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“| CENCI E LORO”. RICCHEZZA E POVERTA NELLA MILANO DI PARINI di Carlo Capra “TI poeta — notava gia il Foscolo a proposito di Giuseppe Parini — non vide mai altra cittd che Milano”.! Dentro il circuito delle mura ambro- siane, in effetti, si svolse quasi intera la sua esistenza, dopo che a dieci anni appena ebbe lasciato le native colline brianzole; e saldissima rimase sempre in lui l'identificazione con i caratteri e i valori che attribuiva agli usi e ai costumi della citt& ambrosiana: “noi milanesi, scriveva al padre Branda al tempo della celebre polemica sull’uso del dialetto, siamo presso lealtre nazioni distinti per la semplicit& e la schiettezza dello animo e per quella nuda e amorevole cordialita che @ il pit soave legame della societa umana”.? A questa tradizione ambrosiana fatta di cordialitd e di schiet- tezza, nemica dell’ipoctisia e dell’affettazione di qualunque genere, ispi- rata, come scrisse Sergio Antonielli, alla “morale del vivere secondo na- cura”, egli sentiva perd profondamente estraneo il mondo nobiliare che aveva imparato a conoscere nella sua posizione subalterna di precettore in casa Serbelloni. A quegli anni, dal 1754 al 1762, risalgono il Dialogo so- bra la nobiltd la concezione del Giorno, le cui prime due parti videro poi la luce nel 1763 € nel 1765. Solo apparentemente, come ha notato Clau- "Uso Foscoto, Saggio sulla letteratura contemporanea in Italia, Alle Opere, vol. X1, a c. di Cesare Foligno, parte Il, p. 506. GIUSEPPE PARINI, Opere, a c. di Ettore Bonora, Milano, SERGIO ANTONIELLI, Giuseppe Parini, Firenze, in Edizione nazionale Mursia, 1969, p. 558. La Nuova Italia, 1973, i 52. Scansionato con CamScanner 32 Carlo Capra 4 i] Dialogo & su posizioni pit radi- l'austerita di vita e le imprese mili- n 'ozio ¢ la frivolezza del gio- £0 i passi che evocano con cru- dio Donati in un contributo recente, cali del poemetto: se in quest’ultimo tari degli antenati sono posti a contrasto co! vin signore e dei suoi pari, non mancano pe dezza le abitudini di violenza e di sopraffazione di quei “feroci ed ispid’avi"; eall'irtisione del sangue “purissimo, celeste” di cui si vantano i rampolli delle antiche famiglie si aggiunge la satira ancor pitt sferzante dei parve- us, la cui recente aggregazione alla nobiled @ dovuta ai “compri onori” alle “adunate in terra e in mar ricchezze / Dal genitor frugale in pochi lu- stri”, oppure alle magistracure di toga rivestite da “breve serie di scri- vani", Sono incline tuctavia a condividere l’opinione di quanti hanno os- servato che il Parini ha di mira, piuttosto che la nobilta come istituzione, piuctosto che l’esistenza di un’élite distinta per livelli di ricchezza, ticoli onorifici e prestigio sociale, le degenerazioni rispetto a un'immagine ideale di ariscocrazia, degenerazioni che egli risconera sia nel presence sia, a tracti, anche nel passato. E forse esagerato affermare che “il Parini amava la no- bilea e percid I'ammoniva”,’ ma certo egli riteneva, come molti scrittori del Setcecento italiano, a cominciare dal Maffei, che i ceti nobiliari do- vessero giustificare la posizione di privilegio di cui godevano con il ser- vizio prestato allo Stato nelle carriere civili o militari e con l'esemplarita di vita e di costumi. Potrebbe essere una spia di tale ambiguita la riluttanza del poeta a impiegare le locuzioni, troppo legate a un’immagine positiva con asso- ciazioni