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XXXVI PLUTARCO Giuseppe, che ha visto la piti efferata guerra di repressione ro- mana contro sudditi dell’impero, definisce — con terminologia tuci- didea — lo scontro tra Roma e Gerusalemme «la guerra pit grande non solo dell’eta nostra ma di quante sappiamo, dalla tradizione, che si sono svolte tra citta o tra nazioni». Il suo coetaneo Plutarco (nato tra il 40 e il 45 d.C.) guarda il mondo unificato dai Romani dal suo pacifico osservatorio di Cheronea e raccomanda, nei suoi Precetti politici (composti non molto dopo la morte di Domiziano) di «tener l’occhio fisso ai calzari dei Romani che sono al di sopra del tuo capo» (813E). Giuseppe aveva cercato di persuadere i suoi connazionali e correligionart ad accettare una prassi di collabora- zione che assicurasse ai maggiorenti del suo popolo quel rango di «ottimi dell’impero» (secondo I’espressione di Elio Aristide) che i ceti elevati del mondo greco hanno rivendicato non senza succes- so: ma é rimasto tagliato fuori dal suo retroterra. Per una tradizio- ne come quella ebraica un tale accomodamento era alla lunga im- possibile sul piano culturale e religioso. Non a caso lo stesso Giu- seppe é indotto ad imboccare la strada dell’aspra polemica e del- l’apologetica contrapposizione rispetto alla cultura greca, pitt ‘gio- vane’ dell’ebraica, eppur cosi arrogante (Contro Apione). Plutarco da vita ad un’opera monumentale, le Vite parallele, che mira a rap- presentare (ed a giustificare storicamente) la ‘condirezione’ greco- romana del vasto impero. Con Plutarco ha inizio una letteratura che riflette sul significato dell’esperienza costituita dal predominio ‘mondiale’ romano. Non si tratta pid: — come in Polibio — della ‘pre- visione’ (ottimistica) della durata dell’impero nascente, ma di un bi- lancio sulla tenuta della singolare e composita compagine. Plutarco proveniva da una famiglia dotata, come é stato osser- vato, di una specie di «diritto ereditario alla supremazia locale» 664 L’egemonia romana (CP. Jones). Un periodo di viaggi in eta giovanile lo ha condotto a visitare Alessandria, Atene, Roma. E probabile che fosse a Roma quando Domiziano ruppe con l’ala pit tradizionalista del Senato (93/94 d.C.) e decreté la «cacciata dei filosofi» da Roma e dall’Ita- lia (gli intellettuali greci colpiti dal provvedimento é da pensare che fossero in rapporto pit’ o meno esplicitamente politico con espo- nenti dell’opposizione senatoria). Il bando potrebbe aver colpito anche Plutarco, che perd aveva un influente protettore in Sossio Se- necione (il quale nel 99 d.C. e poi ancora nel 107 sarebbe stato con- sole: una delle figure-chiave del principato traianeo). Ed é appunto sotto Traiano che si é svolta anche la carriera pub- blica di Plutarco. Secondo una notizia della Suda (voce Plutarco) Traiano avrebbe concesso a Plutarco gli ornamenta consularia (tiv tav bnétwv dE(av) e gli avrebbe addirittura attribuito una non defi- nita autorita sui governatori residenti nella penisola balcanica (xat& ti ’TAAugida): nessuno di loro avrebbe dovuto operare senza con- sultarsi con Plutarco. Secondo una notizia che nel Chrontcon di Eu- sebio figura all’anno 119 d.C., al principio del regno di Adriano, a Plutarco, ormai «vecchio», sarebbe stata affidata addirittura una «cura» della provincia Acaia (emutgomevew *EhGd0s). E difficile pensare che dawvero all’anziano notabile di Cheronea venissero affi- dati incarichi ufficiali di questo genere: é da pensare piuttosto ad un crescente suo prestigio politico (Ziegler) dovuto in non piccola mi- sura al personale rapporto con | entourage pit vicino a Traiano. Di ta- le prestigio é anche un segno il fatto che il suo nome figuri, con la de- signazione di «curatore» (émusentig), in una iscrizione posta sulla base della statua innalzata a Delfi per Adriano nel momento della sua ascesa al trono (Syl/> 829). Limpegno politico-amministrativo di Plutarco rappresenta bene i comportamenti (e la visione del proprio posto nella compagine imperiale) propri dei