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COMMEDIA- CANTI INFERNO 3,5,6,10,13,26,33

CANTO 3:

Tempo: La sera dell’8 aprile 1300 (venerdì santo)

Luogo: L’Antinferno e la riva del fiume Acheronte.

Peccatori e castigo: Gli ignavi (coloro che in vita avevano mancato di forza morale e di volontà) corrono
dietro a una bandiera, tormentati dalle punture di insetti mostruosi.

Personaggi: Dante e Virgilio / Caronte/ Papa Celestino V

Il canto:

Nell’Inferno dantesco si entra tramite una porta; un’iscrizione sulla sua sommità dice che quel luogo di
pena è eterno, creato dalla giustizia divina per punire i peccatori. Virgilio invita Dante ad armarsi di molto
coraggio e ad abbandonare ogni titubanza ed esitazione; lo prese infine per mano e lo introduce nel regno
del male, dove soffrono le anime senza più speranza di salvezza. Un forte tumulto, fatto di lamenti, grida e
pianti, imprecazioni e gesti di disperazione, colpisce Dante che chiede a Virgilio chi mai possa essere quella
gente così provata dal dolore: si tratta degli ignavi che, insieme agli angeli rimasti neutrali nello scontro tra
Lucifero e Michele, sono cacciati dal Paradiso e allo stesso tempo rifiutati dall’Inferno; pertanto si trovano
nell’Antinferno, in una condizione così spregevole da invidiare gli altri dannati: seguono una bandiera, nudi
e punti da mosconi e vespe; il loro sangue, che si mescola alle lacrime, nutre luridi vermi.

In questa grande massa Dante riconosce molti, e in particolare l’anima di colui che “fece per viltade il
grande rifiuto” (probabilmente si riferisce al Papa Celestino V, l’unico ad aver mai abdicato). Guardando più
avanti, Dante scorge un’altra massa di dannati: sono i peccatori in attesa di essere traghettati
sull’Acheronte e di giungere nel luogo dove la giustizia divina li condanna a scontare in eterno la loro pena.
Presto giunge Caronte, un vecchio ripugnante, che annuncia alle anime timorose, ma anche ansiose,
l’immediata partenza per l’Inferno; alla vista di Dante, ancora in vita, gli urla di allontanarsi, ma le parole di
Virgilio riescono a quietare la sua ira. Alle dure minacce di Caronte le anime restano sconvolte e,
bestemmiando, si accostano alla riva, ad una ad una, e salgono sulla barca del nocchiero infernale. Virgilio
rassicura Dante e lo invita a ripensare alle parole di Caronte che, ben intese, sono un’involontaria profezia
di salvezza. Mentre la barca parte col suo carico di disperazione, sulla riva si ammassa una nuova schiera di
dannati. Un forte terremoto seguito da un accecante fulmine, riempie di spavento Dante che, persi i sensi,
cade come vinto dal sonno.
CANTO 5:

Tempo: La notte dell’8 aprile 1300 (venerdì santo)

Luogo: Il secondo cerchio dell’Inferno

Peccatori e castigo: I lussuriosi. Come in vita non seppero resistere alla passione amorosa, così, ora,
vengono travolti da una bufera che non si arresta mai

Personaggi: Dante e Virgilio / Minosse/ Semiramide / Didone/ Cleopatra/ Elena/ Paride e Achille / Tristano/
Francesca da Rimini e Paolo Malatesta

Il canto:

È la sera dell'8 aprile del 1300 (Venerdì Santo) quando Dante e Virgilio fanno il loro ingresso nel II Cerchio
(alto inferno), la zona dove sono puniti i peccatori carnali, ossia i lussuriosi che in vita hanno fatto prevalere
gli impulsi sessuali alla ragione. Sulla soglia incontrano Minosse, il giudice infernale che ascolta le
confessioni delle anime dannate e le giudica, facendole poi precipitare nel cerchio dell’inferno
corrispondente al loro peccato.