classiche, di ‘pactizi’ o ‘patriziato’, allora correnti per designare l'élite interna alla nobile’, cio’ il ceto degli appartenenti alle famiglie cui erano esclusivamente riservati i seggi nel Consiglio cittadino e le altre maggiori cariche civiche. unica occorrenza, se ho ben visto, si ha nei vv. 570-76 della Notte, dove alla dama di recente nobilitata, “il cui marito / gli atci e gli accenti ancor serba del monte”, si contrappone “la vetusta patrizia, essa e lo sposo / ambo di regi favolosa stirpe”. Da oltre un secolo ormai l'ammissione al patriziato era regolata da norme precise: gli aspi- ranti a tale onore dovevano presentare ai tre Conservatori degli ordini, $C1aupi0 Donat, La nobilta milanese nelle fonti documentarie e nella satira pariniana, in Interpretazioni letture del Giorno, a c. di Gennaro Barbarisi ed Edoardo Esposito, Mi- leno, Calpine, 1998, pp. 177-203, in parcicolare pp. 199-201. \s} PIERO De Tommaso, If Giorno e l'ideologia agrari i i- a ea a ae del Parini, Roma, Edi Scansionato con CamScanner Ricchezza e povertd nella Milano di Parini 33 una commissione permanente eletta dal Consiglio decurionale, una do- manda corredata da tutte le prove di nobilea generica e specifica della fa- miglia di origine, della residenza almeno centenaria nella cited o nel du- cato, € del possesso di beni fondiari nel suo territorio. Le famiglie ascritte al patriziato milanese erano, nel 1770, 259, delle quali ben 88, oltre un terzo, risultano ammesse dopo il 1702; in totale, comprendendo anche il periodo 1770-1796, furono 129 le nuove famiglie aggregate nel secolo XVIII, a conferma della relativa apercura del patriziato milanese, diverso in questo dai molto pid gelosi ed esclusivi patriziati delle citta minori, quali Cremona, Lodi e Pavia. In una Istruczione per l'ammissione de’ nuovi sog- getti al patriziato risalente alla meta del secolo e attribuibile a un Conser- vatore degli ordini, @ detto esplicitamente che nel vaglio delle prove “si richiede una certa equita piuttosto favorevole alla famiglia del petente, quando da tutto il complesso della causa si scopre esser stata considerata per famiglia nobile e onorata, e provveduta di sufficienti ricchezze”, an- che “sulla considerazione che ogni giorno si estinguono famiglie nobili e illuseri, altre si impoveriscono notabilmente”.6 Considerazioni non di- verse svolgeva nel 1775 Giuseppe Casati, re d’armi nel nuovo Tribunale Araldico istituito da Maria Teresa, quando auspicava “che le nobilitazioni. i feudi ed i titoli non si concedessero che a gente molto facoltosa ed in vi sta di un lauto giustificato patrimonio in fondi stabili”, proprio perch? tali riconoscimenti erano il consueto preludio dell'aggreg: Ziato.’ La cooptazione delle famiglie emergenti per cens altri termini, serviva a mantenere integre la consistenza numerica e la su- Premazia economica del ceto patrizio e a prevenire l'insorgere di tensioni sociali. Ne consegue che, fino alla fine del primo dominio austriaco, la graduatoria delle forcune nella societ& milanese rifletteva molto da vicino la gerarchia dei ranghi, Uno studio di Franco Arese sui ruoli di un pre- stito forzoso imposto ai cittadini pid facoltosi dal governo della Repub- azione al patri- 0 € prestigio, in “Il documento & pubblicato in appendice a FRANCESCA PINO, Patriziz tank Milano nel scale XVIM, in “Societd e storia”, n. 5 (1979), pp. 339-78 (il passo che tma,2 P. 377). A questo studio, oltre che ai ben noti lavori di Felice Calvi, Giulio Viz trait Dante Zanetti, Franco Arese, si rimanda per notizie pid particolareggiate sul pa ‘tiziato milanese. ? Letters al consulrore di governo Paolo Della Silva in data 6 nover ee ANTONIO VIANELLO, If Settecento milanese, P92, ito e decurio- mbre 1775, cit. Milano, Baldini ¢ Castoldi, 1934, Scansionato con CamScanner 34 Carlo Capra blica Cisalpina nel 1798 lo ha dimostrato in maniera lampante.