You are on page 1of 4
Tradurre Leopardi di Yves Bonnefoy ‘Tradurre non pud essere altro che interpretare. B impossibile attenersi nella lettura che si fara di una poesia ad un senso che potrebbe sembrare sufficiente in quanto immediatamente esplicito, poiché le parole in poesia vivono portandosi i legami che le loro connotazioni hanno allacciato ai diversi livelli del pensiero, del desiderio, in quello che fu per l'autore non un semplice discorso, ma una scrittura, Tradurre & quindi prendere dei rischi. Il desiderio proprio al traduttore, in questi grovigli dello scritto, suggerisce di scegliere tra pid vie, ¢ talvolta aiuta cosi a capire meglio la poesia, tramite Taiuto della propria esperienza personale, ¢ altre volte invece si rifiuta al di riconoscere la verita dellopera. Interpretare @ un susseguirsi di decisioni a volta rischiose. Evocherd due passaggi nella mia traduzione di queste poesie di Leopardi, dove in un caso mi sono permesso di seguire la mia inclinazione, ¢ nell'altro invece no. Il primo esempio viene dal Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, una delle pid belle Pi p Pi poesie mai concepite, una di quelle che vanno avvicinate soltanto con il pitt grande rispetto. Leopardi scrive: Spesso quand'io ti miro star cosi muta in sul deserto piano, che, in suo giro lontano, al ciel confina, ovver con la mia gr seguirmi viaggiando a mano a mano; e quando miro in ciel arder le stelle; dico fra me pensando: a che tante facelle? Che fa aria infinita, e quel profondo finito seren? Che vuol dir questa solitudine immensa ? (...) Che ho tradotto con Et bien souvent, quand je te vois muette Au dessus des pays déserts qui se déroulent De toutes parts jusqu’a toucher le ciel, Ou me suivre, main dans ma main prés du troupeau, Partout au firmament brillant, bratant, l'étoile, Je me dis, & part moi réfiéchissant, Pourquoi toutes ces torches? EB quoi tend lair infini, & quoi Le ciel profond, le ciel sans borne, et que veut dire Cette solitude, a jamais (...) cil mio lettore pud constatare che ho tradotto "a mano a mano " con "main dans ma main", cosa che 2 sicuramente dire pid di Leopardi, se non addirittura dire un’altra cosa, Ma credo di potermi prendere questa libert& quanto meno come ipotesi legittima sul significato di questi versi. In quanto la luna alla quale si rivolge il pastore € alla quale non smettono di rivolgersi le altre poesie di Leopardi, luna "intatta", "vergine", luna vuoi indifferente come la destinataria della Sera del di di festa ¢ compassionevole, vuoi senza pensiero né anima - materia cieca - € misteriosamente avvertita del senso ultimo della vita terrestre, mi sembra senza grande rischio d’errore una rappresentazione della fanciulla di cui il poeta ha sognato, che sarebbe potuta apparire allorizzonte della sua vita per condividere il proprio destino. La luna significa la donna che pud dare un senso ad un’esistenza, guidare un uomo: "Viaggiando” allora con lui nell'immensita deserta della materia, cancellandola sotto i raggi dell'amore. Ne segue allora, ¢ malgrado Faudacia dell'immagine, poco permessa nella poesia di prima del surrealismo, che ci si pud sentire in diritto di prendere il modo di dire comune " a mano a mano" in tutte le sue virtualita significanti, tra fe quali, e in primo hnogo, la dolcezza - una delle grandi nostalgie del poeta - suggerita dalla presenza contemporanea della "graziosa luna", dell”"eterna peregrina” cosi intensamente e pacificamente luminosa, ¢ di una mano che prende e ne trattiene un’altra in un"intimita affatto umana Ed ecco altro esempio, il contro esempio. I primi versi, famosissimi, dell'Infinito, sono: Sempre caro mi fu questo emo colle e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzomte il guardo esclude (...) e devo dire che ho avuto la forte tentazione di tradurre "questa siepe”, senza dubbio un singolare, ‘cette haie", con “ces haies”, un plurale, che suggerirebbe un altro tipo di paesaggio A dire il vero, nella mia traduzione, ho ripristinato il singolare solo all'ultimo momento prima della pubblicazione, scrivendo allora: Toujours chére me fut cette colline Solitaire; et chére cette haic Qui refuse au regard tant de P'ultime Horizon de ce monde (...) Perché quest’esitazione? Precisamente perché il “canto notturno”, fra altre poesie, dimostra che a Leopardi piace figurarsi il viaggio, l'erranza attraverso "il deserto piano” dellesistenza; e che questo