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LETTERATURA – MARCROTEMA LA POESIA D’AMORE

L’amore è il tema più trattato nella letteratura universale (per lo meno quella occidentale), per
lo più l’amore sofferto, negato. La rappresentazione letteraria dell’amore ha prodotto alcuni
canoni/filosofie dominanti della visione dell’amore. Noi indagheremo alcune di queste
tipopologie che hanno una loro precisa contestualizzazione storica e cronologica:
1. Amore cortese: appartiene alla letteratura medioevale ed è un amore profano, cioè
rivolto a una donna (a un essere umano e non per esempio a un dio, quello sarebbe
mistico) e che tuttavia si avvale di un linguaggio sacro, dato che si basa su el
endiosamento/deificazione, cioè sulla divinizzazione della donna. Esempio: donna
angelicata di Petrarca, paragonata ad un’essenza angelica, divina, sovrannaturale. Per
questo si tratta di un amore quasi esclusivamente platonico, cioè che non implica il
soddisfacimento carnale, l’aspetto sessuale, l’eros. È un amore disgiunto dall’eros.
2. Amore mistico: amore sacro che si rivolge a Dio, e comunque a un’essenza divina, e
che viceversa si avvale di un linguaggio proprio dell’amor profano basandosi sulla
comparazione tra dio e un amante umano, trattare Dio come se fosse il proprio
amante. Quindi si rappresenta l’unione mistica con Dio come se fosse un’unione
sessuale, si usa l’allegoria erotica per indicare la unio mistica. Tutto il contrario
dell’amor cortes
3. Amore anticortese: amore profano che ha un trattamento puramente erotico, non come
l’amor cortese. Un esempio è Don Juan, che appunto rappresenta il seduttore per
antonomasia che fa della donna un oggetto, ma non di culto, ma un oggetto di un
collezionismo erotico. Conquistare, sedurre, possedere più donne possibili. Quindi è
sostanzialmente l’amore erotico, che si basa tutto sulla componente carnale
dell’amore.
Un'altra tipologia di amore anticortese è la Cancion de Mujer (genere della poesia
popolare), quindi la poesia popolare dove la donna abbandonata, in occasione di un
appuntamento amoroso, lamenta l’assenza dell’amato che sperava di poter possedere.
Non è solo un incontro platonico, era un incontro per congiungersi, questo genera una
frustrazione e dolore. La novità rispetto alla tradizione è non solo la componente
erotica ma anche il protagonismo femminile. Il soggetto poetico è una donna, mentre
nell’ambito dell’amor cortese è sempre un uomo il soggetto poetico.
4. Amore romantico: siamo nell’800, è un amore infelice in quanto irraggiungibile,
inappagabile che è solito coniugarsi alla morte. La sofferenza d’amore porta alla
morte spesso declinata sottoforma di suicidio. È irraggiungibile perché viene
ostacolato, gli ostacoli sono per esempio le convenzioni sociali (amore tra famiglie
nemiche per motivi sociali, politici, religiosi, etnici) o a causa del destino, cioè il fato
che si oppone che per lo più si caratterizza per la reciprocità tra gli amanti che però
vengono ostacolati. La differenza con l’amor cortese è che qui non vi è reciprocità
dagli amanti, qui l’io poetico soffre per una donna lontana. Anche l’amore romantico
riscatta la componente carnale, si ama anche con il corpo, è un amore che coniuga
sentimento ed erotismo in virtù della pienezza dell’essere (l’induviduo non è scisso tra
anima e corpo, per questo si ama con il cuore ma anche con il corpo).

Sono tipologie della rappresentazione letteraria dell’amore, che in sé ha molte sfaccettature,


si presenta in diverse rappresentazioni.

AMORE CORTESE
Tipologia letteraria d’amore che nasce nel 1100 quindi nel XII secolo con il nome di fin
amors, nome appartenente alla lingua provenzale, perché proprio qui nasce questa tipologia
letteraria dell’amore. Questo canone se nasce in Provenza finisce per espandersi a buona
parte dell’Europa creando un canone Europeo, ma soprattutto nell’Europa mediterranea,
quindi ha una vasta estensione geografica ma anche vasta estensione di tipo cronologico,
rimane come moda letteraria per vari secoli (ancora nel 500 possiamo parlarne).
Naturalmente con adattamenti geografici quindi rispetto alle singole tradizioni nazionali, sia
adattamenti nel tempo (l’amor cortese di Petrarca non è lo stesso di quello di un autore del
rinascimento). Il principale adattamento nel canone dell’amor cortese in base al fattore tempo
consiste nel fatto che nel rinascimento l’ortodossia di questo canone comincia ad essere
penetrato da un sentore di erotismo.

GLOBALIZZAZIONE: è una sorta di uniformità culturale che abbraccia tutto lo spettro


geografico, ma in realtà la globalizzazione con altri tempi e altri strumenti già si era prodotta
nel medioevo proprio perché in Europa tutta la tradizione poetica si basava sull’amor cortese.
Naturalmente globalizzazione con altri strumenti e mezzi, nel medioevo erano i poeti musici,
era una poesia spesso cantata, che erano itineranti: giravano per le corti europee e
divulgavano questo canone attraverso queste loro “tournee”.

Lo schema di base di questa relazione amorosa è:


SOGGETTO POETICO: è maschile e per lo più di un uomo giovane non coniugato che si
innamora di una dama sposata, la quale proprio per essere sposata e di appartenere a una
classe sociale superiore è perlopiù distante e indifferente e per questo deve essere amata e
corteggiata dall’io poetico in segreto, proprio per non macchiare la rispettabilità e
l’onorabilità della dama. È dunque un amore del tutto disgiunto dal matrimonio. Quindi il
giovane amante è il portatore di un amore adultero, ama la donna d’altri anche se in segreto.

IDEARIO: l’amore è concepito come un vassallaggio, dato che il cavaliere si comporta come
il servitore della sua dama, alla quale spesso si rivolge con il termine di “mi senor” al
maschile, perché la donna è concepita come il padrone (nella società dell’epoca chi detiene il
potere è l’uomo) del cuore del soggetto poetica. Tuttavia, il soggetto poetico anche se
rifiutato e ignorato, accetta volontariamente il suo destino giungendo addirittura a godere del
suo dolore, e quindi il suo è un atteggiamento assolutamente masochista. L’unica ricompensa
che invoca per questo suo amore sofferto è il servizio d’amore, poterla amare anche se da
lontano e segretamente, poter soffrire per lei. Accetta quindi un amore platonico, senza
premio, disinteressato e accetta questa sofferenza addirittura godendone perché ritiene che la
sofferenza d’amore nobiliti, sia un veicolo per raggiungere la nobiltà d’animo, è vista come
elevazione spiriturale (potere nobilitante della sofferenza). Ecco perché l’innamorato si
consegna al suo dolore insoddisfatto, addirittura assaporando la sofferenza, al punto tale che
si vengono a stabilire dei paradossi: bendito sufrir, pena deleitosa. Si stabilisce un ulteriore
paradosso, cioè quest’accettazione e piacere del martirio non impedisce che il soggetto
invochi l’arrivo della morte come liberazione. Tutto sommato vuole liberarsi da questa
sofferenza sebbene goda di questa sofferenza.

Tutto ciò, conduce al carattere platonico di questo amore, che si divorzia completamente
dalla possessione fisica: non è mai allusa e mai pretesa. È un amore casto che non pretende
culminazione, è un desiderio insaziato sebbene a volte ci può essere un significato nascosto.
Inoltre, viene definito come un vassallaggio, rispecchiando la società medioevale basata
proprio su questo quindi è un allegoria feudale applicato all’amore e l’altra metafora usata è
la metafora religiosa: amore visto non più come un vassallaggio ma come un culto professato
a un essere superiore. L’amante si autodefinisce non più vassallo ma in temrini religiosi
martire, mentre la dama viene rappresentata non più come “mi senor, mi rey”, ma glorificata
con espressioni di carattere religioso attraverso l’iperbole sacra, aragonata a un angelo, alla
vergine, a un’essenza sovrannaturale e infine a Dio. Quindi divinizzazione della donna e
spiritualizzazione dell’amore, la donna è oggetto di una specie di culto laico (comunque lei è
un essere vivente), la cosiddetta religione d’amore (così è deifnito l’amor cortese)

In realtà sono impregnate di un simbolismo sia cristico sia mariano: l’innamorato è


paragonabile a Cristo, le sue ferite sono quelle di Cristo. La donna spesso paragonato alla
vergine. La passione del soggetto poetico è identificata alla passione di Cristo e la sua morte
(sia animica sia fisica) come un vero e proprio martirio (quello patito da cristo). Di
conseguenza il lessico è tutto infarcito di riferimenti religiosi: passione, l’inferno vissuto
dall’amante, la gloria della bellezza dell’amata, los salmos, las misas…

È una poesia blasfema e adultera, considerando se stesso un cristo e l’amata una vergine.
L’uomo del medioevo vive in una intimità con il sacro molto più stretta rispetto a oggi, non
c’era grossa separazione tra sacro e laico, quindi l’immaginario dell’uomo medioevale è così
impregnato di rigerimenti religiosi che non ne può prescindere quindi di conseguenza non
appariva così blasfemo tradurre il linguaggio d’amore in linguaggio religioso. Per quanto
riguarda il fatto di essere un amore adultero e quindi antisociale, quella era una società
patriarcale basato su regole ferree, ed è vero che è un amore platonico ma anche solo pensare
a una donna d’altro rende l’amore impuro (nono comandamento). Inoltre si verifica un
rovesciamento di valori sociali: è la donna che domina e l’uomo è i lsuo martire o vassallo.
Piano di superiorità della donna e modello d’amore che non rispettava affatto la società
del’epoca dove la donna prima era subalterna al controllo paterno e poi maritale, non aveva
nessuna libertà, mentre qui è rappresentata come “mi senor”.
Quindi sembra non rispecchiare la realtà. Josè Ortega y Gasset è stato un filosofo
enciclopedico, dice che ha avuto una grande portata di civilizzazione perché l’uomo non è
visto come un predatore (che vede la donna come una preda per soddifare l’impulso
sessuale), ma si autorappresenta come autoprigioniero di quella donna, che accetta di
collocarsi in modo distate, la ama da lontano, e che deve farsi degno di lei. In questo modo
l’amante non è più quel predatore o quell’essere che in qualche modo domina e
strumentalizza la sua donna, ma tutto il contrario. Ortega dice anche che la rappresentazione
di un amore in questi termini, non sia alto che la proiezione di un desiderio femminile
(sarebbero state le dame della provenza che decisero che l’uomo dovesse essere rappresentate
secondo questo ideale, ma idea piuttosto penabile perché la storia è sempre degli ideali
maschili, in ogni caso è interessante il distacco tra realtà sociale e realtà letteraria).

Tutti i poeti dell’epoca accettano questi costituendo un codice, al quali tutti si uniformavano,
creando un manierismo cioè un repertorio di luoghi comuni ricorrenti in tutti gli autori, così
come un repertorio di stilemi che ricorrono in tutti gli autori creando un vero e porprio codice
e manierismo, che a volte andava a ledere la libertà di ispirazione, scadendo in qualche modo
nell’insincerità. A volte sembrerà di vedere come fosse un solo poeta che scrivono tutti i testi,
perché sono il rispecchiamento degli uni degli altri per quanto l’uniformità a quel codice sia
così passiva.

Dal punto di vista formale abbiamo la prospettiva maschile verso un’amata indifferente, la
quale rimane sempre in silenzio. La donna che è l’interlocutrice in realtà non ha voce e
neanche la vediamo, è una vera e propria protagonista in absenzia. Chi vediamo e ascoltiamo
è appunto il soggetto poetico maschile.
Dal punto di vista stilistico abbondano i concettismi, le risorse concettuali cioè paradossi,
antitesi, giochi di parole, tutta una contorsione concettuale che serve proprio a esprimere i
turbamenti dell’innamorato, fatto da mille contrarsi, per esempio il controllo e il desiderio,
quindi il descontrol (lasciandosi guidare da corrente), quindi contrasto tra voglio e non voglio
che da un lato vuole difendersi dagli attacchi d’amore ma ne è comunque vittima.

Mario Benedetti, Viceversa: poeta uruguayano del 900. Rappresenta l’ambiguità e


l’andirivieni emotivo dell’innamorato, le oscillazioni di si e no dell’innamorato.

Tengo miedo de verte, necesidad de verte


Tengo ganas de allarte, preocupacion de allarte
Tengo urgencia de oirte y temores de oirte
Osea, resumiendo, estoy jodido y radiante,
Quizas mas lo primero que lo segundo y viceversa

Stato d’animo ambivalente espresso con paradossi, antitesi, giochi di parole, tipico
dell’amante cortese.
Per quanto riguarda il tono, è prevalentemente introspettiva, basata tutta sull’autoanalisi del
soggetto, che riflette sulla fenomenologia dell’amore, opera una dissezione: l’anatomia del
sentimento. È una poesia che indaga le gallerie dell’anima, assolutamente disinteressata alla
realtà esterna. Non appare mai (almeno in Spagna) il ritratto della donna, non conosciamo la
sua essenza fisica. L’amante cortese in spagna si rivolge alle caratteristiche animiche non
fisiche, inoltre la natura non è oggetto di contemplazione nemmeno specchio delle emozioni
individuali (al contrario dell’amante romantico), per lui la natura è assolutamente emarginata.
Un’altra peculiarità è il gusto per la personificazione delle idee e uso dell’allegoria.

DIFFERENZE TRA AMOR CORTESE IN ITALIA E IN SPAGNA:


poesia cancioneril, riferito alla produzione cortese in Spagna, perché era solita venir
pubblicata in canzonieri di poeti vari (i poeti pubblicavano le proprie poesie in canzonieri
collettivi), mentre in italia lo conosciamo come dolce stilnovo.
Entrambe le tradizioni nascono da una stessa matrice, cioè quel fin amor provenzale, ma poi
la adattano a seconda del propri ocontesto culturale, letterario nazionale.

Dolce stil novo:


- Più estrema idealizzazione dell’amata: l’iperbole sacra è più forte in Italia, più
estremizzata.
- Ritratto fisico della donna: in Italia c’è. La chiarità di Laura e di tutte le donne dello
stilnovo perché secondo la trad estetica neoplatonica la luce è la manifestazione di Dio,
quindi la chiarità (pelle bianca capleli bionfi) sono ricettacolo della amnifestazione
divina. La mora rappresenta la seduzione della carne invece. Nell’iconografia più diffusa
Cristo e la Vergine sono biondi, sebbene falso, questo rappresenta la visione neoplatonica
della claritas. In spagna non si sa come sono le donne amate perché i poeti non le
descrivono.

Es amor fuerza tan fuerte, Jorge Manrique


Autore del XV secolo che scrive questa poesia che può essere concepita come una vera e
propria definizione dell’amore secondo quella visione cortese dell’amore stesso.

Es amor fuerza tan fuerte


que fuerza toda razón,
una fuerza de tal suerte
que todo el seso convierte
en su fuerza y afición;
una porfía forzosa
que no se puede vencer,
cuya fuerza porfiosa
hacemos más poderosa
queriéndonos defender. 

È un topos della poesia cortese, ossia la lotta tra ragione e amore come esseri personificati,
l’amore viene detto con la sua forza poderosa è causa della sconfitta della ragione e di
conseguenza dell’alienazione del soggetto poetico privato della sua facoltà razionale.
L’amore annulla il potere della ragione a punto tale da fare della ragione un suo alleato: la
ragione che dovrebbe difendere il soggetto poetico dagli attacchi d’amore diventa un alleato
d’amore. Amore è un’ostinazione inevitabile che non può essere vinta, la cui forza ostinata
rendiamo più potente volendoci difendere (paradosso: quanto più ci vogliamo difendere
attraverso la ragione, tanto più amore diventa potente e sopraffa la ragione.

Uso di un linguaggio bellico, è una vera e propria lotta, guerra quella che si stabilisce tra
amore e ragione: si parla di vencer, defender, forzar. Uso di una figura retorica chiamata
“derivazio”, cioè la ripetizione di uno stesso termine che però viene variato nella sua forma
(fuerza, fuerte, forzoso). Questa derivazio la osserviamo già nel primo verso (es amor fuerza
tan fuerte).
Dal punto di vista formale abbiamo un’altra figura retorica che riguarda lo stesso lessema
della forza, cioè la dilogia: usare una stessa parola ma con significati differenti. La parola
forza, infatti, se nel primo verso si riferisce a una capacità fisica (es amor fuerza tan fuerte),
nel secondo verso si riferisce a un’azione (que fuerza toda razon, che sconfigge ogni ragione),
quindi abbiamo l’uso della stessa parola ma con significato diverso. Mentre prima la stessa
parola veniva ripetuta in forme diverse, ora la stessa parola ha significati diversi, cosa
accomuna queste due figure retoriche? La ripetizione, sono due figure retoriche diverse della
ripetizione. Abbiamo una terza forma della ripetizione che riguarda sempre la parola forza,
cioè il chiasmo: ripetizione incrociata, lo troviamo nella prima strofa (porfia forzosa fuerz
porfiosa)
Abbiamo visto in una sola strofa ben tre figure della ripetizione (derivazio, dilogia, chiasmo)
che interessano uno stesso lessema; questo non è casuale, la funzione poetica di questa
ripetizione così insistita è una funzione enfatica, di voler dare enfasi a un concetto, in
particolare a quella parola, alla forza dell’amore e alla sua capacità di convertire la ragione in
suo alleato. Ripetere tanto fuerte, fuerza, forzoso riferito all’amore vuol dire proprio una
sottolineatura enfatica di amplificazione di quel concetto.

Es placer en que hay dolores, 


dolor en que hay alegría, 
un pesar en que hay dulzores, 
un esfuerzo en que hay temores, 
temor en que hay osadía.
Un placer en que hay enojos, 
una gloria en que hay pasión, 
una fe en que hay antojos, 
fuerza que hacen los ojos 
al seso y al corazón. 
Tre figure retoriche che sono a loro volta figure della ripetizione: parallelismo (non si
ripetono singole parole variate o no nella forma, ma tutta la struttura sintattica della frase, lo
stesso ordine degli elementi, ciò che varia sono le parole). Generalmente il parallelismo si
affianca a un’altra forma della ripetizione, cioè l’anafora (ripetere la stessa parola in inizio
diverso: un, una, un, una. Una terza forma è la concatenazione (un verso inizia con la parola
finale del verso precedente, tipica della filastrocca infantile). In questa seconda strofa, che
presenta ulteriori tre forme della ripetizioni rispetto alla prima strofa, prevale il paradosso e
l’ossimoro, figure del pensiero non del linguaggio. L’ossimoro è un’antitesi nella quale si
collocano a contatto parole dotate di significato opposto e che sembrano escludersi
mutuamente (placer doloroso, dolore alegre, pesar dulce, osadia temorosa). Presenta negli
ultimi due versi uno dei luoghi comuni/topoi di questa poesia, cioè il motivo degli occhi:
nella fenomenologia dell’amor cortese gli occhi possono avere una doppia funzione:
- Occhi dell’amata che uccidono con il loro sguardo affascinante (occhi che affascinano).
- Occhi dell’amato come porta dell’amore: nel contemplare la bellezza dell’amata,
l’amante diviene colpito dalla freccia di questo amore. Gli occhi dell’amante attraverso la
contemplazione della bellezza dell’amata diventano la porta dell’amore cioè causa
dell’innamoramento.
Gli occhi sono complici dell’amore tradendo la ragione, l’amore nasce attraverso la vista e
penetra attraverso gli occhi, i quali trasmettono l’immagine dell’oggetto desiderato alla
mente, informano la mente con l’immagine dell’oggetto desiderato. La visione è quindi
all’origine della concettualizzazione, o meglio la visione è all’origine della contemplazione
intellettuale e non solo visuale della bellezza dell’amata.
A volte l’amore può essere anche non attraverso gli occhi ma per sentito dire, cioè quando
qualcuno parla tanto della bellezza di una persona innamorandocene senza mai averla vista:
così è per Don Quijote, da Dulcinea non esiste, è frutto della sua immaginazione per aver
sentito parlare.

Es una cautividad 
sin parecer las prisiones, 
un robo de libertad, 
un forzar de voluntad 
donde no valen razones. 
Una sospecha celosa 
causada por el querer, 
una rabia deseosa 
que no sabe qué es la cosa 
que desea tanto ver. 

Introduce un ulteriore topos dell’amor cortese, cioè la carcel de amor, amore inteso come una
privazione di libertà: non più visto come guerra contro la ragione come nella prima strofa, ma
a questo punto è visto come un carcere perché ruba la libertà dell’innamorato che una volta
vittima d’amore viene completamente colonizzato dall’amore stesso.
È una prigionia senza che si manifesti la prigione, quindi non è una prigione fisica ma
mentale/emotiva, un furto di libertà e anche un forzare della volontà. La volontà è un alleato
della ragione: la ragione e la volontà sono quelle facoltà umane che possono strutturare una
difesa, ma entrambe vengono forzate da amore e sconfitte. Qui inizia la fenomenologia
dell’amore, una volta che si è insediato nella persona ecco che ingenera gelosia, rabbia e il
soggetto non sa cos’è ciò che desidera tanto vedere (ancora una volta importanza della vista).
É talmente oggetto di forzatura che non siamo più in grado dell’autodeterminazione, siamo in
gabbia preda d’amore.
È un linguaggio molto concettoso basato tutto su paradossi, ecco che qui appare un
paradosso: il paradosso che poi troveremo nella strofa successiva è legato alla lontananza
della persona amata.

Es un modo de locura
con las mudanzas que hace:
una vez pone tristura,
otra vez causa holgura
como lo quiere y le place;
un deseo que al ausente
trabaja, pena y fatiga,
un recelo que al presente
hace callar lo que siente
temiendo pena que diga. 

 Quando siamo distanti dal nostro oggetto del desiderio soffriamo, se siamo vicini
abbiamo quasi timore di svelare il nostro stesso desiderio
Appaiono ulteriori luoghi comuni di questa concezione cortese dell’amore, cioè concepire
l’amore non più come guerra o non più e non solo come prigione, ma anche come follia,
proprio perché amore indica la sconfitta della ragione. Una volta che il soggetto poetico è
privato delle facoltà razionali (ragione, intendimento, saggezza e volontà), il soggetto è in
preda alla follia. Il motivo della follia viene ripreso con la sua volubilità una volta tra la
tristezza una volta l’allegrezza.
Paradosso: la lontananza procura pena tanto quanto la vicinanza (stesso effetto procurato da
due situazioni opposte) questo perché la lontananza genera assenza, causa di dolore e la
vicinanza genera invece imbarazzo. La somatizzazione dello stato dell’innamoramento è
ugualmente causa di assenza di benessere.

Todas estas propiedades


tiene el verdadero amor;
el falso, mil falsedades,
mil mentiras, mil maldades
como fingido traidor.
El toque para tocar
cuál amor es bien forjado,
es sufrir el desamar,
que no puede comportar
el falso sobredorado.

Questa è una chiusa/coda: per valutare il vero amore bisogna considerare la disponibilità
dell’amante a soffrire, solo lui è portatore di un vero amore.
Forgiato: metafora tratta dal mondo dell’oreficeria. Toque: misura per stimare i metalli
preziosi, in questo caso l’amore ben forgiato, è patire il disamore, accettare la sofferenza,
cosa che non può portare la falsa doratura (falso amore). Per valutare il vero amore bisogna
considerare la disponibilità dell’amante a soffrire, soltanto un amore in cui un amante è
disposto a soffrire è portatore di un vero amore.
Ci troviamo di fronte a un’altra chiave concettuale dell’amor cortese, cioè qual è il vero
amore? È patire il disamore della donna sdegnosa, quindi l’amore vero è chi è disposto a
soffrire e quindi il masochismo tipico del soggetto poetico nell’ambito dell’amor cortese.
Abbiamo una rappresentazione dell’amore come:
- Nemico nell’ambito della guerra
- Carceriere nell’ambito di una prigionia
- Follia come perdita delle capacità razionali
Quindi l’amore in sostanza è un qualcosa di nocivo dal quale difendersi anche se in realtà non
si è in grado di difendersi e si accetta la sconfitta masochisticamente.
Dietro questa rappresentazione dell’amore traspare una concezione ascetico-cristiana: cioè
l’amore e l’azione soprattutto della donna è associato a qualcosa di negativo e quindi a
un’istanza diabolica dalla quale doversi difendere. L’opera seduttrice del demonio, non a caso
tutti i grandi seduttori della letteratura (Don Giovanni e Carmen) sono personaggi diabolici
proprio perché il diavolo è seduttore.
Quindi da questa concezione dell’amore come guerra, come prigionia, follia dalla quale
dobbiamo difenderci traspare questa concezione ascetico-cristiana che crea un parallelo tra
amore e la forza seduttrice del diavolo nei confronti della quale l’io deve difendersi perché
viene sottoposto al furto dell’autodeterminazione.

Vedremo però che le poesie dell’amor cortese è vero che hanno sottesa questa concezione
ascetico-cristiana dell’amore come qualcosa da cui difendersi, ma vi è anche un’altra corrente
filosofica che definiamo neoplatonica che informa di sé questo repertorio poetico dando a
quella parte del repertorio poetico che risente della concezione filosofica neoplatonica una
sfumatura diversa.

METRICA:
Cosa definisce una strofa? Al di là che graficamente si separano, c’è un fatto metrico che
definisce la fine di una strofa, cioè il disegno rimico. Quando cambia il disegno rimico allora
si ha una nuova strofa.
Prima strofa: A-B-A-A-B C-D-C-C-D
Nel primo disegno rimico ci sono cinque versi, quindi siamo di fronte a un 5+5, si tratta di
due quintillas (strofe di cinque versi)
Di quante sillabe è composto il verso: quando un verso finisce con una rima tronca, in questo
caso razon, si deve contare una sillaba metrica in più. Se invece avessimo avuto il caso di un
verso che finisce con una parola sdrucciola (accento sulla terzultima sillaba) allora dovremmo
contare una sillaba metrica in meno. Se la parola è piana allora il conto è regolare. LEGGE
DI MOSSAFIA
Nel computo metrico va considerata un’altra legge: quinto verso della prima strofa. Qui
abbiamo una sinalefe, cioè quando si incontra la vocale di fine parola con la vocale di inizio
parola successiva. In questo caso le due vocali si fondono in un’unica sillaba. Es:
en/su/fuer/zay/a/fi/ccion ma secondo la legge di Mossafia si calcola una sillaba in più. Quindi
abbiamo una sinalefe che produce 7 sillabe più la legge di Mossafia che restituisce la sillaba.

L’ottosillabo è il metro tipico della tradizione poetica colta e anche popolare in Spagna,
mentre in Italia il metro più classico è l’endecasillabo, usato da una forma poetica
tipicamente italiana cioè il sonetto e che risale ai poeti dello stilnovo (Petrarca). Questo fatto
è importante segnalarlo perché nel 500 invaderà la Spagna una moda poetica cioè quella del
petrarchismo che importerà nelle lettere spagnole la forma poetica italiana più caratteristica
del sonetto e insieme a esso il suo metro. Ecco quindi che la poesia spagnola dovrà vedersela
con una contesa tra le forme autoctone (ottosillabo) e le forme di ispirazione italiana
(endecasillabo).
In questa poesia ci troviamo di fronte a quintillas di ottosillabi, il cui schema rimico è A-B-A-
A-B C-D-C-C-D, rima incrociata
Esistono due tipi di rime:
- Consonante: l’identità di suono a partire dall’ultima sillaba accentata tra due versi
riguarda sia i valori vocalici sia i valori consonantici, cioè tutta la fine della parola. Rosa-
mariposa
- Assonante: l’identità di suono tra due versi a partire dall’ultima sillaba accentata riguarda
solo i valori vocalici. La poesia italiana ne è priva, mentre quella spagnola ha una lunga
tradizione soprattutto nell’ambito della forma poetica del romance.

Escala de amor, Jorge Manrique


Esemplifica quelli che sono i topoi/motivi più ricorrenti della rappresentazione cortese
dell’amore.

Estando triste, seguro,


mi voluntad reposaba,
cuando escalaron el muro
do mi libertad estaba:

Triste-sicuro: paradosso, è triste ma sicuro perché era ancora un uomo non innamorato. Lo
stato di non innamoramento è di sicurezza perché si è perfetti proprietari di se stessi però si è
tristi.
Volontà è sinonimo di ragione (facoltà che difendono l’io) era tranquilla, non doveva
combattere contro nessuno, allorchè il muro di questa fortezza (allegoria della fortezza per
indicare la persona, la persona è una fortezza da scalare e da conquistare) che rende sicuro
l’io, viene scalato ed ecco che la libertà che dava sicurezza a quel soggetto poetico viene
messa in pericolo.

 
a escala vista subieron
vuestra beldad y mesura,
y tan de recio hirieron,
que vencieron mi cordura.

Chi scala la fortezza dell’io e mette in pericolo la sua cordura? La bellezza e l’eleganza della
donna che sono state oggetto di contemplazione, infatti verranno tirati in causa non a caso gli
occhi
 
Luego todos mis sentidos
huyeron a lo más fuerte,
mas iban ya mal heridos
con sendas llagas de muerte;

quindi tutti i sensi fuggirono il più possibile per non essere conquistati dalla bellezza della
donna, ma erano già feriti con varie chiavi mortali e la mia libertà rimase del vostro potere
prigioniera. Allegoria della fortezza assalita e ancora una volta la prigionia d’amore

y mi libertad quedó
en vuestro poder cativa;
mas placer hobe yo
desque supe que era viva.
Paradosso contrario rispetto a quello iniziale: prima la volontà era al sicuro ma triste, ora che
è stato conquistato ha perso la libertà ma è vivo grazie alla potenza d’amore che rapisce ma
nidifica.
 
Mis ojos fueron traidores,
ellos fueron consintientes,
ellos fueron causadores
que entrasen aquestas gentes

Gente: bellezza, eleganza della donna. Proprio loro che erano la vedetta di questa fortezza,
che dovevano controllare il territorio circostante e captare l’arrivo del nemico e dare l’avviso,
proprio loro invece sono stati i complici d’amore.
 
que el atalaya tenían,
y nunca dijeron nada
de la batalla que vían,
ni hicieron ahumada.
 
Desde que hobieron entrado,
aquestos escaladores
abrieron el mi costado, immagine cristica
y entraron vuestros amores;
 
y mi firmeza tomaron,
y mi corazón prendieron,
y mis sentidos robaron,
y a mí sólo no quisieron.
  Flechazo: ognuno di noi si forma un modello ideale fatto anche
¡Qué gran aleve hicieron di caratteristiche estetiche ma anche di espressioni. Quando
mis ojos, y qué traición: vediamo nell’altro l’immagine ideale che noi ci siamo formati,
por una vista que os vieron, li scatta un’identificazione: non con il mio io, ma con ciò che il
venderos mi corazón!
mio io produce di ideale. Il colpo di fulmine istite sul concetto
 
Pues traición tan conocida di riconoscimento.
ya les placía hacer,
vendieran mi triste vida
y hobieran dello placer;
 

mas al mal que cometieron


no tienen escusación:
¡por una vista que os vieron,
venderos mi corazón!

Siamo di fronte a qualcosa di molto diffuso nella poesia cancioneril (poesia dell’amor cortese
in Spagna), cioè l’allegoria: figura retorica mediante la quale il livello letterale del testo
rimanda a un significato altro, secondo. È quindi un’operazione linguistica che agisce
mediante la soppressione del significato basico/letterale/primo per rimandare a un livello di
senso altro.
L’immagine letterale/significato primo è la fortezza assediata, è quello che ci viene
raccontato, dove chi aggredisce è amore personificato (in realtà l’eleganza e la bellezza della
donna) e per portare a termine questa impresa guerresca, si serve di un’arma, in questo caso
una scala: la scala vuol dire movimento verso l’alto, quindi il simbolismo della scala è di tipo
ascensionale. Fa venire in mente la conquista del paradiso, che nell’iconografia cristiana si
colloca in alto, non a caso la scala è un simbolo fortemente religioso perché rimanda proprio
alla conquista del paradiso (il cielo posto in alto che necessita di una scala che poi è la scala
delle virtù nella concezione cristiana).
In questa poesia è l’amore profano, quindi la scala non serve per ascendere a Dio ma alla
donna che comunque è una donna per lo più angelicata, oggetto di un’iperbole sacra.
Simbolismo dello spazio: perché il paradiso è in alto e l’inferno è in basso? L’alto e il basso
determinano anche dei valori positivo-negativo, simbolismo anche dell’avanti-indietro, del
dritto-rovescio, destra-sinistra. (right = destra, dritto, giusto; retto = dritto, giusto). In questo
caso l’alto è l’amore, l’oggetto d’amore da raggiungere attraverso un movimento
ascensionale mediante la scala.
Già in questo simbolismo religioso abbiamo sicuramente un forte simbolismo cristologico,
riferito proprio alla figura di cristo, quando il soggetto poetico paragona se stesso, la propria
sofferenza, alla sofferenza di Cristo quando dice “abrieron el mi costado”, proprio come
successe a Cristo.
In questa allegoria della conquista della fortezza chi aggredisce è amore e la posta in gioco di
questa lotta tra amore e il soggetto poetico è il suo cuore che poi risulta essere ferito. Quindi
l’allegoria della fortezza assediata e conquistata rimanda al processo dell’innamoramento (il
flechazo fa parte dell’innamoramento, poi l’amore richiede una stratificazione più profonda).
Ancora tutta la presentazione si basa sulla comparazione dell’amore con un’impresa
guerresca, ancora una volta gli avversari sono amore e ragione. In tutte le guerre qual è un
modo per ottenere quasi sicuramente la vittoria? L’effetto sorpresa, una strategia, e anche qui
proprio come in una guerra vera l’effetto sorpresa è proprio all’inizio (questa
rappresentazione è proprio la rappresentazione della guerra): stava triste e sicuro, non se lo
aspettava, quindi l’effetto sorpresa coglie il nemico impreparato ed ecco che ci si garantisce
la vittoria. Un’altra strategia della guerra è la presenza di un traditore.
 Ci sono tutti gli elementi della guerra.
La poesia è disseminata da una serie di paradossi: paradosso della libertà murata, capiamo il
senso perché protetta dalla fortezza ancora non assediata d’amore. Così come essere triste ma
sicuro.

METRICA:
A-B-A-B C-D-C-D: rima consonante alternata. Strofe di quattro versi che chiamiamo
redondillas ottosillabi.

Vi è un tale adeguamento ai parametri del canone che tutti scrivono nello stesso modo, a
scapito della sincerità dell’ispirazione che è quella che rivendicherà il poeta romantico, il
quale vuole scrivere fuori dagli schemi proprio per seguire il suo libero impeto. In questo
ambito prevale l’atteggiamento dell’imitazio, che non veniva percepito negativamente come
plagio, come qualcosa da cui difendersi. Tutt’altro, quanto più l’imitazio, cioè il ricalcare
quel modello, era evidente meglio ci si sentiva, nel senso che si sentiva di muoversi
all’interno di un canone consolidato. Tanto è vero che il concetto di paternità dell’opera, oggi
tutelata da una branca del diritto, non esisteva, all’epoca ci si imitava ed era normale.
Nell’ambito della imitazio abbiamo un testo di un autore molto importante, che scrive un
testo che sembra ricalcare la poesia di Jorge Manrique, escala de amor, con moltissime
coincidenze a partire dalla stessa allegoria della fortezza assediata.