§ Lentitg della somma richiesta variava in ragione della ricchezza presunta, ea ung contribuzione di 700 lire si calcolava che corrispondesse un'entrata an. nua di 10.000 lire. Sopra questa soglia si trovano 286 contribuenti, e dj questi ben 162, cio’ il 56,6%, appartengono a famiglie gia ascritte al pa. triziaco; altri 62 nomi, pari al 21,7%, sono di ex-nobili e 68, pari al 23,8% di semplici borghesi. La presenza di quest'ultima categoria, perd, si = sottiglia ulteriormente negli scaglioni superori di reddito: olere le 28.000 troviamo 62 patrizi contro 17 semplici nobili e 8 borghesi: le percentuali rispettive sono 74,7%, 20,5%, 9,6%. Ul patriziato, che rappresentava circa 1'1% della popolazione milanese, valutabile nel 1796 a 135.000 abitanti, forniva insomma i tre quarti dei cittadini veramente ricchi. Altri indica- tori convergono nella stessa direzione. Su 400 costituzioni di dote rogate dai notai milanesi tra il 1776 e il 1796, nessuna di quelle conferite a spose di condizione civile raggiunge le 50.000 lire, cifra che rappresenta invece una soglia minima per il 61,8 delle spose patrizie e per il 44% delle sem- plici nobili.? Quasi tucti nobili, e in grande maggioranza patrizi, erano i possessor di carrozze compresi in un elenco del 1771 0 di palchi nel Tea- tro Ducale fino al 1776 e, successivamente, nel teatro alla Scala.!° Gli stessi cognomi, in gran parte, si ritrovano in un elenco di persone con ol- tre 60.000 lire di rendita redatto nel maggio 1805 in occasione dell'in- coronazione di Napoleone a re d'Italia." Meno netta é la supremazia no- biliare nella proprieta dei 5026 fabbricati censiti dalla Giunta Neri all’in- terno delle mura spagnole nei primi anni Cinquanta. Il 32,8% delle unita di patrimonio edilizio e il 26,6% del valor capitale complessivo apparte- nevano a persone giuridiche, principalmente enti ecclesiastici ¢ assisten- ziali. I residui due terzi delle case appartenevano a persone fisiche: il 5 FRANCO ARESE, Patrizi, nbiliericchi borghesi del Dipartimento d’Olona secondo il Fi- co della prima Repubblica Cisalpina, in “Archivio storico lombardo”, CII (1975), pP- 95- 161. ° MARINA MOLTENI, L’aristorazia milanese alla fine del Settecento attraverso i contratti dotali, tesi di laurea inedita presso la Facolta di Lettere e filosofia dell’ Universita degli Studi di Milano, a. a. 1980-81. WoT; : SI. es iB a dei possessori di carrozze @ riportato da VIANELLO, Sertecento milanese, Cit pp. 297-303. Per i proprietari dei palchi cfr. era gli al P a racconta, Milano, Rizzoli, 1984, toon ett aleri Grusmren Bantoazz7, La Sis Lelenco? riprod Soe - i ee ee FeLice CaLvi, Id patriziato milanese, rist. anastatica Forni, Scansionato con CamScanner Ricchezza e povertd nella Milano di Parini 35 31,3%, con il 39,9% del valote capitale, erano nobili, il 4,5% con il 4,19% ecclesiastici ¢ il 31,4% con il 29,8% di valor capitale rientravano nella indistinta categoria degli ‘altri’.'