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VITTORIO ALFIERI

La vita. Vittorio Alfieri nacque ad Asti il 16 gennaio 1749, da una famiglia della ricca nobiltà terriera. Nel
1758, a nove anni, fu mandato a compiere gli studi presso la Reale Accademia Torino, dove si riunivano
molti giovani della nobiltà piemontese, che aveva radicate tradizioni militari. Uscito dall'Accademia,
seguendo un costume diffuso tra i giovani aristocratici del tempo, quello del grand tour, compì numerosi
viaggi per l'Italia e l'Europa, che si protrassero per ben cinque anni, dal 1767 al 1772. Anche se lo scrittore
proclama nella Vita che questi viaggi, compiuti con animo tormentato e smanioso, non gli avevano
permesso di acquisire vere conoscenze, aveva in realtà potuto accumulare una concreta esperienza delle
condizioni politiche e sociali dell'Europa contemporanea. É l'Europa dell'assolutismo, e nel giovane
appassionato, inquieto e ribelle la «tirannide» monarchica provoca reazioni esasperatamente negative. Una
reazione più positiva suscitano in lui i paesi dove sussistono libertà civili, l'Inghilterra, l'Olanda.
Ritornato a Torino, la sua insofferenza per ogni legame e gerarchia gli impedisce di dedicarsi alle attività
politiche e militari che erano proprie della nobiltà. Conduce quindi la vita oziosa di un giovin signore, chiuso
in una solitudine inattiva che aumenta la sua scontentezza e la sua inquietudine. La depressione è
ulteriormente accresciuta da un amore infelice e l'unica attività che gli si offre è quella letteraria.
Nel 1775 Alfieri colloca la svolta fondamentale, l'illuminazione destinata a dare un senso alla sua vita, la sua
«conversione»: l'anno prima aveva iniziato una tragedia, Antonio e Cleopatra, che gli fece rendere conto di
come, proiettare i propri sentimenti nella poesia, costituisse l'unico mezzo per trovare un superamento dei
propri tormenti. Data l'insufficienza dei suoi primi studi, gli è però indispensabile munirsi dell'adeguato
bagaglio culturale: con volontà caparbia si immerge nella lettura dei classici latini e italiani (il greco lo
imparerà solo in anni più tardi), si applica allo studio della lingua italiana per impadronirsi di un linguaggio
adatto alle tragedie che intende scrivere, e giura di non proferire più una sola parola di francese, che sino a
quel momento era stata la sua lingua abituale. Dalla sua fervida attività di scrittore nascono una dopo l'altra
le sue tragedie.
Legatosi sentimentalmente a Luisa Stolberg, contessa d’Albany, scelse di “spiemontesizzarsi” donando tutti
i suoi beni alla sorella e tenendo per sé soltanto un modesto vitalizio. Con la Stolberg si recò in Alsazia e poi
a Parigi dove, lo scoppio della Rivoluzione, accende il suo spirito antitirannico. Ma presto gli sviluppi del
processo rivoluzionario suscitano in lui riprovazione e disgusto, per quella che egli ritiene una falsa Iibertà
che maschera una nuova tirannide borghese e per l'insolenza violenta della plebe. Nel '92, dopo l'assalto
alle Tuileries, fugge da Parigi e viene a stabilirsi a Firenze, dove vive i suoi ultimi anni in una sdegnosa
solitudine, animato da un odio sempre più feroce contro i Francesi, che si sono ormai impadroniti dell'Italia
con le campagne napoleoniche. A Firenze muore l’8 ottobre 1803.

ALFIERI: LE OPERE
Le Rime raccolta di oltre trecento componimenti, per lo più ispirati all’amore per la compagna Luisa
Stolberg d’Albany. Sono una sorta di diario, un’autobiografia in versi, in cui Alfieri raccolse i suoi
componimenti scritti a partire dal 1776.
La Vita. autobiografia ispirata alle analoghe autobiografie di Goldoni e Rousseau, costituisce un importante
documento per meglio comprendere la personalità e le opere dello scrittore astigiano. Ne esce il ritratto di
un uomo oscillante fra la depressione e l'entusiasmo, dotato di forti passioni, di autoironia e di grande
sensibilità temprata dalla sofferenza.
