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Antropologia Buber “il problema dell’uomo” parte finale.

Problema dell’uomo, si affrontano gli ultimi 2 punti , il punto 3 “Tentativi del nostro tempo” e il
punto 4 “la proposta di Buber”.

dopo la carrellata di autori del passato, Buber comincia ad analizzare alcuni autori che sono più
vicini alla sua età, con cui è entrato anche in contatto.

Husserl

Buber spende delle belle parole nei riguardi di Husserl e secondo B. , Husserl affronta in modo
serio , rigoroso il problema dell’uomo.

Il più grande fenomeno della storia è l’uomo che lotta per comprendere sé medesimo.

Se l’uomo diventa problema metafisico, allora l’uomo è messo in questione in quanto essere
razionale, c’è in tutto ciò che è umano (anche nel pensiero) qualcosa che appartiene alla natura
generale degli esseri viventi.

L’umanità in generale è sostanzialmente essere dell’uomo in entità umane unite geneticamente e


socialmente.

L’essenza dell’uomo dunque non si può trovare in individui isolati perché i rapporti delle persone
con la sua generazione e la sua società sono essenziali. Dovremmo conoscere l’essenza di quei
rapporti se vogliamo conoscere l’essenza dell’uomo.

Un autore a cui sono dedicate diverse pagine è Kirkegaard.


K. , che nella lettura di Buber, meglio di ogni altro ha saputo cogliere il significato della persona.
Tuttavia ha concepito la vita secondo la formula della dialettica hegeliana come un superamento
da uno stadio all’altro, dallo stadio estetico allo stadio etico allo stadio religioso.

Un lato positivo che Buber trova in Kirkegaard è quello di cogliere il significato della persona, della
persona concreta, di quello che è appunto l’individuo. Dall’altro però ricade ancora in quella
dialettica che così tanto vuole criticare, infatti secondo Buber Kirk. Pecca in quest’ultimo
passaggio cioè nel passaggio da uno stadio all’altro . ( secondo Buber infatti sono ancora passaggi
dialettici).

L’uomo vero in K.-> è l’uomo religioso con una fede impegnata. Quella religiosa è una relazione
bilaterale di cui però possiamo soltanto conoscere il lato dell’uomo. La fede dovrebbe incarnarsi
questa è l’aspirazione esistenziale. L’uomo viene quindi pensato in rapporto esclusivo con
l’assoluto, questa relazione è affettiva e reciproca da persona – a- persona, si sviluppa quindi un
ANTROPOLOGIA TEOLOGICA. Punto dolens nell’antropologia di Kirkegaard.

Sicuramente K. Sviluppa un antropologia , ma è prevalentemente un antropologia teologica.

Il vero rapporto con l’altro, K. non lo vede nell’uomo con l’uomo che si riduce invece in
“chiacchera” per dirla alla Heidegger o si riduce a “ massa, a frolla, a gregge” per dirla alla
Nietzsche, ma il vero autentico rapporto con l’altro è solo con Dio-> che il singolo nella propria
solitudine intrattiene con Dio.

O la fede è una relazione VITALE con ciò che si crede ( una relazione abbracciante tutta la vita) o è
una fede irreale. L’oggetto del pensiero filosofico non è l’Io assoluto dell’idealismo tedesco cioè
l’Io che si crea un mondo in quanto Io che pensa ma persona umana reale in relazione ontica che
la lega all’assoluto.

Vediamo qui che Buber riprende queste citazioni di Kirk che parla del legame io-assoluto-Dio.
Heidegger non parla di antropologia , bensì di ontologia fondamentale-> la dottrina del “Dasein”,
quindi anche se Essere e Tempo di H. esordisce con questa fenomenologia dei luoghi,
quest’analitica dell’esistenza. Tuttavia nella lettura di Buber non è una vera e propria antropologia.
Dasein: quell’ente che è in rapporto con il proprio essere e la comprensione di questo rapporto
avviene solo nell’uomo che è caratterizzato dalla domanda sull’essere. Ma l’essere di Hd è
monologico perché riconosce come vita reale soltanto il rapporto con sé stesso, quindi il Dasein è
sicuramente l’uomo o un essere umano che però non è relazionato con l’altro, la vita reale per il
Dasein è soltanto quella con sé stesso, un uomo come dice Buber “chiuso e solo”.