Juan del Encina, Mi Libertad


Mi libertad en sosiego
mi corazón descuidado
sus muros y fortaleza
amores me lo han cercado.
Razón, seso y cordura,
Que tenía a mi mandado,
Hicieron trato con ellos,
¡Malamente me han burlado!

La libertà anche in questo caso è tranquilla, non triste ma tranquilla. Cioè era tranquillo
quando amore ha assediato la fortezza del mio cuore.

Y la fe, que era el alcaide,


Las llaves les ha entregado.
Combatieron por los ojos
Diéronse luego de grado. paradosso

Entraron a escala vista,


Con su vista han escalado.
Subieron dos mis Sospiros,
Subió Passión y Cuidado. Immagine cristologica della passione

Diziendo "¡Amores, amores!"


Su pendón han levantado.
Cuando quise defenderme
Ya estava todo tomado.

Hube de darme presión,


de grado siendo forzado.
Agora, triste cativo,
De mi estoy enajenado. Essere fuori di se, non possedersi più, essere manovrato da una
forza esterna.

Cuando pienso libertarme


Hállome más cativado.
No tiene ningún concierto
La ley del enamorado.

I prestiti con l’altra poesia sono patenti e in alcuni casi letterali. Vi sono coincidenze non solo
concettuali (allegoria) ma anche lessicali proprio in nome di questo principio della imitazio.
Vi era tutta un’estetica di riuso di materiali poetici già usati, l’estetica della variazione di
materiale già usato anziché l’estetica dell’invenzione. Questo concetto dell’imitazio nasce
nell’ambito del classicismo, cioè con la riscoperta dei classici proprio intesi come modelli da
imitare per il loro valore esemplare: dato che quella è la poesia della poesia, se la imito sto
nel giusto. Quindi l’estetica del riuso e della variazione piuttosto che delll’invenzione.

Quali sono i prestiti?


- Allegoria della fortezza
- Visione militare dell’assedio amoroso che sottolinea la forza aggressiva dell’amore.
- Motivo della scala
- Sconfitta della ragione
- Resa del soggetto poetico una volta abbandonato dai suoi alleati, anzitutto gli occhi.
Questo repertorio di motivi convenzionali che ritroviamo un po’ in tutti gli autori, ci
restituisce una dimensione ideologica e una concezione dell’essere umano sostanzialmente
come aggregato di forze antagoniste. Nella battaglia d’amore il soggetto poetico è scisso tra i
suoi sentimenti e la sua ragione, quindi non è più un’entità unitaria ne tantomeno armoniosa,
ma un aggregato di forze antagoniste.
Da questo punto di vista Juan Del Encina non dice niente di nuovo, ma da un altro punto di
vista compie un gesto davvero rivoluzionario: si tratta di una tirata di versi priva di
suddivisione strofica, nella tradizione poetica spagnola chiamata romance (dal punto di vista
metrico un romance è una sequenza astrofica di versi ottosillabi con rima assonante nei versi
pari, i versi dispari sono sciolti). Dal punto di vista storico questa forma poetica nasce in
ambito popolare come poesia trasmessa oralmente e anonima, priva di autori conosciuti che
veniva ripetuta di bocca in bocca e come sappiamo la poesia orale è una poesia liquida perché
essendo priva di un testo che ne fissa la versione definitiva, di bocca in bocca può essere
modificata da varianti. Varianti dovute o alla debolezza della memoria o alla dimensione
della performance nella quale avviene l’emissione di questa poesia: la poesia orale richiede
un pubblico. Il vantaggio di questo rapporto vis a vis tra cantore e pubblico è che il cantore si
può rendere conto delle reazioni di giubilo o di noia del suo pubblico, quindi taglia, aggiunge,
insiste i punti che piacciono, il poeta orale è anche un improvvisatore oltre che co-autore,
nella misura in cui inserisce delle varianti.
I romances in origine erano recitati oralmente che avevano questa vita liquida. Gli autori colti
(Encina, Manrique ecc) si innamorano di questa forma poetica popolare perché aveva il
vantaggio di essere una poesia lirico-narrativa, cioè aveva il carattere effusivo tipico della
poesia lirica, ma anche un carattere narrativo cioè racconta una storia. Gli autori colti
innamorandosene o raccolgono dalla tradizione orale alcune varianti dei romances più in
voga e li pubblicano in romanceros (raccolte) quindi segnano il passaggio dei romances dalla
vita orale a quella scritta. Poi avevano a volte l’accortezza di aggiungere in queste
pubblicazioni una nota con le varie versioni che esistevano per un verso. L’altra operazione
che i poeti colti fanno sulla tradizione popolare del romance è scrivere a loro volta romances,
adottando quella forma metrica ma scrivendo poesie alla loro maniera, con tutti gli stilemi e il
gusto del poeta colto, e che soprattutto firma quei testi, quindi fuoriescono dalla dimensione
dell’anonimato.
Questa differenza tra romances popolari orali e romances scritti da autori di chiara fama si
definisce con:
- Romances viejos: tradizione oral-popolare del romance. Le tematiche potevano essere
varie, sia storie di finzione o anche dei temi legati all’attualità, quindi fungere da
cronache, o ancora romances fronteritos che narrano i temi della reconquista, quindi la
frontiera era tra società cristiana e musulmana
- Romances nuevos: adozione colta della forma poetica del romance che quindi è scritta e
dotata di un autore riconosciuto.
Il romance nella storia della poesia spagnola ha tanta importanza quanto il sonetto in italia,
perché è la forma poetica per antonomasia, tanto è vero che a tutt’oggi i poeti continuano a
scrivere romanceros propri, come nel caso di Garcia Lorca che scrisse il Romancero Gitano.
Il gesto rivoluzionario di Encinas è stato quello di essere tra i primi autori colti ad adottare la
forma del romance, come in questo testo.

DIFUNTO – LLORANDO – SANGRE – CAPO


Llorando-capo: rima assonante

Nella poesia di Manrique potevamo intravedere sottesa una concezione filosofica che
potremmo definire ascetico-cristiana perché amore è comparato alla forza seduttiva del
diavolo, qualcosa dalla quale dobbiamo difenderci. Ora vediamo invece una poesia che
sottende l’altra corrente filosofica di tipo neoplatonico e vediamo qual è la sfumatura di
senso.
Diego de Soria, Ajeno so no so mío
Ajeno so, no son mío,
Pues me guío
Perdida la libertad
Por do va la voluntad,
Que es de la razón desvio: aunque por vos,
Tan preciosa os hizo Dios,
Que el afición
Es convertida en razón
Y no son dos

Iperbaton

Forte concettismo: non mi appartengo più, amore mi ha alienato. Volontà è diventata alleata
del desiderio, quindi una volta innamorato non mi appartengo più e vado appresso al
desiderio che è della ragione smarrimento
 Fino a qui solita conflittualità tra desiderio e ragione (in questo caso volontà e ragione)
Poi abbiamo il cambiamento concettuale. Anche se così bella vi ha fatto Dio, che l’amore per
voi si converte in ragione, le quali cose (amore e ragione) così non sono più due cose diverse:
in questo caso amore e ragione sono fino a un certo punto antagoniste ma poi si riconciliano e
qual è il ragionamento/la dialettica che permette a queste due facoltà di riconciliarsi? Dio ti
ha donato di una incomparabile bellezza che è come se fosse riflesso della perfezione divina,
di conseguenza amarti non può essere contrario a ragione. La ragione in questo modo si
converte in complice d’amore perché io attraverso la donna sto amando Dio, vedo nella
donna riflessa la perfezione divina. Quindi la riconciliazione tra amore e ragione si fonda su
una concezione della donna opposta alla visione ascetico-cristiana (donna = diavolo, quindi
bisogna difendersi), in questo caso la donna è uguale non alla forza seduttiva del diavolo, ma
appunto alla perfezione divina. Ecco che amarla non è peccato, amare la donna che è
ricettacolo della perfezione divina è fonte e origine di ogni virtù, la ragione può quindi
tranquillamente convertirsi il complice d’amore. L’idea basilare di questa argomentazione è
propria del pensiero neoplatonica. A partire da quest’idea la ragione è mossa a riconoscere
che amare la donna non è altro che un atto grato a Dio.
Si tratta di due differenti correnti ma entrambe cristiane, che si sviluppano all’interno del
pensiero religioso: quella ascetico-cristiana con la sua visione della donna come peccato e
quella neoplatonica con la sua visione della donna come espressione di Dio. In ogni caso
l’amante è prigionia, anche nel caso della visione neoplatonica la percezione dell’amore è
quella di un carcere, cioè di una possessione o di quello che potremmo definire una “morte in
vita”: non si muore fisicamente, si muore nella misura in cui si vive alienati, fuori di se. Ciò
che varia è il grado di sottomissione e di accettazione di questa privazione di libertà: in un
caso lotto per non perdere la mia libertà (difesa), nell’altro mi arrendo proprio perché è
legittimo amare la donna (accettazione).

METRICA:
A-A-B-B-A C-C-D-D-C, si tratta di quintillas. Caso di ottosillabo de pie quebrado: il verso
dominante è l’ottosillabo alternato da mezzi versi (versi di 4 sillabe).

Garci Sanchez de Badajoz


El bien que mi mal alcanza
Es que fue que lo causó
La cosa que Dios crió
Más propia a su semejanza.

E muestra la diferencia
Que hay entre ella y los humanos,
Que es más propia su excelencia,
Pues la hizo con sus manos.
Por do es bienaventuranza
Que a las manos muera yo
De aquella en que Dios mostró
Más propia su semejanza

Paradosso: il bene a quale giunge il mio male (ossia il male dell’essere innamorato)
Iperbaton: riorganizzando la sintassi dovrebbe essere por do es bienauenturanza que yo muera
a las manos de aquella en que Dios mostró más propia su semejanza.
In questa poesia riappare l’idea che Dio fa la donna a sua immagine e somiglianza e dunque
la donna è degna di essere amata, quindi la ragione si incorpora nel regno d’amore, si allea ad
amore e non è più suo contrincante.

METRICA:
Villansico: forma metrica tripartita
- La prima parte è la cabeza, parte dove si introduce il motivo tematico base della poesia
- Mudanza: variazione sul tema, o meglio una glossa, un commentare/uno sviluppo al tema
introdotto dalla cabeza
- Vuelta: ritorno, ritorno alle rime della cabeza. La cabeza aveva avuto delle rime che sono
state mutate nella mudanza e la vuelta torna a riprendere le rime della cabeza. A volte può
ripetere anche i versi della cabeza, in questo caso ripete gli ultimi due versi

Abbiamo una redondilla di ottosillabi nella cabeza con rima incrociata (A-B-B-A), poi
mutano le rime nella mudanza dove abbiamo una rima alternata (C-D-C-D) sempre
redondillas di ottosillabi, poi nella vuelta ritornano non solo le rime della cabeza ma
addirittura si ripetono gli ultimi due versi.
Ci troviamo di fronte a una nuova forma metrica anch’essa tipica della tradizione sia colta sia
popolare spagnola che ha questa struttura tripartita dove vi è l’introduzione di un tema, lo
sviluppo tematico e poi il ritorno, sempre con versi ottosillabi e rima consonante (la rima
consonante è più propria della tradizione colta e quella assonante della tradizione popolare).

21.02.22
Avevamo visto due correnti filosofiche sottese alla poesia dell’amor cortese:
1. Ascetico-cristiana: vede il soggetto poetico in forte conflitto con l’innamoramento.
2. Neoplatonica: vede il soggetto poetico meno in conflitto proprio perché nella donna si
riflette l’immagine della perfezione divina per cui amare la donna non è contrario né
alla ragione né al volere di Dio
Questo lo abbiamo visto in diverse poesie che in qualche modo sono una imitazio l’una
dell’altra: poesia di Soria (ajenos so no son mios) e di Sanchez de Badajoz (el bien que mi
mal alcanza)

TOPOS DELLA DOPPIA MORTE


Abbiamo visto che l’alienazione dell’amante che fuoriesce da sé stesso proprio perché non ha
più il controllo delle sue facoltà razionali è tanto da portarlo a uno stato di follia. Questa
alienazione, questo non possedersi più è concepito a tutti gli effetti come una morte in vita
causata dall’amore. Quindi, non una morte fisica evidentemente ma animica, la morte che
riguarda l’anima.
Da questa condizione di morto in vita spesso il soggetto poetico cerca/desidera/invoca la sua
morte reale cioè la sua morte fisica come unico rimedio al suo mal d’amore, quindi come
liberazione: solo la morte fisica può dare sollievo al patimento dell’amante cortese, quindi la
morte liberatrice, ecco perché si tratta del topos della doppia morte (morte in vita dalla quale
ci si libera attraverso la morte reale).
Questo motivo ha un carattere ambiguo perché da un lato l’amante cortese desidera “el
martirio por amor” (perché ha un atteggiamento masochistico, perchè la sofferenza d’amore è
il non plus ultra della consegna di sé stesso al sentimento d’amore. Quindi, tanto più soffro
tanto più vale il mio atteggiamento amoroso). Quindi da un lato desiderare il martirio
d’amore (bendito sufrir), dall’altro lato questa alienazione sentita come uno strato di estrema
insoddisfazione/sofferenza lo porta a desiderare la fuga nella morte. In ogni caso, sia
nell’accettazione assoluta del martirio sia nella ricerca della fuga d’amore, è implicita la
negazione della possibilità d’amare. Questo rimane sempre un amore insoddisfatto,
irraggiungibile, appunto platonico.
Questa alienazione, questo perdere se stessi non vuol dire passo preliminare per fondersi con
l’amata in una unità superiore (io supero il mio io per fondermi nel noi e creare nel noi
un’unità superiore, tipico dell’amore romantico), l’alienazione dell’amante cortese è semplice
perdita della propria individualità nella solitudine e nella disperazione, perché non è destinato
a nessuna fusione superiore nel noi con l’amata.
Allora si invoca la morte.

Jorge Manrique, no tardes muerte que muero


No tardes, Muerte, que muero;
classico concettismo e paradosso del poeta cortese
ven, porque viva contigo;
vivere nella morte
quiéreme, pues que te quiero,
que con tu venida espero
no tener guerra conmigo.
Io scisso tipico del poeta cortese
Remedio de alegre vida
no lo hay por ningún medio,
non c’è via d’uscita da questa sofferenza d’amore
porque mi grave herida
es de tal parte venida,
cioè dalla mujer endiosada
que eres tú sola remedio.
Ven aquí, pues, ya que muero;
búscame, pues que te sigo:
quiéreme, pues que te quiero,
y con tu venida espero
no tener vida conmigo.
Il soggetto poetico ritiene che non avrà mai più pace con sé stesso perché non potrà mai
recuperare la parte alienata della sua persona (cioè cuore, volontà, ragione). Quindi, da questo
punto di vista la morte è vista come unico bene possibile. Il soggetto poetico si rivolge alla
morte direttamente apostrofandola/invocandola e in questo modo la personifica come se fosse
una persona che deve giungere a salvarlo. Quindi è da notare l’uso dell’apostrofe rivolto alla
morte. APOSTROFE: figura retorica che consiste nel rivolgere la parola con tono emozionato
a una persona, invocare una persona. Implica dunque la presenza di un’interlocutore, una
interlocuzione. Quindi dirigendo l’apostrofe alla morte, il poeta la personifica. La morte
apostrofata si converte in un qualcuno con cui parlare.
Nella poesia in generale i motivi per apostrofare la morte sono molteplici e variano a seconda
della tipologia di poesia. Qui ci troviamo in una poesia d’amore, diverso sarà il motivo
dell’apostrofe alla morte nel caso di una elegia (poesia funebre dedicata alla memoria di un
morto in occasione della morte di qualcuno). I motivi dell’apostrofe alla morte nella poesia
funebre sono diversi da quelli che possiamo trovare in una poesia d’amore, e i motivi più
ricorrenti per i quali il poeta si rivolge alla morte nella poesia funebre sono:
c’è da dire che nel nostro caso si tratta di un corteggiamento (vieni morte perché sei la
soluzione della mia vita, la sta corteggiando come se fosse la morte stessa l’amata. Ven por
que te quiero). In una poesia funebre non può essere così perché la morte causa la scomparsa
della persona amata quindi viene maledetta, non invocata con amore, quindi anzitutto:
- imprecazione della morte che distrugge/vanifica, che porta la perdita della presenza della
persona amata, vera tragedia della morte
- considerazione della sua inevitabilità (tutto muore) quindi il cosiddetto memento mori,
ricordati che devi morire
- disprezzo del mondo data la sua vacuità (vanitas vanitatum). Dato che tutto muore e che
con la morte tutto diventa polvere, tanto vale non affannarsi per i beni temporali/mondani,
dato che la vera vita, quella eterna, è nell’aldilà. Quindi disprezzo del mondo (contemptu
mundi) data la considerazione della sua vacuità (vanitas vanitatum)
Questa premessa della fugacità della vita è la stessa da cui muove la corrente di pensiero del
carpe diem. Tuttavia pur partendo dalla stessa premessa (tutto muore, tutto è fugace), essa
invita al godimento dell’attimo fuggente, ad assolutizzare l’attimo, a godere dell’attimo quasi
congelandolo, godendo pienamente dell’attimo fugace. Il contemptu mundi dice invece che
dato che tutto è vano e fugace, tanto vale non attaccarsi ai beni mondani e ai piaceri della vita
e proiettarsi direttamente verso l’eternità
- carattere democratico della morte: spetta a tutti e nella morte siamo tutti uguali.

Invece nella poesia cortese il soggetto poetico si dirige alla morte per esprimere il suo
personale desiderio di morte, non il disprezzo, proprio perché in essa ravvede l’unica
possibile liberazione dalla sua sofferenza.

METRICA:
Tre quintillas di versi ottosillabi con rima consonante A-B-A-A-B poi cambia la rima. La
struttura è quella di un villansico per la vuelta della rima della prima strofa e anche ritorno
del verso “no tener vida conmigo” che varia “no tener guerra conmigo”. Consideriamo che il
villansico, forma più strettamente popolare, è solita prendere la cabeza da una rima popolare
anonima e poi il poeta incorpora come cabeza quella rima popolare anonima e la glossa nella
mudanza. Quando la cabeza è frutto dello stesso poeta, quindi non è un elemento prestato dal
caudal orale anonimo, allora in quel caso anziché villansico si chiama canción. Questa in
realtà è più propriamente una canción perché la cabeza non è un proverbio/ritornello popolare
che il poeta colto glossa ma è frutto della stessa penna dell’autore.
Comendador de Escrivá
Ven muerte tan escondida 
Que no te sienta comigo 
 Porque el gozo de ir contigo 
 No me torne a dar la vida. 

Io voglio morire, quindi vieni morte, ma non ti far sentire perché sennò gioisco a tal punto
che rivivo (concettismo tipico)
Ven como rayo que hiere, 
Que hasta que ha herido 
No se siente su ruido,
Por mejor herir do quiere: 
Assí sea tu venida: 
Si no, desde aquí me obligo 
Que el gozo que avré contigo 
Me dará de nuevo vida

Paradosso di un desiderio così forte di morte che se il soggetto poetico si accorge che la
morte sta arrivando rivivrà. Anche qui questo apostrofe alla morte ha il tono di un vero e
proprio corteggiamento amoroso: l’oggetto del desiderio viene sostituito, non è più la donna
ma è la morte. La donna è ormai sparita, non viene neanche detto più il perché si invoca la
morte. Si invoca come fosse l’amante la morte e la causa di questa richiesta è del tutto sparita
(non si parla ne di amore, ne di sofferenza d’amore ne di donna). Come facciamo a capire che
l’invocazione alla morte è dovuta alla pena d’amore se questa non viene mai nominata? Nella
poesia di Manrique c’era un riferimento implicito (ferita anche se non viene esplicitato che è
una ferita d’amore), qui invece non c’è nessun riferimento né alla donna né alla sofferenza
d’amore, quindi la morte diventa oggetto assoluto del desiderio/dell’invocazione in una totale
sostituzione della donna amata.

Cartagena
No sé para qué nascí,
pues en tal estremo estó,
que el morir no quiere a mi
y el vivir no quiero yo.
Todo el tiempo que biviere
terné muy justa querella
de la muerte, pues no quiere
a mí, queriendo yo a ella.
¿Qué fin espero de aquí,
pues la muerte me negó,
pues que claramente vio
que era vida para mí?

Qui è ancora più estremo, il motivo non viene neanche accennato.


Se la ragione del desiderio di morte non viene esplicitata, se non si dice che questo desiderio
di morte dipende dal malessere di un amore non corrisposto, come facciamo a dedurlo?
Perché la donna può essere del tutto eclissata e l’interlocutore della comunicazione amorosa è
la morte stessa? Si cita il rimedio della pena d’amore e non la causa, perché si può essere
tanto omissivi e il lettore dell’epoca non aveva dubbi nell’interpretarla come una poesia
d’amore. Perché era tale il convenzionalismo di questa poesia che non c’era bisogno di
esplicitare ciò che tutti sapevano. Il desiderio di morte dell’amante cortese era un luogo così
comune tanto da poter essere sottinteso (canone, convenzionalismo). Sempre declinando
quest’idea della morte, indichiamo un altro paradosso/iperbole dell’amante cortese relativa
alla morte: motivo della morte fisica ma della permanenza dell’amore, quindi neanche la
morte fisica potrà essere liberatoria perché il sentimento perdura oltre la morte fisica
(iperbole).
IÑIGO LOPEZ DE MENDOSA MARQUES DE SANTILLANA (a cavallo tra 400-500)
Uno dei primi poeti italianisti, cioè un poeta petrarquista che assume Petrarca come un
assoluto modello poetico da imitare. Il petrarquismo è l’amor cortese italiano che coincide
con l’amor cortese della poesia cancioneril, con stessa radice nella poesia provenzale che ha
creato questo canone. Questo è vero anche se ci sono delle sfumature di grado tra l’amor
cortese italiano e l’amor cortese spagnolo, quindi i poeti italianisti coniugano questo canone
alla maniera italiana sia per quanto riguarda i motivi tematici (o differenze di grado nel
trattamento degli stessi motivi tematici) sia dal punto di vista metrico perché i poeti spagnoli
italianisti introducono nell’ambito della produzione cortese spagnola il sonetto, forma
prettamente italiana con il metro dell’endecasillabo fin’ora non utilizzato in Spagna. È una
grande novità perché rivoluziona il linguaggio poetico almeno dal punto di vista metrico,
infatti non è facile adeguarsi a un metro più lungo qual è l’endecasillabo, tanto è vero che
inizialmente i poeti italianisti che utilizzano l’endecasillabo presentano difficoltà tecniche.

DIFFERENZE DI GRADO NEL TRATTAMENTO DEI MOTIVI DELL’AMOR


CORTESE IN ITALIA E SPAGNA.
- I poeti italiani del dolce stilnovo estremizzano l’idealizzazione della donna (angelicata,
presentata come un essere celeste e soprattutto fonte di rigenerazione spirituale).
L’iperbole sacra è una caratteristica del dolce stilnovo, quindi motivi religiosi si
applicano a questo amore profano, tutto un simbolismo cristologico, mariano…
- Un atteggiamento stoico da parte dell’innamorato che accetta passivamente questa
sofferenza d’amore, il poeta spagnolo a volte è più aggressivo, accetta meno la sua
differenza, mentre il tono pacato di Petrarca indica un atteggiamento di accettazione
maggiore.
- Assoluta mancanza di interesse del poeta spagnolo rispetto a quello italiano per l’aspetto
fisico dell’amata, non esiste una descrizio puelle, della bellezza fisica, cosa che esiste
assolutamente negli italiani e tanto meno la presenza e contemplazione del paesaggio
come specchio dello stato emotivo del soggetto poetico o semplicemente come cornice
paesaggistica. Noi non abbiamo la realtà esterna a queste gallerie dell’anima del poeta
cortese spagnolo, non la vediamo mai. Il contesto paesaggistico esterno non è espresso, il
poeta cortese spagnolo ci prende per mano e ci introduce nel tunnel del suo stato d’animo
dal quale non fuoriusciamo mai, vediamo solo le gallerie della sua anima.
- Aspetto metrico
L’imitazione da parte di Santillana dei modelli italiani sia dal punto di vista del trattamento
dei motivi sia delle scelte metriche è assoluta in una sua raccolta poetica chiamata “sonetos
fechos al italico modo”. 42 sonetti composti nell’arco di 20 anni: dato cronologico
importante perché i sonetti dimostrano che l’interesse per la poesia italiana nella produzione
poetica di Santillana non è stata una moda passeggera, ma per molti anni Santillana si dedica
allo studio e all’imitazione dei poeti italiani. Il tema principale è naturalmente l’amore ma
non è l’unico, ci sono sonetti di tema morale, politico e religioso anche se prevale la tematica
amorosa e i suoi modelli, oltre e soprattutto Petrarca, sono Dante e Cavalcanti. Invece
Santillana non conosceva i trovatori siciliani (la scuola siciliana del 200 è quella che in Italia
da avvio alla tradizione cortese).
La sua adozione del modello italiano presenta delle forme di imperfezione, non vi è una
maturità né tecnica né di ispirazione del petrarquismo, quindi nel suo italianismo, maturità
che invece si può ravvedere in poeti successivi come Garcilaso e Fernando de Herrera. In loro
troveremo un petrarquismo maturo, ma anche grazie alla presenza precedente di Santillana,
che ha rappresentato un po’ la bozza su cui esercitare il petrarquismo e prima ancora di
Santillana c’erano stati altri poeti che però non hanno avuto lo stesso peso.
Elementi di immaturità nell’adottare il petrarquismo e quindi la forma del sonetto:
- abbondanza di rime acute: rare nell’endecasillabo classico italiano. Le rime acute sono
quelle con l’accento sull’ultima sillaba e gli italiani non prediligono la rima acuta perchè
genera un ritmo facile, fortemente riconoscibile con questa marcatura finale forte, da
filastrocca. Quindi è troppo di facile ascolto per un orecchio poco raffinato. Invece
Santillana usa spesso nei suoi sonetti la rima acuta.
- Eccesso di encabalgamientos: il senso della frase continua nel verso successivo e non
coincide con la fine del verso. È una risorsa retorica molto utilizzata nella poesia, la sua
funzione espressiva è quella di collocare nella parte finale del verso encabalgado un
elemento lessicale chiave per dargli risalto e mantenere la suspance. Lo segnaliamo in
Santillana come un difetto perché nel suo caso la ricorrenza di encabalgamientos ci fa
pensare che siano frutto più che altro della difficoltà di far coincidere la frase al verso
nuovo che è l’endecasillabo. Cioè, non è abituato alla misura lunga dell’endecasillabo e
quindi non riesce a far coincidere la fine della frase con la fine del verso e ha bisogno
dell’encabalgamiento. Sembra più una difficoltà tecnica che non una volontà espressiva
proprio lunghezza del metro, diversa da quella dell’ottosillabo al quale è abituato.
- Presenza di ripios: elementi di riempimento del verso. Sono dei veri e propri riempitivi
ancora una volta dovuti alla difficoltà di misurare il verso. Esempio: parola di una/due
sillabe per far finire il verso.
- Gruppi sinonimici: ripetere all’interno di uno stesso verso due o tre parole con lo stesso
significato e che non sempre hanno una funzione enfatica, cioè non sempre favoriscono
l’intensità espressiva. Al contrario, rallentano fin troppo la frase dandole un’enfasi quasi
stucchevole
- A volte gli sfuggono dei dodecasillabi, quindi versi di 12 sillabe.
- Ritmo metrico: l’endecasillabo italiano classico può essere di due tipi a seconda
dell’accento primario (il cosiddetto ictus), a seconda di dove cade l’accento metrico: o
cade in quarta e decima sillaba (endecasillabo a minore) oppure cade in sesta e decima
sillaba (endecasillabo a maiore), invece Santillana scrive in quarta e settima. L’accento in
decima dell’endecasillabo italiano è fisso, invece in Santillana troviamo l’endecasillabo
con accento metrico in quarta e settima, il cosiddetto endecasillabo di gaita gallega che
non esiste in Italia.
- Disegno rimico: nel sonetto italiano in una strofa abbiamo l’alternanza solo di due rime;
invece, in Santillana ne possiamo trovare addiritttura tre in una stessa strofa o tra i
membri del sonetto (le due quartine/terzine possono presentare tre rime anziché due).

Si tratta di alcuni problemi tecnici ma non solo. Nei sonetti di Santillana troviamo anche un
uso un po’ grossolano di certi motivi tematici, per esempio l’iperbole sagrada che in Petrarca
è condotta con tale eleganza: pensiamo ai giochi fonici tra Laura – l’Aura – Lauro, così come
nella sua poesia Laura è una donna angelicata perché è riflesso della claritas divina.
Vediamo come gestisce l’iperbole sagrada, tipica della poesia italiana, Santillana.

Soneto XXXVII
Adivinativos fueron los varones
de Galilea, cuando los dexó
nuestro Maestro, mas sus coraçones
non se turbaron punto más que yo (ripio)
Gli uomini della Galilea sono gli apostoli e il nostro Maestro è Gesù Cristo. Egli lasciò gli
apostoli quando va il golgota alla crocifissione, quindi quando li lasciò per andare a morire.
Qui sta stabilendo una comparazione tra la sofferenza degli apostoli e la propria.

Por mí sabidas vuestras estaciones,


vuestro camino, el cual me mató;
e así non cansan las mis afliciones,
aunque si vuestro era, vuestro só.

Compara gli effetti del viaggio della propria amata che sta partendo, si sta allontanando da
lui, con lo scoramento degli apostoli senza Cristo che è andato a morire. Quindi compara la
scomparsa di Cristo nella morte con la scomparsa dell’amata nel viaggio e compara la
sofferenza degli apostoli con la propria. È più di un iperbole sagrada, compara
l’allontanamento dell’amata per un viaggio con la sparizione di Cristo data dalla sua morte.
Non solo, poi compara il ritorno dell’amata con il ritorno di Cristo come spirito santo, cioè
con la resurrezione.

Faced agora como comedida,


non me matedes, mostrad(vos) piadosa;
façed agora como fizo Dios

e consoladme con vuestra venida;


cierto faredes obra virtuosa
si me valedes con vuestro socós.

Ritorno fisico della dama comparato alla resurrezione di Cristo.


Quest’iperbole sagrada è addirittura grossolana, cioè comparare la morte di Cristo con il
viaggio dell’amata e il ritorno di Cristo nella resurrezione con il ritorno dell’amata e la
propria sofferenza con quella degli uomini della Galilea.

METRICA: il primo verso è un dodecasillabo e non si può applicare né la sinalefe perché non
ci sono incontri vocalici né la legge di Mossafia perché il verso non è sdrucciolo. Il quarto
verso: punto potrebbe essere tradotto come “affatto”, è un rafforzativo, ma è a tutti gli effetti
un ripio (se lo togliamo non cambia il senso), è un vero e proprio riempitivo che gli serve per
raggiungere la misura metrica dell’endecasillabo.
Tra la prima e la seconda terzina troviamo un encabalgamiento violento: anziché operare tra
due versi, opera tra due strofe. Si va a capo non nel verso successivo ma nella strofa
successiva.
Qui le rime acute almeno nelle prime due quartine e nelle due terzine si alterna una rima
piana a una rima acuta, anche questo non è del tutto rituale.

Qui la soluzione non è invocare la morte ma invocare la pietà della donna. La donna è signora
e l’amante è il vassallo

TOPOI DELL’AMOR CORTESE:


- Fizzione inconsolabile
- Donna signora e amante vassallo
- Senso del sacrificio
- Iperbole sacra
Soneto XVIII
O dulçe esguarde, vida e honor mía, gruppo sinonimico ridondante
segunda Helena, templo de beldad,
so cuya mano, mando e señoría
es el arbitrio mío e voluntad! Eccesso di sinonimi

Yo soy tu prisionero, y sin porfía


fueste señora de mi libertad;
e non te pienses fuyga tu valía,
nin me desplega tal captividad.

carcel de amor, chiarissimo topos dell’amor cortese (donna come signora e amante come
prigioniero contento di tale prigionia).

Verdad sea que Amor gasta e dirruye


las mis entrañas con fuego amoroso
e la mi pena jamás diminuye;

nin punto fuelgo nin soy en reposo,


mas vivo alegre con quien me destruye;
siento que muero y no soy quejoso

Troviamo il paradosso del dolore dilettevole, cioè di trarre godimento nella sofferenza.
Santillana compara la donna a Elena, la Elena per antonomasia è Elena di Troia (considerata
la donna più bella del mondo, casus belli della guerra di troia). Quindi qui l’iperbole non è
sagrada ma mitologica perché la comparazione è con questo tempio di bellezza che è Elena di
Troia.
Troviamo anche qua la rima acuta nelle quartine mentre nelle terzine smette la rima acuta.
Troviamo tantissimi encabalgamientos. Pur essendo Santillana un poema di spessore, quando
intende farsi imitatore degli italiani, di importare il sonetto nella lingua spagnola, deve
necessariamente fare un lungo rodaggio per superare tutti quegli elementi di immaturità sia
tecnica sia di ispirazione che poi verranno pienamente risolti in poeti come Garcilaso e
Herrera. Chi lo aveva preceduto nel petrarquismo è Francisco Imperial.

GARCILASO
Ci comincia a trasportare fuori dall’ortodossia del canone cortese. Garcilaso è un poeta del
500, quando ancora quel canone è in vigore e tuttavia incomincia a presentare delle aperture,
degli adattamenti a una nuova mentalità. Con lui arriviamo ad una soglia che ci trasporta al di
fuori dell’ortodossia cortese.

Sonetto XXIII
Esprime uno dei macrotemi rinascimentali, uno dei temi più frequentati dai poeti del tempo
cioè la bellezza e la vitalità giovanili trasformati per opera del tempo che invita a godere della
gioventù. Cioè, considerata la fugacità della vita tanto vale godere della gioventù. È il topos
del carpe diem (solo apparentemene allegro e vitalistico dato questo invito a godere
dell’attimo che si giustifica per la consapevolezza drammatica del passaggio del tempo che
tutto invecchia e che tutto fa morire). Sempre nella logica della imitazio e della riscrittura,
questa è una vera e propria riscrittura di una poesia italiana del Tasso, ma non di Torquato
Tasso bensì di suo padre Bernardo, poeta anch’egli. La poesia in questione ha come titolo
“mentre che l’aureo crin v’ondeggia intorno” (mentre che i capelli biondi vi ondeggiano
intorno).

