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Louis Godart - L'invenzione Della Scrittura (Riassunto)
Louis Godart - L'invenzione Della Scrittura (Riassunto)
2. Evans
All’entusiasmo romantico del commerciante tedesco si sostituiva
l’universitario Arthur John Evans. Nato nell’Hertfordshire nel 1851, figlio di un
archeologo, studia storia moderna e partecipa a scavi in Finlandia, Lapponia,
Dalmazia e Sicilia. Nel 1884 è nominato direttore dell’Ashmolean Museum di
Oxford. Cominciò a interrogarsi sul significato delle ricchezze delle tombe di
Micene. Un antiquario, Chester, arriva al museo e vende a Evans una pietra
sulla quale sono incisi dei segni. Secondo Chester, l’oggetto dovrebbe
provenire da Sparta. I segni sembrano rappresentare simboli convenzionali,
utilizzati per notare una scrittura pittografica. La testa di cane con la lingua di
fuori che appare sull’oggetto si ritrovava nei documenti ittiti e, sulla base di
questo paragone, Evans avanzò una duplice ipotesi:
O questo oggetto era di provenienza ittita
O un sistema di scrittura di ispirazione anatolica si era sviluppato in
Grecia nel II millennio a.C.
MA
Non si conoscevano sigilli identici in Anatolia
Il carattere indipendente della cultura micenea rendeva l’adozione di un
sistema di scrittura anatolico da parte dell’Egeo difficile.
1893 Evans si reca in Grecia.
Trova ad Atene altri sigilli simili un sistema grafico convenzionale era stato
utilizzato per questi documenti. Interrogando i rivenditori, Evans stabilì che
tutte le pietre incise da lui acquistate provenivano da Creta. Sapeva che il
museo di Berlino possedeva gemme antiche, quindi pregò il conservatore
Furtwaengler di fargli prevenire le copie di tutti gli originali. Evans notò che:
I caratteri (che battezzò geroglifici) incisi sulle pietre corrispondevano a
quelli presenti sui documenti comprati ad Atene
L’insieme dei segni sembrava costituire un sistema grafico coerente
1894 Comincia a percorrere la Creta centrale e la Creta orientale,
contribuendo a far nascere nella mente degli studiosi la convinzione
che la parte occidentale presentasse uno scarso interesse
archeologico.
La Creta che si apre a Evans è la Creta del re Minosse. Le fasi ulteriori della
storia dell’isola, i periodi dorico, romano, bizantino, arabo e veneziano,
avevano lasciato meno tracce.
L’inglese dedicò alla ricerca delle pietre incise il suo primo soggiorno
nell’isola. Le donne chiamavano queste pietre galopetres, “pietre del latte”, e
le portavano appese al collo convinte che favorissero l’allattamento. Evans fu
presto in grado di mettere insieme una collezione e, nel 1895, pubblicò i
risultati della sua campagna cretese nel “Journal of Hellenic Studies” con
l’articolo “I pittogrammi cretesi e la scrittura prefenicia”.
Su un vaso scoperto a Prodromos Botsanou erano incisi segni che già
sembravano evolvere verso un tipo di scrittura che Evans considerava
alfabetica. Questa scrittura, che Evans battezzò lineare A, si leggeva da
sinistra verso destra.
1896 Scoppia la rivoluzione cretese contro l’occupazione turca
MA
Evans non interrompe le ricerche. Si mette sotto la protezione dei comandi
militari francesi e italiani di stanza nell’est dell’isola. La zona cristiana viene
incendiata e scompaiono tanti resti. Successivamente, Creta otterrà
l’indipendenza.
Zachirakis aveva mostrato a Evans, nel 1895, un frammento d’argilla bruciata
recante un’iscrizione composta da segni che parevano scrittura; era stato
trovato in superficie non poteva essere datato, ma, secondo Zachirakis,
proveniva dai resti sepolti sulla collina di Kephala.
Evans aveva allacciato i rapporti con i proprietari della collina riuscì
laddove il tedesco aveva fallito.
1900 Evans scopre la prima tavoletta.
La scrittura che contiene è identica a quella sul frammento mostrato da
Zachirakis.
Evans scavò il Palazzo di Minosse: la tana del Minotauro, il labirinto e il
capolavoro di Dedalo erano opere reali di un popolo. I documenti scritti
emersi dalle rovine del Palazzo di Minosse erano centinaia tre scritture si
erano sovrapposte negli strati che risalivano al II millennio a.C.:
1. La più antica era una scrittura pittografica, che Evans aveva già
individuato sulle pietre del latte. Ma emergevano anche tavolette e sigilli
di argilla. I segni di questa scrittura ricordavano vagamente i geroglifici
egiziani, perciò Evans la battezzò scrittura geroglifica.
2. La seconda scrittura fu chiamata lineare A perché gli scribi ne avevano
ordinato il testo seguendo una linea tracciata da sinistra verso destra.
3. La maggioranza dei documenti erano redatti in una scrittura che Evans
chiamò lineare B, e che fu usata durante l’ultima fase della costruzione.
Lo studio stratigrafico del Palazzo di Cnosso rivelava che due aree palaziali
distinte si sovrapponevano e che sul versante est della collina sussistevano i
resti di una costruzione ancora più antica.
+
Sotto gli strati palaziali si potevano individuare tracce di costruzioni risalenti
alle più alte epoche neolitiche.
La civiltà cretese era molto più antica della civiltà micenea scoperta da
Schliemann. La leggenda raccontava che la Grecia continentale era stata
sottomessa a Creta. Le similitudini che si potevano notare tra l’arte micenea e
l’arte cretese erano dovute al fatto che la Grecia continentale era stata una
provincia della Creta minoica nel II millennio a.C. tale era la conclusione di
Evans.
