate nel modello di certificazione ministeriale, allo scopo di
garantirne la confrontabilità.
La certificazione delle competenze non è sostitutiva delle attuali modalità di valutazione
e attestazione giuridica dei risultati, ma accompagna e integra tali strumenti normativi,
accentuando il carattere informativo e descrittivo del quadro delle competenze acquisite
dagli allievi, ancorate a precisi indicatori dei risultati di apprendimento attesi. La
certificazione si riferisce a conoscenze, abilità e competenze, in sintonia con i dispositivi
17
“Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione”.
previsti a livello europeo e nazionale. Questo ampio ancoraggio ne assicura una più
sicura spendibilità nel campo della prosecuzione degli studi, della frequenza di attività
formative diversificate e in alternanza, di inserimento nel mondo del lavoro anche
attraverso forme di apprendistato formativo.
Il nostro ordinamento prevede 3 tipologie di certificazione al termine di:
- quinta classe primaria
- scuola secondaria di I grado
- seconda classe secondaria di II grado
A queste si aggiunge il nuovo modello relativo al superamento dell'esame di Stato
conclusivo del secondo ciclo.
Dopo un primo periodo di sperimentazione si è reso necessaria attuare una
armonizzazione che potesse consentire una chiara leggibilità da parte dei fruitori del
servizio scolastico, in una ottica di comparabilità europea, rispettando le diverse finalità
che la legge attribuisce alla certificazione delle competenze ai vari livelli di età.
La certificazione delle competenze assume, nelle scuole del primo ciclo, una prevalente
funzione formativa ed educativa, di attestazione delle competenze in fase di
acquisizione, anche sostenendo e orientando le alunne e gli alunni verso la scuola del
secondo ciclo di istruzione.
La certificazione delle competenze del I ciclo descrive i risultati del processo formativo al
termine della scuola primaria e secondaria di primo grado, secondo una valutazione
complessiva in ordine alla capacità di utilizzare i saperi acquisiti per affrontare compiti e
problemi, complessi e nuovi, reali o simulati.

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