gruppi dirigenti filoro- mani!. La tutela degli interessi della propria regione, o anche della propria cittadina, diventa preminente preoccupazione di questi gruppi dirigenti: é il modo in cui essi vedono concretamente attuar- si quella ‘condirezione’ dell’impero che non poteva certo essere im- postata — ed essi ne erano ben consapevoli — su di un piano di parita. Di qui la considerazione seria in cui é tenuto, ad esempio da Plutar- co, un provvedimento visto di solito come una stravaganza letteraria, quale la «liberazione» della Grecia da parte di Nerone: un gesto che non dovrebbe essere sottovalutato dai moderni, gia solo se se ne con- sidera la portata concreta, sul piano dell’esenzione dai tributi da ver- XXXVIII. Plutarco 665 sare a Roma, (II che aiuta a comprendere quel messianismo filonero- niano di cuis’é detto a p. 646.) Di fronte al problema, centrale, del rapporto col potere romano, Plutarco non perde mai di vista la nozione dei rapporti di forza. Nei Precetti politici é questo il tema dominante. La cornice in cui i «pre- cetti» vengono inquadrati é quella di un trattatello destinato a sod- disfare un conoscente, Menemaco, notabile di Sardi, il quale, doven- do assumere cariche pubbliche nella sua cittadina, si é rivolto a Plu- tarco per ottenere da lui un efficace compendio in materia. «In qualunque carica uno entri — @ questo il succo della precettisti- ca politica plutarchea — [...] deve ripetere a se stesso anche questo: “co- mandi, ma sei a tua volta comandato, comandi su una citta sottoposta a proconsoli, luogotenenti di Cesare [...] Devi imitare quegli attori i qua- li trasmettono all’azione drammatica sentimenti, carattere, dignita loro propri, tuttavia ascoltano il suggeritore e non trasgrediscono i ritmi e i limiti del potere concesso da chi esercita il dominio”. L’errore [in am- bito politico] — ammonisce — non comporta le conseguenze che com- portano gli errori di recitazione, fischi, sberleffi ecc.; si tratta di altro: su molti “si abbatté la terribile scure tagliatrice di gole”, come ad esempio si abbatté sul vostro Pardala e sui suoi seguaci, che avevano dimentica- to i propri limiti» (813F). Non vi é percié - prosegue Plutarco — retorica pit deleteria di quella che si richiama continuamente al «modello degli antenati»: «Quando vediamo dei bambini che tentano di infilarsi le scarpe pa- terne o provano a mettersi sulla testa le corone, evidentemente ridiamo; ma i governanti che nelle citta incitano ad imitare opere, sentimenti, azioni degli antenati che non sono pitt adeguate ai tempi, in realta ecci- tano le masse, e se anche il loro comportamento é ridicolo, non c’é nul- la da ridere, c’é, piuttosto, da disprezzarli» (814A). E qui Plutarco tocca il tema dell’uso legittimo del passato: un ar- gomento che riguarda da vicino proprio l’opera sua maggiore, le Vi- te parallele. Nei Precetti politica la linea che esprime é quanto mai restrittiva: «Ci sono tante altre imprese degli antichi Greci raccontando le qua- li ai contemporanei l’uomo politico pud formare i loro costumi ed edu- carli: per esempio ricordando di Atene non le imprese guerresche ma la 666 Liegemonia romana natura del decreto per l’amnistia al tempo dei Trenta, o la multa inflit- ta a Frinico che aveva messo sulla scena la presa di Mileto [...] La bat- taglia di Maratona invece, dell’Eurimedonte, di Platea, e gli altri esem- pi che fanno gonfiare vanamente il popolo, tutto questo va lasciato alle scuole dei sofisti» (814BC). Nelle Vite, l’idea di base & quella dell’accostamento fra un per- sonaggio greco ed uno ‘analogo’ romano. Una tale impostazione & coerente con la visione plutarchea della ‘condirezione’ greco-roma- na dell’impero (a preferenza dunque di altre nationes); e inoltre ha di mira una rivalutazione del passato greco, che certo non si realiz- za nelle ingenue forme che fanno «gonfiare vanamente il popolo». Con un puntiglio quasi scolastico le coppie di vite sono seguite ogni volta da un «raffronto» (otyxguotc), che non di rado deprime il per- sonaggio romano rispetto a