1905 Evans distingue tre periodi nell’età del bronzo:
I. Bronzo antico
II. Bronzo medio
III. Bronzo tardo
In onore delle scoperte di Cnosso, sostituisce al termine bronzo il vocabolo
minoico, proponendo di scindere in tre periodi la protostoria cretese:
I. Antico minoico
II. Medio minoico
III. Tardo minoico Segnato dalla conquista cretese e dalla
colonizzazione del continente greco da parte degli
uomini di Minosse.
MA
Dal 1920, alcuni archeologi avanzarono l’ipotesi che la cultura continentale,
benché posta sotto l’influenza cretese, fosse autonoma proposero di
chiamare antico elladico, medio elladico e tardo elladico le tre fasi della
cultura continentale corrispondenti ai tre periodi coevi della storia cretese.
Per Evans, Creta era stata la dominatrice del bacino egeo e della Grecia tra il
1600 e il 1200 a.C
MA
A Koraku fu rinvenuta una ceramica efirea che risale al tardo elladico II. I vasi
efirei sono caratteristici per la decorazione a motivi floreali e marini. Alcuni
vasi del genere erano stati rinvenuti a Cnosso nel 1920 e appartenevano allo
stesso periodo
MA
Gli esemplari cretesi erano meno ricchi e meno armoniosi.
Evans aveva trovato vasi in alabastro dello stesso tipo nella sala del trono del
Palazzo di Cnosso e aveva affermato che gli alabastra rinvenuti sul
continente erano di origine e ispirazione cretese.
MA
Tsountas, in alcune tombe a Micene, aveva trovato due vasi del genere
indubbiamente di fattura continentale
+
I Palazzi sul continente presentavano sale del trono integrate all’insieme
architettonico del Palazzo, mentre la sala del trono di Cnosso sembrava
esser stata inserita in una pianta preesistente nel tardo minoico II ciò
poteva far pensare a un intervento architettonico pilotato da persone venute
dal continente.
QUINDI
Si può affermare che esistevano contatti tra Creta e il continente greco nel
bronzo tardo
MA
Questi contatti sembrano esser stati gestiti dalle popolazioni del continente
MA
L’autorità del signore di Cnosso era tale che nessuno osava sussurrare il
proprio disaccordo.
In tale contesto storico nasce la scoperta di un altro grande sito omerico,
quello di Pilo (Palazzo di Nestore). “Perché non immaginare che altre città
famose ai tempi omerici potessero giacere sotto terra?” è la domanda che si
pose Blegen, uno specialista della preistoria greca si mise alla ricerca del
Palazzo di uno dei re che avevano combattuto sotto le mura di Troia. Dove si
trovava Pilo? La questione era già stata affrontata dai commentatori
alessandrini nel III secolo a.C. ed era sempre oggetto di dibattiti. Blegen
scelse di affidarsi a Omero e di cercare Pilo in Messenia. In questa provincia
del sud-ovest del Peloponneso esiste una città “moderna” chiamata Pilo: si
trova a sud della baia di Navarino. Blegen, a nord della baia di Navarino,
individuò una collina cosparsa di cocci micenei e di resti antichi e, nel 1939,
ottenne dal governo greco il permesso di iniziare gli scavi. Gli operai
portarono alla luce delle tavolette in lineare B Blegen aveva aperto la sua
prima trincea sopra i resti della sala d’archivio di re Nestore. Questa scoperta
sconvolgeva la visione che le teorie di Evans avevano accreditata i
documenti in lineare B erano scritti nella stessa lingua usata nei testi di
Cnosso. Come conciliare questo fatto con la tesi secondo la quale un regno
cretese avrebbe esteso il suo dominio a tutta la Grecia nel II millennio a.C.?
Come spiegare che micenei del continente avessero potuto disporre di
documenti simili a quelli scoperti a Creta, in un Palazzo che non era un
Palazzo greco?
Alcuni avanzarono l’ipotesi che le tavolette di Pilo provenissero da una
razzia compiuta a Creta da pirati messeni
Per altri il re miceneo di Pilo avrebbe catturato degli scribi cretesi e li
avrebbe costretti a tenere, in minoico, i conti della sua amministrazione
Altri rimisero in discussione l’appartenenza dei micenei al mondo greco.
Nessuno osò prendere in considerazione l’ipotesi che le tavolette in lineare B
di Cnosso e di Pilo fossero scritte in greco.
3. Ventris
1936, Londra Arthur Evans tiene una conferenza.
Tra il pubblico vi è un quattordicenne appassionato delle scritture antiche:
Michael Ventris, che promette a se stesso di diventare un giorno il decifratore
dei testi cretesi.
L’esito della decifrazione di una scrittura scomparsa dipende dal materiale di
cui si dispone: l’ideale è poter lavorare su una bilingue o almeno su un
numero consistente di testi abbastanza diversificati.
Evans fu il primo a capire che le scritture cretesi erano composte da:
Sillabogrammi
Ideogrammi che rappresentavano l’oggetto delle transizioni registrate
nei testi
Cifre che di solito erano associate a questi ideogrammi
Il sistema numerico in uso presso gli scribi cretesi era il sistema decimale.
Evans aveva anche notato che vi erano rapporti grafici tra A e B e il sillabario
cipriota classico, la cui decifrazione, intrapresa dall’inglese Smith, risaliva al
1870. La coincidenza era impressionante, ma Evans preferì non lasciarsi
condizionare accettando un’ipotesi del genere avrebbe dovuto ammettere
che la lineare B potesse servire a notare una lingua greca. Evans aveva
avanzato l’ipotesi che la scrittura lineare B (= scritture cuneiformi o scrittura
egiziana) fosse caratterizzata dalla presenza di determinativi (= segni che
non rappresentano un suono ma servono a classificare la parola alla quale
sono associati in una determinata categoria.
1943 Alice Kober si occupò delle iscrizioni in lineare B, ponendo tre quesiti:
La lingua era flessa e utilizzava desinenze?