Superato Minosse, Dante si ritrova in un luogo buio, dove soffia incessante una terribile bufera che trascina
i dannati e li sbatte da un lato all'altro del Cerchio: vengono così descritti l'ambiente e la pena inflitta ai
lussuriosi. Questi spiriti emettono grida e lamenti bestemmiando Dio. Dante capisce che si tratta dei
lussuriosi, che volano per l'aria formando una larga schiera simile agli stornelli quando volano in cielo. Ci
sono poi altre anime che volano formando una lunga linea verticale, simile a delle gru in volo. Chiede
spiegazioni a Virgilio, il quale gli spiega che si tratta dei dannati morti violentemente. Tra questi gli mostra
alcune anime illustri: Semiramide, Cleopatra, Didone, Elena (moglie di Menelao), Achille, Tristano e Paride.
Dopo aver sentito tutti questi nomi, Dante è colpito da una profonda angoscia e pietà, che per poco gli
fanno perdere i sensi.

Tra le tante anime dannate che Dante vede volteggiare, la sua attenzione si sofferma su due di queste, un
uomo e una donna, che, a differenza delle altre, volano accoppiate.

Dante desidera parlare con loro, Virgilio acconsente e invita Dante a chiamarle. Il poeta si rivolge a loro
cortesemente e le due anime, come due colombe che vanno verso il nido, si staccano dalla loro schiera per
accostarsi ai due poeti.

La donna ringrazia Dante per la pietà che ha dimostrato verso di loro e poi si presenta: si tratta di Francesca
moglie di Gianciotto Malatesta, signore di Rimini, mentre l'uomo al suo fianco è Paolo, cognato e amante
della donna, entrambi fatti uccidere dallo stesso Gianciotto, destinato a finire nella Caina, ossia la zona del
Cerchio IX dell'Inferno dove sono puniti i traditori dei parenti.

La donna afferma di essere nata a Ravenna e di essere stata legata in vita dall'amore indissolubile per
l'uomo che ancora le sta accanto nella morte. Mentre la donna racconta a Dante il proprio dramma l'uomo
tace.

Di fronte alle sue parole Dante rimane turbato e abbassa gli occhi. Colpito dal desiderio amoroso che
condusse i due alla perdizione, Dante chiede a Francesca in quali circostanze lei e Paolo abbiano compreso
di essere innamorati uno dell’altra. Francesca narra dunque la seconda parte della sua storia. Un giorno lei
e Paolo stavano leggendo per divertimento le gesta di Lancillotto e, quando lessero il passo in cui il
cavaliere bacia Ginevra, Paolo baciò Francesca.

Mentre Francesca parla, Paolo resta in silenzio e piange; Dante è così sopraffatto dal turbamento che perde
i sensi e sviene.
CANTO 6:

Tempo: la notte dell’8 aprile 1300

Luogo: il terzo cerchio

Peccatori e castigo: I golosi. In vita furono avidi di cibi raffinati, ora si rotolano nel fango puzzolente e sono
flagellati da una pioggia nera mista a grandine e a neve; in vita mangiarono senza misura i cibi prelibati, ora
sono dilanati da Cerbero

Personaggi : Dante e Virgilio / Cerbero / Ciacco / Pluto

Il canto:
Dante riprende i sensi, e ai suoi occhi si presenta un nuovo spettacolo di sofferenze e tormenti: sotto una
pioggia, che cade incessantemente mista a tempesta, nel fango, ci sono i peccatori schiavi del vizio della
gola. A custodia del girone c’è un demonio deforme e trifase: Cerbero, che assorda i dannati. Scorgendo i
due poeti, esibisce un grottesco spettacolo, finché Virgilio, con una manciata di terra, riesce a distoglierlo, a
calmare le brame bestiali e ad entrare nel cerchio.

