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Davide Manicardi

La tecnica dell’armonia classica

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Indice

Capitolo I
L’armonia classica – pag. 1
Gli accordi – pag. 1
Le triadi – pag. 2
La successione delle armoniche – pag. 3
L’origine delle triadi – pag. 3
La categoria consonanza-dissonanza – pag. 4
La scrittura a quattro parti e la disposizione spaziale dei suoni – pag. 5
Il moto delle parti – pag. 6
Il collegamento degli accordi allo stato fondamentale – pag. 7
Esempio pratico di realizzazione di un basso dato – pag. 8
Esercizi – pag. 9

Capitolo II
La posizione melodica degli accordi – pag. 11
Le funzioni tonali dell’armonia – pag. 11
La sensibile – pag. 12
Gli stilemi – pag. 13
Lo stilema I-III-IV-V – pag. 13
Lo stilema V-VI (cadenza d’inganno) – pag. 13
Lo stilema II-V – pag. 14
Esercizi – pag. 15

Capitolo III
Gli errori d’armonia – pag. 17
Gli errori d’armonia nella letteratura musicale – pag. 18
La scelta della disposizione sul primo accordo – pag. 19
Il basso dato e la linea melodica del canto – pag. 19
Lo stilema V-I (cadenza perfetta) – pag. 20
Le progressioni – pag. 22
La progressione discendente con modello I-IV – pag. 22
La progressione ascendente con modello I-IV – pag. 22
Esercizi – pag. 23

Capitolo IV
Lo stato degli accordi – pag. 25
L’utilizzo dei numeri in armonia – pag. 26
I raddoppi dei suoni degli accordi – pag. 26
Il collegamento degli accordi in stato di rivolto – pag. 27
Lo stilema II-V con i rivolti – pag. 28
Lo stilema V-I con i rivolti (cadenza imperfetta) – pag. 28
Lo stilema IV-V-I (cadenza mista) – pag. 28
Intervalli melodici eccedenti o diminuiti – pag. 29
L'utilizzazione delle pause all'inizio del basso – pag. 29
Esercizi – pag. 30

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Capitolo V
Lo stilema con quarta e sesta cadenzale – pag. 32
Lo stilema con cadenza composta – pag. 32
Lo stilema IV-I (cadenza plagale) – pag. 33
Lo stilema I-V (cadenza sospesa) – pag. 33
Lo stilema IV6-V (cadenza frigia) – pag. 33
Le cadenze – pag. 34
Risoluzioni particolari della cadenza d’inganno – pag. 35
Le sovrapposizioni – pag. 36
Esercizi – pag. 37

Capitolo VI
Gli stilemi con quarta e sesta di passaggio – pag. 39
Gli stilemi con quarta e sesta di volta – pag. 39
Lo stilema cadenzale dissonante – pag. 40
Utilizzi dell’accordo di quarta e sesta – pag. 40
La triade eccedente – pag. 41
La triade diminuita sul VII grado dei due modi – pag. 41
Lo stilema con triade diminuita – pag. 42
Esercizi – pag. 43

Capitolo VII
Il cambio di posizione – pag. 45
Gli stilemi di armonizzazione del tetracordo – pag. 46
Lo stilema con tetracordo discendente nel modo minore – pag. 46
Lo stilema con tetracordo discendente nel modo maggiore – pag. 47
Lo stilema con tetracordo ascendente nel modo minore – pag. 47
Lo stilema con tetracordo ascendente nel modo maggiore – pag. 48
Norme riepilogative e collegamenti degli stilemi con tetracordo – pag. 48
Le progressioni con modello I-IV ed i rivolti – pag. 49
L’armonizzazione dei suoni lunghi al basso – pag. 49
Esercizi – pag. 50

Capitolo VIII
La settima di dominante – pag. 52
La settima di dominante in stato fondamentale: V7 – pag. 53
La settima di dominante in stato di primo rivolto: V56 – pag. 53
La settima di dominante in stato di secondo rivolto: V34 – pag. 53
La settima di dominante in stato di terzo rivolto: V24 – pag. 54
La settima di dominante come suono di passaggio – pag. 54
Lo stilema con settima di dominante in secondo rivolto – pag. 55
Lo stilema di collegamento tra mediante e dominante – pag. 55
Gli errori d’armonia ammessi come eccezioni – pag. 56
Esercizi – pag. 56

Capitolo IX
Il basso senza numeri – pag. 58
La sintassi armonica e le funzioni tonali dell’armonia – pag. 58
L’armonizzazione del basso senza numeri – pag. 62
L’armonizzazione del basso senza numeri tramite stilemi – pag. 63

3
La sincope d’armonia – pag. 65
Armonizzazioni poco frequenti – pag. 65
Esercizi – pag. 66

Capitolo X
L’utilizzo di più tonalità – pag. 68
La modulazione e la tonicizzazione – pag. 70
La tecnica utilizzata per modulare ai toni vicini – pag. 71
La falsa relazione – pag. 72
Le modulazioni esplicite nel basso senza numeri – pag. 73
Esercizi – pag. 75

Capitolo XI
Approfondimento sulla tecnica utilizzata per modulare ai toni vicini – pag. 77
Esempi modulanti da Do maggiore / La minore a tutti i toni vicini – pag. 78
La modulazione estemporanea ai toni vicini – pag. 79
Lo stilema modulante cromatico – pag. 80
L’individuazione delle modulazioni nel basso senza numeri – pag. 81
Esercizi – pag. 84
Esercizi riassuntivi – pag. 85

Capitolo XII
L’armonizzazione della melodia – pag. 88
La sintassi armonica nell’armonizzazione della melodia – pag. 88
La scrittura omoritmica – pag. 90
Lo stilema con dominante-tonica al canto – pag. 91
L’analisi del canto dato – pag. 92
Esercizi – pag. 92

Capitolo XIII
I suoni di ornamento, ossia i suoni estranei agli accordi – pag. 94
Le note di passaggio – pag. 94
Le note di volta – pag. 96
Le note sfuggite, ossia le note di volta con elisione – pag. 97
Le anticipazioni – pag. 97
Le appoggiature e i suoni di passaggio sul tempo forte – pag. 97
Le note di cambio e la “cambiata” – pag. 98
Le note di ornamento cromatiche – pag. 99
Gli stilemi melodici basati sui suoni ornamentali – pag. 99
Gli stilemi melodici e le imitazioni nelle progressioni – pag. 100
Gli errori nascosti ammessi con i suoni estranei all’accordo– pag. 101
I suoni ornamentali nel basso e nel canto dato – pag. 102
Esercizi – pag. 103

Capitolo XIV
I ritardi – pag. 106
Il ritardo della terza – pag. 108
Il ritardo della fondamentale – pag. 108
Il ritardo della quinta – pag. 108

4
I ritardi ascendenti e multipli – pag. 109
Lo stilema cadenzale dissonante sulla tonica – pag. 109
La terza piccarda – pag. 109
Il pedale – pag. 110
La progressione ascendente con modello I-V – pag. 111
La progressione con modello I-IV e trasposizione alla terza superiore – pag. 111
Le progressioni con modelli aventi più di due accordi – pag. 112
Movimenti melodici che richiedono l’utilizzo dei ritardi – pag. 112
Esercizi – pag. 113

Capitolo XV
Gli accordi consonanti, dissonanti naturali e dissonanti artificiali – pag. 116
Gli accordi aventi la funzione tonale di antagonisti della tonica – pag. 117
La settima di sensibile – pag. 118
La settima di sensibile in stato fondamentale: VII7 – pag. 119
La settima di sensibile in primo rivolto: VII56 – pag. 119
La settima di sensibile in secondo rivolto: VII34 – pag. 120
La settima di sensibile in terzo rivolto: VII24 – pag. 120
Glia altri utilizzi della settima diminuita – pag. 121
La nona di dominante – pag. 122
La nona di dominante in stato fondamentale: V79 – pag. 122
La nona di dominante in primo rivolto: V657 – pag. 123
La nona di dominante in secondo rivolto: V465 – pag. 123
La nona di dominante in terzo rivolto: V243 – pag. 123
L’utilizzo della nona di dominante minore nel modo maggiore – pag. 124
Le risoluzioni particolari degli accordi dissonanti naturali – pag. 124
Esercizi – pag. 125

Capitolo XVI
La classificazione degli accordi di settima – pag. 128
La sintassi armonica degli accordi di settima – pag. 129
Gli accordi aventi la funzione tonale di controdominante – pag. 130
Il trattamento delle settime artificiali – pag. 130
Lo stilema II56-V – pag. 131
La settime artificiali costruite sul I grado dei due modi – pag. 132
La settime artificiali costruite sul II grado dei due modi – pag. 132
La settime artificiali costruite sul III grado dei due modi – pag. 133
La settime artificiali costruite sul IV grado dei due modi – pag. 134
La settime artificiali costruite sul VI grado dei due modi – pag. 135
Le risoluzioni particolari degli accordi di settima artificiali – pag. 135
Le progressioni di settime – pag. 135
Esercizi – pag. 137
Esercizi riassuntivi – pag. 138

Capitolo XVII
Lo stilema con sesta napoletana – pag. 141
Il quarto grado alterato – pag. 141
Le scale maggiori armonica e melodica – pag. 142
Il sesto grado alterato nel modo maggiore – pag. 143
L'accordo di sesta eccedente – pag. 144
Gli accordi alterati – pag. 145
Trattamento degli accordi e dei suoni alterati – pag. 146
La derivazione degli accordi di sesta eccedente – pag. 146
Alterazione ascendente della quinta negli accordi con terza maggiore – pag. 147
Alterazione discendente della quinta negli accordi con terza maggiore – pag. 148

5
Alterazione della terza negli accordi diminuiti – pag. 148
Risoluzioni particolari degli accordi alterati – pag. 148
Gli accordi di undicesima e di tredicesima – pag. 149

Capitolo XVIII
La modulazione ai toni lontani – pag. 151
La modulazione con due alterazioni di differenza – pag. 151
La modulazione ai toni lontani tramite le progressioni modulanti – pag. 152
La modulazione ai toni lontani tramite accordo comune – pag. 153
La modulazione ai toni lontani tramite suoni comuni – pag. 155
La modulazione ai toni lontani tramite il cambio di modo – pag. 155
La modulazione ai toni lontani tramite il quarto grado alterato – pag. 156
La modulazione ai toni lontani tramite enarmonia della settima diminuita – pag. 156
La modulazione ai toni lontani tramite enarmonia della triade eccedente – pag. 157
La modulazione ai toni lontani tramite enarmonia della sesta eccedente – pag. 157
La modulazione ai toni lontani tramite sesta napoletana – pag. 158
La modulazione ai toni lontani tramite risoluzioni evitate – pag. 158
La modulazione ai toni lontani tramite la tecnica dello slittamento – pag. 158

6
Capitolo I

L’ armonia classica
La musica può essere considerata secondo due aspetti principali: quello orizzontale e
quello verticale. L’aspetto orizzontale è quello melodico, per cui i suoni si succedono nel
tempo, uno dopo l’altro, costituendo così la dimensione temporale della musica. L’aspetto
verticale è quello armonico, per cui i suoni sono simultanei ed organizzati in aggregazioni
verticali dette accordi, costituendo così la dimensione spaziale della musica. L’armonia è
perciò l’arte della combinazione simultanea di più suoni organizzati in aggregazioni
verticali dette accordi. In questo trattato ci occuperemo dell’armonia classica, ossia delle
norme tecnico-stilistiche in uso nel periodo storico che va grosso modo da Bach a Brahms.
Tale periodo, compreso tra la seconda metà del seicento e la fine dell’ottocento, include
epoche stilisticamente diverse, quali il barocco, il classicismo ed il romanticismo. L’armo-
nia classica utilizza perciò stili armonici diversi, che si traducono in norme e regole diver-
se. Nei corali di Bach, per esempio, i raddoppi dei suoni seguono regole un poco diverse
da quelle adottate da Mozart. Una trattazione completa dei vari stili esula tuttavia dai nostri
scopi. Pertanto ci concentreremo maggiormente sugli aspetti che permangono immutati
nel periodo storico in oggetto, indicando solo le differenze stilistiche più importanti e fonda-
mentali. D'altronde tale periodo, in circa 250 anni di storia, ha mantenuto l’utilizzazione di
un elemento linguistico fondamentale: il sistema tonale. L’armonia classica è perciò
spesso definita anche come armonia tonale.

Gli accordi
Le aggregazioni verticali di suoni possono essere classificate a seconda del numero di
suoni che le costituiscono, prescindendo però dai raddoppi di ottava, considerando cioè
solo i suoni con nome diverso. Le aggregazioni verticali formate da due soli suoni sono
piuttosto indeterminate da un punto di vista tonale e vengono definite bicordi. Le aggre-
gazioni verticali formate da tre o più suoni hanno invece un senso tonale ben preciso e
vengono definite accordi. L’accordo è pertanto un oggetto sonoro dato dalla combina-
zione simultanea di tre o più suoni. La classificazione degli accordi in base al numero di
suoni che li costituiscono (sempre prescindendo dai raddoppi) comprende:

1) Le triadi, accordi formati da tre suoni.


2) Le quadriadi, dette anche accordi di settima, formati da quattro suoni.
3) Le quintiadi, dette anche accordi di nona, formati da cinque suoni.
4) Gli accordi di undicesima, formati da sei suoni.
5) Gli accordi di tredicesima, formati da sette suoni.

Gli accordi utilizzati nell’armonia tonale non si caratterizzano solo in base al numero di
suoni che li costituiscono, ma anche in base al loro rapporto con la scala in uso ed in base
ai rapporti intervallari esistenti tra i suoni stessi che li costituiscono. Tutte gli accordi uti-
lizzati nell’armonia classica, dalle triadi agli accordi di tredicesima, vengono costrui-
te sui gradi delle scale maggiori e minori sovrapponendo intervalli armonici di terza.
Qualche esempio in Do maggiore: Do-Mi-Sol è la triade di tonica, Fa-La-Do è la triade di
sottodominante, Sol-Si-Re-Fa è la quadriade (o settima) di dominante, Re-Fa-La-Do-Mi è
la quintiade (o nona) costruita sul secondo grado.

7
Le triadi

Le triadi sono gli accordi più importanti e i più frequentemente utilizzati nella musi-
ca tonale: esse sono formate da un suono di base detto fondamentale e da due suo-
ni posti a distanza di terza, detti rispettivamente terza e quinta dell’accordo.

La triade può essere disposta in vari modi: per esempio Mi-Sol-Do, oppure Sol-Do-Mi sono
sempre triadi di Do, al pari di Do-Mi-Sol, ed in esse il suono Do è sempre la fondamentale
dell’accordo, così come i suoni Mi e Sol sono sempre la terza e la quinta dell’accordo (an-
notazione pratica: ci si abitui fin da subito a leggere gli accordi dal basso verso l’alto).

Su ogni grado delle scale maggiori e minori si ha una triade.

Quando in uno qualsiasi dei suoni delle triadi costruite nel modo minore compare il
settimo grado della scala, esso viene solitamente innalzato di semitono, al fine di
conferirgli la funzione tonale di sensibile: le scale minori utilizzate dall’armonia to-
nale sono cioè principalmente quella armonica (da cui tale nome) e secondariamen-
te quelle melodica e di Bach, mentre quella naturale, per via dell’assenza della sen-
sibile, è raramente usata.

Analizzando gli accordi così creati, ci si accorge che essi sono di quattro possibili tipi:

1) Triade maggiore, formata dal suono fondamentale, una terza maggiore ed una quinta
giusta. E’ un accordo consonante che si trova sui gradi I, IV e V della scala maggiore e
sui gradi V e VI della scala minore armonica.
2) Triade minore, formata dal suono fondamentale, una terza minore ed una quinta gius-
ta. E’ un accordo consonante che si trova sui gradi II, III e VI della scala maggiore e sui
gradi I e IV della scala minore armonica.
3) Triade diminuita, formata dal suono fondamentale, una terza minore ed una quinta di-
minuita. E’ un accordo dissonante che si trova sul VII grado della scala maggiore e sui
gradi II e VII della scala minore armonica.
4) Triade eccedente, formata dal suono fondamentale, una terza maggiore ed una quinta
eccedente. E’ un accordo dissonante, raramente utilizzato, che si trova solo sul III gra-
do delle scale minori armonica, melodica e di Bach.

Come abbiamo visto, la terza (maggiore o minore) della triade determina il modo (maggio-
re o minore) della triade stessa, mentre la quinta (giusta, diminuita o eccedente) ne deter-
mina la consonanza (se è giusta) o la dissonanza (se è diminuita o eccedente).

8
La successione delle armoniche

Ci occuperemo ora dell’origine delle triadi, della categoria consonanza-dissonanza e della


disposizione spaziale dei suoni. Per fare ciò dobbiamo innanzitutto chiarire il fenomeno
delle armoniche. La fisica acustica descrive i suoni degli strumenti musicali e della voce
umana come onde complesse, ossia formate dalla sovrapposizione di più frequenze. Ciò
significa che quando ascoltiamo un suono percepiamo principalmente la sua frequenza di
base, ma nondimeno tale suono è formato da più frequenze dette armoniche o ipertoni, le
quali concorrono inoltre a formare il timbro del suono stesso. Nell’esempio seguente ve-
diamo la successione delle prime 12 armoniche incluse nel suono sentito come Do grave.

Esistono pure le subarmoniche che consistono sostanzialmente in una inversione della di-
rezione degli intervalli. Si tratta di un fenomeno fisico occasionale, dovuto a particolari ec-
citazioni del mezzo che produce il suono, ma costituiscono comunque l’inversione aritmeti-
ca delle armoniche. Mentre le armoniche hanno frequenza doppia, tripla, quadrupla, ecc.
del suono fondamentale, le subarmoniche hanno frequenza pari ad un mezzo, un terzo, un
quarto, ecc. del suono fondamentale. Ecco le prime 12 subarmoniche del Do acuto:

L’origine delle triadi


Osservando le armoniche ci accorgiamo che le prime sei costituiscono una triade perfetta
maggiore (di Do, nell’esempio). Osservando le subarmoniche ci accorgiamo che le prime
sei costituiscono una triade perfetta minore (di Fa, nell’esempio). In pratica le triadi mag-
giori e minori, di gran lunga il materiale armonico più importante di ogni composizione to-
nale, non solo derivano da un fenomeno fisico ben preciso, ma dato che le armoniche so-
no per così dire “contenute” in ogni singolo suono, possiamo affermare che gli accordi de-
rivano dalla intima composizione interna di ogni singolo suono configurandosi come “am-
plificazioni” dei suoni stessi. In pratica il suono Do contiene nella sua intima struttura sia la
triade perfetta maggiore (Do-Mi-Sol) che la triade perfetta minore (Fa-Lab-Do). Dato che le
subarmoniche sono l’inversione aritmetica delle armoniche, ne consegue che gli accordi
maggiori e minori sono aritmeticamente l’uno l’inverso speculare dell’altro: anche così si
spiega il dualismo estetico che ha sempre fatto considerare il carattere dell’accordo
maggiore come "solare" e "aperto" mentre quello minore come "lunare" e "chiuso".
Anche le triadi diminuite hanno origine dalle armoniche e dalle subarmoniche essendo for-
mate dai suoni 5-6-7 di entrambe le successioni. Le triadi eccedenti invece, pur coinciden-
do con i suoni 7-9-11, sono considerate artificiali (come del resto sono artificiali le scale
che le generano, ossia quelle minori con l’innalzamento artificiale del settimo grado).

9
La categoria consonanza-dissonanza

Furono i pitagorici (sec. V a.C.) a chiarire per primi i concetti di consonanza e dissonanza
definendoli come il grado di affinità (consonanza) o eterogeneità (dissonanza) tra due suo-
ni: più il rapporto semplice tra due frequenze è piccolo, più tale rapporto sarà avvertito co-
me consonante, ossia di riposo. Allo stesso modo, più il rapporto semplice tra due
frequenze è grande, più tale rapporto sarà avvertito come dissonante, ossia di tensione.
La massima consonanza (e quindi la minor dissonanza) coincide perciò con l’unisono che
ha rapporto 1/1. Segue l’ottava, con rapporto 1/2: tale intervallo è ancora così consonante
che diamo ai due suoni lo stesso nome. Segue poi la quinta, con rapporto 1/3 e poi la
terza con 1/5, eccetera. In pratica dobbiamo considerare la successione delle armoniche e
confrontarle sempre in rapporto al suono base: man mano che ci allontaniamo dal suono
base ci allontaniamo anche dalla consonanza ed andiamo verso la dissonanza. Diamo ora
lo schema esatto espresso in termini di intervalli armonici; esso espone tre livelli che
vanno dal massimo grado di consonanza al massimo grado di dissonanza:

1) Consonanze perfette: unisono, ottava e quinta giuste, quarta giusta (coperta).


2) Consonanze imperfette: terza e sesta, sia maggiore che minore.
3) Dissonanze: quarta giusta (esposta), seconda e settima, sia maggiore che mino-
re; tutti gli intervalli eccedenti, diminuiti, più che eccedenti, più che diminuiti.

Le consonanze perfette hanno un grado di affinità così elevato da generare intervalli un


po’ freddi e vuoti. Le consonanze imperfette generano invece intervalli caldi, come le terze
e le seste. Le dissonanze possono essere divise in base al loro grado di dissonanza fonica
o tonale. La dissonanza fonica è maggiore quando i due suoni sono più vicini: la seconda
è più dura della settima e la seconda minore è più dura di quella maggiore. Da un punto di
vista tonale, gli intervalli alterati sono più ostici di quelli compresi fra i sette suoni diatonici.
In tutti i casi le dissonanze costituiscono un materiale espressivo di grande importanza.

Per quanto riguarda l’intervallo armonico di quarta giusta, da noi classificato anche come
dissonante, mentre viene spesso indicato solo come consonanza perfetta da diversi trattati
di teoria musicale (non di armonia), occorre precisare quanto segue. Tale intervallo venne
considerato dissonante fin dall’epoca della polifonia vocale rinascimentale, dove fu trattato
come dissonante quando veniva a formarsi tra una delle voci superiori in rapporto con
quella più grave (quarta esposta), mentre veniva considerato consonante se compariva tra
due voci entrambe superiori a quella più grave (quarta coperta o nascosta). Nelle epoche
successive la quarta venne considerata sostanzialmente nello stesso modo, e benché fos-
se trattata con maggiore libertà, tale intervallo tra una parte superiore e quella più grave
determinò sempre una certa instabilità armonica. Il motivo di tutto ciò è semplice: l’interval-
lo di quarta non compare mai nella successione delle armoniche come rapporto tra il suo-
no base ed una delle sue armoniche, mentre compare solo come rapporto tra le armoni-
che superiori. Si osservi la successione delle armoniche di Do (pag. 3) e si noti come il
suono Fa (in quarta giusta col suono base) non compare mai, mentre invece si ha il
rapporto di quarta giusta (Sol-Do) tra la terza e la quarta armonica.

10
La scrittura a quattro parti e la disposizione spaziale dei suoni

Tradizionalmente l’armonia viene studiata a quattro parti: ciò consente di avere il mas-
simo delle risorse armoniche con il minimo delle complicazioni tecniche. Naturalmente
molte composizioni utilizzano tre, cinque o più parti; inoltre, il numero delle parti è spesso
variabile all’interno di una stessa composizione; in tutti i casi le regole dell’armonia clas-
sica, nella loro sostanza, non cambiano. Avremo quindi quattro linee melodiche la cui so-
vrapposizione genererà gli accordi. Ad ognuna di queste quattro linee melodiche daremo
per comodità il nome delle voci del quartetto vocale: basso, contralto, tenore e soprano.

Dato che le triadi sono accordi di tre suoni, nella scrittura a quattro parti è neces-
sario raddoppiarne uno. I raddoppi non possono essere fatti a caso, ma seguono norme
stilistiche ben precise che vedremo in seguito. Per il momento accontentiamoci di dire che
nei primi esercizi che faremo raddoppieremo sempre la fondamentale dell’accordo, ossia il
suono posto (per ora) sempre nella parte più grave, che è quella del basso.

Vi sono due modi principali di disporre le parti: le disposizioni a parti strette o late.
Nella disposizione a parti strette le tre voci superiori si trovano assai vicine tra loro e ven-
gono scritte in chiave di violino, mentre la parte inferiore (ossia quella del basso) si trova
solitamente più distanziata e viene scritta in chiave di basso. Tale scrittura è quella utiliz-
zata nel basso continuo ed è tipica dell’accompagnamento eseguito alla tastiera. Le tre vo-
ci superiori saranno cioè eseguite dalla mano destra, mentre quella del basso sarà esegui-
ta dalla mano sinistra. Nella disposizione a parti late le quattro voci sono pressappoco
equidistanti, anche se talvolta si ha un distanza un po’ maggiore fra le due voci più gravi.
Tale stile si presta alla scrittura vocale per coro (e a quella per gruppi strumentali, come il
quartetto d’archi). Nello stile a parti late, scriveremo le due voci maschili in chiave di basso
e le due voci femminili in chiave di violino. Nella scrittura vocale può accadere che le voci
si trovino a distanze assai ravvicinate ricordando così la disposizione a parti strette. I due
tipi di scrittura possono pertanto avere luogo nella stessa composizione.

La distribuzione degli intervalli nella successione delle armoniche è tale che essi si stringo-
no sempre più andando verso l’alto: ottava, quinta, quarta... Da tale struttura deriva la dis-
tribuzione spaziale dei suoni in armonia. Quando suoniamo un accordo, ci accorgiamo che
esso è migliore se la sua disposizione segue lo schema delle armoniche, avendo cioè in-
tervalli più ampi nel grave e più stretti nell’acuto. Ciò vale sia per la scrittura a parti strette
che per quella a parti late. Nel primo caso sarà tuttavia impossibile incappare in disposizio-
ni che ammassano i suoni verso il grave o creare buchi tra le due parti centrali (tenore e
contralto). Il rischio di produrre tali errori è invece assai concreto nella scrittura a parti late.

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Nella scrittura a parti strette la distanza tra tenore e soprano non deve mai superare
l’ottava in modo che le tre parti superiori possano essere suonate dalla sola mano destra.
Nella scrittura a parti late non si oltrepassi mai l’ottava nella distanza tra due voci vi-
cine, fatta eccezione per la distanza tra basso e tenore che potrà raggiungere la do-
dicesima (ed occasionalmente superarla).

Le estensioni massime delle voci (da non oltrepassare) sono:

Il moto delle parti


Vi sono tre possibili modi di muovere le parti in rapporto fra loro:

1) Moto retto, quando le parti si muovono nella stessa direzione.


2) Moto obliquo, quando una parte rimane ferma e l’altra si muove.
3) Moto contrario, quando le parti si muovono in direzioni opposte.

Per quanto riguarda la scrittura a quattro parti, si parla di moto retto quando tutte le parti si
muovono nella stessa direzione, di moto obliquo quando almeno uno parte rimane ferma
mentre almeno una si muove, di moto contrario quando le tre parti superiori si muovono
tutte insieme nella direzione opposta al basso. A quattro parti, vi è poi la possibilità del mo-
to misto che si ha quando le parti si muovo per moto contrario, ma a coppie.

Esiste inoltre la possibilità che le voci si incrocino: per esempio, quando il contralto esegue
suoni più gravi del tenore. L’incrocio fra le parti, salvo eccezioni, va evitato: è ammes-
so solo quando l’interesse melodico (contrappuntistico) delle voci lo richiede.

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Il collegamento degli accordi allo stato fondamentale

Come vedremo meglio in seguito, lo stato fondamentale di un accordo lo si ha quando al


basso vi è la fondamentale dell’accordo. Nei nostri primi esercizi utilizzeremo solo tale sta-
to. In seguito vedremo anche che collegando gli accordi si possono produrre degli errori,
detti errori d’armonia, ma per ora ci accontentiamo di imparare come si collegano gli ac-
cordi allo stato fondamentale senza produrre tali errori. Vi sono due importanti norme:

Collegamento armonico: quando si collegano due accordi allo stato fondamentale


che hanno uno o due suoni in comune, si faccia il moto obliquo, mantenendo fermi i
suoni comuni. Le parti che devono muoversi lo facciano generando il più piccolo
intervallo possibile. Per quanto riguarda i suoni comuni, l’uso delle legature di valore non
è obbligatorio: ciò che conta è ripetere tutti i suoni comuni disponibili nelle stesse voci. E’
vietato mantenere fermi o (peggio) legare suoni comuni ma facenti parte di voci di-
verse. Due accordi avranno sempre suoni in comune se le loro fondamentali sono a dis-
tanza di terza/sesta (due suoni in comune) oppure di quarta/quinta (un suono in comune).

Collegamento melodico: Quando si collegano due accordi allo stato fondamentale


che non hanno suoni in comune, si faccia il moto contrario fra le tre parti superiori
ed il basso. Tutte le parti devono muoversi generando il più piccolo intervallo
possibile. Due accordi saranno sempre privi di suoni comuni se le loro fondamentali sono
a distanza di seconda. E’ assolutamente vietato procedere ad accordi paralleli, ossia
per moto retto e con la stessa disposizione dei due accordi.

In tutti i casi, dato un accordo e dovendo scegliere la disposizione del successivo, sceglie-
remo sempre la disposizione che fa muovere le voci con gli intervalli più piccoli possibili;
preferiremo cioè disporre i suoni in modo che le voci si muovano il meno possibile. Questa
è una costante dell’armonia che deriva dallo stile vocale: più gli intervalli sono ampi, più
sono rari; ciò consente di valorizzarne appieno il maggior potere espressivo.

Applicheremo le regole del collegamento armonico e del collegamento melodico con rigo-
re, soprattutto nei primi esercizi: in seguito vedremo che talvolta, al fine soprattutto di otte-
nere una buona parte del canto (ossia quella del soprano) è necessario trasgredire sia la
regola del collegamento armonico che quella del far muovere le voci il meno possibile. La
regola del collegamento melodico sarà invece assai meno trasgredita in quanto il rischio di
produrre errori d’armonia, in assenza di suoni comuni tra due accordi, è molto elevato.

13
Esempio pratico di realizzazione di un basso dato

Dato il seguente basso (solo un frammento per la verità),

Indicheremo per prima cosa la tonalità e scriveremo sotto a ciascun suono del basso il
grado della fondamentale dell’accordo (che per ora coincide sempre col basso stesso).

Scegliamo i suoni del primo accordo: la triade sarà Do-Mi-Sol. Un Do lo abbiamo già al
basso per cui scrivendo un altro Do, un Mi ed un Sol otterremo il raddoppio della fonda-
mentale. Nella disposizione a parti strette cercheremo (per ora) di scrivere l’accordo rima-
nendo dentro al pentagramma (Mi-Sol-Do, oppure Sol-Do-Mi andranno benissimo). Nella
disposizione a parti late applicheremo lo stesso principio, scrivendo i suoni solitamente
dentro ai pentagrammi, ma cercando di posizionare il tenore un poco più in alto.

Secondo accordo: i suoni saranno Mi-Sol-Si. Dato che il Mi ed il Sol sono comuni con l’ac-
cordo precedente li legheremo nelle stesse voci. Nella parte rimasta libera metteremo il Si.

Terzo accordo: i suoni saranno Fa-La-Do. Dato che non vi sono suoni in comune con l’ac-
cordo precedente occorrerà fare il moto contrario; siccome il basso sale, le tre parti supe-
riori dovranno tutte scendere movendosi il meno possibile.

Quarto accordo: i suoni saranno Do-Mi-Sol, ed avendo il Do in comune con l’accordo


precedente, lo manterremo fermo nella stessa voce. Le restanti due parti utilizzeranno il Mi
ed il Sol disponendoli in modo che le voci si muovano il meno possibile.

14
Abbiamo utilizzato le legature di valore per evidenziare i suoni comuni mantenuti fermi nel-
le stesse parti, ma musicalmente tali legature non sono sempre appropriate, in particolare
quelle che legano un movimento debole al movimento forte successivo (come fra gli ultimi
due accordi) andrebbero senz’altro rimosse.

Qualora dovesse capitare che le parti scendono troppo, ciò significa che la posizio-
ne del primo accordo è troppo bassa: occorrerà pertanto ripartire daccapo iniziando
con una posizione più alta. Allo stesso modo, se le parti dovessero salire troppo, si
riparta iniziando con una posizione più bassa.

Esercizi

Si realizzino a quattro parti i seguenti bassi dati, sia a parti strette che late.
Si rispettando sempre le regole dei collegamenti degli accordi allo stato fondamentale:

1) Se vi sono suoni comuni fra due accordi, li si mantenga fermi (legati) nelle stesse parti.
2) Se non vi sono suoni comuni fra due accordi, si faccia il moto contrario fra le tre parti
superiori ed il basso.
3) Le voci devono sempre muoversi il meno possibile, per piccoli intervalli.

Ci si ricordi inoltre di alterare la sensibile nel modo minore: l’alterazione compare comun-
que sotto l’accordo che ne necessita ed indica che la terza dell’accordo dovrà essere al-
terata col segno indicato.

Importante: ci si abitui fin dall’inizio a suonare sempre al pianoforte ciò che si scri-
ve. Solo in tal modo anche il nostro orecchio avrà modo di apprendere l’armonia.

15
Appunti

Esempi

16
Capitolo II

La posizione melodica degli accordi


La posizione melodica di un accordo è determinata da quale dei tre suoni della triade vie-
ne eseguito dalla parte del canto (soprano). Avremo così:

1) Posizione melodica di ottava, quando al canto vi è la fondamentale.


2) Posizione melodica di terza, quando al canto vi è la terza.
3) Posizione melodica di quinta, quando al canto vi è la quinta.

In generale tutti gli accordi posti in posizione melodica di ottava sono più chiusi e stabili,
mentre gli altri esprimono apertura e slancio melodico. La posizione melodica assume im-
portanza anche in quanto attribuisce un carattere più o meno conclusivo e di riposo all’ac-
cordo di tonica: ovviamente più conclusiva e di riposo è la posizione melodica di ottava.

Le funzioni tonali dell’armonia


La tonalità è un sistema di organizzazione dei suoni in base al quale si ha una sudditanza
di tutti i suoni nei confronti di uno solo di essi detto tonica. Ciò significa che la tonica, vero
e proprio centro gravitazionale, costituisce l’unico suono di riposo, mentre tutti gli altri de-
terminano un grado più o meno elevato di tensione. I suoni, così definiti in base alle loro
funzioni tonali, vengono detti gradi della scala e si indicano con i numeri romani:

I (tonica), II (sopratonica), III (mediante), IV (sottodominante), V (dominante), VI


(sopradominante), VII (sensibile).

Gli accordi hanno la stessa funzione tonale del grado su cui vengono costruiti, per cui il
solo accordo di riposo è la triade perfetta di tonica. Tutti gli altri accordi hanno un gra-
do più o meno elevato di tensione. Tra questi, la triade perfetta di dominante è quella
col maggior grado di tensione e che rappresenta perciò l’opposto espressivo della toni-
ca. La successione armonica I-V-I esprime perciò riposo-tensione-riposo. Un altro accordo
importante è quello costruito sulla sottodominante ed ha un livello di tensione più basso
della dominante e perciò esso viene solitamente impiegato per accrescere gradualmente
la tensione. La successione armonica I-IV-V-I esprime dunque una crescita graduale della
tensione che raggiunge il suo apice sulla dominante, per poi tornare nuovamente allo stato
di quiete sulla tonica. Quelli di tonica, sottodominante e dominante sono gli accordi
principali del sistema tonale ed i gradi su cui sono costruiti vengono perciò definiti
gradi forti. Gli altri quattro accordi sono invece definiti come deboli, nel senso che un loro
utilizzo eccessivo può portare ad una certa instabilità tonale, tipica della modalità (il siste-
ma modale, a differenza di quello tonale, non è basato sul dualismo fra tonica e dominan-
te). I gradi deboli vengono utilizzati nel sistema tonale con funzioni derivate da quelli forti,
fungendo in varie occasioni quali sostituti deboli dei loro corrispettivi forti. Per compren-
dere meglio questo concetto si possono dividere tutti gli accordi in tre gruppi:

1) Gruppo della tonica che comprende tonica e VI grado.


2) Gruppo della sottodominante che comprende sottodominante e II grado.
3) Gruppo della dominante che comprende dominante, VII e III grado.

17
In pratica l’accordo costruito sul VI grado può in talune occasioni fungere da sostituto del-
la tonica (pur rimanendo privo della funzione di riposo che appartiene solo alla tonica).
Sottodominante e II grado hanno sostanzialmente la stessa funzione tonale che è quella di
precedere la dominante in un crescendo di tensione. L’accordo costruito sul VII grado ha
la stessa funzione della dominante (entrambi gli accordi contengono la sensibile, suono di
tensione che esige la sua risoluzione a tonica). L’accordo costruito sul III grado è il più de-
bole di tutti ed è raramente utilizzato nel sistema tonale, ma mantiene comunque la sua
appartenenza al gruppo della dominante (appartenenza che risulterà più evidente quando
tratteremo le modulazioni ai toni vicini). Gli accordi che appartengono a ciascun gruppo
sono simili in quanto hanno sempre due suoni su tre uguali.

Le funzioni tonali dell’armonia costituiscono un punto essenziale, non solo per l’armonia
stessa, ma anche per l’analisi e la comprensione del linguaggio musicale. Approfondiremo
ulteriormente questo argomento nel capitolo in cui studieremo la sintassi armonica e le re-
gole del basso senza numeri.