Esisteva il plurale?
Esisteva una distinzione tra i generi?
Dimostrò che esisteva una distinzione tra i generi
+
Poté stabilire il procedimento grafico usato per indicare il sesso degli animali
+
Dimostrò che gli scribi, sulla base di una forma semplice, avevano creato
forme complesse la lingua era flessa.
Fra i lavori che furono utili a Ventris nell’elaborazione della sua teoria, merita
spazio quello di Bennett all’indomani della IIGM, Blegen aveva affidato a
Bennett la pubblicazione delle tavolette in lineare B provenienti dal Palazzo di
Nestore. Bennett ordina questo materiale studiando le varianti dei segni e
classifica i testi in serie.
Chiunque intenda intraprendere una decifrazione può trovarsi di fronte a
diverse situazioni:
I. Può dover affrontare una lingua conosciuta ma nascosta dietro a una
scrittura sconosciuta (es. antico persiano)
II. Può dover affrontare una lingua sconosciuta espressa attraverso una
scrittura conosciuta (es. etrusco)
III. Può avere a che fare con una scrittura sconosciuta che serve a notare
una lingua sconosciuta (es. lineare B)
La prima cosa da determinare era il tipo di sistema grafico usato nelle
tavolette. Vi sono tre sistemi grafici nelle scritture del mondo:
1) Sistema ideografico
2) Sistema sillabico: ogni segno corrisponde a una vocale o a una
consonante più vocale (es. oggi: la kana giapponese). Le scritture
sillabiche necessitano 60/90 segni.
3) Sistema alfabetico, legato a un numero ristretto di segni
La scrittura lineare B comportava circa 80 segni. Erano troppi per una
scrittura alfabetica e troppo pochi per una scrittura ideografica la lineare B
era sillabica.
1940 Ventris pubblica un articolo nell’ “American Journal of Archaeology”
intitolato “Avviamento alla lingua minoica”
L’idea era di cercare una lingua apparentata al minoico; l’etrusco, agli occhi di
Ventris, era un candidato valido, poiché esiste una teoria secondo la quale gli
etruschi sarebbero approdati in Italia provenendo dall’Egeo.
Ventris era convinto, in legame con le deduzioni di Evans, che i cretesi non
avessero nulla a che fare con i greci.
1948 Ventris ottiene il diploma di architetto
1950 Fa circolare, in seno a un gruppo di 12 specialisti, un formulario con
quesiti
Mette in ordine le risposte e fa circolare un dattiloscritto con un suo parere.
Insiste sul fatto che il primo passo verso una decifrazione della lineare B è
legato all’identificazione delle alternanze tra i segni del sillabario B,
indipendentemente dal valore fonetico di questi ultimi. Secondo la
confessione dello stesso Ventris, il suo compito si sarebbe fermato lì:
numerosi impegni si facevano pressanti nel campo dell’architettura
MA
Già iniziava nuove ricerche che avrebbero portato alla decifrazione
1952 Propose di riconoscere una lingua greca dietro i sillabogrammi della
lineare B.
Cominciò effettuando delle statistiche sulla frequenza di ogni segno in
iniziale, in finale di parola o in qualsiasi altra posizione. Risultò che tre segni
erano molto frequenti in iniziale di parola (p. 41), e uno dei tre, il trono, anche
in finale. In alcuni casi, inoltre, capitava di ritrovare questi segni all’interno
delle parole. Due dei tre segni, la doppia ascia e il trono, erano stati
interpretati da Evans come determinativi; il fatto che si trovassero anche in
posizioni diverse da quella iniziale o da quella finale, consentiva di escludere
tale ipotesi.
+
In un sillabario composto da vocali e da consonanti più vocali, i segni vocalici
sono utilizzati all’iniziale ogniqualvolta una parola comincia per vocale, e
appaiono invece all’interno dei gruppi di segni solo nei casi in cui seguono
una vocale è facile immaginare che si troveranno soprattutto all’iniziale vi
sono buoni motivi per ritenere che questi tre simboli siano dei segni vocalici.
Alcune parole presentano una variante di un solo segno. Ciò non può essere
casuale tali varianti dimostrano l’esistenza di una parentela tra i segni che
si sostituiscono l’uno all’altro. Le varianti più numerose sono attestate in
finale. Alice Kober aveva avanzato l’ipotesi che si trattasse di flessioni in
modo da poter esprimere una relazione grammaticale. Ventris notò che, se le
parole attestate erano principalmente degli antroponimi, le flessioni erano
probabilmente il frutto di declinazioni. Si accorse che alcuni gruppi di segni
erano attestati a volte sotto forme flesse, che apparivano a volte precedute
da un gruppo di due segni (p. 43) che doveva indicare una preposizione, e
potevano essere espresse con la sostituzione di un segno alla presumibile
desinenza del nominativo. La presenza di fenomeni di sostituzione può
essere legata a due fattori:
O all’aggiunta di suffissi indipendenti
O a flessioni simili a quelle del latino
Il fatto di ritrovare nella lineare B vari tipi di flessioni, testimoniava a favore
della seconda ipotesi Ventris poté stabilire una nuova serie di relazioni tra i
segni che, verosimilmente, potevano avere la stessa consonante ma vocali
diverse. Disponendo di esempi ripetuti di alternanze identiche, Ventris era in
grado di proporre un prospetto abbastanza ricco che consentiva di avvicinare
tra loro un numero cospicuo di segni della lineare B; in alcuni casi le
alternanze erano dovute a un cambiamento di genere, perché la loro
presenza era legata all’associazione con l’ideogramma dell’uomo o della
donna Ventris fu in grado di redigere un elenco che distingueva tra segni
associati al maschile e segni associati al femminile. Partendo dal principio
che il femminile derivasse dal maschile come nel latino, si poteva supporre
che ognuno dei segni di queste due colonne avesse la stessa vocale. Nel suo
“Appunto di lavoro n.15”, Ventris compila un prospetto che tiene conto di tutti
questi dati: i segni vi sono disposti in colonne a seconda della funzione
presunta attribuita al suffisso per poter capire immediatamente le parentele
vocaliche o consonantiche tra i segni (p.45). A partire da tale lavoro, si potrà
estrarre una griglia che rappresenterà un’intelaiatura dei valori fonetici da
attribuire ai sillabogrammi della lineare B; così fece Ventris propose un
nuovo prospetto contenente 5 colonne, che corrispondevano alle 5 vocali da
lui postulate per la lineare B. All’interno di ognuna delle 5 colonne, 15 posti
erano riservati alle consonanti.