H. parla solo del rapporto, dell’aver cura che per Buber non è un rapporto essenziale del tipo mi
avvicino all’altro magari mosso dalla compassione, ma le barriere del mio essere non cadono. Io
non mi rivelo a lui e lui non si rivela a me. Quello dell’aver cura è semplicemente un rapporto
strumentale- funzionale di bisogno e di aiuto.

L’uomo di Heidegger per capire sé stesso, cerca un colloquio intimo con sé stesso, non si rivolge
agli altri uomini . Il sé di Heidegger è un sistema chiuso, la dove l’esserci vivente ed essenziale egli
è solo.

Si può notare la sinossi che Buber fa tra Heidegger e Kirkegaard. Entrambi hanno alcuni lati positivi
per quanto riguarda la domanda sull’uomo ( Kirkegaard in maniera più incisiva e superiore rispetto
ad Heidegger) ma soprattutto dei lati negativi: in K. l’Io si rapporta solo con l’Assoluto
considerando le relazioni con gli altri + il dialogo con gli altri alla stregua della folla alla stregua di
un ipocrisia della convivenza , in H il “dasein” è un Io monologico, chiuso in sé stesso-> questo
Buber intende quando dice che Heidegger non sviluppa un pensiero antropologico, non tanto che
non abbia parlato dell’uomo ma che ha parlato di un uomo chiuso in sé stesso-e quindi facendo
questo confronto Heidegger- Kirkegaard si può capire tra le righe la proposta di Buber: un Io non
aperto solo con l’Assoluto ma anche con l’altro ( si può vedere nel “cammino dell’uomo”) e un Io
non ha nella relazione con sé stesso ,la propria esclusività ma la proposta antropologica di Buber
sarà quello dello “zwischen -tra” che è appunto un rapporto dell’uomo con l’altro uomo-> che
caratterizzerà la proposta antropologica di Buber.

Heidegger ha dei limiti secondo Buber.


L’esistenza per HD si compie tutta nell’essere sé stesso. Non vi è un cammino ontico che conduca
più lontano di questo vs Feuerbach aveva sottolineato invece che non l’uomo individuale a portare
l’essenza umana , ma che questa è contenuta nell’unità dell’uomo con l’uomo.

Vi è dunque questa ripresa dell’istanza sottolineata da Feurbach che era considerato bene da
Buber, era considerato come colui che inizia a porre l’essenza dell’uomo non tanto in sé stesso
quanto nel rapporto con gli atri.-> Nulla di tutto questo è passato nella filosofia di Hd.

Buber intraprende questa breve sinossi tra il pensiero di Kirkegaard e quello di HD semplificata
dalle slide 54.

Kirkegaard-> Diventare singolo è il presupposto per entrare in rapporto con Dio, quindi l’uomo è
un sistema aperto anche se solo verso Dio. Diventa singolo in vista del suo rapporto con l’Assoluto.
Un pro e un contro in K.: pro-> l’uomo è sicuramente apertura, l’uomo è dialogo ma dialogo verso
cosa? Non tanto verso l’altro, verso il proprio simile , verso l’umano quanto verso Dio-Assoluto.
L’Uomo diventa singolo quindi diventa quella categoria per Buber imprescindibile per entrare ,
per fare antropologia , per entrare in rapporto con l’altro ma lo diventa solo grazie al rapporto con
l’Assoluto.

Hd-> l’uomo non diventa Sé in vista di qualcosa perché non può abbattere le sue barriere, ciascuno
non può parlare che essenzialmente con sé stesso. Il Dasein , l’esserci , l’uomo dipinto da
Heidegger è un solo un uomo chiuso in sé stesso, che manca di questa relazionalità che invece in
K. c’è , seppur rivolta solo verso l’assoluto.

Kirk-> la cura e l’angoscia dell’uomo sono essenziali perché cura del rapporto con Dio e angoscia
per la mancanza di tale relazione.