La sensibile
Alcuni suoni, per via della loro funzione tonale, hanno la tendenza a risolvere su un altro
suono, dal quale sono attratti. Quando tali suoni si trovano nella parte superiore, la loro ri-
soluzione diventa addirittura obbligatoria. E’ il caso della sensibile, suono di tensione che
tende a risolvere sulla tonica, riportando così il discorso musicale allo stato di quiete.
Quando la sensibile si trova nella parte superiore (soprano) deve sempre risolvere
salendo di grado congiunto; se essa si trova in una parte interna (tenore o contral-
to) può sia risolvere che scendere. La sensibile compare nella triade di dominante come
terza dell’accordo, o nella triade diminuita sul VII grado. Come già accennato, nel modo
minore si deve sempre alterare in senso ascendente il settimo grado della scala, almeno
quando esso si trova nella triade di dominante o in quella sul VII grado. Un’altra importan-
te norma dell’armonia dice che è sempre vietato raddoppiare la sensibile.

Quando il settimo grado si trova ad essere la quinta della triade costruita sul III grado del
modo maggiore, esso non ha la funzione tonale di sensibile, e quindi può sempre scende-
re. Ciò vale anche per il modo minore naturale, nel senso che talvolta si utilizza sul terzo
grado della scala minore la triade maggiore in luogo di quella eccedente. In tale frangente
il settimo grado (quinta dell’accordo) non sarà alterato e potrà sempre scendere. In tutti
questi casi, sia nel modo maggiore che in quello minore, non avendo il settimo grado della
scala la funzione tonale di sensibile, potrà anche essere raddoppiato. Si veda tale uso del
settimo grado, contenuto nella triade del III grado, negli esempi del paragrafo dedicato allo
stilema I-III-IV-V (pag. 13).

18
Gli stilemi

Iniziamo qui lo studio degli stilemi, detti anche formule o clichés. Con questi termini inten-
diamo riferirci a delle particolari successioni accordali che utilizzano particolari disposizioni
spaziali e melodiche dei suoni. Gli stilemi sono considerati tali in quanto furono spesso
utilizzati nella letteratura musicale da vari autori e scuole. Prima di iniziare la realizzazio-
ne di un basso, occorre sempre analizzarlo ed evidenziare con una parentesi qua-
drata posta sotto i numeri romani tutti gli stilemi che vi compaiono.

Lo Stilema I-III-IV-V
Il nostro primo stilema utilizza la successione di quattro accordi: I-III-IV-V. Come si vede vi
compare la triade del terzo grado, già definita come assai debole e raramente usata in
armonia classica. In questo stilema abbiamo l’esempio di uno di quei rari casi. Come già
detto nel paragrafo precedente, il settimo grado che compare come quinta dell’accordo
costruito sul III grado, non è una sensibile, e pertanto potrà scendere e non dovrà essere
alterato nel modo minore (scala minore naturale). Una particolarità di questo stilema è la
linea melodica del canto (soprano) che costituisce un tetracordo discendente, ossia un
frammento di scala discendente di quattro suoni. Avere tale melodia al canto non è obbli-
gatorio quando si incontra la successione I-III-IV-V, ma il risultato è molto migliore se si
riesce ad utilizzarla; per farlo occorre che il primo accordo dello stilema sia in posizione
melodica di ottava. Gli accordi successivi saranno poi collegati secondo le regole abituali.

Per quanto riguarda il modo minore si noti che la scala minore naturale utilizzata nel se-
condo accordo, viene sostituita dalla scala minore armonica sull’ultimo accordo: ciò è do-
vuto al fatto che tale accordo è una triade di dominante, un accordo di tensione che contie-
ne sempre la funzione tonale della sensibile e quindi la sua alterazione nel modo minore.
Questo stilema, riportato da N. Rimskij-Korsakov nel suo “Trattato Pratico d’Armonia”, ha
un utilizzo limitato nella letteratura dell’armonia classica. Ha un sapore vagamente modale
e, soprattutto la versione in minore, ricorda lo stile rinascimentale di certi madrigali.

Lo stilema V-VI (cadenza d’inganno)


Quando il basso presenta la successione V-VI si ha la cosiddetta cadenza d’inganno. Tale
collegamento avviene tra due accordi che non hanno suoni in comune: seguendo la regola
data nel precedente capitolo dovremmo perciò utilizzare il moto contrario, ossia, dato che
il basso sale, dovremmo far scendere tutte e tre le parti superiori. Ma se così facessimo
accadrebbe che la sensibile, invece che risolvere, scende.

Quando si collega il V al VI grado la sensibile deve salire, mentre le altre voci


devono scendere (moto misto); come conseguenza si ha che l’accordo sul VI grado,
quando proviene dal V, deve sempre essere dato con il raddoppio della terza.

19
La cadenza d’inganno è uno stilema che deve il suo nome al fatto che l’accordo di domi-
nante, invece che risolvere sull’accordo di tonica come avviene normalmente, risolve sul
grado debole che funge da sostituto della tonica, ossia il VI. Il risultato estetico è di sorpre-
sa, come se ci si trovasse all’improvviso in un luogo inaspettato. Questo stilema costitui-
sce una formula ampiamente utilizzata a partire dal barocco, fino a tutto l’ottocento.

Lo Stilema II-V
La letteratura musicale (dal barocco fino a tutto l’ottocento) ha adottato modi particolari per
effettuare il collegamento II-V, facendolo così diventare uno stilema. Diciamo subito che e-
sistono due versioni, a seconda che il basso sia ascendente o discendente e che nonos-
tante i due accordi abbiano un suono comune, normalmente non si effettua il collegamento
armonico con moto obliquo. Ciò serve ad evitare false relazioni di tritono (intervallo melodi-
co di quarta eccedente fra voci diverse) e, limitatamente al modo minore, serve anche ad
evitare l’intervallo melodico di seconda eccedente (nb: gli intervalli melodici eccedenti o
diminuiti vengono solitamente vietati nello studio dell’armonia classica).

Quando si collega II-V con basso ascendente, occorre sempre fare il moto contrario
fra il basso e le tre parti superiori che devono pertanto scendere.

Quando si collega II-V con basso discendente, occorre far salire la terza dell’accor-
do e far scendere le altre due voci (moto misto). Si ottiene così sull’accordo di domi-
nante la triplicazione della fondamentale e l’omissione della quinta. Nel solo modo
maggiore (e con basso discendente) è anche possibile fare il normale moto obliquo.

20
Esercizi

Si realizzino a quattro parti i seguenti bassi dati, sia a parti strette che late.
Si analizzino i bassi prima di realizzarli, annotando con una parentesi quadra tutti gli stile-
mi. Si rispettino le formule indicate negli stilemi studiati e se occorre, soprattutto a parti lati,
si sperimentino diverse disposizioni iniziali, in modo da ottenere un risultato soddisfacente.

21
Appunti

Esempi

22
Capitolo III

Gli errori d’armonia


Alcune successioni di consonanze perfette sono da sempre considerate estranee allo stile
dell’armonia classica. La successione di due ottave o di due quinte date dalla stesse cop-
pia di voci (vedi il primo esempio sotto) risulta troppo vuota, annullando l’idea stessa di ar-
monia. Si avrebbe infatti un sapore di tipo medievale, lontano dal gusto per il calore dato
dalle terze e dalle seste, tipico invece dell’armonia tonale. Gli errori d’armonia più gravi so-
no le ottave e le quinte reali e sono ancor più gravi tra parti estreme, ossia se vengono
prodotti dalla coppia di voci basso-soprano (nb: tutte le possibili coppie di voci sono defini-
te come interne, ad eccezione della coppia basso-soprano in cui entrambe le parti sono
esposte; per esempio, la coppia contralto-soprano è considerata come coppia interna).

1) Ottave e quinte reali – E’ proibito far succedere nella stessa coppia di voci due
unisoni, due ottave o due quinte di seguito, sia per moto retto (ottave e quinte
parallele) che per moto contrario. Due quinte sono però sempre ammesse se la
seconda è diminuita.

2) Ottave e quinte nascoste – E’ proibito raggiungere nella stessa coppia di voci un


unisono, un’ottava o una quinta, provenendo per moto retto da un intervallo
qualsiasi. Le ottave e le quinte nascoste sono però ammesse, anche nella coppia
di voci basso-soprano, se la parte superiore muove per grado e quella inferiore
per salto. Esse sono pure ammesse, ma non nella coppia di voci basso-soprano,
se è la parte inferiore a muovere per grado e quella superiore per salto.

Se si rispettano le regole del collegamento armonico e melodico, gli errori d’armo-


nia sono impossibili. Ma, come vedremo in seguito, al fine di ottenere una buona li-
nea melodica, occorrerà muovere le voci con più libertà ed in modo meno meccani-
co. Pertanto, d’ora in poi, ogni volta che scriveremo un accordo, ci abitueremo a
controllare sempre gli errori d’armonia eventualmente prodotti con l’accordo prece-
dente. Tale controllo deve sempre essere fatto verificando gli intervalli armonici di
tutte le sei possibili coppie di voci. Queste sono: basso-tenore, basso-contralto,
basso-soprano, tenore-contralto, tenore-soprano, contralto-soprano.

23
Le ottave parallele d’armonia, non vanno confuse con le ottave parallele di rinforzo, utiliz-
zate nella musica pianistica, cameristica e sinfonica. Le ottave parallele di rinforzo infatti,
non sono prodotte da due parti vere e proprie, ma da una singola parte d’armonia la quale
è stata raddoppiata al fine di rinforzarla o per ottenere un particolare impasto timbrico.

Gli errori d’armonia nella letteratura musicale


Come è noto, il passaggio dalla monodia alla polifonia avvenne proprio tramite l’introduzio-
ne delle ottave e delle quinte parallele: una melodia gregoriana veniva cioè raddoppiata da
una o più voci che procedevano per ottave e quinte parallele. Di fatto, se è vero che ques-
to fu il primo esempio di polifonia, è anche vero che non si può ancora parlare di armonia:
ciò che si percepisce all’ascolto è un’unica linea melodica, per così dire colorata al suo in-
terno. Fu quando vennero introdotti il moto contrario e poi quello obliquo (indipendenza
melodica delle voci) che la percezione sonora poté davvero avvertire gli intervalli armonici.
Da quel momento storico in poi, il parallelismo venne gradualmente ed inesorabilmente
bandito. Per questo motivo il moto retto, fino a tutto l’ottocento, costituì il modo di condurre
le parti di gran lunga meno utilizzato in armonia. Il vero concetto è che per valorizzare gli
intervalli armonici ed ottenere così l’armonia, occorre evitare il parallelismo. Se così non si
facesse, ciò che sentiremmo sarebbe un’unica voce colorata al suo interno. Tale procedi-
mento, quello di procedere per accordi paralleli, non è qualcosa di esteticamente depreca-
bile: ne è prova il fatto che durante l’impressionismo (Debussy) esso fu riscoperto ed utiliz-
zato. Esso appartiene semplicemente a stili differenti rispetto a quello dell’armonia classi-
ca. Un altro motivo (forse il principale) per il quale le ottave e le quinte dirette furono bandi-
te, consiste nel fatto che esse suonano piuttosto vuote e contraddicono perciò il colore più
caldo delle terze e delle seste, su cui gli accordi sono costruiti. Si pensi al fatto, per esem-
pio, che utilizzare accordi privi della terza, ossia con sole ottave e quinte vuote, è impen-
sabile nello stile tonale adottato dal seicento in poi, mentre era ancora possibile con Pales-
trina, nel cinquecento. Si è cioè passati da un gusto per gli intervalli armonici vuoti come le
consonanze perfette ad un gusto per le consonanze imperfette, ossia terze e seste. Tale
gusto per le consonanze imperfette instaura uno stile estetico sul quale le successioni di
ottave e quinte dirette hanno l’effetto di qualcosa di estraneo, come se si avvertisse una
rottura. Volendo tracciare un percorso storico, risulta evidente che il tutto ha avuto inizio
con il gusto per le consonanze perfette; l’attenzione si è poi spostata su quelle imperfette e
nel novecento ci si è poi ulteriormente avventurati nell’uso intensivo degli intervalli disso-
nanti. La storia ha cioè portato l’uomo ad avventurarsi sempre più lontano nella scelta
degli intervalli rappresentati dalle armoniche nei confronti del suono base. Possiamo per-
tanto affermare che le ottave e le quinte dirette non sono affatto brutte: semplicemente es-
se appartengono ad uno stile differente e più arcaico.

Qualche altra precisazione deve essere fatta in merito alle eccezioni ed alle trasgressioni
alle regole sugli errori d’armonia che si riscontrano nelle epoche in cui l’armonia classica
fu in voga. Le trasgressioni alla regola degli errori diretti paralleli sono pressoché inesis-
tenti. Al contrario, in materia di errori diretti per moto contrario o (più spesso) nascosti, si
possono riscontrare numerose trasgressioni. Per esempio può capitare di trovare quinte
prese salto, solitamente tra parti interne. Vi sono poi alcuni stilemi adottati da alcuni com-
positori, che non mancheremo di studiare (vedremo per esempio le cosiddette quinte di
Bach e quelle di Mozart), nei quali compaiono queste eccezioni. Tuttavia deve essere ben
chiaro che i compositori del periodo tonale, da Bach a Brahms, consideravano le regole
date nella pagina precedente come valide, nel senso che esse derivano dalla letteratura
stessa. Abbiamo evitato di esporre fin da subito le eccezioni, ma solo per motivi didattici.

24
La scelta della disposizione sul primo accordo

Quando si realizza un basso, può capitare a un certo punto di trovarsi con le parti che ten-
dono ad incrociarsi, di trovarsi cioè in una posizione assai stretta e con il basso che poi sa-
le ancora, rendendo impossibile il collegamento successivo. Ciò è dovuto al fatto che, se il
basso ha una linea melodica che prevalentemente sale, dato che le tre parti superiori
tenderanno a scendere ogni volta che si dovrà fare il moto contrario, potrà capitare di tro-
varsi con le voci che si incrociano: in tale caso si deve ripartire daccapo, tenendo conto
che se il basso ha una linea melodica che prevalentemente sale, occorre Iniziare con
un posizione abbastanza larga. Allo stesso modo, se il basso ha una linea melodica
che prevalentemente scende, occorre iniziare con una posizione abbastanza stretta,
al fine di non trovarsi poi, sempre a causa del necessario moto contrario, con le voci che
vanno fuori estensione in una disposizione troppo lata delle parti stesse. Conviene perciò
sempre analizzare bene il basso prima di iniziare, ed in base alla sua linea melodica deci-
dere con quale posizione partire.

Non si trascuri poi il fatto che dalla scelta della posizione iniziale deriva spesso la pos-
sibilità di avere una buona linea melodica nella parte del canto: in tal senso è bene pro-
vare più posizioni iniziali e scegliere quella che offre le migliori opportunità.

Il basso dato e la linea melodica del canto


Lo studio del basso dato consente all’allievo di mettere in pratica ed approfondire le sue
conoscenze sull’armonia. Applicare le regole e le norme stilistiche apprese, è un passo
cruciale, ma non basta: occorre cercare la soluzione musicalmente migliore. Da questo
punto di vista, la realizzazione di una linea melodica soddisfacente nella parte del
canto rappresenta l’obiettivo principale da raggiungere. Si creino melodie che proce-
dono il più possibile per grado, secondo lo stile vocale. Si eviti soprattutto la monotonia
che deriva dal muoversi intorno ad un unico suono. Più ampio sarà un salto, maggiore sa-
rà l’esigenza di fargli succedere un grado congiunto e soprattutto di invertire la direzione. I
suoni apicali (ossia il suono più alto ed il più grave della melodia, detti climax), non dovran-
no essere utilizzati troppe volte in ogni frase musicale, ma possibilmente, una volta sola.
Si evitino per ora sempre gli intervalli melodici diminuiti o eccedenti, come il tritono.
Nei primi esercizi risulta comunque utile non preoccuparsi troppo della linea melodica del
canto, cercando piuttosto di seguire le norme sui collegamenti degli accordi allo stato fon-
damentale, esposte nel primo capitolo, nonché quelle sui collegamenti V-VI e II-V. Una
volta raggiunta la capacità di collegare gli accordi allo stato fondamentale secondo quanto
detto, ci si potrà concentrare sempre più sulla parte del canto: a tal fine potrà talvolta es-
sere utile muovere le parti per moto contrario, retto o misto, nonostante gli accordi
da collegare abbiano suoni comuni. Quando due accordi non hanno suoni in comu-
ne, il moto contrario è invece sempre necessario. Si tenga ben presente che gli errori
d’armonia vanno comunque evitati e che essi sono sempre in agguato quando ci si muove
al di fuori delle norme sui collegamenti degli accordi allo stato fondamentale. Occorre per-
ciò controllare sempre gli errori. Quale esempio di come creare una melodia semplice ma
25
soddisfacente, diamo ora tre semplici versioni dello stesso basso: sono tutte corrette, ma
solo l’ultima è musicalmente valida. Il difetto principale della prima versione sta nella ripeti-
tività del canto, avendo in esso due frammenti quasi uguali che cadono entrambi sul Do:

Provando a cambiare la posizione iniziale è possibile portare alla luce la melodia che era
nascosta nella parte del contralto; in tal modo usiamo correttamente lo stilema I-III-IV-V:

La parte iniziale è senz’altro migliorata, tuttavia, alla quarta misura i La ed i Sol al canto
sono davvero troppi: evitando però il moto obliquo nel collegamento a cavallo fra la terza e
la quarta misura (suoni Fa-La ripetuti da contralto e soprano) si può sganciare la parte del
soprano, rendendola più varia ed accettabile. Utilizziamo così un’eccezione in tale col-
legamento: esso prevedrebbe il moto obliquo, ma col moto contrario si ottiene una so-
luzione musicalmente molto migliore, senza produrre errori d’armonia. In tal modo, ottenia-
mo anche di far terminare il brano in posizione melodica di ottava, che è la più conclusiva.

Lo stilema V-I (cadenza perfetta)


La cadenza perfetta è senza alcun dubbio lo stilema più importante di tutta la musica tona-
le. Essa comporta la successione dominante-tonica e porta il discorso musicale da uno
stato di tensione ad uno di quiete. Per tale ragione serve a chiudere le frasi musicali e l’in-
tero brano. Durante lo svolgimento del basso tale collegamento avverrà solitamente col
moto obliquo, dato che i due accordi hanno un suono in comune, e così facendo, l’accordo
di tonica risulterà disposto in una qualsiasi delle sue posizioni melodiche.

26
Alla fine del brano si cercherà invece di disporre l’accordo di tonica sempre in
posizione melodica di ottava che è la più conclusiva. Ciò avviene normalmente col
moto obliquo solo quando la dominante si presenta in posizione melodica di terza,
ossia con la sensibile al soprano (vedi le misure 1-2 dell’esempio precedente).

Quando la dominante si presenta invece in posizione melodica di quinta, al fine di


concludere il brano sulla tonica in posizione melodica di ottava, si facciano scende-
re tutte e tre le parti superiori, praticando la non risoluzione della sensibile (in una
parte interna) e, se il basso è discendente, anche le quinte nascoste. In alternativa, è
possibile far risolvere la sensibile e scendere le altre voci, ottenendo così l’accordo
di tonica con l’omissione della quinta e la triplicazione della fondamentale.

Entrambe le soluzioni sono valide: sono strutturalmente le stesse con cui chiudono quasi
tutti i corali di Bach, dove le melodie utilizzate raggiungono spesso la tonica non dalla sen-
sibile, ma dal secondo grado della scala, che è anche la quinta dell’accordo di dominante.
Si noti che la prima risoluzione costituisce il primo caso in cui utilizziamo il moto retto in
tutte le voci: tale condotta delle parti è assai rara in armonia, ma eccellente in questo caso.

Quando, sempre a fine brano, la dominante si presenta in posizione melodica di ot-


tava non è possibile dare al brano un significato conclusivo terminando sulla tonica
anch'essa in posizione melodica di ottava (si avrebbero infatti le ottave reali tra parti
estreme). In tal caso l'unica soluzione possibile è quella di evitare di giungere sulla
dominante in posizione melodica di ottava.

Nel secondo esempio riportato sopra viene infatti utilizzato il moto contrario nel collega-
mento iniziale IV-II; il comune collegamento per moto obliquo viene cioè evitato al fine di
giungere sulla dominante in posizione melodica di terza invece che di ottava.
Alcuni manuali ammettono anche la seguente risoluzione conclusiva, a nostro avviso assai
discutibile (almeno per quanto riguarda l'ambito didattico), non solo per via delle ottave re-
ali per moto contrario fra parti estreme, ma piuttosto per il suo limitato utilizzo in letteratura
(compare talvolta in alcuni finali di brani ottocenteschi, soprattutto operistici).

27
Le progressioni

Le progressioni sono ripetizioni, date a diverse altezze, di un modello formato dalla


concatenazione di due o più accordi. Il modello deve essere ripetuto fedelmente, ossia
fedelmente trasportato ad un intervallo prestabilito e tutte le voci debbono muoversi secon-
do di esso. A tal fine sono concesse alcune licenze, quali il raddoppio della sensibile e la
sua non risoluzione, intervalli melodici dissonanti come la seconda eccedente fra parti in-
terne ed errori nascosti altrimenti non ammessi. Occorre tuttavia costruire con cura la dis-
posizione delle parti nel modello e nel primo collegamento con la sua ripetizione. Il model-
lo deve essere ripetuto almeno tre volte per avere una progressione, altrimenti si ha solo
un frammento di progressione. Quando il modello viene ripetuto più in alto (solitamente
una seconda sopra) si ha una progressione ascendente; se il modello viene invece ripetu-
to più in basso (solitamente una seconda sotto) si ha una progressione discendente. La
normale funzione tonale degli accordi viene annullata dalla progressione; la dominante,
per esempio non ha più la funzione di grado contrapposto alla tonica, e così pure tutti gli
altri accordi del tono: ciò accade perché la simmetria della ripetizione è percepita dal cer-
vello umano come strutturalmente preminente rispetto alle funzioni tonali dell’armonia. Nel
modo minore si utilizza solitamente la scala naturale, recuperando quella armonica alla fi-
ne della progressione o subito dopo (solitamente tramite una cadenza perfetta). Le pro-
gressioni possono essere tonali (quando si mantengono nel tono) o modulanti (quando tra-
mite l’uso di alterazioni portano in altre tonalità). Tratteremo ora solo quelle tonali, giacché
quelle modulanti, saranno trattate nei capitoli dedicati alle modulazioni. Ci concentreremo
sulle due principali progressioni, ampiamente utilizzate nella musica barocca (di cui costi-
tuirono un modo estetico caratteristico) ed useremo per ora solo modelli che prevedono
accordi in stato fondamentale, ossia accordi con la fondamentale al basso.

La progressione discendente con modello I-IV


Il modello è formato da due accordi posti a distanza di quarta ascendente o di quinta
discendente e viene ripetuto una seconda sotto. Si deve costruire il modello in modo che
si abbia sempre il moto contrario quando il basso sale di quarta ed il moto obliquo quando
il basso scende di quinta. Nel modo minore si utilizza la scala naturale, ma si recupera
quella armonica alla fine della progressione, quando compare la triade di dominante.

La progressione ascendente con modello I-IV


Il modello è formato da due accordi posti a distanza di quarta ascendente o di quinta di-
scendente e viene ripetuto una seconda sopra. Si deve costruire il modello in modo che si
abbia sempre il moto obliquo. Nel modo minore si utilizza la scala naturale, ma si recupera
quella armonica subito dopo che la progressione è terminata, solitamente tramite una ca-
denza perfetta V-I che ripristina le normali funzioni tonali dell’armonia.

28
Esercizi
Si realizzino a quattro parti i seguenti bassi dati, sia a parti strette che late.
Si analizzino i bassi prima di realizzarli, annotando con una parentesi quadra tutti gli stile-
mi e le progressioni. Si provino poi varie realizzazioni al fine di ottenerne una che sia mu-
sicalmente soddisfacente, in particolare per quanto riguarda la linea melodica del canto.
Si controllino gli errori in tutte le sei coppie di voci ad ogni nuovo accordo che si scrive.

29
Appunti

Esempi

30
Capitolo IV

Lo stato degli accordi


I tre suoni che formano una triade possono essere eseguiti da diverse voci e disposti in di-
versi modi senza che per questo la natura e il nome dell’accordo cambino: per esempio le
disposizioni verticali Sol-Mi-Do e Mi-Do-Sol, formano entrambe la triade di Do maggiore.
In armonia, ha grande importanza quale dei tre suoni della triade viene eseguito
dalla voce più grave. Tale suono costituisce infatti il punto di principale riferimento
armonico per l’orecchio e determina perciò lo stato dell’accordo. Per quanto riguarda
le triadi vi sono tre possibilità, a seconda che il suono eseguito dalla voce più grave sia la
fondamentale, la terza o la quinta dell’accordo:

1) Stato fondamentale, detto di terza e quinta, quando al basso vi è la fondamentale


dell’accordo. Questo stato determina la piena stabilità armonica.
2) Stato di primo rivolto, detto di terza e sesta, quando al basso vi è la terza dell’ac-
cordo. Questo stato comporta un lieve grado di instabilità armonica.
3) Stato di secondo rivolto, detto di quarta e sesta, quando al basso vi è la quinta
dell’accordo. Questo stato comporta un elevato grado di instabilità armonica.

Gli accordi in posizione fondamentale hanno carattere di stabilità, mentre gli accordi in po-
sizione di primo rivolto sono caratterizzati da una lieve instabilità, ossia da una certa piace-
vole leggerezza. Gli accordi in posizione di secondo rivolto hanno invece una gradazione
elevata di instabilità, al punto che in epoca rinascimentale essi erano considerati dissonan-
ti, per via della quarta esposta dovuta al rapporto tra il basso ed una delle parti superiori.
Gli accordi in posizione di quarta e sesta hanno pertanto un uso assai limitato in armonia.
L’uso dei rivolti consente di conferire varietà alla scrittura musicale. Essi hanno la funzione
di alleggerire la forza espressiva ed il peso degli accordi in stato fondamentale. Tale mo-
dalità di scrittura è tipica dello stile tonale: all’epoca della polifonia vocale rinascimentale
(per esempio con Palestrina) il discorso armonico si basava infatti assai maggiormente
sull’uso degli accordi allo stato fondamentale. Nell’armonia classica si ha invece un uso
costante dei rivolti. Nondimeno, essi indeboliscono un poco il tessuto armonico e vengono
perciò utilizzati con moderazione. La scelta e l’uso delle diverse posizioni avviene perciò
secondo norme stilistiche ben precise che vedremo in seguito.

L’introduzione del concetto di rivolto è dovuto al compositore e teorico J. P. Rameau, nel


settecento. I rivolti erano utilizzati anche nei secoli precedenti, ma non venivano conside-
rati tali. Per esempio, Mi-Sol-Do non era visto come triade di DO rivoltata, ma come Mi ar-
monizzato in terza e sesta: gli accordi erano cioè visti come numeri in rapporto col basso.

31
L’utilizzo dei numeri in armonia

In armonia si utilizzano i numeri romani per indicare la fondamentale dell’accordo. I


numeri arabi vengono invece utilizzati per indicare lo stato dell’accordo.

Mentre l’indicazione della fondamentale tramite i numeri romani è una prassi puramente
didattica introdotta nell’ottocento, l’indicazione dello stato dell’accordo tramite i numeri ara-
bi è una prassi derivata dalla storia ed in uso nella tecnica del basso continuo, in epoca
barocca. In tale tecnica, l’accompagnamento armonico di una parte solistica (violino, flau-
to, canto o altro) veniva fornito dal compositore tramite la sola parte del basso, correlata di
numeri che ne indicavano la realizzazione. Spettava al cembalista completare l’edificio ar-
monico, eseguendo il basso con la mano sinistra e gli accordi dedotti dai numeri arabi con
la mano destra, praticando cioè la disposizione a parti strette. Se si vuole lo stato fonda-
mentale non si scrivono numeri arabi (talvolta si mette 5), se si vuole il primo rivolto si scri-
ve semplicemente 6 (abbreviazione di terza e sesta), se si vuole il secondo rivolto si scrive
4-6 (con il sei sopra al quattro). Se si vuole che un suono venga alterato (per esempio la
sensibile nel modo minore), si pone l’accidente desiderato dopo il numero (per esempio,
6# indica un accordo in primo rivolto con la sesta innalzata). Se si trova un accidente non
preceduto da un numero, ciò significa che esso è riferito alla terza dell’accordo: per esem-
pio, # significa che si vuole un accordo in stato fondamentale, con la terza innalzata. A
scopo esemplificativo, il seguente basso numerato secondo la prassi del basso continuo,

potrà essere armonizzato nel modo seguente (in esso si cerchi anche di comprendere il
significato dei numeri romani, i quali indicano la fondamentale dell’accordo: essa coincide
con il suono dato al basso solo quando l’accordo è posto in stato fondamentale).

I raddoppi dei suoni degli accordi


Come già accennato, i raddoppi non possono essere fatti a caso, ma seguono norme sti-
listiche ben precise. Tali norme dipendono principalmente dallo stato dell’accordo.

Triadi in stato fondamentale: si raddoppia preferibilmente la fondamentale, ossia il


basso. Possibile ma più raro è il raddoppio della quinta, mentre quello della terza è
di solito evitato. È inoltre possibile omettere la quinta e triplicare la fondamentale.
L’accordo in stato fondamentale sul VI grado, se dato in cadenza d’inganno (vedi pag. 13),
richiede il raddoppio obbligatorio della terza. In tutti i casi il buon moto delle parti consente
quale eccezione il raddoppio della terza, soprattutto se il suono da raddoppiare coincide
con uno dei gradi forti (I, IV, V). Per esempio, in Do maggiore i suoni Do, Fa e Sol possono
talvolta essere raddoppiati anche quando costituiscono la terza di triadi in stato fondamen-
tale. Anche la quinta viene più frequentemente raddoppiata se coincide con un grado forte.

32
Triadi in stato di primo rivolto: si raddoppia solitamente la fondamentale. Possibili
ma meno frequenti sono i raddoppi della terza, ossia del basso, oppure della quinta.
Nel vecchio stile accademico si proibiva talvolta il raddoppio della terza anche negli ac-
cordi in stato di primo rivolto. A tale proposito va detto che il raddoppio della terza nelle
triadi in stato di primo rivolto era preferito nel barocco (basta leggere i corali di Bach per
rendersene conto) e nelle epoche precedenti. A partire dall’epoca classica si iniziò invece
a prediligere il raddoppio della fondamentale anche nelle triadi in stato di primo rivolto.

Accordi in stato di secondo rivolto: si raddoppia sempre la quinta, ossia il basso.


Come già detto, la quarta esposta presente negli accordi di quarta e sesta come rapporto
intervallare tra una voce superiore ed il basso è una dissonanza. Se si raddoppiasse la
fondamentale, ossia il suono in quarta col basso, si accentuerebbe tale dissonanza ren-
dendo la triade in stato di secondo rivolto ancora più instabile e di cattivo effetto fonico.

In qualsiasi stato: si eviti sempre di raddoppiare la sensibile.


La sensibile non deve essere raddoppiata in quanto essa è un suono a risoluzione obbli-
gata e risolverne due significa produrre le ottave parallele. Vedremo in seguito che tutti i
suoni a risoluzione obbligata non possono mai essere raddoppiati. Inoltre la sensibile è un
suono assai caratteristico e di tensione: il suo raddoppio danneggerebbe non poco l’edifi-
cio tonale. Il raddoppio della sensibile è però sempre ammesso in progressione.

Il collegamento degli accordi in stato di rivolto


Quando si collegano due accordi uno dei quali o entrambi sono in stato di rivolto, non
sempre risultano valide le norme fin qui utilizzate per il collegamento degli accordi in solo
stato fondamentale: ciò significa che i collegamenti armonico e melodico, praticati a se-
conda che i due accordi abbiano o non abbiano suoni in comune, non costituiscono norme
esaustive e sufficienti al fine di evitare gli errori d'armonia. Si tenga conto di quanto segue.

Quando si collegano accordi in stato di rivolto occorre cercare il collegamento mi-


gliore: se si dispone di uno stilema, questa deve essere la prima scelta. Altrimenti si
proceda tentando di applicare le norme sui collegamenti armonico e melodico, ma
in tal caso occorre assolutamente controllare gli errori d’armonia e, se essi sono
stati prodotti, si cercherà di modificare il tipo di moto e/o i raddoppi utilizzati.

Un errore tipico consiste nel produrre le ottave reali quando si collegano due accor-
di uno dei quali è in stato fondamentale e l'altro in stato di primo rivolto, il tutto con
basso che muove per grado congiunto. Le ottave reali vengono in tal caso generate
solo se si raddoppia il basso (ossia la terza) dell'accordo in stato di primo rivolto e
si procede poi con collegamento armonico (moto obliquo). Per evitare l'errore man-
tenendo il moto obliquo occorre raddoppiare la fondamentale invece che la terza
nell'accordo in stato di rivolto. Questa è la prassi usuale, anche se, nel collegamen-
to II6-V, si preferisce spesso raddoppiare il basso del II6 e fare poi il moto contrario.

33
Lo stilema II-V con i rivolti

Si pratica sia II6-V (molto comune) che II-V6. Si utilizza sempre il moto obliquo, tranne nel
caso di II6-V in cui il primo accordo venga dato col raddoppio della terza, ossia del basso:
in tale caso si deve praticare il moto contrario, come nello stilema II-V con basso ascen-
dente. Il significato tonale è quello già visto in II-V, ossia quello del passaggio dall’armonia
di sottodominante a quella di dominante (passaggio da parziale tensione a tensione).

Lo stilema V-I con i rivolti (cadenza imperfetta)


Si ha la cadenza imperfetta quando uno solo dei due accordi che formano la cadenza per-
fetta (V-I) è in stato di primo rivolto. La cadenza imperfetta può pertanto essere data in
due modi: V6-I oppure V-I6. Essa comporta il passaggio da uno stato di tensione, quello
della dominante, ad uno stato di riposo, quello della tonica, ma l’utilizzo dei rivolti diminui-
sce non poco il carattere conclusivo tipico invece della cadenza perfetta. In particolar mo-
do, la versione V-I6 è poco conclusiva in quanto il senso di riposo della tonica è attenuato
dall’instabilità dovuta allo stato di primo rivolto. V6-I e V-I6 non vengono pertanto mai usati
per concludere i brani, ma solo le frasi. La cadenza imperfetta si collega utilizzando il
moto obliquo. Lo stilema V-I6 con il V in posizione melodica di quinta viene spesso realiz-
zato facendo salire il soprano di quarta e raddoppiando la quinta sull’accordo di tonica.

Lo stilema IV-V-I (cadenza mista)


La cadenza mista espone al basso la successione dei gradi forti IV-V-I ed il suo signi-
ficato tonale è pertanto quello di un accrescimento della tensione (IV-V) che poi si placa a
tonica tramite cadenza perfetta (V-I). Il basso IV-V-I può essere armonizzato in due mo-
di: IV-V-I oppure II6-V-I. Si pratica normalmente il moto contrario fra i primi due ac-
cordi e quello obliquo nella cadenza perfetta. Come già detto nel precedente paragra-
fo, se il II6 viene dato col raddoppio della fondamentale si praticherà il moto obliquo, altri-
menti, se si raddoppia la terza, si praticherà il moto contrario.

34
Gli intervalli melodici eccedenti o diminuiti
Come abbiamo già accennato occorre evitare gli intervalli melodici eccedenti o diminuiti
quali la seconda eccedente (scala minore armonica) o il tritono (rapporto di quarta aumen-
tata tra IV grado e sensibile, in entrambi i modi). Tali intervalli melodici sono però sempre
ammessi se praticati in direzione discendente e con la risoluzione della sensibile.

L'utilizzazione delle pause all'inizio del basso

Può capitare, all'inizio di un basso d'armonia, che il basso stesso e/o gli accordi facciano
uso delle pause. Si hanno grosso modo tre casi principali:

1) Basso che inizia sul tempo debole senza pausa scritta (anacrusi): in tal caso an-
che l'armonizzazione inizierà sul tempo debole e senza far uso di pause scritte.

2) Basso che inizia sul tempo debole, ma con pausa scritta sul tempo forte prece-
dente: in tal caso l'armonizzazione inizierà prima del basso, sul tempo forte.

3) Basso che inizia sul tempo forte e dura più di un movimento: in tal caso, al fine
di assicurare una pulsazione ritmica per ogni movimento, è possibile far partire
l'armonizzazione in ritardo di un movimento rispetto al basso, sostituendo cioè il
primo accordo con una pausa.

Più raramente, detti utilizzi delle pause possono verificarsi anche all'interno del basso.

35
Esercizi

Si realizzino a quattro parti i seguenti bassi numerati, sia a parti strette che late.

Per prima cosa occorre come di consueto indicare la tonalità e mettere i numeri romani. Si
faccia attenzione che d'ora in poi i numeri romani non coincideranno sempre con il basso,
ma indicheranno sempre la fondamentale dell’accordo. Si proceda nel modo seguente:

1) Se non vi sono numeri arabi, ciò significa che al basso c'è la fondamentale dell'accor-
do, e pertanto il relativo numero romano coincide proprio col suono posto al basso.
2) Se il numero arabo è 6 (primo rivolto), ciò significa che al basso c'è la terza dell'accor-
do, e pertanto si deve scendere di una terza per trovare la fondamentale dell'accordo
ed il relativo numero romano.
3) Se i numeri arabi sono 46 (secondo rivolto), ciò significa che al basso c'è la quinta
dell'accordo, e pertanto si deve scendere di una quinta per trovare la fondamentale
dell'accordo ed il relativo numero romano.