Secondo Ventris, i vocaboli corrispondevano a nomi di luoghi e ai loro derivati
e non a nomi di persone i ruppi di segni più lunghi, costruiti sulla forma
originale, dovevano essere i derivati maschili e femminili dei nomi di città, e
indicare gli abitanti di queste località.
Secondo Ventris, i terzetti attestati nei testi di Cnosso offrivano maggiori
possibilità di identificazione rispetto a quelli delle tavolette di Pilo, poiché più
numerosi sono i toponimi antichi sopravvissuti nella toponomastica cretese,
anche nel vocabolario moderno.
Dopo l’identificazione dei nomi di località, Ventris passa all’analisi di un nome
che serve verosimilmente a indicare un prodotto agricolo, trascritto con i
sillabogrammi 70-53-57-14-52 a Cnosso e 70-53-25-01-06 a Pilo. L’inizio di
questa parola si legge ko-li o ko-ri e la finale to-no o ta-na può solo
corrispondere al nome greco del coriandolo, che si legge koriannon. Tale
parola è greca, ma potrebbe essere uno dei tanti nomi stranieri di spezie
introdotti nel greco l’identificazione di 70-53-57-14-52 con koriandron non
significa necessariamente che la lingua della lineare B possa avere qualcosa
a che fare col greco.
+
I nomi utilizzati per indicare i ragazzi e le ragazze sono già stati individuati da
Cowley. Ambedue iniziano con il sillabogramma 70, il cui valore fonetico è ko.
Vi è solo un vocabolo che presenta tale valore per indicare i nomi dei ragazzi
e delle ragazze: è il nome greco “koros” al maschile, “korè” al femminile, due
termini attestati in ionico-attico per i quali l’etimologia restituisce gli archetipi
“korwus” e “korwa”. I sillabogrammi 42 e 54 della lineare B potrebbero quindi
avere valore fonetico wo e wa. In tal caso, la consonante II della griglia
sarebbe -w-; 42 e 54 sono sul rigo II. Ora 42 può solo essere -wo- ed elimina
così 10 dalla colonna II la flessione -10/-42/-75, preceduta da un segno
della colonna III con timbro vocalico e, è quindi del tipo e-10, e-wo, e-we, il
che fa pensare alla declinazione dei nomi di mestieri in -Єvç del greco.
+
La parola usata per indicare il totale è 05-12 per il maschile e 05-31 per il
femminile o il neutro. Foneticamente, essi corrispondono a delle forme to-so
e to-sa che ci ricordano le parole greche tosos e tosa utilizzate per significare
il totale.
QUINDI
L’ipotesi greca diventa sempre più verosimile e Ventris deve convincersi che
la lingua delle tavolette in lineare B di Cnosso e di Pilo è una lingua greca.
Ventris intitola il suo “Appunto di lavoro n. 20” “Le tavolette di Cnosso e di
Pilo sono scritte in greco?”. La comunità scientifica gli darà ragione, così
come la ricerca archeologica, perché si scopriranno nuovi testi che
consentiranno di provare che Ventris non si era sbagliato.
2. L’Oriente cuneiforme
La scrittura cuneiforme giaceva dimenticata sotto le colline (tell) d’Oriente.
Già nell’antichità le conoscenze del mondo classico sulla scrittura dei popoli
orientali erano scarse. La prima notizia è in una lettera del 1621 a firma di
Pietro della Valle, viaggiatore veneziano, da Shiras (in Persia).
1674 Il francese Chardin visita le Indie e la Persia e pubblica la prima copia
integrale di un’iscrizione persiana.
Fine ‘700 Engelbert Kaempfer è il primo a utilizzare il termine “cuneiforme”
per designare l’antica scrittura orientale.
Carsten Niebuhr, durante un soggiorno a Persepoli, fece delle trascrizioni di
iscrizioni trilingue che furono pubblicate nel 1788. Niebuhr riconosceva tre
scritture in quei documenti:
Antico persiano Il più semplice, poiché comportava solo 42 segni
Sistema elamitico
Babilonese
Tutto quanto si conosceva sulla storia degli assiri era dovuto al racconto
biblico.
Il più importante monumento mesopotamico era il “caillou Michaux”,
depositato al Cabinet des Médailles di Parigi.
Non si sapeva nulla dei sumeri, degli accadi e degli ittiti
+
Delle lingue solo il fenicio era stato decifrato nel 1764 dall’abate Barthélemy,
grazie a un testo bilingue scoperto nell’isola di Malta.
1842 Per la prima volta si intraprende uno scavo su una delle colline
artificiali
che caratterizzano il deserto, costituite dall’accumulo dei resti del
passato (tell).
Le prime collezioni di antichità orientali giungono al Louvre nel 1847 e al
British Museum nel 1848.
Gli americani scavano Nippur e scoprono migliaia di documenti in argilla.
Furono i greci a chiamare Mesopotamia il paese incastrato tra il Tigri e
l’Eufrate, ma le antiche civiltà dell’Asia anteriore non si limitano alla regione
da essi bagnata. I più antichi abitanti della zona sono i sumeri, un popolo di
provenienza discussa.