H-> l’uomo nella cura e nell’angoscia si trova da solo di fronte a sé , e siccome non si può trovare
di fronte a sé stesso, si trova davanti al nulla. Categorie tipiche dell’esistenzialismo già introdotte
da Kirkegaard come CURA, ANGOSCIA, POSSIBILITA’ sono poi riprese da altri ma lette in un ottica
diversa. Ovviamente K.-> ha sempre sullo sfondo il rapporto con Dio che dunque arriva a
giustificare, arriva a sottolineare come si può vedere in un testo “la malattia mortale”-> l’angoscia,
il riconoscersi angosciati, riconoscersi disperati non fine a sé stesso ma è la via d’accesso alla fede
e al rapporto con l’assoluto.
Al contrario per Buber , il DASEIN di H. vive questi momenti della propria temporalità, della propria
persona che sono la cura e l’angoscia in modo AUTOREFERENZIALE , siccome non si può trovare di
fronte a sé stesso, si trova davanti al nulla invece kirk . aveva questo sbocco verso l’assoluto che
poteva permettere una giustificazione delle proprie categorie antropologiche.

Kirkegaard al fine del divenire singolo e di entrare in rapporto con Dio-> l’uomo deve rinunciare ad
ogni altro rapporto.

Hd-> l’uomo non deve rinunciare a nessuna relazione essenziale, nel mondo tuttavia manca il Tu.

Questo è una pecca , che secondo Buber, possiede il filosofo Kirkegaard anche in un opera
precedente come “il principio dialogico io e tu” Buber criticava Kirkegaard perché secondo lui K.->
concepiva un rapporto che se da un lato era aperto all’Alterità dall’altro era però chiusa al volto
dell’altro perché comunque ( pensiamo a Levinas che pensa il rapporto con l’assoluto ma
prevalentemente questo rapporto con l’assoluto passa attraverso il volto dell’altro)-> Kirkegaard
per Buber ha questa pecca-> al fine di divenire singolo , di creare il rapporto con Dio-> l’uomo
deve rinunciare ad ogni altro rapporto -> è come se Kirkegaard ci ponesse un Aut-Aut-> o Dio o gli
altri – o l’uomo o Dio.

Perché non posso entrare in rapporto con Dio se incontro l’altro?

Perchà per K.-> i rapporti umani-> sono spesso “screditati” alla stregua di rapporti di convivenza
ipocrita, di convivenza falsata. Un rapporto con l’altro che si riduce a “massa, a folla, si riduce ad
anonimato”.

Al contrario per H-> l’uomo non deve rinunciare a nessuna relazione con l’altro anche se in realtà
la proposta che poi farà H. non terrà fede alle intenzioni appena esplicitate ( questa è il punto di
vista di Buber).
Per K-> l’uomo che vuole trovare la propria singolarità-propria dimensione antropologica deve
salvarsi dalla folla, deve stare lontano dalla folla anonima , dalla generalità, da questa
standardizzazione messa in atto dalla Società-> x diventare il SINGOLO. In K. -> in tutte le opere, in
tutto il pensiero di K. è fondamentale questa dicotomia Io-Massa, singolo -folla-> molto vicino a
Nietzsche da questo punto di vista. O l’Io cioè l’uomo si salva con sé stesso, O è impossibile che la
propria personalità sia sviluppata in rapporto con l’altro.

Tutto ciò che è comune, che è sociale dirà Nietzsche è “volgare”-> gemain : volgare, Gemainshiaft:
comunità.

K, pur da un altro punto di vista ( cristiano / Nietzsche no -> è molto vicino a N.

Anche per H.-> la folla è negativa -> è la “chiacchera” ma non ci sono indicazioni su come l’uomo
si deve comportare con una molteplicità di persone ovvio che sullo sfondo c’è sempre una ricerca
ontologica all’interno dell’opera di H. ( e questo Buber lo sottolinea bene ) ma allo stesso tempo B.
ci fa vedere che in Hd-> la proposta antropologica è debole all’interno di Essere e tempo e
all’interno del pensiero di Heidegger.

