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Le potenzialità terapeutiche della musica nell’ascolto, nella produzione e

riproduzione creativa: scienze umane e neuroscienze in dialogo


-Com’è possibile intraprendere la formazione del musicista con serenità?
Teoria delle intelligenze multiple: fino alla prima metà del 900 si pensava che l’intelligenza fosse
identificabile con una capacità monolitica, misurabile in tutti gli individui anche attraverso test di
valore scientifico. A scardinare la convinzione fu Howard Gardner, che introdusse la teoria delle
intelligenze multiple, secondo la quale non esiste una forma globale di intelligenza, ma diverse
forme di essa ognuna indipendente dalle altre, anche se interconnesse:
-intelligenza linguistica;
-logico-matematica;
-musicale;
-visuo-spaziale;
-corporeo-cinestetica;
-interpersonale;
-intrapersonale;
-naturalistica;
-esistenziale.
Le capacità cognitive dell’essere umano sono complesse e diversificate.
Intelligenza musicale: è un’intelligenza multipla, perché occorrono diverse intelligenze per poter
suonare. Il cuore dell’intelligenza musicale è la sensibilità ai suoni e al linguaggio della musica. La
sensibilità ha a che fare col sentire e ascoltare; quando lo studente è consapevole della propria
sensibilità musicale sa di essere versato nella musica.

-La musicoterapia è in grado di dare indicazioni rispetto allo sviluppo e alla crescita dell’intelligenza
musicale?
Come funziona la memoria? La memoria è una funzione psichica e neurale, è presente a vari livelli
in tutti gli animali. Anche nell’apprendimento musicale è fondamentale: avvalersi della memoria
uditiva, motoria, tattile, etc. concatenate tra loro in modo logico è necessario per praticare la
musica. Molto spesso di memorizzano brani affidandoci alla memoria muscolare, senza
considerare la memoria profonda dei suoni, necessaria per un apprendimento profondo a lungo
termine. Anche nella pedagogia musicale è importante sapere da dove partire: l’intelligenza
musicale si sviluppa a partire dall’ascolto e non dalla lettura, come si impara a leggere dopo che si
è imparato a parlare (grazie all’ascolto).
-La consapevolezza del valore terapeutico della musica: cosa succede a chi ascolta chi suona?
La musica ha un’applicazione terapeutica, non solo in ambito clinico, ma anche per curare la
qualità psicologica della vita e in ambito preventivo. Durante la formazione e la professione del
musicista è facile perdere di vista la finalità esistenziale della musica e ciò porta a una perdita di
entusiasmo. Ogni musicista per vivere con entusiasmo la sua professione deve aere la
consapevolezza della sua “missione”: l’arte è bellezza e come tale va coltivata. “La gioia è
un’emozione donata dalla bellezza”: le emozioni che si possono comunicare sono molteplici,
talvolta non positive. Il musicista, quindi, attraverso la bellezza riesce a suscitare emozioni in chi
l’ascolta.