Inizio III millennio a.C. Accanto ai sumeri troviamo i babilonesi, semiti
nomadi
venuti dal deserto siriano.
2000 a.C. Arrivano gli amorriti, altri nomadi semiti
Fine II millennio a.C. Arrivano gli aramei, altri semiti.
I millennio d.C. La Mesopotamia è occupata dagli arabi.
La diffusione della scrittura cuneiforme
Metà II millennio a.C. Troviamo il sistema cuneiforme a est nell’Elam, la
regione del sud-est iranico che aveva relazioni
commerciali con le culture sumeriche e babilonesi.
Questo sistema serviva a notare l’accadico e anche l’elamitico, che è la
scrittura di una lingua che non è né indoeuropea, né semitica.
I millennio a.C. I persiani emigrarono dall’America in Iran e conservarono
amministrazione, lingua e scrittura elamitiche.
A ovest, l’influenza della civiltà mesopotamica si fece sentire ancora
maggiormente gli urriti adottarono la scrittura cuneiforme per notare la loro
lingua che non era né semitica né indoeuropea. Attraverso gli urriti, la
scrittura cuneiforme si diffuse tra i popoli dell’Asia Minore, soprattutto presso
gli ittiti, che erano indoeuropei gli ittiti utilizzarono il cuneiforme per scrivere
i testi anche nella lingua dei popoli vicini.
IX/VI sec. a.C. Gli urartei occuparono l’Armenia.
Essi scrissero i testi della loro lingua con l’aiuto della scrittura cuneiforme
neoassira, importata dall’Assiria in quell’epoca.
Esistono nell’Oriente antico due creazioni di nuove scritture sulla base della
scrittura cuneiforme:
1. A Ugarit (sulla costa siropalestinese) è stata creata una scrittura
alfabetica di una trentina di segni, senza ideogrammi e segni
determinativi, che imita la scrittura cuneiforme
2. La scrittura dell’antico persiano, che ha in comune con la scrittura
cuneiforme babilonese il motivo del cuneo, ma è una scrittura alfabetica
con 36 segni fonetici e qualche elemento di scrittura sillabica.
L’elemento comune a tutti i regimi che si sono succeduti in Mesopotamia è la
scrittura cuneiforme. Essa era all’inizio costituita da disegni che
rappresentavano oggetti, ma poiché, a differenza dei testi egiziani incisi su
pietra o dipinti su papiri, il supporto della scrittura mesopotamica era
soprattutto l’argilla, gli scribi furono costretti a procedere nella stesura dei loro
documenti con incisioni a forma di cunei. Per esprimere la sintassi, gli scribi
hanno dovuto utilizzare dei segni con un valore fonetico.
Sistema grafico Sistema misto nel quale, a seconda della sua posizione
nel discorso, un medesimo segno può esprimere realtà
differenti.
Nella scrittura cuneiforme ritroviamo ideogrammi, segni fonetici e segni
determinativi un segno ideografico può pronunciarsi in modo diverso nelle
scritture dei vari popoli. I segni fonetici delle scritture cuneiformi sono sillabe; i
determinativi vengono collocati prima delle parole e raramente dopo. Questi
determinativi sono identici in tutte le scritture cuneiforme. Le ragioni del suo
successo duraturo ed esteso risiedono probabilmente nel fatto che la scrittura
cuneiforme consentiva a tanti popoli di notare altre lingue dell’Asia anteriore,
ed è quindi diventata uno strumento apprezzato per la comunicazione tra i
mercanti e gli stati.
+
Il fatto che sia stata utilizzata fuori dalla sua terra d’origine ne dimostra la
grande duttilità.
Le decifrazioni nell’Asia anteriore
1798 Oluf Gerhard Tychsen scopre che, in antico persano, un solo cuneo
obliquo ha il ruolo di interpunzione
+
Giunge alla conclusione che le tre scritture scoperte da Niebuhr
corrispondono a tre lingue diverse.
1802 Friedrich Muenter afferma che le iscrizioni degli antichi re di Persia
appartenevano alla dinastia degli achemenidi.
Questi sovrani avevano regnato sulla Persia dalla seconda metà del VI sec.
a.C. fino alla conquista di Alessandro Magno nel 332. La loro lingua doveva
essere l’avesta, la lingua del libro sacro degli indiani.
Muenter aggiunge inoltre che le prime iscrizioni in antico persiano erano
alfabetiche, mentre quelle in elamitico e in babilonese erano rispettivamente
sillabiche e ideografiche. Il loro contenuto era identico, cosa frequente nei
testi antichi: le ripetizioni di parole della prima iscrizione si potevano rilevare
anche nella seconda e nella terza.
L’uomo che riuscì a penetrare i misteri dell’antico persiano fu un dilettante,
giovane professore di liceo: Georg Friedrich Grotefend di Goettingen (1775-
1853). Egli non aveva alcuna conoscenza delle lingue orientali e non
disponeva di nessuna iscrizione bilingue
MA
Il suo lavoro era basato su dati precisi:
Il cuneo obliquo attestato nelle iscrizioni di Persepoli era
un’interpunzione.
L’iscrizione in antico persiano era probabilmente alfabetica tra due
interpunzioni si potevano, in alcuni casi, contare fino a 10 segni: è quasi
impossibile riscontrare casi del genere nelle scritture sillabiche
Erano i tre achemenidi ad aver ordinato le iscrizioni di Persepoli
Le iscrizioni del primo gruppo erano redatte nella lingua di questi
sovrani che doveva essere l’antico persiano
Le iscrizioni dovevano consistere in genealogie.