En tanto que de rosa y de azucena


se muestra la color en vuestro gesto,
y que vuestro mirar ardiente, honesto
enciende al corazón y lo refrena;

Abbiamo rappresentata l’immagine della gioventù della donna alla quale il poeta si rivolge:
dice finchè sei giovane approfittane prima che arrivi la vecchiaia, senso banale ricamato con
tante immagini e motivi ben concertati. Abbiamo la presentazione della giovinezza e bellezza
della donna, dice che di colore rosa e bianco si mostra il suoo aspetto. Abbiamo due elementi
simbolici, la rosa e il giglio (rosso e bianco) e questi due elementi rappresentano
simbolicamente sia un aspetto fisico della donna (la sua bellezza giovanile), sia invece il suo
atteggiamento sentimentale perché la rosa rossa indica sia il colorito delle gote, quindi
bellezza perché vuol dire una persona non pallida, sia la passione. Quindi notiamo il
cromosimbolismo (valore simbolico dei colori, rosa = bellezza e passione), mentre il giglio
bianco è candore e innocenza, cioè una pelle bianca su cui spiccano le gote rosse ma la pelle
è bianca e immacolata, secondo il canone estetico dell’epoca la pelle bianca esprime la luce
che poi è luce divina.
All’opposizione simbolica rosa-azucena (passione//innocenza, entrano in una relazione
dicotomica, la gioventù è passionale ma anche innocente, non c’è contraddizione)
corrispondono gli aggettivi del terzo verso: ardiente, che fa coppia con rosa, honesto che fa
coppia con azucena. Lo sguardo è sia ardente come la passione simboleggiata dalla rosa sia
onesto come l’innocenza rappresentata dal giglio. Nello stesso modo nel verso successivo, i
verbi enciende e refrena entrano in consonanza il primo con rosa ardiente e il secondo con
azucena honesto.
Abbiamo due colonne simboliche: rosa, ardiente, enciende; azucena, honesto, refrena.
Architettura perfetta, la rosa simboleggia il rosso, la passione, il cuore ardente che si
infiamma, il giglio rappresenta il candore dell’incarnato che anch’esso è bellezza, l’onestà
della fanciulla che raffrena il cuore. Se la rosa lo infiamma il giglio raffrena quella passione.
Nella prima quartina abbiamo la presentazione delle qualità fisiche e delle qualità morali
della donna che è rappresentativa della giovinezza.

y en tanto que el cabello, que en la vena


del oro se escogió, con vuelo presto,
por el hermoso cuello blanco, enhiesto,
el viento mueve, esparce y desordena;

La seconda quartina insiste nella rappresentazione delle qualità fisiche e animiche della
ragazza ma pende tutta dal lato della passione giovanile: elimina di quella dicotomia la
seconda colonna, quella del candore e dell’innocenza, e valorizza la prima colonna della
passione attraverso delle immagini simboliche tipiche della sensualità. Non parla di capelli
raccolti, ordinati, domati, ma di capelli sciolti, discinti, biondi (canone estetico dell’epoca:
claritas, biondezza, bianchezza). Questa è un’immagine fortemente sensuale di una donna con
la capigliatura completamente spettinata dal vento che secondo una efficace progressione
espressiva li muove, li sparge e li disordina. Pensiamo alla Venere di Botticelli, con capelli
biondi discinti, è un’immagine di sensualità che valorizza la prima colonna dicotomica della
prima quartina.
coged de vuestra alegre primavera primavera: simbolo di giovinezza
el dulce fruto, antes que el tiempo airado
cubra de nieve la hermosa cumbre. Neve, vetta: simbolo dei capelli imbiancati

Nella prima terzina entra la frase principale con il carpe diem. Anche la struttura sintattica è
molto sapiente: abbiamo nelle due quartine una sequenza di subordinate temporali (finchè;
finchè; finchè) e soltanto nella prima terzina giunge la preposizione principale con il carpe
diem.
Nel secondo verso troviamo ben tre sinalefi, che funzione espressiva hanno? Se un verso è
fortemente accorciato si imprime una maggiore rapidità d’enunciazione perché la sinalefe è
una contrazione che consente di enunciare in modo contratto e soprattutto imprimo un ritmo
più rapido al verso. Se poi consideriamo i due encabalgamientos che caratterizzano questa
strofa, ecco che il poeta ha voluto imprimere a questa strofa un’accelerazione del ritmo di
enunciazione che corrisponde al tema della fuga del tempo: questo ritmo rapido sembra
proprio esprimere la fuga del tempo che è il submotivo del carpe diem. Il complice supremo
del cammino della vita nella direzione della morte è proprio il tempo, visto come un
divoratore e questo angoscioso e rapido sfilare delle ore. Quindi questo senso della cavalcata
del tempo è dato anche proprio dalle soluzioni ritmico-metriche di questa strofa.

Marchitará la rosa el viento helado,


todo lo mudará la edad ligera,
por no hacer mudanza en su costumbre.

L’unica cosa che non cambia è la legge del tempo che tutto cambia e fa morire.
Immagine della rosa che torna nella prima terzina: nella prima quartina era immagine di
bellezza e di passione, qui invece abbiamo l’immagine della rosa nell’ambito del carpe diem.
Ci troviamo praticamente di fronte non al carpe diem ma al carpe rosam, cioè il carpe diem
viene declinato sottoforma di carpe rosam.
Messaggio filosofico di carattere epicureista e oraziano del godimento della vita: questo
motivo è solo apparentemente gioioso perché sottende la percezione del mondo sulla specie
mortalitis, tutto muore, questa è la premessa del carpe diem, che è una premessa tutt'altro che
gioiosa. A questa premessa, tutto muore, si dà una soluzione del tutto anticristiana, cioè godi
dell’attimo, assolutizza l’attimo. Prima quando parlavamo del vanitas vanitatum dicevamo
che dato che tutto torna cenere tanto vale distaccarsi dalla vita terrena e proiettarsi sulla vita
vera che è quella dell’aldilà, in quel caso alla consapevolezza della fugacità della vita si dava
una soluzione cristiana, qui invece si da una soluzione anticristiana perché si dice di
assolutizzare l’attimo presente, di non pensare al dopo ma di potenziare l’ora (it et nunc, qui e
adesso), quindi non la dimensione trascendente dell’aldilà, ma l’immanenza dell’aldiqua.
Si potrebbe trovare al senso della morte una soluzione anziché trascendente, oltremondana,
una soluzione immanente, intramondana diversa dal carpe diem? Se volessimo dare
continuità alla vita umana, una qualche forma di compensazione alla vita umana senza
pensare alla dimensione religiosa dell’aldilà ma continuando a pensare alla dimensione
immanente dell’aldiqua, c’è un modo per sopravvivere? La fama, rimanere impressi nella
memoria delle persone attraverso l’opera e finchè viviamo nella memoria delle persone non
moriamo; abbiamo poi il carpe diem; poi abbiamo una soluzione molto fisico-genetica cioè la
procreazione che ci consente di perdurare nei figli perché qualcosa di noi c’è a livello
biologico (permanenza dell’io nel corpo dell’altro)
L’altra soluzione per pensare a una continuità della vita intramondana e non oltremondana è
di carattere più mitologico, cioè l’idea dell’eterno ritorno che annulla il tempo perché lo
rende reversibile: tutto torna, tutto rinasce, la materia si rigenera, se tutto muore è anche vero
che tutto rinasce. Idea di vita come un ciclo di morte e rinascita e quindi una visione circolare
del tempo anziché lineare. Poi c’è il carpe diem che è un ulteriore risposta al senso della
fugacità della vita.

La seconda terzina è una specie di coda: l’asse tematico viene reiterato (passare del tempo e
fugacità della vita) però viene collocato su un terreno impersonale, non è più “la tua vita,
donna, finchè sei giovane approfitta”, ma è la legge universale che colpisce tutto. Quindi
l’asse tematico della fuga del tempo viene collocato su un terreno impersonale che riguarda
tutta l’umanità e non soltanto l’interlocutrice del poeta.
Gioco di parole mudarà-hacer mudanza: si tratta di un anonimazio, cioè ripetere lo stesso
lessema variato nella sua forma.

Simboli disemici: simboli che non hanno un valore univoco ma mutevole a seconda del
contesto.
- ROSA: nella prima strofa indica il simbolo della gioventù e della bellezza giovanile.
Nell’ultima strofa invece è il simbolo della fugacità, di quella bellezza fugace. Questo
perché la rosa è il fiore che rappresenta la bellezza per eccellenza, ma anche il fiore
effimero per eccellenza. Mai come nel caso della rosa, dallo stato di infiorescenza allo
stato di marcescenza passa al massimo un giorno.
- VENTO: nella seconda quartina è un agente di sensualità, vento che rende discinta la
fanciulla scompigliando i suoi capelli. Nell’ultima strofa invece rappresenta la fuga del
tempo. Il vento è qualcosa di volatile e come tutto ciò che vola rappresenta non solo la
libertà ma anche qualcosa di effimero. Quindi in questa seconda occorrenza, il simbolo
del vento negativizza il suo statuto simbolico, non è più positivo ma negativo perché
rappresenta il tempo che fugge
- BIANCO: nella prima quartina rappresentato dal giglio indicava bellezza giovanile,
innocenza e purezza, così come il bel collo bianco della seconda quartina. Mentre sotto
forma di neve il bianco negativizza il suo statuto simbolico perché rappresenta la morte.

Vediamo come in realtà gli stessi elementi simbolici punteggiano tutta la poesia in realtà con
valenze opposte (negativa-positiva-negativa-positiva).

DECLINAZIONE DEL CARPE DIEM SOTTO FORMA DI CARPE ROSAM


A chi si deve questa declinazione? A un autore latino, Ausonio, che scrive “De Rosis
Nascentibus” proprio adottando la rosa come simbolo del passare del tempo e quindi la rosa
mutante. Questo ha dato luogo a tutta una catena riscritturale nel rinascimento che ha fatto si
che tantissimi poeti proprio nell’età di Garcilaso abbiano accolto il macrotema del carpe diem
sotto forma di carpe rosam.

Questo sonetto che invita la donna al godimento e che soprattutto ha una carica sensualistica
così forte nelle sue immagini e poi l’imperativo “godi, finche sei giovane”, non sembra essere
un po’ fuoriuscito da quel canone dell’amor cortese dove non si parlava mai ne di tratti fisico-
somatici delle donna, né abbiamo mai visto un minimo riferimento alla sensualità e al
godimento? Siamo infatti entrati in un’altra dimensione, ossia quella del 500.

GARCILASO
Poeta petrarquista, si incontra il petrarquismo nella prima metà della sua vita scrive come
tutti i poeti spagnoli con l’ottosillabo, sottoforma di canciones ma a un certo punto inizia la
tappa italianista, in particolare nel 1531 dopo un viaggio a Napoli. Entra in contatto diretto
con la letteratura italiana e con i poeti rinascimentali italiani e quindi comincia a cimentarsi
nella produzione di sonetti alla maniera petrarchesca. Ma non solo, per questi poeti del
rinascimento l’altra grande moda letteraria che si afferma nelle lettere europee è quella del
bucolismo, poesia pastorale. Qual è la caratteristica della poesia pastorale? I protagonisti sono
dei pastori inseriti in un ambiente agreste. I protagonisti sono si pastori, ma idealizzati: sanno
di filosofia, di poesia, che sono musici, suonano, si intrattengono con dialoghi filosofici sulla
prevalente tematica amorosa, in una cornice campestre a sua volta idealizzata: è fatta di
uccelletti, di fronde fresche, di ruscelletti, prati una natura bucolica, un locus amenus. Anche
qui c’è una forte portata simbolica/ideologica che è la contrapposizione alla vita cittadina
caratterizzata viceversa dal vizio, dalla corruzione, mentre la campagna idealizzata
rappresenta la virtù, il vivere lontano dagli affanni, dai beni materiali e dare il giusto peso alle
cose che contano. Un modello contemporaneo italiano per questi autori spagnoli era
l’Arcadia di Sannazzaro, autore italiano che si fa portavoce nel 500 di questa moda.
Naturalmente una delle caratteristiche della poesia pastorale che è una delle fonti di
ispirazione (oltre al petrarquismo) di Garcilaso è la riscoperta della natura,
con tutto ciò che comporta in termini anche umani, inoltre Garcilaso appartiene ormai a
un’epoca in cui ci fu un grande cambiamento ideologico: avviene uno spostamento d’asse
radicale, l’uomo è al centro di tutte le cose, l’uomo libero artefice di se stesso, l’uomo
recuperato nella sua complessità di anima e corpo, superare la dicotomia anima-corpo,
l’uomo è anima e anche corpo e questo fa dell’uomo ciò che è e poi soprattutto uno
spostamento di interessi dalla trascendenza all’immanenza, una propettiva sostanzialmente
immanentista e antropocentrica, non più teocentrica (agire in funzione della divinità e del
rapporto della vita umana con il trascendente). Questo facilita il recupero anche della
dimensione corporea, sensualistica, sessuale. Ecco perché Garcilaso ci trasporta verso
un’altra poesia.

Non è poesia erotica quella di Garcilaso, perché nella poesia erotica l’erotismo come tema
principale è soprattutto espresso in termini espliciti, non allusivi e indiretti.

28.02

Garcilaso, Sonetto XXII


Con ansia extrema de mirar qué tiene
vuestro pecho escondido allá en su centro,
y ver si a lo de fuera lo de dentro
en apariencia y ser igual conviene,

en él puse la vista: mas detiene


de vuestra hermosura el duro encuentro
mis ojos, y no pasan tan adentro
que miren lo que el alma en sí contiene.

Y así se quedan tristes en la puerta


hecha, por mi dolor, con esa mano
que aun a su mismo pecho no perdona;

donde vi claro mi esperanza muerta.


y el golpe, que os hizo amor en vano
non esservi passato oltra la gona.

Tessuto linguistico molto concettista. Il soggetto poetico va a trovare la sua donna e la trova a
petto nudo (circostanza assolutamente anticortese, la donna non è raggiungibile fisicamente
se non con il pensiero e tanto meno non la si può trovare svestita), così pone i suoi occhi sul
suo petto con l’intenzione di raggiungere la bellezza dell’anima che si nasconde dietro al
petto. Quindi abbiamo due bellezze, quella fisica e quella spirituale che nell’anima trova
simbolicamente la sua sede. Tuttavia, l’incontro con la bellezza corporale fa trattenere gli
occhi sulla bellezza esteriore finchè la donna scopre che sta scrutando la bellezza del suo
corpo, si copre con la mano il petto impedendo entrambe le visioni (non solo quella esteriore
ma anche quella interiore). Garcilaso sta giocando con la polarità dentro-fuori, la bellezza
interna si raggiunge penetrando la soglia della bellezza fisica che trattiene lo sguardo e a quel
punto gli viene negata anche la visione della bellezza fisica perché la donna si copre. A quel
punto tutto gli risulta impedito, anche non essere passato oltre la gonna.
Ultimo verso esplicito, non voleva passare solo oltre il petto per raggiungere l’anima ma
voleva anche passare oltre la gonna per raggiungere anche l’atto sessuale. Qui il riferimento
erotico è esplicito, però è espresso in maniera eufemistica attraverso l’uso di una lingua
straniera, cioè l’italiano. È ovvio che per un lettore spagnolo questo verso è incomprensibile,
quindi quel riferimento esplicito di carattere erotico di fatto viene occultato che in questo
caso assume un valore eufemistico. Riferimento erotico velato

DIBATTITO: PLATONISMO DELL’AMOR CORTESE


La domanda che ci si è posti è: la tradizione dell’amor cortese è realmente così idealistica,
che concepisce l’amore in termini soltanto sentimentali e non anche fisici, o esiste anche
nell’amor cortese una componente erotica? Abbiamo detto che la dama è sdegnosa,
irraggiungibile e che l’amor cortese non è altro che un desiderio insoddisfatto che l’amante
sopporta masochisticamente, quindi se questi sono i dati non c’è erotismo che tiene. Tuttavia,
parte della critica però si è posta la questione di una possibile interpretazione erotica
dell’amor cortese orientata a revisionare il suo presunto riduzionismo platonico.

Kate Wildom: per rivedere questo riduzionismo platonico fa leva ancora una volta sul valore
eufemistico di certo lessico ricorrente nell’ambito dell’amor cortese. Determinati termini
chiave che ritornano spesso potrebbero avere un significato secondo, quindi avere una
funzione eufemistica di copertura di un significato secondo erotico. Termini come: morire,
gloria, remedio, galardón (nel senso di ricompensa, spesso l’amante cortese chiede alla sua
amata una ricompensa per il suo sacrificio d’amore. A livello letterale la ricompensa è quella
di non ignorarlo, di non infierire…). Wildom dice che lo stile concettista che caratterizza
questa poesia si basa proprio sull’ambiguità e sul doppio senso, sui riferimenti obliqui, sul
decir callando, giochi di parole. Se è vero che questa poesia si basa su questo concettismo
caratterizzato da questi doppi sensi, allora bisogna attribuire un significato erotico anche a
parole apparentemente innocenti. Ad esempio, morire e gloria alluderebbero alla
culminazione erotica e il galardon e il remedio che spesso l’amante cerca alla propria
sofferenza non fanno altro che alludere alla concessione del corpo della donna come premio
per il suo martirio d’amore.

Si propone quindi una doppia lettura di questi testi, tuttavia dobbiamo rispondere
oggettivamente che due motivi hanno un’importanza assoluta nell’amor cortese, che in
qualche modo mettono in difficoltà l’interpretazione erotica. Cardini ideologici dell’amor
cortese
1. Accettazione di accontentarsi con la sola contemplazione dell’amata, perché la
sofferenza è una prova d’amore che innalza l’anima dello stesso amante. Questo è un
tema fondante dell’amor cortese e che mette in discussione la sua pretesa erotica
2. La donna è una donna sdegnosa, che spesso neanche sa di essere oggetto del desiderio
3. Natura stessa del desiderio, dato che “concluir desfache lo que el desear aviva”: il
desiderio si accende quanto più rimane insoddisfatto, invece l’ottenimento del corpo
rischierebbe di spegnere la tensione del desiderio.

Un altro critico risponde a Wildom dicendo che “la literatura se debe interpretar por lo que
dice y no por lo que caza”, questi testi dicono che la dama è inaccessibile e che l’amore
rimane senza soddisfacimento.

Non conviene estremizzare le due posizioni: è possibile percepire delle venature di erotismo,
soprattutto nei poeti che all’interno del canone cominciano ad avvicinarsi al 500 (come
abbiamo visto nel caso di Garcilaso) ma neanche estremizzare la posizione di chi
assolutamente nega questo possibile riduzionismo platonico.

AMORE MISTICO
Nella letteratura mistica succede il contrario di quanto avviene nell’amor cortese: se
nell’amore cortese abbiamo visto l’uso di un lessico religioso per esprimere un amore
profano, qui il linguaggio dell’amore profano (quindi anche della sessualità) si mette al
servizio dell’espressione dell’amore sacro. Si crea un vero e proprio chiasmo. Gli
interlocutori della comunicazione amorosa sono l’amato (Dio) e l’innamorata, cioè l’anima
del credente. Il soggetto poetico diventa femminile anziché maschile, perché simbolicamente
l’amata rappresenta l’anima del credente e l’oggetto del desiderio è Dio. I massimi
rappresentanti della letteratura mistica spagnola, che ha espresso i massimi poeti mistici, sono
San Juan de la Cruz e Santa Teresa.
San Juan de la Cruz, poeta del 500 come Garcilaso (fonte importante per San Juan de la
Cruz), autore di quattro opere lirico-dottrinali (opere poetiche ma con messaggio dottrinale),
composte dal 1577-1584.
- Subida del Monte Carmelo
- Noche Oscura del Alma
- Cantico Espiritual
- Llama de Amor Viva

Cantico Espiritual, si presenta a tutti gli effetti come un poema d’amore. La storia è
l’incontro, lo scontro, la separazione e il nuovo incontro tra due amanti che aspirano alla
consumazione dell’unione amorosa. L’epilogo infatti è l’appagamento di questa unione
amorosa. Si tratta di un poema lirico, ma anche drammatico perché non vi è soltanto
l’effusione sentimentale dei due soggetti poetici, ma anche drammatico perché vi è a tutti gli
effetti la narrazione di una storia (in versi ma vi è un forte carattere narrativo), tanto che
possiamo individuare almeno tre segmenti narrativi
1. Ricerca dell’amato fuggito: l’amato se n’è andato, non sappiamo le circostanze di
questa fuga, quindi l’amata esce di notte alla ricerca disperata del suo amato, in
questa ricerca notturna chiede ai pastori che incontra di trasmettere messaggi
d’amore al suo amato se l’hanno visto. Cerca degli intermediari capaci di metterla
in contatto con il suo amato fuggito e anzi estende la ricerca di questi intermediari
anche alla natura tutta: non soltanto ai pastori ma anche agli alberi, agli animali,
fiori… a tutti gli elementi della natura che possono aver visto il suo amato.
Dopodichè mette di cercare intermediari che non sono in grado di svolgere questa
funzione di ponte tra lei e l’amato e si rivolge in termini concitati direttamente
all’amato, lo invoca di consegnarsi a lei direttamente senza intermediari. Lo invoca
di tornare e di manifestarsi. Questa richiesta raggiunge dei livelli anche così
disperati e aggressivi da maledire l’amante (elemento che non troveremo mai
nell’amor cortese, vi è un’accettazione storica della sofferenza. Questa donna
invece non sopporta la sofferenza ingenerata in lei dalla fuga del suo amante) e
chiede la presenza dell’amato. L’immagine raccontata dagli intermediari non le
basta più, reclama la presenza fisica/corporea
2. Apparizione dell’amante: l’amante è tornato e si è manifestato a lei davanti ai suoi
occhi, generando in lei un trastorno, una situazione emozionale molto forte. Quindi
l’avvicinamento, l’incontro, il ritorno.
3. Unione fisica, amorosa che genera un’estasi di felicità con una specie di scena
idíllica dopo la prima unione amorosa in cui i due amanti assaporano gli effetti della
loro unione. Ricomincia una seconda volta l’eccitazione erotica, si determina una
seconda unione amorosa e poi una nuova quiete dopo la tempesta.

L’erotismo nel Cantico Espiritual è indubbio, ma anche in questo caso molto controversa è la
sua interpretazione. C’è che dice di non voler cercare un significato secondo a un significato
letterale che è quello di un incontro amoroso tra due amanti, che si sono prima lasciati e poi
ritrovati, quindi con tutto il pathos del ritorno inaspettato. Quindi c’è chi si rifiuta di vedere in
questo testo un’allegoria di carattere religioso, cioè vedere nell’unione erotica l’immagine
allegorica dell’unione mistica perché il simbolismo religioso rimanderebbe a un significato
secondo che alcuni lettori dicono che basta leggere il significato letterale e si trova una bella
storia d’amore e non per questo la si debba interpretare in senso religioso. Tuttavia, ci sono
dei dati a sostegno dell’interpretazione allegorica, e dei dati inconfutabili:
- Titolo: Cantico Espiritual
- San Juan de la Cruz ha prodotto un commento in prosa a questa sua opera e nei suoi
commenti fornisce chiaramente l’interpretazione religiosa.
- Spie terminologiche disseminate nel testo che ci autorizzano a leggere il testo in senso
religioso. Quindi vedere l’unione d’amore come immagine dell’unione mistica.

Tre segmenti narrativi che non a caso corrispondono con le 3 fasi del processo mistico, cioè:
1. Via purgativa: corrisponde al primo segmento cioè alla fuga e alla ricerca affannosa
dell’amato. Via purgativa cioè l’anima del credente deve purificarsi dai vizi prima di
unirsi a Dio attraverso la mortificazione, ecco che Dio che dovrebbe corrispondere
l’amata invece fugge dall’amata perché è funzionale a indurre in lei uno stato di
sofferenza utile a purgare la sua anima. Lei è costretta a cercare Dio (ricerca anche in
senso simbolico. Sul piano letterale è l’amata che cerca fisicamente Dio che è
scappato, sul piano simbolico è la ricerca di Dio in senso spirituale, quindi predisporre
la propria anima all’incontro con Dio attraverso la mortificazione e il dolore)
2. Il secondo sengmento narrativo è l’incontro tra i due amanti che corrisponde alla via
illuminativa del processo mistico
3. Il terzo segmento narrativo è l’unione amorosa, che rappresenta la via unitiva del
processo mistico

Il cantico espiritual ci introduce nel capitolo dell’amore mistico, in effetti è la storia di


un’unione erotica che tuttavia è carica di simbolismo religioso, dato che l’estasi dell’amore
erotico agisce da immagine dell’estasi dell’amore mistico (unione dell’anima con il divino,
senso estatico tipico anche dell’amore erotico che quindi viene usato come allegoria
dell’amore divino).

ANALISI
¿Adónde te escondiste,
amado, y me dejaste con gemido?
Como el ciervo huiste,
habiéndome herido;
salí tras ti, clamando, y eras ido.

Bisogna sottolineare il fatto che diversamente dalla poesia cortese ci troviamo davanti a una
cancion de mujer: il soggetto poetico è femminile ed è una grande novità. Tra l’altro la donna
si configura come una vittima passiva dell’abbandono. Tuttavia, questa passività sfuma
nell’ultimo verso dove la donna esce a cercare l’amato. Prima dice che si dispera poi esce a
cercarlo, quindi acquisisce di botto un ruolo attivo. Esce di notte addentrandosi nei boschi per
cercarlo.
Poi bisogna notare la comparazione dell’amato come il cervo che ferisce e fugge. Il cervo è
dotato tradizionalmente di un simbolismo erotico: è qualcuno che ha sedotto (ferito in questo
senso) e se n’è andato. Il ruolo attivo della donna si amplifica vie più nel corso delle strofe
successive.

Pastores, los que fuerdes


allá, por las majadas, al otero,
si por ventura vierdes
aquél que yo más quiero,
decidle que adolezco, peno y muero.

Buscando mis amores,


iré por esos montes y riberas;
ni cogeré las flores,
ni temeré las fieras,
y pasaré los fuertes y fronteras.

Nella seconda strofa trasmette il suo messaggio d’amore ai pastori e chiede dell’amato alle
creature tutte. È una donna guerriera. Notiamo l’esigenza del segreto dell’identità del suo
amato, non dice il nome di un amato. Questa esigenza del segreto è tipica dell’amor cortese,
dove la donna viene chiamata sempre con un senal perché in quella società cavalleresca la
donna doveva essere rispettata nella sua reputazione e quindi il segreto d’amore è non solo
verso la donna ma anche verso la società.
Comunicazione delle pene d’amore avviene attraverso un elenco progressivo asindetico. Il
polisindeto riguarda la sintassi, cioè quando una frase è costruita con molti nessi e
proposizioni, mentre l’asindeto è l’eliminazione dei nessi di congiunzione, quindi vediamo ad
esempio “adolezco, peno y muero”: vediamo una progressione innanzitutto nella temperatura
della pena, c’è una progressione espressiva molto efficace. Poi la struttura asindetica, cioè
l’eliminazione di ogni nesso di congiunzione conferisce all’espressione un ritmo incalzante,
più veloce che corrisponde alla forza del sentimento. Ricordiamo Garcilaso “el viento mueve,
esparce y desordena”, un po’ la struttura è la stessa, un’elencazione progressiva e asindetica.
Nella seconda strofa è interessante la cornice pastorale, tipicamente rinascimentista. Ne
abbiamo parlato anche con Garcilaso, paesaggio bucolico, tranquillo, che li concorda con
l’intensità del sentimento del pastore. Qui vediamo la comparsa della natura che sembrerebbe
bucolica, però questo locus amenus si trasforma improvvisamente in un locus éremus, cioè in
una natura aggressiva e violenta quando nella terza strofa compaiono elementi assolutamente
anomali nel bucolismo: fiere, frontiere, forti (entrambi rimandano alle guerre). Quindi se
ancora i primi due versi della terza strofa insistono nell’ambiente pastorile (monti e rive),
improvvisamente cambia la natura benigna a natura maligna già quando dice che i fiori non
verranno colti, poi introduce fiere, forti, frontiere. Siamo passati da un locus amenus a un
locus eremus che corrisponde perfettamente con lo stato d’animo del soggetto poetico che è
uno stato d’animo inquieto, aggressivo di chi sta soffrendo. Non sarebbe stato coerente o un
vero e proprio rispecchiamento paesaggistico dello stato d’animo del soggetto poetico il
permanere di una cornice bucolica.
La terza strofa è interessante per la sua costruzione: ha una costruzione polisindetica, c’è
un’insistenza ritmica su questi nessi di congiunzione, è una struttura parallelistica (gli
elementi sono in tutti i versi aggruppati per coppie: ni cogeré las flores, ni temeré las fieras),
costruzione anaforica (ripetizione dello stesso termine a inzio verso, figura retorica molto
tipica del parallelismo: ni, ni).

Gia in queste prime tre strofe possiamo individuare alcune importanti fonti letterarie di San
Juan de la Cruz, ma è un poeta il cui uso delle fonti è assai stravagante, usandole in modo
rovesciato:
- Letteratura pastorale: presenza di una natura bucolica sebbene subito convertita in un
locus eremus proprio in accordo con lo stato d’animo della protagonista, che è quello di
una sofferenza e non di una pace amorosa
- Amor cortese: almeno per quanto riguarda uno dei suoi topos, cioè il segreto d’amore
- Lirica popolare: dove impera il genere della cancion de mujer, dove la poesia d’amore
spesso è poesia di donna.

Parliamo di uso anomalo di queste fonti perché è vero che usa la letteratura pastorale ma ne
rovescia il segno, è vero che usa alcuni topoi dell’amor cortese ma all’interno dell’amore
mistico, è vero che usa la lirica popolare nella sua forma esterna di cancion de mujer però in
realtà non si tratta di una vera e propria donna ma dell’anima del credente.
Bisogna citare la macrofonte, fonte più importante, proprio perché il Cantico Espiritual si
pone come una sorta di riscrittura del Cantar de los Cantares (Cantico dei Cantici), dal quale
riprende a larghe mani l’allegoria amorosa per rappresentare l’unione mistica, quindi riprende
l’idea di base ma anche concrete immagini, immagini puntuali.

CANTAR DE LOS CANTARES


Fa parte dell’antico testamento. È anch’esso un testo erotico che celebra l’amore umano tra
due amanti separati che si cercano, si ritrovano e si uniscono carnalmente. Quindi la storia è
la stessa e le stesse sono anche le situazioni emotive per i protagonisti: l’angoscia per
l’assenza della persona amata, la felicità, l’estasi nel momento dell’incontro e del mutuo
posssesso. Anche in questo caso questa storia d’amore ha un senso allegorico.

Si stabilisce una relazione ipertestuale tra il Cantico Espiritual e il Cantico dei Cantici.
Sia nella intertestualità sia nella ipertestualità abbiamo la presenza di un testo A in un testo B
ma le modalità di questo rapporto sono molto diverse.
Intertestualità: il testo B è un testo totalmente autonomo rispetto ad A e si limita a citarlo, ad
alludere a un elemento che risulta funzionale al proprio discorso ma che è un discorso
assolutamente autonomo
Ipertestualità: tra il testo A e il testo B c’è una relazione genetica perché il testo B è una vera
e propria riscrittura del testo A. Si appropria di tutta la storia e la riscrive. Naturalmente il
processo di riscrittura necessita delle modifiche, delle varianti, altrimenti si tratterebbe di un
plagio, però delle invarianti devono permanere per fondare la riconoscibilità del testo A,
affinchè quella relazione sia riconoscibile.
San Jua prende quella storia, con quei segmenti narrativi, con quelle caratteristiche e la
riscrive a modo suo stabilendo una relazione riscrittruale con il suo testo fonte e quindi
partecipando a ciò che Gerard Genette, teorico della letteratura, ha chiamato ipertestualità per
distinguerlo alla intertestualità.

(Pregunta a las Criaturas)


¡Oh bosques y espesuras,
plantadas por la mano del amado!
¡Oh prado de verduras,
de flores esmaltado,
decid si por vosotros ha pasado!

L’amata chiede alla natura tutta di aiutarla in questa sua ricerca. Abbiamo detto che ci sono
alcune spie testuali che garantiscono la lettura allegorica di questo testo, qui ce n’è una:
rivolgendosi all’amato come il creatore parla evidentemente di Dio e non di un amante
umano.

(Respuesta de las Criaturas) Mil


gracias derramando,
pasó por estos sotos con presura,
y yéndolos mirando,
con sola su figura
vestidos los dejó de hermosura.

Dio che passa per la natura e la contamina con la propria perfezione e bellezza, quindi la
natura è il libro scritto da Dio, è il riflesso della sua perfezione, la natura è opera di un
creatore sapiente, quindi la perfezione della natura rivela l’esistenza di Dio, in questo caso la
presenza.
Due strofe chiaramente una spia testuale della natura divina dell’amato.

¡Ay, quién podrá sanarme!


Acaba de entregarte ya de vero;
no quieras enviarme
de hoy más ya mensajero,
que no saben decirme lo que quiero.

La donna richiede la consegna diretta del suo amante rifiutando ogni intermediario perché
sono incapaci di veicolare un messaggio a Dio. Il lloro linguaggio è insufficiente perché
l’esperienza di Dio è ineffabile.
Grido di sofferenza che si concretizza in una domanda retorica (quien podrá sanarme,
nessuno non c’è risposta). Questa domanda retorica e questo grido di sofferenza da proprio la
misura dell’insufficienza di questi messaggeri d’amore. Questo è un motivo tipico del
romanzo sentimentale, della novella cavalleresca, che è un’altra fonte letteraria per San Juan,
cioè la presenza del messaggero d’amore, tuttavia qui viene rifiutato. Anziché essere la
chiave di volta, la soluzione di un nodo narrativo intricato come suole essere nella letteratura
cavalleresca, qui il messaggero d’amore è rifiutato in quanto insufficiente
La venenza del desiderio si esprime sia sul piano dei contenuti ma anche e soprattutto dal
punto di vista formale, cioè della costruzione della frase.
v.4 iperbaton, la costruzione regolaredella frase sarebbe “de hoy no quieras enviarme más
mensajero”, che viene invece invertito mediante l’iperbatos che rende disordinato il costrutto.
Oltre a questo iperbaton, abbiamo una concordanzia ad sensum che riguarda il verbo saben.
Mensajero è soggetto singolare, il verbo è al plurale, quindi non vi è una concordanza
grammaticale tra verbo e soggetto ma solo una concordazia ad sensum. Abbiamo quindi una
frase completamente disarticolata attraverso l’iperbaton e la concordanzia ad sensum questi
due. Questo disarticolare la sintassi di fatto riflette la situazione animica emotiva del
personaggio che è in subbuglio. Lei si sente così sottosopra in una situazione di reale
trastorno emozionale che trova un’efficacissimo rispecchiamento nel modo di parlare, dal
punto di vista formale della costruzione della frase, al punto tale che potremmo parlare di un
errore espressivo proprio perché questo disordine è funzionale a esprimere anche sul piano
formale il trastorno emozionale del soggetto poetico.
Non è la prima volta che San Juan si dimostra un poeta abilissimo a far corrispondere le
soluzioni formali allo stato d’animo del soggetto poetico.

L’invocazione della presenza fisica dell’amato è un motivo che ci colloca molto distanti
dall’amor cortese, che proprio si caratterizza per l’amore da lontano.
Elementi di continuità con l’amor cortese (segreto d’amore) e alcuni di forte discontinuità
(qui addirittura strutturale, pretendere la presenza fisica dell’amato)

Y todos cantos vagan,


de ti me van mil gracias refiriendo.
Y todos más me llagan,
y déjame muriendo
un no sé qué que quedan balbuciendo.

Nella settima strofa inizia lo svilimento amoroso, nel senso che la ferita d’amore prodotta
dall’assenza dell’amato e anche da ciò che di lui gli viene raccontato dai messaggeri lascia
tramortita la fanciulla, e qui si introduce il motivo della muerte por amor, molto tipico
dell’amor cortese. Un altro motivo interessante è quello dell’insufficienza del linguaggio
umano per parlare di Dio, quando lei dice “non sanno dirmi ciò che voglio”, “non sanno
parlarmi di te”; perché il linguaggio umano è insufficiente tanto che poi verrà detto che questi
messaggi si tramutano in balbettamenti senza senso perché l’esperienza divina è ineffabile e
una piena visione di Dio non è raggiungiubile.
Più mi parlano della tua perfezione più mi feriscono perché io non ti possiedo.
Il loro linguaggio è insufficiente per rendere questa ineffabile esperienza del divino.

Mas ¿cómo perseveras,


oh vida, no viviendo donde vives,
y haciendo, porque mueras,
las flechas que recibes,
de lo que del amado en ti concibes?