La musica è una lingua e come tale entra in noi per osmosi grazie all’ambiente in cui viviamo: ne
acquisiamo i meccanismi prima di andare a scuola. La capacità di capire il linguaggio della musica è
acquisito da noi fin dalla tenera età. Jones Lopoda ci parla della musica come qualcosa che ha delle
strutture profonde che accomunano il linguaggio musicale intorno a tutto il mondo: è un
fenomeno culturale che si forma con diverse sovrapposizioni nel corso dei secoli. Questi linguaggi
sono una sorta di dna culturale del genere umano, quindi sono qualcosa già presente in noi,
poiché è dna del genere umano. Bastano poche note per riconoscere una melodia, una cadenza di
accordi per costruire una melodia, che non conosciamo ma che è già scritta nel linguaggio
musicale. Cellule melodiche, attraverso tensioni e distensioni, contribuiscono a creare frasi
musicali.
Le regole del linguaggio musicale ci permettono di intenderci alla perfezione: quando arriviamo al
“fare musica”, le cose si complicano perché si esce dalla dimensione linguistica musicale e si rischia
di affidare tutto al senso della vista, senza dare importanza all’udito, che in realtà è il senso
primario necessario alla musica e all’orecchio interno, che è il motore del linguaggio musicale: è
quello che porta alla consapevolezza dell’atto del fare musica, senza il quale viene vissuto in
maniera non sana, senza la giocosità che fa parte di ogni linguaggio. Nel fare musica dobbiamo
recuperare la dimensione linguistica, quindi la dimensione del “gioco”, per riconoscere gli elementi
ritmici, delle cadenze e semplificarli al massimo per poterne godere a pieno: è il principio che ci
aiuta ad educare l’orecchio interno e ci abitua ai meccanismi che utilizziamo ogni volta che
facciamo musica.
Musicoterapia clinica: momento del dialogo sonoro. Nell’esperienza sonora del musicoterapeuta è
importante la dimensione del silenzio, perché dal silenzio irrompe il suono. C’è un passaggio
importante tra il sentire (passivo) e l’ascoltare (modo attivo, partecipe). Dialogo sonoro significa
esprimersi attraverso la musica: a una domanda musicale corrispondono sempre una o più
risposte, a seconda del soggetto. La scuola di musicoterapia britannica sostiene che all’interno di
un dialogo sonoro siano indispensabili 3 passaggi: l’esposizione di un’idea semplice, il fatto che
l’idea venga compresa (comprendendo il gesto motorio dell’idea) e infine trasformata grazie al
dialogo che si forma tra l’io e il tu. Ci sono elementi base del linguaggio musicale che ci
permettono di afferrare il senso gestuale della cellula sonora. In musicoterapia si può comunicare
anche con la voce, col corpo e i gesti, non solo con la musica, ma con il suono in generale: mentre
l’altro sta suonando si cerca si entrare in empatia con lui attraverso la comunicazione non verbale;
bisogna sintonizzarsi con il corpo dell’altro per capire ciò che vuole comunicarci. La corporalità del
paziente è quindi una vera e propria partitura vivente.
Arpaterapia: strumento collegato ai vissuti spirituali ormai da millenni, concretamente ha le corde
libere di suonare e ci permette di assistere all’effetto della risonanza, dovuto all’effetto
dell’oscillazione che una corda ha sulle altre (le corde che non tocco direttamente oscillano per
effetto dell’unica corda che ho pizzicato). La risonanza è una realtà fisica: le vibrazioni sono più
percettibili avvicinando le mani alla cassa dell’arpa; rilassando il corpo la risonanza è maggiore,
perché noi siamo esseri vibranti. Scegliendo di irrigidirci si crea una sorta di scudo e la risonanza
viene meno. La risonanza è anche emozionale e mentale: la musica è una comunicazione affettiva
soggettiva; ognuno quindi percepisce le cellule melodiche in modo diverso. Se siamo più aperti ad
accogliere il suono, più rilassati, con un atteggiamento di apertura alla risonanza, diventiamo noi
stessi cassa di risonanza e il risultato è un suono è più abitato e pieno.
L’ideale sarebbe vivere la musica in modo pieno, entrare nella musica per avere un’esperienza
diversa: il corpo entra in una fase di creazione senza giudizio, ed è importante per la nostra
creatività; il corpo risulta così più attivo e reattivo.