Grotefend esaminò la genealogia dei nomi di re persiani tramandata da
Erodoto e cercò i nomi che potevano meglio corrispondere ai segni
dell’iscrizione. Notò che il padre dell’autore della seconda iscrizione aveva
anch’egli il titolo di “re”, mentre il padre dell’autore della prima iscrizione non
aveva un titolo del genere l’autore della seconda iscrizione doveva essere
Serse, il cui padre, Dario, era re, mentre l’autore della prima iscrizione
doveva essere Dario, il cui padre, Istaspe, non aveva diritto al titolo Erano
stati identificati i nomi di Serse, Dario e Istaspe; bastava trovare il loro
corrispondente in antico persiano e, per ottenerlo, era sufficiente passare
attraverso l’avestico Gotefend riuscì ad ottenere 15 valori fonetici.
Altri studiosi completarono il lavoro di Grotefend.
1836 Il francese Emile Burnouf e il tedesco Lassen riuscirono, grazie a un
elenco di popoli ripreso in una delle iscrizioni, a definire la maggior
parte dei valori fonetici.
Nello stesso periodo, l’inglese Henry Rawlinson entrava al servizio della
Persia come consigliere militare. Fu lui a scoprire l’iscrizione di Dario
scolpita sulle rocce di Behistun. Non sapeva molto del lavoro di Grotefend, e
decise di affrontare la decifrazione dell’iscrizione le conclusioni cui giunse
risultavano simili a quelle di Grotefend. L’iscrizione di Behistum gli aveva
consentito di affermare la validità dell’avvicinamento tra l’antico persiano,
l’avestico e il sanscrito e, sulla base del paragone tra queste lingue, interpretò
le parole e le forme grammaticali dell’antico persiano.
Ma le iscrizioni dei re achemenidi erano trilingue: una volta decifrata la
versione in antico persiano, sarebbe stato molto più semplice affrontare le
versioni in cuneiforme elamitico e in cuneiforme babilonese. L’iscrizione in
elamitico era notata tramite una scrittura sillabica che comprendeva circa 111
segni diversi. L’assenza di interpunzione rappresentava un ostacolo per i
decifratori.
1853 L’inglese Norris pubblicava la versione elamitica dell’iscrizione di
Behistun.
Il genere di scrittura assiro-babilonese era attestato su monumenti e tavolette
d’argilla che venivano alla luce da tutti gli scavi d’Oriente la scrittura
accadica era servita ad alimentare una letteratura particolarmente ricca ed
estesa (≠ antico persiano e elamitico). Per decifrare questi testi, era di nuovo
necessario partire dall’iscrizione in antico persiano. L’impresa non era
semplice perché questa scrittura contava più di 300 segni diversi e non
esistevano interpunzioni. Oggi sappiamo che una parola poteva essere
trascritta con vari segni sillabici o con un logogramma, ma i primi che
s’interessarono a questi testi nulla sapevano di un simile modo, perciò questa
scrittura li disorientò. Le tappe che portarono alla decifrazione della scrittura
accadica:
1) Grotefend riuscì a isolare le grafie accadiche delle parole corrispondenti
ai nomi di Dario, Serse e Istaspe
+
Avanzò l’ipotesi che il nome del re Nebukadnezar fosse attestato su
alcuni mattoni trovati a Babilonia.
2) Lo svedese Isidore Loewenstern fu il primo a sostenere che la lingua
accadica era semitica e ad avanzare l’ipotesi che i segni fonetici
dell’accadico fossero consonanti, poiché le scritture semitiche più
recenti omettono di notare le vocali
+
Fece notare che esistevano segni diversi per notare ogni consonante.
3) 1850 Edward Hincks constatò che non esisteva un unico segno della
scrittura accadica per indicare una consonante ognuno
rappresentava una consonante seguita da vocale o una vocale
seguita da consonante; altri avevano il valore di consonante più
vocale più consonante e potevano essere scomposti in due
elementi sillabici.
Hincks dimostrò che lo stesso segno poteva essere utilizzato come
logogramma, come segno sillabico e come determinativo
+
Riuscì a identificare i determinativi utilizzati per i nomi di divinità e di
paese e gli antroponimi maschili e femminili.
4) Botta, lo scavatore del Palazzo di Khorsabad, scoprì che una parola
poteva essere resa o da un ideogramma o da un gruppo di segni
sillabici.
5) Rawlinson dimostrò come gran parte dei segni assiri è polifonica. Fece
un elenco di 246 segni che oggi costituisce la base delle tavolette di
segni che vengono proposti nelle ricerche in assiriologia.
La lingua sumerica non presenta affinità con nessuna delle lingue in
Mesopotamia
+
È scomparsa come lingua vivente poco dopo il regno di Hammurabi; da quel
momento fu utilizzata unicamente per motivi religiosi dai sacerdoti babilonesi.
I babilonesi hanno tentato in ogni modo di imparare la lingua morta dei
sacerdoti hanno redatto elenchi dei più rari valori fonetici del sumerico,
esempi grammaticali e vocaboli e hanno conservato testi religiosi sumerici.
2. L’Egeo e l’Occidente
Il Mediterraneo orientale è stato il polo d’attrazione dei popoli dell’Egeo
MA
Sin dall’elladico recente I (periodo delle tombe a fossa di Micene) comincia a
manifestarsi una presenza egea nel Mediterraneo occidentale che si farà
sentire fino all’elladico recente IIIC. I tre grandi momenti della presenza egea
in Occidente possono essere suddivisi in:
1) Tardo elladico I e II (XVI e XV secolo a.C.) Riguarda le isole del sud
del Tirreno.
2) Tardo elladico IIIA e B (XIV e XIII secolo a.C.) Interessa la Sicilia, le
isole Eolie e lo
Scoglio del Tonno in
Calabria.
3) Tardo elladico IIIC (prima metà del XII secolo a.C.) L’Italia
meridionale non è più la regione dove ci si ferma per approvvigionarsi
d’acqua e di viveri
≠
È la terra dove si cerca di stabilirsi. È il momento in cui la presenza
micenea in Sardegna è documentata.