Relazione con il proprio io

K: la relazione con il proprio io trova il suo senso e la sua consacrazione dalla relazione con Dio ,
quindi il singolo è veramente tale se e solo se è entrato in rapporto con Dio. Questo lo vediamo
bene nell’opera “la malattia mortale “ ma anche in “Timore e Tremore” dove questa triade aperta
in “Aut-Aut” tra l’uomo estetico o Don Giovanni , l’uomo etico -marito fedele che vive nella
ripetizione della propria esistenza e l’uomo religioso Abramo viene espressa in modo molto
significativo. Quindi la relazione con il proprio Io trova senso solo appunto in Dio.
Pagina di tremore e timore dove Kirk parla della “sospensione teleologica dell’etica, bisogna
sospendere l’etica , l’universale , il generale ( quindi il rapporto con l’altro) , la norma per ritrovare
la dimensione della propria singolarità, per ritrovare la dimensione del proprio io che solo
attraverso l’Assoluto trova la propria dimensione, il proprio statuto ontologico”.
H: la relazione con il proprio Io è l’unica essenziale, non c’è relazione con Dio. La proposta di Hd ,
in “Essere e tempo” e in altre opere-> esclude Dio. Quindi l’io è ancora più AUTOREFERENZIALE
rispetto alla proposta kirkegaardina. La relazione che l’Io intrattiene con sé stesso, esclude
qualsiasi tipo di relazione con l’altro compresa quella con Dio. Sfera dell’autoreferenzialità , un io-
autoreferenziale, un io chiuso in sé stesso per Buber è molto significativa in H. Viene sottolineata
bene da Buber che ci fa notare come quest’aspetto sia presente in H. -> sottolineandone tutti gli
aspetti problematici.

In K., invece Buber sottolinea che c’è questo tentativo di uscita dall’io sempre attraverso la
costituzione del singolo e del sé, ma vi è questo rapporto con l’Assoluto quindi Kirkegaard
sicuramente ha dei punti negativi ma anche dei punti positivi secondo Buber.

La proposta di Buber

Buber si pone sicuramente all’inizio contro il pensiero di H., la vita umana per Buber tocca la sua
assolutezza nel dialogo, non è mediante il rapporto con il proprio sé ma solo mediante il rapporto
con un altro sé che l’uomo può raggiungere la sua completezza.

Non basta la relazione dell’aver cura ma si devono cercare delle relazioni essenziali, ovvero delle
relazioni in cui ci deve essere un apertura da essere a essere. L’uomo che è soltanto oggetto della
mia cura non è un Tu ma è un egli o un ella.

Vediamo che attraverso la critica ad H , un superamento sia di Heidegger stesso sia di Kirkegaard.
Quando Buber dice non è mediante il rapporto con il proprio sé ma solo mediante il rapporto con
un altro sé che l’uomo può raggiungere la sua completezza. Questa è uno schiaffo sia ad H.
( secondo cui l’io è visto in una prospettiva esclusivamente autoreferenziale, come scritto in Essere
e tempo) ma è uno schiaffo anche a Kirkegaard che invece vedeva il rapporto con l’altro non tanto
con un altro sé, non tanto con un'altra persona quanto con Dio.

Ultimo autore preso di riferimento: M.Scheler

 L’io è l’unico luogo del Divenire di Dio.


 Dio non è ma diviene
 Non c’è altro essere che quello che diviene

L’essere che è fondamento del mondo possiede due attributi: lo spirito e l’impulso che si
completano a vicenda, lo spirito nella sua forma pura è impotente e acquista potenza grazie agli
stimoli vitali e ciò avviene nell’uomo.
Ma un uomo siffatto è abitato dal dualismo quindi non è il vero uomo.
Lo spirito che caratterizza l’uomo è qualcosa di diverso dall’intelligenza che appartiene anche agli
animali.
In questa slide (62) Buber presenta il pensiero antropologico e teologico di Scheler con questa
battuta sul “dio in divenire”.

Cosa interessante: Buber ci dice che l’essere umano dipinto dall’antropologia di Scheler non è
ancora un vero uomo, E’ un uomo ANCORA ABITATO dal dualismo-> un dualismo magari spostato
in un'altra situazione , in un altro contesto lo spirito da una parte e l’impulso dall’altra. Lo spirito
come impotenza-negazione-dire di no e la potenza dell’impulso , dire di si agli istinti vitali.

Buber ci dice che l’uomo dipinto da Scheler è ancora un uomo dualista, ancora un uomo abitato da
un dualismo. Un uomo che è abitato da spirito e impulso. Probabilmente un dualismo “rovesciato”
-> dove non è lo spirito ad essere attività ma è l’impulso ad essere attività -> lo spirito è
negazione , è dire di no a quella che è la natura. Un dualismo traslato però per Buber sempre
dualismo.