Chi suona e utilizza la musica deve rendersi conto che l’orecchio è un organo altamente
specializzato, ma la musica viene ascoltata da tutto il corpo, poiché viene investito dall’onda
sonora; quando ascoltiamo o emettiamo un suono nella parte anteriore del copro abbiamo
numerose zone che raccolgono le informazioni, che successivamente vengono tradotte dal sistema
nervoso. L’orecchio è direttamente collegato alla modalità di organizzazione del suono: la funzione
di ascolto entra in gioco in ogni momento della nostra vita e in maniera approfondita quando si
ascolta e si produce la musica. L’orecchio umano è formato da: orecchio esterno (ultima parte che
si forma), che enfatizza le frequenze tipiche del linguaggio umano (800-4000hz), orecchio interno,
formato da una parte cocleare e una vestibolare: la parte cocleare trasmette le informazioni alle
cortecce superiori, mentre la parte vestibolare manda i suoni direttamente ai muscoli (l’orecchio è
di per se un organo psicomotorio, perché coinvolge zone collegate al corpo e ala mente). Quando
suoniamo uno strumento abbiamo bisogno di aspetti motori raffinati e precisi che devono essere
appresi, ma la produzione dei movimenti è collegata alla possibilità di adattarli a ciò che
percepiamo come suono. Queste due azioni hanno quindi un punto di incontro e regolazione
comune. La parte vestibolare dell’orecchio è collegata più agli aspetti ritmici della musica, mentre
quella cocleare è più specializzata nelle frequenze acute (analisi musicale). Anche l’aspetto
emotivo viene sollecitato quando ascoltiamo musica, perchè produce delle dinamiche dentro di
noi che riguardano tutto il nostro insieme (emotivo, corporeo e mentale).
Ogni organo di senso trasporta un’informazione specifica e trasporta un’informazione più globale:
la musica in questo senso svolge un ruolo fondamentale perché segue delle vie nervose diverse;
dopo pochi secondi una musica ha già trasmesso tanta energia e ci ha investito dal punto di vista
emozionale. Nel sistema nervoso abbiamo la sostanza reticolare, che è un accumulatore di
energia, ricaricabile con le informazioni che vengono dall’ambiente: ogni organo di senso manda le
informazioni a questa struttura e quelle che arrivano dagli occhi e dalle orecchie sono privilegiate.
L’atto di ascoltare è una dinamica globale, che è continuamente in azione dentro di noi e da parte
della musica può essere mossa ed educata: la musica non ha bisogno di filtri per poter entrare
direttamente nel nostro sistema di ascolto, che può essere aperto verso il mondo e verso di noi
(rispetto al nostro interiore); fare musica vuol dire mettere in contatto il mondo interiore con
quello esteriore. L’emozione che arriva dalla musica e la conseguente energia ha un collegamento
immediato con la parte periferica muscolare e con la parte corticale superiore: quando ascoltiamo
o produciamo musica, il corpo avrà una certa postura, ma anche la parte superiore del cervello
cercherà di fare il meglio possibile rispetto all’obiettivo. A livello temporale le parti del sistema
nervoso energetico sono attivate immediatamente e contemporaneamente. Il corpo è come
un’antenna che si può orientare e ci aiuta a essere pronti a ricevere ciò che siamo disponibili a
ricevere: questo perché il corpo è il primo che riceve l’impatto del suono, che arriva colpendo la
nostra fisicità, facendo risuonare il corpo come uno strumento musicale. Attraverso proprio la
vibrazione corporea ci mettiamo quindi in ascolto: ognuno può scegliere se ricevere o no la
comunicazione.