Altro motivo tipicamente cortese, cioè “vivo sin vivir en mi”, vivo senza possedermi,
concetto dell’alienazione d’amore con retrogusto cortese molto evidente, così come il motivo
dell’amante sdegnoso. Le frecce dell’amato, la freccia d’amore, sono un’immagine tipica, ma
queste frecce d’amore non vengono direttamente dall’amato ma dall’idea che dell’amato
ognuno di noi si fa. Quindi, noi ci innamoriamo dell’immagine dell’oggetto d’amore, di come
noi interiorizziamo quell’immagine, quindi l’interiorizzazione dell’amore. Poi
quest’immagine dell’amato che ferisce con le frecce non ha niente di biblico, perché
l’immagine di Cupido è un’immagine semmai mitologica, quindi qui San Juan si serve non
più dei libri religiosi ma mitologici con particolare riferimento alla figura di Cupido con le
sue frecce, molto popolare nella letteratura amorosa. È un simbolo d’amore che deriva dalla
mitologia classica latina, è il dio dell’amore figlio di Venere e Marte che ha una sua precisa
iconografia: bambino con le ali, quindi simbolicamente ci si riferisce amore capriccioso e
volubile come bambini e come le ali. Gordito: potrebbe indicare la voluttuosità dell’amore.
Benda sugli occhi: irrazionalità dell’amore. Armato di frecce: amore come aggressione, come
guerra.
Quindi qui abbiamo l’immagine di Cupido ma veicolata attraverso l’immagine della freccia
che colpisce.

¿Por qué, pues has llagado


aqueste corazón, no le sanaste?
Y pues me le has robado,
¿por qué así le dejaste,
y no tomas el robo que robaste?

Maledizione nei confronti di chi ferisce e non sana, di chi ruba e non porta con sé ciò che ha
rubato. Notiamo la frequenza delle congiunzioni subordinanti e anche il gioco di parole
fortemente concettista nell’ultimo verso rappresentato nell’anonimazio cioè ripetere lo stesso
termine variato nella sua forma (robo que robaste). Qui dell’amor cortese permane oltre a
determinati motivi (segreto d’amore, morte per amore) un altro elemento che questa volta
attiene al livello stilistico, cioè il concettismo, i giochi di parole. Invece un elemento che ci
distanzia enormemente dall’amor cortese è il protagonismo femminile e la richiesta di una
cita d’amor. Qui l’amante sta chiedendo la presenza fisica, l’incontro d’amore, la relazione
corporea/carnale, che è qualcosa che nell’amor cortese non è possibile trovare.

Apaga mis enojos,


pues que ninguno basta a deshacellos,
y véante mis ojos,
pues eres lumbre de ellos,
y sólo para ti quiero tenellos.

Descubre tu presencia
Y matame tu vista y hermosura
Mira que la dolencia de amor
Que no se cura
Si no con la presencia tu figura

Oh cristalina fuente,
si en esos tus semblantes plateados,
formases de repente
los ojos deseados,
que tengo en mis entrañas dibujados!

Richiede la visione diretta dell’amato, la sua presenza fisica, non si accontenta dell’immagine
che ha interiorizzata dell’amante, vuole che si materializzi di fronte ai suoi occhi. Elemento
cortese, occhi che contemplano l’oggetto desiderato e che sono porta del piacere e dell’amore
stesso.
3: magari in queste acque si riflettesse l’immagine dei tuoi occhi perché vorrebbe dire che sei
presente. Quindi, l’immagine riflessa è accettata solo nella misura in cui è prodotta dalla
presenza fisica dell’amato. Dunque, topos cortese degli occhi e il topos cortese dell’amore
che uccide, la cui cura è la presenza dell’amato che è qualcosa di anticortese.
Climax: ascesa o discesa di tensione narrativa, qui il climax ascentente è erotico e si
raggiunge nella 13 strofa dove si produce una rottura della narrazione in virtù dell’entrata in
scena della voce dell’amato che si è manifestato, ma non ci viene raccontato. Molto
efficacemente la presenza dell’amato ci viene manifestata direttamente attraverso la sua voce,
che interviene per la prima volta nella poesia dicendo:

¡Apártalos, amado,
que voy de vuelo!

Questo lo dice lei, evidentemente si rivolge direttamente all’amato che finalmente si è


manifestato. Ma vediamo che qui la narrazione è omissiva, non c’è un passaggio narrativo
che ci introduce all’arrivo dell’amato, ma si passa direttamente al dialogo. Dice all’amato
qualcosa che non ci aspetteremmo: “allontanali”, ma che cosa?. Esprime un desiderio di
allontanamento quando fino a quel momento lo aveva cercato, ma che cosa deve allontanare?
Dice “allontana il tuo sguardo”, non resiste la vista dell’amato, perché la vista di Dio è
insopportabile per lo sguardo umano, Dio è luce. Passo a volo, cioè vuela a ciegas, è come
quando gli animali si acciecano con una luce forte a causa della vista dell’amato perché la
visione di Dio è qualcosa di sovraumano proprio perché il suo attributo è la luce. Poi il volo
può essere interpretato anche come salto amoroso, come pulso ascensionale verso Dio
prodotto proprio dalla vista degli occhi dell’amato. Quindi duplice interpretazione, o un vuelo
a ciegas o il volo ascensionale verso Dio.

Vuélvete, paloma,
que el ciervo vulnerado
por el otero asoma,
al aire de tu vuelo, y fresco toma.

Lui la richiama a se, le dice di non distogliere lo sguardo e la chiama “paloma”: la colomba
ha una plurivalenza simbolica, la prevalenza simbolica della colomba è quella della
resurrezione quindi di spirito santo. In questo contesto possiamo interpretarla simbolo di
candore e purezza, di amore che poi è come quello di Cristo che risorge nei confronti
dell’umanità perché la salva. A se stesso attribuisce la definizione di di cervo. L’avevamo già
visto con valore erotico, in questo caso non è più un cervo che fuggendo ferisce, ma un cervo
a sua volta ferito, ferito dall’amore per la donna perché Dio è amore, ama l’umanità. In
questo caso è un cervo che non ferisce ma che è ferito d’amore, proprio alludendo a Dio
come principio d’amore. Quindi in questo caso è un cervo che torna e a sua volta è pieno
portatore d’amore. Ultimo verso, il cervo si ventila attraverso il tuo volo: se il volo è un salto
amoroso, quindi lui si rinfresca di fronte al vento prodotto dal suo volo amoroso e quindi si
concede evidentemente a questa relazione che sta per diventare una relazione anche carnale.
Simbolismo erotico dell’aria, quell’aria che sconvolge i capelli della donna nella poesia di
Garcilaso.

Mi amado, las montañas,


los valles solitarios nemorosos,
las ínsulas extrañas,
los ríos sonorosos,
el silbo de los aires amorosos;

la noche sosegada,
en par de los levantes de la aurora,
la música callada,
la soledad sonora,
la cena que recrea y enamora;

Strofe di pace, una volta avvenuto l’incontro si può distendere lo stato d’animo della donna.
Quindi pace e felicità si sostituiscono ai suoi lamenti d’amore nelle strofe precedenti e a quel
movimento generale che avevamo visto durante la fase della ricerca: donna che usciva di casa
la notte, andava per le montagne a cercare pastori, tornava ecc.… vi era un senso di
ipercinetismo, invece a questo punto la pace e anche la felicità sostituiscono il movimento e il
lamento. Finalmente la quiete e la felicità prendono il sopravvento perché il matrimonio
spirituale che si sta per compiere tra i due protagonisti, l’unione con il divino stabilisce uno
stato di pace. Quindi, a partire da questo momento l’amata si può soffermare a contemplare le
bellezze dell’universo (serie elencativa)
Qui vi è una vera e propria elencazione degli elementi del creato, come se ci fosse uno stato
di conteplazione del creato. In questa enumerazione delle meraviglie dell’universo dobbiamo
trovare delle chiavi simboliche e consideriamo che qui l’amata sta esaltando la bellezza
divina mediante l’esaltazione della sua creazione, che è un atteggiamento molto comune ai
mistici. Di fatto la natura è il tempio della divinità, e qui viene segnalata l’armonia del
macrocosmo, plasmazione della perfezione divina che si riflette nel microcosmo, ossia
l’uomo.
L’amato grazie non solo alla sua presenza, ma all’unione con l’amata fa si che tutto
l’universo si integri in armonia e bellezza, quindi il cicrcuito spirituale si chiude, cioè la
bellezza e l’amore viene da Dio al creato e il creato amando amando la creazione di Dio ama
Dio, quindi si crea un vero e proprio circuito spirituale, in termini cristiani agape (amore in
senso cristiano e religioso discende da Dio all’uomo e l’uomo amando gli altri uomini che
sono creature divine della natura ama Dio e così questo circolo mistico si compie).
Vediamo elemento per elemento:
MONTAGNE: indicano altezza, ascensione, tensione elevativa verso Dio che
tradizionalmente si colloca in altezza
VALLI solitarie e ricche d’ombra, ISOLE remote: sembrano essere quasi luoghi
meravigliosi, di quelle isole dei libri di cavalleria, spazi fantastici. Sibilo delle auree amorose:
il sibilo ha delle connotazioni incantatorie, tanto è vero che viene spesso usato nei riti estatici
per generare e indurre l’estasi. Qui è associato a “los aires amorosos”: siamo di fronte ad una
dimensione incantatoria associata a dei simboli erotici com’è l’aria per di più definita
amorosa. Ci stiamo avvicinando verso il climax assoluto che poi è l’unione amorosa
NOTTE CALMA: ci troviamo si in un momento notturno ma ci troviamo vicino al sorgere
dell’aurora. L’aurora, quindi, è il momento della rinascita, il momento che segue l’oscurità
della notte in un tempo ciclico che marca la rinascita. È quindi il momento positivo per
eccellenza. È una notte sì ma calma e al limitare del sorgere del sole.
MUSICA CALLADA: ossimoro solo apparente perché qua ci si sta riferendo alla musica
delle sfere, cioè l’armonia dell’universo. Solitudine sonora
CENA CHE RISTORA E INNAMORA: elemento assolutamente inaspettato. Abbiamo
esaltato le bellezze dell’universo, macrocosmo, microcosmo, allusione ad una natura
fantastica, fiumi sonori, notte calda… tutto molto aulico e poi si parla di cena. Il mangiare
che apparentemente è un elemento così prosaico perché risponde a un’esigenza fisiologica, la
fame, ma non è soltanto piacere e necessità fisiologica, ma insieme è un rito di comunione.
La commensalità, il rito del mangiare e del bere insieme è chiaramente un rito di
aggregazione, unione materiale, di comunione. L’amore è comunione, nella messa la
comunione è mangiare il corpo di Cristo entrando in comunione con lui. Pensiamo che il
cannibalismo non vuol dire mangiare il corpo di un uomo, ma si esprime in questo modo: non
è per soddisfare una necessità fisiologica ma è bere il sangue del prigioniero di guerra per
incorporarne la forza, quindi a tutti gli effetti un rito di aggregazione esattamente come la
comunione nel rito religioso. Ecco perché l’ultima cena, una cena nel momento soglia
dell’unione amorosa. Quindi questo elemente apparentemente prosaico si converte in
un’unione dell’anima con Dio e quindi in senso più apertamente spirituale.
Noi nella letteratura europea oltre all’ultima cena conosciamo anche un’altra famosa cena,
ossia il Simposio di Platone, trattaello filosofico una delle prime teorizzazioni dell’amore.
ALBA: l’alba oltre ad avere un valore simbolico qual è quello della rinascita, della luce e
quindi vita dopo la morte, l’alba in una certa tradizione di poesia amorosa, ad esempio nella
tradizione della cancion de mujer, rappresenta il tempo prediletto dell’incontro amoroso:
l’incontro tra i due amanti avviene o di notte per essere protetti dalle tenebre e l’alba che è
luce segna la separazione tra gli amanti che verrebbero scoperti oppure si incontrano all’alba
perche è una luce che ancora nasconde, non è ancora proprio luce piena. Queste poesie che
sfruttano il motivo dell’alba anche in senso simbolico e non soltanto come tempo, si
chiamano alba/albadas. Anche qui ci troviamo all’alba in procinto di avverarsi l’unione
amorosa tra questi due protagonisti, quindi possiamo dire che dalla cancion de mujer (poesia
popolare) Juan De La Cruz prende un ulteriore motivo, cioè il motivo simbolico dell’alba.

Stiamo all’interno del secondo segmento narrativo, quello che abbiamo definito
corrispondere alla via illuminativa, è apparso Dio e ha illuminato con la sua bellezza e la sua
luce il credente, cioè l’amata e ha dato voce a un dialogo con la donna con la quale adesso, a
partire dalla strofa 16 fino alla 22, inizia la parte successiva che è quella dell’unione amorosa.

Entrado se ha la esposa
en el ameno huerto deseado,
y a su sabor reposa,
el cuello reclinado
sobres los dulces brazos del amado.

Qui abbiamo una delle immagini più belle del gesto per eccellenza dell’amore, cioè
l’abbraccio che è unione, comunione e tutta la sensazione è di piacere e di pace. Però
vediamo che gli amanti sono entrati nell’ameno giardino desiderato: il giardino è un forte
simbolo erotico perché in una lunga tradizione letteraria il giardino è il luogo privilegiato
dell’incontro tra gli amanti. Quindi se la cordinata spaziale tipica dell’incontro amoroso è il
giardino, la coordinata temporale è l’alba. Il giardino ci fa pensare anzitutto a quello
dell’Eden quindi subito al peccato originale, qualcosa che si collega al carnale ed inoltre il
giardino ci fa pensare ad una natura non selvaggia (com’era all’inizio) ma ad una natura
dominata, controllata dall’uomo. Serve non solo a creare questa cornice simbolica tipica
dell’incontro amoroso proprio il riferimento al melo, che verrà nella strofa successiva, a sua
volta portatore di un’allusione chiaramente erotica.

Debajo del manzano,


allí conmigo fuiste desposada, verbo al passato
allí te di al mano,
y fuiste reparada
donde tu madre fuera violada. La madre di tutto il genere femminile è Eva

In modo assolutamente anticipatorio, San Juan de la Cruz usa la tecnica cinematografica il


flashback nel raccontare l’unione. Per la seconda volta la voce narrante è l’amato, e ciò che
appare evidente è questo distanziamento temporale e spaziale rispetto al luogo dove è
avvenuta l’unione, si sono già distanziati dal melo dove è avvenuta l’unione. L’avverbio “li”
e la forma al passato indicano che già non sono più sotto il melo e che l’azione è già
avvenuta. Quindi, il momento dell’unione viene raccontato, non rappresentato, non viene
usata la tecnica dello showing ma del telling. Questo evidentemente anche con una funzione
eufemistica, altrimenti si sarebbe dovuto descrivere l’atto erotico che invece viene raccontato
a posteriori. In questo caso è interessante dal punto di vista della tecnica narrativa il flashback
(guardare dietro qualcosa che è già avvenuto, quindi non mostrarlo ma raccontarlo). Inoltre
un altro elemento che salta all’occhio è il riferimento al peccato originale attraverso “Eva” (la
madre sarebbe Eva, madre del genere femminile), quindi simbolismo biblico. Tuttavia,
ancora una volta la fonte letteraria di San Juan De La Cruz viene usata in modo rovesciato
perché l’evocazione di Eva è però in senso opposto: perché qui l’amore è una scena di unione
e salvezza, non di colpa mentre la storia di Eva è una storia di perdizione. Tra l’altro
troviamo anche l’immagine del “debajo del manzano” che ci evoca la storia di adamo ed eva,
storia di peccato e perdizione mentre in questo caso l’unione amoroso è il segno di salvezza.
Vediamo quindi come quasi tutte le fonti vengono usate in senso rovesciato e assolutamente
autonomo.

Dopo l’unione raccontata secondo questa tecnica a posteriori, l’amante torna in se e si guarda
intorno e promette all’amato di essere per sempre la sua sposa (senso dell’eternità e assoluto)
e che ormai una volta insediatosi in lei amore non avrà altra occupazione se non quello di
amare.

En la interior bodega
de mi amado bebí, y cuando salía,
por toda aquesta vega,
ya cosa no sabía
y el ganado perdí que antes seguía.

Metafora erotica del bere il succo dell’amato nell’intima cantina, nella segretezza e intimità
della cantina del suo amato. Gregge: motivo
della perdita del gregge, luogo comune della letteratura bucolica dove l’innamoramento dei
pastori (protagonisti della letteratura bucolica) spesso ha come conseguenza l’abbandono del
gregge perché ci si distrae e affaccendati in cose amorose i pastori perdono di vista le greggi.
Topos della letteratura bucolica che San Juan de la Cruz, assiduo lettore, riprende
Motivo del vino: associato al diletto sia perché genera uno stato di alterazione analogo a
quello dell’orgasmo che qui si sta descrivendo ma anche perché è una metafora erotica, bere
il succo dell’innamorato. Vediamo come quest’uomo di religione è assolutamente esplicito
nel descrivere in termini erotici la fusione dell’anima con la divinità.

Allí me dio su pecho,


allí me enseñó ciencia muy sabrosa, richiama alla metafora erotica del vino
y yo le di de hecho
a mí, sin dejar cosa;
allí le prometí de ser su esposa.

Mi alma se ha empleado,
y todo mi caudal, en su servicio;
ya no guardo ganado,
ni ya tengo otro oficio,
que ya sólo en amar es mi ejercicio.

Ormai i due amanti si sono ritrovati e dopo questo primo momento di esaltazione erotica con
la consequenziale distensione, ci sarà un secondo climax erotico.

FONTI LETTERARIE DI San Juan de la Cruz:

1. Bibbia e in generale la storia sacra: anzitutto per essere il cantico espiritual una vera e
propria riscrittura del cantar de los cantares, quindi in quanto riscrittura si colloca sul
piano dell’ipertestualità e non dell’intertestualità.
Sul piano dell’intertestualità, il motivo dell’ultima cena, Adamo ed Eva
2. Amor cortese: per accogliere una serie di topoi dell’amor cortese, quindi si parla di poesia
colta contemporanea (Garcilaso)
3. Poesia popolare: impianto del cantico espiritual come cancion de mujer (poesia d’amore
dal protagonismo femminile) e anche riferimento al genere dell’albada.
4. Motivi presi dal romanzo cavalleresco
5. Letteratura bucolica
6. Mitologia classica: per esempio figura di Cupido

Abbiamo detto che di molte di queste fonti ne fa un uso assolutamente autonomo e originale

A partire dalla strofa 21 rinizia l’eccitazione eoritca. Gli amanti si allontanano ancora di più
da tutto, anziché in un giardino si internano in una vera e propria caverna, nella natura
selvaggia dove nuovamente si ubriacheranno d’amore. Nella strofa 31 ci si riferisce alla
conquista d’amore, ma non conquista dell’amata da parte dell’amato ma dell’amato da parte
dell’amata: chi è conquistador è lei, non lui perché lui rimane prigioniero nella rete amorosa
della donna, con la ferita d’amore che i suoi occhi provocano in lui.

en sólo aquel cabello


que en mi cuello volar consideraste;
mirástele en mi cuello,
y en él preso quedaste,
y en uno de mis ojos te llagaste.

Lui rimane colpito (ferito damore) a causa della contemplazione dei suoi capelli che
svolazzano sul suo collo e a causa del suo sguardo. Il valore erotico dei capelli sciolti che
volano sul collo e sparsi dal vento ricordano il sonetto di Garcilaso dove per illustrare la
bellezza della donna nella sua età giovanile utilizza questa immagine: questo ci fa pensare al
valore canonico di queste immagini per i poeti dell’epoca per indicare la sensualità, al di là
del valore canonico San Juan de la Cruz deve essere evidentemente un lettore di Garcilaso
perché riprende queste immagini in maniera quasi letterale. Qui c’è anche da segnalare
l’immagine degli occhi che uccidono, immagine a cui siamo molto abituati grazie ai poeti
cortesi. Qui però vi è un fatto molto curioso, perché qui è uno dei suoi occhi che provoca la
ferita (viene sottolineato che la ferita d’amore è stata provocata da uno dei suoi occhi):
profilo, che nella pittura dell’epoca era una delle prospettive della bellezza del volto
femminile, pensiamo per esempio ai cammeo. Lui stesso dice che si riferisce all’occhio unico
della fede, metafora.
Subito dopo viene specificato che la bellezza di lei che ferisce l’amato (Dio) non è altro che
un riflesso della perfezione divina, quindi dell’amato stesso. È un gioco di specchi: lui si
innamora della bellezza di lei che non è altro che un riflesso della sua stessa perfezione. La
bellezza della donna è ricettacolo della perfezione divina, e in quella stessa bellezza l’amato
rimane incastrato, si innamora di quella bellezza che lui stesso ha prodotto in lei. La
trasformazione dell’amante nella cosa amata, la proiezione della bellezza divina in lei.

No quieras despreciarme,
que si color moreno en mí hallaste,
ya bien puedes mirarme,
después que me miraste,
que gracia y hermosura en mí dejaste.

Dio nel guardare l’amata le ha impresso la sua stessa grazia e beltà che l’ha perfezionata,
perché all’inzio era bruna, quindi imperfetta.

Cromosimbolismo nel definire il ritratto della donna


Motivo del color moreno: l’immagine della donna imperfetta perché bruna dobbiamo rifarci
al cantar de los cantares dove si dice “nigra sunt sed fermosa” =
“sono nera ma bella”. In quell’avversativa troviamo tutto il senso di un pregiudizio. La razio
è che la donna bruna nella filosofia neoplatonica rappresenta un modello femminile negativo,
antipetrarchesco. MINUTO 31
La claritas è il riflesso della luce divina, viceversa l’essere bruna indica la sensualità, il
peccato, la seduzione diabolica, la materializzazione del corpo.
Quindi qui viene detto che la bellezza dell’amata che in sé è morena e dunque imperfetta, non
è altro che il riflesso dell’amore divino che perfeziona chi lo sperimenta. Quindi lei dice non
ti preoccupare se mi hai trovato bruna e imperfetta, ormai ho sperimentato il tuo amore
(amore divino) e quindi mi ha perfezionato, ha generato in me una elevazione spirituale. Ecco
il riferimento al “nigra sunt sed fermosa”, sono bella una volta che ho sperimentato l’amore
divino che mi ha perfezionato.
Questo è un altro dei luoghi testuali ove San Juan de la Cruz non fa altro che abbeverarsi al
cantico dei cantici, che presenta la stessa identica immagine della bruna ma bella, proprio con
questo significato sottinteso.

A partire dalla strofa 26 si infiamma nuovamente in desiderio

Gocémonos, amado,
y vámonos a ver en tu hermosura
al monte o al collado
do mana el agua pura;
entremos más adentro en la espesura.

Y luego a las subidas


cavernas de la piedra nos iremos,
que están bien escondidas,
y allí nos entraremos,
y el mosto de granadas gustaremos.

Allí me mostrarías
aquello que mi alma pretendía,
y luego me darías
allí tú, vida mía,
aquello que me diste el otro día:

Non fa altro che pretendere l’unione spirituale, quindi qualcosa di legittimo, anche se
espresso in termini erotici. Tutta la natura e specchio della bellezza divina, quindi andiamo a
contemplare la tua bellezza nella natura. È un iterare l’atto erotico. Uso del verbo gozar per
altro in forma imperativa esprime l’urgenza del desiderio. Il verbo gozar non si trova tra i
poeti cortesi, tantomeno espresso in modo imperativo e dalla donna: prospettiva rovesciata, si
tratta di un momento di esaltazione nel quale la donna aspira al grado massimo di unione e
intimità, infatti dice di nascondersi nelle grotte più profonde proprio per proteggere l’intimità,
il nascondersi favorisce questa desiderata intimità.

Due strofe finali marcano un anticlimax. Da qui che siamo arrivati al massimo
dell’esaltazione poi abbiamo una discesa una volta ottenuta la sensazione di pienezza e pace
propria dell’unione.

el aspirar del aire,


el canto de la dulce filomena,
el soto y su donaire,
en la noche serena
con llama que consume y no da pena;

que nadie lo miraba,


Aminadab tampoco parecía,
y el cerco sosegaba,
y la caballería
a vista de las aguas descendía.

Ci sta dicendo che Aminabad è assente, quindi dobbiamo pensare all’assenza del nemico:
Aminabad arabo, la Reconquista era già del tutto avvenuta, ma era storia abbastanza recente.
Aminabad potrebbe essere per antonomasia il nome dell’arabo quindi del nemico.
Dice che l’assenza del nemico permette alla cavalleria di abbandonare la sua posizione
difensiva e scendere alle acque a ristorarsi: si può identificare il nemico come la parte
sensitiva dell’uomo, le passioni, dalle quali bisogna liberarsi per fondersi nell’amore mistico
con la divinità. Quindi in qualche modo una volta sconfitta la parte sensitiva dell’uomo che è
quella che induce al peccato, è l’Aminabad, ecco che finalmente ci si può distendere ed
entrare in un momento di pace.
Così finisce il cantico espiritual. Vediamo che ci proietta in una dimensione completamente
umana data disperazione per la perdita dell’amato, maledizione, l’abbandono che
inizialmente non si capisce perché Dio mette alla prova l’anima ma quale si deve mortificare
per purificarsi e ambire all’unione spirituale. Pensiamo poi ai fremiti d’amore, alla
maledizione e al fatto di esigere la presenza fisica e materiale del corpo dell’amato, non le
basta l’immagine di lui. Pensiamo anche all’abbraccio, alla sensazione unitiva che esprime la
seconda fase della via illuminativa, poi la descrizione fortemente erotica dell’incontro tra i
due amanti. Siamo lontanissimi dai poeti cortesi che addirittura nell’uso del lessico erano
parsimoniosi (non avrebbero mai usato gozar). Se pensiamo che a condurci in questa
dimensione altra è un uomo di chiesa, un mistico, che ci vuole parlare di un amore che non è
umano ma spirituale è ancora più sorprendente, seppur essendo una riscrittura.

STILE: dobbiamo mettere in risalto anche in questo caso lo stile fortemente concettista.
Pensiamo ai giochi, opposizioni, contrasti, molte antitesi (cautiverio soave, llaga delicada),
concettismo già visto nell’ambito della poesia cancioneril e dell’amor cortese, che poi troverà
una massimizzazione assoluta nella poesia barocca, nel gongorismo del secolo XVII.
In San Juan l’uso dell’antitesi, dei giochi di parole non è solo un gusto concettista ma è
funzionale a esprimere l’inesprimibile: l’amore mistico, quest’estasi mistica è qualcosa di
difficile da riferire, quindi forse solo un linguaggio basato su queste figure del pensiero quali
sono il paradosso o l’antitesi poteva essere adeguato proprio in quanto dovendosi misurare
con l’inesprimibile.
LESSICO: molto misto perché unisce a voci popolari/colloquiali invece dei cultismi/latinismi
molto ricercati. Dal punto di vista stilistico c’è una forte condensazione espressiva, cioè vi è
una forte economia di mezzi espressivi, una capacità di dire molto con poco, brevitas. In ogni
strofa si concentra un universo concettuale in maniera molto efficace e a questa
condensazione è funzionale l’uso predominante del sostantivo a scapito dell’aggettivo e
spesso anche del verbo. A volte troviamo strofe che sono per intero un’elencazione di nomi
nudi, privi di aggettivazione retta da un solo verbo. Pensiamo per esempio al nome nudo
“Adonde te escondiste amado y me dejaste con gemido”: quest’imprecazione poteva dare il
piede a tanti aggettivi, qualificare in modo negativo un amato che ti sta abbandonando, invece
rimane nudo, secco.
Diciamo che San Juan de la Cruz inizia ad usare l’aggettivo dopo le prime dieci strofe, e
quindi quando passa dal segmento narrativo che corrisponde alla via purgativa a quello che
corrisponde alla via illuminativa.
Funzione dell’aggettivo nel discorso: qualificativa, ma in qualche modo un’abbondanza di
aggettivi genera un rallentamento dell’azione perché l’aggettivo qualifica, non genera azione.
L’aggettivo è adatto nei momenti descrittivi, ma i momenti descrittivi sospendono l’azione.
Dal punto di vista del ritmo narrativo l’aggettivo lo rallenta perché gonfia i momenti
descrittivi, allora perché l’uso dell’aggettivo risulta inadeguato nella prima parte (purgativa) e
non nella seconda parte (illuminativa)? Perché nella prima via c’è un’azione concitata fatta di
fretta, velocità in cui lei va correndo, quindi in quel caso l’azione non deve essere ne
rallentata ne sospesa. Quando invece avviene il momento della contemplazione, cioè il
momento illuminativo, lì è possibile rallentare la linea narrativa e produrre un cambio
nell’andamento stilistico del poema.

METRICA: si tratta della lira, strofa di origine italiana importata in Spagna proprio da
Garcilaso, uno degli autori molto letti da San Juan de la Cruz. Strofa di 5 versi sia
endecasillabi sia eptasilabos con rima consonante e schema rimico A-B-A-B-B. Nell’ultima
strofa, quella più stravagante, abbiamo una rima assonante, una vera eccezione rispetto al
resto del poema (aba-ava anche se a livello fonetico è lo stesso).
TERZO CAPITOLO: AMORE ANTICORTESE
Per rappresentare questo capitolo ci avvaliamo di un personaggio letterario che si colloca ben
distante sia dall’amor cortese sia dall’amore mistico, rappresentando l’amore carnale e
terreno. Sappiamo che l’amore cortese è un amore spirituale, platonico e l’amore mistico è un
amore spirituale, mentre in questo caso è un amore carnale e terreno, e parliamo del seduttore
per antonomasia Don Juan Tenorio. Questo personaggio letterario è giunto a rappresentare un
vero e proprio mito, nel senso che è diventato un personaggio universale diventato
indipendente sia dal testo che gli ha dato i natali sia dal suo stesso inventore. L’autore è un
autore spagnolo, Tirso de Molina (uomo di chiesa), il testo ove nasce il personaggio è
intitolato El Burlador de Sevilla y el Convidado de Piedra. Non è una poesia ma un testo
destinato alla rappresentazione teatrale sebbene in versi e non in prosa. La data di
composizione non è certa, sicuramente è intorno al 1630, siamo in epoca barocca. La prima
fortuna del Don Juan di Tirso si ebbe in Italia nell’ambito della “commedia dell’arte”,
commedia con sfondo satirico e popolare che si rappresentava in Italia nelle piazze con molte
maschere. Si sa che il Don Giovanni fu rappresentato a Napoli intorno al 1630, quindi deve
essere stata composta poco prima.
Questo personaggio nasce nella Spagna del XVII secolo, ma presto diviene oggetto di una
molteplicità di riscritture: lungo i secoli fino ad oggi esistono dei Don Giovanni recenti e in
tutto il mondo. È un personaggio che diventa una figura plurale nel senso che supera sia le
frontiere geografiche sia temporali/cronologiche, è tutt’ora attuale la figura del Don
Giovanni, ma supera anche le frontiere di genere perché nasce nel teatro dell’ambito della
tragi-commedia, poi sfocia sempre nel teatro nell’ambito della commedia, poi intraprende
anche il cammino della poesia, del romazo e finisce in linguaggi artistici altri (musica – Don
Giovanni di Mozart, balletto, pittura, cinema – Don Juan de Marcos, televisione).
Francia – Molier, Italia – Goldoni, Germania/Italia – Mozart, Germania – Hoffman, Lord
Byron, Pirandello… siamo quindi nel campo della riscrittura, non della intertestualità ma
della ipertestualità.

gni autore imprime la sua filosofia nella sua riscrittura, quindi implica una lieve/media/forte
rimodellazione della fonte. Proprio nella capacità di metamorfosi il personaggio trova la sua
vitalità, adattandosi alla sensibilità di ogni epoca e autore. Alcune invarianti sono necessarie
per la riconoscibilità del mito. Scenario dongiovannesco permanente, quindi la riscrittura è
tutta giocata tra variante e invarianti, elementi permanenti ed elementi mutevoli.

Abbiamo detto che Don Giovanni è stato oggetto di una catena riscritturale straordinaria, ed è
chiaro che ogni riscrittura può raggiungere un livello di emancipazione anche notevole
rispetto alla fonte: una riscrittura può cambiare la fisionomia del personaggio, le sue vicende
ecc... quindi si può emancipare fortemente e ciò è dovuto alla peculiare poetica dell’autore di
ogni riscrittura e al contesto di produzione. Per esempio, Don Giovanni romantico sarà molto
diverso da un Don Giovanni barocco controriformista quale è quello di Tirso. Ogni autore
imprime la sua visione del mondo, la sua filosofia nel personaggio del Don Giovanni. Quindi
ogni riscrittura implica una lieve, media o forte rimodellazione della fonte perché altrimenti
se non ci fosse questa componente creativa si tratterebbe di plagio. Proprio nella capacità di
metamorfosi il personaggio trova la sua vitalità, cioè nella capacità di adattarsi alle sempre
nuove sensibilità (di ogni epoca o di ogni autore), se non avesse questa elasticità il
personaggio di Don Giovanni sarebbe rimasto ancorato al testo “originale”, perché non
sarebbe stato capace più di rappresentare la sensibilità di volta in volta cambiante dei diversi
autori ed epoche.
D’altro canto, però, delle invarianti sono necessarie per fondare la riconoscibilità del mito:
cambiando tutto, alla fine sto scrivendo un’altra cosa. Quindi è necessaria la permanenza di
ciò che un critico francese Jean Rousset ha chiamato “scenario dongiovannesco permanente”,
che è dato dalla permanenza di alcune invarianti.
La riscrittura è tutta giocata tra varianti e invarianti, tra una dinamica di elementi permanenti
ed elementi mutevoli.

Riassunto:
Don Giovanni è un giovane avvenente e la gioventù è un elemento molto importante della
storia, capace di intraprendere tante peripezie. È un hidalgo sevillano: l’hidalguia è uno degli
strati dell’aristocrazia spagnola, quindi appartiene ad una famiglia nobile di Siviglia (città che
ha molto a che vedere con la seduzione, aurea un po’ magica, tanto è vero che un’altra
seduttrice per antonomasia al femminile è di Siviglia, cioè la Carmen).
All’inizio della storia si trova a Napoli, dove è dovuto fuggire per alcune sue peripezie delle
quali non ci viene detto nulla. Si trova nel Palazzo Reale di Napoli dove seduce Dona Isabela,
un’aristocratica, fingendo di essere il suo fidanzato Don Octavio. Quindi si introduce notte
tempo nelle stanze di Isabella dichiarando una falsa identità protetto dalle tenebre della notte,
ma Isabella capisce che non si tratta di Don Octavio e quindi Don Giovanni è costretto a
fuggire non solo dal Palazzo Reale di Napoli ma dalla stessa Italia per tornare in Spagna con
la complicità di un suo zio, Don Pedro, che è l’ambasciatore spagnolo a Napoli. Per non
marcare l’onore dei Tenorio aiuta il nipote a fuggire facendo leva sulle sue conoscenze e sul
suo potere di ambasciatore. Tra l’altro, Don Pedro per liberare Don Giovanni dall’accusa di
aver tentato di introdursi nelle stanze di Dona Isabela e violarla accusa Don Octavio, che
naturalmente da fidanzato non avrebbe potuto fare (avrebbe dovuto essere un marito legittimo
per introdursi).