Il tema del dolore, viene preso da Buber attraverso le pagine di Scheler -> dolore che è lo spirito
che compie un atto di ideazione cioè considera l’essenza del dolore partendo da quel dolore
particolare, è un atto ascetico di de-razionalizzazione. Si spiritualizza il dolore, l’uomo è colui che
cerca Dio ed è diverso dall’”homo faber” perché soffre della lontananza da Dio.

Buber non condivide la posizione di Scheler riguardo lo spirito che compie un atto di de-
razionalizzazione, infatti non è allontanandosi dal dolore e non è collocandosi in un palco per
rimirare il dolore quasi fosse uno spettacolo senza realtà, che lo spirito umano potrà conoscerne la
natura.
Buber fa questo esempio commentando Scheler “ se io ho male ad una parte del corpo, ad un
arto, ad una determinata zona del mio corpo, per sentire questo dolore, il mio spirito compie un
atto di de-razionalizzazione” cioè è come se uscissi da questa dimensione fisico-corporea per
sentire il dolore, per comprendere .

Spirito che è un dire di No, che è un atto ascetico, di distaccamento dal mondo fisico, spiritualizza il
dolore e cerca di darne una ragione/comprensione.

Buber non condivide questa posizione perché appunto dipinge i lineamenti di un uomo astratto, di
un uomo che appunto per sentire quello che prova deve staccarsi da questa condizione e mettersi
su questo palco per guardare il dolore quasi fosse uno spettacolo senza realtà di cui lo spirito
umano potrà conoscerne la natura. Qui c’è sempre un uomo non solo dualista (diviso tra anima e
corpo) ma ancora vi è un uomo ASTRATTO, non concreto ma che ha bisogno di questo atto di de-
razionalizzazione di ascetismo per passare da uno stato all’altro.

“Noi siamo in un epoca in cui l’uomo è diventato interamente e senza residui problematico in cui
l’uomo non sa più che cosa egli sia ma in cui egli sa nello stesso momento che non lo sa”.(p.89)

“Che cos’è il dolore stesso, indipendentemente dal fatto che io lo sento qui in questo momento? Il
perfetto stato di presenza mi dischiude ciò che esso veramente è..” (p.102).

La seconda citazione (p.102) , riguarda il tema del dolore sempre all’interno della ripresa
buberiana di Scheler . Che cos’è questo dolore, indipendentemente dal fatto che io lo sento su
questa parte del corpo? Il suo perfetto stato di presenza mi dischiude ciò che veramente esso è e
Buber sottolinea in questa citazione “ noi siamo la prima epoca in cui “ p.89-> era quella la
domanda da cui eravamo partiti l’antropologia inizia quando l’uomo diventa problema a sé stesso.

In questa epoca, nell’epoca in cui Buber sta vivendo, l’uomo non sa più cosa egli sia ma è l’epoca
in cui anche sa nello stesso momento che egli non lo sa . Sembra un gioco di parole, ma è proprio
qui che inizia il cammino dell’uomo proprio seguendo le parole di Buber , quando c’è
consapevolezza che l’uomo non sa più che cos’è? Quando c’è consapevolezza dell’essere umano
di trovarsi spaesato, di trovarsi in qualche modo fuori di quella casa. Io posso non sapere che cosa
sono perché la mia essenza mi è sconosciuta , l’uomo -> Io non so più cosa sono ma so di non
sapere-> è l’epoca in cui l’uomo sa nello stesso momento che non lo sa-> questa frase ci dice
appunto che è solo in questo momento in cui so che cosa non sono che parte il cammino
dell’uomo.

PROPOSTA DI Buber vuole stare in mezzo a queste due correnti antitetiche -> da un lato l’individuo
dall’altro il collettivismo.

Immagine di uomo che emerge dalla slide 66-> è un uomo che non è solo INDIVIDUALISMO e
quindi ha una dimensione collettiva ma un uomo anche che non è solo COLLETTIVO e quindi ha
anche una dimensione intima, una dimensione che emerge bene dal cammino dell’uomo di
conoscenza di sé.

Individualismo e collettivismo quasi devono essere evitate ma dall’altro lato si compensano l’una
con l’altra, il collettivismo mi permette di fare uscire l’uomo da un individualismo esasperato , da
un individualismo autoreferenziale, da un solipsismo – individualismo mi permette di far uscire
l’uomo da una Massa, da una folla, da un anonimato, da undisperdersi nel gregge.