Le importazioni egee si fanno sempre più rare
≠
Le imitazioni locali diventano più numerose (es. Vasi di stile egeo, che
però nulla possono dirci circa l’intensità del traffico che collegava l’Italia
all’Egeo in questo periodo).
La maggioranza dei reperti è stata scoperta nella fortezza di Antigori a ovest
di Cagliari.
I ritrovamenti egei del XIV secolo a.C. in Sicilia provengono da necropoli
≠
Nell’Italia meridionale e in Sardegna da centri abitati.
Le tombe e gli abitati che ci hanno fornito materiali egei non sono mai
completamente egei, trattandosi sempre di necropoli o abitati indigeni
≠
Nel Mediterraneo orientale esistono tombe e abitati interamente segnati dal
sigillo minoico o miceneo. Rodi è uno dei principali centri micenei sulle rotte
orientali e vi si trovano necropoli di età micenea che dimostrano l’intensità
della presenza coloniale egea.
In Occidente non c’è nulla di tutto ciò questo suggerisce una
frequentazione superficiale dei siti occidentali da parte di una popolazione
poco rappresentativa del commercio egeo. Le ragioni che hanno spinto questi
uomini verso Occidente bisogna ricercarle nel contesto dei traffici tra l’Egeo e
il resto del Mediterraneo. Alcuni hanno avanzato l’ipotesi che la
frequentazione dei mari occidentali da parte dei marinai dell’Egeo fosse da
mettere in relazione con la necessità di aprire nuovi mercati poiché i mercati
d’Oriente erano in mano ai minoici
MA
Cretesi e minoici sono stati associati nel traffico commerciale che interessava
la costa siro-palestinese e l’Egitto. In seguito, i micenei hanno soppiantato i
cretesi.
Il fatto è che, paragonata al commercio nel Mediterraneo orientale, la
presenza micenea in Occidente era insignificante gli egei che trafficavano
con l’Oriente erano ricchi
≠
Gli altri erano privi di mezzi.
3. Le civiltà dell’Egeo e i loro modelli
Malgrado le divergenze che li dividevano (es. linguistiche), i popoli micenei e
minoici avevano molti punti in comune questa continuità risulta evidente nei
rapporti che entrambi hanno avuto con Siria e Egitto.
Ittiti ed egei si sono incontrati nella zona di Mileto; gli ittiti devono aver
considerato con perplessità i tentativi di sfondamento economico dei micenei
verso la Mesopotamia poiché, nel trattato tra Tudhaliya IV e
Shanshgamuwa di Amurru, il re ittita vieta il transito delle merci degli
ahhiyawa (egei e probabilmente micenei) in direzione dell’Assiria. I rapporti
tra ittiti ed egei si limitano a questi episodi.
La civiltà egiziana, protesa verso l’aldilà, è probabilmente sembrata strana
agli egei, che preferivano costruire Palazzi per i vivi piuttosto che i templi per
gli dèi o per i morti.
Lo studio dei testi in lineare B hanno consentito di chiarire alcuni aspetti della
civiltà micenea i micenei parlavano una lingua greca erano indoeuropei.
Le società “libere” dei popoli appartenenti alla famiglia indoeuropea si
potevano suddividere in tre classi:
o Classe sacerdotale. La ritroviamo nel mondo miceneo, dove da tale
sovranità deriva tutto l’apparato amministrativo e cultuale. Il capo dello
Stato ha il titolo di “anax”, che può essere applicato anche a divinità, e
poteva nominare i suoi funzionari. L’amministrazione micenea
registrava i contrasti tra individui legati al culto e altri che non lo erano.
Il Palazzo, e quindi il re, avevano diritto di controllo sui santuari e sulla
classe sacerdotale, poiché le informazioni che li riguardano sono
trascritte negli archivi palaziali
≠
L’attestazione di proprietà appartenenti agli dèi dimostra che
un’indipendenza economica era appannaggio del culto e dei santuari
≠
Questi ultimi dovevano contribuire allo Stato quando le circostanze lo
richiedevano. Un’autorità religiosa potrebbe essere una caratteristica di
qualsiasi potere assoluto che si manifesti in una società palaziale, sia o
no indoeuropea
o Classe militare. I suoi rappresentanti erano importanti nella società
micenea (es. a giudicare dalle tombe dei “guerrieri” di Cnosso).
Un’aristocrazia militare combatteva con i carri, e accanto a essa si
muoveva una truppa di cui non sappiamo molto: si tratta dei fanti (≠
ufficiali). La Creta micenea poteva armare 600 carri, la Messenia 120.
Ogni veicolo era affidato a un individuo.
o Classe contadina e artigianale
Delle società del III e del II millennio a.C. paragonabili a quella micenea, la
civiltà di Ur è la sola ad essere caratterizzata da una presenza così pervasiva
dell’autorità palaziale.
L’attività economica e il culto
A Ur, lo Stato era incaricato all’approvvigionamento dei templi uno stretto
legame collega il Palazzo e i templi i dignitari ecclesiastici sono oggetto di
nomine del sovrano
MA
I due circuiti economici sembrano indipendenti l’uno dall’altro
=
Questa descrizione dei rapporti può essere applicata ai rapporti tra Stato e
santuari micenei. Che esistessero, nel mondo miceneo e a Ur, due circuiti
economici paralleli, appare nei testi di pastorizia: troviamo menzionate greggi
del patrimonio palatino e altre che appartenevano a un santuario; i tessuti
fabbricati con questa lana erano distinti a seconda del circuito dal quale
provenivano.
La società
La società sumerica è sempre stata suddivisa in uomini liberi e schiavi.
Durante la III dinastia di Ur compare un’ulteriore distinzione nella categoria
degli uomini liberi: nei testi giuridici troviamo delle persone denominate
mashda: il popolo, che gode di minori diritti rispetto ai cittadini agiati.