La barca dove naviga Don Giovanni fa naufragio sulla spiaggia di Tarragona dove viene
accolto da una pescatrice, Tisbea, la quale è in qualche modo una Don Juana al femminile
perché si vanta di non essere schiava d’amore, di rifiutare tutti i suoi pretendenti, esibisce
un’indifferenza all’amore. Don Giovanni viene trascinato sulla spiaggia dal servo Catalinon,
mezzo svenuto e la pescatrice lo soccorre, lo accoglie nella sua capanna, lo fa rinvenire, gli
da da mangiare e Don Giovanni non perde occasione tuttavia per mettere a colpo una sua
ulteriore seduzione. Cerca di sedurre la pescatrice indifferente all’amore, anzi quanto più è
difficile da conquistare tanto più suscita il piacere di Don Giovanni della conquista. La
tecnica di seduzione è la falsa promessa di matrimonio, quindi in realtà non è una seduzione
vera e propria perché fa leva sul desiderio della popolana di compiere un’ascesa sociale: le
promette anelli, scarpette, gioielli e lei, spinta dal suo proprio opportunismo, concede le sue
grazie a Don Giovanni. È la seconda conquista messa in scena.
Una volta conquistata Tisbea, una volta che Tisbea ha concesso le sue grazie, Don Giovanni
ordina al servo Catalinon di preparare il cavallo e fuggono notte tempo per ritornare a
Siviglia, dove vediamo messa in scena la terza conquista ai danni di Dona Ana, figlia del
Comendador de Calatrava. Dona Ana ha un amante, il Marques de la Bota (anche le donne
sedotte tanto pulite non sono: Tisbea ascesa sociale, aristocratiche con amanti che
introducono di notte nelle loro stanze). Dona Ana ama il Marques al quale fa arrivare una
lettera per dargli un appuntamento e gli dice di vedersi la stessa sera alle 11 a casa sua per
fuggire. Don Giovanni intercetta la lettera e legge l’appuntamento: fa arrivare la lettera al
Marques corretta con l’orario, stabilito per la mezzanotte, invece alle 11 si presenta lui
all’appuntamento. Poiché il Marques è un suo amico, compagno di scorribande seduttive, gli
può chiedere in prestito il suo mantello per fingere di essere l’amato di Dona Ana, anche in
questo caso complici le tenebre. Anche Dona Ana scopre l’inganno, grida aiuto e giunge il
padre (Comendador) il quale sfida a duello Don Giovanni ed ha la peggio: ovvio perché Don
Giovanne è giovane, aitante, senza scrupoli, quindi ammazza il padre di Dona Ana,
macchiandosi anche di un omicidio dovendo fuggire. Chi viene accusato dell’omicidio del
Comendador è il Marques, che giunge a mezzanotte a omicidio compiuto.

Fugge e per la strada per Nebrija, Don Giovanni si imbatte si imbatte in una cerimonia di
matrimonio tra Arminta e Patricio, due contadini. Niente di meglio per Don Giovanni che
sedurre una donna in procinto di sposarsi, in modo da oltraggiare sia la donna sia il
sacramento e niente di più difficile di conquistare una donna sull’altare. Ancora una volta fa
leva sulla falsa promessa di matrimonio quindi prmette una vita da nobildonna, gioielli ecc…
e la fanciulla cede a Don Giovanni. Ancora una volta, ottenuto il suo scopo arma il cavallo e
va via.

In tutte queste scorribande seduttive è importante il personaggio del servo Catalinon che
incarna la norma etica: è colui che non fa altro che avvertire Don Giovanni di smettere con
questo suo comportamento perché c’è qualcuno lassù che lo guarda, il giudizio divino
arriverà, lo incita al pentimento. In realtà si incarna la norma etica ma non tanto per essere
un’anima immacolata, è semplicemente un pauroso che teme di essere coinvolto nella
condanna divina proprio per essere il complice delle scorribande di Don Giovanni (prepara il
cavallo, lo segue in tutto, lo aiuta nelle sue scorribande).
Catalinon è interessante non solo per questa sua funzione di chi avvisa Don Giovanni e
presente il castigo divino, ma anche perché ha la funzione teatrale di contrappunto comico
rispetto al personaggio centrale (come Don Quijote e Sancho, istanza tragica-istanza comica),
del resto ci troviamo nell’ambito della tragicommedia.
Questa contrapposizione tragicomica si manifesta anche nei caratteri fisici: mentre Don
Giovanni è un giovane bello aitante, Catalinon è basso, grasso, costantemente dominato dalle
esigenze corporali, rappresenta il basso rispetto all’alto di Don Giovanni. Tuttavia, spesso
cerca di donjuanizzarse, cioè quando per esempio durante il naufragio di Tarragona, quando
Don Giovanni è svenuto, lui cerca di prenderne il posto e sedurre a sua volta la pescatrice
imitando il linguaggio di Don Giovanni (metafore amorose, il linguaggio aulico di Don
Giovanni), ovviamente diventando grottesco (=Sancho).
Una volta tornato a Siviglia dopo la conquista della quarta donna (due popolane e due
aristocratiche) entra nella chiesa del cimitero dove vi è la statua del Comendador de
Calatrava, padre di Dona Ana che lui stesso ha ucciso. Ecco perché “convidado de piedra”,
perché a questo punto ci troviamo davanti alla statua del Comendador morto che interagisce
con Don Giovanni.
In che modo? Don Giovanni riconosce il comendador e continua ad agire in modo azzardato
perché continua a prenderlo ingiro (per esempio gli tira la barba) e giunge al culmine di
invitarlo a cena a casa sua, infrangendo il limite tra vivo e morto, tra terreno e ultraterreno.
A questo punto entriamo nell’ambito del fantastico perché la statua del comendador si anima,
accetta l’invito. A quel punto Don Giovani capisce che c’è poco da scherzare: il divino, il
sovrannaturale esiste se la statua di un morto può animarsi, parlare e muoversi. Di fatti il
comendador non è altro che il rappresentante in Terra della volontà divina e Don Giovanni
inizia a capire questa cosa. Tuttavia, continua ad esibire un atteggiamento strafottente.
Mentre Catalinon nel preparare la cena a casa di Don Giovanni ha molta paura (catalinon,
termine gergale per dire cagasotto perché di fatto così fa), Don Giovanni pure ha molta paura,
però finge ancora di essere lo sbruffone di sempre, fino a quando i rintocchi alla porta
generano un eco macabro nella sua casa ma a quel punto per la legge della cavalleria non si
può tirare indietro. Va ad aprire la porta e si trova il comendador giunto a casa sua, ecco che
si spiega il nome: il convidado è colui che viene invitato a cena, de piedra perché è una
statua. Il Comendador cena a casa sua e gli fa un contro invito: invita Don Giovanni a cena da
lui, cioè nel cimitero, li dove risiede la statua.
Don Giovanni non si può tirare indietro ma sa che l’ora è giunta. Tra l’altro, il servo lo
avverte sul giudizio divino, e lo avvertono anche altri personaggi durante il corso della storia
ma Don Giovani durante tutto il corso della storia ripete sempre come una sorta di ritornello
“tan largo me lo filaís” (= l’ora è lontana, c’è tempo per pentirsi) invece ora quando riceve
l’invito capisce che l’ora è arrivata, che di fatto gli offre una cena macabra (scorpioni,
serpenti, tutto ciò che vive sotto terra, laddove c’è l’inferno). A quel punto Don Giovanni si
pente e chiede un confessore. Il pentimento potrebbe essere un’ulteriore burla, cioè fingere di
pentirsi per salvarsi, ma il comendador gli nega il confessore quindi gli nega il pentimento
perché è troppo tardi. Quindi la frase ripetuta più volte da Don Giovanni giunge alla
conclusione, è troppo tardi, la clessidra della vita è arrivata alla fine e sulla scorta di una
specie di contrappasso gli aferra la mano trascinandolo nelle fiamme dell’inferno e muore
Don Giovanni. Parliamo di contrappasso perché quella mano che spesso ha promesso alle
donne sedotte, questa volta lo stesso gesto lo compie ai suoi danni il commendatore che gli
afferra la mano e lo trascina nelle fiamme dell’inferno.

Una volta condannato Don Giovanni, l’ordine sociale da lui infranto si può ristabilire: Don
Octavia si sposa con Dona Isabela, Dona Ana si sposa con il Marques de la Mota, Arminta
torna da Patricio e Tisbea si sposa con uno dei suoi pretendenti. In questo modo castigato il
peccatore si ristabilisce l’ordine almeno sociale.

ANALISI:
Nel testo fondazionale del mito, Don Giovanni non è semplicemente un seduttore, non si
limita ad essere un seduttore ma più in generale è definito dal titolo stesso burlador,
ingannatore. I livelli dell’inganno, o meglio del peccato sono vari: non è soltanto sedurre le
donne ma anche ingannare gli amici. Per esempio quando chiede il mantello al Marques de la
Mota per sedurre la sua donna. È un ingannatore non solo di uomini e donne, non solo di
nobili e popolane, ma anche di vivi e di morti ed inoltre inganna non solo la legge umana
(amicizia, ospitalità di Tisbea che lo salva dal naufragio e lui la seduce), ma anche oltraggia
la legge religiosa (sacramento del matrimonio e poi omicidio). Quindi è un peccatore a tutto
tondo, è il grande trasgressore e anche la seduzione delle donne è uno degli aspetti di questa
trasgressione. Il fatto che sia un ingannatore lo ricaviamo anche dalle modalità della
seduzione, che sono la falsa promessa di matrimonio e occultare la propria identità. Sono
degli inganni, non seduce le donne per la propria bellezza, intelligenza, fascino ma attraverso
l’inganno (sostituirsi a un altro uomo o promettere falsamente il matrimonio). Quindi in realtà
quindi non seduce davvero nessuna perché le contadine si lasciano andare per fare un’ascesa
sociale e le nobili perché credono di affidarsi ai loro amati.

Tema dell’amore
Don Giovanni sfida in senso assoluto l’accezione cortese dell’amore perché:
- l’amore cortese è un amore platonico mentre Don Giovanni concepisce l’amore
esclusivamente come piacere terreno, ricevere in dono i loro corpi; quindi, possiamo dire
che rappresenta l’erotismo vs amore (l’amore implica anche il sentimento, l’erotismo no).
- L’amore cortese è un amore esclusivo, rivolto a un’unica donna, mentre Don Giovanni è
un nomade dell’amore, come ogni seduttore è un collezionista di donne.
- L’amore cortese è concepito come eterno, addirittura il paradosso dell’amore che
prosegue dopo la morte fisica dell’amante, mentre quello di Don Giovanni è un amore
che lungi dall’essere eterno: nasce e muore con incredibile rapidità. Sedotta una donna,
arma il cavallo e fugge, ottiene le donne e le abbandona subito
- L’amore cortese è un amore segreto che rispetta la reputazione della donna, a volte
attraverso un nome diverso o un eufemismo. Don Giovanni invece fa vanto delle sue
avventure per esempio attraverso il famoso motivo del catalogo delle conquiste. Nel Don
Juan Tenorio di Tirso questo è un motivo presente ancora non del tutto sviluppato mentre
chi sviluppa il motivo del catalogo in senso comico è l’autore del libretto dell’opera del
Don Giovanni di Mozart, cioè Da Ponte: in Italia 640, in Lamagna 231, 100 in Francia e
in Turchia 91 ma in Spagna son già 1003. Van fra queste contadine, cameriere, cittadine,
van contesse, baronesse, marchesane principesse e van donne di ogni grado, d’ogni
forma, d’ogni età… bionda, mora. Ricca, brutta, mora, pur che porti la gonnella.
Famosissima lista recitata dal servo nel Don Giovanni di Mozart. Il motivo del
catalogo poggia sul desiderio di fama, di farsi vanto, quindi in questo senso possiamo
parlare di teatralità: Don Giovanni vuole rappresentare sè stesso di fronte al mondo, fa
vanto delle sue peripezie.
- Tra l’altro, non sceglie le sue vittime per la loro bellezza (che può essere una bellezza
corporale o morale), cosa che era sempre stata esibita dal poeta cortese, soprattutto quella
spirituale. Non gli interessa l’attrattivo personale delle donne perché non deve
innamorarsi, non gli interessa ne la interiorità ne la esteriorità, gli interessa solo il fatto
che rappresentano un bersaglio difficile, che implichi il superamento di una prova, che
esalti la sua capacità.
In sostanza Don Giovanni rappresenta la più forte ondata anticortese che abbia conosciuto la
letteratura. Se pensiamo che nell’ambito della letteratura colta la rappresentazione dell’amore
avveniva secondo i termini cortesi, è ovvio che la nascita di un personaggio come Don
Giovanni rappresenta una ventata anticortese molto molto violenta, si potrebbe dire che Don
Giovanni rappresenta il machiavellismo applicato all’amore: il motto di Machiavelli è “il fine
giustifica i mezzi”, quindi nel caso di Don Giovanni possiamo dire che la passione è
indipendente dalla morale, è indipendente dal sentimento, giustifica se stessa. Però, pur
rappresentando la negazione assoluta del senso cortese dell’amore, Don Giovanni si avvale di
tutta la retorica cortese, di tutto l’immaginario metaforico cortese a fini seduttivi. Per esempio
l’iperbole sacra: rappresenta la donna nelle sue parole come se fosse una divinità, un’essenza
angelica, la equipara al sole, alla luce. Si serve di tutti i topoi dell’amor cortese che
evidentemente il suo autore conosce bene, a scopi seduttivi. Quindi la ferita d’amore, il
carcere d’amore, gli occhi che uccidono… sul piano della retorica è un perfetto poema
cortese, ma non sul piano del comportamento.
Don Giovanni trasgredisce non solo la categoria cortese dell’amore, ma anche la categoria
cristiana dell’amore, che possiamo definire con il termine di agape: l’agape in un’ottica
cristiana è l’amore spirituale, l’amore disinteressato, gratuito, è l’amore di Dio nei confronti
dell’umanità. Diversamente da eros, agape è un amore ascendente, rivolto a Cristo, allo
spirito e non al corpo ed è un amore che implica una vera e propria triangolazione perché
l’amore discende da Dio e a Dio torna attraverso l’amore reciproco tra gli uomini: gli uomini
amandosi tra loro (creature di Dio) amano Dio. Quindi, l’agape non è altro che una forza
divina nel cuore dell’uomo, che orienta il suo sentimento a beneficio del prossimo (amando il
prossimo io amo Dio perché il prossimo è una creatura di Dio) e si crea quindi un circolo
mistico.

14.03
Abbiamo visto che Don Giovanni rappresenta una tipologia d’amore che non solo si
contrappone alla concezione cortese dell’amore ma anche alla categoria cristiana dell’amore,
definita agape, la quale stabilisce una vera triangolazione tra Dio-uomo-Dio: l’amore
discende agli uomini da Dio, gli uomini amando il prossimo (che è creazione di Dio) ama Dio
stesso, al quale questo amore ritorna. Questa triangolazione fa si che amandosi tra loro gli
uomini amano Dio, si tratta di amare Dio attraverso le sue creature. Possiamo anche dire che
l’agape è una forza divina nel cuore dell’uomo che orienta il suo sentimento d’amore in
beneficio del prossimo. Si crea un vero e proprio circolo mistico
Diversamente, l’amore di Don Giovanni non ha nessuna trascendenza rispetto al divino ma è
un amore immanente, che non transita affatto attraverso l’amore per Dio. Don Giovanni è
espressione di un amore tutto terreno.
Poi, terza categoria d’amore che Don Giovanni trasgredisce è l’etos cattolico (più
specificamente, non solo cristiano) dell’amore: Don Giovanni è una forte trasgressione
all’etos cattolico dell’amore perché l’amore in senso cattolico è non solo un amore unico per
l’eternità ma anche un amore santificato dal sacramento del matrimonio in vista della
procreazione. Il rapporto sessuale si giustifica nell’etos cattolico dell’amore proprio in vista
della procreazione, tema totalmente assente in Don Giovanni. L’amore consumato non ha mai
nessun riferimento alla procreazione, quello di Don Giovanni è un amore plurale che gli
antichi greci avevano simboleggiato nel mito di Pan, colui che perseguitava le ninfe, è
dunque un vero e proprio amore panico.

Dopo aver individuato le tipologie d’amore più fondative del pensiero umano (almeno quello
occidentale) cioè quella cattolica, cristiana e cortese, dobbiamo sottolineare il significato
ultimo dell’opera di Tirso di Molina, la moraleja. Tutte le opere hanno un messaggio ultimo,
un significato che si intende comunicare al pubblico.
Come mai un uomo di chiesa inventa il personaggio di Don Giovanni che è assolutamente
antireligioso, qual è il messaggio ultimo che Tirso vuole comunicarci? Il senso ultimo di
quest’opera è di tipo teologico: questa storia, anche divertente fino a un certo punto (finchè
non incontra il commentadore rispetto al quale deve fare una resa dei conti poiché è il
rappresentante in Terra della volontà divina quindi ha un’istanza tribunalizia) storia che
potremmo definire di cappa e spada, cioè d’avventura, è una storia dove prevale l’energia
vitale del protagonista che si diverte, che usa le donne. Tuttavia, questa storia d’avventura
avvincente, che tiene lo spettatore col fiato sospeso, viene concepita in realtà da Tirso con
una finalità teologica.
Abbiamo detto che Don Giovanni non è colpevole solo di essere un seduttore, ma è un
peccatore. Il suo peccato più grave non è l’omicidio e nemmeno quello di sedurre le donne,
ma è colpevole soprattutto per l’eccesso di fede nella grazia divina (ecco che arriviamo alla
chiave di quest’opera). Quando Catalinon cerca di convincerlo di pentirsi, lui è convinto che
l’ora è lontana e che basta un pentimento in punto di morte per ottenere la salvezza
dell’anima. Ritiene che sia indifferente o inutile vivere tutta una vita di opere pie per meritare
la grazia divina perché basta pentirsi. Come ottenere la grazia divina attraverso le opere o
attraverso un semplice pentimento in punto di morte dopo una vita scellerata era al centro del
dibattito teologico all’epoca di Tirso, epoca caratterizzata dallo spirito della controriforma:
nell’Europa del 500 si era creata nell’ambito del mondo religioso una grande spaccatura
generata dai movimenti di riforma religiosa, tra i quali Martin Lutero, i quali criticavano
l’ortodossia del mondo religioso. Si creano quindi i cosiddetti movimenti riformatori. Di
fronte a questa spaccatura e questi revisionismi dei diversi movimenti di riforma tra i quali
quelli di Martin Lutero, il cattolicesimo ortodosso (che si sente attaccato, denunciato) ha una
reazione: si irrigidisce ancor più su posizioni ultraortodosse, e questa reazione è definito
controriforma, cioè la chiesa che reagisce alla spaccatura dei movimenti riformatori.
Nell’ambito del dibattito teologico dell’epoca caratterizzato dallo spirito della controriforma,
consideriamo che Tirso è un uomo nel 600, si sviluppa un dibattito teologico sul tema della
salvezza dell’anima, sulla possibilità di ottenere la salvezza dell’anima confidando solo sulla
grazia divina senza il supporto delle opere e attraverso un pentimento in punto di morte
oppure la grazia si ottiene conducendo una vita pia. Tirso de Molina vuole intervenire in
questo dibattito e dire il suo pensiero, ma non vuole farlo attraverso un trattato teologico, che
sarebbe arrivato solo agli addetti ai lavori, ma lo vuole comunicare in modo massivo. Lo
strumento di comunicazione di massa della sua epoca è il teatro (vanno nobili e popolani)e il
pubblico del teatro barocco spagnolo è davvero interclassista, quindi non c’è pulpito migliore
che il palcoscenico. Tirso dice la sua sottoforma di storia da raccontare a teatro. Quindi ecco
che Don Giovanni che si sente rifiutare il suo pentimento in punto di morte e si vede
trascinare nelle fiamme dell’inferno è un classico exemplum in negativo, è una ensenanza ex
contrario, è come se Tirso dicesse “ecco cosa non dovete fare” perché il peccato di Don
Giovanni è l’eccesso di fiducia nella grazia divina, dimostrando al suo pubblico di sbagliare
quando il comendador dice che la clessidra della sua vita è finita perché non basta pentirsi in
punto di morte.
Don Giovanni è il prototipo dell’antieroe, lo strumento di un insegnamento ex contrario.
Quindi, dobbiamo mettere bene a fuoco la prevalenza nella storia fondativa del mito del
messaggio religioso: Don Giovanni non è tanto il seduttore, ma il peccatore e il suo peccato
non è tanto quello di sedurre le donne, ma quello di avere un eccesso di fiducia nella grazia
divina. Tirso dice: per ottenere la salvezza dell’anima bisogna agire bene, in modo pio nel
corso di tutta la vita, altrimenti si va all’inferno. È tanto vero che il messaggio centrale di
Tirso sia di tipo religioso e
Il tribunale che giudica Don Giovanni è quello divino e non quello umano incarnato da un re.
In questo senso, un grande filosofo tedesco che si è occupato ampiamente del mito di Don
Giovanni dice che non si può concepire il personaggio senza il cristianesimo, proprio perché
all’interno di un dibattito teologico viene concepita la sua figura come exemplum in negativo
e in rapporto al tema della grazia divina (Kierkegaard, Don Giovanni la musica di Mozart e
l’eros)

Se abbiamo fissato l’importanza del tema religioso nel testo fondativo del Don Giovanni,
dobbiamo dire che la sua fortuna, quindi tutta la catena riscritturale che riguarda questo
personaggio non poggia tanto sul carattere di peccatore ma proprio su quello di seduttore: la
fortuna di Don Giovanni si basa più che altro sul suo carattere di seduttore che nel testo
fondativo tutto sommato non è prevalente. Ciò che affascina i riscrittori è proprio la sua
vitalità e il suo individualismo, il fatto di vivere in ragione del piacere personale, che ignora
completamente la legge morale, sociale e religiosa, il fatto di imporsi come l’ego contra
mundum, la volontà individuale che sfida il mondo, la legge, le convenzioni sociali, morali,
religiose. Quindi se Tirso, uomo della controriforma concepisce il suo protagonista come
antieroe avendo del suo personaggio una visione negativa, tanto è vero che alla fine lo
condanna, tuttavia Don Giovanni invece si è imposto sui successivi riscrittori proprio in senso
positivo in protesta dell’individualismo contro le convenzioni sociali e per la sua straordinaria
forza vitale. L’individuo nella lotta eroica contro la morale rigida e oppressiva, come colui
che afferma se stesso disprezzando il pericolo

MONOLOGO DI TISBEA
Pescatrice, la prima conquista nella quale il lettore si imbatte. Sappiamo che questo è il
monologo attraverso il quale Tisbea si presenta al pubblico prima di imbattersi in un Don
Giovanni naufrago

Yo, de cuantas el mar, Io, tra quelle che il mare bacia ai


pies de jazmín y rosas,
piedi di rose e gelsomino, in onde
en sus riberas besa,
sulle rive fugaci, sola libera
con fugitivas olas,
sola de amor exenta, dall’amore e felice mi sottraggo
como en ventura sola, alla sua folle prigionia
tirana me reservo
de sus prisiones locas.

Tisbea dice di essere indifferente all’amore, si sottrae dalla prigionia (prigione d’amore,
riferimento alla concezione cortese dell’amore). Dice di essere felice perché libera dall’amore
si sottrae alla sua folle prigionia e si dichiara fortunata anche nella strofa successiva.

Dichosa yo mil veces,


Amor, pues me perdonas, Fortunata sono io se mi risparmi
si ya por ser humilde amore, se il tuo non è disdegno di
no desprecias mi choza. un’umile capanna.

Tu non mi disdegni perché sono umile, mi disdegni perché io ti rifiuto.

Lei si presenta poco prima di incontrare Don Giovanni, poi c’è Catalinon che la incontra e lo
rivediamo quando avviene l’incontro con Don Giovanni dopo il dialogo con Catalinon.

TISBEA: No, que aun respira.


CATALINON: ¿Por dónde, por aquí? riferimento al di dietro, tipico del pers comico
TISEBA: Sí, pues, ¿por dónde?
CATALINON: Bien podía respirar por otra parte.
TISBEA: Necio estás.
CATALINON: Quiero besarte las manos de nieve fría.

Catalinon approfitta dello svenimento di Don Giovanni per dongiovannizzarsi e tentare di


Quando sto tra
sedurre Tisbea con le stesse armi di Don Giovanni, cioè avvalendosi di tutta la retorica
dell’amor cortese. due estremi (il
mare
A questo punto si risveglia Don Giovanni, il quale subito con la sua grande capacità di e voi) ora
improvvisazione sa cogliere l’opportunità per mettere a segno l’ennesima conquista.
vedo il mare
calmo ma allo
DON JUAN: Vivo en vos, si en el mar muero. stesso tempo
y en estos extremos dos, crudele perché
veo el mar manso y cruel
pues cuando moría en él,
me sacó a morir en vos.
Se stavo per morire affogato, grazie a voi rivivo. La morte più grave è la morte d’amore, ecco
i due estremi tra i quali si trova Don Giovanni

Ya perdí todo el recelo


Non ho più alcun timore di affogare perché
ascendo al vostro limpido cielo dall’inferno
delle onde
que me pudiera anegar,
pues del infierno del mar
salgo a vuestro claro cielo.

Quando stava per annegare nell’inferno del mare, ascendo al vostro limpido cielo.

Un espantoso huracán
dio con mi nave al través, Un terribile uragano ha sfasciato la mia nave
para arrojarme a esos pies, per gettarmi ai vostri piedi che mi son porto e
que abrigo y puerto me dan, riparo. Rinasco nel vostro oriente divino e non
y en vuestro divino oriente mi stupisce, differenza di una lettera c’è tra
renazco, y no hay que espantar,
mare e amare.
pues veis que hay de amar a mar
E se morivo di mare, da ora in poi morirò
una letra solamente.
y en ver tormentos mayores, d’amore dato che un tal dolce ho trovato in
crece amor en mis pesares; voi, fatemi tornare al mare per fuggire dal mal
y si moría de mares, d’amore.
desde hoy moriré de amores.
Y pues tan dulce rigor
en vos he llegado a hallar,
dejadme volver al mar
para huir del mar de amor.

Concettismo a piene mani e linguaggio cortese a piene mani.

TISBEA: El rato que sin ti estoy


Quando non ti vedo mi sento persa
estoy ajena de mí.

Altro stilema cortese: ajena, enajenación, cioè fuori di me, non mi controllo più. Quella
donna che si era presentata indifferente all’amore di punto in bianco dice “quando non ti vedo
mi sento persa”.

DON JUAN: Por lo que finges ansí, ningún crédito te doy.


Don Giovanni non le crede, naturalmente è tutta una messa in scena.

TISBEA: ¿Por qué?


DON JUAN: Porque si me amaras
mi alma favorecieras.
Perché se mi amassi correresti in soccorso della mia anima: non tanto del corpo, che di fatto
dal naufragio lei sta salvando, ma dice dell’anima (questione più strettamente sentimentale).

TISBEA: Tuya soy. E allora che aspetti? E di che ti fai


DON JUAN: Pues, di, ¿qué esperas? scrupolo?
¿O en qué, señora, reparas?

TISBEA: Reparo en que fue castigo


Io temo che questo amore sarà il mio castigo,
de amor el que he hallado en ti.
la mia perdizione
DON JUAN: Si vivo, mi bien, en ti,
a cualquier cosa me obligo, Pur di rivivere in te mi obbligo a
aunque yo sepa perder qualunque cosa, ma anche sapessi di
en tu servicio la vida, perdere la mia vita in tuo servizio la
la diera por bien perdida, perderei volentieri. Ti faccio promessa di
y te prometo de ser essere tuo sposo
tu esposo.

Servizio d’amore ancora stilema cortese, ecco la falsa promessa di matrimonio

TISBEA: Soy desigual a tu ser.


Sono inferiore al tuo stato
Ecco che tocca il tema interclassista, il tema sociale.

DON JUAN: Amor es rey


que iguala con justa ley L’amore è re, è colui che comanda
la seda con el sayal. che della sua giusta legge eguaglia
la seta al saio
Come dire: non c’è differenza di classe nell’amore, l’amore è democratico

TISBEA: Casi te quiero creer,


Ti vorrei credere ma gli uomini siete
mas sois los hombres traidores.
traditori
DON JUAN: ¿Posible es, mi bien, que ignores
mi amoroso proceder? Non vedi, cuore mio, che causa del mio
Hoy prendes con tus cabellos procedere è amore? Ho l’anima prigioniera
mi alma. nei tuoi capelli

La rete d’amore metaforizzata attraverso i capelli, i capelli sciolti come elemento di


seduzione l’abbiamo visto in Garcilaso e anche in San Juan de la Cruz. Ai capelli si
conferisce un ruolo seduttivo, non a caso in tutte le culture laddove si vuole proteggere la
pudicizia e il senso immacolato della virtù femminile i capelli si coprono.
Qui Don Giovanni dice di essere prigioniero dei suoi capelli, cioè della sua seduzione.
L’anima di Don Giovanni è rimasta prigioniera dei suoi capelli cioè della seduzione esercitata
dalla donna

TISBEA: Yo a ti me allano,
bajo la palabra y mano
de esposo.
Anche lei a sua volta non è uno stinco di santo, perché si fa sedurre dalla promessa di
matrimonio, cioè dalla aspirazione di poter effettuare una scalata sociale.

DON JUAN: Juro, ojos bellos,


que mirando me matáis, Vi giuro, begli occhi, che quando mi
de ser vuestro esposo. guardano mi uccidono, di essere vostro
Un altro stilema cortese sposo
TISBEA: Advierte,
mi bien, que hay Dios y que hay muerte. Attento, bene mio, che esiste dio e che c’è
la morte
Uno dei primi avvertimenti, lo farà spesso Catalinon. Dice di stare attento perché c’è un
giudice superiore per chi pecca, per chi mente.

DON JUAN: ¡Qué largo me lo fiáis!


Ojos bellos, mientras viva
yo vuestro esclavo seré, ancora una volta prigionia d’amore
ésta es mi mano y mi fe.

TISBEA: No seré en pagarte esquiva. Ti ripagherò ampiamente

DON JUAN: Ya en mí mismo no sosiego. Non riesco più a dominarmi

TISBEA: Ven, y será la cabaña


del amor que me acompaña, Vieni e sarai la capanna dove ospito il tuo
tálamo de nuestro fuego. amore, talamo del nostro fuoco. Nasconditi tra
Entre estas cañas te esconde, queste canne finchè non sarà il momento
hasta que tenga lugar. giusto (per concedersi a lui).

DON JUAN: ¿Por dónde tengo de entrar?


È chiaramente un riferimento osceno: lei dice di andare nella sua capanna (luogo
dell’intimità) e questa frase è un riferimento anche all’atto sessuale.

TISBEA: Ven, y te diré por dónde.

DON JUAN Gloria al alma, mi bien, dais.

TISBEA: Esa voluntad te obligue, Queste parole ti obbligano a tenere la


y si no, Dios te castigue. promessa, altrimenti Dio ti punisca
DON JUAN: ¡Qué largo me lo fiáis!

Assenza di plurilinguismo: assenza di diversi registri linguistici, espressivi. Ci troviamo di


fronte a due personaggi dotati di ben diversa estrazione sociale (aristocratico – pescatrice)
che parlano nello stesso modo, con gli stessi stilemi e con lo stesso registro linguistico.
Questo è un segno di antirealismo, non è realistico che Tisbea parli come una dama
appropriandosi del linguaggio cortese, colto. In termini più tecnici, qui Tirso non fa uso del
socioletto che è uno dei connotatori di realismo, generando una inverosimiglianza.

Mentre Tisbea si presenta al pubblico attraverso un lungo monologo, ciò non accade con Don
Giovanni: pur essendo il protagonista non ha a suo carico un monologo sebbene secondo la
prassi teatrale i personaggi si presentano al pubblico attraverso un monologo. Come si può
spiegare che sia proprio il protagonista ad essere carente di questa risorsa teatrale così
importante per autoritrarsi di fronte al pubblico? Perché sia il personaggio attraverso le sue
azioni che definisca il suo carattere, l’altro elemento potrebbe per non dire tutto e subito del
personaggio ma mantenere l’aspettativa, la curiosità del pubblico che deve scoprire
stradafacendo. Tuttavia, la logica narrativa prevede un altro fatto: la mancanza di parola in
Don Giovanni, che di fatto non si presenta verbalmente attraverso un monologo, riflette il suo
stesso carattere. La stessa assenza di parole è la sua presentazione, dato che Don Giovanni è
un personaggio privo di autocoscienza. È un personaggio che non riflette su se stesso, sembra
non possedere un’interiorità, una coscienza con la quale dialogare. Don Giovanni sa solo
agire ma non riflettere, è solo spinto dall’istinto, dalla forza vitale, dal desiderio di godere,
ma non da principi morali. Potremmo definirlo un perpetuum mobile per dire che non si
ferma mai, che è una sequenza ininterrotta di azioni ed è proprio questa che rappresenta la
sua mancanza di coscienza e la sua incostanza. Potremmo dire che se la parola è
autocoscienza, autoriflessione, autoritratto, Don Giovanni ne è privo proprio perché è privo di
coscienza, è privo di autoriflessione.

Catalinon rappresenta l’elemento comico, fa leva sulla bruttezza, sull’ignoranza, sulla


codardia, ha sempre paura, sulle necessità fisiologiche. Ma se Don Giovanni è una tragedia
(storia che finisce con la morte di qualcuno, che ha una declinazione tanatica) non risulta
strano un elemento comico come il personaggio di Catalinon all’interno di una tragedia?
Questa in realtà non è né una tragedia né una commedia, ma una tragicommedia: la
tragicommedia è un genere che inventa proprio il teatro spagnolo nel 600, in particolare Lope
de Vega. Don Giovanni è per la prima ¾ una commedia a tutti gli effetti, dove anche il
personaggio tragico non ci appare ancora come personaggio tragico, è un giovane allegro e
coraggioso che seduce donne accompagnato dal suo servo. Poi arriva la tragedia nella chiusa
attraverso la compagna del commendatore e della sua istanza tribunalizia.
Decoro in teatro: secondo la normativa classica del teatro greco/romano era un principio per
il quale ai personaggi umili si affidavano ruoli comici, invece agli aristocratici (re, imperatori,
la nobiltà in senso lato) si affidavano ruoli tragici. Il galán è l’aristocratico che deve svolgere
un ruolo drammatico, e il gracioso (il buffo) a cui si delega il ruolo comico. Ecco che Don
Giovanni è il galán e Catalinon il gracioso, che rappresenta il contrappunto giocoso alla
tragedia che si consuma nella parte finale. Don Giovanni è uno dei primi esempi di
tragicommedia.
Poi abbiamo tutta la retorica cortese nella bocca di Don Giovanni che era tutt’altro che un
amante cortese, che però si avvale di quella retorica a scopi seduttivi. In questa retorica c’è
anche l’iperbole sagrada (quando lui compara Tisbea a un luminoso cielo, al limino
oriente…).

RISCRITTURA OTTOCENTESCA NEL ROMANTICISMO


Ogni riscrittura deve avere un più o meno intenso grado di emancipazione dalla sua fonte,
proprio per evitare di essere un plagio. Ed è proprio nella elasticità del mito, nella capacità di
metamorsofi del personaggio che risiede la sua capacità di perdurare nell’immaginario
collettivo: se Don Giovanni si fosse limitato a rappresentare un discorso teologico sulla
grazia divina sarebbe rimasto inchiodato alla sua epoca, cioè alla controriforma. Invece dato
che Don Giovanni si è dimostrato poroso verso la possibilità di assumere sempre nuovi
significati e messaggi, ecco che quindi ha potuto perdurare lungamente nell’immaginario
collettivo.
Tuttavia, ogni riscrittura per quanto si emancipi dalla sua fonte deve mantenere l’identità e la
riconoscibilità di quel mito, attraverso delle invarianti. Ogni riscrittura è un delicato gioco di
equilibrio tra varianti e invarianti.