Si indichino poi con parentesi quadrate tutti gli stilemi studiati. Come si vedrà gli unici
accordi in stato di rivolto utilizzati in questi bassi sono I6, II6 e V6: non si dovrebbero per-
ciò riscontrare particolari difficoltà di collegamento. Ci si concentri quindi anche sull’obbiet-
tivo di ottenere una buona linea melodica nel canto.

Non ci si dimentichi di controllare sempre gli errori di armonia in tutte le sei coppie di voci e
di farlo tassativamente subito dopo aver scritto ogni nuovo accordo: controllare gli errori
dopo aver scritto diversi accordi significa (e non di rado) dover rifare tutto a partire dall'er-
rore eventualmente individuato!

36
Appunti

Esempi

37
Capitolo V

Lo stilema con quarta e sesta cadenzale


Si ha la quarta e sesta cadenzale come armonizzazione di una dominante al basso che
dura due movimenti. Consta di due accordi di cui il primo è la tonica in quarta e sesta
ed il secondo è la dominante. A questi due accordi succede normalmente la tonica in
stato fondamentale: tale formula è molto conclusiva e serve per chiudere le frasi ed i brani.
Si faccia il raddoppio della quinta sulla tonica in quarta e sesta ed il moto obliquo
nei collegamenti: la quarta e la sesta debbono scendere di grado, mentre il rad-
doppio del basso di dominante permane sempre in una sola voce. Lo stilema con
quarta e sesta cadenzale è tra le formule più comuni di tutta l’armonia classica. Spesso
l’accordo di quarta e sesta cadenzale viene considerato come un accordo apparente, nel
senso che la quarta e la sesta suonano come due appoggiature dell’accordo di dominante.

Il punto tra la quarta e sesta e l’accordo di dominante (*) è lo stesso in cui, nei concerti per
strumento e orchestra, il solista ha l’opportunità di eseguire una cadenza virtuosistica.
Più raramente il basso di dominante armonizzato con quarta e sesta cadenzale seguita
dalla triade di dominante risolve in cadenza imperfetta (sul I6) o in cadenza d’inganno (sul
VI). Tali utilizzi hanno ovviamente luogo all’interno del brano e non certo alla fine.

Lo stilema con cadenza composta

Fornendo di quarta e sesta cadenzale la dominante di una cadenza mista si ottiene la ca-
denza composta che pertanto avrà due versioni: IV-I46-V-I oppure II6-I46-V-I. Come va-
rianti si possono avere II-I46-V-I o anche IV-II-I46-V-I. Tutte queste formule utilizzano l’ar-
monia di sottodominante che procede alla dominante e poi alla tonica, ma con l’aggiunta
dissonante (e quindi particolarmente efficace in chiusura) della quarta e sesta cadenzale.

38
Lo stilema IV-I (cadenza plagale)

La cadenza plagale è data dalla successione sottodominante-tonica con significato di


parziale tensione che procede al riposo. Dato che gli accordi del gruppo della sottodomi-
nante non procedono normalmente verso il gruppo della tonica ma verso quello della do-
minante, si ha un vago sapore modale (di tipo russo nel modo minore). La cadenza plaga-
le, fu di fatto assai più utilizzata all’epoca della polifonia vocale rinascimentale (Palestrina)
che non nel periodo tonale. Serviva spesso per chiudere alcuni brani, dove armonizzava
l’amen finale (da cui il nome di “cadenza sull’amen”, col quale veniva definita). In epoca
tonale, dal barocco all’ottocento, se è vero che il collegamento IV-I compare all’interno
delle frasi musicali, è anche vero che la cadenza plagale fu assai poco utilizzata come
formula di chiusura delle frasi o dei brani: non troveremo certo sonate o sinfonie che con-
cludono con tale formula. Si pratica sempre il moto obliquo. Talvolta viene citata anche
una cadenza semiplagale, con successione invertita, I-IV, e con carattere sospensivo.
Come formula di chiusura essa è ancora più rara della cadenza plagale, mentre invece il
semplice collegamento I-IV è del tutto abituale e praticato all’interno delle frasi musicali.

Lo stilema I-V (cadenza sospesa)


La cadenza sospesa, data dal collegamento I-V, ha carattere di riposo-tensione ed è
pertanto la principale cadenza di tipo sospensivo. Volendo fare un paragone con il lin-
guaggio verbale, potremmo dire che la cadenza sospesa equivale ad un punto interrogati-
vo (così come la cadenza perfetta equivale al punto e quella imperfetta al punto e virgola).
La cadenza sospesa venne ampiamente utilizzata in tutto il periodo storico dell’armonia
classica alla fine delle frasi musicali o (più raramente) anche come conclusione dei brani
intermedi, ossia dei singoli movimenti. Si pratica sempre il moto obliquo.

Lo stilema IV6-V (cadenza frigia)


La cadenza frigia fa uso del collegamento IV6-V che è praticato in entrambi i modi,
ma la definizione di “cadenza frigia” si riferisce solo alla versione nel modo minore.
Ha carattere sospensivo. Assai utilizzata in epoca barocca, deriva dalla cadenza pratica-
ta in epoca rinascimentale dove serviva per concludere le frasi di brani scritti nel modo fri-
gio. Per quanto riguarda le modalità di collegamento dei due accordi (tipo di moto e rad-
doppi), esse non sono semplici ed occorrerà pertanto approfondire tutti i possibili casi.

39
1) La disposizione più comunemente praticata (es. 1, 2, 4) è quella secondo cui sul
IV6 si raddoppia la quinta dell'accordo (tale suono è anche la tonica della tonalità
sottostante). Sempre sul IV6 l'unica fondamentale presente non deve mai trovar-
si al tenore, altrimenti la risoluzione diventa impossibile. Nel collegamento si
praticherà quindi il moto misto: delle due quinte, una scende mentre l'altra sale e
pure la fondamentale sale. Si faccia attenzione ad evitare le quinte reali.
2) Se la prima versione dovesse risultare impossibile (non sempre si riesce a dare il
primo accordo con la disposizione voluta) si deve ricorrere a quella che prevede
sul IV6 il raddoppio della fondamentale (es. 3, 5). Si praticherà ancora il moto
misto: delle due fondamentali una scende e l'altra sale, mentre la quinta scende.
In questo caso sono ammesse le quinte nascoste anche tra parti estreme (es. 3).
3) La versione col raddoppio della terza (ossia del basso) sul IV6 si pratica solo nel
modo maggiore e prevede l'utilizzo del moto contrario (es. 6).

Tutte le modalità di collegamento esposte, oltre ad essere quelle praticate in letteratura,


hanno uno scopo ben preciso: quello di evitare l'intervallo melodico di seconda
eccedente dato tra il sesto ed il settimo grado della scala minore armonica. Tale
errore è sempre in agguato quando nel modo minore si collega un'armonia di
sottodominante (II o IV) alla dominante. Nonostante sia teoricamente possibile
innalzare il sesto grado (scala minore melodica), la soluzione più frequentemente
praticata consiste invece nell'utilizzo della scala armonica: l'unico modo per evitare
l'errore è perciò quello di far scendere il sesto grado al quinto, invece che farlo
salire al settimo. Nella cadenza frigia tale movimento (sesto che scende al quinto) è
tuttavia già presente al basso, ecco perché risulta impossibile raddoppiare il basso sul IV6,
se non nel modo maggiore. Se si raddoppia il basso del IV6, o lo si fa scendere, ed allora
si producono le ottave reali col basso, oppure lo si fa salire ed allora si produce l'intervallo
melodico di seconda eccedente.

Le cadenze
Le cadenze sono successioni accordali utilizzate nelle conclusioni delle frasi e dei
brani musicali. Esse determinano quindi la punteggiatura del linguaggio musicale e
per tale motivo costituiscono, fra tutti gli stilemi, quelli di fondamentale importanza.

Ogni cadenza ha un carattere estetico ed una funzione particolare: si va dalla completa


chiusura del discorso (cadenza perfetta) alla sua totale sospensione (cadenze sospese
alla dominante). I collegamenti accordali delle cadenze possono avere luogo anche all’in-
terno delle frasi, ma in tali casi non sono considerati cadenze. Ciò significa che per avere
una cadenza non è sufficiente il parametro armonico, ma occorre anche il concorso del
parametro ritmico, tale che esso produca una fermata del discorso.

Le cadenze si dividono in tre gruppi: confermative, sospese ed evitate.

40
Le cadenze confermative sono tutte quelle che approdano alla tonica, determinando
perciò un carattere di tipo più o meno conclusivo. Fanno parte di tale gruppo le se-
guenti cadenze: perfetta, imperfetta, plagale, mista e composta.

Le cadenze sospese sono tutte quelle che approdano alla dominante, determinando
perciò un carattere di tipo interrogativo. Fanno parte di tale gruppo la cadenza sos-
pesa e quella frigia, ma qualsiasi fermata ritmica sul tempo forte all’accordo di
dominante (anche se in stato di rivolto e/o proveniente da qualunque accordo) dà
luogo ad una conclusione definibile come cadenza sospesa alla dominante.

Le cadenze evitate sono tutte quelle in cui la dominante approda su un accordo di-
verso dalla tonica, determinando perciò un carattere di sorpresa. Fa parte di tale
gruppo la cadenza d’inganno, ma, benché assai meno frequenti, sono possibili an-
che le successioni V-II e V-III. Sono definite evitate anche le risoluzioni eccezionali
della dominante su accordi modulanti (spesso le dominanti di tonalità vicine).

Cadenza Accordi Moto usato Carattere Gruppo


Perfetta V-I Obliquo Conclusivo Confermative
Imperfetta V6-I, V-I6 Obliquo Quasi concl. Confermative
Plagale IV-I Obliquo Conclusivo Confermative
Mista IV-V-I, II6-V-I Contrario e Obliquo Conclusivo Confermative
Composta IV-I46-V-I, II6-I46-V-I Contrario e Obliquo Conclusivo Confermative
Sospesa I-V Obliquo Interrogativo Sospese
Frigia IV6-V Misto Interrogativo Sospese
Altre Sospese IV-V, II-V, II6-V Vari tipi di moto Interrogativo Sospese
d’Inganno V-VI Misto Sorpresa Evitate
Altre Evitate V-II, V-III, V-V mod. Vari tipi di moto Sorpresa Evitate

Risoluzioni particolari della cadenza d’inganno


Come sappiamo, la cadenza d’inganno si risolve facendo salire la sensibile e scende-
re le altre voci, ottenendo così il raddoppio della terza nell’accordo sul VI grado.
Tale procedimento funziona però solo se l’accordo di dominante viene dato comple-
to e col raddoppio della fondamentale. Qualora l’accordo di dominante provenisse dal II
con basso discendente, ci troveremmo, nel modo minore, sulla dominante con la fonda-
mentale triplicata e l’omissione della quinta: in tali occasioni non sarà possibile applicare la
regola del moto della cadenza d'inganno (far salire la terza e scendere le altre voci).
Tuttavia, con qualche tentativo, si può ugualmente risolvere la dominante in modo che
l’accordo sul VI grado abbia il raddoppio della terza, come mostrato negli esempi seguenti.

41
Le sovrapposizioni

Si ha una sovrapposizione, detta anche scavalcamento delle voci, quando due voci salgo-
no per moto retto di una quantità eccessiva, tale che la voce più grave sale più in alto della
nota appena lasciata dalla voce superiore. Nell'esempio 1 il fa del contralto sale al re, cioè
più in alto del la del soprano; inoltre il do del tenore sale al la, cioè più in alto del fa del
contralto. Con il moto discendente si ha la regola inversa: si ha una sovrapposizione
quando due voci scendono per moto retto di una quantità eccessiva, tale che la voce più
acuta scende più in basso della nota appena lasciata dalla voce inferiore. Nell'esempio 3,
il fa del soprano scende al si, cioè più in basso del re del contralto; inoltre il re del contralto
scende al sol, cioè più in basso del la del tenore. Le sovrapposizioni tendono a
confondere l'orecchio generando risultanze melodiche false ed andrebbero pertanto
evitate. Sono tuttavia ammesse alcune eccezioni, soprattutto quando è il risultato
melodico del canto ad esigerlo.

Nell'esempio 2 non si hanno sovrapposizioni perché le voci non si scavalcano, limitandosi


a "raggiungere" i suoni delle voci superiori. L'esempio 4 mostra come a parti late sia
possibile la stessa linea melodica e lo stesso basso dell'esempio 3, ma senza produrre
errori (a parti late, si ha cioè maggiore libertà di movimento nel soprano). Infine, l'esempio
5 mostra sì una sovrapposizione (tenore che scavalca il contralto), ma essa è ammissibile
per motivi melodici e musicali, oltre ad essere abbastanza comune nel collegamento VI-IV
dopo una cadenza d'inganno.

42
Esercizi

Si realizzino a quattro parti i seguenti bassi numerati, sia a parti strette che late.
In essi, oltre agli accordi rivoltati già utilizzati nel precedente capitolo (I6, II6 e V6),
vengono impiegati anche il IV6 (nella cadenza frigia) ed il I46 (quarta e sesta cadenzale).
Quando vi sono due numeriche separate da trattino su un suono lungo, ciò significa
ovviamente che si devono dare due accordi. Si analizzino bene i bassi prima di realizzarli,
annotandovi tutti gli stilemi cadenzali usati e si cerchi sempre di ottenere una buona linea
melodica nella parte del canto: a tal fine sarà particolarmente utile proprio l’individuazione
delle frasi sottintese dalle cadenze, oltre che dalle fermate ritmiche.

43
Appunti

Esempi

44
Capitolo VI

Gli stilemi con quarta e sesta di passaggio


Si ha la quarta e sesta di passaggio come armonizzazione in stato di secondo rivol-
to di un suono al basso compreso fra due gradi congiunti. La quarta e sesta di pas-
saggio è tipica della scuola italiana (napoletana), ma fu utilizzata anche da altri, per es.
Beethoven. Vi sono due possibili formule, tutte praticabili anche a ritroso: I-V46-I6
che è la più comune, oppure IV-I46-IV6. Nello stilema I-V46-I6 una parte fa il moto inver-
so del basso, una parte mantiene fermo il suono di dominante ed una parte procede con la
melodia tonica-sensibile-tonica. Lo stilema IV-I46-IV6 funziona nello stesso modo, ma
trasportato una quarta sopra. Tali condotte melodiche delle tre parti superiori sono inter-
cambiabili, nel senso che possono essere assegnate indifferentemente a qualsiasi voce.
La quarta e sesta di passaggio è l'unico caso in cui la quarta esposta non scende.

Gli stilemi con quarta e sesta di volta

La quarta e sesta di volta si utilizza come accordo centrale su basso di tonica o di


dominante che dura tre movimenti. Si hanno due formule di tre accordi: quella su
basso di tonica, I-IV46-I, usata spesso alla fine del brano, e quella su basso di domi-
nante, V-I46-V da cui deriva una importante formula cadenzale. In questi stilemi una
parte è identica al basso e lo raddoppia in ottava, le altre due si muovono per terze o seste
parallele con linee melodiche date dalle note di volta superiori. Le note di volta sono suoni
ornamentali posti al centro di formule melodiche di tre suoni che procedono per grado con-
giunto invertendo la direzione (per esempio Do-Re-Do, con il Re nota di volta superiore).

45
Lo stilema cadenzale dissonante

Lo stilema cadenzale dissonante viene utilizzato per armonizzare una dominante


che dura quattro movimenti e consiste in una quarta e sesta di volta su basso di
dominante, ma con l’aggiunta dissonante del ritardo della terza sull’ultimo accordo.
Si ha pertanto la successione accordale: V-I46-V45-V, usata soprattutto in chiusura.
Studieremo in seguito i ritardi; per ora ci basti sapere che Il ritardo della terza di un accor-
do consiste nel prolungamento un suono dell’accordo precedente tramite legatura di valo-
re, in modo che la terza dell’accordo venga data in ritardo, ossia un movimento ritmico do-
po le altre note del suo accordo. Diamo ora un semplice esempio di ritardo in cui la terza
dell’accordo di dominante, il Si al soprano, viene dato un movimento ritmico dopo le altre
note del suo accordo, in quanto il Do dell’accordo precedente si prolunga nel successivo:

Se ora applichiamo tale tecnica sul terzo accordo di uno stilema con quarta e sesta di vol-
ta, otteniamo lo stilema cadenzale dissonante che avrà così quattro movimenti ritmici.
Come si vede negli ultimi due esempi, è anche possibile una variante nel moto delle parti.

Utilizzi dell’accordo di quarta e sesta

Facciamo ora un riepilogo dei principali utilizzi dello stato accordale di secondo rivolto. Co-
me già detto, tale stato è piuttosto instabile per via della quarta esposta. Ne consegue che
il suo uso in armonia classica è sottoposto alle seguenti limitazioni e regole:

1) Solo le triadi costruite sui gradi forti I, IV e V possono essere date in quarta e
sesta. Molto raramente si hanno esempi di altre triadi poste in secondo rivolto.
2) Si deve sempre raddoppiare il basso, ossia la quinta dell’accordo.
3) La quarta esposta deve scendere (tranne che nella quarta e sesta di passaggio).

Inoltre, gli utilizzi della quarta e sesta sono solitamente limitati alle seguenti tre situazioni:

a) Quarta e sesta cadenzale, molto importante ed ampiamente praticata.


b) Quarta e sesta di passaggio, tipica della scuola italiana.
c) Quarta e sesta di volta (anche nella variante dello stilema cadenzale dissonante).

46
La triade eccedente

La triade eccedente, costruita solo sul terzo grado del modo minore armonico, è un
accordo dissonante raramente utilizzato. Si usa solo in stato di primo rivolto e col
raddoppio della terza, ossia del basso. Può risolvere direttamente sulla tonica o più
frequentemente facendo scendere di grado la fondamentale e trasformandosi così
nella triade di dominante; in tale occasione si avverte il senso di un’appoggiatura e
la triade diminuita può essere a ragione considerata come un accordo apparente.

La triade diminuita sul VII grado dei due modi


La triade diminuita costruita sul secondo grado del modo minore funziona esattamente co-
me la triade minore che si trova sul secondo grado del modo maggiore: essa ha funzione
di sottodominante, si collega solitamente alla dominante, può essere usata sia in stato fon-
damentale che rivoltato e si può raddoppiare qualsiasi suono. La triade diminuita che si
trova sul settimo grado dei due modi è invece un accordo da trattare con qualche cautela.

La triade diminuita costruita sul settimo grado si usa solo in stato di primo rivolto
ed è obbligatorio raddoppiare la terza, ossia il basso, o più raramente la quinta, ma
mai la fondamentale che è la sensibile. Avendo la stessa funzione tonale della domi-
nante, essa risolve sull’accordo di tonica in stato fondamentale o di primo rivolto.

1) Quando si raddoppia il basso si fa solitamente il moto contrario (es. 1, 2, 5), ad


eccezione di quando si ha la sensibile al soprano e l'accordo risolve sulla tonica
in primo rivolto (es. 4): in questo caso si deve fare il moto misto.

2) Se si raddoppia la quinta (es. 3, 6) il collegamento è lo stesso della cadenza fri-


gia, ossia: delle due quinte, una scende mentre l'altra sale, e la fondamentale sa-
le anch'essa. Ciò vale indipendentemente dallo stato della tonica di risoluzione.

47
Come si vede negli esempi precedenti, a parti late è talvolta inevitabile produrre le quinte
di Bach (cosiddette perché vennero praticate da Bach in numerosi corali, sempre nel colle-
gamento VII6-I). Si tratta di errori nascosti, dato che il primo intervallo non è una conso-
nanza perfetta, ben tollerati quando sono fra parti interne.

Sono sempre ammesse due quinte di cui la prima è diminuita e la seconda giusta,
dette quinte di Bach, a condizione che esse avvengano solo fra parti interne e nel
solo collegamento a parti late fra il VII6 e la tonica. E' meglio evitare le quinte di
Bach a parti strette: a tal fine è solitamente sufficiente ricorrere al raddoppio della
quinta sul VII6 e adottare quindi il metodo di collegamento della cadenza frigia (a ta-
le proposito si vedano anche gli esempi dati nella pagina seguente).

Lo stilema con triade diminuita


Lo stilema con triade diminuita è una formula utilizzata per armonizzare i primi tre
suoni della scala, sia in senso ascendente che discendente ed utilizza la triade dimi-
nuita del VII grado in primo rivolto come accordo centrale, mentre utilizza la tonica
in stato fondamentale o in primo rivolto negli accordi estremi.

In pratica tale formula serve per armonizzare lo stesso basso della quarta e sesta di
passaggio, con la sola differenza che al posto della quarta e sesta viene utilizzata la triade
diminuita. Mentre l’armonizzazione con quarta e sesta di passaggio fu prediletta dalla
scuola napoletana (e italiana in genere), l’armonizzazione con triade diminuita fu prediletta
dalla scuola tedesca e da Bach. La versione italiana comporta una certa instabilità tonale
ed una certa leggerezza dovuta alla quarta e sesta, mentre la versione tedesca è carat-
terizzata da forte stabilità tonale ed ha un colorito estetico più intenso e drammatico.

Praticando lo stilema con triade diminuita a parti late è talvolta inevitabile produrre
le quinte di Bach, ma a parti strette è bene evitarle. Sul settimo grado in primo rivol-
to si raddoppiano la terza o la quinta dell’accordo. Sulla tonica in primo rivolto è ab-
bastanza frequente il raddoppio della terza, ossia del basso. Dove è possibile si pra-
tica il moto contrario, altrimenti quello misto. Le disposizioni migliori sono quella in
cui il la parte del soprano è l’inversione di quella del basso.

48
L’esempio seguente mostra l’esatta disposizione delle parti con cui Bach, nei suoi corali,
utilizza lo stilema con triade diminuita, producendo le tipiche quinte tra contralto e soprano.

Come si diceva nel paragrafo precedente, è meglio evitare le quinte di Bach a parti strette
ricorrendo invece al raddoppio della quinta sul VII6: ciò è mostrato negli esempi seguenti.
L'esempio illustrato come "inusuale" non costituisce certo un errore grave e può quindi es-
sere ammesso per motivi musicali, per esempio per ottenere una migliore linea del canto.

Esercizi
Si realizzino a quattro parti i seguenti bassi numerati, sia a parti strette che late.
In essi, oltre agli accordi rivoltati già utilizzati nei precedenti capitoli (I6, II6, V6, IV6 e I46),
vengono impiegati anche il IV46, il V46 (quarte e seste di passaggio e di volta), il VII6 e la
triade eccedente nel modo minore (data come appoggiatura della sesta sulla quinta).

Viene impiegato pure lo stilema cadenzale dissonante, con la numerica:

49
Appunti

Esempi

50
Capitolo VII

Il cambio di posizione
Il cambio di posizione ha luogo quando un accordo viene fatto seguire dallo stesso accor-
do, ma con differente disposizione dei suoni. Lo scambio dei suoni è un particolare caso di
cambio di posizione ed ha luogo quando due parti prendono l’una il suono dell’altra (anche
ad altezze d’ottava diverse). Sia il cambio di posizione che lo scambio dei suoni possono
essere generati dal movimento di qualsiasi parte, ma se una di esse è il basso, si darà luo-
go anche ad un mutamento di stato dell’accordo, con alternanza cioè tra stato fondamen-
tale e rivolti. Tutte queste tecniche costituiscono un utile strumento per creare linee melo-
diche più varie e soddisfacenti in tutte le parti, ma soprattutto in quella superiore. Il cambio
di posizione si rivela utile anche quando si hanno al basso dei suoni lunghi, che durano più
di una pulsazione ritmica: è possibile riempire tali vuoti ritmici con i cambi di posizione.

Dato che l’accordo non cambia, sono sempre ammessi gli errori nascosti nel cam-
bio di posizione e ciò vale anche tra parti estreme. E’ discutibile far saltare tutte le
voci in direzione discendente, ma ciò per ragioni foniche e non per errori d’armonia.

Il cambio di posizione di un accordo non è sufficiente a far dimenticare all’orecchio


la disposizione precedente. Occorre pertanto evitare gli errori paralleli tra l’accordo
dato nella prima posizione ed il nuovo accordo che succede al cambio di posizione.

Nel contesto citato eventuali errori nascosti non creano alcun problema. La norma per cui
un semplice cambio di posizione non è sufficiente ad evitare gli errori paralleli col nuovo
accordo era comunque del tutto inesistente nella polifonia vocale rinascimentale ed ancora
con Bach, per esempio nei già citati corali, essa viene talvolta palesemente contraddetta.
Ciò che comunque è importante evitare sono le ottave e le quinte parallele, soprattutto se
date su due tempi forti, tra due accordi separati solo da un semplice cambio di posizione.

51
Gli stilemi di armonizzazione del tetracordo

Il tetracordo ascendente è costituito dal frammento di scala che va dalla dominante


alla tonica in senso ascendente, mentre Il tetracordo discendente è costituito dal
frammento di scala che va dalla tonica alla dominante in senso discendente. Ogni
tetracordo presenta particolarità, anche a seconda del modo maggiore o minore, per
cui sono possibili quattro formule, ascendenti o discendenti in entrambi i modi. Le
quattro armonizzazioni del tetracordo hanno in comune il fatto che si utilizza sem-
pre lo stato fondamentale sui due accordi estremi e sempre lo stato di primo rivolto
sui due accordi centrali. Nel modo minore si utilizza sempre la scala melodica, vale
a dire con sesto e settimo grado innalzati nella sola versione ascendente.

I due stilemi ascendenti terminano con V6-I, ossia la cadenza imperfetta, che determina
una conclusione solo parziale, mentre i due stilemi discendenti terminano con IV6-V, detta
cadenza frigia nel modo minore, che determina una chiusura di tipo sospensivo. In tutte le
quattro formule si ha una disposizione ritmica degli accordi tale che l’ultimo sia dato solita-
mente sul tempo forte. Questi stilemi furono ampiamente utilizzati nel periodo barocco. Le
due versioni discendenti (soprattutto quella minore) vennero impiegate in tale periodo an-
che per concludere in modo sospeso i movimenti lenti all’interno di alcune composizioni.

Lo stilema con tetracordo discendente nel modo minore


Nella versione discendente in modo minore si ha al basso la scala melodica discendente e
l’alterazione della sensibile compare solo come terza sull’ultimo accordo di dominante. Si
noti peraltro che gli ultimi due accordi formano una cadenza frigia, con il caratteristico rad-
doppio della quinta, ossia la terza del basso, quasi sempre praticato nel penultimo accor-
do, il IV6 (tale raddoppio serve ad evitare l’intervallo melodico di seconda eccedente, ma
come si vede nel secondo esempio esso non è necessariamente obbligatorio).

N. Rimskij-Korsakov propone nel suo “Trattato Pratico d’Armonia” di armonizzare tale bas-
so con la triade in stato fondamentale sul secondo accordo, ma tale armonizzazione ac-
centuerebbe troppo il carattere già assai modale della formula, oltre a non avere validi
riscontri storici nemmeno nel barocco, epoca nella quale lo stilema venne utilizzato.

52
Lo stilema con tetracordo discendente nel modo maggiore

Nella versione discendente in modo maggiore si fa spesso (ma non obbligatoriamente)


uso del quarto grado innalzato in una delle parti superiori, sul penultimo accordo dove si
ha la 6# rispetto al basso. Tale suono coincide con la sensibile del tono della dominante e
si ha pertanto una specie di modulazione temporanea al tono della dominante. Questo
procedimento viene definito come una tonicizzazione della dominante, dato che essa vie-
ne tecnicamente trattata come se fosse una tonica, pur mantenendo la propria funzione di
dominante. Sul penultimo accordo, il IV6, a differenza del modo minore dove si predilige-
va il raddoppio della quinta, nel modo maggiore è più frequente quello della terza, ossia
del basso. Ciò è dovuto al fatto che nel modo maggiore non si deve evitare l’intervallo
melodico di seconda eccedente ed inoltre la triade sul IV6, con l’alterazione di cui si è det-
to, diventa una triade diminuita, e come tale predilige ove possibile il raddoppio della terza.

Lo stilema con tetracordo ascendente nel modo minore


Nella versione ascendente in modo minore si utilizza come già detto la scala minore melo-
dica e si ha anche questo caso una maggior frequenza nel raddoppiare la quinta sul IV6.
Nel secondo esempio, sia a parti strette che late, sono ben visibili le quinte nascoste fra
contralto e soprano, sui due accordi centrali; tali quinti prese per salto, oltre che inevitabili,
sono anche ben tollerate in quanto avvengono fra parti interne e sono attenuate dal moto
contrario fra la coppia di voci superiori (quella che fa le quinte) e la coppia di voci inferiori.

53
Lo stilema con tetracordo ascendente nel modo maggiore

Nella versione ascendente in modo maggiore non vi sono alterazioni; essa è sostanzial-
mente simile alla versione ascendente in modo minore dato che la scala minore melodica
e quella maggiore sono quasi uguali. In questi esempi, le stesse quinte di cui si è detto nel
paragrafo precedente compaiono nel terzo esempio, sia a parti strette che late.

Norme riepilogative e collegamenti degli stilemi con tetracordo


Al fine di memorizzare meglio gli stilemi basati sul tetracordo, e le relative modalità di rad-
doppi e collegamenti, consiglio di studiare attentamente le seguenti norme riepilogative.

1) I tetracordi sono frammenti di scala dati al basso i quali collegano la dominante


alla tonica in senso ascendente o la tonica alla dominante in senso discendente.
In tutti i casi si ha sempre l'armonizzazione in stato fondamentale dei due accor-
di estremi ed in primo rivolto dei due accordi centrali. Nel modo minore si usa al
basso la scala melodica e la terza dell'accordo di dominante, essendo la sensibi-
le, deve sempre essere alterata. Nel tetracordo discendente in modo maggiore è
consigliabile far uso della sesta innalzata (6#) sul penultimo accordo: tale suono
coincide con la sensibile del tono della dominante e come tale va trattato.

2) Collegamenti dei tetracordi discendenti - In entrambi i modi i primi due accordi


devono essere dati col raddoppio della fondamentale e collegati col moto obli-
quo. Nel modo minore, i due accordi finali vengono trattati come una normale ca-
denza frigia (IV6-V) e ciò vale sia per i raddoppi che per il tipo di moto. Nel modo
maggiore i due accordi finali vengono invece trattati come se fossero VII6#-I nel
tono della dominante e ciò vale sia per i raddoppi che per il tipo di moto.

3) Collegamenti dei tetracordi ascendenti - In questi casi, in entrambi i modi, sono


gli ultimi due accordi ad avere il raddoppio della fondamentale ed il collegamen-
to tramite moto obliquo. Sempre in entrambi i modi, I primi due accordi si colle-
gano solitamente come una cadenza frigia rovesciata (V-IV6), prediligendo cioè il
moto misto ed il raddoppio della quinta sul IV6.

54
Le progressioni con modello I-IV ed i rivolti

Le progressioni con modello I-IV, già studiate a pag. 22, possono essere date con gli stes-
si accordi, ma alternando stato fondamentale e primo rivolto. Sia nella progressione di-
scendente che in quella ascendente il modello può essere di due tipi. Con lo stato fonda-
mentale sul primo accordo ed il primo rivolto sul secondo, ed in tale caso si ha un modello
in cui il basso inizia con terza discendente. Oppure con il primo rivolto sul primo accordo e
lo stato fondamentale sul secondo, ed in tale caso si ha un modello in cui il basso inizia
con seconda ascendente. Questi due modelli danno luogo a progressioni discendenti o
ascendenti a seconda della direzione di trasposizione.

Il modello viene costruito praticando sempre il moto obliquo ed il raddoppio della


fondamentale su entrambi gli accordi, compresi quelli in stato di rivolto.
Come in qualsiasi progressione è sempre ammesso il raddoppio della sensibile.
Nel modo minore si utilizza la scala naturale alterando la sensibile solo alla fine.

L’armonizzazione dei suoni lunghi al basso


Al fine di evitare fermate ritmiche prive di significato musicale occorre fin da subito tenere
in considerazione quanto segue. Si utilizzino i suoni del basso che durano più di un
movimento ritmico per fare i cambi di posizione. A tale proposito va detto che, nella
realizzazione dei bassi come in ogni brano musicale, le fermate ritmiche possono (e
talvolta devono) avere luogo, ma solo se hanno un valore musicale, per esempio
sull’ultimo accordo di una frase. Si evitino quindi le fermate in cui manca l’armoniz-
zazione di un movimento ritmico solo perché non si sa cosa fare. Così come occorre
talvolta dare più accordi su suoni lunghi del basso, allo stesso modo può talvolta capitare
di dare accordi lunghi mentre è invece il basso a muoversi: ciò accade per esempio quan-
do il basso salta di ottava o esegue comunque un cambio di posizione: in tali casi il neces-
sario riempimento dei movimenti ritmici è comunque assicurato dal movimento del basso.

55
Esercizi

Si realizzino a quattro parti i seguenti bassi numerati, sia a parti strette che late. In essi
compaiono tutte le triadi abitualmente utilizzate, sia in stato fondamentale che rivoltato.
Ci si concentri, come di consueto, anche sull'obiettivo di ottenere una buona linea melodi-
ca nella parte del soprano.

56
Appunti

Esempi

57
Capitolo VIII

La settima di dominante
Tratteremo in seguito la classificazione sistematica degli accordi settima. Per ora ci basti
sapere che su ogni grado delle scale maggiori e minori è possibile costruire un accordo di
settima aggiungendo ad ogni triade un quarto suono, posto una terza sopra alla quinta. Si
dice perciò che gli accordi di settima sono quadriadi, ossia accordi di quattro suoni. Tutti
gli accordi di settima sono dissonanti e hanno perciò degli utilizzi particolari che vedremo.

L’accordo detto settima di dominante viene costruito sulla dominante della scala
maggiore e di quella minore armonica ed è una quadriade formata dalla triade mag-
giore di dominante cui viene aggiunta una settima minore rispetto alla sua fonda-
mentale. Tale accordo, classificato come settima di prima specie, riveste la stessa
funzione tonale della triade dominante, accentuandone il significato di tensione.
Viene classificato come accordo dissonante naturale (ossia lievemente dissonante).

I quattro suoni che formano qualsiasi accordo di settima vengono detti fondamentale, terza
quinta e settima dell’accordo e possono essere dati in qualsiasi disposizione. Risultano
così possibili quattro stati, a seconda di quale suono venga dato alla parte del basso:

1) Stato fondamentale, con fondamentale al basso e numerica 7.


2) Stato di primo rivolto, con terza al basso e numerica 56.
3) Stato di secondo rivolto, con quinta al basso e numerica 34.
4) Stato di terzo rivolto, con settima al basso e numerica 24 (o semplicemente 2).

Nella scrittura a quattro voci la settima di dominante non richiede raddoppi e viene perciò
solitamente data nella cosiddetta forma completa, ossia senza raddoppi ne omissioni, ma
allo stato fondamentale è anche possibile omettere la quinta e raddoppiare la fondamenta-
le: in tale caso si parla di forma incompleta.

La settima dell’accordo, in qualsiasi parte si trovi, deve sempre risolvere scendendo


di grado congiunto e non può mai essere raddoppiata, neanche in progressione. Ta-
li norme valgono per tutti gli accordi di settima e non solo per quella di dominante.

La settima di dominante, data la sua funzione tonale, risolve normalmente sull’ac-


cordo di tonica in stato fondamentale o di primo rivolto, ma se viene data in stato
fondamentale può anche risolvere in cadenza d’inganno, ossia sul VI grado.

58
La settima di dominante in stato fondamentale: V7

Come abbiamo già accennato, la settima di dominante in stato fondamentale può essere
data sia in forma completa, senza omissioni ne raddoppi, che in forma incompleta, ossia
con l’omissione della quinta ed il raddoppio della fondamentale. Risolve di solito sull’ac-
cordo di tonica in stato fondamentale o più raramente in cadenza d’inganno, sul VI grado.
Nella risoluzione a tonica V7-I accade spesso che se la settima di dominante è completa,
allora la tonica sarà incompleta, ossia avrà l’omissione della quinta e la triplicazione della
fondamentale. Viceversa, se la settima sarà data in forma incompleta, allora la tonica
verrà data in forma completa. Ciò è vero in tutti quei casi in cui la sensibile si trova al so-
prano ed è obbligatorio risolverla, ma se la sensibile si trova in una parte interna e la si fa
scendere, si avranno sia la settima di dominante che la tonica in forma completa. Quando
si fa la cadenza d’inganno nella forma V7-VI è necessario che la settima di dominante sia
data in forma completa: la risoluzione avverrà come di consueto, facendo cioè salire la
sensibile e scendere le altre voci e ottenendo così il raddoppio della terza sul VI grado.

La settima di dominante in primo rivolto: V56


La settima di dominante in stato di primo rivolto si usa solo in forma completa e risolve
sempre sulla tonica in stato fondamentale.

La settima di dominante in secondo rivolto: V34


La settima di dominante in stato di secondo rivolto si usa solo in forma completa e può ri-
solvere sia sulla tonica in stato fondamentale che in stato di primo rivolto. Quando risolve
sulla tonica in primo rivolto si ha sempre il raddoppio della terza sull’accordo di tonica, in
quanto una terza la si ha al basso ed un’altra viene data dalla risoluzione della settima.

59
La settima di dominante in secondo rivolto è uno di quei rari accordi che non contiene ne
ottave ne quinte, comunque lo si disponga. È pertanto possibile sfruttare tale caratteristica
per far saltare tutte le parti nella stessa direzione, col moto retto. Praticata con la dovuta
cautela, tale tecnica consente talvolta di riposizionare le voci nella giusta tessitura.