I due pellegrini iniziano ad attraversare il cerchio dei golosi; solo uno di essi riesce a sollevarsi, ma il suo viso
è disfatto dalla sofferenza e sporco di fango cosicché Dante non è in grado di riconoscerlo: egli è Ciacco. Il
dolore di Dante verso il concittadino è grande, ma più grande ancora il desiderio di conoscere il destino di
Firenze. Le parole di Ciacco dipingono a scure tinte il futuro della città: le parti si succederanno al governo
fino a quando i Neri riusciranno a prevalere e per i Bianchi e per Dante non resterà che l’esilio e la rovina.
Le sane tradizioni antiche hanno ceduto il passo al dilagare del vizio e in particolare dell’avarizia, superbia e
invidia. Ciacco interrompe il discorso, ma Dante vuole ancora conoscere il destino di alcuni noti personaggi
che si distinsero nell’impegno a favore della città. La risposta aggrava la tristezza del poeta, poiché per molti
i meriti politici non sono valsi a guadagnare loro la salvezza e anch’essi sono nell’Inferno. Ciacco chiede di
essere ricordato nel dolce mondo e si immerge nel lurido fango con gli altri compagni di eterna sventura.
Virgilio ricorda a Dante che Ciacco si ridesterà nuovamente il giorno del giudizio universale per sentire la
definitiva condanna da Cristo. Risponde poi alla domanda sulla condizione ultima delle anime quando
saranno riunite al corpo: per loro dopo il giudizio il supplizio sarà ancora maggiore. I due poeti giungono
infine al luogo da cui si può discendere al girone successivo custodito da Pluto.
Canto 10:

Tempo: prime ore del mattino del 9 aprile 1300

Luogo: Il sesto cerchio dell’Inferno

Peccatori e castigo: Gli eretici giacciono in sepolcri roventi e scoperchiati. Tra questi dannati ci sono gli
epicurei che in vita non credettero nell’immortalità dell’anima e ora sono costretti a stare dentro tombe
infuocate.

Personaggi: Dante e Virgilio / Farinata degli Uberti / Cavalcante Cavalcanti / Federico II di Svevia / Ottaviano
degli Ubaldini

Il canto:

Dante si rivolge alla guida per sapere se gli è concesso di intrattenersi con qualcuna di quelle anime punite
nelle tombe infuocate; una di queste, sentendo l’accendo toscano, gli chiede di sostare un poco. È il
ghibellino Farinata e inizia un colloquio con Dante, che si trasforma in una breve schermaglia sulla
interpretazione delle lotte tra le due opposte fazioni dei guelfi e dei ghibellini a Firenze. Il dialogo viene
interrotto da Cavalcante de’Cavalcanti che ha riconosciuto Dante.

Ricercato inutilmente il figlio Guido, degno secondo il padre di compiere anche lui quel prodigioso viaggio,
piangendo chiede il motivo di tale assenza. Dante spiega di non essere stato scelto per i meriti poetici ma
per la Grazia divina che Guido ha sdegnato; viene però frainteso da Cavalcante che deduce dalle parole di
Dante la morte del figlio e, senza attendere replica, cade supino nella tomba. Farinata ha ascoltato, senza
batter ciglio, il colloquio e riprende l’argomento politico, dolendosi che i suoi non siano stati in grado di
tornare a Firenze. Questa è d’altronde la sorte che attende anche Dante: annuncia quindi al poeta
l’imminente esilio, vittima di quello stesso odio che rende i Fiorentini così cattivi contro di lui e la sua
famiglia. Tra il poeta e Farinata c’è un confronto sugli eventi che hanno coinvolto la patria. Dante vuole poi
sapere quale si il modo di conoscenza che i dannati hanno perché sembra non possiedano nozione del
presente. Essi, risponde il ghibellino, conoscono il futuro, ma non il presente: per questo il padre di Guido
ha potuto cadere nello spiacevole errore. Richiamato da Virgilio, Dante fa in tempo ancora a sapere che, tra
gli innumerevoli epicurei, ci sono anche Federico II e il cardinale Ottaviano degli Ubaldini. Farinata si è
ormai nascosto nella tomba, ma le sue parole hanno sconvolto Dante; Virgilio lo invita però ad attendere la
verità sul suo futuro da Beatrice in Paradiso. Si è così giunti nel mezzo della pianura del sesto cerchio.
CANTO 13 :