I trattati
Della tirannide. Scritto nel 1777 e poi ripreso dieci anni dopo, il trattato è in due libri e risente della lettura
di alcune opere classiche, del Principe di Machiavelli e di scritti degli illuministi francesi. Nel Libro primo la
tirannide viene analizzata come forma di governo; nel Libro secondo, invece, Alfieri sposta l’attenzione sul
soggetto, sul suddito del tiranno, e riflette sul modo in cui alla tirannide è possibile resistere e ribellarsi.
Del principe e delle lettere. Trattato in tre libri, elaborato tra il 1778 e il 1786 nel quale l’autore analizza il
rapporto tra gli intellettuali e i governanti.
Le Satire, costituite da sedici composizioni in terzine. Alfieri prende a modello gli scrittori antichi di satire:
Orazio, Persio e Giovenale. Critica i costumi, le mode e i vizi del proprio tempo.
II MisogaIlo. Opera in prosa e in poesia in cui Alfieri si scaglia contro "Illuminismo e la Rivoluzione francese.
L'ideologia I rapporti con l'Ill uminismo. Le basi della formazione intellettuale di Alfieri sono ancora
decisamente illuministiche: gli autori che egli aveva letto nella sua giovinezza, Montesquieu, Voltaire,
Rousseau, continuano anche in seguito a determinare il suo orizzonte mentale. Ma, nei confronti di quella
cultura del secolo, che tutto sommato resta anche la sua cultura, prova una sorda, confusa insofferenza.
Innanzitutto, contrasta il culto della scienza: il freddo razionalismo scientifico per lui soffoca il <<forte
sentire>>, quella violenza emotiva e passionale in cui egli ritiene consista la vera essenza dell'uomo, e
spegne anche il fervore dell'immaginazione, da cui solo può nascere la poesia, la manifestazione più alta di
quell'essenza. La filosofia dei «lumi» mirava ad un'equilibrata regolamentazione razionale della vita
passionale ed affidava alla ragione una funzione di guida e direzione degli impulsi profondi. Alfieri invece si
ribella decisamente a questo controllo razionale, ed esalta la passionalità sfrenata e senza limiti.
La poetica tragica. Nella scrittura tragica, Alfieri trova la liberazione dalla sua oscura inquietudine, individua
lo scopo che può dare un senso alla sua vita. continuamente spinta verso qualcosa di ignoto e per questo
dominata da un senso di vuoto, di noia, di scontentezza. A scegliere la forma tragica come espressione del
suo mondo interiore il poeta é indotto da vari motivi. Poiché tradizionalmente la tragedia rappresentava
figure umane eroiche e passionali, nel costruire i suoi eroi il poeta dava sfogo alle sue aspirazioni,
proiettava sé stesso. Ma lo stesso mettersi alla prova col genere tragico costituiva agli occhi di Alfieri un
segno di grandezza. Secondo un'opinione diffusa nel mondo letterario del tempo, la tragedia non aveva
ancora trovato nella cultura italiana una realizzazione soddisfacente: si riteneva che mancasse all'Italia un
grande poeta tragico ed era anche considerata il genere più nobile e più difficile, che esigeva perfetto
dominio degli strumenti espressivi. Entrambi questi motivi costituivano come una sfida per Alfieri, che in
quel campo cosi difficile e ancora tutto aperto, scorgeva l'occasione adatta per l'affermazione di sé, per
esprimere il senso orgoglioso della sua grandezza e per soddisfare il proprio bisogno di gloria.
La struttura della tragedia alfieriana. Alfieri si colloca in posizione polemica nei confronti della grande
tragedia classica francese, che costituiva ancora il modello più prestigioso a livello europeo (anche se il
modello shakespeariano. proprio in questi decenni di fine Settecento, cominciava a suscitare forte
interesse). Ai tragici francesi lo scrittore rimprovera le eccessive lungaggini che rallentano l'azione
raffreddando l'interesse. Secondo Alfieri alla base dell'ispirazione poetica vi deve essere un travolgente
slancio passionale. Il meccanismo tragico si manifesta nel dinamismo dell'azione, nella tensione incalzante
che precipita verso la catastrofe, senza mai essere interrotta da indugi e rallentamenti, che
determinerebbero cadute di interesse. freddezza e noia. Per questo il congegno drammatico deve eliminare
ogni elemento superfluo; evitando le figure secondarie, puri riempitivi non indispensabili all'economia
dell'azione, e concentrarsi solo su un numero limitatissimo di personaggi principali, quelli tra cui si crea
veramente il conflitto tragico.