? Ma per ragioni che sarebbe qui troppo lungo indagare, il possesso di case in cittd non era tra gli investimenti preferici dai nobili, come dimostrano le vicende dei Confalonieri, studiate da Alberto Cova,'} 0 quelle dei Verti, sulle quali sto lavorando. Gia prima dell’eta rivoluzionaria anzi il loro patrimonio edilizio tende a ridursi: nel rione di Porta Orientale, la percentuale degli stabili posseduti da nobili scende dal 34,1% a met secolo al 25,5% nel 1787; la contrazione della proprieti ecclesiastica in questo settore, per effecto delle ben note vicende politiche dei decenni a cavaliere del 1800, non andd a beneficio dell’ari- stocrazia, che nel 1840, secondo la statistica di Giovanni Salari, posse- deva meno del 20% delle case in citt&, ma favori invece un notevole fra- zionamento del patrimonio edilizio che in et napoleonica portd a 4000, da 2600 che erano cinquant’anni prima, il numero dei proprietari.!4 I no- bili preferivano spendere le eccedenze di cui disponevano per costruire o ristrutturare ville in campagna o per abbellire i loro palazzi in citta, piut- tosto che per acquistarne altri. “Faire batir une belle maison confére a Mi- lan la véritable noblesse”, scrivera con qualche esagerazione Stendhal. La vera e propria febbre edilizia che trasforma il volto di Milano nell’eca del Piermarini crasse origine, oltteché dalle iniziative del governo, dalle acctesciute disponibilica di liquidi dell'aristocrazia, grazie alla smobili- tazione dei capitali prima investiti in uffici (la venalita degli uffici venne abolita nel 1749) in appalti, in regalie alienate. Ma se una parte conside- ” Cf. per questi dati Manto ROMANI, Note su! patrimonio edilizio milanese intorno alla meta del Setecento, in M., Aspetti e problemi di storia economica lombarda nei secoli XVILL eXIX. Scrittiriediti in memoria, Milano, Vita e Pensiero, 1977, pp. 48-64; VANNA Maz~ ZUCCHELLI, Catasto ¢ volto urbane: Milano alla meta del Settecento, Roma, Istituto Storice er 'et moderna e contemporanea, 1983, '9 Atsento Cova, I! patrimonio, in Federico Confalonieri avistocratico Progressista nel bi- Centenario della nasita (1785-1985), ac. di Giorgio Rumi, Milano, Cariplo-Laterza, s.d., Pp. 15-46, "Cf. ALAIN Perici, Milan capitate napKonienne (1800- 1814), chése d'Btat di- Seuss alla Sorbona nel 1997, in corso di stampa, vol. I, pp. 440-45; GiovaNNt Satant, Statistica generale della Regia cinta e provincia di Milano, Milano 1840; OLIVIER FARON, La ville des dessins crvsts, Recherches sur la socitié milanaise du XIXe sidele, Rome, Ecole Francaise de Rome, 1997, pp. 130 ss. '° Rome, Naples et Florence, ed. 1826, 27 ott, 1816, in STENDIAL, Voyages en Italie, a ©-di Vincenzo Del Litto, Paris, Gallimard, 1973, p. 308. Scansionato con CamScanner 36 Carlo Capra revole di queste risorse servi ad alimentare consumi di lusso di varia na- tura, altre affluirono alla terra, sotto forma di incrementi del patrimonio avito o di migliorie fondiarie; una scelta che si spiega agevolmente con Yandamento favorevole dei prezzi dei prodotti agricoli. Non siamo in grado di quantificare la proprieta terriera dei nobili milanesi, che si esten- deva ben al di Ia del Ducato, cio? della pur vasta provincia milanese: cer- tamente, perd, essa costituiva il grosso di quella cospicua parte del suolo (da un terzo a quasi la meta) che le ricerche di Pugliese e di Zaninelli as- segnano ai ceti aristocratici lombardi sulla base di uno spoglio dei dati catastali elaborati dalla prima Giunta censuaria. E la loro ricchezza fon- diaria