Tempo : Alba del 9 aprile 1300 ( sabato santo)

Luogo : Il secondo girone del settimo cerchio: la selva dei suicidi

Peccatori e castigo: I suicidi che rifiutarono la vita ora sono stati trasformati in sterpi, privati dall’aspetto
umano e dilaniati dalle Arpie. Nella selva ci sono anche gli scialacquatori: come in vita dilapidarono e
smembrarono le proprie fortune, così ora sono inseguiti e poi straziati da cagne feroci.

Personaggi : Dante e Virgilio / Arpie / Pier delle Vigne / Lano Macconi / Iacopo da Sant’Andrea / Anonimo
fiorentino

Il canto:

Sulla sponda del fiume, dove Dante è stato traghettato con l’aiuto di Nesso, si estende la selva dei suicidi,
intricata e fitta oltre ogni immaginazione; qui hanno dimora le Arpie. Da ogni parte si levano voci
lamentose, ma è impossibile scorgere qualcuno; per vincere lo smarrimento di Dante, Virgilio lo invita a
rompere una fronda di un albero: solo così potrà rendersi conto della prodigiosa pena cui sono sottoposti i
suicidi. Non ha ancora ritratto la mano, che una voce, che esce dall’albero, gli rimprovera l’impietoso gesto.
Dal ramo incredibilmente escono parole e sangue. Virgilio si rivolge all’anima prigioniera di quel pruno e gli
chiede di rivelare il nome, così che Dante rinnovi il suo ricordo sulla terra. Pier della Vigna si presenta:
segretario di Federico II, dopo una vita interamente al servizio del suo re nella più totale dedizione e
fedeltà, fu sospettato di tradimento, vittima dell’invidia di corte; incapace di vincere l’onta, si diede alla
morte. Richiesto da Virgilio, Pier della Vigna descrive la condizione e la pena dei suicidi: appena Minosse ha
emesso la sentenza, le anime di questi peccatori precipitano nel settimo cerchio dove mettono radici, rami,
fronde per il pasto delle immonde Arpie. Non possono mai ricongiungersi con il corpo e, dopo la
resurrezione finale, le spoglie senza vita saranno trascinate e appese ai rami di quegli alberi. Un rumore
improvviso annuncia ai due pellegrini che un altro dramma si sta consumando. Dalla parte sinistra
sopraggiungono, nudi e graffiati, due scialacquatori; cercano di superare l’intreccio fittissimo della selva per
salvarsi da un branco di cagne che latrano affamate. Il senese Lano invoca disperatamente il totale
annullamento, deriso dal compagno Iacopo da Sant’Andrea che tenta di nascondersi in un cespuglio,
invano. Le nere cagne lo raggiungono e ne fanno strazio. Virgilio accompagna Dante vicino al cespuglio che
nella furibonda lotta tra il dannato e le cagne inseguitrici è stato lacerato, in tempo per udire i lamenti del
suicida che vi è prigioniero e il suo pietoso invito a raccogliere le fronde: egli è un fiorentino che si è dato la
morte nell’intimità della casa.

CANTO 26:

Tempo : Mezzogiorno del 9 aprile 1300

Luogo: L’ottava bolgia dell’ottavo cerchio (detto Malebolge e diviso in 10 bolge)

Peccatori e castigo: I consiglieri fraudolenti. In vita le loro lingue furono pronte a tramare inganni, ora essi
sono avvolti in lingue di fuoco e vagano come fiammelle per la bolgia.