La rapidità incalzante della struttura si traduce anche nello stile, che deve essere rapido, conciso,
essenziale. Alfieri rispetta fedelmente le tre unità aristoteliche di tempo, di luogo e di azione: le sue
tragedie si svolgono, di norma. in un arco di tempo che non supera le ventiquattro ore, hanno una scena
fissa ed un'azione unitaria anche perché l'unità dell'azione e la brevità dell'arco temporale contribuiscono a
creare una successione di eventi rapida e incalzante.
Alfieri nella Vita spiega che l'elaborazione di ogni tragedia si articola in tre momenti fondamentali:
«ideare». «stendere», «verseggiare». La prima fase consiste nell'ideare il soggetto della tragedia e nel
fissare il numero dei personaggi, seguendo l'ispirazione; la seconda nello scrivere per intero i dialoghi in
prosa; «verseggiare» significa infine stendere i dialoghi in versi (Alfieri usa l'endecasillabo sciolto. che con
lui si afferma come il verso tragico per eccellenza). Come si vede, la creazione é originariamente un
processo spontaneo, (le prime due fasi), ma poi quel contenuto confuso deve disciplinarsi in una forma
rigorosa. Entrambe le condizioni sono per il poeta necessarie: la tragedia non può nascere se non vi é
quell'«entusiasmo» iniziale, ma egualmente non può esistere se non trova la sua perfetta organizzazione
formale.
Alfieri riteneva le sue tragedie autentici testi drammatici da recitarsi dinanzi ad un uditorio, tuttavia non le
fece recitare nei teatri pubblici ma in case private, tra gruppi di amici aristocratici. Questa scelta "riservata"
nasceva da un rifiuto sprezzante del teatro contemporaneo, ritenuto frivolo e volgare, degli attori
dell'epoca, giudicati incapaci di sostenere degnamente le parti dei suoi eroi, ed infine del pubblico comune,
considerato insensibile e mediocre, quindi non all'altezza di comprendere e apprezzare le sue "alte"
creazioni.
L'ambientazione storica delle vicende è estremamente varia e la materia può rifarsi al mondo greco o
latino, a narrazioni bibliche, a episodi della storia medievale o rinascimentale. II nodo principale è il conflitto
fra l'aspirazione alla libertà dell'individuo grande e nobile e l'oppressione esercitata dalla tirannide, intesa
in senso ampio (il destino, la costrizione sociale, la passione incontrollabile).
Saul. Pubblicato nel 1782, il Saul è considerato il capolavoro fra le tragedie alfieriane. La materia è tratta
dall'Antico Testamento Alla storia del re israelita Saul e del suo successore David l'autore apporta però
sostanziali modifiche, dettate da motivazioni prettamente letterarie. Ad esempio, condensa in sole
ventiquattro ore e in un unico luogo una lunga serie di avvenimenti che, nel testo biblico, si svolgono in
diversi anni. Inoltre, attribuisce nuovi significati ai personaggi e alle situazioni della vicenda, che è
rielaborata molto liberamente. L'azione si svolge nel campo degli Ebrei, guidati da re Saul alla guerra verso i
Filistei, contro i quali egli, valoroso guerriero di umili origini divenuto re, ha già riportato numerose vittorie.
Ora però l'anziano sovrano, abbandonato da Dio e tormentato dalla malinconia della vecchiaia e dalla sua
ansia di comando assoluto, sospetta che David, marito della figlia Micol, eroe giovane, prediletto da Dio e
dal popolo, aspiri a diventare re al suo posto. In preda a laceranti conflitti, Saul prima lo manda in esilio con
ingiuste accuse, poi si riappacifica con lui, quindi, di nuovo accecato dall'angoscia e dalla diffidenza, ne
ordina l'uccisione, costringendolo ancora alla fuga. Travolto dalla sua folle rabbia, l'anziano sovrano giunge
a macchiarsi orrendamente le mani di sangue innocente uccidendo il sacerdote Achimelech, che egli ritiene
complice di David e, annullati gli ordini militari impartiti da David, Saul si prepara al combattimento.
Quando però i Filistei attaccano il campo, l'esercito di Saul si rompe e il re perde in battaglia Gionata e gli
altri amati figli: oppresso dai rimorsi e dal delirio, tormentato da angoscianti visioni, ordina al ministro
Abner di portare in salvo Micol e infine si suicida, trafiggendosi con la propria spada.

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