con ogni probabilita crebbe ulteriormente nella seconda meta del secolo e non fu seriamente intaccata neppure nell’et rivoluzionaria e na- poleonica, quando anzi gli ex-nobili si ritagliarono una parte considere- vole dei beni nazionali confiscati alla Chiesa. Al caso dei Serbelloni, una famiglia il cui nome é intrecciato con le vicende biografiche di Parini e di Pietro Verti, e il cui patrimonio andé incontro tra Sette e Ortocento, a causa di spese eccessive e cattiva amministrazione, a una rapida disso- Juzione, molti altri se ne potrebbero contrapporre di significato opposto, a cominciare da quello dei Litta studiato da Rumi.!& Molto ci sarebbe da dite sullo stile di vita, sulle strategie familiari, sulla cultura e la mentalita del patriziato milanese, che solo in parte cor- rispondono all'immagine caricaturale che ne da il Parini. Osserverd sol- tanto che alcune delle pratiche da lui interpretate come ossequi a una moda deteriore, per es. il leggere libri francesi, il discettare di scienze e di com- mercio, lo spiccare il volo diecto “i sofi novelli”, sono per lo storico la spia di un mutamento dei modelli di gusto e di comportamento che rende l'ati- stocrazia milanese del tardo Settecento assai pitt vicina all’affabile edoni- smo descricto da Stendhal che non all’alterigia e al fasto spagnolesco pro- pti delle generazioni antecedent. “Si passeggia per le strade coll’abito che si vuole, canna, piume sul cappello ecc.”, annotava Pietro Verri nel feb- braio 1778; il suo amico Giambattista Biffi, di ritorno dopo dieci anni di assenza nel 1776, trovava Milano “pit colto assai” di come lo aveva la- Sciato, ¢ riferiva che su undici commensali con cui aveva pranzato il giorno 16 FIORELLA CeRINt, I Serbelloni nel XVIII-XIX secolo: un grande patrimonio e la sua dis- oluzione, in “Storia in Lombardia”, XIII (1994: -42; Giorcio Rusa, Scaccat A g I ), pp. 5-42; GiorGio Rusa, Scaccato doro 6 di nero: fratelliLitta Visconti Arese negli anni della Rivoluzionee del Ipera i AA Tcannoni al Sempione. Milano e la Gi § 5 75102.” rande Nation, Milano, Cariplo, 1986, pp. 75-102- Scansionato con CamScanner Ricchezza e poverti nella Milano di Parini 37 i della compagnia erano stati in Inghilterra ea Parigi”.!7 Al’ori- gine di questa evoluzione, di cui sarebbe agevole moltiplicare le testi- monianze, stava un complesso di fatcori, tra i quali in primo luogo l'in- flusso pervasivo della cultura, della moda e dei costumi ftancesi, la lai- cizzazione della societa anche per effetto delle riforme teresiane (e ba- sti pensare al crollo delle ‘vocazioni’ religiose nei rampolli delle fami- glie patrizie), il rinnovamento operato nei contenuti e nei metodi dell'insegnamento, soprattutto dopo la soppressione della Compagnia di Gesi. Maé tempo di gettare uno sguardo ai ceti esclusi dalla cerchia dorata della nobila. Pitt volte @ stato notato come la visione della societa che in nerva I! Giorno del Parini sia una visione dicotomica: da una parte l'ari- stocrazia che consuma, dall’altra il mondo della produzione e del lavoro; da una parte il giovin signore, “che da tutti servito, a nullo serve”, dall'al- tra i contadini, gli artigiani, i mercanti, i domestici che faticano per ren- dergli la vita pit comoda e agiata. “Il Parini — scriveva Calogero Colic- chi nella sua introduzione al Saggio sulla nobilta — ignora {...} la borghe- sia e contrappone direttamente alla nobilta il quarto stato”.'