Personaggi : Dante e Virgilio / Ulisse / Diomede


Il canto:

Ci troviamo esattamente nell'ottavo girone, la bolgia, dell'ottavo cerchio, dove sono alloggiati i cosiddetti
"consilieri fraudolenti". Il più grande esempio di colui che attraverso le parole è riuscito a tessere inganni è
Ulisse. Il canto si apre con un'invettiva nei confronti di Firenze, perché si collega con il canto precedente, un
attacco ironico che sottolinea il fatto che Firenze sia così famosa che molti fiorentini sono degni
dell'inferno.Egli infatti ha trovato cinque cittadini che si sono distinti in negativo perché sono stati dei
grandi ladri. Si augura anche che la fine di Firenze avvenga presto: se quello che si dice è veritiero, io mi
auguro che quello che desidera Prato (la fine di Firenze) si verifichi subito. Abbiamo poi la descrizione di
queste scale rocciose dove si è arrampicato con la guida di Virgilio. Guardano dall'alto il fondo di questa
bolgia e vedono che le anime appaiono come dei punti di luce. Come il contadino, quando termina il lavoro
sui campi, si riposa e vede le lucciole (al verso 25), allo stesso modo Dante vede le anime come delle luci. Lo
stesso capita al profeta Eliseo quando vede il suo maestro Elia allontanarsi su un campo infuocato: Eliseo
vedeva solo un punto luminoso, come fa adesso Dante quando, sporgendosi dalla cima delle scale, vede
questi punti luminosi che sono le anime. Eliseo viene indicato con il verso: "colui che si vengiò con gli orsi".
Si racconta che Eliseo, essendo stato canzonato a causa della sua calvizie, provocò una vendetta divina. Due
orsi spuntarono e fecero una strage, perciò la perifrasi di questo verso.

Queste anime si presentano come punti luminosi perché sono avvolte da fiamme. Secondo la legge del
contrappasso, le lingue infuocate rappresentano quell'incendio metaforico che le anime provocarono con le
parole false che pronunciarono, con i loro inganni orditi da parole. Questa fiamma che brucia sta a indicare
quanto bruci l'inganno, e rappresenta la forza diabolica della parola. Ognuna di queste fiamme nasconde
un'anima. Dante è spaventato, perché inerpicarsi su questa roccia è molto difficile, infatti si sporge per
guardare le anime. Viene colpito soprattutto da una di queste fiamme, che ha la punta biforcuta (verso 49).
L'anima si presenta sì come una fiamma, ma sembra divisa, biforcuta, a due punte, così che sembra sorgere
dalla pira dove c'è un riferimento alla lotta tra Teocle e Polinice. Entrambi avevano l'ambizione di governare
su Tebe e furono perciò condannati al rogo. Si racconta anche che l'odio tra questi due fratelli provocò la
divisione della fiamma sulla quale stavano bruciando. L'immagine di quest'anima biforcuta viene comparata
a quella dei due fratelli. Virgilio spiega a Dante che in quella fiamma sono racchiuse due anime: quella di
Ulisse e quella di Diomede, che hanno agito insieme. Ulisse e Diomede sono stato coloro che hanno
pianificato l'inganno del cavallo di Troia. Da quel varco che fu realizzato per far entrare il cavallo uscì Enea,
che diede vita alla creazione di Roma. Le altre colpe di Ulisse e Diomede: Achille era stato portato via dalla
madre che voleva sottrarlo alla guerra, perché altrimenti sarebbe morto. Ulisse e Diomede scoprirono
Ulisse e lo portarono via. Nel frattempo Deidamia si era innamorata di Achille, ma fu da lui abbandonata
perché Ulisse e Diomede lo portarono via con la forza, per farlo tornare in guerra. Un'altra colpa di Ulisse e
DIomede riguarda il Palladio. Il Palladio era l'immagine della dea Pallade che proteggeva la città di Troia.
Diomede e Ulisse sottrassero il palladio. Dante fa di Ulisse il simbolo della conoscenza e sottolinea la
differenza fra due diversi tipi di conoscenza: la conoscenza basata solo sulla razionalità, sul rapporto con la
ragione, e la conoscenza di Ulisse.