quello greco (per esempio Crasso ri- spetto a Nicia, Lucullo rispetto a Cimone, ma anche Cicerone ri- spetto a Demostene ecc.). Ma in certi casi non veniva prospettato nessun ‘parallelo’ greco, come nel caso di Augusto, fondatore del- Vimpero (Alessandro viene posto accanto a Cesare). Delle Vite pa- rallele & andata perduta proprio quella che doveva essere — come intui Wilamowitz - la prima coppia (Epaminonda, il massimo «eroe» tebano, particolarmente caro percid a Plutarco, e Scipione): cosi non abbiamo la prefazione generale che Plutarco aveva sicura- mente premesso all’intera raccolta, e nella quale probabilmente, ol- tre ad illustrare i criteri della composizione, avra fornito indizi pre- ziosi sui tempi di elaborazione di un’opera cosi vasta. La lista che ci consente di constatare la perdita della coppia Epami- nonda-Scipione (e anche di altre vite) é il cosiddetto «Catalogo di Lam- pria». E in realta un catalogo, abbastanza caotico, dell’intero corpus plu- tarcheo, tramandato in alcuni manoscritti, per lo pit preceduto da una lettera (ma in qualche caso privo di tale preambolo): esso viene attri- buito ad un fantomatico Lampria figlio di Plutarco sulla base della no- tizia della Suda secondo cui «Lampria, figlio di Plutarco, compose il xt- yak delle opere paterne». Il figlio di Plutarco si chiamava invece Auto- bulo (Sy/l? 842); e probabilmente é proprio sulla base della inesatta no- tizia della Suda che é stata, piuttosto tardi, confezionata la lettera pre- posta al catalogo, che non a caso in alcuni codici manca. E anche probabile che nella prefazione generale Plutarco af- frontasse il problema ineludibile al quale di tanto in tanto fa riferi- XXXVII. Plutarco 667 mento in altre prefazioni a singole vite: é il problema tipicamente moderno di giustificare perché si riscriva una storia che é stata gia scritta ed & disponibile in fonti venerabili. E il tema con cui si apre la Vita di Nicia, uno di quei proemi appunto nei quali Plutarco co- glie occasione per un chiarimento teorico sul senso del proprio la- voro. Su un tema come la campagna di Atene contro Siracusa - & questa la premessa — esiste gia una grande storiografia (Tucidide, Filisto): Plutarco non intende gareggiare con quei grandi, non rac- contera se non lo stretto indispensabile dei fatti che altri hanno gia narrato; si concentrera sul carattere del personaggio e «sul suo mo- do di pensare e di agire (todxov xai du4Ge0w)», alla comprensione dei quali molto giovano «gli elementi in genere trascurati (ti dv- gebyovta tovs TOAAONS)» reperibili qua e la in altro genere di fonti rispetto alla storiografia ‘alta’ o anche «in documenti quali iscrizio- ni su ex-voto e antichi decreti» (Nécéa, 1,5). Plutarco non replica percié il racconto del grande dibattito fra Nicia e Alcibiade prima della spedizione; non intende ridicolizzarsi come accadde a Timeo; sa invece che ci sono altre fonti, e sa interrogarle. Studioso della mentalita superstiziosa (non solo nel trattatello Sulla superstizione ma anche nei vari suoi scritti riguardanti il mondo ruotante intor- no all’oracolo delfico), Plutarco trova nell’Atene della vigilia sici liana uno straordinario terreno d’indagine; e cosi recupera al do- minio della storia un tassello poco gradevole e non molto noto del- la citta democratica: quel magma umano che resta solo adombrato se non escluso dal filtro potentemente selettivo del racconto tuci- dideo. Plutarco awverte la unilateralita del racconto tucidideo; sa che Tucidide e Filisto sono gli storici sommi, e li cita con la dovu- ta deferenza e vi attinge l’impianto del racconto, ma sa anche rica- vare da fonti d’altro genere «le cose che sfuggono ai pit»: una sto- ria pid ricca, per nulla «inutile» (yonotos) ma anzi giovevole alla comprensione dei caratteri e dell’ethos. In certi casi il racconto dei fatti viene presupposto. Altre volte si tratta di cenni rapidi ad episodi che il lettore doveva gia conosce- re. agile racconto biografico che ne risulta é piuttosto un Essai al- la maniera di Montaigne o dei «philosophes», centrato