+
Vi sono persone il cui status non è definito giuridicamente e che sono ridotte
in schiavitù: gli eren; appartengono alla classe artigianale, dipendono da un
ensi (la più alta autorità civile in seno alle province) o da uno shagin (il più
alto responsabile militare a livello provinciale) e sono sottoposti a una stretta
sorveglianza. Alcuni eren erano schiavi, altri uomini liberi. È possibile che le
distinzioni giuridiche si siano affievolite. Il mercato degli schiavi veniva
rifornito da persone che avevano subito condanne o che, per difficoltà
economiche, erano costrette ad autovendersi o a vendere i propri figli. Gli
schiavi in realtà erano dei collaboratori domestici il cui lavoro era considerato
complementare a quello dei loro proprietari, e potevano godere di una
personalità giuridica, sposare persone libere e testimoniare di fronte ai
tribunali
=
La somiglianza tra la situazione descritta a Ur e quella che traspare dai
documenti in lineare B è sconcertante per quanto riguarda sia la classe
artigianale che quella servile. Sulla base della tavoletta An 607 di Pilo,
abbiamo motivi per ritenere che i figli nati da un genitore libero e un genitore
schiavo fossero schiavi. Molti fabbri possiedono uno schiavo che aiuta il
padrone nel suo lavoro quotidiano.
+
Alcuni schiavi potevano essere oggetto di un contratto di compravendita tra
due individui i cui nomi erano registrati negli archivi palatini, il che fa pensare
che il possesso di uno schiavo da parte di un libero cittadino fosse sottoposto
al controllo dell’amministrazione centrale. Gli schiavi sumerici potevano
anche sposare persone libere e possedere terre o greggi
≠
Esistevano schiavi sottoposti a durissime condizioni (sia mondo miceneo che
sumerico. Ai tempi della III dinastia di Ur, gli schiavi erano prigionieri di guerra
o persone rapite durante una razzia, e non godevano di alcuno statuto
giuridico
+
Erano costretti a effettuare i lavori al servizio dello Stato. Lo schiavo è un
bene che può essere venduto o ereditare, sebbene non sia considerato un
oggetto; è sottoposto incondizionatamente all’arbitrio del potere: è il dannato
della terra i veri schiavi micenei non sono chiamati “schiavi”, perché la loro
condizione è implicita.
L’economia
L’industria. L’industria tessile occupava un posto di rilievo nella produzione
statale dei sumeri, ed era soprattutto la manodopera femminile a essere
utilizzata nelle officine. I lavoratori erano sottoposti all’autorità di capisquadra
che rispondevano del lavoro del gruppo davanti a vari sovrintendenti, i quali,
a loro volta, rendevano conto al potere centrale. J. T. Killen ha dimostrato per
Cnosso che l’industria tessile era fondamentale per l’economia dei micenei;
una manodopera essenzialmente femminile era incaricata di far funzionare le
officine (= a Ur). Le donne in questo settore lavoravano insieme ai loro figli e
ubbidivano a donne che dirigevano le officine. Il Palazzo distribuiva ai
lavoratori razioni alimentari che variavano in funzione del grado di
specializzazione dei lavoratori. Questi artigiani erano tenuti a pagare delle
tasse al Palazzo, prova che possedevano beni.
L’agricoltura. All’epoca della III dinastia di Ur, esistevano tre regimi diversi di
sfruttamento delle terre, corrispondenti a tre tipi di proprietà:
1. La riserva dello Stato: le terre sfruttate direttamente dal Palazzo
2. Terre di sussistenza: dei lotti assegnati dallo Stato ai suoi servitori
3. Terre date in usufrutto: venivano affittate a privati che potevano
ricorrere, per i lavori più impegnativi, ai servizi specializzati del tempio, il
quale disponeva di mezzi tecnici adeguati.
=
Esistevano tre tipi di proprietà fondiaria nel mondo miceneo:
1. Terre appartenenti al re o alla seconda autorità dello Stato (lawagetas).
Per coltivare e far fruttare i demani, il re e il lawagetas dispongono di
manodopera specializzata, il che fa pensare che fossero essi stessi ad
amministrare il loro territorio
2. Terre lavorate da privati
3. Ke-ke-me-na: terre comunali. Ke-ke-me-na era probabilmente da
collegare col verbo che significa “lasciare lì” le ke-ke-me-na sono
terre “lasciate lì” dal comune e date in usufrutto a vari beneficiari.
Il commercio. Il commercio era essenziale per la sopravvivenza del paese
sumerico bisognava far arrivare le materie prime introvabili in Mesopotamia
dal Golfo Persico, dall’Asia Minore e dall’Afghanistan. Il commercio era
finanziato dalle autorità governative o dai templi, che affidavano ai mercanti
(dagmar) i prodotti da scambiare. Nel periodo del grande impero di Ur, lo
Stato tollera la costruzione di imprese private. I dagmar utilizzavano a fini
personali i guadagni realizzati durante i loro viaggi ciò spiega come, a poco
a poco, si sia formata una classe media che più tardi, per motivi economici,
avrebbe identificato i propri interessi con quelli dello Stato.
In età micenea, il commercio dell’Egeo è stato diretto dalle amministrazioni
palatine l’industria tessile era nelle mani dello Stato, e una parte importante
dei prodotti scambiati con le materie prime era costituita dai tessuti
provenienti dalle officine palaziali. È probabile che nel mondo miceneo (=
Mesopotamia) i mercanti abbiano saputo utilizzare a fini personali una parte
dei guadagni.
La società sumerica sembra quella più vicina a quella micenea, il che è
sorprendente se si tiene conto del divario cronologico che separa le tavolette
in lineare B dai documenti di Ur III o dal codice di Hammurabi La maggior
parte dei testi continentali è databile alla fine del XIII secolo a.C.
≠
Il grande secolo di Ur III si colloca tra il 2111 e il 2003 a.C.
DAI PALAZZI A OMERO