La settima di dominante in terzo rivolto: V24

La settima di dominante in stato di terzo rivolto si usa solo in forma completa e risolve
sempre sulla tonica in stato di primo rivolto.

La settima di dominante come suono di passaggio


Tutte le settime e dunque anche quella di dominante possono essere date come suoni di
passaggio melodici: si da la triade di dominante, quindi si fa scendere di grado una fonda-
mentale trasformandola in una settima che poi scenderà ancora per risolvere. La settima
di passaggio può essere data in qualsiasi parte. È inoltre possibile far sentire anche altri
suoni dell’accordo prima di risolvere la settima e ciò vale anche quando la settima non
viene data come suono di passaggio, ma presa direttamente sul tempo forte.

60
Lo stilema con settima di dominante in secondo rivolto

Abbiamo già visto due modi per armonizzare il basso che procede per grado congiunto sui
primi tre suoni della scala in direzione sia ascendente che discendente: con quarta e sesta
di passaggio (scuola napoletana) o con triade diminuita (Bach) sull’accordo centrale, men-
tre tonica e mediante venivano armonizzati in entrambe le versioni con la triade di tonica in
stato fondamentale e di primo rivolto. Fu praticato anche un terzo stilema, consistente
nell’utilizzare la settima di dominante in secondo rivolto, sempre sull’accordo centrale, al
posto della triade diminuita o della semplice quarta e sesta. La formula ascendente è
perciò I-V34-I6, mentre quella discendente ne è il ritroso, ossia I6-V34-I. Il moto delle
parti e sempre obliquo, con una voce mantiene ferma la dominante. In una particolare
versione con basso e soprano per terze parallele si hanno le quinte di Bach (ammesse).

Lo stilema di collegamento tra mediante e dominante


Abbiamo ancora una formula che presenta tre suoni i quali procedono per grado congiunto
al basso, in questo caso tra mediante e dominante, sia in direzione ascendente che
discendente. Sulla mediante al basso si da sempre la triade di tonica in primo rivolto, men-
tre sulla dominante al basso si da sempre la triade di dominante in stato fondamentale.
Nella versione ascendente l’accordo centrale su basso di sottodominante sarà un accordo
del gruppo della sottodominante, ossia il IV o il II6, mentre nella versione discendente si
avrà sempre la settima di dominante in terzo rivolto (ciò è dovuto al fatto che i collega-
menti V-IV o V-II6 contraddirebbero le funzioni tonali dell’armonia classica e non possono
essere utilizzati). La formula ascendente è perciò I6-IV-V o I6-II6-V, mentre quella
discendente è sempre e solo V-V24-I6. Degna di nota è la versione discendente
realizzata con posizioni melodiche rispettivamente di terza, quinta, quinta.

61
Gli errori d’armonia ammessi come eccezioni
Nella letteratura musicale possono trovarsi delle eccezioni in merito agli errori d’armonia. I
casi più frequenti riguardano gli errori nascosti e quelli diretti prodotti con la sola interposi-
zione di un cambio di posizione. In entrambi i casi, solo fra parti interne e su accordi solita-
mente costruiti sui gradi forti (I-IV-V) si possono ammettere anche all’allievo alcune ecce-
zioni. Ciò vale in particolar modo se si tratta di quinte e non di ottave e se il tutto è giustifi-
cato dal buon andamento delle parti. Ma ciò che discrimina se l’errore è da ammettere o
no, è alla fine solo l’ascolto: gli errori non si devono sentire, come negli esempi seguenti.

Esercizi
Si realizzino a quattro parti i seguenti bassi numerati, sia a parti strette che late. In essi
compaiono tutte le triadi, sia in stato fondamentale che rivoltato, e la settima di dominante.
La numerica 346# si riferisce ad un secondo rivolto della settima di dominante, dove al 34
è stato aggiunto il 6# per fare alterare la sensibile, secondo la prassi del basso continuo.

62
Appunti

Esempi

63
Capitolo IX

Il basso senza numeri


Realizzare un basso senza numeri significa avere la libertà di scegliere quali accordi porre
su di esso. Dato un suono al basso, esso può far parte di tre diverse triadi, ma se tale suo-
no è compreso anche in una quadriade, per esempio quella di dominante, la scelta au-
menta a quattro possibili accordi. Un secondo grado al basso, per esempio, può essere ar-
monizzato come: II, VII6, V46 e V34 (con le altre settime la scelta aumenta ulteriormente e
si avrebbe anche il II7). La scelta viene sempre effettuata tenendo conto di quali succes-
sioni accordali si vanno a produrre: per esempio II-V è una buona successione, mentre II-I
non è inclusa nello stile dell’armonia classica, essendo assai debole. La parte dell’armo-
nia che studia le successioni accordali può essere definita sintassi armonica: essa
definisce cioè il valore ed il significato di ogni accordo in rapporto con gli altri. I cri-
teri per scegliere gli accordi da porre sul basso senza numeri sono determinati dalla
sintassi armonica, ossia dalla scelta delle successioni accordali ritenute valide. In
questo capitolo tratteremo l’argomento del basso senza numeri affrontando il significato
più importante di tale argomento, ossia quello della sintassi armonica e delle funzioni tona-
li dell’armonia. Ma non mancheremo di trattare il basso senza numeri fornendo anche altri
due approcci: un pratico quanto schematico elenco su come armonizzare ogni suono del
basso in base al suono che gli succede, nonché un ripasso delle numeriche degli stilemi.

La sintassi armonica e le funzioni tonali dell’armonia


Mentre finora ci siamo occupati quasi esclusivamente della grammatica armonica, ossia
del corretto modo di disporre e collegare gli accordi, in questo capitolo introduciamo
quell'essenziale parte dell’armonia che è la sintassi armonica: essa studia i rapporti tra gli
accordi e le successioni accordali, prendendo cioè in considerazione il significato linguisti-
co, comunicativo e stilistico di tali successioni. Dato che l’armonia classica è fondata
sul sistema tonale, la sintassi armonica dipende principalmente dalle funzioni tonali
dell’armonia: ciò significa che la scelta delle successioni accordali deriva principal-
mente dal significato tonale degli accordi stessi. Già nel secondo capitolo (a pag. 11)
avevamo introdotto l’argomento delle funzioni tonali dell’armonia. Si consiglia caldamente
di rileggere tale paragrafo prima di proseguire, ma riassumendo in modo schematico
quanto già detto in quell’occasione, i punti salienti delle funzioni tonali dell’armonia sono:

1) La tonalità è un sistema di organizzazione dei suoni in base al quale si ha una


sudditanza di tutti i suoni nei confronti di uno solo di essi detto tonica. Solo la
tonica, intesa anche come triade, determina perciò lo stato di riposo.
2) I gradi, ossia le triadi, tonalmente forti sono tonica, sottodominante e dominante.
La sottodominante determina parziale tensione, mentre la dominante determina
piena tensione e si configura pertanto come accordo antagonista della tonica.
3) Gli accordi vengono suddivisi in tre gruppi: il gruppo della tonica (I e VI), il
gruppo della sottodominante (IV e II) ed il gruppo della dominante (V, VII e III).
Ciò significa che le funzioni tonali degli accordi costruiti sui gradi deboli ricalca-
no quelle degli accordi costruiti sui gradi forti, potendo fungere da loro sostituti.
4) La triade costruita sul terzo grado è la più debole ed è raramente utilizzata in ar-
monia classica. Il gruppo della dominante si riduce così ai soli accordi V e VII.

64
Per comprendere appieno il significato ed il valore tonale dei tre gruppi accordali e del rap-
porto in essere tra di loro, occorre procedere ad un ulteriore approfondimento. Si consideri
il circolo delle quinte, ossia la successione dei suoni organizzati per quinte giuste. In dire-
zione delle quinte ascendenti si procede verso i diesis, mentre in direzione discendente si
procede verso i bemolli. Prendendo in considerazione sette suoni vicini nel circolo delle
quinte si ottengono i sette suoni presenti anche nella scala di una data tonalità. Per esem-
pio, i suoni Fa, Do, Sol, Re La, Mi, Si sono quelli della scala e della tonalità di Do maggio-
re. Se ci si sposta di un suono in direzione ascendente nel circolo delle quinte si ottiene la
tonalità con un diesis in più (o con un bemolle in meno), viceversa, spostandosi in direzio-
ne discendente, si ottiene la tonalità con un bemolle in più (o un diesis in meno). Nel nos-
tro esempio in Do maggiore il suono Si rappresenta l’estremità in direzione ascendente,
mentre il suono Fa rappresenta l’estremità in direzione discendente. Ciò significa che
quando (sempre in Do maggiore) utilizziamo un accordo che contiene il suono Si ci sbilan-
ciamo allontanandoci dal centro tonale in direzione ascendente, mentre quando utilizziamo
un accordo che contiene il suono Fa ci sbilanciamo allontanandoci dal centro tonale in di-
rezione discendente. Il suono Si è la sensibile e per similitudine speculare il suono Fa vie-
ne definito controsensibile. Ciò che segue costituisce la vera essenza del sistema tonale:

La controsensibile, ossia il quarto grado della scala, è un suono di tensione con


funzioni specularmente opposte a quelle della sensibile. Sensibile e controsensibile
costituiscono cioè le estremità ascendente e discendente della regione tonale, il cui
uso determina un allontanamento dal centro di gravitazione tonale, ossia uno stato
di tensione. Per tale motivo tutti gli accordi che contengono la sensibile determina-
no uno stato di tensione ascendente, ossia di massima tensione: tali accordi sono
quelli del gruppo della dominante (V e VII). Allo stesso modo tutti gli accordi che
contengono la controsensibile determinano uno stato di tensione discendente, os-
sia di parziale tensione: tali accordi sono quelli del gruppo della sottodominante (IV
e II). In fine il gruppo della tonica (I e VI), i cui accordi risultano determinati dall’as-
senza sia della sensibile che della controsensibile: il gruppo della tonica sta cioè al
centro e non essendo sbilanciato ne in direzione ascendente ne in direzione discen-
dente, esprime lo stato di riposo. Occorre anche aggiungere che per tali motivi la
parola sottodominante andrebbe sostituita dalla parola controdominante, in quanto
essa non sta sotto alla dominante ma dalla parte ad essa opposta (ossia contro) e
con la tonica in mezzo: IV – I – V è la corretta rappresentazione del mondo tonale
con tonica al centro, dominante e sottodominante agli estremi.

Vi sono alcuni accordi che contengono sia la sensibile che la controsensibile, come la tria-
de diminuita sul settimo grado e la settima di dominante. Dato che sensibile e controsensi-
bile stanno fra loro in rapporto di tritono si parla di accordi che contengono il tritono. Essi
appartengono sempre al gruppo della dominante dato che la sensibile risulta più caratte-
rizzante e forte della controsensibile, ma volendo specificarne meglio le funzioni tonali oc-
corre dire che tali accordi contemplano sia la tensione di tipo ascendente che quella di tipo
discendente, circondando per così dire il centro gravitazionale della tonica, ponendo cioè
in essere uno stato di tensione totale. Dato che sensibile e controsensibile sono le due es-
tremità dell’ambito diatonico tonale, ne consegue che gli accordi che contengono il tritono
sono privi di ogni ambiguità tonale. Se prendiamo per esempio la triade di Do maggiore,
essa potrebbe a rigor di logica appartenere oltre che alla tonalità Do maggiore, anche a
quelle di Sol e Fa maggiore. Se consideriamo invece la triade di sensibile o la settima di
dominante di Do maggiore, esse possono appartenere solo alla tonalità di Do maggiore.
Per tale motivo gli accordi che contengono il tritono sono privi di ogni ambiguità di apparte-
nenza, rafforzando così il discorso musicale da un punto di vista del sistema tonale.

65
Per quanto riguarda il modo minore occorre precisare che nel sistema tonale esso funzio-
na come il modo maggiore, nonostante tutto il ragionamento fatto sul circolo delle quinte
sembri in tale caso non essere appropriato. Se infatti consideriamo i suoni, per esempio, di
La minore (naturale), essi sono gli stessi di Do maggiore ed il tritono risulta perciò sempre
essere dato dai suoni Fa e Si invece che da Re e Sol# come invece dovrebbe essere
(controsensibile e sensibile sono infatti il quarto ed il settimo grado della scala). Tuttavia,
se esaminiamo meglio le cose, ci accorgiamo che le alterazioni del sesto e del settimo
grado delle scale minori armonica, melodica e di Bach rendono il modo minore quasi
uguale al maggiore, con la sola differenza della mediante, che determina appunto il modo.
In pratica, in un certo senso, il frammento di circolo delle quinte che costituisce la scala di
La minore non coincide con quello di Do maggiore, ma con quello di La maggiore, con la
sola eccezione della mediante. Il fatto è che nella musica tonale si è proceduto storica-
mente alla trasformazione del modo minore in una copia quasi uguale del modo maggiore,
al fine di utilizzarne le medesime funzioni tonali. L’introduzione della sensibile, innalzando
artificialmente il settimo grado della scala minore naturale, è un evento storico che testi-
monia proprio di tale assimilazione del modo minore a quello maggiore.

Ora che abbiamo chiarito il significato delle funzioni tonali dell’armonia, possiamo esami-
nare quali sono le successioni accordali tonalmente valide. Si ha il seguente schema:

1) Gli accordi del gruppo della tonica possono essere collegati in una successione
sia a quelli gruppo della sottodominante che a quelli del gruppo della dominante.
2) Gli accordi del gruppo della sottodominante possono essere collegati in una
successione solo a quelli del gruppo della dominante. Fa eccezione la cadenza
plagale IV-I che è ammessa, ma raramente usata nel periodo tonale come formu-
la di chiusura dei brani in quanto essa ha un carattere più modale che tonale.
3) Gli accordi del gruppo della dominante possono essere collegati in una succes-
sione solo a quelli del gruppo della tonica. Sono perciò vietate le successioni del
tipo V-IV in cui la piena tensione, invece che risolversi in uno stato di quiete, vie-
ne per così dire solo attenuata, risolvendosi in uno stato di tensione parziale. La
triade costruita sul III grado, pur facendo parte del gruppo della dominante, soli-
tamente non viene utilizzata in armonia classica perché troppo debole e modale:
la mediante al basso viene sempre armonizzata come tonica in primo rivolto (I6).
4) Gli accordi all’interno di ciascun gruppo possono essere collegati tra loro in una
successione, ma solo nella direzione con le fondamentali per terza discendenti
(di fatto, la successione VII-V risulta però essere raramente utilizzata).

66
A quanto detto vanno aggiunte alcune importanti considerazioni che riguardano i rivolti:

1) La triade diminuita costruita sul settimo grado viene utilizzata solo in stato di pri-
mo rivolto, per cui quando si ha la sensibile al basso essa viene solitamente ar-
monizzata con la triade (o con la settima) di dominante in primo rivolto.
2) La triade eccedente sul terzo grado del modo minore viene anch’essa utilizzata,
sia pur raramente, solo in stato di primo rivolto e solitamente col significato di
accordo apparente, ossia col significato di accordo di dominante dato con l’ap-
poggiatura della la sesta sulla quinta. Si usa quindi solo su basso di dominante.
3) Solo gli accordi costruiti sui gradi forti possono essere dati in stato di secondo
rivolto; pertanto gli unici gradi al basso che possono ricevere la quarta e sesta
sono il primo (IV46), il secondo (V46) ed il quinto (I46). L’utilizzo di tali accordi è
inoltre soggetto alle restrizioni che riguardano i tre possibili impieghi della quar-
ta e sesta: cadenzale, di passaggio e di volta.

I rivolti consentono inoltre alcune eccezioni alla normale sintassi armonica:

1) Nello stilema ascendente che collega per gradi congiunti la dominante alla tonica
è sempre ammesso il collegamento V-IV6 (unico caso ammesso di V-IV).
2) Nelle formule cadenzali composte possono trovare impiego le successioni II-I46
e II6-I46 (unici casi ammessi di II-I), a cui deve sempre succedere la dominante.
3) Nelle formule cadenzali miste è possibile, anche se rara, la successione II6-IV,
con fondamentali per terze ascendenti anziché discendenti. Ancora più rara ma
non impossibile è la successione II-IV. In tutti i casi al IV deve poi succedere il V.

Per il caso 1 si vedano gli esempi alle pag. 44 in basso e 45 in alto. Per il caso 2 si vedano
gli esempi a pag. 31 in basso (il secondo ed il terzo). Per il caso 3, ossia il raro collega-
mento II-IV, diamo qui due esempi. Si noti come, nel secondo esempio, i primi due suoni
del basso sono invertiti rispetto all’usuale sintassi accordale, dove vengono invece dati per
terze discendenti. In tale esempio, la triade di sottodominante serve di fatto solo per fornire
il Do al soprano che prepara il ritardo della terza nell’accordo successivo.

Come già detto, le successioni accordali utilizzate in epoca tonale si limitano a quattro casi
collegando i gruppi tonica-sottodominante, tonica-dominante, sottodominante-dominante e
dominante-tonica. Non vengono pertanto utilizzate le possibili successioni accordali che
collegano sottodominante-tonica (con l’eccezione di IV-I) e dominante-sottodominante.
Che accadrebbe se si utilizzassero tali successioni, come per esempio II-I o V-IV? La ris-
posta viene dalla storia, in quanto tali successioni furono utilizzate all’epoca della polifonia
vocale rinascimentale, quando il sistema in auge non era quello tonale, ma quello modale.
Quindi si può senz’altro affermare che successioni accordali del tipo II-I o V-IV indebolis-
cono il sistema tonale affermando al contempo quello modale. Ciò serve anche a com-
prendere come i collegamenti vietati in armonia classica non sono affatto brutti: anzi, essi
sono spesso assai interessanti ed espressivi, anche se appartengono ad un altro stile.

67
L’armonizzazione del basso senza numeri

Forniamo ora un pratico schema che indica quali numeri utilizzare su un basso che ne è
privo, ossia come si armonizza il basso senza numeri. Il criterio qui utilizzato è solitamente
quello di considerare i suoni del basso in base a come essi procedono, se sono cioè se-
guiti da un grado congiunto oppure da un salto. In questo schema per l’armonizzazione del
basso senza numeri vengono impiegate tutte le triadi e la settima di dominante, dato che
essi costituiscono il materiale accordale più utilizzato ed importante dell’armonia classica.
Lo schema propone ovviamente le stesse successioni accordali già viste ed illustrate tra-
mite la sintassi armonica e le funzioni tonali dell’armonia. Una precisazione: i numeri ro-
mani nella prima colonna non indicano le fondamentali degli accordi, ma i suoni del basso
da armonizzare. Per esempio, in questo schema il numero romano IV non indicherà la tria-
de di sottodominante comunque disposta, ma (in Do maggiore) il suono Fa al basso.

Suono
al Numerica da utilizzare (armonizzazione)
basso

Solitamente riceve 5 (molto raramente può ricevere 6).


I
Se dura almeno tre movimenti può ricevere la quarta e sesta di volta 5-46-5.

Se procede per grado congiunto può ricevere 6 o 34.


II Nelle successioni I-II-III e III-II-I può ricevere 46 (quarta e sesta di passaggio).
Se procede per salto riceve 5.

III Riceve quasi sempre 6 (molto raramente può ricevere 5).

Se sale al V riceve 5 oppure 6.


IV Se scende al III può ricevere 5, ma con basso V-IV-III riceve sempre 24.
Se procede per salto riceve 5.

Solitamente riceve 5.
Se procede al I o al VI può ricevere 7.
Nel modo minore può ricevere anche 6-5 (triade eccedente come appoggiatura).
V Nelle successioni IV-V-VI e VI-V-IV può ricevere 46 (quarta e sesta di passaggio).
Se dura almeno due movimenti può ricevere la quarta e sesta cadenzale 46-5.
Se dura almeno tre movimenti può ricevere la quarta e sesta di volta 5-46-5.
Se dura quattro movimenti può ricevere lo stilema cadenzale dissonante 5-46-45-5

Se procede per salto riceve 5.


VI Se procede per grado congiunto riceve 6 (6# nel tetracordo disc. in maggiore)
Se dura due movimenti nella successione V-VI-V riceve 5-6.

VII Riceve 6 o 56.

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Diamo ora un esempio di sesto grado al basso che dura due movimenti, ricevendo 5-6. Si
utilizzi questa semplice realizzazione anche per rintracciarvi le norme dello schema dato.

L’armonizzazione del basso senza numeri tramite stilemi


Anche gli stilemi sono di grande aiuto nell’armonizzazione del basso senza numeri. La co-
noscenza di tali formule consente infatti di riconoscere nel basso le successioni idiomati-
che ricorrenti in una o in più epoche storiche e di applicarne l’armonizzazione. Gli stilemi
possono essere divisi in tre gruppi principali: le cadenze, gli stilemi che armonizzano fram-
menti di scala e le progressioni. Vediamo ora nel dettaglio come possono esserci utili.

Le cadenze, di cui si ha uno schema riassuntivo a pag. 33, costituiscono le successioni


accordali utilizzati per chiudere le frasi musicali. Tali successioni accordali vengono però
utilizzate anche all’interno delle frasi, quando la ritmica non comporta cioè una fermata
conclusiva sull’ultimo accordo di esse. Quindi, se per esempio troviamo al basso il suono
di dominante seguito da quello di mediante, sappiamo dalle regole del basso senza nume-
ri che la dominante riceve solitamente 5 e che non possiamo utilizzare 7 in quanto il basso
non procede ne sul I ne sul VI; sappiamo anche che la mediante riceve sempre 6. Utiliz-
zando le regole del basso senza numeri, adottiamo così la successione V-I6. Ma ciò pote-
va essere immediatamente compreso anche riconoscendo nel basso lo stilema della ca-
denza imperfetta. Quando riconosciamo nel basso la successione accordale di una caden-
za possiamo ovviamente sempre utilizzare tale successione senza timore di sbagliare.

Gli stilemi che armonizzano frammenti di scala sono molto utili. La scala risulta essere
suddivisa in tre frammenti ognuno dei quali trova facilmente riscontro nei bassi.

a) Frammento di scala con I-II-III e III-II-I al basso: il I riceve sempre 5, il III riceve
sempre 6. L’accordo centrale, il II, può ricevere sia 6 (Bach) che 34, oppure 46
(scuola napoletana). Quindi: I-VII6-I6 o I-V34-I6 o I-46-I6 valide anche a ritroso.
b) Frammento di scala con III-IV-V e V-IV-III al basso: il III riceve sempre 6, il V
riceve sempre 5. Nella versione ascendente il IV può ricevere sia 5 che 6, mentre
in quella discendente riceve sempre 24. Quindi: I6-IV-V o I6-II6-V e V-V24-I6.
c) Frammento di scala con V-VI-VII-I e I-VII-VI-V al basso: i due accordi estremi rice-
vono sempre 5 mentre i due centrali ricevono sempre 6. Quindi: V-IV6-V6-I valida
anche a ritroso. Nella sola versione ascendente il VII può ricevere anche 56.

Come si nota, le uniche variabili riguardano il II grado al basso (con tre possibilità), il IV ed
il VII grado al basso nelle sole versioni ascendenti (entrambi i gradi con due possibilità),
mentre tutti gli altri gradi ricevono in tali stilemi numeriche fisse. Di fatto, utilizzando gli sti-
lemi con basso che procede per grado congiunto, possiamo ottenere l’intera scala armo-
nizzata: essa non è però uno stilema dato che solo raramente il basso presenta l’intera
scala. Ne diamo comunque una delle possibili versioni, interamente basata sugli stilemi
della letteratura musicale, utilizzabile sia nel modo maggiore che in quello minore.

69
Lo schema seguente riassume comunque tutte le possibili armonizzazioni della scala o di
suoi frammenti in base ai gruppi di stilemi a), b) e c) esaminati nella pagina precedente. Le
armonizzazioni proposte nella riga centrale sono quelle che vennero più frequentemente
utilizzate; le varianti proposte nella riga superiore furono normalmente utilizzate, mentre le
varianti proposte nella riga inferiore ebbero invece un uso più limitato (si tratta infatti della
quarta e sesta di passaggio utilizzata dalla scuola napoletana ed italiana in genere).
Stilemi

a) b) c) c) b) a)
Scala

I II III IV V VI VII I VII VI V IV III II I


Armonizzazioni

34 5 56 6 34

5 6 6 6 5 6 6 5 6 5 24 6 6 5

46 (6#) 46

Passiamo ora alle progressioni esaminando come riconoscerne ed utilizzarne i modelli nel
basso senza numeri. Le progressioni di cui ci occupiamo qui sono quelle con modello I-IV,
sia ascendenti che discendenti. I modelli studiati (pag. 22 e 49) possono utilizzare triadi in
stato solo fondamentale (5, 5) o un’alternanza di stato fondamentale e primo rivolto (5, 6 o
6, 5). Occorre innanzitutto riconoscere il modello che si ripete, prestando particolare atten-
zione al fatto che non sempre tale modello inizia in battere: un errore nell’individuazione
del modello comprometterebbe infatti le giuste successioni accordali e quindi l’intera pro-
gressione. Una volta individuato il giusto modello, si applichi il seguente schema:

1) Modello che procede per quarte o per quinte: 5, 5.


2) Modello che procede per terze o per seste: 5, 6.
3) Modello che procede per seconde o per settime: 6, 5.

70
Quanto detto vale per i casi in cui il modello è costruito su due suoni al basso. Le progres-
sioni con modello I-IV, possono però fare uso anche dei cambi di posizione, per esempio
facendo procedere il basso con salto di ottava sul primo accordo del modello e dando sia
6 che 5 sul secondo. In tutti questi casi occorre sempre cercare di individuare le succes-
sioni di accordi che si rifanno al modello I-IV e comportarsi di conseguenza.

La sincope d’armonia
La sincope d’armonia è un errore che si verifica quando un accordo dato sul tempo
debole viene ripetuto, anche con cambio di posizione, sul tempo forte successivo. Il
risultato che ne esce è solitamente piuttosto povero e pertanto la sincope d’armonia viene
normalmente evitata: ci si ricordi quindi di dare sempre accordi diversi nel levare e nel bat-
tere successivo. L’unico caso in cui essa viene utilizzata con una certa frequenza (per
esempio nei corali di Bach) è all’inizio di brani che cominciano in levare: in tali casi la sin-
cope d’armonia non crea alcun problema ed è perciò sempre ammessa.

Armonizzazioni poco frequenti


Tutto quanto abbiamo descritto finora è ciò che i grandi compositori dell’epoca barocca,
classica e romantica utilizzavano abitualmente; la scelta di quali accordi porre su un basso
senza numeri deve cioè basarsi sulle soluzioni statisticamente più frequenti e normali pra-
ticate dai grandi maestri del passato. Un manuale di armonia sarebbe però incompleto se
non avvisasse l’allievo che esistettero anche soluzioni “strane” e poco praticate, ma certa-
mente non prive di straordinaria bellezza, fascino e forza espressiva. È il caso del corale di
Bach Komm, Gott Schöpfer, heiliger Geist, di cui riportiamo a fine paragrafo la prima fra-
se. Lo analizzeremo per due motivi: in primo luogo per la sua inarrivabile perfezione artisti-
ca, ma soprattutto per le scelte accordali a dir poco eccezionali e assai poco praticate
dallo stesso Bach (vi consigliamo di suonarlo al pianoforte prima di proseguire la lettura).
Come si può vedere il primo collegamento è V-IV in stato fondamentale; di tale collega-
mento abbiamo già detto che esso è tipico del rinascimento (Palestrina), ma che nelle
epoche successive non venne utilizzato: ecco l’eccezione che conferma la regola. In
verità, qui conferisce un grande slancio d’apertura, una sorta d’invocazione fatta con gioia.

71
I successivi tre accordi sono quelli degli stilemi con basso I-II-III, qui armonizzati nientedi-
meno che tutti e tre in stato fondamentale. Certo, il gioco dei ritardi rapisce non poco
l’attenzione dell’ascoltatore, ma resta il fatto che lo stesso Bach normalmente usa il primo
rivolto sul secondo e sul terzo accordo di tale concatenazione. Che dire poi dell’uso della
triade sul terzo grado? E del fatto che essa è preceduta da quelle del II e del VI, pure in
stato fondamentale? Si hanno cioè tutti e tre i gradi deboli, III compreso, in successione.
Molti potrebbero pensare che Bach, “il grande padre dell’armonia”, come lo definì
Beethoven, si sia per una volta divertito in un gioco armonico di tipo modale: niente di più
falso: la frase si mantiene sempre ben salda da un punto di vista tonale e tende inelut-
tabilmente, attraverso i gradi secondari, alla dominante e poi alla tonica. La verità è che,
non solo in tali casi eccezionali, ma spesso le parole non possono spiegare più di tanto:
nessuno sa perché un brano musicale funzioni a certi irraggiungibili livelli. L’allievo segua
comunque i procedimenti più frequentemente utilizzati dai grandi maestri, sapendo però
che nemmeno per il grande Bach tali procedimenti erano considerati come leggi inviolabili.

Esercizi
Si realizzino a quattro parti i seguenti bassi senza numeri, sia a parti strette che late, utiliz-
zando le triadi e la settima di dominante sia in stato fondamentale che rivoltato. Si sfrutti la
maggiore libertà nella scelta degli accordi per creare delle buone linee melodiche nella
parte del canto. Quando può essere utilizzata più di una successione accordale, si scelga
cioè quella che consente la migliore melodia al soprano. Sui suoni lunghi occorre dare più
accordi o ricorrere ai cambi di posizione in modo che non vi siano vuoti ritmici ingiustificati.

72
Appunti

Esempi

73
Capitolo X

L’utilizzo di più tonalità


Normalmente, i brani musicali scritti nel periodo tonale, anche quelli di breve durata, utiliz-
zano più tonalità. L’inizio e la fine del brano sono quasi sempre nella tonalità principale,
detta anche tonalità d’impianto, mentre all’interno si hanno sezioni anche in altre tonalità,
scelte più frequentemente tra quelle vicine. Le tonalità vicine alla tonalità principale
sono tutte quelle che differiscono da essa di non più di una alterazione nell’armatu-
ra di chiave. Più precisamente i toni vicini sono cinque e comprendono:

a) Il tono relativo minore (o maggiore, se la tonalità principale è minore).


b) Il tono maggiore con un diesis in più (o un bemolle in meno) e relativo minore.
c) Il tono maggiore con un bemolle in più (o un diesis in meno) e relativo minore.

In pratica, i nomi del tono principale e dei cinque toni ad esso vicini coincidono con i nomi
delle triadi costruite sui primi sei gradi della scala maggiore. Per esempio, se la tonalità
principale è Do maggiore, abbiamo sul I grado la triade di Do maggiore che coincide ap-
punto col tono principale, sul II la triade di Re minore che coincide con la tonalità minore
che ha un bemolle in più in chiave, sul III la triade di Mi minore (tonalità minore con un
diesis in più in chiave), sul IV la triade di Fa maggiore (tonalità maggiore con un bemolle in
più in chiave), sul V la triade di Sol maggiore (tonalità maggiore con un diesis in più in
chiave), sul VI la triade di La minore (tonalità relativa). Deduciamo quindi quanto segue.

Le sei tonalità vicine utilizzate in un brano stanno tra di loro nello stesso rapporto in
cui stanno tra di loro le triadi all’interno della tonalità principale. Pertanto le sei to-
nalità vicine utilizzate in un brano hanno nel grande lo stesso significato che le
triadi hanno nel piccolo, come mostrato nello schema seguente.

Come si può vedere, il tono relativo appartiene assieme a quello principale al gruppo della
tonica, i due toni vicini con un bemolle in più coincidono col gruppo della sottodominante e
i due toni vicini con un diesis in più coincidono col gruppo della dominante.

Una prima differenza tra funzioni tonali delle triadi e toni vicini sta nel fatto che qui il grup-
po della dominante comprende il III grado al posto del VII: ciò è ovvio, dato che la triade
sul VII grado è diminuita e non esistono tonalità diminuite, ma solo maggiori e minori. Il ra-
ro utilizzo della triade sul III grado è tra l’altro dovuto a scelte stilistiche e per così dire con-

74
tingenti, ma non vi è alcun dubbio che il III grado appartenga al gruppo della dominante,
dato che esso genera la tonica di un tono vicino, mentre il VII non ne genera alcuna.

Una seconda differenza tra funzioni tonali delle triadi e toni vicini sta nel fatto che, se da
un lato esiste una sintassi armonica che regola quali collegamenti accordali sono possibili
e quali da evitare, dall'altro lato non esiste una sintassi delle tonalità impiegate in un bra-
no, essendo cioè possibile il passaggio (modulazione) fra qualsiasi tonalità vicina, senza
alcuna limitazione. Se, per esempio, sono da evitarsi i collegamenti accordali V-IV o II-I,
non sono affatto da evitare le modulazioni dal tono della dominante e quello della sottodo-
minante, o dal tono del II grado a quello principale.

Un'ultima differenza, per quanto riguarda i toni vicini di un brano la cui tonalità principale è
minore, occorre dire che essi coincidono solo parzialmente col modello delle funzioni tonali
delle sue triadi. Coincidono cioè solo sui gradi forti: le triadi costruite sui gradi I, IV e V del
modo minore (naturale) generano rispettivamente il tono principale, il tono minore con un
bemolle in più e quello minore con un diesis in più. Il tono relativo non si trova tuttavia più
sul VI grado, ma sul III, e, allo stesso modo, le restanti due tonalità rispettivamente con un
bemolle e un diesis in più non si trovano sui gradi II e III, ma sul VI e sul VII (non alterato).
Tutto ciò accade perché il modo minore è morfologicamente diverso da quello maggiore,
avendo un modello di scala differente. Tuttavia, come già detto nel capitolo precedente, il
modo minore, nella storia della musica occidentale, è stato assimilato e per così dire cos-
tretto ad assomigliare il più possibile a quello maggiore. Anche in questo caso quindi, ciò
che conta è che i gradi forti generino altrettanti gruppi e che quello della sottodominante
sia una quinta sotto alla tonica ed abbia un bemolle in più, mentre quello della dominante
sia una quinta sopra alla tonica ed abbia un diesis in più.

Tali differenze non sono tuttavia in grado di sminuire l'innegabile parallelismo che
esiste tra il significato delle triadi e quello delle tonalità vicine in brano musicale.
Possiamo quindi tranquillamente affermare che, sia nel modo maggiore che in quel-
lo minore, l’ambito dei toni vicini comprende sei tonalità, delle quali:

a) due tonalità, il tono principale e quello relativo, hanno le stesse alterazioni e


quando il brano ne fa uso si dice che ci si trova nella regione tonale della tonica;
b) due tonalità che hanno un diesis in più (o un bemolle in meno) del tono
principale e quando il brano ne fa uso si dice che ci si trova nella regione tonale
della dominante;
c) due tonalità che hanno un bemolle in più (o un diesis in meno) del tono
principale e quando il brano ne fa uso si dice che ci si trova nella regione tonale
della sottodominante.

Tali regioni tonali determinano nel livello formale, ossia nel grande, lo stesso signi-
ficato che le triadi hanno all’interno delle singole frasi. La sensazione di riposo la si
avrà pertanto quando ci si trova nella regione tonale della tonica ed in senso pieno
solo quando ci si trova nel tono principale. La sensazione di tensione piena la si
avrà invece quando ci si trova nella regione tonale della dominante, mentre una ten-
sione lieve la si avrà quando ci si trova nella regione tonale della sottodominante.

In molti brani, per esempio nelle fughe di Bach, ma anche in molte sonate e sinfonie
classiche, vengono utilizzati solo i toni vicini, e non necessariamente tutti. Nella storia del-
la musica, pur rimanendo prevalente l’uso dei toni vicini, si è tuttavia avuto un ampliamen-
to delle tonalità disponibili utilizzando, soprattutto nel tardo ottocento anche quelle lontane.

75
La modulazione e la tonicizzazione

La modulazione è il momento in cui avviene il passaggio da una tonalità ad un’altra.


Se tale passaggio avviene senza che la nuova tonalità sia confermata, solitamente
tramite una chiara cadenza, ma anzi si ritorna subito alla tonalità iniziale, sia ha solo
una modulazione temporanea, o come è più corretto definirla, una tonicizzazione.

Si osservino i due esempi seguenti, identici nelle prime tre misure, ma differenti nelle
ultime due. In entrambi i casi, nella seconda misura, viene data al basso la sensibile del
tono della dominante, avviando così un procedimento modulante. Tale sensibile risolve poi
effettivamente sulla dominante, ma ciò non è ancora sufficiente affinché all’ascolto
l’accordo di Sol maggiore sia percepito come una vera tonica. Ciò accade perché la
memoria dell’ascoltatore utilizza come parametri di riferimento ancora quelli della tonalità
precedente. Ci si trova, per così dire, in una zona ancora transitoria ed ambigua. Quello
che accade nelle ultime due misure di entrambi gli esempi consente tuttavia all’ascolto di
fugare ogni dubbio: nel primo caso vi è una riconferma del tono iniziale, mentre nel
secondo vi è una conferma della nuova tonalità. Pertanto, nel primo esempio si percepisce
all’ascolto una enfatizzazione dell’accordo di dominante di Do maggiore, trattato per un
momento come se fosse una tonica: si ha così una tonicizzazione della dominante. Nel
secondo esempio si percepisce invece un passaggio stabile alla nuova tonalità, dovuto
alla sua chiara conferma tramite cadenza composta. Il primo esempio permane quindi
interamente in Do maggiore, mentre il secondo approda in modo stabile a Sol maggiore
solo sull’ultimo accordo: la modulazione viene infatti intesa come il momento di passaggio
da una tonalità ad un’altra, inclusa la conferma della nuova tonalità.