sulla com- prensione di un carattere visto come motore di determinate vicen- de; 0, meglio, sulla comprensione di una coppia di caratteri. Giacché la scelta di dar vita ad una coppia di personaggi é par- te non secondaria di tale comprensione. Lidea che sorregge le Vite parallele & infatti quella della comprensione attraverso |’analogia: 668 L'egemontia romana analogia dei personaggi, ma anche, e talora in primo luogo, delle si- tuazioni. Proprio perché la grande storia é gia stata scritta e si trat- ta piuttosto di capirla, l’analogia costituisce una via preziosa alla comprensione e la biografia — che privilegia todxov xai Sud0eow — ne é lo strumento pid idoneo. Intorno a questa scelta fondamenta- le, Plutarco viene rapsodicamente delineando, in alcune prefazioni, una sua idea della comprensione storica. Ne fa parte il felice para- gone tra li storici ed i cartografi (Vita di Teseo, 1); ne fa parte il gia citato criterio dei duapetyovta — elementi marginali ma significati- -, e ancora la teoria del rispecchiamento espressa, col paragone appunto dello «specchio», nella prefazione alla coppia Emzlio Pao- lo/Timoleonte (1,1-2). E una concezione che ha qualche punto in comune con I’idea aristotelica della catarsi, dell’analogia che lo spet- tatore (in questo caso il lettore) istituisce tra se medesimo ed i xa- Ohara dell’eroe al quale si accosta: «Cid che si verifica - osserva Plutarco — altro non é che una simzbiosi: essa si determina nel mo- mento in cui accogliamo, per cosi dire, in noi stessi ciascuno dei personaggi ricevendoli in not attraverso il racconto». Analogia, rivivimento, biografia. Il proclamato fine educativo nulla toglie all’originalita di una tale visione della conoscenza stori- ca. Il genere biografico é dunque per Plutarco la forma naturale di una ‘moderna’ riflessione sul passato, su di un passato gia ampia- mente narrato da antichi storici di gran nome. La storia é gia stata scritta: per i moderni una via per capirla (0, meglio, per valutarla) élanalogia tra grandi protagonisti di epoche decisive. Nelle coppie che viene costituendo sono in genere accostati un personaggio pit noto, 0 piit vicino all’esperienza culturale dei suoi lettori, ed uno che lo é di meno: é tipico del procedimento analogico passare dal noto all’ignoto o al meno noto. Nella premessa alla Vita di Teseo, dove paragona gli storici ai car- tografi, Plutarco procede anche ad una delimitazione dello «spazio» della storia, alla maniera del proemio erodoteo: cid che viene pri- ma di Licurgo, o di Numa, @ fuori della «carta, «non pud essere creduto, e non é per nulla chiaro». Si direbbe che i periodi storici prescelti, nei quali si addensa il maggior numero di Vite, siano I’e- poca classica ateniese, il primo secolo dell’Ellenismo, a Roma l’eta delle guerre civili. E in questa scelta un notevole indizio dell’idea della storia greca e romana che Plutarco dimostra di avere. In cer- ti casi l’accostamento di due personaggi é, di per sé, una interpre- tazione: accostare ad esempio Fabio Massimo, cunctator inascolta- XXXVIII. Plutarco 669 to, a Pericle significa mettere in chiaro in modo immediato la ca- ratteristica capitale della politica periclea e V’ostilita di cui fu cir- condata; cosi l’accostamento dei re riformatori di Sparta ai Gracchi illumina il carattere arcaico e ‘restauratore’ dei presupposti da cui nasce l’iniziativa graccana. Loperazione interpretativa compiuta da Plutarco con le Vite parallele ha privilegiato le due grandi epoche della storia greca e romana, contribuendo ad imporle alla successi- va periodizzazione; ed ha fissato un pantheon dal quale é rimasto fuori cid che lui ha deciso di lasciar fuori. Plutarco é anche il tramite attraverso cui raggiungiamo una rilevante, ma in gran parte non superstite, ‘biblioteca’ storica. L’indagine sulle fon- ti delle Vite e delle cosiddette Opere morali & un campo sterminato nel quale si é cimentata a lungo la perizia filologica dei moderni. Notevole & il catalogo degli autori che Plutarco nomina o di cui cita pid’ o