Ascoltare significa mettersi in comunicazione, recepire i messaggi; nella musica ci sono vari livelli di
ascolto: sensoriale ed emotivo, che deve restituire dei messaggi comunicativi (ascolto a 360°).
Che cosa ascoltare? Per poter dire qualcosa è fondamentale prima ascoltare; è molto importante
che il musicista si apra al mondo dei suoni, al di là dei suoni organizzati del linguaggio musicale.
Rapporto suono/silenzio: il valore del silenzio è costitutivo della dimensione dell’ascolto, non è
mai un’assenza di suono, ma è denso di piccoli suoni che stanno sulla scena percettiva.
Ascoltare significa percepire ciò che non viene detto: la musica ci permette di ascoltare qualcosa
che non sono solo parole. Declinando l’ascolto in sentire, si può anche sentire con il corpo ciò che
si sta suonando.
Dal punto di vista neurofisiologico sentire è un fenomeno passivo, ascoltare è invece un processo
che richiede un’attenzione selettiva: si ricevono informazioni che vengono raccolte e interiorizzate,
alle quali vengono poi date delle risposte.
La musica è un tramite perché l’ascolto possa avere un significato, sia per chi suona, sia perchè lo
riceve: chi produce dei suoni fa suonare l’insieme che rappresenta una modalità di essere propria
del nostro essere persone. Ognuno si arricchisce attraverso l’ascolto, quindi è uno strumento che
fa stare bene, sia chi la fa, sia chi la riceve.
Ciò che riguarda la musicoterapia può essere applicato anche ai musicisti che suonano assieme: in
una situazione libera di creatività, c’è poca distinzione tra se stessi e lo strumento e c’è molto
ascolto tra i musicisti (dialogo sonoro).
Il nostro primo dialogo sonoro è quello che ognuno di noi ha con la propria madre, e quando
cresciamo ci costituiamo nel nostro essere più profondo attraverso questo tipo di ascolto, che va a
costituire la base emotiva, comunicativa, di relazione che ci darà la nostra forma di struttura
emotiva e relazionale.
L’esperienza sonora bypassa la distanza sociale: il corpo e la pelle sono toccati dalle onde sonore;
la possibilità di fare musica ci permette di recuperare una comunicazione più autentica. L’ascolto
dell’altro è capacità di entrare in empatia (in musicoterapia è fondamentale); il dialogo sonoro può
avvenire attraverso diversi canali, ma bisogna essere pronti a una risposta empatica: l’empatia è
una capacità che va allenata, nonostante sia innata, è la capacità di entrare in “risonanza” con
l’altro; bisogna però “accordare” noi stessi, lasciare che le nostre corde siano libere di suonare, per
poter accogliere l’altro. Saper ascoltare può anche voler dire non ascoltare, cioè ripararsi da
qualcosa in un determinato momento, l’ascolto deve adattarsi alle esigenze di ognuno, è qualcosa
di dinamico che cambia a seconda del soggetto.
La creatività è un aspetto legato alla metodologia con cui una persona si approccia alla musica: più
abbiamo la possibilità di “giocare” e sperimentare con la musica, più la creatività ha spazio per
poter esistere. Innanzitutto bisogna autorizzarci a essere creativi, in cui gioca un ruolo
fondamentale l’immaginazione: immaginare una melodia, il concatenamento dei suoni, può essere
un punto di partenza per fare musica in maniera creativa. Ognuno è libero di interpretare una
cellula sonora una volta che l’ha compresa; è un passaggio chiave, che permette di recuperare la
dimensione corporea nella musica.
Nel momento in cui suoniamo, la musica produce un’immagine, che può essere visiva o sensoriale:
il collegamento suono-immagine è importante perché l’orecchio e gli occhi sono direttamente
collegati da una serie di punti e sono un esempio di funzionamento interconnesso (le immagini
visive e uditive corrono in vie parallele del sistema nervoso): se educo ad ascoltare la musica,
educo l’insieme funzionale. Si ritorna sempre all’esperienza corporea e alla multisensorialità:
un’unica esperienza di suono può far riemergere diversi vissuti nel soggetto. Chiunque si approccia
al fare musica riesce ad entrare nel valore comunicativo del linguaggio musicale e riesce a scoprire
la dimensione a 360° del linguaggio musicale, che si esprime in molti modi diversi.
Nell’approcciarsi alla musica è importante avere la curiosità di accompagnarla o cantarla per
scoprire le sfumature del linguaggio, che inevitabilmente ci risuona su vari aspetti del nostro
essere. Così facendo scopriamo la risonanza emotiva e come noi reagiamo all’insieme di suoni e
leggi che governano il linguaggio musicale.

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