Nel caso della tonicizzazione, come già detto, si permane sempre nella stessa tonalità e si
ha pertanto un allargamento dei confini tonali oltre i limiti della semplice scala diatonica. Il
Fa diesis al basso nel primo esempio, viene infatti considerato come un IV grado alterato
di Do maggiore. L’importanza della tonicizzazione è pertanto quella di introdurre una
ulteriore funzione tonale, ossia quella che fa uso dei gradi alterati e di quelli trattati
come se fossero toniche. La tonicizzazione può avvenire su vari gradi della scala,
ossia tramite modulazioni temporanee ai soli toni vicini, ma è più frequentemente
utilizzata sulla dominante. L’importanza della modulazione consiste invece nel forni-
re i mezzi per spostarsi stabilmente in altre tonalità e renderne in tal modo possibile
l’utilizzo. Sia nella tonicizzazione che nella modulazione si ha comunque un impor-
tante significato espressivo, di sorpresa e movimento, dato dall'uso di nuovi suoni.

76
La tecnica utilizzata per modulare ai toni vicini

Ci occupiamo ora di come si realizza la parte più delicata, ossia quella del primo passag-
gio alla nuova tonalità. Dopo tale passaggio si può procedere sia riconfermando la prima
tonalità, dando così luogo ad una modulazione temporanea (tonicizzazione), sia confer-
mando tramite cadenza la nuova tonalità, dando così luogo ad una modulazione vera e
propria. Le tecniche che ci apprestiamo a descrivere sono sempre utilizzabili per modulare
ai toni vicini, ma anche per modulare a tonalità che differiscono di due alterazioni nella loro
armatura di chiave. Quando si utilizzano in un brano i soli toni vicini e ci si sposta dalla
regione tonale della dominante a quella della sottodominante (e viceversa), si ha infatti
una modulazione che collega tonalità entrambe vicine al tono principale, ma lontane fra
loro, nel senso che differiscono fra loro di due alterazioni invece che di una soltanto.

Il passaggio alla nuova tonalità avviene sempre tramite l’uso delle alterazioni, ossia
facendo sentire quel suono della nuova tonalità che non era presente nella tonalità
di partenza. Definiamo tale suono come suono modulante e l’accordo che per primo
lo contiene come accordo modulante. Nell’esempio della pagina precedente, riportato
qui sotto, il suono modulante è il Fa diesis dato al basso nella seconda misura e l’accordo
in cui tale suono è contenuto, ossia la triade di Re maggiore in primo rivolto, è l’accordo
modulante. Al fine di rendere la modulazione più graduale, l’accordo modulante può
facoltativamente essere preceduto da un accordo definito come “accordo comune”,
che ha cioè un doppio ruolo: quello riferibile alla tonalità e all’accordo che lo prece-
de e quello riferibile alla tonalità e all’accordo che gli succede (quello modulante).
Nell’esempio seguente l’accordo comune è la triade di Do maggiore in primo rivolto data
all’inizio della seconda battuta: essa funge da I6 se considerata in relazione alla tonalità
iniziale ed in successione con l’accordo che lo precede, determinando una cadenza imper-
fetta V-I6. Tuttavia, essa funge al tempo stesso da IV6, se considerata in successione con
l’accordo modulante, con cui da luogo ad una cadenza mista IV6-V-I nella tonalità d’arrivo.
L’accordo modulante sarà ovviamente seguito dalla sua risoluzione. Si ha pertanto una
tipica sequenza in tre fasi, utilizzata per produrre il primo passaggio modulante:

1) Accordo comune (non sempre necessario, ma spesso utilizzato).


2) Accordo modulante.
3) Risoluzione dell’accordo modulante.

Posto che qualsiasi passaggio modulante (sia nelle tonicizzazioni che nelle modulazioni)
fa necessariamente uso di un accordo modulante, ossia di un accordo contenente almeno
un suono caratteristico della nuova scala, le tecniche utilizzate per modulare ai toni vicini
si differenziano tra di loro a seconda se fanno o non fanno uso dell'accordo comune.
Quando l'accordo comune è omesso, ciò significa che l'accordo che precede quello modu-
lante è estraneo alla nuova tonalità, ossia contiene almeno un suono non presente nella

77
nuova tonalità. Quindi, tra l'accordo modulante e quello che lo precede, in caso di assenza
dell'accordo comune, vi sarà una relazione di cromatismo. Si osservi l'esempio seguente,
dove l'accordo non in comune tra le due tonalità (triade di fa maggiore) sta in rapporto cro-
matico con l'accordo modulante (triade di re maggiore) il quale contiene il fa diesis. In
questo caso il cromatismo si trova al basso (suoni fa-fa#) ma può stare in qualsiasi parte.

Le tecniche utilizzate per modulare ai toni vicini sono perciò le due seguenti:

1) Modulazione tramite accordo comune - L'accordo modulante è preceduto da un


accordo comune alle due tonalità (accordo comune significa che nessuno dei
suoni che lo compongono appartiene ad una sola delle due tonalità).
2) Modulazione tramite cromatismo - L'accordo modulante non è preceduto da un
accordo comune alle due tonalità, ma da un accordo presente solo nella tonalità
iniziale. Tale accordo sarà quindi relazione di cromatismo con quello modulante.

Le modulazioni tramite accordo comune hanno un carattere più dolce e graduale,


mentre quella tramite cromatismo sono caratterizzate da più forza ed espressività.

La falsa relazione
La falsa relazione è un movimento sgradevole delle parti per cui due suoni con lo
stesso nome, ma con alterazioni diverse, vengono a trovarsi in due accordi vicini,
ma in parti diverse. È un errore che può essere evitato dando i due suoni alla stessa
parte, che procederà quindi cromaticamente. Inoltre, quando il primo dei due suoni
si trova ad essere raddoppiato, è bene che, mentre una delle due parti procede col
cromatismo, l’altra proceda (in rapporto ad essa) tramite moto contrario.

78
Le modulazioni esplicite nel basso senza numeri

Le modulazioni esplicite sono quelle che compaiono tramite l'introduzione di esplicite alte-
razioni nel basso. Dato che il suono modulante compare al basso, l'individuazione delle
modulazioni esplicite è perciò abbastanza semplice. In questo primo capitolo sulle modula-
zioni ci occuperemo pertanto solo di questo tipo di modulazioni. Nel prossimo capitolo sul-
le modulazioni ci occuperemo anche delle modulazioni implicite (con suoni modulanti dati
non nel basso, ma negli accordi di realizzazione) e di quelle facoltative (quando, in taluni
casi, si ha cioè la possibilità di "interpretare" il significato tonale di alcune parti del basso).

Dal momento che stiamo trattando le modulazioni esplicite ai soli toni vicini, occor-
re come prima cosa aver ben chiaro lo schema delle tonalità vicine e quali sono le
alterazioni, ossia i suoni modulanti, che determinano una nuova tonalità.

Per esempio, supponiamo che la tonalità del nostro basso sia Do maggiore. I nostri possi-
bili suoni modulanti saranno allora: il Fa diesis (per modulare a Sol maggiore o a Mi mino-
re), il Si bemolle (per modulare a Fa maggiore o a Re minore), il Re diesis (per modulare a
Mi minore), il Do diesis (per modulare a Re minore) ed il Sol diesis (per modulare a La mi-
nore). Quando uno di questi cinque suoni modulanti compare al basso avrà pertanto inizio
una modulazione (o una tonicizzazione). Di questi cinque suoni, come abbiamo visto, gli
ultimi tre determinano modulazioni inequivocabili. Al contrario, I primi due suoni modulanti
ammettono ciascuno due possibili tonalità, una maggiore e la relativa minore. Come com-
prendere quale delle due possibili tonalità è quella esatta? Solitamente, se si esamina il
seguito del basso, si comprende qual è la giusta tonalità. Per esempio, sempre in Do mag-
giore, troviamo un Fa diesis: esaminando il seguito del basso potremmo trovare un Re
diesis che chiarisce inequivocabilmente che l'esatta tonalità è quella di Mi minore. Oppure
un Re bequadro, che indica invece Sol maggiore. Se manca un ulteriore suono discrimi-
nante, come il Re diesis/bequadro di cui si è detto, è comunque possibile comprendere
quale sia la nuova tonalità in base alla sintassi armonica, come nell'esempio seguente.

Come dicevamo, dopo il Fa diesis (suono modulante) non vi è alcun Re (diesis o bequa-
dro) ad indicarci se la nuova tonalità sia quella di Sol maggiore o di Mi minore. Istintiva-
mente saremmo tentati di interpretare la relazione Fa#-Sol come un chiaro indizio che la
nuova tonalità sia Sol maggiore, indicata dalla relazione sensibile-tonica. Tuttavia gli ultimi
due accordi non avrebbero molto senso in Sol maggiore, dato che l'inevitabile collegamen-
to I6-VI sarebbe tonalmente discutibile. Inoltre gli ultimi tre suoni (La-Si-Mi) sono i gradi
forti di Mi minore (IV-V-I): deduciamo quindi che l'esatta tonalità è quella di Mi minore.

Il basso in oggetto ammette tuttavia anche un'altra interpretazione armonica, facendo cioè
una modulazione temporanea a Sol maggiore sui suoni Fa#-Sol, per poi modulare a Mi mi-
nore. Questa è la probabilmente la soluzione più efficace e musicalmente più interessante,
nonostante la soluzione precedentemente indicata sia anch'essa validissima.

79
Come si vede abbiamo esposto un primo esempio di interpretazione armonica facoltativa,
argomento che, come già detto, sarà trattato più dettagliatamente nel prossimo capitolo.
Per ora ci accontentiamo di riassumere i concetti esposti in questo paragrafo.

Si ha una modulazione esplicita quando al basso compare un suono esplicitamente


modulante, ossia estraneo alla scala in uso. Tale suono modulante può indicare in
modo inequivocabile la nuova tonalità, come accade per es. nel caso di esplicite al-
terazioni di sensibili di nuove tonalità minori. Il suono modulante può indicare in
modo inequivocabile la nuova tonalità anche nel caso opposto, partendo cioè da
una tonalità minore si può avere la modulazione al tono relativo maggiore, ometten-
do l'alterazione del settimo grado (in tal caso occorre però valutare se non si tratti
piuttosto di una scala minore melodica discendente, come nel caso del tetracordo
minore discendente, il quale fa certamente uso del settimo grado non alterato, ma
senza che ciò comporti alcuna modulazione al tono relativo maggiore).

I suoni modulanti espliciti possono anche riferirsi a due possibili nuove tonalità,
una maggiore e la sua relativa minore (per es. come accade quando, in Do maggiore
o La minore, si presentano i suoni modulanti Fa diesis o Si bemolle). In questi casi,
al fine di discriminare quale delle due tonalità sia quella esatta, occorre esaminare il
seguito del basso. Esso indicherà la soluzione (o le soluzioni) tonalmente valide in
uno dei seguenti tre modi:

1) Il seguito del basso può esporre altri suoni caratteristici della nuova tonalità, co-
me per es. l'alterazione (o meno) della sensibile di una possibile tonalità minore.

2) Se il seguito del basso non espone ulteriori suoni discriminanti, occorre cercare
la modulazione che comporta la sintassi armonica più valida: in ogni caso, sia
durante il passaggio modulante che a modulazione avvenuta, occorre rispettare
le regole del basso senza numeri evitando armonizzazioni sintatticamente errate.
In particolare, si cerchino nel seguito del basso i gradi forti, le cadenze e gli stile-
mi di una possibile nuova tonalità, scartando al contempo, fra le possibili nuove
tonalità, quelle che non è possibile armonizzare in modo corretto.

3) Talvolta è possibile interpretare un passaggio ambiguo ricorrendo a più modula-


zioni, per lo più di carattere temporaneo (tonicizzazioni). Si faccia però attenzio-
ne a non esagerare con tale tecnica: troppe modulazioni temporanee ravvicinate
possono indebolire il significato tonale, facendo sconfinare nell'incomprensibile.

80
Esercizi

Si realizzino a quattro parti i seguenti bassi con modulazioni, sia a parti strette che late.

81
Appunti

Esempi

82
Capitolo XI

Approfondimento sulla tecnica utilizzata per modulare ai toni vicini


Mel capitolo precedente abbiamo iniziato ad impratichirci con le modulazioni, concentran-
doci sui fondamenti di tale tematica: la funzione dell'utilizzo di più tonalità in un brano, la
differenza fra modulazione e tonicizzazione, le modulazioni esplicite nel basso senza nu-
meri ed i fondamenti delle tecniche modulanti, argomento che ora approfondiremo. Pas-
siamo quindi ad esaminare nel dettaglio quali accordi possono essere utilizzati come ac-
cordi modulanti. L’accordo modulante deve contenere il suono modulante, ossia quel suo-
no per il quale le due tonalità differiscono nell’armatura di chiave. Se per esempio si modu-
la da Do maggiore a Sol maggiore il suono modulante sarà il Fa diesis che è la sensibile
della nuova tonalità e che è contenuto nelle triadi del gruppo della dominante. Se invece si
modula da Do maggiore a Fa maggiore il suono modulante sarà il Si bemolle che è la con-
trosensibile della nuova tonalità e che è pertanto contenuto nelle triadi del gruppo della
sottodominante. Volendo utilizzare, al posto delle le semplici triadi, la settima di dominan-
te, va detto che essa contiene sia la sensibile che la controsensibile (contiene cioè il trito-
no) e per tale sua caratteristica di inequivocabile chiarezza tonale può sempre essere uti-
lizzata per modulare in qualsiasi tonalità, almeno fino a due alterazioni di differenza. Si ha
infine il caso in cui si modula al tono relativo maggiore o minore: dato che non vi sono dif-
ferenze nelle alterazioni dovute all’armatura di chiave, il suono modulante sarà sempre da-
to dall’alterazione o dalla non alterazione della sensibile della tonalità minore, e pertanto
l’accordo modulante sarà sempre la triade o la settima di dominante della nuova tonalità.
L’accordo modulante può perciò essere di quattro tipi, anche a seconda della direzione:

1) Quando si modula in direzione delle quinte ascendenti, ossia quando aumentano


i diesis o diminuiscono i bemolli, se l’accordo modulante è una semplice triade,
essa apparterrà sempre al gruppo della dominante della nuova tonalità.
2) Quando si modula in direzione delle quinte discendenti, ossia quando aumenta-
no i bemolli o diminuiscono i diesis, se l’accordo modulante è una semplice tri-
ade, essa apparterrà sempre al gruppo della sottodominante della nuova tonalità.
3) Utilizzando come accordo modulante la settima di dominante della nuova tonali-
tà è possibile modulare in qualsiasi direzione, dato che tale accordo contiene
sempre, nel tritono, tutti i necessari suoni modulanti.
4) Quando si modula al tono relativo maggiore o minore, l’accordo modulante sarà
sempre la triade o la settima di dominante della nuova tonalità.

Per quanto riguarda l’accordo comune e quello di risoluzione va precisato che:

a) Nel solo caso in sui si modula in direzione delle quinte discendenti tramite sem-
plice triade del gruppo della sottodominante (2), l’accordo comune è sempre ne-
cessario e l’accordo di risoluzione sarà sempre quello di dominante (con o senza
settima) della nuova tonalità, a sua volta seguito dall’accordo di tonica.
b) In tutti gli altri casi, ossia quelli in cui l’accordo modulante appartiene al gruppo
della dominante della nuova tonalità (1, 3 e 4), l’accordo comune è facoltativo e
l’accordo di risoluzione sarà sempre direttamente quello di tonica.
c) L’accordo comune, quando viene utilizzato, deve sempre fare parte sia della to-
nalità di partenza che di quella di arrivo e deve sempre produrre successioni ac-
cordali valide secondo la sintassi armonica, sia in relazione alla tonalità di par-
tenza che in relazione a quella di arrivo.
83
L’accordo comune ha lo scopo di rendere la modulazione più graduale, obiettivo non sem-
pre necessariamente desiderabile, dato che può talvolta essere più allettante fare ricorso
alle qualità espressive di certe successioni accordali più piccanti. Tuttavia, quando l’accor-
do modulante appartiene al gruppo della sottodominante, ed è perciò piuttosto povero
nell’espletare tale funzione, si preferisce far ricorso all’uso dell’accordo comune in modo
che l’apparizione dell’accordo modulante risulti più naturale. Sempre in tale caso, dato che
l’accordo modulante appartiene al gruppo della sottodominante, non è bene risolverlo
direttamente a tonica: secondo la sintassi armonica è infatti necessario che il gruppo della
sottodominante proceda verso quello della dominante. Si farà pertanto seguire all’accordo
modulante di sottodominante, quello di dominante, che risolverà definitivamente a tonica.
Quando invece è possibile evitare di ricorrere all’uso dell’accordo comune e si sceglie di
ometterlo, la successione accordale fra l’accordo modulante e quello che lo precede
(quest’ultimo non presente nella nuova tonalità) potrà dare luogo a procedimenti cromatici
di un certo rilievo espressivo, ma da trattare con cautela, onde evitare la falsa relazione.

Esempi modulanti da Do maggiore / La minore a tutti i toni vicini


Diamo ora alcuni esempi di modulazioni ai toni vicini, a partire da Do maggiore e da La mi-
nore. Quale esercizio, l’allievo deve in primo luogo indicare la numerica dei gradi e dei ri-
volti, specificando (se presenti) anche gli accordi comuni (per es. I6=IV6). Deve quindi in-
dicare con dei simboli se l’accordo modulante è una triade che appartiene al gruppo della
dominante (TD) o della sottodominante (TS), o se esso è la settima di dominante (7D).

84
La modulazione estemporanea ai toni vicini
La modulazione estemporanea è un esercizio che consiste nel creare un breve passaggio
modulante, per ora solo ai toni vicini, senza che sia fornito alcun basso. Si dovranno cos-
truire circa sei battute in tempo binario, utilizzando modelli sul tipo del secondo esempio
dato a pagina 66. Si avranno pertanto tre fasi, schematizzabili nel modo seguente:

1) Affermazione del tono iniziale (per esempio: I-VI-II6-V-I o I-IV-II-V-I).


2) Passaggio modulante (accordo comune, settima di dominante e nuova tonica).
3) Conferma del nuovo tono (per esempio una cadenza mista: II6-V-I).

85
L’accordo comune deve essere cercato fra uno dei seguenti gradi della nuova tonalità: I, II,
IV (raramente: V, VI e VII6): ci si ricordi che esso deve produrre successioni accordali
valide secondo la sintassi armonica sia con l’accordo che lo precede che con quello che lo
segue. Talvolta l’accordo comune è uguale all’ultimo accordo della prima parte, ossia la to-
nica della tonalità iniziale: in tale caso è meglio fare un cambio di posizione, in modo che
non si produca una inutile fermata ritmica (si veda sotto, il secondo esempio). L’accordo
modulante più sicuro è la settima di dominante della nuova tonalità, dato che essa contie-
ne sempre tutti i suoni modulanti necessari, ma nulla vieta di utilizzare le semplici triadi, a
patto che si seguano le norme sin qui spiegate (un riassunto schematico è a pag. 68). È
consigliabile (ma non obbligatorio) che l’ultimo accordo sia in posizione melodica di ottava.

Lo stilema modulante cromatico


In questo stilema modulante, abbastanza comune in epoca barocca (ma utilizzato anche
in seguito), si hanno due linee melodiche principali: una procede per cromatismo ascen-
dente, l’altra, che ha valori ritmici dimezzati, procede con un frammento di scala discen-
dente di quattro suoni (dal sesto al terzo grado della nuova tonalità). La linea che procede
col cromatismo esporrà la sensibile e la tonica della nuova tonalità, mentre la linea che
procede col frammento di scala esporrà dei suoni (settime) di passaggio. Di queste due
linee, una qualsiasi si trova sempre al basso, mentre la rimanente può essere data a una
qualsiasi delle parti superiori, ma solitamente al soprano. Si possono avere tre diverse mo-
dulazioni: da una tonalità maggiore alla sua relativa minore, da una tonalità maggiore al to-
no del suo secondo grado, oppure da una tonalità minore al tono del suo quarto grado.
Annotazione: il Si bemolle nel terzo e nel sesto esempio è un suono ornamentale di volta.

86
Una variante dello stilema ha sempre due linee melodiche, una con cromatismo ascen-
dente e l’altra con scala discendente, ma date nota contro nota. In tale caso si ha la tonica
di una tonalità minore che diventa V24 della tonalità posta una quarta sopra. Se la tonalità
di risoluzione è maggiore, l’accordo di risoluzione è una tonica che può a sua volta trasfor-
marsi in una dominante: in tale caso si ha la modulazione da una tonalità minore al tono
maggiore costruito sul suo settimo grado naturale, con in mezzo la modulazione tempo-
ranea al tono della dominante della tonalità finale. Questi casi sono abbastanza comuni.

L’individuazione delle modulazioni nel basso senza numeri


Le modulazioni, al fine pratico di una loro individuazione nel basso senza numeri, possono
essere classificabili in tre tipologie: esplicite, implicite e facoltative. Le modulazioni esplici-
te sono le più facili da riconoscere, dato che esse compaiono tramite l’esplicita introduzio-
ne nel basso di un’alterazione estranea alla tonalità in essere. Si hanno i seguenti casi:

Suoni alterati in senso ascendente: essi sono sempre le sensibili di nuove tonalità,
le quali possono essere sia maggiori che minori. Tali suoni vengono armonizzati co-
me V6 o come V56 della nuova tonalità i quali risolvono poi sulla nuova tonica.

Suoni alterati in senso discendente: essi possono essere il quarto grado di nuove
tonalità maggiori, ed in tale caso vengono armonizzati come V24 della nuova tonali-
tà il quale risolve poi sulla nuova tonica in primo rivolto. Tali suoni alterati possono
anche essere il sesto grado di nuove tonalità minori, e in questo caso vengono ar-
monizzati come IV6 della nuova tonalità il quale procede poi sulla nuova dominante.

87
Sempre nel caso in cui i suoni alterati in senso discendente sono il sesto grado di
tonalità minori, ma si ha al basso il frammento di scala discendente dello stilema
modulante cromatico, essi vengono armonizzati come settime di passaggio al bas-
so (V24) o considerati come suoni di volta (da non armonizzare) al basso.

L’introduzione del VII grado non alterato nel modo minore può comportare la modu-
lazione al tono relativo maggiore: in tale caso esso sarà armonizzato come domi-
nante del nuovo tono. Può anche far parte del frammento di scala discendente dello
stilema modulante cromatico: in tal caso si armonizza come V24 del nuovo tono.

Le modulazioni implicite sono quelle che non presentano nuove alterazioni al basso, ba-
sandosi sul principio per cui due tonalità vicine hanno sempre ben sei suoni in comune.
Alcuni manuali propongono l’individuazione di tali modulazioni in base a particolari movi-
menti del basso, quali per esempio un salto di quarta ascendente o di quinta discendente,
che potrebbe far pensare alla successione dominante-tonica in una nuova tonalità: ma
come questo, anche altri movimenti del basso possono essere spesso ingannevoli in
quanto non comportano necessariamente delle modulazioni. Preferiamo perciò non ricor-
rere a tali mezzi e indicare invece due norme di carattere molto più generale, ispirate al
principio secondo cui deve essere la giusta sintassi armonica ad indicare le modulazioni.

Per individuare le modulazioni implicite occorre prestare attenzione alla sintassi ar-
monica: se in una data tonalità non si riescono ad avere successioni accordali vali-
de, ciò significa che quella tonalità è sbagliata. Occorre allora osservare la linea me-
lodica del basso e cercare di intuire in quale tonalità gli accordi hanno significato.

Si supponga per esempio di essere in Do maggiore e di incontrare al basso la successio-


ne di suoni: La-Si-Mi. Tale successione non ha alcun significato in Do maggiore, dato che
la sensibile salterebbe addirittura di quarta o di quinta, mentre invece, al basso, essa deve
sempre risolvere. Ma i suoni La-Si-Mi, coincidono con la successione dei gradi forti, IV-V-I,
in Mi minore: troviamo così, tramite la giusta sintassi armonica, una modulazione implicita.

Si presti inoltre molta attenzione al fatto che, quando è presente un’alterazione nel
basso, ciò non significa che la modulazione sia sempre esplicita e avvenga proprio
in quel punto: essa potrebbe aver avuto luogo precedentemente in modo implicito.

Pertanto, tutte le volte che si incontra un’alterazione nel basso, occorre sempre controllare
l’andamento del basso prima di tale alterazione, per vedere se la modulazione non andas-

88
se in realtà fatta prima. Nell’esempio seguente si vede come la modulazione da Do mag-
giore a Sol maggiore non avvenga affatto tramite il Fa diesis al basso, come si potrebbe in
un primo momento pensare, ma con tutta evidenza ben due misure prima.

Solo raramente le modulazioni presenti in un basso possono essere facoltative, ossia


scelte liberamente: talvolta vi sono però dei frammenti, per lo più di breve durata, che
possono essere interpretati in più tonalità, ricorrendo a modulazioni il più delle volte
temporanee. Tali modulazioni facoltative sono ammissibili, purché fatte in stile e dotate di
significato musicale: si corre infatti il rischio di esagerare, introducendo modulazioni che
potevano benissimo essere evitate e che rendono il discorso musicale assai concitato e
confuso. Soprattutto all’inizio, quando non si ha ancora acquisito la necessaria pratica, è
bene attenersi al principio di evitare qualunque modulazione non necessaria: se è possibi-
le continuare con la tonalità che si sta utilizzando, si eviti di complicare inutilmente le cose
introducendo modulazioni che potrebbero essere fuori luogo. Una volta acquisita maggior
sicurezza sarà possibile fare ricorso ad uno stile modulante più ricco e complesso. Il se-
guente esempio mostra due versioni dello stesso basso, entrambe legittime. Esaminando
il basso è evidente che le prime tre note (Do-Si-Do) debbono essere armonizzate in Do
maggiore e che le ultime due (Sol#-La) comportano necessariamente la tonalità di La mi-
nore. Il frammento centrale (Fa-Mi-Re) può benissimo essere interpretato in Do maggiore,
proseguendo cioè con la tonalità precedente. Ma può anche essere interpretato come una
modulazione temporanea a Re minore. Entrambe le versioni sono corrette e funzionanti,
ma la seconda, soprattutto se considerata in uno stile romantico, è più varia, genera una
melodia migliore, e conduce meglio al culmine espressivo dato sulla quarta misura.

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Esercizi

Si realizzino a quattro parti i seguenti bassi con modulazioni, sia a parti strette che late.

Si facciano le seguenti modulazioni estemporanee, scritte o al pianoforte, a seconda delle


indicazioni dell’insegnante, il quale provvederà anche ad assegnarle di volta in volta.

1) Sol maggiore => Mi minore


2) Re minore => Fa maggiore
3) Fa maggiore => Do maggiore
4) Mi minore => Re maggiore
5) Re maggiore => Fa diesis minore
6) Sol minore => Re minore
7) Si bemolle maggiore => Mi bemolle maggiore
8) Si minore => Sol maggiore
9) La maggiore => Si minore
10) Re minore => Sol minore
11) Mi bemolle maggiore => Si bemolle maggiore
12) Sol minore => Do minore

90
Esercizi riassuntivi

I bassi che seguono, da realizzarsi sia a parti strette che late, sono riassuntivi di tutti gli
argomenti fin qui trattati. Li si armonizzi cercando di applicare quanto si è finora appreso.

91
92
Appunti

Esempi

93
Capitolo XII

L’armonizzazione della melodia


A partire da questo capitolo iniziamo ad occuparci dell’esercizio armonico più completo e
difficile, ossia quello dell’armonizzazione di una melodia. In tale esercizio, la parte data sa-
rà perciò quella del soprano e l’allievo dovrà cimentarsi nella creazione delle tre parti infe-
riori. Come vedremo tra poco, in tale esercizio si hanno molte più possibilità nella scelta
degli accordi e delle modulazioni, rispetto alla realizzazione del basso. Ciò significa che gli
accordi scelti ed il movimento melodico delle parti potranno dare un particolare significato
alla melodia data: si tratterà cioè di una vera e propria interpretazione armonica del canto
assegnato, la quale dovrà ovviamente tenere ben presente, oltre alle regole grammaticali
sul corretto moto delle parti, soprattutto le norme della sintassi armonica ed il fraseggio.

La sintassi armonica nell’armonizzazione della melodia


Dato un suono della melodia, esso può essere armonizzato, almeno teoricamente,
con tre diverse triadi, con quattro quadriadi o con cinque accordi di nona. Si ha per-
tanto un numero di combinazioni accordali e di possibili armonizzazioni enorme. Ta-
le numero iniziale di possibilità viene tuttavia considerevolmente ridotto dal rispetto
delle norme sulla sintassi armonica, già studiate nel basso senza numeri. Ciò signi-
fica che occorre prendere in considerazione solo le successioni accordali ammes-
se, e tra queste scegliere quelle più adatte al momento musicale in cui ci si trova.

Prendiamo come esempio una melodia che inizia con i tre suoni Mi-Re-Do, nella tonalità di
Do maggiore. All’inizio si utilizza normalmente l’accordo di tonica in stato fondamentale
(tranne nel caso in cui, per esempio su un inizio in levare, non si abbia invece una succes-
sione dominante-tonica). Non vi è perciò alcun dubbio sull’armonizzazione del primo suo-
no. I due suoni successivi non possono ovviamente essere armonizzati con successioni
estranee alla sintassi armonica e alle funzioni tonali dell’armonia: eviteremo per esempio
II-I o V-IV: queste due successioni comporterebbero tra l’altro rispettivamente le ottave e
le quinte tra parti estreme, e, anche se tali errori potrebbero facilmente essere evitati tra-
mite l’uso dei rivolti (II-I6 o V-IV6), ciò per cui debbono comunque essere scartate è la loro
inadeguatezza tonale ed estraneità alle norme sulla sintassi armonica. La successione V-
IV6 potrebbe essere utilizzabile, ma solo qualora si riuscisse ad impiegare al basso il fram-
mento di scala ascendente che procede dalla dominante alla tonica. Parlando sempre dei
suoni Re-Do, fra le successioni accettabili da un punto di vista della sintassi armonica, tro-
viamo senz’altro la cadenza perfetta, V-I. Anche essa si rivela tuttavia inadatta in tale ca-
so: fare una cadenza perfetta con tonica in posizione melodica di ottava significherebbe in-
fatti determinare una completa chiusura del discorso musicale, cosa che certamente non
vogliamo fare, ne all’inizio, ne durante un brano di così breve durata come un canto dato.

Occorre essere molto prudenti nell’utilizzare l’accordo di tonica in stato fondamen-


tale ed al tempo stesso in posizione melodica di ottava, oltre che sul tempo forte: il
risultato sarebbe quello di bloccare il discorso musicale. Non vi sono invece proble-
mi se tale disposizione della tonica viene data sui tempi deboli. Alla fine del brano,
l’accordo di tonica in tale disposizione (e sul tempo forte) sarà ovviamente non solo
possibile, ma quasi obbligatorio, al fine di ottenere proprio una chiusura definitiva.

94
Esaminiamo ora il caso in cui si voglia utilizzare per i suoni Re-Do del nostro esempio la
cadenza imperfetta del tipo V6-I o V56-I. In tale caso avremmo la tonica in posizione me-
lodica di ottava e sul tempo forte. Tuttavia la cadenza imperfetta diminuisce il carattere
conclusivo sulla tonica ed è perciò utilizzabile, soprattutto se avviene all’inizio del brano,
quando cioè non esiste ancora un discorso musicale che possa essere chiuso anzitempo.
Nel nostro esempio rimangono inoltre le seguenti altre possibilità, che sono le più valide,
ordinate a partire da quella col minor grado di tensione sul Do della melodia, fino a quella
con la maggior tensione su tale suono: V-I6 o V24-I6 (altre cadenze imperfette), VII6-I6
(stilema usato da Bach), V46-I6 (stilema di scuola napoletana con quarta e sesta di pas-
saggio), V-VI (cadenza d’inganno). Fra tali successioni, stilemi e cadenze, sceglieremo
quella che ci appare la più conveniente anche nell’economia generale del brano.

Nell’armonizzazione del canto dato è assai utile fare ricorso alle risorse rappresen-
tate da formule, stilemi e cadenze. Nelle chiusure di frase, potendo scegliere fra più
possibili cadenze, cercheremo di utilizzare la maggior varietà possibile, come avvie-
ne nei corali di Bach, dove ogni frase viene normalmente chiusa con una propria
particolare cadenza: se una certa cadenza viene ripetuta due o più volte, questo av-
viene normalmente solo a condizione che cambi la tonalità. Non si trascuri poi il fat-
to che quella che può sembrare una ripetizione, lo è solo nominalmente se essa
viene data in due tonalità diverse, soprattutto se una è maggiore e l’altra minore (la
cadenza d’inganno, ma anche quelle imperfette, sono per esempio assai diverse nei
due modi, in quanto comportano diverse successioni di triadi maggiori e minori). La
varietà delle cadenze utilizzate è tipica dei corali bachiani, non è cioè una caratteris-
tica universalmente adottata nello stile tonale. Si tratta però di un ottimo esercizio,
che consente di far apprendere l’utilizzo delle risorse e delle sfumature cadenzali.

Utilizzeremo per ora le modulazioni ai soli toni vicini, tenendo conto che, come per il basso
senza numeri, anche nel canto dato esse possono essere sia esplicite, ossia con evidenti
alterazioni nella melodia, che implicite, ossia con alterazioni da utilizzare nelle altre tre par-
ti. La differenza tra l’armonizzazione del basso senza numeri e quella della melodia, sta
nel fatto che in quest’ultimo caso si ha senza dubbio una maggiore possibilità di scelta: oc-
corre pertanto prestare attenzione a non esagerare, anche se deve essere chiaro che la
possibilità di interpretare tonalmente una melodia rappresenta una risorsa difficilmente
rimpiazzabile con altre tecniche compositive. Volendo per esempio armonizzare il tetracor-
do discendente che va dalla tonica alla dominante si hanno svariate e interessanti pos-

95
sibilità solo se si ricorre alle modulazioni e alle tonicizzazioni. Si vedano gli esempi se-
guenti, in cui si suppone che la tonalità d’impianto della melodia sia quella di Do maggiore.

La scrittura omoritmica
Per omoritmia si intende un particolare tipo di scrittura per cui le voci procedono
grosso modo tutte con gli stessi valori ritmici, solitamente seguendo la pulsazione.
Ciò significa che le varie parti sono dotate di indipendenza solo melodica e che non
è possibile avvertire all’ascolto quell’insieme di indipendenza sia melodica che rit-
mica delle voci, tipica invece della scrittura contrappuntistica. In pratica lo stile omo-
ritmico (detto anche stile accordale) coincide col tipo di scrittura che abbiamo sin qui utiliz-
zato nella realizzazione dei bassi. In questo paragrafo ci occuperemo di vari aspetti ine-
renti tale tecnica di scrittura con particolare riferimento all’armonizzazione della melodia.

Per quanto concerne la disposizione delle parti, d’ora in poi realizzeremo i bassi dati utiliz-
zando sempre la scrittura strumentale a parti strette, tipica del basso continuo, mentre in-
vece utilizzeremo sempre la scrittura vocale a parti late, tipica del corale, nelle armonizza-
zioni dei canti dati. Precisiamo ancora una volta che nella scrittura vocale a parti late, pos-
sono aver luogo anche situazioni in cui le parti si trovano tutte assai ravvicinate tra loro,
ma una scrittura con le tre parti superiori raggruppate ed un intervallo molto ampio tra bas-
so e tenore viene utilizzata solo raramente. Sia la realizzazione del basso continuo con
disposizione a parti strette che l’armonizzazione della melodia nello stile del corale con
disposizione a parti late sono due ottimi esempi storici di scrittura omoritmica.

Da un punto di vista ritmico si avrà normalmente un accordo per ogni pulsazione


(ossia daremo solitamente accordi di minima se la frazione indica un ritmo in mezzi o di
semiminima se si ha un ritmo in quarti). Potrà capitare più raramente di utilizzare accordi
la cui durata ritmica è la metà della pulsazione oppure il doppio, nel caso di una fermata di
fine frase. Tuttavia, anche quando la melodia presenta un suono lungo a chiusura di frase,
risulta spesso di migliore effetto continuare con il movimento a pulsazione nelle altre voci:
il fraseggio non ne risulta compromesso e la scorrevolezza del discorso non viene alterata.
Ci si ricordi che il cambio di posizione consente talvolta di mantenere l’andamento ritmico
secondo la pulsazione, oltre ad essere una importante risorsa anche da un punto di vista
delle scelte accordali, per particolari successioni melodiche in cui la melodia procede per
salto. Per quanto riguarda i suoni di passaggio, con durate pari anche alla metà della
pulsazione, ci limiteremo per ora all’utilizzo della sola settima di dominante che potrà
essere data come suono di passaggio in qualsiasi parte.

Nella scelta dei rivolti si dovranno ovviamente tenere in considerazione le limitazioni cui
sono soggetti alcuni accordi. Lo stato di secondo rivolto sia utilizzato solo sui gradi forti e
secondo gli stilemi studiati (di passaggio, di volta e cadenzale). La triade diminuita sul VII
grado e quella eccedente siano sempre utilizzate in stato di primo rivolto. È di cruciale
importanza una certa alternanza tra accordi in stato fondamentale e rivoltato: solo

96
così si può evitare di appesantire il tessuto armonico (utilizzando troppi accordi in
stato fondamentale) o di renderlo tonalmente instabile (utilizzando troppi rivolti): oc-
corre pertanto fare un utilizzo moderato ma costante dei rivolti.