meno am- piamente gli scritti. Il quesito che si é posto é: in che misura i contesti in cui figurano tali citazioni dipendano dalle opere citate, al di la della vera e propria, esplicita, citazione. II presupposto, legittimo, @ che lavorando appunto su fonti molteplici, Plutarco ne sia influenzato anche la dove non lo dichiara esplicitamente; che cioé il suo racconto dipenda da Duride, o da Teopompo ece. anche nel contesto narrativo in cui figura la puntuale ci- tazione esplicita (e spesso molto delimitata) da Duride, Teopompo ecc. Criterio rischioso, che nelle indagini ottocentesche ha dominato, e che pud condurre a notevoli arbitri. Un esempio istruttivo é il caso della Vita di Crasso. Qui la isolata citazione — al principio della biografia — dallo sto- rico latino Fenestella (Crasso, 5,6) indusse sia il Peter — cui si deve un gran- de saggio ottocentesco sulle fonti di Plutarco — sia Regling (studios ap- punto della biografia di Crasso) ad attribuire a Fenestella tutta la prima parte della biografia plutarchea (almeno i capitoli 1-16). Per la seconda parte (17-33), dove mancano espliciti riferimenti ad altri storici, si pensd bene di ‘pescare’ il nome di una fonte tra quelle che altrove Plutarco no- mina, ¢ la scelta cadde su Strabone, i cui ‘Ynouviqata toroguxé comin- ciarono da allora a gonfiarsi di arbitrari apporti plutarchei?. Successivamente si fece strada — ed é ormai atteggiamento prevalen- te — la tendenza ad attribuire il massimo ruolo (nella valutazione di sin- goli episodi e nelle valutazioni complessive, nella disposizione della ma- teria, nella costruzione dell’intreccio ecc.) alla raffinata e sapiente co- struzione plutarchea: la sua opera biografica non poteva essere ridotta ad una mera giustapposizione di fonti pitt o meno facilmente identifica- bili ad un esame stratigrafico, ma era piuttosto la sintesi elaboratissima (e percid impervia ad analisi meccanicistiche) di una complessa tradi- zione culturale, filtrata attraverso una personalita notevole e ricchissima 670 L’egemonia romana (oltre che filosoficamente e ideologicamente agguerrita). Altrettanto ri- schiosa percid appare la teoria, che anche ha avuto fortuna, di una pre- sunta ‘fonte intermedia’ alla quale Plutarco farebbe capo (in particolar modo per le vite dei personaggi romani). Plutarco é in realta, si potreb- be dire, la ‘fonte intermedia’ di se stesso: é a lui che si deve la rielabo- razione del grande patrimonio della storiografia classica. Pit: che debi- tore rispetto ad una vulgata, é a lui che si deve, in buona misura, la for- mazione di una influente «vulgata» interpretativa delle epoche ‘decisi- ve’ (e ritenute tali anche per suo influsso) della storia greca e romana. Una funzione analoga ha svolto la sua vasta opera di divulgazione ¢ rie- sposizione della filosofia platonica (il suo pit impegnativo trattato filo- sofico é costituito appunto dalle Questioni platoniche; la sua pitt aspra polemica é contro gli epicurei: ad esempio nel trattato Contro Colote, il devotissimo scolaro diretto di Epicuro). Lungo la strada che porta ad un sincretistico ‘assestamento’ a base neoplatonica del pensiero classico (in opposizione ma anche in fecondo contatto col pensiero cristiano) la «vulgata» plutarchea ha importanza notevole. Di qui lo straordinario ap- prezzamento di cui la sua opera ha goduto presso i Bizantini: particola- ri cure vi dedicd Massimo Planude (Pautore dell’antologia di epigram- mi detta «planudea»), il quale, alla fine del XIII secolo, raccolse e riuni le opere ‘morali’ di Plutarco dette appunto cosi perché Planude pose in principio della raccolta gli "H@ixé. Note ' Esempio meno noto é quello di Sostrato di Beozia, conterraneo e coetaneo di Plutarco, il quale viveva sul Parnaso, combatteva i briganti e faceva costruire strade, secondo una accurata e ammirata testimonianza di Luciano (Demonace, 1). 2 Raccolta dei frammenti curata da P, Otto nel 1889, poi «sgonfiata» nelle suc- cessive raccolte: cauto pit di tutti Jacoby.

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