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Lo studente egiziano dell'Università di Bologna è detenuto da più di un anno nel Paese

musulmano. Mentre il Senato ha approvato una mozione che chiede al governo maggiore
impegno sulla sua scarcerazione, ecco cosa sappiamo del giovane ricercatore.

Il 7 febbraio 2020 Patrick Zaki, studente egiziano dell'Università di Bologna, è stato arrestato


all'aeroporto internazionale del Cairo. Da più di un anno è detenuto dal regime del suo Paese per
propaganda sovversiva. Nel corso della sua prigionia in tanti si sono mobilitati per chiedere al
governo egiziano la scarcerazione dell'attivista. L'accusa mossa al regime del presidente Abdel
Fattah al Sisi è di averlo imprigionato ingiustamente, per motivi politici.

CHI È PATRICK GEORGE ZAKI


Patrick George Zaki ha appena compiuto 30 anni. In cella. Prima del suo arresto, era impegnato in
un dottorato sugli studi di genere presso l'Università di Bologna. È stato arrestato all’aeroporto
internazionale del Cairo il 7 febbraio 2020. L'accusa, resa nota solo in un secondo momento, è
quella di propaganda sovversiva. Subito dopo l’arresto è stato portato a Mansoura. Qui iniziano i
racconti, che prendono il posto delle prove. Si dice che sia stato interrogato duramente, minacciato,
picchiato e persino sottoposto a scosse elettriche.

PERCHÉ PATRICK ZAKI ERA IN ITALIA


Patrick Zaki si trovava in Italia dal 2019 e viveva a Bologna. Lavorava per l’Egyptian Initiative for
Personal Rights (EIPR), una organizzazione per la quale Zaki svolgeva attività di ricercatore sui
diritti umani e di genere. Come ha raccontato a Le Iene il suo amico Amr, che a quel tempo
viveva in Germania, Zaki «si era ambientato benissimo». A febbraio 2020 decise di tornare in
Egitto: il suo desiderio era di andare a trovare la sua famiglia per due settimane.

PERCHÉ PATRICK ZAKI ERA IN EGITTO


Quel 7 febbraio 2020, al suo atterraggio in patria, lo studente egiziano è stato arrestato
all'aeroporto del Cairo. Secondo quanto raccontato dall'EIPR, è sparito per le 24 ore successive
senza che nessuno sapesse più niente di lui. Dopo essere stato portato al Cairo, è stato trasferito a
Mansoura, qualche decina di chilometri a nord della capitale, dove è stato sottoposto a un brutale
interrogatorio. A quanto pare su Zaki pendeva un mandato d'arresto in Egitto dallo scorso
settembre, ma lui ne era all'oscuro.
PERCHÉ È IN CARCERE: LE TAPPE DELLA SUA
DETENZIONE
Patrick Zaki è accusato di aver pubblicato notizie false sui social con lo scopo di disturbare la pace
sociale, di aver incoraggiato le proteste contro l’autorità pubblica e il rovesciamento dello stato
egiziano. Il regime egiziano, noto per essere repressivo e violento, rivolge queste accuse ai
dissidenti o a chi è critico nei confronti del governo. 

Secondo Amnesty International Zaki rischia fino a 25 anni di carcere. Secondo gli avvocati del
ragazzo i post pubblicati su Facebook, che gli sono costati la galera, sarebbero falsi. Le accuse sono
state rese note allo studente solo il sabato mattina dopo il suo arresto, davanti alla procura di
Mansoura. 

Le prime udienze del processo contro Zaki si sono tenute solamente a luglio del 2020. Dall'arresto
erano passati cinque mesi. Lo scorso 7 dicembre il giudice della terza sezione del tribunale
antiterrorismo del Cairo ha stabilito un primo prolungamento del carcere preventivo, rinnovato
nuovamente il 2 febbraio 2021. Ma la custodia dello studente viene allungata di volta in volta.
Ormai siamo oltre i quattordici mesi.

“FREE PATRICK ZAKI”: LA MOBILITAZIONE


INTERNAZIONALE
Il caso del giovane egiziano ha sollevato l'indignazione in tutto il mondo. Amnesty International
Italia ha lanciato la campagna Free Patrick Zaki, ma a parlare in favore dell'attivista sono state
anche star come Scarlett Johansson, che il 3 dicembre 2020 aveva lanciato un appello via social
per sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema.

PERCHÉ L’ITALIA VUOLE CONCEDERE


LA CITTADINANZA A PATRICK ZAKI
Il Senato ha approvato la mozione che chiede che sia data la cittadinanza italiana a Patrick
Zaki. Con 208 sì, nessun contrario e 33 astenuti (la compagine di Fratelli d'Italia), il responso è
chiaro. Presente in aula anche la senatrice a vita, Liliana Segre: «C’è qualcosa nella storia di
Patrick Zaki che prende in modo particolare, ed è ricordare quando un innocente è in prigione.
Questo l’ho provato anch’io e sarò sempre presente, almeno spiritualmente quando si parla di
libertà». La mozione è stata presentata dal senatore dem Francesco Verducci. 
Nel testo approvato si chiede anche al governo di sollecitare le autorità egiziane per la liberazione
dello studente; di monitorare le udienze processuali e le condizioni di detenzione; di attivarsi a
livello europeo per la tutela dei diritti umani nei Paesi dove persistono violazioni e a portare
iniziative al G7 con particolare riguardo a casi di repressione di attivisti politici. Ma in conferenza
stampa il premier Mario Draghi ha sottolineato come si tratti di «un’iniziativa parlamentare, il
governo non è coinvolto al momento». Una risposta che ha fatto molto discutere, soprattutto tra le
organizzazioni per i diritti umani impegnate sul fronte della liberazione.

ANALOGIE E DIFFERENZE CON LA


VICENDA DI GIULIO REGENI

La vicenda di Patrick Zaki ricorda un'altra ferita nella storia recente delle relazioni tra Egitto e
Italia: quella di Giulio Regeni. In questi anni i signori Regeni non hanno mai smesso di chiedere al
nostro governo giustizia per loro figlio. Hanno sempre dichiarato di voler arrivare alla verità, celata
dalle ragioni di Stato e dagli interessi commerciali che legano Italia ed Egitto.

Ma come spiega Il Manifesto, Patrick e Giulio sono solo due dei 750 nomi imprigionati dal regime
egiziano. Si stimano 62 imputati l'ora e un nuovo rapporto, I Giulio Regeni d’Egitto, svela che dal
2013, anno del golpe di al-Sisi, ci siano stati 1058 morti. Il rapporto è uscito nel giorno in cui, in
Italia, la Procura di Roma dava conto della chiusura delle indagini sulle torture e l’omicidio del
giovane ricercatore italiano e dell’intenzione di chiedere il rinvio a giudizio per quattro agenti della
National Security del Cairo. Come scrive Ascanio Celestini su Il Fatto Quotidiano, a fronte delle
similitudini tra i casi, bisogna ricordare che «Giulio Regeni è morto, Patrick Zaki possiamo ancora
salvarlo».

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