Buber dice l’antropologia individualista si occupa solo della relazione della persona con sé stessa-
non è in grado di farci capire la vera natura dell’uomo- considera solo una parte dell’uomo cioè
l’uomo con sé stesso che è necessaria per definire lo statuto antropologico dell’uomo ma non è
sufficiente.
Al contrario il collettivismo ( Buber riprende questo scambio di termini) -> l’uomo come parte, il
collettivismo ha il problema di farmi considerare l’uomo = parte di un tutto, come parte di
qualcosa e quindi un uomo “incompleto”, l’uomo = 1 pezzo, come un uomo non totale ma
incompleto che assieme ad altri uomini forma un puzzle o grande mosaico ma è sempre una parte
di qualcosa. Vede solo la società e non l’uomo in sé-> il collettivismo moderno è l’ultima barriera
che l’uomo ha eretto davanti all’incontro con sé stesso. Il collettivismo è l’apogeo del suo sviluppo
quindi vedete che Buber ci sta dicendo che il problema dei giorni nostri (lui scrive +- negli anni 40)
non è tanto l’individualismo quanto il Collettivismo: Ultimo baluardo, ultima barriera che l’uomo
ha eretto davanti all’incontro con sé stesso.
Quindi è interessante notare , come tante proposte al giorno d’oggi sembrano puntare il dito verso
un individualismo esasperato , Buber invece ci sta dicendo l’opposto-> individualismo chiaro è
stato un male ed è stato superato ma un altro male è il collettivismo.

Dialettica individualismo/collettivismo: qualcosa di molto interessante presente anche in


Nietzsche-> sviluppata in modo rilevante.

Individualismo e il Collettivismo: ognuno ha i pro e i contro, un individualismo che può cadere nel
solipsismo, nell’autoreferenzialità ma che allo stesso tempo è quella dimensione di segreto,
solitudine, intimità che mi salva da una dispersione nella folla ( collettivismo).

Dall’altro lato-> il collettivismo, che appunto può cadere in una massificazione, in un anonimato,
ma che allo stesso tempo è quella molla che fa uscire l’uomo dal proprio io-autoreferenzialità-ego
per aprirlo all’altro. (slide 66)

Dall’ultima slide-> si può comprendere la proposta di Buber sull’uomo-> 1 proposta antropologica


che appunto è quella che Buber vuole e che può essere applicata anche ad altri filosofi e può dare
uno spunto ad altre riflessioni.

Buber allora propone quello che lui chiama il “TRA”: “l’uomo tra l’uomo”-> l’essere tra.
B. dunque tra il collettivsimo e l’individualismo o meglio tra un individuo chiuso in sé stesso
( individualismo) e un io che si disperde in un gregge (collettivismo) c’è una terza via che è quella
del Tra che lui chiama la sfera dell’ ”inter-relazione”-> non è una costruzione ausiliaria, non è un
costrutto astratto, non è qualcosa che arriva dopo le singolarità, dopo le singole persone ma è un
luogo concreto che c’è all’interno dell’umanità-> è qualcosa che avviene nella quotidianità tra gli
esseri umani-> non è qualcosa di dato una volta per tutte, non è qualcosa di garantito o che dà
garanzia ma è qualcosa che l’uomo costruisce sempre con l’altro uomo giorno dopo giorno. E’ una
dimensione privata che appartiene ai due che si incontrano.

E’ una relazione fragile dice Buber ma per questo essenziale (perché poi si costruisca nel tempo,
divenga salda)-l’immagine di un uomo molto particolare.
E’ una relazione che non è scontata , che non deve avvenire per forza, non deve avvenire in un
determinato contesto quasi NECESSITATO ma avviene quasi in modo casuale, avviene in modo
intimo in una modalità fragile.

Mi dà l’idea di una relazione che adesso c’è , un minuto dopo non potrebbe esserci più.

Infatti poi Buber fa un bellissimo esempio al termine del testo, si può capire questa relazione di
fragilità.

“Non ho il tempo d’innalzare barriere tra me e l’altro per questo posso scoprire nell’altro me
stesso cioè l’uomo. Ciò che qui si manifesta è qualcosa di ontico, l’io è solo grazie alla relazione con
il Tu”-> qui Buber riprende quello che aveva già detto nel suo saggio “L’io e il Tu all’interno del
principio dialogico”-> Io esiste solo in relazione con il Tu e grazie a questa relazione -zwischen->
che possono esistere i dialoghi con gli altri , i rapporti interpersonali.

