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SURA L XXIV (DELL’AVVOLTO NEL MANTELLO)Parte di questa sura sembra essere il secondo brano rivelato
del testo sacro, lontano dal primo di parecchio tempo. In quest’intervallo, Muhammad avrebbe
tentato di suicidarsi. QuesI verseJ verrebbero ad essere quindi i primi della rivelazione ininterroLa.
Muhammad sente la voce di Allah, che gli ordina di allontanarsi dal culto degli idoli e venerare il suo
Signore, non rinfacciando la propria generosità per oLenere qualcosa in cambio. Dal v.11ci si riferirebbe ad
un ricco commerciante meccano, al-Walid ibn al-Mujira, acerrimo nemico del Profeta. Egli avrebbe definito
il Corano come il discorso di un uomo. Al v.31 si parla di una tentazione, cioè i diciannove angeli custodi
dell’Inferno. Quelli che non hanno fede, nel cuore hanno presunzione e pretenziosità.
CAPITOLO 31 PROMESSI SPOSI Il capitolo si apre con un'introduzione al nuovo argomento: la peste.
Successivamente, il narratore giustifica la digressione storica, che occuperà i capitoli XXXI e XXXII attraverso una
duplice esigenza: creare lo sfondo su cui si muoveranno i personaggi d'invenzione e, soprattutto, ricostruire un
evento di grande rilevanza, di cui non esistono trattazioni organiche ed esaurienti.
La peste portata dai lanzichenecchi si diffonde nel territorio di Milano
Il passaggio dell'esercito dei lanzichenecchi lascia nel territorio di Milano uno strascico di morti di cui le cause non
sono immediatamente individuate; soltanto i più anziani infatti sanno riconoscere i sintomi della peste, per aver
vissuto quella precedente, del 1576. I provvedimenti del tribunale della sanità, sollecitati dal medico Lodovico
Settala, sono superficiali: una prima ricognizione si conclude senza andare a fondo del problema. Una seconda
ricognizione, affidata al medico Alessandro Tarlino e a un magistrato del tribunale, denuncia invece la presenza
della peste. Sono disposte le bullette: a Milano potrà entrare soltanto chi dimostri di provenire da una zona
immune da contagio. Tuttavia l'autorità politica, innanzitutto il governatore Ambrogio Spinola, sottovaluta
colpevolmente il pericolo, mentre la stessa popolazione si rifiuta di prendere coscienza della situazione; soltanto il
cardinal Federigo raccomanda ai parroci di avvertire la gente; ad aggravare il rischio sono poi le lentezze
burocratiche: il provvedimento delle bullette diventa finalmente esecutivo il 29 novembre, quando ormai in Milano
è entrata la peste.
La peste fa il suo ingresso a Milano
Il responsabile dell'ingresso della peste a Milano sarebbe stato un soldato italiano al servizio della Spagna. Costui,
entrato in città verso la fine di ottobre o ai primi di novembre, si ammala e, portato all'ospedale mostra sotto
l'ascella un bubbone, terribile segno della peste. Alla sua morte segue quella di alcune persone che gli erano state
accanto; alcuni ammalati sono ricoverati nel lazzeretto, ma ormai il contagio comincia a diffondersi in città. La
popolazione però, per evitare che la propria roba venga bruciata e le case siano sequestrate, non denuncia i casi
sospetti, ricorrendo anche alla corruzione dei funzionari della sanità. Quelli che, fra i medici, sono più decisi
nell'ammonire del pericolo, sono fatti oggetto di odio e insulti. Si arriva al colmo di assalire per strada il primo
medico di Milano, Lodovico Settala, a stento sottratto al linciaggio.
I casi di peste aumentano di numero
Verso la fine del marzo 1630, i casi di peste si infittiscono, ma ci sono ancora persone che non vogliono
ammetterne l'evidenza; per esempio, quei medici che, anziché parlare di peste, usano giri di parole (febbri
pestilenziali) per non dichiarare di essersi sbagliati nel negare il contagio. Il governo del lazzeretto, sempre più
affollato, costituisce uno dei problemi che l'autorità pubblica non sa risolvere: si chiede dunque ai cappuccini di
occuparsene, cosa che essi faranno con grande spirito di carità e dedizione, fino alla morte.
La responsabilità della peste viene attribuita agli untori
Con l'aumentare del numero degli ammalati, l'opinione pubblica deve rassegnarsi ad ammettere la presenza della
peste. Tuttavia non ne individua le cause vere, bensì attribuisce la responsabilità di quel male agli untori, che ad
arte avrebbero diffuso il contagio cospargendo muri e oggetti con sostanze infette. Alcuni episodi accrescono la
psicosi degli untori: prima il sospetto che siano state unte le panche del duomo induce le autorità a una
precauzione eccessiva (farle portare in piazza per essere lavate); poi il fatto reale dell'imbrattamento dei muri,
probabilmente uno scherzo, suscita le illazioni più varie. Con tutto ciò, alcuni si ostinano a negare la peste: per
persuaderli del contrario, il tribunale della sanità, in occasione della festa di Pentecoste, espone in pubblico i
cadaveri di alcuni appestati.
CAPITOLO 32 Nel maggio del 1630 la situazione della città di Milano si é fatta cosi difficile, anche dal punto di
vista finanziario, che il consiglio dei decurioni decide di rivolgersi al governatore perché adotti provvedimenti
adeguati. Ma Ambrogio Spinola, tutto preso dall'assedio di Casale, si limita a vaghe promesse e in seguito
trasferisce il potere nelle mani di Antonio Ferrer. Inoltre, la guerra terminerà riconoscendo come legittimo duca
proprio quel Carlo di Nevers per cui era stata combattuta, con lo scopo di escluderlo dal potere.
Il contagio si diffonde senza che si possa far niente per fermarlo: non vi sono mezzi umani capaci di fronteggiarlo e
perfino le preghiere risultano inutili. Nel riferirsi a questa ineluttabilità del male, che sopravviene come un evento
misterioso e terrificante, il Boccaccio usa un crescendo di immagini e di riflessioni che amplificano l’impotenza
dell’uomo di fronte a un avvenimento molto più potente di lui. La rappresentazione della morte serve a illuminare
la scelta di vita che sarà compiuta dai dieci giovani fiorentini: la nuova vita nascerà per sfuggire all’annullamento
della morte, attraverso la parola (il “novellare” dei giovani riuniti nella villa). Come nell’epica classica, l’inizio di un
mondo migliore è segnato da un cataclisma collettivo, secondo le regole della retoricamedievale. In tal modo anche
il Decameron, come la Commedia dantesca, ha un inizio terribile,ma finisce bene. Lo spettacolo di desolazione
della Firenze appestata e il suo capovolgimento nell’ideale giardino di sospensione delmale che i giovani scelgono,
rappresenta già lo svolgimento dell’opera, che si muove dalla descrizione del male e della corruzione più
abominevole, per concludersi nel giardino di virtù dell’ultima giornata.
UNA NOVELLA LE MILLE E UNA NOTTE Storia delle tre Mele
La storia ha per protagonisti un principe ed il suo visir, il principe chiama il visir e gli fa sapere che il
giorno successivo desidera visitare il paese per "controllare" che tutti fossero contenti del suo modo di governare.
Girando per il paese i due incontrano un vecchio pescatore, scontento sulla sua situazione economica.