Di grande importanza è poi la linea melodica del basso. Oltre ad offrire il necessario
sostegno armonico, la parte del basso è quella più esposta all’ascolto dopo quella
del canto e deve pertanto essere scritta con particolare cura anche da un punto di
vista melodico. In generale possiamo affermare che il basso procede con una percentua-
le di intervalli ampi (ossia oltre la terza maggiore) superiore a quella delle altre voci e ciò
dipende proprio dal fatto che il basso deve garantire il sostegno armonico: i gradi congiunti
sono più frequenti al basso quando si alternano rivolti e stato fondamentale, come avviene
negli stilemi che armonizzano frammenti di scala o nella stessa scala armonizzata. Quan-
do prevalgono gli accordi in stato fondamentale, talvolta necessari, si hanno invece più
salti in tale parte. Dopo un intervallo melodico di ottava, salvo rare eccezioni, è bene inver-
tire la direzione. L’intervallo di ottava, sempre fatte salve rare e giustificate eccezioni, do-
vrebbe essere anche il massimo salto possibile nella melodia del basso. Ci si ricordi che la
sensibile al basso deve sempre risolvere, tranne che, per esempio, in un cambio di posi-
zione determinato proprio dal basso con la successione V6-V-I. Si evitino intervalli ecce-
denti o diminuiti (consentiti solo se discendenti e seguiti da risoluzione). Gli intervalli di set-
tima, ma anche quelli di sesta maggiore sono assai rari (per motivi vocali di intonazione).

Lo stilema con dominante-tonica al canto


Capita talvolta che l’allievo non sappia come armonizzare una melodia che presenta, soli-
tamente all’inizio, la successione dei suoni di dominante e tonica. Tale melodia viene
spesso armonizzata da Bach (nei corali) utilizzando alcune varianti della cadenza imper-
fetta: V-I6 (anche con settima di passaggio al basso) o V24-I6. Tutte queste varianti pos-
sono essere impiegate sia all’inizio del brano che nello svolgimento ed in entrambi i modi,
tuttavia, nel solo caso dell’impiego in modo maggiore ed all’inizio del brano, è assai consi-
gliabile far ricorso alla settima al basso (secondo e terzo esempio), al fine di evitare l’ambi-
guità tonale della successione V-I6 data all’inizio: tale successione può facilmente essere
interpretata all’ascolto come I-IV6 nel tono della dominante (ossia, il primo esempio ver-
rebbe percepito in Sol maggiore, invece che in Do maggiore). Questo problema non sus-
siste invece nel modo minore in quanto si ha l’inequivocabile percezione della scala armo-
nica. Non sussiste neppure nel modo maggiore a condizione che la formula senza settima
di dominante non venga utilizzata all’inizio, ma solo dopo aver fatto udire il suono di sotto-
dominante (nell’esempio in DO maggiore è il Fa naturale) che chiarisce la vera tonalità.
Oltre all’utilizzo della cadenza imperfetta, sono possibili anche altre soluzioni, mostrate nel
quarto e nel quinto esempio: anch’esse sono utilizzate da Bach nei corali e perciò ammis-
sibilissime. Si ha il solo utilizzo della tonica, con cambio di posizione e movimento per mo-
to retto di tutte le parti verso l’alto, con l’effetto di mantenere il significato dell’inizio ana-
crusico (ossia in levare). Oppure la successione I-VI, assai più efficace nel modo minore.

97
L’analisi del canto dato

È di fondamentale importanza analizzare attentamente una melodia prima di procedere al-


la sua armonizzazione. Occorre individuare per prima cosa le frasi musicali e le possibili
modulazioni. Si annoteranno a questo punto tutte le possibili cadenze utilizzabile per ogni
chiusura di frase. In questa fase risulta utile farsi già un’idea di quali cadenze saranno ef-
fettivamente utilizzate, ispirandosi al principio della varietà, posto che la stessa cadenza,
purché data in due tonalità diverse, è più che plausibile (è possibile variare anche le posi-
zioni melodiche). A questo punto si procede annotando tutte le possibili armonizzazioni di
ogni frammento di melodia, ovvero solo quelle corrette da un punto di vista della sintassi
armonica. Fra esse saranno scelte quelle che si rifanno agli stilemi sin qui studiati, che de-
terminano una buona alternanza fra disposizioni in stato fondamentale e rivolti e che con-
sentono inoltre di realizzare una buona linea melodica nella parte del basso.

Esercizi
Si realizzino a parti late le seguenti melodie, non senza averle attentamente analizzate.

98
Appunti

Esempi

99
Capitolo XIII

I suoni di ornamento, ossia i suoni estranei agli accordi


I suoni di ornamento sono suoni che non vengono armonizzati con un accordo pro-
prio, ma che, per la loro natura ornamentale, sono estranei all’accordo sottostante.
Ciò significa che i suoni ornamentali non fanno parte di triadi, quadriadi o altri
accordi, ma che vengono utilizzati assieme ad essi, solitamente come dissonanze.

I suoni di ornamento possono essere di tipo melodico (note di passaggio, note di volta, no-
te sfuggite, anticipazioni ed appoggiature) o armonico (ritardi e pedale). I suoni di orna-
mento possono essere diatonici (se utilizzano suoni della scala tonale in uso) o cromatici
(se utilizzano suoni estranei alla scala della tonalità in uso). In questo capitolo ci occupere-
mo dei suoni estranei agli accordi di tipo melodico, mentre nel prossimo capitolo vedremo
quelli di tipo armonico. Non ci si lasci trarre in inganno dalla definizione di suono ornamen-
tale: come vedremo in seguito, tutto ciò non ha nulla a che fare con qualcosa di accesso-
rio, come per esempio gli abbellimenti, ma si tratta invece di utilizzare la dissonanza a sco-
po espressivo, di poter costruire linee melodiche che utilizzano non solo i suoni dell’accor-
do e di poter inoltre arricchire la scrittura omoritmica, introducendo figurazioni ritmico-
melodiche con valori diversi dalla pulsazione. Tali suoni hanno pertanto una importanza
enorme nel linguaggio musicale, dove costituiscono un parte strutturale e non accessoria.

Le note di passaggio

Le note di passaggio sono note date sui tempi deboli e per grado congiunto, che
collegano due suoni di uno stesso accordo o di accordi diversi. Si ha pertanto una
formula melodica di tre suoni che procede per grado congiunto ed in un’unica
direzione, ascendente o discendente. Le note di passaggio possono essere conso-
nanti, o (più frequentemente) dissonanti e hanno solitamente durate ritmiche pari al-
la suddivisione della pulsazione (ossia metà pulsazione nei ritmi semplici e un terzo
di pulsazione in quelli composti, ma tali valori possono anche essere dimezzati; per
esempio, in 2/2 i suoni di passaggio saranno semiminime o anche crome, mentre in
6/8 i suoni di passaggio saranno crome o anche semicrome).

Si hanno i suoni di passaggio consonanti quando la sesta sul basso viene seguita dalla
quinta di passaggio (utile per collegare IV-V), o viceversa, la quinta viene seguita dalla
sesta (utile nel collegamento VI-V dopo una cadenza d’inganno): in tali casi il suono di
passaggio consonante muta sul tempo debole la triade data sul tempo forte. Tuttavia an-
che i suoni di passaggio consonanti vanno considerati estranei all’accordo in quanto all’as-
colto non si percepisce tanto la nuova triade determinata sul tempo debole da tali suoni.

100
Più frequentemente si possono avere note di passaggio nettamente estranee all’accordo,
ossia dissonanti, che collegano due suoni (posti a distanza di terza) di due accordi diversi,
oppure che collegano i suoni di un unico accordo in un cambio di posizione. Nell’esempio
seguente la prima e la terza nota di passaggio sono date su cambi di posizione dello stes-
so accordo, mentre la seconda e la quarta collegano i suoni di due accordi diversi. Si noti
come anche in questo caso si ha sempre una formula melodica di tre suoni che procedono
per gradi congiunti ed in una sola direzione, dove il suono centrale sul tempo debole è
estraneo all’accordo chiaramente determinato dalle altre voci.

L’ultima nota di passaggio dell’esempio precedente mostra un caso degno di nota: la


cosiddetta settima di passaggio; essa consiste nel far seguire alla fondamentale dell’ac-
cordo il suono inferiore (la settima) in un movimento melodico discendente. La settima di
passaggio può essere data su tutti i gradi, tranne il settimo, dato che la sensibile deve
risolvere salendo. Spesso, al fine di risolvere la settima in direzione discendente (ciò è
sempre obbligatorio), si può omettere la quinta dell’accordo successivo, triplicando la
fondamentale. Si presti attenzione pure alle quinte dirette che potrebbero generarsi se si
da la settima di passaggio su gradi vicini ed in particolari posizioni: in tale caso gli errori
diretti vengono solitamente evitati (da Bach) raddoppiando la quinta sul secondo accordo.

Sono pure possibili le note di passaggio doppie e triple: se le voci muovono per moto retto
si avranno tra le parti interessate sempre e solo intervalli armonici di terza o di sesta; se le
voci muovono per moto contrario si avranno vari intervalli armonici: tale caso è comune
quando i suoni di passaggio multipli intervengono in uno scambio dei suoni dell’accordo.
Nell’esempio seguente si ha un doppio suono di passaggio (per seste parallele) seguito da
un triplo suono di passaggio (per terze parallele tra soprano e contralto, e, per moto cont-
rario con scambio di suoni, tra soprano e tenore). Si evitino i suoni di passaggio multipli o
ravvicinati che comportano intervalli dissonanti paralleli, come per esempio le settime pa-
rallele. Si eviti di raggiungere l’unisono tramite suoni di passaggio (è ammesso lasciarlo).

101
Alcuni manuali annoverano tra i suoni di passaggio consonanti anche gli arpeggi: essi non
sono evidentemente suoni estranei all’accordo, ma consistono invece in rapidi cambi di
posizione. Preferiamo quindi non considerare gli arpeggi come suoni ornamentali, ne tan-
tomeno come suoni di passaggio, avendo in comune con essi il solo fatto di venir anche
utilizzati con figure ritmiche di durata inferiore alla pulsazione. È comunque il caso di men-
zionare il fatto che quando al basso si hanno arpeggi (ossia articolazioni melodiche dei
suoni dell’accordo) essi possono produrre anche un tipo particolare di quarta e sesta, det-
ta appunto “quarta e sesta per arpeggio”, tipica, come quella di passaggio, della scuola
napoletana. Gli arpeggi furono del tutto estranei allo stile vocale rinascimentale e fecero la
propria comparsa solo tramite il fiorire della musica strumentale in epoca barocca. Da tale
momento storico in poi la vocalità andò sempre più arricchendosi di procedimenti origina-
riamente riservati alla musica strumentale e quindi, nella musica lirica (già a partire da
Vivaldi) è possibile (anzi, assai comune) l’utilizzo di arpeggi. Quindi, non utilizzeremo cer-
to gli arpeggi nell’armonizzazione vocale di una melodia nello stile del corale: gli esempi
che seguono si riferiscono infatti alla sola scrittura strumentale.

Le note di volta
Le note di volta sono simili alle note di passaggio: anch’esse si muovono per grado
congiunto, si possono avere sullo stesso accordo o fra due accordi diversi, si dan-
no sui tempi deboli e possono essere consonanti o dissonanti, come pure possono
essere singole o date in più parti contemporaneamente. La differenza sta nel fatto
che mentre le note di passaggio procedono in un’unica direzione, le note di volta
consistono proprio nell’inversione della direzione: si hanno così le note di volta
superiori (con movimento melodico prima ascendente e poi discendente) e quelle
inferiori (con movimento melodico prima discendente e poi ascendente).

Nell’esempio che segue si ha una nota di volta superiore (Do-Re-Do, con Re nota di volta)
seguita da una inferiore (Do-SI-Do, con Si nota di volta), entrambe date fra due accordi di-
versi. Seguono altre note di volta (due superiori e due inferiori) date ognuna sullo stesso
accordo e talvolta anche combinate assieme ai suoni di passaggio in figure melodiche.

Sono possibili anche le note di volta doppie e triple, con le stesse regole già esposte per i
suoni di passaggio (se le voci procedono parallelamente, si devono avere solo terze o
seste). Le note di volta doppie possono dar luogo alla quarta e sesta di volta, su basso di
tonica o di dominante (le formule sono a pagina 36). Si eviti di voltare sull’unisono.

102
Le note sfuggite, ossia le note di volta con elisione

Se al gruppo melodico di tre suoni che danno luogo alla nota di volta togliamo
l’ultimo suono, otteniamo che la nota di volta diventa una nota sfuggita. La nota
sfuggita consiste quindi nell’elisione del suono di risoluzione di una nota di volta ed
è perciò spesso definita anche come nota di volta con elisione. Si trova sul tempo
debole come suono estraneo all’accordo, provenendo per grado congiunto e
proseguendo con un salto in direzione opposta. Può anche essere data doppia.

Le anticipazioni
L’anticipazione consiste nell’anticipare un suono dell’accordo successivo, dato
spesso nella stessa parte. Si trova come suono estraneo all’accordo solo sul tempo
debole e può anche essere doppia (l’uso singolo è solitamente limitato alla parte del
canto). Il suo impiego è comune nelle conclusioni, come anticipazione della tonica.

Le appoggiature e i suoni di passaggio sul tempo forte


Le appoggiature sono suoni estranei all’accordo che vengono dati sui tempi forti e
che possono avere valore inferiore, uguale o superiore rispetto alla nota che appog-
giano: procedono sempre per grado e possono essere superiori o inferiori, dando in
battere il suono superiore o inferiore di quello normale dell’accordo, per poi risolve-
re su di esso. Talvolta le appoggiature provengono (oltre che essere seguite) da un
grado congiunto, ricordando così il suono di passaggio, dato però sul tempo forte.
Si ha così la definizione di “suono di passaggio sul tempo forte” che coincide quasi
con la definizione di appoggiatura, con la sola differenza che l’appoggiatura non
proviene necessariamente da un grado congiunto. Le appoggiature ed i suoni di
passaggio sui tempi forti possono anche essere doppi o tripli (con le solite regole).

103
Si eviti di dare il suono di risoluzione in un’altra voce, simultaneamente all’appog-
giatura: è però ammessa l’appoggiatura superiore della fondamentale contempora-
neamente ad essa, se l’appoggiatura, detta in tale caso 9-8, si trova in una parte
superiore a detta fondamentale, sia cioè posta a distanza minima di nona da essa.

Negli ultimi due esempi si ha l’unica possibilità di dare il suono di risoluzione simultanea-
mente alla sua appoggiatura: essa non è infatti appoggiatura della terza o della quinta, ma
della fondamentale e sta con essa a distanza (minima) di nona.

Tutte queste limitazioni valgono assai di meno per i suoni di passaggio sui tempi
forti, presi e proseguenti per grado congiunto ed aventi valori inferiori alla pulsazio-
ne: si evitino però tali suoni di passaggio quando essi appoggiano la terza o la quin-
ta dell’accordo senza essere a distanza minima di nona con esse.

I primi due esempi mostrano l’unica cosa che è meglio evitare con i di suoni di passaggio
sui tempi forti, ossia l’appoggiatura della terza o della quinta, date simultaneamente al
suono reale, senza trovarsi a distanza minima di nona con esso. In tutti i casi si valuti
anche con l’ascolto, evitando asprezze eccessive, a seconda dello stile. Nel corale bachia-
no sono solitamente evitati i suoni di passaggio sui tempi forti (di qualsiasi tipo) ed ancora
di più le appoggiature: tali ornamenti riguardano infatti assai di più lo stile strumentale.

Le note di cambio e la “cambiata”


Le note di cambio sono due note, entrambe estranee all’accordo, coincidenti con la
nota immediatamente superiore ed inferiore della nota reale dell’accordo, nota che
precedono. La “cambiata” comprende pure essa le due note di cambio, ma si deve
avere un frammento di scala di quattro suoni, ascendente o discendente, i cui due
ultimi suoni sono stati scambiati (cioè invertiti di posizione) e quelli estremi deb-
bono sempre essere consonanti. Quest’ultima formula, usata anche nel barocco e in
seguito, è tipica soprattutto della polifonia vocale rinascimentale.

104
Le note di ornamento cromatiche

Le note di ornamento cromatiche possono essere note di passaggio o di volta, ap-


poggiature, note sfuggite o altro, le quali, a differenza di quelle diatoniche, utilizza-
no alterazioni estranee alla scala della tonalità corrente. Tali suoni alterati non com-
portano mai una modulazione (e nemmeno una tonicizzazione), ma soprattutto, es-
sendo suoni di ornamento melodico, non vengono mai armonizzate con un accordo.
Storicamente entrarono nell’uso nel periodo preclassico per poi trovare maggiore
utilizzo nei periodi successivi. Ne fece un uso magistralmente elegante Mozart.

Gli stilemi melodici basati sui suoni ornamentali


Sia da un punto di vista vocale, ma ancora di più strumentale, in epoca barocca andarono
affermandosi delle formule melodiche tipiche, dei veri e propri stilemi consistenti in figu-
razioni melodiche basate sulla combinazione di più suoni ornamentali. Diamo di seguito le
principali formule melodiche, senza descriverle, cosa che sarebbe senza dubbio noiosa.
Molte delle figure date possono essere utilizzate in qualsiasi parte e concatenate fra loro.
Tutte le figure espresse con valore pari a metà pulsazione (ossia pari alla semiminima in
tempo tagliato) possono in realtà essere utilizzate anche a crome (quattro note contro la
pulsazione), anche se un uso intensivo di tale articolazione ritmica si rifà ad uno stile parti-
colare, e cioè quello di alcuni brani strumentali del barocco italiano, e napoletano in parti-
colare, nei quali, soprattutto al basso, si può avere un uso costante di tali figure ritmiche.
Si noti l’esempio in cui si ha la “volta della volta”, una figurazione melodica di cinque suoni
in cui si ha l’ornamento di un ornamento e non l’ornamento di un suono reale d’armonia.

105
L’importanza dei suoni di ornamento melodico, in particolare dei suoni di passaggio o di
volta, è enorme. Essi, oltre che fornire un valido strumento per utilizzare le dissonanze a
scopo espressivo, consentono di far muovere le varie voci e di sfuggire così all’obbligo
dell’omoritmia: senza le note di passaggio saremmo cioè obbligati ad avere il solo stile
“nota contro nota”. Pur senza trasformare la semplice armonizzazione in vero e proprio
contrappunto (dove l’autonomia ritmica e la dignità melodica di ogni parte sono essenziali),
un minimo di moto ritmicamente diversificato delle parti aggiunge ricchezza e varietà allo
stile: per comprendere un uso in tal senso dell’armonia, si analizzino i corali di Bach.

Gli stilemi melodici e le imitazioni nelle progressioni


Gli stilemi melodici basati sui suoni ornamentali che abbiamo visto nel precedente para-
grafo possono essere impiegati nei modelli delle progressioni e, in tal modo, possono es-
sere poi ripetuti col procedimento traspositivo che è proprio delle progressioni. Ci occupe-
remo qui sempre delle progressioni con modello I-IV, sia ascendenti che discendenti, dato
che esse sono di gran lunga le più utilizzate (nel prossimo capitolo affronteremo tuttavia
anche nuove progressioni, basate su altre successioni accordali). Il modello più tipico e
semplice è quello che utilizza le settime di passaggio. Esso può trovare impiego sia nel
modello con soli accordi in stato fondamentale che nei modelli con alternanza di stato fon-
damentale e rivolti. Non può tuttavia trovare impiego nella progressione ascendente, dato
che le settime devono risolvere scendendo e si avrebbero le settime di passaggio solo ad
accordi alternati, con un effetto di poca fluidità. Per ogni possibilità daremo sempre prima
la versione senza suoni ornamentali, seguita da quella elaborata tramite tali suoni.

Come è possibile vedere nel primo esempio, le voci di contralto e soprano si imitano a dis-
tanza di quarta (ossia la melodia del soprano ripete la stessa parte del contralto una quar-
ta sopra e con una pulsazione di ritardo): in tal senso si parla di imitazioni nelle progressio-
ni. Queste sono costruite in modo che, già nel modello, si ha l’antecedente melodico sul
primo accordo ed il relativo conseguente sul secondo: dato che la progressione utilizza nel
modello la successione accordale I-IV, l’imitazione sarà sempre alla quarta superiore o al-
la quinta inferiore. In termini di suoni dell’accordo, se un disegno melodico parte come an-
tecedente sulla fondamentale dell’accordo, la risposta imitativa, ossia il conseguente, par-
tirà sulla fondamentale del secondo accordo. Se l’antecedente inizia sulla terza dell’accor-
do, il conseguente inizierà sulla terza dell’accordo successivo, e così via. Tutto ciò è anco-
ra più evidente nel secondo esempio, dove l’imitazione avviene fra basso e soprano. Una
volta compreso il principio appena illustrato, sarà possibile applicare moltissime figurazioni
e stilemi melodici, fra cui soprattutto quelli illustrati nel paragrafo precedente. Ciò che è im-
portante capire e poi applicare è che non occorre inventare nulla di nuovo, ma utilizzare
106
ciò che già il basso o il canto dato propongono. Seguono altri due esempi, fra i tantissimi
possibili: essi utilizzano rispettivamente una progressione discendente ed una ascendente.

Nell’ultima progressione è possibile notare come non vi sia una reale imitazione in quanto
solo il frammento melodico sul primo accordo viene ripetuto per moto contrario sul secon-
do (in tale imitazione per moto contrario, dovrebbe esserci l’intervallo di quarta, sostituito
invece da una seconda: tale mutazione dell’imitazione è stata indicata con la lettera “m”).

Gli errori nascosti ammessi con suoni estranei all’accordo


I suoni ornamentali, essendo estranei all’accordo e perciò solitamente dissonanti, attutis-
cono notevolmente il vuoto determinato da alcuni errori d’armonia. Sono perciò ammessi
gli errori nascosti, anche fra parti estreme, se uno o più suoni delle parti che li producono
sono estranei all’accordo. Ovviamente, rimangono invece proibiti tutti gli errori diretti.

107
I suoni ornamentali nel basso e nel canto dato

Al fine di individuare i suoni ornamentali, ossia i suoni estranei agli accordi, nel
basso e nel canto dato occorre affidarsi, come prima istanza ad una semplice rego-
la: normalmente si da un nuovo accordo per ogni pulsazione. Questa norma non
verrà seguita nella totalità dei casi, ma rappresenta tuttavia la base su cui iniziare.

La seconda norma più importante cui ottemperare è la seguente: non si deve armo-
nizzare “nota contro nota” qualsiasi valore che si presenta nel basso o nel canto da-
to. Al contrario, se per esempio il basso dato presenta valori di pulsazione potremo
muovere un poco di più le altre voci, ma se già il basso stesso fa uso di valori infe-
riori alla pulsazione, le altre voci non ripeteranno tale movimento, utilizzando invece
valori più lunghi. Occorre cioè sempre controbilanciare i movimenti del basso o del
canto dato al fine di ottenere una risultante ritmica costante ed equilibrata.

Si cerchi anche di riutilizzare nelle varie voci soprattutto quelle figure ritmico-melo-
diche che già il basso o il canto dato espongono. Se scriviamo la realizzazione di un
basso strumentale a parti strette, sarà prevalentemente la parte del soprano a con-
trappuntare il basso. Se invece scriviamo un corale nello stile vocale a parti late, gli
stilemi melodici potranno presentarsi in tutte le quattro voci. Tali ripetizioni degli
stilemi riscontrati nel basso o nel canto dato saranno ovviamente riproposti con
sfasatura, onde evitare che tutte le voci muovano contemporaneamente o che tutte
le voci stiano contemporaneamente ferme (due situazioni entrambe da evitare).

Nell’armonizzazione del corale in stile bachiano accadrà assai più frequentemente


che mentre la melodia data procede quasi sempre con valori ritmici uguali alla
pulsazione, una delle altre voci (a turno o assai più raramente due o tre assieme)
procedano molto spesso con valori ritmici uguali alla suddivisione della pulsazione
(ossia alla sua metà, dato che solitamente non si hanno nel corale ritmi composti).

Non ci si dia mai a priori l’obbligo di muovere sempre e comunque almeno una voce
tramite suoni di passaggio e ornamentali: non è sempre richiesto il movimento cos-
tante con valori ritmici inferiori alla pulsazione. Tale movimento con note di durata
inferiore alla pulsazione può anche appare e scomparire, presentandosi cioè in mo-
do alterno: spetta a chi realizza l’armonizzazione la scelta se instaurare uno stile più
o meno movimentato. Tale scelta deve ovviamente ispirarsi a criteri stilistici.

108
Esercizi

Si realizzino a parti strette i seguenti bassi, secondo la scrittura strumentale.

109
Si realizzino a parti late le seguenti melodie, secondo la scrittura vocale (alcune di queste
melodie sono evidentemente in stile strumentale, tuttavia mantengono sempre un chiaro
stile di derivazione vocale: non sono corali nello stile bachiano, ma la scrittura è vocale).

110
Appunti

Esempi

111
Capitolo XIV

I ritardi
Il ritardo è un ornamento di tipo armonico che consiste nel ritardare uno o più suoni
dell’accordo. In pratica si ha il prolungamento di un suono dell’accordo precedente
sul nuovo accordo: tale prolungamento genera sul tempo forte la presenza di un
suono estraneo all’accordo, e perciò dissonante. Tale dissonanza risolve poi sul
suono reale dell’accordo. Il suono dell’accordo precedente, dato come consonanza
sul tempo debole, viene definito preparazione del ritardo. La percussione, data sul
tempo forte come suono estraneo all’accordo, costituisce il ritardo vero e proprio.
La risoluzione, consonante e sul tempo debole successivo, consiste nel dare il
suono reale dell’accordo: il tutto avviene melodicamente nella stessa voce e per
grado congiunto. Le tre fasi del ritardo sono pertanto:

1. Preparazione (consonanza sul tempo debole dell’accordo precedente).


2. Percussione (dissonanza sul tempo forte, legata alla nota di preparazione).
3. Risoluzione (consonanza sul tempo debole presa per grado congiunto).

La preparazione deve avere una durata ritmica mai inferiore alla percussione, ad
eccezione del ritmo ternario, dove la preparazione può durare la metà del ritardo. La
risoluzione è normalmente discendente, ma può anche essere ascendente, qualora
la nota di preparazione si trovi sotto al suono reale dell’accordo. Il ritardo può
avvenire in qualsiasi voce e può anche essere multiplo.

Come si può vedere, il ritardo è un’appoggiatura data con preparazione (e l’appoggiatura


può a sua volta essere definita come una sorta di ritardo dato senza preparazione). Negli
esempi precedenti si hanno tre ritardi della terza dell’accordo. E’ possibile pure il ritardo
della fondamentale. Viene invece solitamente evitato il semplice ritardo della quinta, dato
che produrrebbe una triade in primo rivolto sul tempo forte, in luogo della dissonanza. Il ri-
tardo della settima comporta una situazione praticabilissima, ma dato che si avrebbe pure
in questo caso una consonanza sul tempo forte, esso non può essere considerato un ritar-
do: si avrebbe semmai una settima di passaggio dopo una semplice legatura di valore. I ri-
tardi possono anche essere multipli: della fondamentale e della terza insieme, oppure del-
la terza e della quinta insieme (in questo caso si ha una quarta e sesta sul tempo forte).

112
Come si vede nel quarto degli esempi precedenti, la settima di dominante, pur essendo
dissonante, può sempre fungere da preparazione del ritardo.

Si eviti di dare il suono di risoluzione in un’altra voce simultaneamente al ritardo.


Ciò può essere fatto solo nel ritardo della fondamentale a condizione che tale suono
di risoluzione si trovi sotto al ritardo, ossia a distanza minima di nona da esso. Più
raramente tale soluzione si verifica anche sul ritardo della terza, ma in questo caso,
il suono di risoluzione deve trovarsi, oltre che a distanza minima di una nona sotto
al ritardo, nella sola parte del basso (il tutto è meno aspro nel modo minore dove si
ha una dissonanza di nona maggiore invece che minore).

La risoluzione del ritardo può anche aver luogo, sempre come consonanza, ma su
un nuovo accordo. Tali soluzioni sono abbastanza comuni.

La risoluzione del ritardo può inoltre essere ornata tramite note di volta (più fre-
quentemente inferiori, ma anche superiori) o di sfuggita (tra queste, si ha anche la
possibilità di saltare sulla quinta dell’accordo nel ritardo della fondamentale).

Il ritardo è un mezzo espressivo importantissimo, il principale che ci consente di utilizzare


suoni estranei all’accordo sul tempo forte. Esso fece la sua comparsa in epoca rinasci-
mentale (nella sola versione discendente) dove costituiva una delle principali risorse es-
pressive. Il suo uso fu praticato anche nei secoli successivi e, particolarmente in epoca
classica e soprattutto romantica, venne praticato anche nella versione ascendente. Il dop-
pio ritardo della terza e della quinta costituì in epoca rinascimentale l’unica possibilità di
utilizzo del secondo rivolto: la quarta e sesta scaturiva cioè solo come conseguenza di tale
doppio ritardo, e ciò per via del fatto che la quarta esposta era considerata dissonante.

113
Il ritardo della terza

Il ritardo della terza (che è probabilmente il più praticato) può presentarsi in una parte
superiore in accordi in stato fondamentale ed in tal caso si ha la numerica 4-3. Può
presentarsi, sempre in una parte superiore, in accordi in stato di primo rivolto, con
numerica 9-8 o in stato di secondo rivolto, con numerica 47-46. Può inoltre presentarsi
come ritardo della terza al basso, con numerica 25 6.

Il ritardo della fondamentale


Il ritardo della fondamentale può presentarsi in una parte superiore in accordi in stato
fondamentale ed in tal caso si ha la numerica 9-8. Può presentarsi, sempre in una parte
superiore, in accordi in stato di primo rivolto, con numerica 7-6 o in stato di secondo
rivolto, con numerica 56-46. Può inoltre presentarsi come ritardo della fondamentale al
basso, con numerica 24.

Il ritardo della quinta


Il semplice ritardo della quinta, come già detto, non viene praticato a causa del fatto che si
avrebbe una triade consonante in stato di primo rivolto sul tempo forte al posto della
percussione dissonante del ritardo. È tuttavia possibile praticare il ritardo della quinta
assieme a quello della terza (che fornisce la necessaria dissonanza sul tempo forte). È
inoltre possibile dare il ritardo della quinta in una settima di dominante, dato che il ritardo
della quinta viene così a trovarsi in rapporto dissonante proprio con la settima. Nel primo
caso si ha una quarta e sesta preparata (come nell’uso rinascimentale), nel secondo si ha
una risultanza armonica di gusto romantico (si tratta infatti di un accordo di tredicesima di
dominante dato con la preparazione della tredicesima).

114
I ritardi ascendenti e multipli

Normalmente i ritardi sono discendenti, ma a partire dallo stile classico e romantico posso-
no anche essere ascendenti, ossia con preparazione sul suono inferiore rispetto al suono
reale dell’accordo e sua risoluzione ascendente. Talvolta, i ritardi ascendenti si trovano in-
sieme a quelli ascendenti in forma doppia o tripla, cosa che accade più frequentemente
nella cadenza perfetta V-I o V7-I.

Lo stilema cadenzale dissonante sulla tonica


Lo stesso stilema dissonante che abbiamo già visto a pagina 34 nella sua applicazione su
basso di dominante che dura quattro movimenti può essere applicato sulla tonica, solita-
mente a chiusura del brano. Dato che si ha sempre una quarta e sesta di volta fiorita con
ritardo sull’accordo finale, la successione accordale è sempre 35-46-ritardo (della terza).
Nel caso in sui il brano finisca si aggiunge una battuta e la risoluzione del ritardo viene
fiorita (con nota di volta) al fine di avere un movimento ritmico sull’ultimo battere.

La terza piccarda
Quando nel modo minore l’accordo di tonica viene reso maggiore innalzandone la
terza, si ha la terza cosiddetta piccarda. Si tratta di un ornamento di tipo armonico,
usato al fine di rendere maggiormente conclusivo l’ultimo accordo di un brano scrit-
to nel modo minore. La terza piccarda, a differenza di tutti gli altri suoni di ornamen-
to melodico ed armonico, comporta un suono che non è estraneo all’accordo, ma
che è invece un suono reale d’armonia: il suo carattere ornamentale è dovuto al fat-
to che si ha la terza maggiore in luogo di quella minore.

Spesso, è bene utilizzare il ritardo della terza piccarda (anche con note di volta o sfuggite),
al fine di diminuire ed addolcire l’effetto di sorpresa che si genera e che potrebbe essere
eccessivo. Il suo uso risale al rinascimento, quando veniva utilizzato nella chiusa di brani,
sezioni o frasi importanti, di brani polifonici composti nei modi con triade conclusiva minore
(dorico, frigio ed eolio). Pure nel barocco (Bach) ebbe un impiego ragguardevole e non
trascurabile; la terza piccarda poteva essere usata anche sull’ultimo accordo di cadenze
date per chiudere frasi intermedie, ma più frequentemente veniva utilizzata alla conclusio-
ne di un brano. Il suo uso non era comunque obbligatorio, ma un possibile ornamento.
Cadde in disuso nei periodi classico e romantico, per cui la si usi solo nello stile barocco.

115
Il pedale
Il pedale è ornamento armonico consistente nell’utilizzo di un suono prolungato per
diverse battute, sopra al quale vengono posti accordi indipendenti dal pedale stes-
so. I suoni utilizzati sono solitamente la dominante e la tonica. Spesso si trova al
basso, ma può trovarsi anche al canto o più raramente in una parte interna. Il pedale
può anche essere doppio (tonica e dominante insieme) e si trova solitamente alla
fine della composizione (ma può trovarsi anche all’inizio o prima di una ripresa).
L’inizio e la fine del pedale debbono sempre essere consonanti.

Il pedale oltre ad essere un suono tenuto, può anche essere un suono ritmicamente arti-
colato (ossia ribattuto, anche con salti di ottava e con particolari figure ritmiche, pause
comprese). Può anche essere un inciso melodico di più suoni, che girano intorno alla do-
minante, alla tonica o ad entrambi i suoni; l’inciso viene ripetuto “ossessivamente” diverse
volte, mentre gli accordi superiori sono indipendenti da esso: in tal caso si parla di pedale
figurato. Il modo più semplice di armonizzare il pedale è quello di porvi sopra una progres-
sione a tre voci, oppure una piccola invenzione a tre voci che utilizzi solo le figure ritmico-
melodiche già utilizzate nel componimento. La parte del tenore assumerà in tali contesti il
ruolo di basso armonico “virtuale”. Una caratteristica del pedale è quella di attenuare l’ef-
fetto degli errori d’armonia nascosti, per cui sono ammesse in tal senso alcune licenze. Sul
pedale di tonica e di dominante sono spesso utilizzate anche le modulazioni ai toni vicini.

116
La progressione discendente con modello I-V

Affrontiamo ora un nuovo modello di progressione, assai utilizzato in epoca barocca (Co-
relli, Pachelbel e altri). Esso prevede il modello I-V e viene normalmente utilizzato nella so-
la versione discendente e nel solo modo maggiore. Il modello viene trasposto una terza
sotto. È possibile la versione con accordi allo stato fondamentale, dove il basso procede
per quarte discendenti alternate a seconde ascendenti ed il soprano procede sempre con
una scala discendente, a partire dalla posizione melodica di terza o di ottava sul primo ac-
cordo (meglio evitare quella di quinta). Si ha anche la versione che alterna stato fonda-
mentale e primo rivolto (5 6) ed in tal caso il basso sarà un frammento di scala discenden-
te, come pure il soprano che procede parallelamente con esso, alla terza superiore.

Tipico di questo modello di progressione è l’utilizzo dei ritardi (9-8 e 4-3 alternati). Il primo
ritardo 9-8 nel modello può essere omesso qualora non si riesca a prepararlo.

Sono utilizzate pure le note di passaggio al basso, possibili anche assieme ai ritardi.

La progressione con modello I-IV e trasposizione alla terza superiore


In questa progressione ascendente si ha il basso della precedente invertito, ossia con
quarte ascendenti alternate a seconde discendenti. È possibile nel modo maggiore e con
qualche cautela anche nel modo minore (evitare salti di seconda eccedente al soprano). Si
ha, oltre alla versione descritta con solo accordi allo stato fondamentale, anche quella che
alterna primo rivolto e stato fondamentale (6 5) ed in tal caso il basso è un frammento di
scala ascendente. Sono pure possibili varie figurazioni melodiche ornamentali.

117
Le progressioni con modelli aventi più di due accordi
Queste progressioni, aventi modello con tre o quattro accordi, fanno solitamente uso di ac-
cordi per terze discendenti. Tali modelli possono essere trasposti sia alla seconda superio-
re (progressioni ascendenti) che inferiore (progressioni discendenti). Sono solitamente uti-
lizzate al solo stato fondamentale, ma sono possibili varie figurazioni melodiche. La versio-
ne ascendente si usa nel modo maggiore, mentre quella discendente in entrambi i modi.

Movimenti melodici che richiedono l’utilizzo dei ritardi

Tutti i casi in cui nel basso o nel canto viene a mancare un movimento ritmico accentato e
la nota seguente si trova una seconda sotto, richiedono normalmente il ricorso ai ritardi, da
praticarsi in quella stessa parte. Perciò le legature di valore che prolungano un suono sul
movimento accentato successivo, le sincopi ed i punti di valore vengono normalmente ar-
monizzati come ritardi, se la nota seguente sta una seconda sotto. I ritardi costituiscono
inoltre una risorsa preziosa in quanto consentono di dare il necessario movimento ritmico
a tutte le pulsazioni, anche quando il basso o il canto dato durano più di una pulsazione.