Alcune citazioni che ci fanno capire di cosa si tratta questo regno dell’interrelazione.
”Solo l’uomo che attua nella sua intera vita con tutto il suo essere le relazioni a lui possibili ci aiuta
a conoscere veramente uomo”.

“il singolo non avrà spezzato la sua solitudine se non quando egli conoscerà nell’altro in tutta la
sua alterità sé stesso, l’uomo. Se non quando di qui aprirà un varco verso l’altro, in un incontro
serio e trasformante ”.

“il fatto fondamentale dell’esistenza umana è l’uomo con l’uomo”.

“Al di là del soggettivo e al di qua dell’oggettivo ( qui riprende quello che diceva su Individualismo
e Collettivismo) vi è il regno dell’interrelazione, nella vetta dove l’io e il Tu si incontrano”

La vetta non è una mediazione , non è un compromesso, non è una mediocrità per dirla alla
kirkegaard. La relazione con l’altro- il regno dell’interrelazione è una vetta particolare-molto alta-
difficile da scalare, è una conquista , un picco , un eccellenza dove l’io e il tu si incontrano, dove
l’io capisce (per dirla con le parole del cammino dell’uomo) la vera conoscenza di sé stesso è
appunto un essere aperto. Un essere che incontra l’altro che (in quel caso del cammino dell’uomo
è proprio Dio).

L’uomo è essenzialmente DIALOGO, Buber può essere considerato uno dei padri di quella branca
della filosofia denominata Filosofia del Dialogo.

Buber ci dice “ considera l’uomo con l’uomo e vedrai che ogni volta la dualità dinamica che è
l’essenza dell’uomo”. La vera antropologia per Buber è una Dualità dinamica.

“Qui , colui che dà e là colui che riceve, qui la forza che assale e là la forza che resiste, qui lo stato
di colui che interroga là lo stato di colui che risponde, sempre due in uno, completandosi l’un
l’altro nel reciproco impegno mostrano l’uno l’altro l’hom.”

“alla risposta alla domanda che cos’è l’uomo? Saremo più vicini se impareremo a comprendere
nell’uomo l’essere nel cui stato dialogico, nel cui reciproco attuale essere in due, si realizza e si
riconosce ogni volta l’incontro dell’uno con l’altro”.

Eravamo partiti all’inizio di questo testo con la domanda Che cos’è l’Uomo?. E Buber sembra
finalmente dare una risposta ora.

Risposta: che cos’è l’uomo? L’uomo è relazione, l’uomo è dialogo, l’uomo è incontro con l’altro,
l’uomo è l’essere che possiede uno stato dialogico, in questo stato dialogico che è un “essere 2” ,
l’uomo è un essere 2 nel cui reciproco e attuale essere 2 si realizza e si riconosce ogni volta
l’incontro dell’uno con l’altro.

Nell’uomo, in questo uomo, in questo essere umano che possiede appunto un carattere dialogico
si realizza ogni volta l’incontro dell’uno con l’altro. E’ una struttura che appartiene all’uomo questo
della relazione , è qualcosa che l’uomo può ottenere , può avere in modo non sempre garantito ma
fragile e costruito giorno dopo giorno, quotidianamente attraverso l’incontro con l’altro.

Conclusione
Esempio di che cos’è per Buber questo zwischen, di che cos’è questa relazione “Può accadere che
nella penombra di una sala da concerto, tra due ascoltatori che non si conoscono ma che
percepiscono con la stessa purezza qualche nota di Mozart si stabilisca un rapporto dialogico
appena avvertibile e tuttavia elementare, e che da tempo sarà già sprofondato nel nulla, quando si
riaccenderanno le luci”.

Questo è il dialogo , questa è la relazione, qualcosa che appunto desta quasi una sorta di magia ma
che ci fa sottolineare al contempo/tempo stesso la fragilità dell’umano, la fragilità della relazione
quando si riaccenderanno le luci questa magia sarà finita, non è qualcosa che accaduto prima di
questo concerto , non è qualcosa che andrà avanti dopo quasi in modo garantito, quasi in modo
da essere guadagnato per tutta la vita, è qualcosa che avviene in quel preciso momento , è
qualcosa da conquistare giorno dopo giorno, incontro dopo incontro.

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