deserto, questo spazio come infinito, "in suo giro lontano al cielo confina”, lasciando intravedere 1a in fondo, all'estremita dello sguardo, ancora un “ultimo orizzonte”, ma non ora con l'interposizione di_un ostacolo ravvieinato tra il poeta e questa estremit2 bensi di un susseguirsi indefinito di avvallamenti e di dune, ove si scende, ove si soffre, da dove si risale: lorizzonte essendo allora pet qualche momento nascosto in modo pill 0 meno parziale, ma in seno a un errare che traseina tutto sommato in quella che sard un’ intera esistenza E come se Leopardi si lanciasse verso il suo destino con limmaginazione di un avanzata, e di fermate, qui o Ii, e anche di liberazioni: quindi malgrado tutto con una speranza. E’ come se conoscesse il nulla che orla con la sua notte la presenza umana ma non di meno affermasse il valore di questa parola che, nei suoi momenti sulla terra, prova, dall'io verso V'altro, da sé a sé, di dare senso alla vita decisa in assoluto, intesa come la stessa ¢ unica realt&, tanto illusoria quanto pud esserla Ia nostra ambizione, il nostro sogno. - E, con nella mente questo pensiero che credo costante per Leopardi, e essenziale alla sua poesia, avevo quindi il desiderio di ritrovarne J'intuizione e lo slancio nell'Infinito; il desiderio di inserire, tra “il guardo" che scopre gli "interminati spazi" e Vorizzonte, non una siepe, in primo piano e appariscente, ma una rete di barriere basse, disseminate sulle discese, ciascuna che nasconde una parte dell" ultimo orizzonte” ma non al punto di scoraggiare un poeta il quale saprebbe che pud andare fino alle siepi, fino a queste ma anche fino a quelle, lontane, ¢ aggirarle, per cercare pitt lontano, vedere pit! lontano, sperare ancora, malgrado la morte, come il pastore nelle dune dell’Asia. Ma sostituire cosi un plurale, aperto sul sogno, al singolare della poesia, devo comunque pensare che sarebbe un tradimento, In quanto senza dubbio, se c® nell'Infinito Nimmaginazione di questi "interminati spazi” dove lo spirito accederebbe a un silenzio estatico, a una quicte profonda - cid che pud sembrare il compimento supremo di una vita che ha tionfato sui suoi mali, sulle sue angosce, con un esperienza di st che non & possibile se non nel tempo, con il tempo di "siepi” in "siepi” - c® anche un sentimento molto forte della prossimit’a e anche dell'ampiezza di "questa siepe”, di "cette haie-ci", vicinissima: lo prova il vento che fruscia con forza fra "piante" che non possono essere che essa. La siepe ha in questa poesia una realt sua, una sostanzialita, una profondita, che sono le stesse del vento, dello spazio infinito, della note, ¢ bisogna ammettere che questa notte, quest’abisso della materia, questo sorgere del nulla, hanno nell'Infinito tanta autor sull'anima del suo autore quanto la speranza che potrebbe dare senso al perseguimento dell'esistenza, ~ da cui la tentazione di morire che recitano gli ultimi versi. L'infinito del profondo niente @ risuonato, il pensiero si annulla, si abbandona - "s'annega"- in questo clamore del fuori di tutto, ¢ la felicita che & sempre il desiderio di Leopardi non & immaginata questa volta che come rinuncia: "il naufragar m’e dolce in questo mare" Non "ces haies" quindi che si sovrapporrebbero, cosi musicalmente forse, nella luce, ma “cette haie" donde risale la notte diinchiostro del vento, quella dei fondi essi stessi “ultimi" del mare E sono quindi tornato alla traduzione naturale ¢ semplice di “questa siepe”. Certo, ho la tentazione, Jo vedo, di ritrovare dappertutto nel'autore dei Canti questo elemento di speranza, questo sogno di esistenza incarnata, questa volontd di esprimerli con le parole le pitt comuni che assicurano ai miei occhi la sua grandezza ma anche Ja sua modernita: moderno essendo non tanto colui che scopre - con questo poeta d'altronde, il primo, ben prima di Mallarmé -- il non-essere, il yuoto infinito sotto il passo umano, quanto colui che decide che poco importa, essendo l'essere parlante la realt’ e il suo desiderio l'unica vera chiave della conoscenza, Ma devo anche ricordarmi che non et instaurazione vera di un pensiero dellinearnazione se non per colui che riconosce prima, € sa non dimenticare, Velemento del non-senso, della notte. Anche se al prezzo della tentazione del "naufragare”. Anche se il poeta corre il rischio, in quell’istante, di rinunciare al suo intuito il pit alto. Yves Bonnefoy

You might also like