118
Esercizi
Si realizzino a parti strette i seguenti bassi.

119
Si realizzino a parti late le seguenti melodie.

120
Appunti

Esempi

121
Capitolo XV

Gli accordi consonanti, dissonanti naturali e dissonanti artificiali


Abbiamo già visto, a pagina 48, come su ogni grado delle scale maggiori e minori sia pos-
sibile costruire, oltre ad una triade, anche un accordo di quattro suoni, generato dalla so-
vrapposizione di più intervalli di terza. In quell’occasione avevamo definito tali accordi co-
me quadriadi o accordi di settima, e fra tali settime avevamo iniziato ad utilizzare la più im-
portante, ossia quella di dominante. Lo stesso approccio può essere utilizzato per gli ac-
cordi di cinque suoni, talvolta definiti come quintiadi, ma assai più frequentemente come
accordi di nona: su ogni grado delle scale maggiori e minore (solitamente armonica) è
possibile costruire un accordo di cinque suoni generato dalla sovrapposizione di intervalli
di terze e definito come accordo di nona. Fra tutti questi, quello costruito sul quinto grado,
definito come nona di dominante, è il più importante.

Esistono poi accordi di sei e sette suoni (costruiti sempre tramite sovrapposizioni di terze),
detti rispettivamente accordi di undicesima e di tredicesima, che studieremo in seguito.
Volendo ora definire quali accordi sono consonanti e quali dissonanti, occorre che:

Solo le triadi maggiori e minori sono consonanti. Le triadi eccedenti e diminuite, co-
me pure tutti gli accordi costruiti con più di tre suoni, sono considerati dissonanti.

Fra gli accordi dissonanti occorre inoltre distinguere tra accordi dissonanti naturali e accor-
di dissonanti artificiali. Gli accordi dissonanti artificiali sono più duri di quelli dissonanti na-
turali: mentre questi ultimi possono essere dati di colpo, gli accordi dissonanti artificiali ri-
chiedono la preparazione del suono dissonante, ossia della settima o della nona, tramite la
tecnica del ritardo. Tali suoni di settima o di nona debbono cioè essere fatti sentire come
consonanze nella stessa voce e nell’accordo precedente. Come si può vedere dall’esem-
pio seguente, mentre la settima di dominante viene data di colpo, cioè senza alcuna pre-
parazione, la settima sul secondo grado deve essere preparata nell’accordo precedente.
La differenza di trattamento è dovuta al fatto che la settima di dominante è un accordo dis-
sonante naturale, mentre la settima sul secondo grado è un accordo dissonante artificiale.

Come mostrato nell’esempio, la tecnica della preparazione utilizzata per le settime artifi-
ciali (e ciò vale anche per le none artificiali) è uguale a quella del ritardo. Si hanno infatti le
tipiche tre fasi: preparazione (data come consonanze nella stessa voce e nell’accordo pre-
cedente) sul tempo debole, percussione della dissonanza artificiale (settima o nona) sul
tempo forte, risoluzione discendente per grado congiunto sul tempo debole successivo.

122
Gli accordi dissonanti naturali sono: le triadi eccedente e diminuita, la settima di do-
minante, la settima di sensibile (costruita sul settimo grado dei due modi) e la nona
di dominante. Tali accordi possono essere dati senza alcuna preparazione. Tutte i
restanti accordi di settima e di nona sono dissonanti artificiali e devono pertanto es-
sere dati con la preparazione della settima e della nona, fatte sentire come conso-
nanze nell’accordo precedente e nelle stesse voci.

Tutte gli accordi di settima e di nona, sia quelli naturali che quelli artificiali, richiedo-
no comunque la risoluzione discendente e per grado congiunto dei suoni che costi-
tuiscono la settima o la nona. Tale obbligo a far sempre scendere di grado qualsiasi
suono di settima o di nona vale per tutte le parti, comprese quelle interne.

Il suono di risoluzione deve essere consonante, ma l’accordo che lo contiene può anche
essere dissonante. Come si vede nell’esempio precedente, la settima del II7, ossia il suo-
no Do, risolve scendendo al Si, che è la terza dell’accordo, ossia una consonanza, anche
se l’accordo che contiene tale suono di risoluzione, essendo un V7, è dissonante.

Qualsiasi suono di settima o di nona, sia in accordi dissonanti naturali che artifi-
ciali, in quanto suono a risoluzione obbligata, non può mai essere raddoppiato.

Già nel cinquecento, ossia all’epoca della polifonia vocale rinascimentale, venivano utiliz-
zati (sia pur raramente) gli accordi di settima e di nona, ma in tale stile essi venivano tutti
indistintamente trattati come dissonanze artificiali, ossia venivano impiegati solo con la
preparazione delle dissonanze. Fu Monteverdi che primo impiegò la settima di dominante
come accordo dissonante naturale, ossia senza preparazione. Egli iniziò per primo, con
una frequenza fino ad allora sconosciuta, ad utilizzare anche le settime artificiali, pratican-
done sempre la preparazione. In epoca tonale, fino a tutto l’ottocento, tale rimase l’utilizzo
delle settime e delle none. Con Debussy e poi con altri compositori impressionisti e neo-
classici, tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, ebbe inizio il libero utilizzo di qual-
siasi accordo di settima e di nona, come pure l’impiego di nuovi accordi e nuovi modelli di
scale diatoniche: a tal punto però, l’armonia non fu più funzionale, e per quanto ancora
diatoniche, le composizioni di tali autori non utilizzarono più le funzioni tonali dell’armonia.

Gli accordi aventi la funzione tonale di antagonisti della tonica


Gli accordi aventi la funzione tonale di antagonista della tonica sono i cinque seguenti:

1) la triade di dominante,
2) la triade di sensibile,
3) la settima di dominante,
4) la settima di sensibile,
5) la nona di dominante.

I cinque accordi citati mantengono le loro peculiarità; per esempio la triade di dominante è
consonante, mentre gli altri accordi del gruppo sono tutti dissonanti naturali. Nondimeno
questi cinque accordi hanno tutti la stessa funzione tonale: contengono tutti la sensibile e
sono tutti accordi di tensione, che normalmente risolvono a tonica. Esaminando l’accordo
di nona di dominante, si può notare che esso “contiene” tutti gli accordi antagonisti della
tonica e che tali accordi derivano dalla successione dei suoni armonici della dominante.

123
Nell’esempio seguente, mostriamo proprio tale concetto, ossia la derivazione di tutti gli ac-
cordi antagonisti della tonica dalla successione delle armoniche di dominante.

Ad eccezione della triade di dominante, tutti gli accordi antagonisti della tonica contengono
Il tritono, ossia la coppia sensibile-controsensibile, che rafforza la loro funzione tonale. Ad
eccezione della triade di dominante, che è consonante, tutti questi accordi sono dissonanti
naturali e non richiedono la preparazione delle dissonanze. Richiedono però che la sensi-
bile risolva salendo di grado (tale obbligo vale spesso solo per le parti estreme e per quel-
la superiore in particolar modo) e che la settima e la nona risolvano scendendo per grado
congiunto (in qualsiasi parte). Sensibile, settime e nona non possono mai essere raddop-
piate. Tutti questi accordi, con la sola eccezione della cadenza d’inganno (V-VI o V7-VI),
risolvono normalmente sulla tonica, determinando la successione tensione-riposo.

In conclusione possiamo affermare che gli accordi definiti come dissonanti naturali sono
tali per due motivi: la loro comune derivazione dagli ipertoni della dominante e la loro co-
mune funzione tonale di antagonisti della tonica. La derivazione dai primi armonici della
dominante fa sì che tali dissonanze siano alquanto lievi, mentre la funzione di antagonista
della tonica è talmente rilevante da un punto di vista tonale da far sì che tali accordi possa-
no essere dati senza alcuna preparazione delle dissonanze. Non di rado, nei trattati di ar-
monia, si descrive, per esempio, la settima di sensibile come una nona di dominante sen-
za fondamentale. Ma possiamo definire anche la triade di sensibile come una settima di
dominante senza la fondamentale: ne è prova il fatto che la controsensibile contenuta nel-
la triade diminuita funziona solitamente come se si trattasse di una settima di dominante,
ossia tende a scendere di grado. Il concetto da comprendere è cioè quello per cui i suoni
che costituiscono questi cinque accordi si comportano sempre nello stesso modo, indipen-
dentemente dall’accordo in cui si trovano: in Do maggiore, ad esempio, il Si (che è la sen-
sibile) tende sempre a risolvere salendo di grado, mentre il Fa ed il La tendono sempre a
scendere di grado, ed il tutto avviene indipendentemente da quale dei cinque accordi anta-
gonisti della tonica il Si, il Fa ed il La si trovino.

La settima di sensibile
La settima di sensibile è una quadriade costruita sul settimo grado della scala maggiore e
di quella minore armonica. Nel modo maggiore si ha un accordo formato da una triade di-
minuita cui viene aggiunta una settima minore (si ha cioè un accordo classificato come
settima di terza specie). Nel modo minore (scala armonica) si ha invece una triade diminu-
ita cui viene aggiunta una settima diminuita (ossia una settima di quinta specie, detta setti-
ma diminuita). Ricordiamo che la settima di dominante, come già detto, è un accordo clas-
sificato in entrambi i modi come settima di prima specie (nel prossimo capitolo affrontere-
mo la classificazione sistematica delle altre settime). La settima di sensibile consta perciò
di due accordi, morfologicamente diversi a seconda del modo. Ciò nonostante, le loro
funzioni tonali ed il loro trattamento sono simili: si tratta sempre, in entrambi i modi, di ac-

124
cordi aventi la funzione tonale di antagonisti della tonica, classificati come dissonanti natu-
rali, e che non richiedono (salvo particolari eccezioni) la preparazione della settima.

La settima di sensibile viene praticata sia allo stato fondamentale che nei suoi tre ri-
volti, si usa solo nella forma completa (senza omissioni ne raddoppi) ed ha tre suoni
a risoluzione obbligata. La sensibile che deve sempre salire a tonica (anche nelle
parti interne, in questo caso), la quinta diminuita, ossia la controsensibile, che deve
sempre scendere di grado congiunto e la settima, la quale anch’essa deve essere
fatta scendere di grado congiunto. La terza dell’accordo è l’unico suono libero, che
potrà salire o scendere a seconda dei casi. Nei rivolti può accadere che la settima si
trovi sotto alla fondamentale (ossia sotto alla sensibile), ed in tal caso è obbligatorio
preparare la settima, ma tale obbligo vale solo nel modo maggiore, dove si ha la
settima di terza specie e non nel modo minore dove si ha la settima diminuita.

La settima di sensibile risolve normalmente sull’accordo di tonica (in stato fonda-


mentale o rivoltato, a seconda dei casi). È possibile (e nel caso del terzo rivolto ob-
bligatoria) la risoluzione anticipata, che consiste nel far scendere la settima mante-
nendo fermi gli altri tre suoni: la settima di sensibile si trasforma così in una settima
di dominante (la quale risolverà poi a tonica). In tal caso la settima di sensibile deve
trovarsi sul tempo forte, altrimenti, dato che la settima di sensibile e quella di domi-
nante hanno la stessa funzione tonale, si avrebbe la sincope d’armonia.

La settima di sensibile in stato fondamentale: VII7


Data sul VII grado della scala che risolve sulla tonica in stato fondamentale. La fondamen-
tale deve salire, la quinta e la settima devono scendere. La terza può scendere solo se
non si producono le quinte, altrimenti deve salire, causando il raddoppio della terza sull’ac-
cordo di tonica. È inoltre possibile risolvere in anticipo la settima, facendo trasformare la
settima di sensibile in un settima di dominante in primo rivolto. Per poter praticare la risolu-
zione anticipata occorre che la settima di sensibile si trovi sul tempo forte.

La settima di sensibile in primo rivolto: VII56


Data sul II grado della scala che risolve sulla tonica in stato di primo rivolto. Nel solo modo
maggiore, qualora la settima si trovi sotto alla sensibile, occorre prepararla. La fondamen-
tale e la terza devono salire, mentre la quinta e la settima devono scendere. Si ha perciò
sempre un raddoppio della terza sull’accordo di tonica. È inoltre possibile risolvere in
anticipo la settima, facendo trasformare la settima di sensibile in un settima di dominante
in secondo rivolto. Per poter praticare la risoluzione anticipata occorre che la settima di
sensibile si trovi sul tempo forte (altrimenti si avrebbe la sincope d’armonia).

125
La settima di sensibile in secondo rivolto: VII34
Data sul IV grado della scala che risolve sulla tonica in stato di primo rivolto. Nel solo mo-
do maggiore, qualora la settima si trovi sotto alla sensibile, occorre prepararla. La fonda-
mentale deve salire, la quinta e la settima devono scendere. La terza può scendere solo
se non si producono le quinte, altrimenti deve salire, causando il raddoppio della terza
sull’accordo di tonica. È inoltre possibile risolvere in anticipo la settima, facendo trasforma-
re la settima di sensibile in un settima di dominante in terzo rivolto. Per poter praticare la
risoluzione anticipata occorre che la settima di sensibile si trovi sul tempo forte.

La settima di sensibile in terzo rivolto: VII24

Data sul VI grado della scala che risolve sulla dominante in stato fondamentale. Siccome
la risoluzione naturale avverrebbe su un accordo di tonica in quarta e sesta, è possibile
solo quella anticipata, che consiste nel far scendere il basso sulla dominante mantenendo
ferme la fondamentale e la terza dell’accordo. La quinta diminuita può anch’essa restare
ferma oppure salire di grado: nel primo caso la settima di sensibile si trasforma in una set-
tima di dominante, nel secondo caso essa si trasforma in una triade di dominante. La setti-
ma di sensibile in secondo rivolto deve sempre essere data sul tempo forte e, nel solo mo-
do maggiore, occorre pure preparare la settima. In pratica la settima di sensibile in secon-
do rivolto coincide con un ritardo al basso della fondamentale di una settima di dominante.

126
Gli altri utilizzi della settima diminuita

La settima di sensibile costruita sul settimo grado delle tonalità minori, come già detto,
prende anche il nome di settima diminuita. Questo accordo dal carattere drammatico è as-
sai importante da un punto di vista del linguaggio tonale, e, oltre al suo utilizzo naturale co-
me settima di sensibile del modo minore, ne ha alcuni altri, che esponiamo di seguito.

La settima diminuita può essere impiegata anche nel modo maggiore, utilizzando un
modello di scala maggiore artificiale, avente il sesto grado abbassato. Tale scala,
nel suo tetracordo superiore, è identica alla scala minore armonica e può pertanto
essere definita come scala maggiore armonica (il modo viene invece definito semi-
maggiore). La settima di sensibile di tale scala è una settima diminuita ed il suo trat-
tamento è in tutto e per tutto uguale a quello praticato nel modo minore.

La settima diminuita può inoltre essere utilizzata per armonizzare il quarto grado al-
terato, ossia il quarto grado al basso, innalzato di semitono e coincidente con la
sensibile della dominante. Si ha così una tonicizzazione della dominante in cui la
sensibile della dominante stessa viene definita come quarto grado alterato: tale
suono al basso (indicato con IV barrato) viene spesso armonizzato con una settima
diminuita. Nel modo maggiore si ha cioè un utilizzo temporaneo della scala maggio-
re armonica della dominante (esempio in Do maggiore: il quarto grado alterato è il
Fa# al basso, armonizzato con Fa#-La-Do-Mib, settima diminuita costruita sulla sca-
la maggiore armonica di Sol maggiore, ossia un Sol maggiore col Mib). Nel modo
minore, la scala della regione della dominante è invece una scala minore armonica,
dove il sesto grado è già naturalmente abbassato (esempio in La minore: il quarto
grado alterato è il Re# al basso, armonizzato con Re#-Fa#-La-Do, settima diminuita
naturalmente costruita sulla scala di Mi minore armonica, che è la scala della tonali-
tà della dominante, ossia della regione tonale da tonicizzare. Il quarto grado alterato
può anche essere armonizzato senza settima diminuita, ricorrendo alla dominante
della dominante, usando cioè semplicemente 6 o 56: tale soluzione è però più rara.

127
La nona di dominante

La nona di dominante è un accordo di cinque suoni costruito sulla dominante della scala
maggiore e di quella minore armonica. Nel modo maggiore si ha un accordo formato da
una settima di dominante cui viene aggiunta una nona maggiore. Nel modo minore si ha
un accordo formato da una settima di dominante cui viene aggiunta una nona minore. La
nona di dominante consta perciò di due accordi, morfologicamente diversi a seconda del
modo. Ciò nonostante, le loro funzioni tonali ed il loro trattamento sono simili: si tratta sem-
pre di accordi antagonisti della tonica, classificati come dissonanti naturali, e che non ri-
chiedono (salvo particolari eccezioni) la preparazione né della settima, né della nona.

La nona di dominante viene praticata sia allo stato fondamentale che nei primi tre ri-
volti. Nella scrittura a quattro voci si omette solitamente la quinta (molto raramente
si omette invece la terza). Nel secondo rivolto, dato che la quinta sta al basso, si o-
mette invece settima. La nona deve sempre trovarsi sopra alla fondamentale e a dis-
tanza minima di nona da essa, ragione per cui il quarto rivolto non è praticabile. Si
hanno pertanto quattro suoni: fondamentale, terza (che è la sensibile), settima e no-
na. La fondamentale, se si trova al basso procede alla tonica, se si trova in una par-
te superiore rimane ferma (moto obliquo). I restanti tre suoni sono gli stessi a riso-
luzione obbligata della settima di sensibile: la sensibile che deve sempre salire a to-
nica (anche nelle parti interne, in questo caso), la settima, ossia la controsensibile,
che deve sempre scendere di grado congiunto e la nona, la quale anch’essa deve
sempre essere fatta scendere di grado congiunto. La quinta, presente solo nel se-
condo rivolto, ossia al basso, sale di grado congiunto. La nona maggiore, qualora
venga a trovarsi sotto alla sensibile deve essere preparata (sono gli stessi due suo-
ni che nella settima di sensibile del modo maggiore hanno uguale trattamento).

La nona di dominante risolve normalmente sull’accordo di tonica (in stato fonda-


mentale o rivoltato, a seconda dei casi). Possibile anche la risoluzione anticipata, fa-
cendo scendere la nona mantenendo fermi gli altri suoni: la nona di dominante si
trasforma così in una settima di dominante (che risolverà poi a tonica). In tal caso la
nona di dominante deve trovarsi sul tempo forte, altrimenti, dato che nona e settima
di dominante hanno la stessa funzione tonale, si avrebbe la sincope d’armonia.

La nona di dominante in stato fondamentale: V79


Data sul V grado della scala che risolve sulla tonica in stato fondamentale. La terza deve
salire, la settima e la nona devono scendere. Nella sola nona maggiore, se la nona è pos-
ta sotto alla sensibile, deve essere preparata. È inoltre possibile risolvere in anticipo la no-
na, facendo trasformare la nona di dominante in un settima di dominante. Per poter prati-
care la risoluzione anticipata occorre che la nona di dominante si trovi sul tempo forte.

128
La nona di dominante in primo rivolto: V657

Data sul VII grado della scala che risolve sulla tonica in stato fondamentale. La terza deve
salire, la settima e la nona devono scendere. Quando la nona di dominante si trova sul
tempo forte, è anche possibile risolvere in anticipo la nona, facendo così trasformare la
nona di dominante in un settima di dominante in primo rivolto.

La nona di dominante in secondo rivolto: V465


Data sul II grado della scala che risolve sulla tonica in stato di primo rivolto. Poco utilizzato
a quattro voci, per l’assenza della settima (omessa in luogo della quinta, che sta al basso),
il secondo rivolto è molto migliore a cinque parti, con l’accordo completo. La terza deve sa-
lire, la nona deve scendere. È in teoria praticabile, ma di scarso effetto, la risoluzione anti-
cipata della nona, facendo trasformare l’accordo in una dominante in secondo rivolto.

La nona di dominante in terzo rivolto: V243


Data sul IV grado della scala che risolve sulla tonica in stato di primo rivolto. La terza deve
salire, la settima e la nona devono scendere. Quando la nona di dominante si trova sul
tempo forte, è anche possibile risolvere in anticipo la nona, facendo così trasformare la
nona di dominante in un settima di dominante in secondo rivolto.

129
L’utilizzo della nona di dominante minore nel modo maggiore

Così come la settima diminuita, anche la nona di dominante minore può essere utilizzata
nel modo maggiore, ricorrendo alla scala maggiore armonica. Fu praticata già da Bach.

Le risoluzioni particolari degli accordi dissonanti naturali


Come si è detto la settima di dominante risolve naturalmente a tonica (o sul VI grado, in
cadenza d’inganno). Vi è inoltre la possibilità di una risoluzione evitata, in cui la settima di
dominante risolve su un’altra settima di dominante, del tono una quinta sotto (su tale pro-
cedimento, come vedremo nel capitolo XVIII, è possibile costruire delle progressioni mo-
dulanti). È anche possibile avere la risoluzione sospesa alla dominante in cui la settima di
dominante risolve sulla tonica in secondo rivolto, per poi approdare ad una semplice triade
di dominante. Si definisce invece ritardata quella risoluzione per cui la settima procede su
altri suoni dell’accordo, anche tramite suoni di passaggio, prima di risolvere.

L’accordo di settima diminuita può offrire grandi possibilità di risoluzioni evitate: dato che
nel sistema temperato ne esistono solo tre, col gioco dell’enarmonia (cambio di nome dei
suoni) è possibile considerare sensibile ognuno dei quattro suoni che la compongono. Tali
procedimenti (trattati nel capitolo XVIII) comportano modulazioni ai toni lontani. I cambi di
posizione e gli scambi di suoni offrono inoltre la possibilità di ritardare la risoluzione.

Anche la nona di dominante può essere risolta in modo evitato, sulla settima di dominante
del tono una quinta sotto, dando luogo a modulazioni. Nell’esempio seguente si ha una

130
progressione modulante che alterna none e settime di dominante. È inoltre possibile una
risoluzione sospesa alla dominante, che passa attraverso l’uso della quarta e sesta caden-
zale. Sempre possibili sono ovviamente i cambi di posizione e le risoluzioni ritardate.

Esercizi

Si realizzino a parti strette i seguenti bassi. Le note indicate con * dovranno essere armo-
nizzate con una settima di sensibile, quelle indicate con ** dovranno essere armonizzate
con una nona di dominante. Tali accordi potranno anche essere in stato di rivolto.

131
Si realizzino a parti late le seguenti melodie, cercando di utilizzare anche le settime di
sensibile e le none di dominante.

132
Appunti

Esempi

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Capitolo XVI

La classificazione degli accordi di settima


Gli accordi di settima costruiti sulla scala maggiore e su quella minore armonica (oltre che
su quella naturale) sono classificati, in base ai loro rapporti intervallari, in sette specie. Uti-
lizzando la scala minore melodica, sono possibili anche altri accordi di settima (per esem-
pio la prima specie sul IV grado della scala minore melodica), che studieremo in seguito.

I specie: triade maggiore con settima minore.


Detta settima di dominante, è un accordo dissonante naturale, costruito sul V grado sia
della scala maggiore che della scala minore armonica (oltre che melodica ascendente).

II specie: triade minore con settima minore.


È un accordo dissonante artificiale, costruito sui gradi II, III e VI della scala maggiore, sul
IV grado della scala minore armonica e sul I grado della scala minore naturale.

III specie: triade diminuita con settima minore.


Detta settima di sensibile, è una accordo dissonante naturale, costruito sul VII grado della
scala maggiore. Si trova pure sul II grado del modo minore, ma in tale contesto, non si
definisce come settima di sensibile ed è considerato un accordo dissonante artificiale.

IV specie: triade maggiore con settima maggiore.


È un accordo dissonante artificiale, costruito sui gradi I e IV della scala maggiore, sul VI
grado della scala minore armonica e sul III grado della scala minore naturale.

V specie: triade diminuita con settima diminuita.


Detta settima diminuita, è una accordo dissonante naturale, costruito sul VII grado della
scala minore armonica. È anche la settima di sensibile del modo minore.

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VI specie: triade minore con settima maggiore.
È un accordo dissonante artificiale, costruito sul I grado della scala minore armonica (o
melodica ascendente). Questo accordo è raramente utilizzato.

VII specie: triade eccedente con settima maggiore.


È un accordo dissonante artificiale, costruito sul III grado della scala minore armonica (o
melodica ascendente). Questo accordo è raramente utilizzato.

La sintassi armonica degli accordi di settima


Affrontiamo ora l’argomento di quali siano, in generale, gli accordi su cui risolvono le setti-
me. Posto che ciò è indipendente dallo stato degli accordi, abbiamo che:

Gli accordi di settima risolvono normalmente su accordi la cui fondamentale si tro-


va una quarta sopra (o una quinta sotto, ovviamente). Fanno eccezione le settime
costruite sul IV e sul VII grado, le quali risolvono normalmente su accordi la cui fon-
damentale si trova una seconda sopra. La settima di dominante, oltre che sulla toni-
ca, può anche risolvere sul VI grado, in cadenza d’inganno.

In aggiunta a ciò si deve menzionare il fatto che sono sempre possibili, anche se più rare,
le risoluzioni particolari delle settime, per esempio quelle modulanti, già affrontate a propo-
sito degli accordi dissonanti naturali appartenenti al gruppo degli antagonisti della tonica.
Come si è detto la sintassi armonica non dipende dallo stato dell’accordo (fatte salve alcu-
ne rare eccezioni, che vedremo): per esempio, la settima artificiale costruita sul II grado ri-
solve sempre su un accordo la cui fondamentale si trova una quarta sopra, ossia sulla do-
minante, e ciò avviene indipendentemente dallo stato in cui si trova tale settima costruita
sul II grado. L’accordo di risoluzione dovrà piuttosto trovarsi in un rivolto piuttosto che in un
altro, a seconda dello stato in cui la settima è disposta. Schematizzando, abbiamo che:

1) Settime in stato di primo rivolto (56): si utilizzano su basso che sale di grado
congiunto (tranne IV56, che si utilizza su basso che scende di grado congiunto).
2) Settime in stato di secondo rivolto (34): si utilizzano su basso che scende di gra-
do congiunto (tranne V34 e VI34 le quali si utilizzano su basso che può sia salire
che scendere di grado congiunto).
3) Settime in stato di terzo rivolto (24): si utilizzano sempre su basso che scende di
grado congiunto.

Seguendo tali indicazioni si vedrà che le settime risolvono sempre su accordi la cui
fondamentale si trova una quarta sopra, tranne le settime sul IV e sul VII le quali risolvono
invece su accordi la cui fondamentale si trova una seconda sopra. Ciò deriva dal fatto che
il IV grado determina un’armonia di sottodominante, che deve risolvere sulla dominante,
mentre il VII determina un’armonia di dominante, che deve risolvere a tonica.

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Gli accordi aventi la funzione tonale di controdominante

Gli accordi aventi la funzione tonale controdominante sono i cinque seguenti:

1) la triade costruita sul II grado,


2) la triade di sottodominante,
3) la settima costruita sul II grado,
4) la settima costruita sulla sottodominante,
5) la nona costruita sul II grado.

Tutti questi accordi hanno la funzione di controdominante, secondo il significato già chiari-
to nel capitolo dedicato alla sintassi armonica (pagina 54 e seguenti). Il termine controdo-
minante (che è un sinonimo di sottodominante) indica un grado della scala (il IV) ed un ac-
cordo che sta contro la dominante, ossia, nel circolo delle quinte, dalla parte opposta ad
essa, con la tonica posta al centro fra di loro (in Do maggiore: FA-DO-SOL). La funzione
tonale della controdominante, in armonia tonale è quella di avere un livello moderato di
tensione e di procedere normalmente alla dominante, accrescendo tale tensione. Gli ac-
cordi aventi la funzione tonale di controdominante procedono perciò normalmente sulla
dominante, che è il principale degli accordi aventi la funzione tonale di antagonisti della to-
nica. Il gruppo della controdominante è tra l’altro costruito nello stesso modo del gruppo
degli antagonisti della tonica: mentre il gruppo degli antagonisti della tonica era concettual-
mente contenuto nella nona di dominante, il gruppo della controdominante è concettual-
mente contenuto nella nona costruita sul II grado.

Le triadi costruite sul II e sul IV grado sono consonanti, le settime costruite sul II e
sul IV grado sono dissonanti artificiali e richiedono perciò la preparazione della set-
tima. La nona costruita sul II grado è anch’essa un accordo dissonante artificiale e
richiede pertanto la preparazione sia della settima che della nona. Tutti gli accordi a-
venti la funzione tonale di controdominante risolvono sulla dominante. La triade di
sottodominante può tuttavia risolvere anche sulla tonica (cadenza plagale).

Oltre alle triadi costruite sul II e sul IV grado è relativamente frequente l’utilizzo della
settima costruita sul secondo grado, sia in stato fondamentale che in primo rivolto.
Meno frequente è invece l’utilizzo della settima costruita sulla sottodominante, ed
ancor più raro è l’utilizzo della nona costruita sul II grado.

Il trattamento delle settime artificiali

Le settime artificiali, ossia tutte, tranne quella di dominante e di sensibile, richiedono, co-
me già detto, la preparazione della settima. Tale preparazione viene effettuata con la tec-
nica del ritardo: preparazione consonante sul tempo debole e nella stessa voce, percus-
sione dissonante della settima sul tempo forte, risoluzione consonante, scendendo di gra-
do congiunto, sul tempo debole successivo. Da ciò deriva il fatto che le settime artificiali, le
quali anche storicamente derivano dal ritardo, vengono solitamente impiegate sul tempo
forte. Solo nelle progressioni di settime (trattate nel paragrafo a fine capitolo) si hanno le

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settime artificiali anche sui tempi deboli. La preparazione, come di consueto, deve durare
almeno quanto la percussione della settima, eccetto che nel ritmo ternario, dove la prepa-
razione può durare anche la metà del valore della settima.

Solitamente le settime artificiali vengono date complete, senza raddoppi ne omissioni, an-
che se talvolta è necessario utilizzare la forma incompleta, ossia omettendo la quinta e
raddoppiando la fondamentale. Per quanto riguarda il moto delle parti non vi sono proble-
mi particolari per tutte quelle settime la cui fondamentale di risoluzione si trova una quarta
sopra. Si pone invece spesso il problema delle quinte per tutte quelle settime il cui accordo
di risoluzione ha la fondamentale una seconda sopra, ossia la settima artificiale costruita
sul IV grado e quella (naturale) di sensibile. Le quinte possono avvenire quando la terza
dell’accordo si trova sotto alla settima, in rapporto di quinta con essa. Dato che la settima
scende di grado, se facessimo scendere di grado anche la terza, avremmo come risultato
le quinte dirette. A tale problema, trattando la settima di sensibile, fu posta la risoluzione di
far salire la terza dell’accordo di settima, ottenendo così il raddoppio della terza
sull’accordo di tonica. Tale soluzione non è però praticabile nel caso della settima costruita
sul IV grado, dato che il suo accordo di risoluzione, essendo la dominante, porta come ter-
za dell’accordo la sensibile, che non può essere raddoppiata. Si ha perciò che:

Nel collegamento IV7-V, se la terza si trova sotto alla settima, in rapporto di quinta
con essa, la settima scenderà di grado sulla quinta dell’accordo di dominante men-
tre la terza dell’accordo di settima scenderà anch’essa sulla quinta, raddoppiandola.
Tale soluzione, comunemente adottata nei corali bachiani, ha come alternativa
(meno comune) quella di far risolvere l’accordo sulla settima di dominante (IV7-V7).

Lo stilema II56-V
Questo stilema, molto utilizzato nei corali di Bach, consente di armonizzare il basso di sot-
todominante che sale alla dominante ed il canto di sopratonica (della durata di due movi-
menti) che scende alla tonica, in chiusura di frase. La settima artificiale costruita sul se-
condo grado ed utilizzata in primo rivolto costituisce una validissima alternativa alle armo-
nizzazioni fin qui utilizzate, che erano IV-V o II6-V. L’accordo II56 contiene di fatto sia i
suoni del IV che del II6 e l’armonia di controdominante ne risulta perciò rafforzata. Spesso,
nello stilema, la dominante viene utilizzata da Bach con l’ausilio della settima di passaggio.

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Le settime artificiali costruite sul I grado dei due modi

È una settima di quarta specie nel modo maggiore e di seconda specie nel modo minore
con scala naturale o melodica discendente. La settima di sesta specie costruita sul I grado
delle scale minori armonica o melodica ascendente, ha funzioni tonali particolari, e sarà
pertanto trattata nel prossimo capitolo. La settima costruita sul I grado si collega all’accor-
do del IV grado in stato fondamentale, ad eccezione del terzo rivolto che si collega all’ac-
cordo del IV grado in primo rivolto. L’accordo di settima costruito sul I grado non ha la fun-
zione tonale di tonica, dato che la settima conferisce all’accordo un carattere di tensione.

Le settime artificiali costruite sul II grado dei due modi


È una settima di seconda specie nel modo maggiore e di terza specie nel modo minore.
La settima artificiale sul II grado si collega all’accordo del V grado in stato fondamentale,
ad eccezione del terzo rivolto che si collega all’accordo del V grado in primo rivolto. La set-
tima sul secondo grado del modo minore, pur essendo identica ad una settima di sensibile
del modo maggiore (terza specie), è in realtà una settima artificiale: la sua preparazione è
perciò normale, ma non sempre obbligatoria. La preparazione della settima data sul II gra-
do del modo minore è comunque consigliabile almeno nello stile barocco, mentre è sicura-
mente obbligatoria in tutti quei casi in cui la settima si trova sotto alla fondamentale.

Dato che l’accordo di risoluzione è la dominante, è anche possibile che la risoluzione av-
venga sulla settima o sulla nona di dominante, utilizzando il moto obliquo. Allo stesso mo-
do, dato che col terzo rivolto occorre far scendere la settima sul VII grado al basso, è pos-
sibile che la settima costruita sul II grado posta in terzo rivolto risolva sulla settima di sen-
sibile. Il fatto che un accordo dissonante risolva su un altro accordo dissonante, non deve
preoccupare: ciò che conta è infatti che il suono di risoluzione sia consonante nel nuovo
accordo, ossia rispetto alla sua fondamentale. Unico caso quanto meno dubbio è quello
che si ha alle misure 4 e 12 dell’esempio seguente: in tal caso il suono di risoluzione risul-
ta sì consonante con la fondamentale dell’accordo di risoluzione, ma non col basso, col
quale si trova in rapporto di quarta eccedente. Dato che gli intervalli armonici, fin dall’epo-
ca del contrappunto vocale rinascimentale, hanno rilievo soprattutto come rapporti fra le
parti superiori ed il basso, risulta preferibile la soluzione proposta dopo, consistente nel ri-
solvere sulla triade di dominante, per poi dare eventualmente la settima di passaggio.
Schematizzando, la norma che possiamo proporre è pertanto la seguente:
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Le settime (e le dissonanze in genere) possono sempre risolvere su un accordo dis-
sonante a condizione che il suono di risoluzione sia consonante rispetto alla fonda-
mentale dell’accordo di cui fa parte. È inoltre preferibile, sia pur con qualche ecce-
zione, che il suono di risoluzione sia consonante anche rispetto al basso.

I seguenti esempi mostrano la settima artificiale costruita sul II grado che risolve sulla set-
tima di dominante, sulla nona di dominante e sulla settima di sensibile.

Le settime artificiali costruite sul III grado dei due modi


È una settima di seconda specie nel modo maggiore e di quarta specie nel modo minore
con scala naturale o melodica discendente. La settima di settima specie costruita sul III
grado del modo minore armonico o melodico ascendente, ha funzioni tonali particolari, e
sarà pertanto trattata nel prossimo capitolo. La settima costruita sul III grado si collega
all’accordo del VI grado in stato fondamentale, ad eccezione del terzo rivolto che si collega
all’accordo del VI grado in primo rivolto. Questo accordo di settima è raramente utilizzato.

Le settime costruite sul III grado, tanto nel modo maggiore quanto nel minore, essendo
poste su un grado debole, possono allentare il senso tonale, cosa che accade peraltro an-
che utilizzando la semplice triade del III grado, data senza settima. Per tale motivo, esse
non hanno in armonia classica un uso quantitativamente rilevante. Nello stile tonale, è be-
ne far precedere, ma soprattutto seguire le concatenazioni sopra esposte da gradi forti,
che riportino la tonalità in uso al centro del discorso. Negli esempi seguenti è la cadenza
mista, con basso IV-V-I a rivestire tale importante ruolo: il risultato che si ottiene da un
punto di vista tonale è in tal modo accettabile, anche se permane sempre un certo caratte-
re modale che con le settime artificiali sconfina facilmente nei canoni della musica leggera.

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Le settime artificiali costruite sul IV grado dei due modi
È una settima di quarta specie nel modo maggiore e di seconda specie nel modo minore.
La settima costruita sul IV grado si collega solitamente alla dominante, ed è l’unica settima
artificiale a non collegarsi naturalmente con un accordo la cui fondamentale sia posta una
quarta sopra. Ciò comporta alcune eccezioni e rischi nel moto delle parti. Innanzitutto va
ricordato quanto già detto a pagina 120, a proposito del rischio di produrre le quinte diret-
te, qualora la settima si trovi sopra alla terza dell’accordo: in tal caso, nel collegamento
IV7-V, si faccia scendere la terza del IV7 sulla quinta dell’accordo di dominante. Sempre
per tale motivo, il secondo rivolto (la cui terza si trova al basso e perciò con la settima so-
pra) ha una risoluzione particolare che utilizza l’intermediazione della quarta e sesta ca-
denzale (con esito estetico quantomeno discutibile, soprattutto nel modo maggiore). Il ter-
zo rivolto risolve invece sulla dominante disposta in quarta e sesta, data di passaggio: il ri-
sultato è però accettabile solo se il basso scende poi a tonica.