Il Don Juan Tenorio di José Zorrilla


Josè Zorrilla autore apicale del romanticismo spagnolo che scrive il suo Don Juan Tenorio
(sempre opera teatrale) del 1844. Ha ottenuto un tale successo in Spagna che viene tutt’oggi
rappresentato tutti gli anni il Giorno dei Morti come simbolo di meditazio mortis. Eppure,
Josè Zorrilla non ha guadagnato nulla da quest’opera perché innanzitutto gli fu
commissionata da scrivere frettolosamente alla quale non dava nessun valore. Una volta
scritta decise di vendere i diritti d’autore al direttore del teatro e di ricavarne solo un
compenso fisso.
Tra il 600 di Tirso e l’800 di Zorrilla c’erano state almeno le riscritture dei comici dell’arte
italiani e di Moliere, quindi poteva contare già su una certa catena riscritturale, ma la sua
fonte dichiarata è Tirso, dichiarandolo nelle sue memorie.
Varianti e invarianti rispetto a questa dichiarata fonte:
- Il testo di Tirso subisce una trasformazione notevole dato che Zorrilla redime la figura del
burlador presentando un nuovo Don Juan: il dissoluto seduttore che burla tutte le donne
con l’unica finalità di divertirsi, qui si innamora. Diventa il seduttore sedotto, è una
desdonjuanificación del personaggio assoluta.
- Si innamora non di una di quelle donne che o sono interessate ad una ascesa sociale o
sono quelle donne che invitano i loro amanti nelle loro stanze, invece si innamora di una
donna angelicata che è proprio lei quella capace di allontanare Don Giovanni dal suo
carattere diabolico.
- Se nel caso di Tirso il pentimento era un inganno in extremis nella speranza di ottenere la
grazia, qui il pentimento è realmente sentito da parte di un Don Giovanni che si innamora
sinceramente meritando la grazia divina.
- Ottiene la grazia divina da un lato perchè è davvero pentito dall’altro perché anche
l’istanza divina cambia: in una società che ha ormai superato l’ortodossia e la rigidità
della controriforma, il Dio non è più il Dio della venganza che sta seduto sul tribunale dei
giusti, ma è quello della clemenza, capace di perdonare anche il più assiduo peccatore.
Cambiano tutti i personaggi: la donna è una donna angelo, virtuosa. Don Giovanni si
innamora e si pente sinceramente. Dio perdona. L’unico personaggio che rimane inchiodato
al testo fonte è il padre della donna angelo, che qui si chiama Ines, che rimane fisso nel suo
ruolo di giudice inflessibile che non vuole perdonare Don Giovanni.

Un’altra grande novità messa in opera da Zorrilla risiede proprio nell’arrangiamento narrativo
della storia, quello che possiamo definire intreccio: la storia nasce con una scommessa tra
Don Giovanni e un suo amico complice di seduzioni. Si trovano in una bottega e con tutto un
pubblico intorno si sfidano a chi ne ha sedotte di più. A questo punto inizia la lista delle
donne sedotte e il vincitore di questa scommessa è Don Giovanni. Il suo rivale lo sfida a
un’ulteriore ed estrema scommessa, cioè quella di sedurre una novizia (si sconfina nel campo
blasfema) e Don Giovanni accetta.
Si introduce nel giardino del convento, incontra Dona Ines, la seduce con la sua abilità
oratoria e poi la rapisce. Finiscono a casa di Don Giovanni dove si svolge la famosa scena
del sofa: i due personaggi seduti sul divano della casa di Don Giovanni, il grande burlatore
che sta per vincere la sfida più difficile della sua vita capisce che si sta innamorando di questa
donna e che quindi sta perdendo la sua spavalderia e che si sente sciogliere dentro. A quel
punto gli chiede di sposarla e in quel momento vengono raggiunti dal commendatore (padre
di Dona Ines). Don Giovanni chiede la mano della figlia ma il commendatore non crede che
si sia innamorato così lo sfida a duello e muore. Muore anche Dona Ines di crepacuore e però
la sua anima intercede presso Dio che quindi salva anche l’anima di Don Giovanni, la cui
anima si può ricongiungere con quella di Dona Ines. C’è un’apoteosi finale con i due che
ascendono al cielo tra fiori e canti celesti.
L’arrangiamento è diverso ma i caratteri sono gli stessi (donna sedotta e padre della donna
sedotta ucciso).

Ora consideriamo le varianti e invarianti:


diciamo innanzitutto che il Don Juan Tenorio di Zorrilla mette in atto un’operazione di
trasformazione basata nella valorizzazione dell’eroe, che da personaggio negativo, antieroe,
ingannatore condannato, si trasforma in un ribelle purificato, pentito ed assolto. Le tre
invarianti sono:
1. PRESENZA DEL MORTO: il morto abbiamo detto che ha questa funzione giustiziera. Il
morto è quel personaggio che nella riscrittura di Zorrilla rimane fisso al testo fonte, cioè
agisce nello stesso modo negando il perdono di Don Giovanni, però qui si trasforma in
personaggio negativo, cioè colui che rimanendo un castigatore intransigente non
rappresenta più la volontà divina dato che Dio stesso ha mutato le sue istanze essendo il
Dio della clemenza e non della vendetta. Quindi rimanendo fisso al carattere di Tirso, il
commendatore si scolla non solo dalla sua funzione di rappresentante della volontà divina
ma dalla complicità con la figlia perché la figlia riconosce perfettamente le ragioni di Don
Giovanni. La figlia inoltre è colei che prenderà su di se il ruolo di mediatrice tra Don
Giovanni e Dio. Quindi si può dire che è la figlia che usurpa al padre la funzione di
rappresentante della volontà divina. Il morto giunge ad essere un semplice spettatore di un
finale che gli sfugge dalle mani: da che era il personaggio più importante diventa tutto
sommato un personaggio marginale che oltretutto ormai fuoriesce da quella unione con la
figlia la quale ormai forma una coppia felice, anche se a livello spirituale, con Don
Giovanni.

È chiaro che questa trasformazione sia dovuta alla concezione romantica dell’amore,
l’amore romantico è un amore che giustifica tutto, che non conosce ragioni e che prevale
su ogni altra motivazione.

2. GRUPPO FEMMINILE: non lo vediamo in Zorrilla, vediamo una sola donna (Dona Ines)
ma delle altre sappiamo attraverso la lista della scommessa, quindi comunque la pluralità
di donne che fa di Don Giovanni un seduttore è mantenuta. Ines è l’unica arappresentare
il ruolo femminile ma è la più importante sul piano della narrazione teatrale perché è la
figlia del commendatore, quindi colei che mette in contatto Don Giovanni e il
commendatore quindi mondo terreno e ultraterreno. Inoltre, Zorrilla fa si che Ines diventi
la figura centrale del dramma, che non solo rimpiazza il commendatore ma quasi anche
Don Giovanni, o almeno instaura un coprotagonismo. È lei il personaggio che vince
facendo innamorare di sé stessa il seduttore e che redime il seduttore. Con Zorrilla
assistiamo a una vera e propria femminilizzazione del mito, che fino a quel momento
aveva fatto si che la donna fosse solo l’oggetto di un gioco maschile o di un gioco tutto
realizzato tra personagig maschili (Don Giovanni e il commendatore). La donna non ha
più una semplice funzione teatrale (com’era un po’ in Tirso, le donne servivano solo a
fare di Don Giovanni un seduttore), qui Ines diventa un personaggio a tutto tondo con lo
spessore e l’importanza di una coprotagonista.
Incarna un amore diverso da quello visto, è un amore carità: non è ne amore passione ne
amore coniugale (in un ottica cattolica)… è un amore casto, disposto al sacrificio che si
orienta tutto verso una comunione mistica con il suo amante, ed è una donna sacerdotessa
nella misura in cui intercede verso Dio a favore di Don Giovanni. In questo senso l’amore
di Don Giovanni più che innamoramento può essere definito come un’illuminazione,
perché dovuto a un colpo di grazia sovrannaturale (grazie all’intercessione di questa
donna sacerdotessa che si fa strumento della misericordia divina, ecco il Dio
misericordioso). Il Don Giovanni di Zorrilla si salva ma nell’ambito di una morale tutta
cattolica. Non si salva perché un etos tutto terreno gli concede il diritto di essere cio che
è, per essere salvato Don Giovanni si deve trasformare: non solo si deve pentire ma si
deve innamorare, cioè si deve pentire sinceramente e soltanto tramite il pentimento può
ottenere la sua salvezza all’interno di una morale tutta religiosa, di quell’amore che
abbiamo definito come agape. Questa redenzione di tutti i personaggi in una logica
religiosa è ciò che di fatto, secondo Zorrilla, segnerà il valore degli altri Don Giovanni dei
quali esclude ogni influenza.
3. ANTIEROE: processo di trasformazione di Don Giovanni. Per tutta la prima parte
dell’opera Don Giovanni mantiene il suo carattere di burlador e per tutta la prima parte
come ogni peccatore è connotato da un carattere diabolico, spesso viene comparato al
diavolo (= dia ballo, dal greco, cioè separare, creare una rottura anziché un’unione).
Quindi per tutta la prima parte mantiene questo carattere satanico la cui colpa in questo
caso di Zorrilla appare ancora più blasfema proprio perché seduce una novizia, quindi
aggiungendo al suo comportamento un carattere di sacrilegio, di profanazione.
La sua trasformazione avviene nella scena del sofà quando si sente improvvisamente
spogliato del suo satanismo, di quel carattere che gli permetteva di farsi gioco di tutti.
Comincia a idealizzare questa donna, a vederla come un oggetto di culto anziché di
conquista. Il terribile seduttore giunge a umiliarsi di fronte a lei e al suo stesso padre
chiedendogli la mano e pentendosi dei suoi peccati. Questo secondo Don Giovanni
innamorato, pentito (in termini moderni imborghesito, cioè disposto a sposarsi) cessa di
essere ciò che è: la bellezza del personaggio era quella di essere l’ego contra mundum, il
grande trasgressore che non ha paura di nulla. Questo processo di desdonjuanizacion in
qualche modo lo priva di fascino, è un contro Don Giovanni, al quale Zorrilla toglie la parte
satanica. Tutta la parte che ci teneva con il fiato sospeso viene meno.
A favore del Don Giovanni di Zorrilla c’è da dire che si tratta di un personaggio dotato di una
complessa evoluzione psicologica: passa ad essere il suo opposto mentre il personaggio di
Tirso era un personaggio fisso, resistente a ogni evoluzione, dotato di un io definitivo, un po’
monolitico, caratterizzato dalla ripetizione che rendeva la sua identità inalterabile. Invece
questo è un Don Giovanni dotato di un conflitto interiore che fa si che conosca un’evoluzione
psicologica nell’arco dell’opera.
Vediamo come una diversa concezione dell’amore, una diversa filosofia d’epoca (il
romanticismo) o come una diversa poetica personale di un autore possa condizionare
l’interpretazione di uno stesso personaggio e la riscrittura della sua storia. Don Giovanni è
stato anche oggetto di riscritture in chiave psicanalitica, è divenuto omosessuale, si è
invecchiato, è diventato donna

POESIA POPOLARE
Secondo paragrafo dell’amore anticortese: anticortese perché in questi contesti la
rappresentazione dell’amore avviene secondo parametri anticortesi. Ora vediamo nell’ambito
della poesia popolare.
La poesia popolare è quella poesia che nasce in un contesto sociale sottoprivilegiato, ad opera
di poeti che rimangono anonimi e che usano, essendo per lo più analfabeti, il canale
dell’oralità. La poesia orale vive di varianti proprio perché priva di un testo fisso che la fissa
in una variante difinitiva: una poesia che passa di bocca in bocca e ogni nuovo interprete la
reinventa introducendo delle varianti. Quindi, ogni interprete diventa coautore e il testo ha la
caratteristica di essere liquido proprio perché accetta le varianti. Perché ogni singolo
interprete introduce delle varianti? Perché la poesia popolare avviene nell’ambito di una
performance quindi il cantore popolare ha un ritorno diretto dal suo pubblico, quindi ne
percepisce la noia o l’entusiasmo. Di conseguenza taglia o aggiunge laddove percepisce sia
necessario farlo. Inoltre c’è un’altra componente, cioè la memoria soprattutto nei testi lunghi
il cantore può dimenticare qualcosa quindi li interviene con delle varianti che improvvisa.
Naturalmente spesso questa poesia popolare è cantata quindi l’accompagnamento strumentale
aiuta molto anche la memorizzazione perché la musicalità intrinseca del testo poetico è
assecondata dalla musica seconda che è quella dello strumento musicale.

Nell’ambito della poesia popolare si riscontra un genere che è assolutamente assente nella
poesia colta, cioè quello delle puellarum cantica, le canzoni di donna. Nell’ambito dell’amor
cortese il soggetto poetico è sempre maschile e la donna non si esprime, è una protagonista in
absenzia. Invece, nell’ambito della poesia popolare la donna dice “io”, nell’ambito della
poesia amorosa. Per questo, questo gruppo di poesie popolari interpretate da donne viene
definito puellarum cantica, dove la voce, il soggetto poetico è femminile, quindi chi si
innamora è la donna. L’aspetto che maggiormente differenzia la poesia colta d’amore dalla
poesia popolare fino al 600 è l’esistenza di canzoni dotate di voce femminile, quindi
l’espressione dei sentimenti può avvenire anche da parte di una donna. Quindi, la
femminizzazione della voce. Se a proposito di Zorrilla avevamo parlato di femminizzazione
del mito di Don Giovanni, qui la femminizzazione è della voce poetica.
Qui le donne parlano, quindi sono protagoniste in presenzia, non più in absenzia (grandissima
differenza) però la paternità di queste poesie difficilmente secondo gli esperti dell’argomento
è femminile: donne erano le protagoniste, ma non le autrici. Queste puellarum cantica sono
canzoni nelle quali si alberga la voce di donne ma non donne con voce, cioè si da voce ad una
donna di carta, al personaggio femminile ma non sono donne reali che creano quel
personaggio femminile. (Giuseppe Tavani – García Gomez).

Per quanto riguarda la rappresentazione dell’amore in queste poesie, diversamente dall’amor


cortese è un amore fisico, per niente incorporeo e non solo, a volte il desiderio è soddisfatto,
non rimane come un’aspirazione lontana (realizzato o realizzabile) in virtù di un incontro
amoroso. Uno dei macrotemi di queste puellarum cantica è la cita de amor, che ha delle sue
precise caratteristiche sia dal punto di vista spaziale che temporale. L’incontro d’amore
avviene quasi sempre in un determinato luogo e tempo.

28.03
La cita de amor è qualcosa di inconcebile alla quale nemmeno si aspira nella poesia cortese,
che è un amore da lontano, il contatto fisico non viene neanche contemplato. Al contrario
nella poesia popolare la cita de amor è uno dei macrotemi, tanto è vero che anche qua si
creano degli stereotipi e le coordinate spazio-temporali di questa cita de amor sono:
- L’incontro avviene per lo più all’alba: già avevamo parlato dell’albada come una
sottospecie della poesia popolare, proprio perché la notte nasconde l’intimità degli amanti
e anche l’alba stessa che non è ancora luce ma un chiarore. Poi l’alba rimanda anche
simbolicamente alla rinascita e l’amore è fecondo, è fertilità.
- Le coordinate spaziali hanno spesso un valore simbolico: in genere le sponde di un fiume
o una fonte proprio perché a sua volta l’acqua ha come valore simbolico primario quello
della fertilità che ovviamente si associa all’accoppiamento amoroso.
Ricordiamo quanto San Juan de la Cruz attinga a questa fonte, albada citata da lui nel
momento in cui rappresenta l’incontro amoroso.
L’incontro amoroso rispetta spesso degli eventi calendariati, quindi il tempo del calendario e
in genere l’evento calendariale più associato all’incontro amoroso è la Pasqua: coincide con il
rinnovamento primaverile, quindi la fertilità della natura che rinasce. Insomma, l’incontro
amoroso è associato a tutti i simboli di rinnovamento della vita, quindi di fertilità (acqua,
luce, Pasqua).
L’incontro amoroso può essere anche diserato dall’amate, in questo caso è l’amante maschile
ad essere sdegnoso, che diserta o per dimenticanza o perché è trattenuto da un’altra donna o
perché trattenuto addirittura da faccende imprecisate che potrebbero anche riguardare la
guerra nel caso in cui l’amato sia in guerriero. Nel caso di un incontro amoroso disertato i
submotivi prevalenti sono l’attesa da parte della donna (per lo più sofferta, concitata) e poi il
motivo dell’abbandono, donna che si sente abbandonata, cosa che provoca in lei un doloroso
sentimento di disinganno. Sia l’attesa sia il disinganno comportano un’aspettativa,
l’aspettativa dell’incontro, che è del tutto negata all’amante cortese, il quale neanche ambisce
all’incontro proprio perché vi è in lui la rinuncia dell’appagamento corporeo, dell’amore dal
punto di vista fisico/corporeo. Invece, l’aspettativa è indice di una diversa impostazione.

Per quanto riguarda le caratteristiche metrico-formali di questo repertorio della poesia


d’amore in ambito popolare possiamo dire che a differenza della poesia colta in cui la
versificazione è regolare (cioè vi erano dell regole fisse che stabilivano il numero delle sillabe
nei versi, quindi il metro, e il numero di versi all’interno della strofa), invece in ambito
popolare la versificazione è irregolare tanto che si può parlare di amorfismo (mancanza di
forma) sia a livello strofico nel senso che le strofe possono essere composte in modo molto
vario, sia a livello metrico, nel senso che ci possono essere versi di diversa lunghezza. Nello
specifico, le strofe sono per lo più corte, strofette, ma il numero di versi è per lo più
indeterminato (due, tre, quattro versi).
La metrica è per lo più caretterizzata dall’anisosillabismo, cioè i versi di uno stesso
componimento poetico possono non avere la stessa misura sillabilca (un verso di sette sillabe,
uno di otto e uno di undici all’interno dello stesso componimento), quindi vuol dire
irregolarità nella misura sillabica del verso. Diversamente diremmo isosillabismo.
A sua volta la rima è per lo più assonante e in vari casi troviamo anche dei componimenti
arimici, privi di rima.
Il carattere dominante della lirica popolare dal punto di vista metrico/strofico e in generale
formale è quindi l’amorfismo, non c’è un unico modello

Dal punto di vista stilistico possiamo segnalare un andamento espressivo basato sulla
sottrazione, cioè su una estrema economia espressiva (dire molto con poco) che genera un
orizzonte verbale minimo (il massimo sono quattro versi per lo più di ottosillabi). Questo
quindi richiede una stringata economia verbale, una sintesi estrema nell’espressione degli
stati d’animo e dei concetti. Non c’è molto spazio per dire in modo prolisso, quindi prevale
un fraseggio ellittico cioè basato su omissioni: non si può spiegare tutto, non si possono
sciogliere tutti i passaggi logici, ma bisogna omettere e così si genera quindi la poetica del
frammento.

Pásame por Dios, barquero,


d’aquesa parte del rio;
duelete del dolor mio
Qui c’è un soggetto poetico che soffre che sta chiedendo a un barcaiolo di trasferislo
dall’altra parte del fiume perché sta soffrendo, ma non ci vengono raccontate le circostanze
che hanno prodotto questo stato d’animo dolente, forse per un amore infelice, ma si omette il
passaggio narrativo che racconta la causa del dolore che induce il soggetto poetico a fuggire
di corsa. Vediamo qualcuno che vuole andare via, ma la circostanza negativa di questa
urgenza legata a un dolore non ci viene raccontata, quindi si omette la spiegazione per
concentrarsi tutto sulla rappresentazione di uno stato d’animo.
Sobrietà aggettivale, l’economia verbale deve fare a meno di tutti gli aggettivi che rallentano
tutta l’espressione, la mancanza di aggettivi invece dinamizza l’espressione rendendola più
sintetica. In questo caso non ci sono aggettivi, neanche il dolore suo viene qualificato in
nessun modo, l’unico è il pronome “da quella parte”. Questo è un chiaro esempio di poetica
del frammento, dove le circostanze narrative che hanno prodotto quello stato d’animo non
vengono esplicitate. Quindi, amorfismo formale ed economia verbale che viene ottenuta
attraverso l’ellissi (omissione di passaggi logico-narrativi) e da sobrietà aggettivale.

Possiamo dire che si tratta di miniature poetiche: nella poesia colta ci sono poemi e romances
molto lunghi, qui invece sono delle miniature poetiche che vengono definite con il nome di
coplas perché queste brevi strofe spesso venivano anche cantate, sicuramente recitate. Dotate
di una natura non esplicativa (omissione) ma piuttosto evocativa, che rimanda a delle
circostanze inespresse, e sicuramente emotiva. Il carattere emotivo prevale su quello
concettista, ricordiamo quanto concettismo troviamo nella poesia dell’amor cortese. Qui il
carattere emotivo si serve di esclamazioni, espressioni enfatiche piuttosto che di ragionamenti
contorti e di concetti.

Altra caratteristica della poesia popolare in contrapposizione a quella colta è l’importanza del
paesaggio, praticamente assente nella poesia colta dell’amor cortese. Il paesaggio e la natura
non hanno soltanto un valore referenziale, cioè costituire la cornice dell’incontro amoroso,
ma hanno soprattutto un valore simbolico. In genere la frutta, i fiori e gli alberi sono dei
simboli associati alla fertilità, all’amore, alla sessualità oppure viceversa al disamore e alla
sessualità frustrata. Quindi l’arancia, il limone avranno sì una connotazione referenziale di un
paesaggio caratterizzato da quel tipo di piante (arancia e limone sono frutti che connotano il
paesaggio urbano di Siviglia), ma non è soltanto l’albero del luogo perché l’arancio e il
limone sono simboli di sessualità. Dunque, non solo funzione descrittiva di una determinata
natura/contesto ma anche valore simbolico, per questo l’importanza della natura in questa
poesia.

Vediamo come si caratterizza l’enunciazione in questo ambito, possiamo trovare:


1. Monologo senza apostrofe: il soggetto poetico parla con se stesso e non con un
soggetto altro da se

Ay de mi, cuitada!
Quien me cautivo?
Que libre era yo
Questa strofetta può essere attribuita a Tisbea di Don Giovanni (exenta de amor), la seduttrice
sedotta dallo stesso Don Giovanni. Qui notiamo topos dell’amore come carcere tipico
dell’amor cortese, ma lo spazio letterario colto e popolare non sono degli spazi isolati l’uno
dall’altro ma comunicano tra di loro: ecco che dei motivi colti discendono in ambito popolare
e viceversa. Dunque, questa intercomunicazione tra alto e basso fa si che ci sia un commercio
di motivi ed ecco che il motivo cortese del carcere d’amore lo ritroviamo anche in ambito
popolare.

2. Monologo con apostrofe: l’io poetico parla con un “tu” muto.

Feridas tienes, amigo


Duelen-os:
tuvierlas yo, y no vos
Abbiamo un monologo con apostrofe dove la persona apostrofata è l’amante e questa copla si
può interpretare o in senso letterario (ferite di guerra) o metaforico (ferite d’amore, sempre
secondo il topos cortese), in ogni caso la donna che parla esprime la volontà di patire lei
stessa il dolore del suo amante, manifestando lo stesso atteggiamento masochista dell’amante
cortese, cioè soffrire in luogo dell’amante. In questo caso si tratta di un primo verso
ottosillabo, secondo verso trisillabo e poi un altro verso ottosillabo. Ricorda il piè quebrado
visto nella poesia colta ma in genere il piè quebrado è la metà, quindi dovrebbe essere di
quattro e non di tre sillabe.

3. Forma dialogata: due io che sono il tu l’uno dell’altra che dialogano

Digas, morena garrida,


cuando seras mi amiga?
Cuando esté florida la pena
D’una flor morena
Valore erotico degli elementi appartenenti alla natura: una flor morena indica simbolicamente
la disponibilità sessuale di una donna mora che era stata definita bella mora. Anche in questo
caso il riferimento è all’amore fisico, all’amore sessuale. Anche in questo caso ci troviamo
davanti ad una strofa anisosillabica perché è una quartina formata da due ottosillabi, un
novenario e un exasillabo. Dal punto di vista delle rime è costituita da due coppie di distici
costituite da rime assonanti

4. Soggetto che parla con un interlocutore del proprio amante: non si rivolge
direttamente al proprio amante ma parla di lui ad un soggetto terzo, generalmente è la
madre. La madre nella poesia popolare svolge o la funzione di confidente o di colei
che controlla il comportamento della figlia censurandolo, imponendo limiti ed
ostacoli.

Aquel pastorcico, madre,


que no viene,
algo tiene en el campo
que le duele
Possiamo apprezzare il tema dell’appuntamento d’amore declinato mediante il motivo
dell’attesa anelante. La fanciulla si trova in uno stato d’attesa, uno dei topos della poesia
femminile. In questo caso lei si confida con la madre e si dispera per questo amante assente.
Anche qui abbiamo un ottosillabo, un tetrasillabo, un ottosillabo e un tetrasillabo e le rime
sono assonanti nei versi pari.

Nelle canciones de mujer è sempre così esplicito il genere della voce parlante? Ci sono delle
marche testuali sempre esplicite? A volte sì, proprio nei monologhi con apostrofe l’amato al
quale si rivolge è designato con termini inequivocabili (amigo, caballero, pastorcito), in quel
caso il tu è definito al maschile ed è evidente che chi parla è una donna. In altri casi ci si
rivolge all’essere amato con espressioni ambigue (amor, amores, mis ojos, mi alma, mi
corazón) quindi questi sono dei marcatori non utili dal punto di vista della fissazione del
genere della voce, a meno che questo “amor” non sia qualificato in un modo o in un altro.

Aunque soy morenica y prieta


¿A mi que se me da?
Que amor tengo que me servirá
Il tu è definito ambiguamente attraverso il termine “amor” che potrebbe essere sia maschile
sia femminile, ma il genere è definito chiaramente per quanto riguarda l’io. Quindi
sicuramente il tu è maschile.
Anche se sono mora e scura, comunque ho trovato chi mi ama: la morenez più che bruttezza
rappresenta imperfezione perché secondo la concezione neoplatonica l’ideale estetico
femminile deve riflettere la claritas divina. Invece, le tenebre quindi il diavolo, l’oscurità è
rappresentato dalla donna mora, la quale in quanto simbolo delle tenebre la donna mora è
ritenuta imperfetta. Questa stessa espressione “aunque soy morena” lo avevamo trovato nel
cantico espiritual, che San Juan de la Cruz riprende dal cantico dei cantici: dice il contatto
con Dio perfeziona chi sperimenta questo contatto, quindi se io prima ero imperfetta e
dunque indegna ora invece che ho ricevuto l’illuminazione da parte tua sono pronta per essere
amata quindi congiungermi con Dio.
Questo motivo che ha un’origine religiosa, discende anche nella poesia popolare dove però
trova larga accoglienza anche perché lì l’ideale della donna luminitica non c’è: nella poesia
popolare la donna bella è la donna morena perché risponde al genotipo spagnolo. Quindi,
antropologicamente c’è un’accettazione in ambito popolare della bellezza morena. In questo
caso però, c’è questo rimando al testo religioso dove la morenez e l’essere biondo hanno un
valore simbolico, cioè la bellezza si definisce in un certo modo perché simboleggia un valore
che va al di là dell’apparenza fisica.
Tornando all’identità di genere, questo caso è chiarissimo che se il tu è indefinito però poiché
è definito il sesso del soggetto poetico (cioè dell’io), non ci sono dubbi.

In altri casi la marca testuale si riferisce non all’io, neanche al tu, ma a lui (el)

Ay triste de mi ventura
Que el barquero me huye
porque le quiero
Il riferimento è ad un lui maschile.

In altri casi il genere è definito sia per quanto riguarda l’io sia per quanto riguarda il tu
Queredme bien caballero
Casada soy
Aunque no quiero

Il problema sussiste quando né l’io ne il tu hanno una marca testuale che definisca in modo
inequivoco l’identità di genere.

Dato che abbiamo detto che è la donna ad essere protagonista di queste poesie dobbiamo
stabilire una galleria di tipologie femminili che ricorrono in queste coplas:
- Nina precoz: la bambina precoce che ambisce ad una vita sessuale in modo precoce.

Ay mezquina,
que se me hincó un’espina!
Desdichada,
Que temo quedar prenada
Allusione oscena della spina conficcata, ovviamente è un’allusione erotica.

No tengo cabellos, madres,


Mas tengo bonito donayre
Non ho capelli, ma sono bella

No tengo cabellos, madres,


Que me lleguen a la cinta
Non ha capelli così lunghi che le arrivino alla vita, ma sono bella

Con que mato a quien me mira,


Mato a quien me mira madre
Con mi bonito donayre

Come capiamo che è una bambina? Dalla lunghezza dei capelli perché nella tradizione
popolare le ragazze da matrimonio portavano i capelli lunghi e venivano chiamate “ninas en
cabello”. Invece, il fatto di non averli lunghi si può interpretare come una ragazza che ancora
non è giunta all’età del matrimonio, quindi è molto piccola.

- Moza soltera rebelde: ragazza da sposare, ancora non sposata, ribelle che fugge
dall’incubo del matrimonio visto come un’imposizione da parte dei genitori che fa si che
la donna passi dal controllo genitoriale al controllo maritale. Questa è una ragazza ribelle
che vuole essere libera o almeno non passare da una prigionia all’altra e quindi non vuole
lasciare la sua vita di soltera.

No quiero ser casada,


Sino libre enamorada
Dejad que me alegre, madre
Antes que me case
Dicen que me case yo,
No quiero marido, no
Seguir el amor place aunque rabie mi madre
Diga mi madre
lo que quisiere
que quien boca tiene
comer quiere
Decidle que me venga a ver
que cuanto mas me rine mas crece el querer.
È una fanciulla che pretende il suo amante ma non vuole finire di un marito che è stato scelto
per lei dai genitori

- Ragazza che smania per sposarsi: il matrimonio rappresenta l’unica opzione legittima per
avere una vita sessuale

Madre, casar casar


Que carapico me quiere llevar
Madre, casarme quiero,
Que me lo dijo el tamborilero
Madre, casarme quiero,
Que se me arrufa el pelo
Madre, quierome casar
Que ya alcanzo al vasar
Padre mio, casarme quiero
Que a la chimenea llego
Carapico è l’amante che vuole portarsela via, il tamborilero è un altro amante che le ha
chiesto di sposarla.
L’immagine dei capelli è un’immagine erotica. Quando parla di “vaso” e “camino” vuole dire
che ha l’altezza sufficiente, è già grande a sufficienza per sposarsi.

- Malmonjada: colei che non vuole farsi monaca perché non vuole rinunciare alla
sessualità. Molte ragazze per motivi economici venivano mandate in convento, perché
sposarsi era un grande impegno economico per le famiglie (dote), quindi non tutte le
famiglie erano in grado di sposare tutte le figlie e le altre venivano mandate in convento.
Alcune si ribellavano perché non volevano rinunciare alla vita sessuale.

Ahora que se de amor de caballero


¿Me metéis monja en el monasterio?
Ay, Dios, que grave cosa

No quiero ser monja, no


Que nina enamoradita estoy
Aunque yo quiero ser beata
El amor el amor me lo desbarata
Como quiereis madre que yo a Dios sirva
Si yendome de amor a la contina
- Malmaridada: tipologia di protagonista femminile più importante perché ha dato luogo a
moltissime variazioni sia poetiche sia narrative. La cancion de la malcasada costituisce un
vero microgenere poetico e narrativo.
Generalmente, costa di un monologo femminile, dotato di una terza persona alla quale ci si
rivolge, spesso la madre ma a volte anche lo stesso amante. Questo genere si incentra
tematicamente sul motivo della pena della donna che soffre di vivere in un matrimonio che
percepisce come una rabbia. La donna esprime il suo desiderio di fuga da un matrimonio
indesiderato, o di vendetta nei confronti di un marito indesiderato o meglio il desiderio di
fuggire attraverso l’adulterio. Quindi si produce un’opposizione binaria tra i due
coprotagonisti maschili: marito e amante, mediante la positivizzazione dell’amante (colui che
da soddisfazione alla donna insoddisfatta) e viceversa la negativizzazione del marito, che è
completamente sprovvisto di qualità (vecchio, brutto, impotente, imposto dai genitori, che ha
una unione coniugale asimmetrica con una donna giovane, bella e vogliosa). Questo
matrimonio asimmetrico è giustificato dalla condizione di uomo ricco. Quest’uomo è spesso
anche ridicolo, dotato di una connotazione pantagruelica, è propenso al sonno, è un senex
infirmus. La donna di fronte questo marito indesiderato o si vuole vendicare:
De ser malcasada no lo nego yo
Cativo se vea quien me cativó

Oppure ha un desiderio di essere liber


Soy casada y vivo en pena
Ojala fuera soltera

Oppure l’adulterio
Queredme bien caballero
Casada soy aunque no quiero

Oppure addirittura un desiderio di morte e questo ci fa pensare all’amante cortese che cerca la
liberazione nella morte
Madre mia, muriera yo
Y no me casara no.

Cuando mi padre me caso


Muriera yo
Pues que me dio al malvillano
Que tarde o temprano no sabe,
No, ni puede, no, ni acierta no,
Sino dormir
Ay ay ay que muerta so
Pues que me dio al malvillano

Di fronte a questo matrimonio indesiderato la bellezza della donna risulta del tutto inutile.
Madre, para que naci tan garrida?
Para tener esta vida?
Soy garridita y vivo penada por ser malcasada
Soy garridilla y no pierdo salzon
Por mal maridada
Tengo marido en mi corazon
Que a mi me agrada
Garrida soy en el llermo
Y para que?
Pues que tal mal me emplee

- Motivo della vecchia che invoca l’amore: donna viuda che però è ancora attiva
sessualmente e che rivendica la sua soddisfazione.
Sono donne completamente diverse da quella dama austera della tradizione cortese. Siamo
distanti moltissimo dalla donna dell’amor cortese.

Queste donne che esprimono e rivendicano il loro diritto al desiderio al godere, alla libertà,
non si tratta di una contraddizione rispetto alla condizione antropologica della donna
dell’epoca nell’ambito di una società patriarcale di tipo tradizionale? È vero che dice che è
schiava ma esprime un desiderio di libertà, di vendetta.
La letteratura è una valvola di sfogo che poi di fatto era utile a sopportare meglio la realtà, a
ritornare nella convenzione. È come se il linguaggio rappresentasse lo spazio dove l’azione
repressa nella vita reale poteva avere corso. Se trovo una valvola di sfogo sopporto meglio la
costrizione, quindi infine la valvola di sfogo è quasi funzionale a quella costrizione.
Nell’ambito della finzione è possibile agire ciò che nella realtà non è, quindi si sopporta
meglio.

In generale l’uomo è quello che svolge l’attività lavorativa fuori casa, è colui che gestisce le
relazioni sociali mentre alla donna si delega una funzione prevalentemente domestica e
materna. Quindi la ragazza che invece vuole essere attiva nel viaggio e quindi in una vita
attiva anziché stabile e tutta sviluppata all’interno delle pareti domestiche, è chiaramente un
motivo che ancora una volta (discorso della letteratura come finzione per dare luogo ad una
vita altrimenti impraticabile) la donna desidera uscire dai confini del ruolo sociale nei quali è
legata.