® Piuttosto che di borghesia, io preferirei parlare di strati intermedi tra la nobilea e la plebe 0, con locuzione corrente nel secolo XVIII, di ceto civile. Ma a parte cid, mi sembra giusta l’osservazione di Colicchi, in quanto gli espo- nenti di questi ceti medi che compaiono qua e [& nel poemetto non fanno gruppo a sé ma sono per cosi dire aggregati all’uno o all’altro dei due grandi schieramenti. Cid avviene, a mio giudizio, in base a un criterio morale piuttosto che economico; la distinzione tra arti inucili e di ne- cessita, la condanna del lusso, la preferenza per I'agricoltura rispetto al commercio mi sembrano infacti legate a una visione tradizionale dell'eco- nomia, quale si pud trovare nel Muratori, piuctosto che a un ipotetico in- 17 Lettera di Pietro ad Alessandro Verri del 6 febbraio 1778, in Carteggio di Pietro e i Alestandro Vervi dal 1766 al 1797, a ¢. di Emanuele Greppi, Alessandro Giulini, Fran- cesco Novati e Giovanni Seregni, Milano, Cogliati, poi Milesi, infine Giutffré, 1910-1942, vol. IX, pp. 218-19; lettere di Giambactisca Biffi a Raimondo Ximemez e Giuliano Vac- chelli, 20 ¢ 22 settembre 1776, in Biblioteca Statale di Cremona, ms. AA I. 3. 18 CaLoGERO COLICcHt, I/ “Dialogo sopra la nobilta”e la poemica sociale di Giuseppe Pa- rini, Firenze, Le Monnier, 1965, p. 61. Pid propriamente parla di “terzo stato”, com- prendente tutti i non nobili, GIULIO CARNAZZI nel suo otcimo contributo: L’altro ceto: “gnobili” e terzo stato nel Giorno, in Interpretazioni ¢ letture del Giorno, cit., pp. 275-92. Scansionato con CamScanner 38 Carlo Capra flusso delle idee fisiocratiche. Cosi, se “il ministro cli Temi", cig y di legge che “contende o veglia” al servizio del Giovin signore, ¢ uo” rato nei wv. 461-69 del Mattino al “buon cultore” dei campi e alt stre artiere”, in una luce ben pitt equivoca sono ritrati il medico alla mei nelle strofe dell Impostura e nel Discors sopra lecariature,il“merciaig: che, appena rientrato in patria dai suoi viaggi all’estero, spaccia al Gry. vin signore “mille fregi ¢ gioielli” di nessun valore ¢ si allontana “eo, Tuna mano pesante di molt’oro", differenza dal calzolaio e dal sarto che invano chiedono di essere pagati per il loro onesto lavoro. E ugualmente coinvolee nella satira della societa aristocratica sono “le belle cittadine"« le “petcorute naiadi e napee", mogli di alti funzionari, che fanno a garaal corso con le nobildonne per attirare su di sé gli sguardi maschili. In che misura questa visione dicotomica del Parini riflette la reales della Milano settecentesca? Non vi ¢ dubbio che a sussistenza di gran parte della popolazione milanese era legata ai consumi e alle spese di forse duemila famiglie ricche 0 agiate, pet lo pitt nobili. A testimonianza de “Tenorme disuguaglianza delle fortune” vigente a Milano il “Termome- tro politico della Lombardia” (Numero 11 del 30 luglio 1796) citava il facto che per il riparto della contribuzione straordinaria di 20.000 fran- chi imposta da Bonaparte si erano voluti tassare solo i cittadini che di- sponessero di capitali o industria per almeno 25.000 lire, ¢ in questo modo “non si rinvennero che 3200 contribuenti fra 120m abitatori di Milano”; ma, continuava il giornale, a Milano “1200 franchi di rendita neppure sono sufficienti al pitt ristretto necessario: I'agiatezza si calcola in queste contrade a cento doble di rendita, che costituiscono un capitale di circa 45 mila lire”.'