Dante vuole parlare con queste due anime, ma Virgilio gli chiede di tacere e gli dice che avrebbe parlato lui,
quasi Dante non fosse degno di parlare con queste due anime. Ma perché Dante non poteva parlare con
queste due anime? Dante non conosceva il greco, quindi forse il problema era la lingua. Si è anche pensato
che Virgilio, che aveva esaltato Ulisse nelle sue opere, faccia da cerniera tra la cultura greca e quella
Medioevale. La fiamma arrivò e Virgilio prese a parlare. Virgilio vuole sapere come si concluse la vita dxi
Ulisse, come è morto. La punta più alta della fiamma, che rappresenta Ulisse, comincia a parlare. Nella
visione Dantesca Ulisse è un po' diverso rispetto all'immagine tradizionale che si dà di lui. Dante parla delle
colonne d'Ercole, che segnavano i confini della terra esperibile. Quello che c'era al di là delle colonne, era
popolato da mostri terribili. Ulisse vuole conoscere il mondo al di là delle colonne e convince i suoi
compagni a intraprendere questo viaggio. Ulisse ammette di aver condannato anche i suoi compagni. Non
si può conoscere le cose divine solo con la forza della ragione. Il canto si conclude con il naufragio di Ulisse:
egli riesce a malapena a vedere un'altissima montagna, quella del Purgatorio, prima che un enorme vortice
faccia naufragare lui e i suoi compagni, mentre il mare si chiude sulla sua barca.
CANTO 33:

Tempo: Pomeriggio del 9 aprile 1300

Luogo: Antenora e Tolomea (seconda e terza zona) del nono cerchio

Peccatori e castigo: Nella Antenora i traditori della patria stanno conficcati nel ghiaccio del lago Cocito;
nella Tolomea i traditori degli ospiti sono immersi supini nel ghiaccio. In vita il loro cuore fu freddo, ora
sono sepolti nel ghiaccio.

Personaggi: Dante e Virgilio / Ugolino della Gherardesca /Ruggieri degli Ubaldini / Frate Alberigo dei
Manfredi / Branca Doria

Il canto:

Confitti nel ghiaccio dell’Antenora Dante incontra due dannati e interpella colui che rode rabbiosamente la
nuca del suo compagno di pena (fine del canto XXXII). E’ Ugolino della Gherardesca che, già potentissimo a
Pisa, fu fatto prigioniero dal Ghibellini e fu lasciato morire di fame insieme a due figli e a due nipoti. L’altro
è l’arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini, alla cui frode e alla cui crudeltà egli dovette la cattura e la fine
orribile. Traditori ambedue (il conte Ugolino era accusato di avere consegnato a Lucca ed a Firenze alcuni
castelli pisani), scontano la colpa nello stesso luogo, ma le loro pene non sono certo pari: Ruggieri oltre al
tormento del gelo eterno ha quello che gli infligge la rabbia del suo nemico; per Ugolino al dramma della
dannazione si aggiunge l’ira e la sete inesausta di vendetta contro il suo nemico.

Solo la cattura, la prigionia, la morte inflitta in forma orrenda a lui e ai quattro giovani innocenti occupano
l’animo di Ugolino; le vicende culminate in quella tragedia sono troppo note perché sia necessario
ricordarle. Lo sdegno che la narrazione di Ugolino accende nel Poeta lo fa prorompere in una fiera invettiva
contro Pisa. Nella terza zona di Cocito, la Tolomea, dove sono puniti i traditori degli ospiti, Dante e Virgilio
trovano il faentino Alberigo dei Manfredi, che invitò a banchetto alcuni consanguinei per ucciderli.

Il dannato spiega a Dante, meravigliato perché sapeva Alberigo ancora nel mondo dei vivi, che per una
legge propria della Tolomea egli è all’inferno solo con l’anima, mentre il suo corpo sulla terra è governato
da un demonio. Nella medesima condizione è anche il genovese Branca d’Oria, reo di avere ucciso il
suocero Michele Zanche mediante una frode dello stesso genere. Il canto si conclude con una dura invettiva
di Dante contro i Genovesi.

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