Delle soluzioni precedenti, le migliori sono sicuramente quelle in cui la settima costruita sul
IV grado compare in stato fondamentale. È però possibile, come per le settime costruite
sul II grado, che la risoluzione avvenga sulla settima di dominante o di sensibile (vedi gli
esempi seguenti): spesso i rivolti delle settime costruite sul IV grado si collegano
meglio alla settima di dominante o di sensibile che non alla triade di dominante. Se
la risoluzione avviene sulla settima di sensibile si ha, anche per le settime costruite sul IV
grado, la risoluzione su un accordo la cui fondamentale è posta una quarta sopra. Alla
sesta misura è possibile notare come, per evitare un intervallo di seconda eccedente nella
parte del basso, si deve alterare il sesto grado, trasformando l’accordo di settima in una
prima specie: si tratta di una soluzione abbastanza comune (utilizzata anche da Bach) nel
trattamento della scala minore melodica; tale settima non è una settima di dominante e la
sua preparazione è facoltativa (l’argomento sarà approfondito nel prossimo capitolo).

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Le settime artificiali costruite sul VI grado dei due modi
È una settima di seconda specie nel modo maggiore e di quarta specie nel modo minore.
La settima costruita sul VI grado si collega all’accordo del II grado in stato fondamentale,
ad eccezione del secondo e del terzo rivolto. Il secondo rivolto può collegarsi all’accordo
del II grado dato sia in stato fondamentale che di primo rivolto. La settima costruita sul VI
grado in terzo rivolto si collega invece sempre all’accordo del II grado in primo rivolto.

Le risoluzioni particolari degli accordi di settima artificiali

Gli accordi di settima artificiali possono avere risoluzioni particolari, alcune delle quali sono
già state viste. Tali accordi possono in generale risolvere su nuovi accordi di settima, an-
che mantenendo fermi gli altri tre suoni della quadriade, purché il suono di risoluzione sia
consonante. Se la settima viene fatta scendere mentre gli altri suoni rimangono fermi, si
ha la risoluzione anticipata della settima, procedimento già trattato come possibile risolu-
zione sia della settima di sensibile che della nona di dominante.

Le progressioni di settime
Le progressioni possono fare utilizzo delle settime, e, dato che nelle trasposizioni del mo-
dello vengono per forza di cose utilizzate sia settime naturali che artificiali, occorre che tali
settime siano sempre preparate (oltre che risolte per grado congiunto discendente, ovvia-
mente). Inoltre, siccome gli accordi di settima risolvono normalmente su accordi le cui fon-
damentali stanno una quarta sopra, e siccome le settime debbono risolvere scendendo, ne
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consegue che il modello principalmente utilizzato nelle progressioni di settime è il modello
I-IV, trasposto sempre una seconda sotto (progressione discendente). Si possono avere le
settime sia alternate alle semplici triadi, ed in tal caso il modello sarà dato da una triade
seguita da una settima. Oppure si possono avere solo settime, con modello costituito da
due accordi di settima (in tal caso, qualora non si riesca a preparare la prima settima sul
primo accordo del modello, tale settima deve essere omessa, per poi presentarsi su tutti
gli accordi successivi). È importante che tutte le settime siano preparate e risolte. Si pos-
sono avere accordi al solo stato fondamentale (dove le settime sono talvolta date nella for-
ma incompleta), oppure rivoltato. Sono sempre possibili vari suoni di ornamento, molti dei
quali sono gli stessi impiegati nelle percussioni dei ritardi, consistendo principalmente nelle
note di volta ed in quelle di sfuggita. Diamo di seguito gli esempi più significativi.

Progressioni di settime in stato fondamentale con modelli I-IV7 e I7-IV7


Utilizzando accordi solo in stato fondamentale è possibile avere sia un'alternanza di triadi
e settime (modello 5-7, primo esempio) che solo settime (modello 7-7, secondo esempio).
Se non si riesce a preparare la prima settima, la si può omettere (come nel secondo es.).

Progressioni di settime in stato di rivolto con modelli I7-IV34 e I56-IV24


Si noti che tutte le parti danno scale discendenti e che le parti procedono a coppie, per ter-
ze e/o per seste parallele. Come avviene sempre, ogni settima è preparata e risolta.

Progressioni di settime in stato di rivolto con suoni ornamentali e imitazioni


Gli ornamenti avvengono subito dopo le percussioni delle settime, spesso con imitazioni
alla quarta superiore o alla quinta inferiore. Si utilizzano le note di volta e/o di sfuggita.

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Esercizi
Si realizzino a parti strette i seguenti bassi per lo studio delle settime artificiali. Le note in-
dicate con * dovranno essere armonizzate con accordi di settima artificiale, sia in stato
fondamentale che rivoltato (in progressione alcune settime indicate con * sono naturali).

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Esercizi riassuntivi

I bassi che seguono, da realizzarsi sia a parti strette che late, sono riassuntivi di tutti gli
argomenti fin qui trattati. Li si armonizzi cercando di applicare quanto si è finora appreso.

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145
Appunti

Esempi

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Capitolo XVII

Lo stilema con sesta napoletana

La scala minore napoletana consiste sostanzialmente in una scala minore armonica, ma


col secondo grado alterato in senso discendente. Tale scala fu utilizzata con uno stilema
tipico e particolare, detto appunto sesta napoletana. Trasportando sulla scala minore
napoletana la cadenza composta, si ottiene una concatenazione idiomatica, detta
concatenazione con sesta napoletana. Essa è stata utilizzata (sia pure con parsimonia) da
grandi compositori dell’ottocento (per es. da Beethoven nella celebre sonata per pianoforte
in Do diesis minore, detta “Al chiaro di luna”). L’accordo che presenta la sesta napoletana
(6b) è quello del secondo grado in primo rivolto (posto cioè sul basso del IV grado).
L’accordo di sesta napoletana si usa sempre sul quarto grado del modo minore e con
raddoppio del basso; ad esso va fatta preferibilmente seguire la quarta e sesta cadenzale.
Talvolta l’accordo di sesta napoletana si trova senza quarta e sesta cadenzale, con II6b
seguito subito dalla dominante.

Il quarto grado alterato

Partendo dal concetto di tonicizzazione della dominante, appare evidente che l’accordo
“modulante” in essa utilizzato è la dominante della dominante, ed il suono “modulante” è la
sensibile della dominante: abbiamo messo tra virgolette la parola modulante in quanto non
si ha il significato di una modulazione, bensì di un ampliamento tonale dei suoni della sca-
la in uso. Per esempio, facendo una tonicizzazione della dominante in Do maggiore, non si
ha una modulazione, ma un ampliamento della scala di Do maggiore che comprende, qua-
le variante, anche il suono Fa diesis, suono che ha una funzione tonale ben precisa.
Il quarto grado alterato in direzione ascendente, in entrambi i modi, coincide con la sensi-
bile della dominante e costituisce un ampliamento dei suoni della scala sottostante. Può
trovarsi in qualsiasi parte, ma con maggiore frequenza nel basso (in tale caso lo si può in-
dicare col numero romano IV fornito di taglio orizzontale). Il quarto grado alterato al basso
viene sempre armonizzato con un accordo del gruppo degli antagonisti della tonica (nel
tono della dominante). L’armonia che troviamo col quarto grado alterato ha sempre la fun-
zione di dominante della dominante, detta anche dominante relativa, e risolve sempre sul-
la dominante reale della tonalità in uso. Da un punto di vista estetico, il risultato che si ot-
tiene è perciò quello di enfatizzare il ruolo tonale della dominante. Il quarto grado alterato,
quando si trova al basso, può ricevere i seguenti accordi:

1. La dominante della dominante in primo rivolto.


2. La settima di dominante della dominante in primo rivolto.
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3. La settima diminuita della dominante minore. Nel modo maggiore si ha la conseguente
alterazione temporanea discendente della mediante. Nel modo minore si ha la normale
settima diminuita del tono del quinto grado minore. In entrambi i modi la risoluzione av-
viene sempre direttamente sulla dominante reale data in maggiore.

L’accordo di risoluzione è sempre la dominante, data almeno inizialmente senza settima:


la falsa relazione che si otterrebbe tra il quarto grado alterato al basso e lo stesso suono
con funzione di settima di dominante, va evitata. Come mostrato dagli esempi, la settima
può tranquillamente essere data, peraltro con grande efficacia, sul secondo movimento.
Nel modo maggiore è forse meno praticata l’armonizzazione con settima diminuita (molto
enfatica, adatta soprattutto per i finali in grande stile), mentre invece nel modo minore
essa è di gran lunga la più efficace e praticata. L’utilizzazione del quarto grado alterato è
già presente nel periodo barocco (Bach) ed è una costante tipica del linguaggio tonale.

Le scale maggiori armonica e melodica

Abbassando il sesto grado del modo maggiore si ottiene la scala maggiore armonica (la
definizione è di Rimskij-Korsakov). Abbassando anche il settimo si ha la scala maggiore
melodica, la quale presenta però tali alterazioni solo nella parte discendente. Questi nomi
derivano ovviamente dal fatto che il frammento di scala compreso tra la dominante e toni-
ca viene trattato secondo le possibilità intervallari del modo minore. E, proprio per la loro
somiglianza col minore, tali modi sono anche stati definiti come “modi semimaggiori”.

Alcuni pensano che si tratti di artifici utilizzati in epoca romantica, magari nei concerti per
pianoforte di Rachmaninov; ciò è senz’altro vero, ma non in modo esclusivo: l’utilizzo della
scala maggiore armonica è infatti già riscontrabile in Bach (Partita BWV 827, Fantasia):

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L’armonizzazione del settimo grado abbassato nel modo maggiore melodico è tipica di
alcuni autori tardoromantici e non differisce sostanzialmente dalla sua versione nel minore:
quando procede per grado (sempre scendendo) si può dare semplicemente 6, con domi-
nante cambiata di modo, in minore: questo è ovviamente un accordo di raro utilizzo.
Per quanto riguarda il sesto grado abbassato nel modo maggiore si hanno invece più
possibilità, essendo il suo uso, e di conseguenza quello della scala maggiore armonica,
assai più ragguardevole, e presente già a partire dall’epoca barocca.

Il sesto grado alterato nel modo maggiore


Il sesto grado alterato nel modo maggiore consiste nell’uso della scala maggiore armoni-
ca, con sesto grado abbassato, come nel minore. Ciò che è importante capire è che non si
tratta di modulazioni temporanee (ne di suoni di ornamento cromatici), ma di gradi alterati
della stessa tonalità: l’ambito in oggetto con il sesto grado alterato è (come per il quarto
grado alterato) quello dell’ampliamento dei suoni a disposizione in ogni singola tonalità.
Il sesto grado alterato può essere dato in tutte le parti. Tra gli accordi ausiliari, può figurare
come quinta della triade diminuita costruita sul secondo grado (da usarsi sempre in primo
rivolto e col raddoppio della terza) o come terza della triade di sottodominante trasformata
in accordo minore, utilizzi di cui diamo un semplice esempio indicativo:

Il sesto grado alterato nel modo maggiore può pure essere utilizzato in accordi antagonisti
della tonica quali la nona di dominante (resa minore), ma soprattutto nella settima diminu-
ita costruita sul settimo grado. Gli usi dell’accordo di settima diminuita nel modo maggiore
sono pertanto due: come settima costruita sul quarto grado alterato (già vista a pag. 95) o
come settima costruita sul settimo grado e contenente il sesto grado alterato: in entrambi i
casi sono praticabili pure i rivolti, facendo risolvere alla dominante la settima diminuita sul
quarto grado alterato, facendo invece risolvere a tonica quella costruita sul settimo grado.
Nell’esempio seguente in Do maggiore si vedono i due casi di utilizzo della settima diminu-
ita nel modo maggiore: il primo caso riguarda quella col sesto grado alterato, il secondo
quella sul quarto grado alterato; in entrambi i casi si tratta di accordi dissonanti naturali
(settime di quinta specie) che non richiedono la preparazione della settima.

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L’uso più tipico del sesto grado alterato al basso, riguarda l’accordo di sesta eccedente.

L’accordo di sesta eccedente


Sia nel modo maggiore che in quello minore, quando al basso compare il sesto grado
(alterato nel modo maggiore, ossia reso uguale a quello del modo minore) ed in una delle
parti superiori compare il quarto grado alterato, allora si ha l’accordo di sesta eccedente.
Esso è un accordo alterato, formato cioè da suoni non facenti parte delle normali scale
diatoniche, ma da suoni alterati. Il nome di tale accordo è dovuto proprio al rapporto tra il
sesto grado (abbassato nel maggiore) ed il quarto grado alterato: per esempio, in Do mag-
giore si ha il rapporto tra La bemolle (al basso) e Fa diesis (in una parte superiore), mentre
in La minore si ha il rapporto tra Fa (al basso) e Re diesis (in una parte superiore).
Nell’accordo di sesta eccedente il sesto grado al basso scende sempre di semitono alla
dominante, mentre il quarto grado alterato sale sempre di semitono alla dominante:
entrambi i suoni sono cioè a risoluzione obbligata, simili peraltro alla sensibile (quarto alte-
rato che sale) ed alla controsensibile (sesto grado, alterato nel maggiore, che scende).
L’accordo di sesta eccedente lo si ha pertanto sempre su basso di sesto grado (alterato in
senso discendente nel solo modo maggiore) che risolve su basso di dominante.
L’accordo di sesta eccedente può esistere in tre versioni: italiana, francese e tedesca.
La sesta eccedente italiana compare nel barocco come evoluzione della cadenza frigia,
inserendo il quarto grado alterato nell’accordo sul sesto grado al basso. La sesta ecceden-
te italiana è costruita sul sesto grado al basso cui si aggiungono una terza maggiore (sem-
pre raddoppiata) ed una sesta eccedente: risolve sulla dominante in stato fondamentale.

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La sesta eccedente francese è costruita sul sesto grado al basso cui si aggiungono una
terza maggiore, una quarta eccedente ed una sesta eccedente: risolve sulla dominante in
stato fondamentale.

La sesta eccedente tedesca è costruita sul sesto grado al basso cui si aggiungono una
terza maggiore, una quinta giusta ed una sesta eccedente: risolve su basso di dominante
armonizzato prima in quarta e sesta (altrimenti si fanno le quinte), quindi in terza e quinta.
Questo accordo è omofono di una settima di dominante, ossia rinominando gli stessi suoni
si ottiene una settima di dominante in stato fondamentale: nel prossimo capitolo vedremo
come tale caratteristica (comune anche alla semplice settima diminuita) possa essere
sfruttata per eseguire modulazioni anche a toni lontanissimi.

I tre tipi di sesta eccedente possono anche trasformarsi l’uno nell’altro, prima di risolvere.

Gli accordi alterati


Gli accordi alterati sono accordi che hanno subito l’alterazione cromatica di uno dei loro
suoni in modo che essi non appartengano diatonicamente ad alcuna tonalità. Per esempio
l’alterazione cromatica della terza, nel cambio di modo di un accordo, non genera mai un
accordo alterato, e così pure l’alterazione della fondamentale o della quinta quando il risul-
tato è un accordo, anche modulante, che appartiene ad una o più tonalità. Neppure le alte-
razioni dovute a suoni di ornamento cromatici possono dare luogo ad accordi alterati. An-
che la triade eccedente, come tutte le triadi derivate dall’uso del sesto e del settimo grado
innalzati nel modo minore, è considerata diatonica, purché utilizzata nella sua tonalità: per
esempio la triade eccedente sul terzo grado delle scale minori è diatonica, mentre la domi-
nante del modo maggiore con quinta innalzata è una triade eccedente di tipo alterato. Ec-
co alcuni esempi di accordi che non possono essere considerati alterati:

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Gli accordi alterati si ottengono innalzando o abbassando cromaticamente la quinta di ac-
cordi aventi la terza maggiore oppure innalzando o abbassando cromaticamente la terza
di accordi diminuiti (ossia di accordi con terza minore e quinta diminuita): infatti, solo così
si ottengono accordi che non sono diatonici in alcuna tonalità.

Trattamento degli accordi e dei suoni alterati


Prima di analizzare i vari accordi alterati, occorre soffermarsi su alcune norme generiche.
Per quanto riguarda la risoluzione dei suoni alterati, anche solo di ornamento, si tenga
conto del fatto che se il suono è alterato in senso ascendente la risoluzione avverrà proce-
dendo di semitono diatonico ascendente (es. a); se il suono è invece alterato in senso di-
scendente la risoluzione avverrà procedendo di semitono diatonico discendente (es. b).
Si dovranno evitare le ottave nascoste sul suono di risoluzione (es. c), ammettendo solo
quelle discendenti derivate dalla quinta abbassata che risolve a tonica sull’ottava (es. d).
Si dovrà evitare l’intervallo armonico di terza diminuita (es. e), preferendo la decima (es. f).
Tutte le parti dovranno muoversi il meno possibile mantenendo fermi i suoni comuni.

La derivazione degli accordi di sesta eccedente


Il principale gruppo di accordi alterati è quello degli accordi di sesta eccedente, già trattati
a pag. 97. Vogliamo ora approfondire la loro derivazione, in modo che si comprenda me-
glio la loro natura di accordi alterati e le loro funzioni tonali. Gli accordi di sesta eccedente
derivano dall’alterazione cromatica discendente della terza di accordi diminuiti (con o sen-
za settima) oppure dall’alterazione cromatica discendente della quinta sulla settima di do-
minante. Il gruppo degli antagonisti della tonica può utilizzare il secondo grado della scala
abbassato, procedimento che vale anche per il gruppo degli antagonisti della dominante,
come per esempio la dominante della dominante: in questo caso il grado della scala
abbassato sarà il sesto. In entrambi i casi si da origine agli accordi di sesta eccedente.

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Il primo gruppo di esempi espone la derivazione della sesta eccedente che si ottiene ab-
bassando il secondo grado della scala. La triade di sensibile con terza abbassata e posta
in primo rivolto coincide con la sesta eccedente italiana. La settima di dominante con quin-
ta abbassata e posta in secondo rivolto coincide con la sesta eccedente francese. Infine,
la settima di sensibile con terza abbassata (e con settima abbassata nel modo maggiore)
e posta in primo rivolto coincide con la sesta eccedente tedesca. In questo primo gruppo
di esempi la sesta eccedente viene posta sul secondo grado abbassato invece che sul
sesto: tale utilizzo è meno frequente, ma praticato, e conferisce alle seste eccedenti la fun-
zione tonale di antagonisti della tonica (invece che della dominante). Gli stessi accordi so-
no ovviamente validi anche sul sesto grado di Fa maggiore (con sesto grado abbassato) o
minore. Trasportando il primo gruppo di esempi nella regione della dominante si ottengono
le seste eccedenti più frequentemente utilizzate, ossia sul sesto grado (abbassato nel mo-
do maggiore) e con funzione di antagonisti della dominante (dominante della dominante).
Nulla vieta poi di considerare anche il secondo gruppo di esempi sul secondo grado ab-
bassato di Sol maggiore o minore. Tutti questi accordi, come vedremo, possono essere
utilizzati anche allo stato fondamentale, ma, in tal caso, non sono definiti seste eccedenti.

Alterazione ascendente della quinta negli accordi con terza maggiore


Per quanto riguarda le triadi e le settime, l’alterazione ascendente della quinta negli accor-
di con terza maggiore è possibile sui gradi I, IV e V del modo maggiore e sul VI del modo
minore armonico. Per quanto riguarda gli accordi di nona, l’alterazione ascendente della
quinta negli accordi con terza maggiore è possibile solo sulla dominante dei due modi.
Fra tutti i possibili casi, gli accordi con terza maggiore ed alterazione ascendente della
quinta più frequentemente utilizzati e tonalmente più importanti sono quelli di dominante.
Riportiamo gli esempi solo sugli accordi allo stato fondamentale, ma sono possibili anche i
rivolti con gli stessi gradi di risoluzione e con moto delle parti simile. La nona di dominante
minore deve per forza risolvere sulla tonica in maggiore (ossia con terza piccarda).

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Alterazione discendente della quinta negli accordi con terza maggiore
L’alterazione discendente della quinta negli accordi con terza maggiore è possibile solo
sulle triadi e sulle settime di tonica e di dominante del modo maggiore. Sulla settima e
sulla nona di dominante, tale alterazione è invece praticabile in entrambi i modi. Riportia-
mo gli esempi solo sugli accordi allo stato fondamentale, ma sono possibili anche i rivolti
con gli stessi gradi di risoluzione e con moto delle parti simile. La nona di dominante mino-
re deve preferibilmente risolvere sulla tonica in maggiore (ossia con terza piccarda).

Alterazione della terza negli accordi diminuiti


L’alterazione ascendente o discendente della terza negli accordi diminuiti viene praticata
sulla triade di sensibile e sulla settima di sensibile di entrambi i modi. Riportiamo gli esem-
pi solo sugli accordi allo stato fondamentale, ma sono possibili anche i rivolti con lo stesso
grado di risoluzione (sempre la tonica) e con moto delle parti simile. Poco praticata è la tri-
ade di sensibile con terza alterata, dato che è possibile solo a tre parti. Nel modo minore,
l’alterazione ascendente della terza in questi accordi comporta la risoluzione obbligatoria
sulla tonica in maggiore (ossia con terza piccarda); anche l’alterazione discendente della
terza risolve preferibilmente, ma non obbligatoriamente, sulla tonica in maggiore. In pra-
tica, le settime di sensibile con terza alterata sono utilizzabili in entrambi i modi.

Risoluzioni particolari degli accordi alterati


Oltre a tutte le risoluzioni degli accordi alterati viste fin qui, sono possibili anche risoluzioni
eccezionali o evitate, che danno luogo a modulazioni. In questi casi il suono alterato può

154
rimanere fermo (es. a), muoversi nella direzione opposta a quella normale (es. b), oppure
trasformarsi enarmonicamente (es. c). Diamo solo alcuni dei molti esempi possibili: si ab-
bia sempre cura di muovere le parti il meno possibile e di utilizzare i suoni comuni.

Gli accordi di undicesima e di tredicesima


Concludiamo questo capitolo accennando velocemente ad accordi che non sono alterati.
Gli accordi di undicesima e di tredicesima sono accordi formati rispettivamente da sei e da
sette suoni posti a distanza di terza. Nell’armonia classica vengono utilizzati solo sulla to-
nica e sulla dominante, sempre allo stato fondamentale. Si utilizzano sempre in forma
incompleta e sono considerati dissonanti naturali, non richiedendo la preparazione dei
suoni dissonanti. Le undicesime e le tredicesime di tonica generano di fatto accordi di do-
minante su basso di tonica. Le undicesime e le tredicesime di dominante generano invece
armonie di dominante contenenti alcune anticipazioni dei suoni dell’accordo di tonica.

155
Appunti

Esempi

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Capitolo XVIII

La modulazione ai toni lontani


Come abbiamo visto a pagina 84, le tonalità lontane sono tutte quelle che differiscono di
due o più alterazioni in chiave, che sono cioè distanti di almeno due posizioni nel circolo
delle quinte. Da un punto di vista storico, le modulazioni ai toni lontani sono tipiche del
periodo romantico ed ancor di più di quello tardoromantico; ciò vale ovviamente per quelle
modulazioni che differiscono di molte alterazioni, giacché quelle che differiscono di solo
due o anche tre alterazioni sono già presenti nel periodo barocco. In generale si può affer-
mare che il processo storico ha portato ad un ampliamento delle possibilità modulanti.
Le tecniche per modulare ai toni lontani sono molteplici e non consistono solo in proce-
dimenti armonici, ma richiedono talvolta anche il contributo melodico e fraseologico. Per
esempio un piccolo frammento melodico, imitato e variato con alcune alterazioni, può
fornire all’orecchio un aggancio formale che consente di collegare accordi lontani: ciò vale
a dire che tali collegamenti risultano spesso troppo bruschi, se non privi di senso, quando
manca un aggancio melodico che “unisce” i passaggi con accordi e tonalità lontane.
In tutti i casi occorre far sentire i suoni della nuova tonalità che differiscono da quella di
partenza: in tal senso, a determinare la nuova tonalità sono sempre quei suoni che coinci-
dono con le ultime, ed in particolar modo con l’ultima, alterazione in chiave della nuova
tonalità. Se due tonalità distano per esempio di quattro bemolli, sarà l’ultimo dei quattro a
determinare chiaramente la nuova tonalità. Le modulazioni ai toni lontani possono avveni-
re anche gradualmente, passando per tonalità intermedie, ma quando si è raggiunta la
tonalità desiderata, occorre assolutamente confermarla con una cadenza appropriata.

La modulazione con due alterazioni di differenza


Questa, fra le modulazioni ai toni lontani, è la meno lontana di tutte, dato che si ha la diffe-
renza di due sole alterazioni. La si trova comunemente già a partire dal periodo barocco,
dove trova impiego soprattutto per spostarsi dalla regione della sottodominante a quella
della dominante (e viceversa). Dati i toni vicini della tonalità d’impianto, due di essi saran-
no nella regione della sottodominante (con un’alterazione in più nella direzione dei bemol-
li), mentre altre due saranno nella regione della dominante (con un’alterazione in più nella
direzione dei diesis). Volendo passare da una tonalità delle prime due ad una tonalità delle
seconde due, ci si mantiene sempre nei toni vicini della tonalità d’impianto, ma si deve
necessariamente ricorrere ad una modulazione ad un tono lontano. Tale modulazione uti-
lizza le stesse tecniche già descritte per le modulazioni ai toni vicini (accordo comune,
settima di dominante e di sensibile, nona di dominante). Nell’esempio seguente in Do
maggiore, si notino le modulazioni da Re minore (regione della sottodominante) a Sol
maggiore (regione della dominante) e da Sol maggiore a Fa maggiore (sottodominante).

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La modulazione ai toni lontani tramite le progressioni modulanti

Se il modello di una progressione espone suoni modulanti oppure la prima ripetizio-


ne del modello avviene in un’altra tonalità, si ha una progressione modulante.
La prima modulazione può essere ai toni lontani o anche vicini, ma in quest’ultimo caso,
dato che il modello viene ripetuto più volte, si ottiene comunque, alla fine, una modulazio-
ne ai toni lontani, sia pur attraversando vari toni vicini. In tali progressioni si ammettono
con una certa elasticità, ma senza esagerare, i salti eccedenti e diminuiti, le false relazioni
e gli errori nascosti dovuti alla ripetizione del modello (il quale va però costruito con cura).

La progressione modulante ascendente


(armonizzazione della scala cromatica ascendente)
La progressione modulante ascendente prevede la successione con modello V-I, dato in
modo che, ad ogni sua ripetizione un tono sopra, si ha una nuova tonalità. Non è sempre
necessario che l’accordo di arrivo sia solo maggiore o solo minore: il modello può infatti
essere adattato, dato che alcune tonalità d’arrivo possono risultare troppo lontane, a se-
conda dello stile e del contesto. Tale progressione può essere utilizzata anche con i rivolti
e le settime (sia di passaggio che immediate). La versione con i rivolti della progressione
modulante ascendente costituisce il principale mezzo per armonizzare la scala cromatica
ascendente la quale viene interpretata come successioni di sensibili e toniche, ripetute.

Come si vede nell’ultimo esempio dato, quando si utilizzano le settime di dominante di


passaggio ed i rivolti, gli accordi con tonica al basso (il secondo, il quarto, ecc.), vengono
prima dati come toniche, per pi trasformarsi in settime di dominante.

La progressione modulante discendente


(armonizzazione della scala cromatica discendente)
La progressione modulante discendente è costruita in modo che ogni accordo è una tonica
che si trasforma in dominante tramite settima di passaggio, oppure in modo che ogni ac-
cordo è una settima di dominante che risolve eccezionalmente su un’altra settima di domi-
nante. Nel primo caso, ad ogni accordo si ha una modulazione ad un tono vicino, mentre
nel secondo si hanno modulazioni con due alterazioni di distanza: sono comunque due va-
rianti della stessa progressione base. Sono possibili i rivolti, mentre e le settime, sia di
passaggio che dirette, sono necessarie in questa progressione. La versione con i rivolti
della progressione modulante discendente costituisce il principale mezzo per armonizzare
la scala cromatica discendente, la quale viene interpretata come successioni di contro-
sensibili (ossia settime) e loro note di risoluzione, ripetute.

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Come si vede negli ultimi due esempi, le parti che espongono la scala cromatica discen-
dente sono sempre due, a distanza di tritono fra loro: al basso possono stare entrambe,
come pure nelle altre parti, dato che sono possibili tutti i rivolti.

Altre progressioni modulanti


Sono pure possibili altre progressioni modulanti, sia ascendenti che discendenti, di cui
diamo alcuni esempi (nel secondo si noti il caratteristico cambio di modo dell’accordo).

La modulazione ai toni lontani tramite accordo comune


Data una triade maggiore o minore, essa può appartenere a diverse tonalità, comprese
soprattutto fra i toni vicini o che hanno al massimo due sole alterazioni di differenza: per
esempio, la triade di Fa maggiore compare come IV di Do maggiore, come VI di La mino-
re, come I di Fa maggiore e come V di Si bemolle maggiore; volendo modulare da Do
maggiore a Si bemolle maggiore, possiamo dunque utilizzare la tecnica dell’accordo co-
mune con la triade di Fa (IV=V), cui dobbiamo però aggiungere la settima (il Mi bemolle),
anche di passaggio, al fine di dare l’ultima alterazione in chiave della nuova tonalità; in
caso contrario la successione degli accordi Fa-Sib non sarebbe avvertita come V-I in Si
bemolle maggiore, ma come I-IV in Fa maggiore. Considerando le triadi maggiori, presenti
in ogni tonalità maggiore o minore, come dominanti ed aggiungendovi poi le necessarie
settime o none, è possibile modulare a toni lontani. Oltre all’esempio già citato possiamo
fornire l’esempio di una modulazione ben più lontana, da Do maggiore a Fa minore, utiliz-
zando la triade di tonica di Do maggiore come accordo comune, ossia come dominante di
Fa minore; in tal caso occorrerà utilizzare (anche solo di passaggio) la nona di dominante,
facendo cioè sentire il Re bemolle che è l’ultima alterazione in chiave alla nuova tonalità.

159
Si ha pure l’accordo di dominante che è comune a due tonalità con la stessa tonica, ma
con modo diverso: è così possibile modulare da una tonalità maggiore alla stessa tonalità,
ma in minore e viceversa, superando un “ostacolo” di tre alterazioni di differenza. Nell’e-
sempio seguente si modula da Do maggiore a Do minore con la tecnica V=V, che risolve
sulla cadenza d’inganno della nuova tonalità, tecnica utilizzata anche da Beethoven. Nel
ritorno a Do maggiore si sfrutta la nona di dominante di passaggio, con il La bequadro.

La tecnica V=V che risolve sulla cadenza d’inganno della stessa tonalità, ma in minore,
può offrire anche altre possibilità modulanti. Una volta approdati all’accordo sul sesto
grado abbassato, sfruttando la sorpresa data dalla cadenza d’inganno, è possibile consi-
derare tale accordo come una tonica o una dominante, ottenendo così modulazioni che
distano rispettivamente di quattro e addirittura cinque alterazioni. Nei due esempi seguenti
vengono mostrate le modulazioni da Do maggiore a La bemolle maggiore e da Do mag-
giore a Re bemolle maggiore (tonalità omofona di Do diesis maggiore).

Anche quando la tonalità di partenza è minore, la cadenza di inganno offre buone possibi-
lità modulanti, sfruttando in VI grado come dominante della nuova tonalità (VI=V). Come si
vede nell’esempio seguente, dove si ha la modulazione da La minore a Si bemolle minore,
con ben cinque alterazioni di differenza, o addirittura sette, se si considera che la stessa
modulazione può portare a La diesis minore (omofona di Si bemolle minore), ciò che conta
è la struttura, intesa come ripetizione di moduli armonici, melodici o ritmici: per esempio il
secondo accordo è una settima di dominante con ritardo della terza, stesso accordo che
troviamo alla fine, per confermare la nuova tonalità. Tali ripetizioni danno senso all’intero
passaggio, ponendo qualcosa di comune tra due passi in tonalità molto lontane. La sola
tecnica armonica non basta per modulare ai toni lontani: occorre anche utilizzare ripetizio-
ni strutturali, di tipo armonico, melodico e ritmico, che “legano insieme” le tonalità lontane.

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La modulazione ai toni lontani tramite suoni comuni
Quando due accordi, appartenenti a tonalità anche molto lontane, hanno uno o più suoni
in comune, il loro collegamento tramite moto obliquo, consente di ottenere modulazioni a
tonalità lontane. Diamo solo alcuni esempi indicativi, tra i molti altri possibili.

La modulazione ai toni lontani tramite il cambio di modo


Tutte le triadi maggiori e minori possono essere cambiate di modo, fornendo così accordi
modulanti, anche verso tonalità lontane. Tale tecnica utilizza in definitiva il procedimento
dei suoni comuni, dato che la fondamentale e la quinta dell’accordo rimangono tenute.

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La modulazione ai toni lontani tramite il quarto grado alterato

In molte occasioni è possibile dare direttamente il quarto grado alterato della nuova tona-
lità, solitamente armonizzato con la settima diminuita, che risolve sulla dominante della
nuova tonalità, per poi procedere alla sua tonica. Ecco alcuni esempi:

La modulazione ai toni lontani tramite enarmonia della settima diminuita


L’accordo di settima diminuita, essendo formato da quattro suoni disposti per terze minori,
ha la caratteristica che, a prescindere dai nomi che si danno alle note, ne esistono solo
tre. Utilizzando l’enarmonia è dunque possibile rinominarne i suoni e considerare come
possibile sensibile ognuno di essi. Ciò è visibile nello schema seguente, dove sono state
indicate con + le sensibili, e le toniche relative che si riferiscono sia alla tonalità minore
che a quella maggiore, dato che la settima diminuita può essere usata in entrambi i modi.

La settima diminuita può essere utilizzata sul quarto grado alterato, come mostrato nel pa-
ragrafo precedente, ma può anche essere utilizzata come settima di sensibile, ossia sul
VII grado della nuova tonalità (sia maggiore che minore). In quest’ultimo caso entra in gio-
co l’enarmonia: si da la settima diminuita della tonalità di partenza, la si rinomina in modo
da considerare come sensibile uno dei tre suoni che non avevano tale funzione e la si
risolve sulla nuova tonica. Molto importante in questo caso è una chiara conferma della
nuova tonalità, dato che essa viene inizialmente percepita come molto instabile. Spesso,
per migliorare la modulazione, si ricorre alla trasformazione della settima diminuita in set-
tima di dominante della nuova tonalità: ciò rende più chiara la direzione intrapresa.

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Per quanto riguarda la grafia dell’enarmonia, va detto che spesso non si scrivono le due
note enarmoniche legate, come riportato negli esempi, ma direttamente il secondo suono.

La modulazione ai toni lontani tramite enarmonia della triade eccedente

La triade eccedente, come la settima diminuita, è un accordo costruito simmetricamente,


ma in questo caso con terze maggiori, sicché ne esistono solo quattro: ognuno dei suoni
che la costituiscono può enarmonicamente essere considerato una sensibile. La triade ec-
cedente offre discrete possibilità modulanti, anche se il suo utilizzo è meno significativo
della settima diminuita. Diamo comunque un esempio di tale tecnica modulante.

La modulazione ai toni lontani tramite enarmonia della sesta eccedente

L’accordo di sesta eccedente, nella sua variante tedesca, coincide enarmonicamente con
una settima di dominante, e può quindi essere sfruttata per modulare ai toni lontani.

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La modulazione ai toni lontani tramite sesta napoletana

Anche l’accordo di sesta napoletana può essere utilizzato per modulare ai toni lontani,
tramite la tecnica dell’accordo comune. Si utilizza una triade maggiore della tonalità di
partenza in primo rivolto e con raddoppio del basso: essa diventa quindi la sesta napo-
letana, sul quarto grado al basso della tonalità d’arrivo.

La modulazione ai toni lontani tramite le risoluzioni evitate


Tutti gli accordi dissonanti, settime antagoniste della tonica, ma anche ausiliarie, possono
risolvere eccezionalmente in modo evitato, ossia su accordi modulanti. Le possibilità sono
diverse e non esiste un metodo per sapere a priori se una certa risoluzione evitata suone-
rà bene, oppure no. Certo è che si tratta di procedimenti intimamente legati alla composi-
zione in cui si trovano, ossia allo stile ed al contesto. Normalmente le parti procedono per
gradi congiunti e talvolta con uno o più suoni comuni. Dagli esempi seguenti si comprende
che si tratta di procedimenti in uso nel periodo romantico e soprattutto tardoromantico.

La modulazione ai toni lontani tramite la tecnica dello slittamento

Questa tecnica, assai in voga nel periodo tardoromantico, consiste nel modificare un ac-
cordo, mantenendo fermi la maggior parte dei suoi suoni, ed alterandone alcuni, in modo
che si ottenga la trasformazione graduale di un accordo in un altro, il tutto attraversando
più accordi e portandosi su tonalità anche lontane. Si tratta perciò di una tecnica modulan-
te, che utilizza i suoni comuni e spesso anche l’enarmonia. Si analizzi l’esempio seguente.

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Appunti

Esempi

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