® Agiatezza, peraltro, significa qui possibilica di condurre una vita appena decorosa. Cento doppie, cio? 2.500 lire annue, erano lo stipendio di un funzionario di grado intermedio o di un professore dell'uni- versita di Pavia. Parini raggiunse una vera agiatezza solo nel 1791, quando il suo stipendio fu portato da 2300 a 4000 lire annue, oltre all‘alloggio gratuito nel palazzo di Brera di cui godeva dal 1777. Dell'amico Alfonso Longo Pietro Verti scriveva nel novembre 1776 che “da povero uomo, si @ ormai reso uomo comodo colla sua carrozza”;?” il cambiamento era tat 2? Termometro politico della Lombardia, ed. a ¢. di Vittorio Criscuolo, Roms, Istiu® Storico italiano per I'eta moderna e contemporanea, 1989 ss., vol. I, p- 175 Lertera di Pietro ad Alessandro Verri del 27 novembre 1776 in Cartes. vo) Vill. p. 210. Sulla foreuna di Longo cft. CaRio Capra e Fabrizio MeNA, Un af £1 balidgg italiani nell"imsipidadesrione” di Alfonso Long, ia“ Archivio Stove0 i Scansionato con CamScanner Ricchezza € poverta nella Milano di Parini 39 determinato dal conferimento di benefici ecclesiastici e di cariche per circa 4500 lire annue, che si aggiungevano a una rendita patrimoniale di 2200 lire. Né Longo né Parini, osserviamo, avevano famiglie da mantenere, nel qual caso la soglia dell’agiatezza, da 4-5000 lire annue di entrata, si sa- rebbe spostata verso le 7-8000: tra quindici e venti volte il guadagno me- dio di una famiglia operaia, Quanti erano gli individui 0 i capifamiglia milanesi in queste condizioni? Non credo pit di 1500 o 2000, forse il 7 01'8%, considerati anche le mogli e i figli, della popolazione urbana. Una minoranza composta di nobili, soprattutto, e di poche centinaia di possi- denti, detentori di lucrosi benefici ecclesiastici, professionisti di grido, alti fanzionari pubblici, negozianti e banchieri, che tutti aspiravano a in- tegrarsi nella nobile’. Colpisce nel Giorno la mancanza quasi assoluta di riferimenti al clero e alle isticuzioni ecclesiastiche, dovuta forse a una cau- tela suggerita dall’abito che portava l’autore, se si pensa che a Milano alla fine degli anni Sessanta vivevano 2200 sacerdoti secolari, 1766 religiosi ¢ 2775 monache, nel complesso ben oltre il 5% della popolazione. Poi le riforme teresiane e giuseppine, le soppressioni di conventi e monasteri, i mutamenti nelle strategie familiari ridussero drasticamente questa per- centuale, che nel 1795 era del 2,7 ¢ nell’eta napoleonica scendera ulte- riormente a poco pitt dell’1%, in parallelo con la contrazione della pro- prieta ecclesiastica, In sicura crescita numerica ed economica appaiono per contro, tra Sette e Ottocento, i ceti professionali e impiegatizi e l’élice mercantile e finanziaria, per la quale si pud rimandare allo studio recente di Stefano Levati.?! Luno ¢ l'altto fenomeno, peraltro, erano appena agli inizi quando Parini ided e compose le prime due parti del Giorno, che per Tessenziale fotografano, mi pare, una realta sociale anteriore alle riforme. Ma occorre ora dire qualcosa degli strati popolari, del mondo del la Voro, spesso evocato nel poemetto pariniano per contrasto all’ozio e alla dissipazione dell’aristocrazia, come nella bella chiusa del Mezzogiorno, Poi trasferita ai versi 13-23 del Vespro, in cui il poeta rivolgendosi al Gio. vin signore finge che il sole al tramonto si rammarichi di non vedere al- tro “che di falcato mietitore i fianchi / su le campagne tue piegati e lassi

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