Quierome ir mi vida
Quierome ir con el
Una temporadita con el mercader

Irme quiero madre a la galera nueva


Con el marinero
A ser marinero
Lei addirittura esprime l’ambizione di essere marinaia, quindi la rivendicazione di un ruolo
maschile e comunque attivo. La demenza del desiderio di una vita altra si osserva proprio
nell’espressione “quiero”, molto imperativa.

In altri casi a questo motivo del “quierome ir” si allegano dei simboli erotici trasparenti come
andare a raccogliere i fiori nell’orto, luogo favorito degli amanti dove per esempio nasce la
rosa, chiaro simbolo erotico.
En la huerta nace la rosa
Quierome ir allá
Por mirar al ruisenor como cantavá

Por las riberas del rio


Limones coge la virgo
limones cogía la virgo
Para dar a su amigo

Il raccogliere il limone e consegnarlo all’amico è un chiaro riferimento alla sessualità


femminile, cioè alla disponibilità di cedere la propria sessualità all’amico, tanto più
raccogliere la rosa (chiarissimo simbolo femminile).

Oppure, la ragazza può confessare alla madre di aver già colto le rose nel roseto, quando per
esempio dice:
Yo me iba, mi madre,
las rosas coger;
hallé mis amores
dentro en el vergel.
Va a prendere le rose e ha trovato il suo amore nel frutteto: qui è un’azione già compiuta nel
passato e non un desiderio. Naturalmente la rosa per il suo colore rosso simboleggia la perdità
della verginità, che segna la transizione dall’età infantile alla maturità sessuale.

Oltre al “quierome ir”, c’è anche il motivo del “llevame”, direttamente rivolto all’amico.
Quindi la donna prende l’iniziativa e chiede all’uomo di portarla con se.
Por el rio me llevad, amigo,
Llevadme por el rio
Il fiume naturalmente simboleggia la passione dell’amato o l’amato stesso, quindi la presenza
del fiume enfatizza l’erotismo nella richiesta della donna.
La spregiudicatezza della donna arriva al punto di incitare l’uomo a partire, non di volersi
semplicemente aggregare all’uomo che parte, ma addirittura lo incita
Salga la luna caballero
Salga la luna y vamonos luego,
Caballero venturero
salga la luna por entero
Salga la luna
Y vamonos.
La luna rischiara il cammino notturno lungo il quale fuggire da una condizione di vita
insoddisfacente.
Quindi sia il motivo del “llevame amigo” sia del “vamonos” indicano una donna attiva che ha
desiderio di mettersi in movimento per intraprendere una vita attiva e soprattutto esercitare
una vita sessuale libera. Poi ci sono altri motivi ancora più espliciti per esempio:

picame Pedro,
que picarte quiero

Guárdame mis vacas, 


carillejo, por tu fe, 
guárdame mis vacas, 
que yo te abraçaré; 
si no, abráçame tú a mí, 
que yo te las guardaré.
Questo motivo di controllare il gregge del desguido delle greggi per abbracciare la vita
amorosa lo avevamo trovato in San Juan de la Cruz che ricordandosi della letteratura
pastorale, diceva a Dio di abbandonare le greggi e di dedicarsi a se stessi (pastori innamorati
che finiscono per abbandonare le greggi).

Entra y picame gallego


Que no tengo miedo

Tutte queste coplas restituiscono il ritratto di una donna antropologicamente non veritiera ma
che nella finzione letteraria rivendica dei diritti che le sono negati nella vita reale.
Con questo abbiamo visto come i due versanti colto e popolare nella rappresentazione
letteraria dell’amore differiscano: uno è dal protagonismo maschile l’altro dal protagonismo
femminile, uno di una donna lontana, indifferente qui di una donna attiva; uno è di un amore
platonico l’altro di un amore sessuale, a volte anche esplicitamente erotico. Quindi siamo di
fronte a due versanti quasi opposti, però queste colpas per la loro caratteristica linguistica
indicano risalire al medioevo. Questi due versanti così diversi sono paralleli dal punto di vista
cronologico.

AMORE ROMANTICO
La concezione dell’amore in epoca romantica per alcuni aspetti si sovrappone a quella
cortese, per altri è assolutamente diversa.
L’amore nel romanticismo diventa un macrotema, quasi il tema per antonomasia, ma di che
tipo di amore si tratta? ancora una volta si tratta di un amore non sereno, tutt’altro che
sottomesso al controllo razionale (lotta tra amore e ragione nell’amore cortese in cui ragione
perdeva sempre, anche qui la ragione non ha nessun potere). Un amore contro ogni
convenzione, contro ogni regola, contro ogni norma perché trattasi di un amore passionale
che non conosce altre ragioni che quelle della passione. Tanto più passionale quanto più
irraggiungibile, infelice, al punto tale da coniugarsi con la morte: amore e morte sono un
binomio tipico della letteratura romantica, l’amore causa di morte proprio per la sua natura
cieca, passionale che espone gli amanti ad ogni tipo di pericolo. I due pericoli ai quali
maggiormente si oppone sono innanzitutto le convenzioni sociali, barriere che impongono
norme che finiscono per prevalere sugli amanti (la società finisce per soffocare gli amanti)
ma l’altro grande nemico è il destino avverso, il senso della fatalità, di un destino contrario
alla felicità degli amanti. Quindi se è un amore che sfida la convenzioni sociali è un amore
percepito come peccaminoso, è una forza antisociale (che va contro le convenzioni) perché
nasce proprio tra individui che le regole sociali non accettano come amanti, perché?
- Per il dislivello sociale: tra aristocratica e popolano, gitano, uomo dalle origini occulte. Il
rango sociale è un principio fortemente strutturante della società, mentre uno dei miti
romantici è proprio quello della libertà anche nella gestione dell’amore. Dunque, il
principio del rango come regola sociale e invece la libertà individuale.
- Amore incestuoso: magari gli amanti non sanno di essere madre-figlio o fratello-sorelle,
per questo si amano liberamente ma appunto è un amore non accettato
- Amore adultero
- Amore nato tra individui appartenenti a famiglie nemiche per ragioni politiche o religiose,
culturali, etniche, razziali.
Quanto più è ostacolato tanto più diventa passionale e irrinunciabile, infatti l’amore-passione
romantico sembra quasi avere bisogno di un ostacolo perché gli ostacoli sono come un
nutrimento dell’amore romantico, il quale viene a configurarsi come fonte di patimento, di
sofferenza. Nello stato d’animo dell’amante si instaura un bipolarismo a tutti gli effetti perché
vi è una costante alternanza tra sofferenza ed estasi, tra esaltazione e malinconia, tra
entusiasmo e rabbia, elevazione spirituale e abbattimento morale, proprio perché l’amore è
così caratterizzato come una lotta contro la società.
La forza di questo amore rende ciechi, folli, non più padroni di sé. Oltre a coniugarsi con la
morte si coniuga con la follia.
Per quanto detto adesso possiamo notare delle linee di continuita con l’amor cortese:
innanzitutto la sconfitta della ragione di fronte a questo amore-passione, lo stato d’animo
bipolare, la morte, l’alienazione (non essere più padroni di sé stessi, essere folli). In questo
caso però la follia scatenata dalla passione acquisisce una valenza positiva perché in questo
caso l’amore folle viene percepita come una forza capace di vedere oltre, uno sguardo
ulteriore oltre i limiti della ragione. Rende ciechi ma allo stesso tempo capaci di andare oltre.

Volendo fare un rapido escursus sulla filosofia dell’amore dagli antichi al romanticismo,
capiremo la portata rivoluzionaria dell’amore romantico. La storia del pensiero anteriore al
romanticismo era molto diversa:
- Platone e Aristotele: di fronte all’amore invitavano all’equilibrio, proprio mediante il
governo della ragione. Ritenevano che l’amore fosse una follia e che bisognava difendersi
grazie al controllo della ragione.
- Epicurei: sconsigliavano i legami amorosi auspicando l’apatia come stato frutto di un
faticoso lavoro ascetico, cioè di distacco dalle passioni e controllo sulle passioni, proprio
per potersene difendere. Questo perché le passioni per i latini e per i greci erano
considerate a tutti gli effetti una malattia che per esempio nella letteratura andava
giustificata con l’intervento divino (pensiamo alle frecce di cupido). Le passioni erano
sempre portatrici di sventure e morte.
- Con l’avvento del cristianesimo, l’amore al di fuori del sacramento del matrimonio è una
colpa perché distrae l’uomo dall’unica vera vita che è quella spirituale e perché l’amore
induce al peccato della carne tollerato solo se consumato all’interno del matrimonio in
vista della procreazione.
- Amore cortese: è la prima rivendicazione della virtù nobilitante dell’amore (amare e
soffrire per l’amata nobilita). Tuttavia, questo riconoscere all’amore una virtù nobilitante
è a costo della sua spiritualizzazione, solo se è un amore platonico e spirituale è concepito
in quanto tale. Quindi, tendendo alla soppressione della fisicità per una totale
sublimazione spirituale del sentimento. L’amore è accettato a patto che si spiritualizzi
- Rinascimento: è qui quando questa mistica dell’amor cortese inizia a laicizzarsi in una
concezione dell’amore anche come godimento dei sensi (de rosa y de azucena). Però nel
rinascimento è vero che si laicizza la concezione dell’amore a punto tale da essere intesa
come godimento dei sensi, ma pur sempre all’interno di un controllo razionale.
- Viceversa, il romanticismo invita a lasciarsi possedere dalla passione riconoscendo
all’amore una onnipotenza

Personaggio della letteratura romantica simbolo di questa incapacità di governare se stessi


nella passione, al punto tale di decidere di morire? Werter, simbolo di questa incapacità.
Decide di morire non potendo aspirare ad altro che all’amicizia di Lotte, fidanzata con Albert.

Specificità che differenziano l’amore romantico da quello cortese:


- Affinità elettiva tra due amanti: i due amanti si corrispondono, sono affini e ad ostacolarli
sono le convenzioni sociali, ma qui la donna non è sdegnosa, è a sua volta partecipe in
una relazione vissuta in un gioco di reciprocità perché i due amanti sono accomunati da
affinità elettive. La definizione di affinità elettiva indica la comunione di spirito tra due
individui, quindi una sorta di predestinazione del loro amore (se simili sono destinati ad
amarsi) e che spiega la sensazione di riconoscimento che avviene tra loro quando si
incontrano, cioè la sensazione di conoscersi già perché in realtà si corrispondono. Quindi
tenderanno inevitabilmente a ricomporre un’unità metafisica originaria perduta e che
incontrandosi si può ricomporre, una sorta di reviniscenza platonica.
Si trasporta sul piano dell’amore l’idea newtoniana dell’irresistibile attrazione dei corpi
celesti: gli amanti si attraggono reciprocamente quindi hanno il diritto che i loro
sentimenti non vengano decisi da altri ne ostacolati (come Newton parlava
dell’irresistibile attrazione dei corpi celesti, quella legge viene applicata all’amore). In
Cime Tempestose, la protagonista Caterina dice: lui è me più di me stessa, di qualunque
cosa siano fatte le nostre anime la sua e la mia sono le stesse => ecco l’affinità elettiva.
Questo concetto della complementarità dei due amanti e non della loro individualità: nel
loro amore non ci concepiscono come individui separati, ma come un noi, un tutt’uno.
- L’amore romantico è un amore tra due indivisui affini e complementari diversamente
dall’amor cortese, la fusione assoluta dei due individui in una unità mistica. È un amore
tra pari nei sentimenti, ed inoltre è un amore che riscatta la componente carnale (si ama
con l’anima e con il corpo) quindi possiamo parlare di amore sia come sentimento sia
come erotismo in vista della pienezza dell’essere.
- Inoltre, è anche un amore che rivendica lo statuto matrimoniale. Matrimonio ora
concepito come frutto di una libera scelta tra i due futuri sposi, scelta dettata dalle uniche
ragioni del cuore e non sociali né economice. Nasce quinid il concetto di matrimonio
d’amore.

Il mediatore filosofico di questa concezione romantica dell’amore è Hegel che si occupa di


questo tema in particolare nei suoi scritti teologici giovanili dove dice che l’amore è
l’unificazione (superamento delle barriere dell’io per fondersi in un noi) del soggetto con
un’altra persona, è il sentimento per cui due esseri non esistono se non in un’unità perfetta. Si
elimina la dualità e si diventa un noi. Questo comporta una rinuncia del sé per identificarsi
con l’altro, un abbandono dell’io per cui il soggetto ritrova la pienezza del suo essere nella
fusione con l’altro. L’amore così concepito toglie all’altro ogni carattere di estraneità (lui è
me più di me stesso, io sono lui più di lui stesso), l’altro viene privato di ogni carattere di
estraneità, è l’annullamento dell’alterità del tu attraverso l’unificazione. L’amore romantico
disdegna ciò che è separato, la separazione tra i due individui e di ciò che viene visto come
proprietà privata. L’amore romantico annulla la separazione attraverso l’unidficazione.
L’unificato non si separa più soltanto nella procreazione, nel figlio l’unificazione diventa
inseparata, le nostre identità anche genetiche si fondono.
Secondo Hegel l’amore è scandito da tre fasi:
1. Tesi: vi è l’affermazione dell’io. L’amante pone se stesso e dice “io sono”. Vi è la
marcazione di un confine, il confine dell’io che poi verrà superato
2. Antitesi: avviene la negazione di quel confine. L’io esce fuori da se stesso e si
concede all’altro dimenticandosi ed estraneandosi da se stesso. L’io si annulla per
identificarsi nell’altro e il darsi all’altro implica l’eliminazione dei confini dell’io,
indica l’oblio del se.
3. Sintesi: è la conciliazione, cioè nella donazione di sé all’altro l’amante ritrova
un’unità superiore quindi se stesso in modo più profondo. Quindi la perdita dell’io
nell’altro viene superata attraverso questa ricomposizione e l’iniziale posizione risulta
addirittura arricchita. Gli amanti costituiscono a questo punto un’unità superiore e
indifferenziata.

La letteratura romantica genera anche un altro tipo di personaggio femminile: abbiamo


parlato di Anna Karienina ma anche Madame Bouvarie (accecata dalla vista dell’amore
romantico lo cerca fuori dal matrimonio ma rimane insoddisfatta)

4.04
Il mediatore ideologico/filosofico della concezione romantica dell’amore è Hegel con la
teoria della tesi, antitesi e sintesi, dove la sintesi che è il risultato finale di questo
ragionamento è quella dell’amore concepito come unità indifferenziata tra due soggetti,
l’amore conduce a questa unione e quindi al superamento dei confini dell’individualità.
Anche uno scrittore francese, Stendal, si era preoccupato di teorizzare il tema dell’amore e lo
fa attraverso la famosa teoria della cristallizzazione: meccanismo per cui l’amante attribuisce
alla persona amata tutte le qualità e perfezioni possibili, anche se non le possiede. È un
processo di idealizzazione dell’oggetto amato. Meccanismo psicologico del tutto naturale
dato che l’aumento del valore della persona amata aumenta innanzitutto il piacere
dell’amante di possederlo e poi il proprio stesso valore (se conquisto una cosa bella con un
valore specifico aumenta il mio stesso valore). In questa prospettiva della
cristallizzazioneStendal spiega il colpo di fulmine come una cristallizzazione che precede il
primo incontro anziché seguirlo: il colpo di fulmine si spiega perché l’amante si è
precostituito un modello ideale, un giorno incontra un essere che somiglia a questo modello
ideale ed ecco che scatta la cristallizzazione come riconoscimento del proprio oggetto.
Di fronte a questa teoria risponde da lontano (nello spazio e nel tempo) Ortega y Gasset,
filosofo enciclopedico spagnolo secondo cui la teoria della cristallizzazione di Stendal
qualifica l’amore come una costitutiva finzione dato che ci innamoriamo quando sull’altra
persona la nostra immaginazione proietta delle qualità inesistenti. Cioè il valore della persona
amata dipende da noi, dal fatto che gli attribuiamo qualità che desideriamo ma che magari
possono non essere presenti in quella persona, quindi l’amore se concepito in questo modo
risulta essere una totale finzione. Infatti, l’immagine reale dell’amata/o cade all’interno di una
sovrapposizione di immagini che accumula sulla nuda immagine dell’amato ogni virtù. È
come se noi intessiamo dei ricami inesistenti intorno a quell’immagine. Quindi l’amore non è
regolato dalle qualità oggettive dell’oggetto d’amore ma è frutto della nostra appassionata
immaginazione, in sostanza l’amore è visionario (non solo non vede ciò che è reale ma lo
sostituisce con un’immagine ideale). L’oggetto del nostro amore è una mera proiezione
soggettiva di chi ama, un processo di idealizzazione. Quando questa finzione/immaginazione
svanisce ecco che l’amore è destinato a morire e avviene ciò che Stendal chiama la
scristallizzazione, ritorno alla lucidità, la consapevolezza dell’errore.
Un’altra considerazione interessante di Ortega è che mentre in tutte le circostanze della vita
noi rifiutiamo che la nostra orbita esistenziale sia invasa da altri esseri, cioè difendiamo le
frontiere della nostra esistenza individuale, non permettiamo a tutti di penetrare nella nostra
orbita. Invece, quando ci innamoriamo ci sentiamo metafisicamente porosi nei confronti
dell’individualità della persona amata, non più impermeabili ma al contrario permeabili al
punto tale che solo nella fusione delle due individualità (individualidad de dos) troviamo la
nostra soddisfazione (concetto simile a Hegel, questa inclinazione fusiva degli innamorati che
superano le frontiere dell’io per cercare una nuova doppia indivitualità). Però dice che c’è
una grande differenza tra innamoramento e amore:
- Condizione di non innamoramento: la nostra mente è come un palcoscenico abitato da
tanti fuochi di interesse (studio, amicizie, hobby) e la nostra mente può dare una centralità
a uno di questi ma poi sostituisce costantemente e viaggia tra una molteplicità di centri di
interesse, anche se naturalmente si può stabilire una gerarchia, ma questa è mutevole, non
da sempre la priorità ad un elemento.
- Condizione di innamoramento: il palcoscenico della nostra mente risulta abitato da un
unico fuoco di interesse che attrae tutta la nostra attenzione, quindi la nostra attenzione
risulta paralizzata nella misura in cui si fissa su un unico oggetto che giunge ad occupare
tutto l’ambito della nostra mente acquisendo delle proporzioni abnormi, mentre tutti gli
altri fuochi di interesse risultano relegati ai margini della nostra mente e quasi inesistenti.
Questo stato di attenzione anomalo caratterizza l’innamoramento che è a tutti gli effetti
una sorta di mania. La persona amata che occupa tutto il nostro campo mentale diventa
una presenza permanente e costante.
Lo stato di innamoramento, quindi, non corrisponde ad un arricchimento della nostra vita
mentale, ma assolutamente il contrario: vi è una progressiva eliminazione di ciò che prima ci
interessava, la coscienza si riduce fino a contenere un solo oggetto. L’attenzione si paralizza
su una cosa sola, si produce una vera e propria paralisi dell’attenzione, una vera e propria
riduzione del nostro abituale mondo mentale, cadiamo in una sorta di recinto ermetico senza
più nessuna porosità, permeabilità nei confronti del resto. Dunque, secondo Ortega lo stato di
innamoramento è una specie di imbecillità transitoria proprio perché ci paralizziamo su un
unico oggetto.
- Transitoria perché se l’innamoramento sfocia in amore (stato diverso
dall’innamoramento) ecco che si ristabilisce la gerarchia mentale. Nell’amore, modo più
maturo di relazionarsi all’altro, ecco che possiamo far convivere l’oggetto del nostro
amore con altri focus attenzionali.
Come ci si difende da questo esclusivismo dell’attenzione che è lo stato di innamoramento?
Riallargando il campo della nostra attenzione sottraendo all’amato il suo esclusivismo. Per
esempio, il viaggio è una buona soluzione secondo Ortega: il viaggio ci sana dai nostri
automatismi percettivi perché ci pone di fronte ad una realtà altra che riaprono i pori della
nostra attenzione e poi perché il viaggio stabilisce una lontananza dall’oggetto amato e quindi
lo dealimenta dal punto di vista attenzionale.
Ortega stabilisce un parallelo tra l’innamorato e il mistico: ricordiamo San Juan de la Cruz
che vive la sua unione con Dio come se fosse un vero e proprio rapporto d’amore e che per
definire l’unione mistica con Dio utilizza il linguaggio dell’innamorato, così come
l’innamorato usa il linguaggio del mistico. Questo proprio perché in entrambe le situazioni il
mistico per fondersi con Dio deve eliminare da sé ogni altra passione, deve dare questo
spazio enorme dal punto di vista attenzionale ad un unico oggetto, la visione di Dio. Il
parallelismo sta proprio in questo regime attenzionale anomale che caratterizza entrambe le
figure.

All’interno del romanticismo spagnolo le opere che accolgono questa concezione dell’amore
sono principalmente opere teatrali più che romanzi. Le opere teatrali si caratterizzano proprio
per i tormenti nati da un amore condiviso (tra i due amanti) ma a tal punto contrariato dalle
convenzioni sociali da essere spesso associato al suicidio per trovare una via di fuga da
questo sentimento. Le barriere possono essere di carattere politico, morale, religioso… e
comunque fanno si che sempre in queste opere si metta in scena lo scontro tra libertà
individuale del personaggio che ambisce ad amare come vuole chi vuole e invece si trova a
fare i conti con le convenzioni sociali trovando una via di fuga nella morte.
L’altro macrotema, oltre ad essere la società che ostacola, è il destino visto come una forza
incontrollabile nei cofronti della quale l’individuo non ha nessun potere. Il destino avverso
ende vana la volontà del personaggio e la sua capacità di autodeterminazione, quindi il tema
tipicamente romantico della fatalità che genera nel protagonista, destinato a soccombergli, la
follia (topos teatro romantico spagnolo).
Visione esistenziale pessimistica, viene meno la fiducia nei confronti di un ordine
provvidenziale dell’universo: il protagonista si scontra non solo contro l’ingiustizia sociale,
ma anche con l’ingiustizia cosmica.
Spesso ci sono degli elementi che possiamo definire dei topoi che generano un manierismo
molto forte, sul perché viene ostacolata la relazione tra i due protagonisti: spesso l’elemento
maschile è un personaggio dotato di un’origine misteriosa (gitano, bandito, fuorilegge) quindi
non è ammessa la relazione con la figura femminile aristocratica. Salvo scoprire l’identità del
protagonista maschile con origini aristocratiche, magari abbandonato e allevato da una
comunità gitana.

Titoli del teatro romantico spagnolo:


1. Don Alvaro o la Fuerza del Sino, Duque de Rivas 1835: già dal titolo capiamo che si
tratta di Don Alvaro che si scontra contro la forza del destino. Il tema principale è la
forza del destino di fronte alla quale Don Alvaro non ha altra affermazione di libertà
individuale che il suicidio.
TRAMA: Don Alvaro è un uomo di origini incerte che si innamora di Leonor (figlia del
Marques de Calatrava). Il marchese si oppone alla relazione tra i due proprio per le origini
misteriose di Don Alvaro. I due giovani, spinti dalla passione, decidono di fuggire ma
vengono sorpresi dallo stesso marchese, quindi avviene uno scontro, la pistola di Don Alvaro
spara accidentalmente un colpo uccidendo il marchese. Disperato decide di arruolarsi nel
tentativo di dimenticare la donna e di allontanarsi dalla tragedia che incombe mentre Leonor
si rifugia in un convento. In Italia sul campo di battaglia, Don Alvaro salva Don Carlos, che
poi si viene a scoprire essere il fratello di Leonor. Sembrerebbe una compensazione al fatto di
aver ucciso il padre, invece quando Don Carlos scopre la sua identità lo sfida a duello per
vendicare la morte del padre ma in questo duello è Don Alvaro ad uscire vincitore.
Don Alvaro decide a sua volta di rinchiudersi in un convento per sfuggire al destino tragico
dal quale si sente perseguitato, ma li lo raggiunge Don Alfonso, altro fratello di Leonor che lo
sta cercando per vendicare padre e fratello morti. Ancora una volta il destino fa si che sia
Alvaro ad avere la meglio, per salvare la propria pelle si rende omicida di una terza persona.
In realtà Don Alfonso viene ferito a morte, per cui invoca un prete che gli dia l’estrema
unzione e poiché vicino al convento vive un eremita lo chiamano per l’estrema unzione, e ad
apparire è Leonor. Il fratello Alfonso pensando che i due amanti siano complici (strano che
abbiano coinciso nello stesso convento) la ammazza con una pugnalata. A questo punto Don
Alvaro si butta dal precipizio e muore suicida. Vediamo che la dimensione tragica è assoluta
e qui abbiamo entrambe le componenti: ostacolo dovuto alle condizioni sociali ma anche un
destino avverso che crea una rete di coincidenze tali per cui poi alla fine Don Alvaro si sente
responsabile per la morte di tutti.
2. El Trobador, Garcia Gutierrez 1836. Trama identica dove il protagonista è un
semplice trovatore che si innamora di Leonor, dama della nobilità. Anche qui la
famiglia si mette di metto
3. Los Amantes de Teruel, Hartsenbusch stessa storia con qalche variante

GUSTAVO ADOLFO BEQUER


Spagnolo di origini tedesche, più grande poeta romantico spagnolo. Il capolavoro di Bequer
sono le rime composte negli anni 60 dell’800, quindi il romanticismo sta già calando come
corrente filosofico-letterario, sta già trionfando la nuova letteratura e la nuova estetica del
realismo e del naturalismo quando si afferma la poesia romantica di Bequer, che quindi può
essere considerato un post-romantico. Eppure è la massima espressione del romanticismo
spagnolo, espressione massima ma tardiva. Bequer apporta alla tradizione del romanticismo
spagnolo varie novità dovute all’influenza che risente dalla letteratura tedesca dalla quale
attinge almeno due novità:
1. Tono intensamente soggettivo e intimista della poesia che diventa poesia puramente
lirica e non più narrativa (come era stata per la maggior parte del romanticismo
spagnolo). In effetti, in Bequer predomina l’immagine del poeta tutto assorto sulla sua
voce interiore, proteso ad ascoltare il suo mondo soggettivo ed è proprio nell’io
intimo dove risiede il maggiore talento poetico di Bequer.
2. Popolarismo: cioè l’ispirazione popolare nel poeta colto, l’attenzione, il nutrirsi della
poesia popolare che ha delle importanti conseguenze soprattutto sul piano stilistico
perchè tipica dei poeti romantici tedeschi (Goethe, Schiller, Heine) stabiliscono una
distinzione tra una poesia di scuola, accademica che definivano artificiosa, retorica,
ridondante e la poesia popolare che ritenevano spontanea, nuda di ogni artificio,
breve, sintetica, immediata, semplice.
Questa distinzione tra la poesia colta concepita in questo modo e popolare spontanea e
immediata è la stessa distinzione che eredita Bequer, optando per la seconda dalla quale
desume il suo proprio stile immediato, antiretorico, breve, che deve colpire come una scintilla
elettrica senza tanti giri di parole, ma arrivare attraverso una straordinaria economia di mezzi
espressivi direttamente all’emotività del lettore. Risente della poesia popolare soprattutto dal
punto di vista stilistico, quindi orientare l’espressione poetica nella direzione della semplicità,
della brevitas, della sintesi in contrapposizione allo sviluppo verboso, retorico, altisonante
della poesia accademica.
È grazie a questi due elementi, cioè all’interiorità e alla brevitas che Bequer può essere
considerato come l’inizio della poesia contemporanea. I poeti della generazione del ’27
vedono in Bequer un maestro, è da lui che ha inizio questo rinnovamento estetico verso
l’immediatezza, la brevitas che poi erediteranno i poeti del ’27, possiamo proprio dire che è
l’iniziatore della contemporaneità poetica. Nonostante il fatto di inclinarsi verso una poesia
immediata, che abbia un’immediatezza comunicativa, Bequer è ben lontano da essere un
poeta spontaneo: ottiene la semplicità come risultato di un lungo laborio. Nei suoi testi teorici
sulla poesia, dice che la poesia non la concepisce come uno sfogo emotivo che scaturisce
immediatamente dall’esperienza emotiva, viceversa necessita di elaborazione, di
stilizzazione. Quindi, l’esperienza emotiva produce un sentimento che poi va sottoposto, dal
punto di vista letterario, a un processo di elaborazione. TEORIA DELLA CREAZIONE
POETICA: quando sono nel pieno della tempesta emozionale non è quello il momento in cui
scrivo, conservo quelle impressioni che scaturiscono dall’esperienza emozionale nella mente
(sede della riflessione, non dell’emozione). Quando sono tranquillo, allora richiamo alla
memoria quelle impressioni che ho tenuto custodite nella mia mente ed è allora che torno a
provare quei sentimenti ma in una maniera che si può definire artificiale. Effettivamente è più
bello pensare al poeta come un genio che trasuda ispirazione e che scrive sotto l’urto
dell’esperienza emotiva, ma il poeta per poter scrivere deve raffreddare i sentimenti e
sottoporli a un processo di stilizzazione.
Bequer si sta dichiarando come un poeta riflessivo, non il genio che scrive sotto l’urto
dell’ispirazione ma una mente che riflette, che corregge i suoi versi e questo ce lo dimostra
anche l’architettura perfettamente congegnata delle sue poesie che si basano tutte su
corrispondenze matematiche, parallelismi, contrasti, insomma su un’architettura complessa
che ci dimostra che non è un poeta irriflessivo. È un poeta semplice ma non spontaneo e a
proposito delle sue poesie è stata coniata la definizione di “dificil sencillez”: semplicità frutto
di un gran laborio molto complesso e non di un’assoluta spontaneità.

Uno dei macrotemi delle rime di Bequer è l’amore, che viene declinato prevalentemente in
tre modi:
1. Amore affermativo e speranzoso
2. Rottura, quindi la perdita dell’amore
3. Disinganno, quindi solitudine, angoscia e morte. L’amore non è stato praticato e poi
perso ma non è proprio praticabile, quindi disinganno nei confronti della possibilità
dell’esperienza amorosa
La chiave di tutte le rime, anche se declinate in questi tre modi, è il soggettivismo, e in effetti
tutte le rime sono scritte dall’io del poeta tranne un paio in terza persona. Spesso hanno una
connotazione autobiografica, non è un io fittizio ma l’io stesso del poeta.
Partendo da questo io onnipresente, il poeta si dirige costantemente a un “tu” per lo più
assente dal contesto spaziale, come se si trattasse di un messaggio mandato a un “tu” lontano,
quindi ciò implica la mancanza di una risposta quindi sostanzialmente l’assenza di dialogo

Primo modo, quello dell’amore speranzoso e affermativo, cioè è possibile amare: RIMA
XXIV
La concezione dell’amore aspira a risolvere la dualità nell’unità, infatti abbiamo una serie di
immagini che ci inducono a percepire l’amore come una intima e inestricabile fusione di due
elementi, di due anime. Quindi l’essere che ama a partire dalla propria individualità aspira a
superarla per fondersi con l’altro essere

Dos rojas lenguas de fuego 


que a un mismo tronco enlazadas 
se aproximan y, al besarse, 
forman una sola llama.
.
Dos notas que del laúd 
a un tiempo la mano arranca, 
y en el espacio se encuentran 
y armoniosas se abrazan.
.
Dos olas que vienen juntas 
a morir sobre una playa 
y que al romper se coronan 
con un penacho de plata.
.
Dos jirones de vapor 
que del lago se levantan 
y, al juntarse allá en el cielo, 
forman una nube blanca.
.
Dos ideas que al par brotan; 
dos besos que a un tiempo estallan, 
dos ecos que se confunden; 
eso son nuestras dos almas.

Sono tutte immagini di due elementi, di dualità che si fondono in unità. La costruzione è
molto sapiente perché abbiamo due serie di immagini parallelistiche: le prime quattro
immagini sono ripartite in quattro strofe. Nell’ultima abbiamo altre tre immagini ma tutte
concentrate nell’ultima strofa, una in ogni verso (seconda serie). Sono immagini
parallelistiche perché tutte illustrano una fusione di due elementi. Il fatto di concentrare le
ultime tre immagini in una sola strofa (dedicando un solo verso ad ognuna di queste
immagini) genera un’accelerazione del ritmo, quindi si crea movimento ascensionale.
Notiamo anche che il denominatore comune di tutte queste immagini è il movimento che ci fa
passare da forme concrete della materia (il tronco, il liuto, la spiaggia e il lago) a elementi
immateriali (fiamma, suono, ondo, nube). È un movimento dinamico dalla materia
all’immateria, quindi sembrerebbe che l’espressione ideale dell’unione amorosa appaia in
concidenza con un processo di allontanamento dalla materia e di spiritualizzazione
progressiva. Sembra che ci voglia dire che l’amore appare quando ci allontaniamo dalla
corporeità, che è in sé limitazione, e la fusione si ottiene solo quando ci spogliamo dalla
contingenza materiale delle cose. Cioè l’amore è qualcosa di spirituale, necessita di un
processo di spiritualizzazione progressiva e in effetti la fusione è possibile ma su un piano più
immateriale, quando ci spogliamo dalla materia e l’amore è reso puro sentimento.
Sembrerebbe che il messaggio indiretto sia che attraverso questo passaggio dalla materia
all’antimateria è possibile l’esperienza fusiva.

Seconda modalità con la quale Bequer coniuga il tema dell’amore, cioè la rottura, l’amore
sperimentato e perso: è forse la modalità più frequente che illustra come il tu e l’io diventano
anziché elementi fusivi, entità antagoniche costantemente implicate in uno scontro. Per cui
quel dualismo iniziale non è risolvibile in unità, anzi si manifesta come separazione e
addirittura antagonismo, impossibilità di comunicazione.

RIMA XLI
Tú eras el huracán, y yo la alta 
torre que desafía su poder. 
¡Tenías que estrellarte o que abatirme...! 
¡No pudo ser! 

Tú eras el océano; y yo la enhiesta 


roca que firme aguarda su vaivén. 
¡Tenías que romperte o que arrancarme...! 
¡No pudo ser! 

Hermosa tú, yo altivo; acostumbrados 


uno a arrollar, el otro a no ceder; 
la senda estrecha, inevitable el choque... 
¡No pudo ser!

Anche qui vediamo che l’architettura poetica è fortemente parallelistica, le tre strofe sono
costruite nello stesso modo e tutte costruite sullo scontro tra i due soggetti (io e tu).
Abbiamo tutti dualismi e a questa lotta del tu e dell’io si offrono sei possibilità di risoluzione,
due in ogni strofa, ma in tutti i casi terminano con “no pudo ser”, quindi questo evidenzia una
radicale impossibilità di fusione quando gli opposti non sono complementari ma
incompatibili. Importante è notare il parallelismo che non solo riguarda le strofe costruite
tutte sullo stesso dualismo ma è anche un parallelismo sintattico (i versi sono costruiti nello
stesso modo), tanto è vero che le tre strofe parallelistiche sono fortemente anaforiche, con
variante nella terza, mentre “no pudo ser” è un’epifora comune a tutte le strofe. Questa
struttura è tipica della poesia di Bequer, cioè costruire le strofe nello stesso modo, con la
stessa struttura sintattica, renderle quindi parallelistiche e anaforiche e con una variante di
questa simmetria perfetta nell’ultima strofa.
È interessante dire che questo scontro caratteriale tra i due soggetti poetici (diversi
incompatibili e non complementari, uno forza attiva e l’altro forza passiva) si comunica
attraverso sensazioni situate nel passato, ciò vuol dire che il presente è caratterizzato da
questa impossibilità che si è già consumata nel passato, ormai si da per certa
l’incomunicabilità attuale.
Sempre nel trattamento del tema della rottura, dell’impossibilità d’amare ci sono due
modulazioni:
- Una più enfatica, passionale e violenta come in questo caso
- L’altra più sentimentale, nostalgica, meno irruente

Vediamo quindi questa seconda modalità:


RIMA LIII
Volverán las oscuras golondrinas
en tu balcón sus nidos a colgar,
y otra vez con el ala a sus cristales
jugando llamarán.

Pero aquellas que el vuelo refrenaban


tu hermosura y mi dicha a contemplar,
aquellas que aprendieron nuestros nombres...
ésas... ¡no volverán!

Volverán las tupidas madreselvas


de tu jardín las tapias a escalar,
y otra vez a la tarde aún más hermosas
sus flores se abrirán.

Pero aquellas cuajadas de rocío


cuyas gotas mirábamos temblar
y caer como lágrimas del día...
ésas... ¡no volverán!

Volverán del amor en tus oídos


las palabras ardientes a sonar;
tu corazón de su profundo sueño
tal vez despertará.

Pero mudo y absorto y de rodillas,


como se adora a Dios ante su altar,
como yo te he querido..., desengáñate,
nadie así te amará.
Abbiamo sei strofe divise in tre coppie parallelistiche: la prima coppia è fatta dalla prima e
dalla seconda strofa, la seconda terza e quarta strofa e la terza coppia dalla quinta e sesta
strofa.
Nelle prime due coppie appaiono due motivi diversi cioè le rondini e la madreselva, che però
sono variazioni di uno stesso motivo basico cioè: la contrapposizione tra i fenomeni naturali
che si ripetono (la natura ogni anno in primavera rinasce, quindi tutti i fenomeni in natura
sono ciclici e ripetibili) e invece l’irripetibilità del sentimento umano una volta perduto.
Quindi, le golondrinas vanno e vengono, i fiori fioriscono e rifioriscono, nel mezzo di questa
natura sempre rinascente tanto più crudele è il dolore del sentimento umano perché una volta
morto non potrà rinascere. Infatti le rondini e i fiori che non torneranno sono quelli che sono
stati testimoni del loro amore, che hanno partecipato di quell’amore. Si tratta di un
procedimento letterario molto antico, cioè la comparazione tra i sentimenti umani e i
fenomeni della natura che però in questo caso è una comparazione antitetica: i sentimenti
umani sono diversi da quanto avviene nella natura perché la natura si ripete mentre l’amore
una volta perso non rinasce più. È una comparazione non per via dell’analogia ma
dell’antitesi.
Notiamo la ripetizione anaforica “volverán”, “otra vez”, “pero”, la ripetizione epiforica del
“no volverán”. Tutte queste ripetizioni marcano il parallelismo, le tre strofe hanno tante
anafore, solo nella terza coppia di strofe vi è una variazione: nella terza coppia sparisce il
motivo della natura e l’antitesi si realizza tutta sull’unico piano dei sentimenti umani. Il cuore
della donna amata tornerà ad amare, potrà riamare ma nessuno la amerà come il soggetto
poetico quindi in questo caso la contrapposizione avviene sul piano dei sentimenti umani.
Tutta la poesia è strutturata su questa simmetria, tre coppie di strofe e almeno le prime due
coppie sono fortemente anaforiche e parallelistiche e questo risulta solo appena variato nella
terza coppia. Abbiamo quindi una struttura molto simmetrica e questo ordine, questa
simmetria genera il fatto che l’espressione del sentimento viene canalizzata all’interno di una
struttura espressiva fortemente ordinata, non c’è impeto, è come se la struttura perfettamente
ordinata contribuisse a disciplinare lo strappo emotivo. Qui c’è solo un elemento che esprime
un impeto, tutto è giocato sui temi della malinconia e dell’ordine espressivo, e questo
elemento che genera uno strappo è l’imperativo nell’ultima strofa: ha tutto il tono di un grido
disperato che rappresenta una rottura del tono ordinato che ha prevalso fino a quel momento e
notiamo che oltre ad essere un imperativo e a veicolare il senso del disinganno è anche
l’unica parola di fine verso sdrucciola. Tutti gli altri versi terminano con parole piane, quindi
c’è un’interruzione anche del ritmo metrico. Vediamo come il cambio di tono risulta segnato
dalla metrica, cosa assolutamente non casuale.
Sebbene il lessico sia semplice, l’unico livello di difficoltà è l’iperbaton su cui si costruiscono
le strofe.

RIMA XLIII
Dejé la luz a un lado, y en el borde
de la revuelta cama me senté,
mudo, sombrío, la pupila inmóvil
clavada en la pared.

¿Qué tiempo estuve así? No sé; al dejarme


la embriaguez horrible de dolor,
expiraba la luz y en mis balcones
reía el sol.

Ni sé tampoco en tan terribles horas


en qué pensaba o qué pasó por mí;
sólo recuerdo que lloré y maldije
y que en aquella noche envejecí.

Rima rabbiosa. In questa poesia non vi è nessun elemento narrativo che spieghi il perché del
doloroso stato d’animo del soggetto poetico. Tutto il testo si concentra sulla descrizione
dettagliata della fenomenologia del dolore (cioè l’insonnia, lo sguardo fisso, l’ubriachezza
semi-incosciente, l’essere una mutezza rumorosa), degli effetti, e della durata di questo
dolore, cioè dura una notte fino al sorgere del sole. in più notiamo il contrasto tra la ridente
luce del sole e invece lo stato d’animo del soggetto poetico. È come se la luce del sole fosse
crudelmente indifferente con il suo atteggiamento allegro nei confronti dello stato d’animo
del soggetto poetico. Addirittura un uomo che maledice la sua amata (differenza radicale con
l’amante cortese), si ribella al suo stato di sofferenza e maledice un amore che lo ha
abbandonato e nel tentativo di strapparsi il ferro della ferita maledice chi ne è stato
responsabile. Pensiamo poi a quanto intimismo, che ci fa penetrare con lo sguardo fino al
letto disfatto: il poeta ci accompagna a osservare il letto disfatto dove passa la notte in questo
stato di ubriachezza e il letto disfatto è in realtà la figura visibile del contorcimento
sentimentale del soggetto poetico. Maledizioni tutte introiettate perché è muto, ma è una
mutezza rumorosa, di maledizione.
Poi la famosa morte invocata dall’amante cortese per fuggire e trovare una via di fuga dalla
sofferenza qui è rimpiazzata da una sua versione attenuata, la premorte della vecchiaia: non
muore ma invecchia, e non è una morte potenziale (no te tardes que me muero) o una morte
prevista, ma un invecchiamento già compiuto (envejecí). L’invecchiamento è una versione
molto meno solenne della morte, qui si tratta di una morte in vita che trova la sua
corrispondenza visiva in quel letto sfatto come è lo stato d’animo del protagonista.
A questo disordine sentimentale e ambientale corrisponde anche un disordine metrico:
abbiamo un rivestimento metrico molto accidentato perché tutta la poesia è encabalgada (lo
rende accidentata) e poi abbiamo la prevalenza di rime acute e in questo caso con una
chiarissima funzione espressiva. L’assonanza acuta è più forte, più scandita quindi più
efficacemente esprime l’intensità delle emozioni mentre la rima piana è più morbida, dolce,
lieve.
Quindi, molto sapientemente Bequer cerca delle corrispondenze: al disordine emotivo
corrisponde il disordine visivo e il disordine metrico e questa è una poesia molto meno
ordinata e simmetrica delle altre e molto più forte dal punto di vista espressivo. Qui il
soggetto poetico maledice e non cerca nella nostalgia un riposo, ma lancia un grido di dolore.
5.05
LA POESIA D’AMORE DI FEDERICO GARCÍA LORCA:
Poeta più importante nell’avanguardia spagnola, soprattutto per quanto riguarda il
surrealismo cioè l’avanguardia che ha avuto maggior peso in Spagna.
Prendiamo in esame due romances provenienti dal Romancero Gitano. Il romance nasce in
epoca medioevale in ambito popolare e poi assorto alla produzione colta grazie al fatto che
alcuni poeti colti si innamorano di questa forma poetica appropriandosene e scrivendo dei
romances di autore oltre che raccolte di romances (i romanceros). Questa distinzione tra colto
e popolare, anonimo e autoriale è stata definita dalla critica come romancero viejo (popolare,
anonimo, orale) e romancero nuevo (autoriale e di tradizione scritta). Abbiamo visto Juan De
Lencina che si è avvalso di questa forma poetica per scrivere poesie di taglio tutt’altro che
popolare.
Si tratta di una forma poetica lirico-narrativa, cioè poesie volte a narrare una storia più che a
dare spazio alle effusioni sentimentali del soggetto poetico. Mano mano, con l’avanzare del
tempo e soprattutto con l’adozione colta della forma del romance è stato impresso un’indole
anche lirica, per questo oggi parliamo di carattere lirico-narrativo. Si tratta di tirate di
ottosillabi, quindi prive di suddivisione strofica con rima assonante nei versi pari. Se questa
rima era in origine sempre assonante, man mano sempre in virtù dell’adozione colta, è stata
sostituita da una rima consonante.

Lorca è uno dei tanti poeti colti che si avvale di questa forma poetica, al punto tale di scrivere
un suo Romancero. La sua novità non è certamente nella forma poetica, ma è proprio nel
tema: Lorca lo definisce “gitano”. Sappiamo quanto Lorca fosse amante della cultura gitano-
andalusa, ha lungamente studiato questa tradizione e gli ha dedicato tanti omaggi poetici e
non solo. Al cante jondo Lorca ha dedicato anche una conferenza in cui illustra il percorso
storico compiuto da questa tradizione poetico-musicale e ha promosso delle attività culturali
insieme a Manuel De Falla proprio al cante jondo. Per esempio, promosse a Granada un
concorso per cantaores per rilanciare questa tradizione popolare che rischiava l’estinzione.
Nessuno fino a quel momento aveva scritto dei romances i cui protagonisti fossero i gitani.
L’altra novità apportata da Lorca è quella del tipo di linguaggio poetico, cioè un linguaggio
poetico surrealista: poesia basata sulla scrittura automatica, sulle libere associazioni, che
propende verso una scrittura che rompe ogni nesso logico proprio per privilegiare le libere
associazioni come avverrebbe nel sogno. Dal punto di vista poetico questa scrittura che mette
in realzione realtà logicamente incompatibili si ottiene attraverso la metafora visionaria.
Questa metafora si differenzia da quella tradizionale che Quintiliano definiva similitudine
abbreviata perché questo rapporto di similitudine tra le due realtà messe in relazione viene
meno.

La Casada Infiel
Y que yo me la llevé al río 
creyendo que era mozuela, 
pero tenía marido. 
Fue la noche de Santiago 
y casi por compromiso. 
Se apagaron los faroles 
y se encendieron los grillos. 
En las últimas esquinas 
toqué sus pechos dormidos, 
y se me abrieron de pronto 
como ramos de jacintos. 
El almidón de su enagua 
me sonaba en el oído, 
como una pieza de seda 
rasgada por diez cuchillos. => le sue dita
Sin luz de plata en sus copas 
los árboles han crecido, => alberi così fitti che non entra luce
y un horizonte de perros 
ladra muy lejos del río. => allontanamento dal paese 
Pasadas las zarzamoras, 
los juncos y los espinos, 
bajo su mata de pelo  => ci confermano che siamo in prossimità dell’acqua
hice un hoyo sobre el limo. 
Yo me quité la corbata. 
Ella se quitó el vestido. 
Yo el cinturón con revólver. 
Ella sus cuatro corpiños. 
Ni nardos ni caracolas 
tienen el cutis tan fino, 
ni los cristales con luna 
relumbran con ese brillo. 
Sus muslos se me escapaban 
como peces sorprendidos, 
la mitad llenos de lumbre, 
la mitad llenos de frío. 
Aquella noche corrí 
el mejor de los caminos, 
montado en potra de nácar 
sin bridas y sin estribos. 
No quiero decir, por hombre, 
las cosas que ella me dijo. 
La luz del entendimiento 
me hace ser muy comedido. 
Sucia de besos y arena 
yo me la llevé del río. 
Con el aire se batían 
las espadas de los lirios. 
Me porté como quien soy. 
Como un gitano legítimo. 
Le regalé un costurero 
grande de raso pajizo, 
y no quise enamorarme 
porque teniendo marido 
me dijo que era mozuela 
cuando la llevaba al río.

Si tratta di un romance erotico il cui tema è l’adulterio e il desiderio sessuale. Proprio per il
tema facile, questo romance è divenuto il più famoso di Lorca e ottenne una straordinaria
popolarità. Ogni volta che Lorca si esibiva nei suoi recital poetici nelle tertulias o nei teatri
gli veniva richiesta la recitazione di questo romance proprio per il suo facile tema erotico e
per questo motivo Lorca non amava questo testo.
È di tema erotico, basato sull’adulterio e soprattutto declinato attraverso la categoria della
mal casada, ossia una donna insoddisfatta che subisce una frustrazione in questo caso erotica,
ed è una delle forme della canción de mujer della poesia d’amore popolare.
Lorca con questo romance entra nel solco di questa lunga tradizione, però è una lunga
tradizione in genere farsesca ed è un tema molto ricorrente anche a livello colto, ma
dobbiamo vedere in questa tradizione così ampia diffusa in tutta Europa quali sono le più
specifiche fonti lorquiane: la fonte principale non è la letteratura colta spagnola tanto meno
quella italiana (malcasada in Boccaccio), ma la fonte di questo romance è una copla popolare
che circolava nella dimensione poetica-popolare che dice “y yo me la llevé al rio creyendo
que era mozuela, pero tenía marido”. È proprio l’incipit del romance lorquiano, Lorca
riprende in senso letterale questa copla e poi la commenta, la glossa, cioè le conferisce uno
sviluppo narrativo. Questa strofetta si caratterizza come l’ipotesto del romance lorquiano
(siamo nell’ambito della ipertestualità).*
*intertestualità-ipertestualità: in entrambi i casi abbiamo una relazione tra un testo precedente
e un testo successivo. Nel caso della intertesualità questa relazione si limita a manifestarsi
nella forma della citazione o dell’allusione, si tratta di due testi autonomi e uno cita l’altro per
chiarezza, per dare autorità eccetera. Nel caso della ipertestualità la relazione tra i due testi
non è quella di una autonomia genetica e solo un ponte citazionale, ma la relazione è genetica
nel senso che il testo B deriva dal testo A nella forma della riscrittura. La riscrittura comporta
anche dei margini di emancipazione, nel senso che il testo B non deve essere una copia del
testo A, e tuttavia esiste una relazione genetica. Inoltre, i due testi vengono chiamati da
Jenette ipotesto (testo A), ipertesto (testo B)
In questo caso siamo nell’ambito della ipertestualità perché il romance di Lorca è a tutti gli
effetti una riscrittura della strofetta popolare. La strofetta popolare è l’ipotesto del romance
lorquiano che di quella strofetta è l’ipertesto.

Il primo dato interessante è proprio l’incipit “y que yo me la llevé al rio”: y di congiunzione


all’inizio di un discorso innanzitutto è grammaticalmente scorretta, inoltre altera la misura
ottosillabica del verso. Lorca ha capito ovviamente entrambe le irregolarità, quindi quella “y”
svolge una funzione alla quale il poeta non vuole rinunciare. Se la y alla fine di un poema
avrebbe avuto un valore conclusivo, qui situata al principio ha una funzione che possiamo
dire continuativa. È come se la narrazione non partisse da zero, dando l’illusione che l’incipit
sia la continuazione di una prenarrazione virtuale. È come se Lorca si fosse immaginato un
cantore orale che sta raccontando la storia e noi siamo arrivati a storia già cominciata che noi
non abbiamo udito. Vediamo come la dimensione dell’oralità è molto presente in Lorca.
Dopodichè, abbiamo subito una notazione temporale, cioè “la noche de Santiago”. Questa
coordinata ha un valore referenziale in accordo a quello che potremmo definire il pensiero
situazionale di Lorca: a Lorca piace sempre mettere in situazione un evento narrato e per
farlo bisogna innanzitutto fornire a questo evento delle coordinate spazio-temporali. Tra
l’altro, questa notazione temporale ci colloca in una cornice temporale molto concreta, cioè il
25 luglio, sappiamo che siamo in estate, periodo dell’anno molto favorevole agli incontri
notturni. Oltretutto, questo incontro notturno avviene in occasione di una festa calendariale
importante e questo vuol dire che ci troviamo in un momento calendariale legato a una festa
la quale rappresenta la sospensione delle regole e delle proibizioni (alla festa possiamo bere,
ballare). Ma il valore simbolico della noche di Santiago è proprio legato alla figura di questo
santo: Santiago è una di quelle personalità leggendarie che difesero la Spagna dall’invasione
musulmana, quindi rimanda alla cavalleria la quale rappresenta quella cultura dell’amor
cortese. Questa cavalleria si manifesta nell’atteggiamento del soggetto maschile, che
accompagna la donna al fiume quasi per obbligo, cioè per non venir meno alla richiesta della
donna. Un uomo che viene sollecitato dalla donna ad essere accompagnato in una avventura
amorosa non si può sottrarre per non mancare di delicatezza e per non venir meno alla propria
virilità. Tuttavia, quel “quasi” ci fa pensare che non fosse disgustato da questa avventura.
Questa notazione temporale ha sia un valore referenziale (collocare l’avventura in un preciso
momento calendariale) ma anche un valore simbolico (festa sospensione delle proibizioni e
simbolismo legato alla cavalleria).
Abbiamo subito un’altra notazione importante: si spensero i fanali e si accesero i grilli.
Alludono al fatto che questa coppia si sta allontanando dal paese e si sta nascondendo nella
natura per conquistare un’intimità lontano dallo sguardo delle persone. Vediamo come è
efficace una sinestesia visuale-uditiva, cioè qualcosa che si offre alla percezione uditiva (il
suono dei grilli) viene rappresentato in modo visivo, perché quel suono non aumenta ma si
accende, verbo che rimanda al campo sensoriale della vista per alludere però al suono dei
grilli. Lorca era un maestro nella metafora sinestetica, amava molto sollecitare tutti i sensi del
lettore quindi cerca sempre questo tipo di metafora perché è quella che mette in relazione i
diversi campi sensoriali.

Una volta giunti vicino al fiume l’uomo tocca il seno della donna. A partire da questo
momento il protagonista non ode altro che ciò che si è convertito nel punto nodale della sua
attenzione, cioè il muoversi del corpo della donna, il rumore prodotto dalle sue gambe nel
camminare e ode soprattutto quel desiderio furioso che fa si che con le sue mani strappino la
gonna.

Orizonte de perros …: immagine in termine uditivi, suono che si fa sempre più debole tanto
più ci si allontana dal paese. A queste immagini in termini di suono si contrappone la
precedente in termini di luce (fitta boscaglia). Quindi Lorca è davvero un poeta sensualista
nel senso che stimola costantemente la percezione sensoriale del suo lettore attraverso delle
immagini che suggeriscono o suggestioni visive (luce luna) o in termini di suono (verso dei
cani).

I due sono giunti al fiume, topos, luogo canonico della tradizione letteraria non solo popolare
anche perché il fiume è acqua e l’acqua ha un valore simbolico di fertilità quindi è uno dei
luoghi più privilegiati nella rappresentazione letterario per gli incontri amorosi insieme al
giardino.

I quattro versi che seguono hanno una struttura sintattica fortemente parallelistica. Ognuno di
questi versi include un’azione completa e notiamo che sono versi che si susseguono senza
congiunzioni né particelle di connessione. Inoltre, abbiamo la soppressione del verbo negli
ultimi due versi. Questa costruzione così fatta ha una precisa funzione espressiva: si produce
un effetto di azione accelerata che, proprio perché non ci sono i verbi né particelle di
congiunzione, ci permette di leggere molto velocemente questo passaggio. Questo effetto di
azione accelerata evidentemente indica il desiderio irrefrenabile dei due che ormai fuggiti dal
paese e giunti in un luogo appartato e intimo danno libero sfogo alle loro pulsioni.
È una tecnica molto tipica del romance, Lorca infatti essendo un assiduo lettore avrà
interiorizzato il modo di scrittura di questi romances riproponendolo anche in maniera
involontaria.

Esempio:
ella quita su salla
yo mi pantalón
ella quita su camisa
y yo mi camisón

Se abbiamo detto che questo romance è un ipertesto di quella strofetta incorporata


nell’incipit, una riscrittura per estensione, possiamo dire che all’interno di questo ipertesto
esistono elementi di intertestualità perché all’interno di questa riscrittura Lorca cita altre
fonti. Quindi entrambi i livelli della ipertestualità e della intertestualità sono presenti, è un
ipertesto che cita altre fonti rispetto al suo ipotesto.

Sempre all’interno di questo passaggio, vediamo che si parla di revolver: il gitano non usa il
revolver, eventualmente per la sua giustizia privata usa la navaja. Quindi è curioso che Lorca,
grande conoscitore della cultura andalusa, attribuisca al gitano un elemento che non fa parte
della sua tradizione. Forse qui possiamo vedere un tratto derisorio di questo protagonista
maschile e del suo maschilismo (casi por compromiso) e forse attraverso questo tratto
anomalo rispetto all’immaginario gitano, voglia Lorca prendere in giro al protagonista.
Abbiamo ben quattro corpetti che si interpongono tra il corpo della donna e lo sguardo
dell’uomo, questo suggerisce l’avidità impaziente degli occhi del protagonista maschile che
aspettano strato dopo strato che si manifesti la bellezza che tanto desidera contemplare. Una
volta che la donna si è denudata avviene la contemplazione: qui abbiamo un’immagine tattile
(tube rose, conchiglie non hanno una pelle così fine) e poi anche un’immagine visiva (cristalli
con la luna non risplendono di tanta luce). La luminosità è una delle caratteristiche più tipiche
della descriptio puellæ in senso tradizionale. Abbiamo visto qual era la concezione
neoplatonica della bellezza femminile, cioè la claritas che si manifestava concretamente nel
candore della pelle, nella biondezza e in generale nella luminosità. Lorca si allinea a questo
topos dell’estetica femminile che è appunto la luce.

Abbiamo quindi un momento contemplativo che viene a frenare la velocità dell’azione


anteriore. Poi, l’azione riprende attraverso una scaramuccia: lui cerca di toccarla e possederla
invece il suo corpo è scivoloso, questo perché gli umori del desiderio fanno si che il suo
corpo fosse scivoloso e le sue cosce erano metà piene di brace (brace del desiderio) e metà
pieni di freddo (umidità notturna del fiume che anche rende scivolose le cosce della donna).

A partire da questo momento la relazione sessuale si descrive mediante una metafora molto
prevedibile, cioè quella del cavaliere che monta una giumeita. La simbologia sessuale del
cavallo viene amplificata dal fatto che questa puledra appare senza staffe e senza briglie e
questo indica proprio l’abdicazione dell’autodominio.
Consideriamo che qui la consegna della donna si manifesta sia mediante l’offerta del proprio
corpo sia mediante le parole, che l’uomo dice che non osa ripetere perché indecenti.
Poi un’evidente metafora fallica sottolinea il racconto di questa storia: finito il loro incontro
amoroso (sporca di baci e sabbia) la riporta al paese, con il vento si battevano le spade dei
gigli.

Finale dove si manifesta chiaramente il carattere ideologico di questo gitano, il quale si


definisce “legittimo”, cioè un gitano autentico: perché ha difeso i valori patriarcali della sua
società rifiutando di innamorarsi di una donna adultera.
Società patriarcale: la discendenza, il sangue, il nome e il patrimonio è di tipo patrilineare,
cioè è il padre che trasmette il cognome e il patrimonio e quindi la linea genealogica è in
linea paterna. Poiché la madre è sempre certa, mentre il padre no, in una cultura patriarcale
per indicare che quella è la sua prole a cui trasmette il suo cognome, sangue ecc c’è bisogno
che la donna sia sempre fedele, sia prematrimoniale sia postmatrimoniale. L’adulterio mette
in dubbio la paternità, per questo in una società patriarcale è considerato uno dei peggiori
delitti.
Quindi, lui da gitano legittimo, dice che la donna l’ha portata al fiume perché come cavaliere
non poteva, anche per dare anche onore alla sua virilità, esimersi da una richiesta sessuale da
parte di una donna. Tuttavia, non si è innamorato proprio perché donna adultera che minaccia
i valori della società patriarcale.
Quindi, non si innamora di lei, ma anzi la paga come una prostituta.

Osserviamo che questo finale rappresenta una ripetizione invertita dell’incipit:

Y que yo me la llevé al río  porque teniendo marido 


creyendo que era mozuela,  me dijo que era mozuela 
pero tenía marido.  cuando la llevaba al río.

La parte finale ripete l’incipit invertendo l’ordine dei versi, creando una cornice: il romance
si apre e si chiude con gli stessi versi sebbene con un ordine invertito.
Questo romance, come quasi tutto il romancero gitano, ha ricevuto una messa in musica da
parte degli artisti del flamenco, era molto amato dalla società gitana.
Romance Sonambulo
Romance tragico perché si mette in scena il suicidio di una donna e la disperazione del suo
amato che non fa in tempo a raggiungerla. Lei attende l’arrivo dell’amato su queste terrazze,
il quale fa una vita clandestina, da fuorilegge, e non la può raggiungere se non tardivamente
quando lei si è già suicidata per la lunga attesa dell’amato che non giunge. Quando lui giunge
ferito la trova già morta.

Il romance sonambulo è una possibile riscrittura della canción de mujer, quindi di un


archetipo della poesia popolare. Innanzitutto ricordiamo i tratti caratteristici della canción de
mujer:
- Focalizzazione narrativa femminile. Il punto di vista è femminile, è una donna che narra.
- Tema dell’incontro amoroso, incontro amoroso possibile sebbene a volte possa essere
disertato dall’amante generando nella donna un sentimento di disperazione e il
presentimento della morte per amore.
Nella tradizione colta la donna è una protagonista in absenzia, inoltre nella tradizione cortese
il desiderio amoroso non è mai soddisfatto, invece nel caso della canción de mujer si salvo
quando questo incontro viene disertato.

Qui abbiamo il tema di un incontro fallito tra la gitana e il suo amato che tarda ad arrivare
perché è un contrabbandiere, arriva ferito dalle montagne di Cabras. Lei che soffre per questo
incontro disertato nel presentimento della morte (il sonnambulismo indica uno stato liminale
tra vita e morte), fino a cadere nello stagno dove morirà affogata.
Abbiamo sempre detto che le riscritture comportano degli elementi di emancipazione dal
modello, e in questo caso l’elemento anomalo rispetto al modello della canción de mujer è
che la donna parla poco, non è lei che narra, non è lei che dice in prima persona i propri
sentimenti, c’è un narratore onniscente esterno, ogni tanto vi è un dialogo tra il suo amato e il
padre della donna. La donna dice solo due battute, ma in realtà la focalizzazione non è la sua:
questo sarebbe un elemento di grande differenza con quell’archetipo ma, posto che il tema di
quell’archetipo è lo stesso (cita de amor non realizzata, abbandono, attesa di un amante che
non giunge, presentimento della morte), questo si può giustificare con il fatto che quel
presentimento di morte, dovuto a un incontro non realizzato, diventa suicidio concreto e in
quando suicida non può essere lei che narra.
Sappiamo che le riscritture hanno margini di emancipazione ampi dall’ipotesto, sebbene in
questo caso non abbiamo un ipotesto concreto ma è una tradizione, cioè quella della canción
de mujer.

Verde que te quiero verde,


verde viento, verdes ramas.
El barco sobre la mar
y el caballo en la montaña.
Con la sombra en la cintura
ella sueña en su baranda,
verde carne, pelo verde,
con ojos de fría plata.
Verde que te quiero verde.

Abbiamo un narratore onniscente che ci fornisce subito nell’incipit una caratterizzazione


situazionale: abbiamo una donna (ella) che viene ubicata in alte balaustre colta in uno stato di
sonno (con la sombra en la cintura ella sueña en su baranda). È in uno stato di
sonnambulismo, in uno stato liminale tra veglia e sonno e in qualche modo è uno stato
liminale tra vita e morte.
Con la sombra en la cintura: allude al mezzo del cammin di sua vida (come in casida de las
palomas oscuras), quindi ad una condizione esistenziale che la colloca a metà della sua vita

Bajo la luna gitana,


las cosas la están mirando
y ella no puede mirarlas.
 
Verde que te quiero verde.
Grandes estrellas de escarcha
vienen con el pez de sombra
que abre el camino del alba.

Poi abbiamo delle coordinate spazio-temporali: questo fa parte del pensiero situazionale di
Lorca che sempre deve fornire dei dati concreti di tempo e di spazio alla narrazione. Queste
coordinate spazio-temporali sono portatrici di segnali nefasti, annunciano che questo stato
intermedio tra vita e morte concluderà nella morte. Tutto quanto si consuma in un arco
temporale che va dalla notte fonda all’alba.

La higuera frota su viento


con la lija de sus ramas,
y el monte, el gato garduño,
eriza sus pitas agrias.
Pero ¿quién vendrá? ¿Y por dónde...?
Ella sigue en su baranda,
verde carne, pelo verde,
soñando en la mar amarga.

In questo arco temporale, si ritrae un luogo: il notturno è di per sé un momento cupo, una
dimensione di oscurità, di morte e in questa dimensione temporale si ritrae una dimensione
spaziale che si caratterizza per un anti locus amenus (natura ridente, solare, benigna). Uno
spazio che è tutt’altro che ridente perché viene ritratto con delle inequivocabili pennellate
negative, cioè il vento, la vegetazione, la montagna e il mare che nei primi versi sono
rappresentati come elementi statici di un ordine cosmico, nel secondo movimento invece,
questa natura statica, ordinata si anima. Diventa aggressiva e soprattutto questi elementi
confondono il loro statuto perché i rami si animano in modo aggressivo, il monte addirittura
viene rapresentato come un animale e aggressivo come un gatto selvatico, e il mare si svela
amaro.
Se riflettessimo in termini pittorici si tratta di una raffigurazione figurativa della natura, ma è
una rappresentazione antinaturalistica perché vediamo che il colore supera i suoi contorni
reali al punto tale che la vegetazione cede il suo colore verde al vento e alla donna,
cominciando ad invadere tutti gli elementi di questa rappresentazione anche in modo
antinaturalistico. Il verde della vegetazione e anche il verde del mare finisce per tingere tutto
ciò che gli è intorno, compreso il vento e il corpo della donna, così come la fria plata della
luna tinge il colore dei suoi occhi.
Il verde, come gli altri colori è dotato di un plurisemantismo, potendo assumere valori
positivi o negativi. In questo caso è prevalente il suggerimento acquatico del verde, cioè la
fonte di questo verde che invade tutto è il mare (nell’universo poetico lorquiano il mare è
connesso alla morte). Qui inoltre il mare è amaro, che rappresenta la morte. Al verde della
pelle della gitana potremmo trovare anche un suggerimento referenziale, alludendo alla pelle
olivastra dei gitani, ma in Lorca il valore descrittivo di un colore è inferiore di importanza al
suo significato simbolico e in questo caso il verde ha una connotazione negativa proprio
perché allude alla frustrazione amorosa di questa gitana che non è in grado di
raggiungere/essere raggiunta dal suo amato e poi alla morte per suicidio che la caratterizzerà.
Quindi bisemia simbolica non solo del mare da cui del verde deriva, il valore tanatico e
quello vitalista convivono ma in questo caso questo mare immobile significa la fine della vita
e quindi la sua negazione. Per questo appare la connotazione di amaro, proprio per non dar
dubbi sul semantismo negativo di questo verde derivato dal mare.
In questo stato di sonnambulismo è come se la donna avesse una visione premonitoria della
sua morte, della morte che verrà narrata e descritta alla fine del romance: ora è in uno stato
liminale tra vita e morte in cui lei, con tutte queste suggestioni spazio-temporali ha una
premonizione di quella che sarà la sua morte.
Il romance quindi si struttura di due fasi:
- Fase iniziale del sonnambulismo piena di risonanze premonitrice della seconda fase
- La seconda fase è quella terminale della morte
Quindi, il contagio della morte nella premorte del sonnambulismo fa si che si irradi su di lei il
suo cromatismo. Il cromatismo della morte è il verde che invade tutto

Il verso reiterado “verde que te quiero verde, verde carne pelo verde” è tutto volto a preparare
il deselace final di carattere tragico.

Continuando con questo fascio di premonizioni all’inizio del romance, un altro elemento che
appartiene a un campo semantico negativo è proprio la luna: nel paesaggio simbolico
lorquiano indica sempre la morte, è l’astro dell’oscurità. Forse solo in un luogo testuale ha un
valore di si di morte ma seguita dalla rinascita (cicli della luna; alla notte segue il giorno),
cioè la Canción de la Madre del Amargo (Poema del Cante Jondo).

Per quanto riguarda il vento, è sempre soggetto a un processo simbolico di virilizzazione, se


non di erotizzazione. Qui il vento, sotto la minaccia del fico che lo aggredisce, ha un evidente
valore simbolico negativo di cosa aggredita: a volte aggredisce virilmente e a volte, come in
questo caso viene aggredito.

Questi primi due movimenti sono così brevi e pure contengono tante suggestioni simboliche.
Qui abbiamo la voce di un narratore onniscente eterodiegetico che alterna la sua voce con due
voci che monologano: una voce maschile, che invoca la donna verde con enfatiche parole
d’amore e invocando questa donna come donna verde già si definisce come un amante
destinato a un sentimento non realizzabile (conosciamo il valore simbolico negativo del
vento). Da qui già si delinea il tema della frustrazione sentimentale erotica, cioè io amo una
donna verde, destinata alla morte.
L’altra voce monologale è quella della donna: in questo caso è la stessa donna verde che si
chiede chi viene e da dove viene, con queste due domande definisce già il suo stato di
sonnambulismo come uno stato di attesa ed è un’attesa circondata da tutti questi
presentimenti negativi determinati dalla natura avversa, dal notturno, dal fatto che lei si trovi
a metà della sua vita.
Sappiamo già che questo incontro sarà impossibile perché lui è un uomo fuggitivo che sta
scappando inseguito dalla guardia civile e lei perché non attende a sufficienza il suo rientro,
si butta dalle balaustre nell’acqua primo del suo arrivo

-Compadre, quiero cambiar


Compadre- quiero cambiar
mi caballo por su casa,
mi montura por su espejo,
mi cuchillo por su manta.
Compadre, vengo sangrando,
desde los puertos de Cabra.
-Si yo pudiera, mocito,
este trato se cerraba.
Pero yo ya no soy yo.
ni mi casa es ya mi casa.
-Compadre, quiero morir
decentemente en mi cama.
De acero, si puede ser,
con las sábanas de holanda.
¿No ves la herida que tengo
desde el pecho a la garganta?
-Trescientas rosas morenas => immagine visiva delle sue ferite
lleva tu pechera blanca.
Tu sangre rezuma y huele
alrededor de tu faja.
Pero yo ya no soy yo,
ni mi casa es ya mi casa.
-Dejadme subir al menos
hasta las altas barandas;
¡dejadme subir!, dejadme,
hasta las verdes barandas.
Barandales de la luna
por donde retumba el agua.

Nel terzo movimento scompare la voce del narratore esterno eterodiegetico per dare luogo a
un dialogo tra il padre della donna e il suo amato.
Questo gitano ferito a morte che torna dalle montagne di Cabra è desideroso di sostituire la
sua vita avventurosa, fuorilegge, con la pace domestica. È stanco di vivere da fuorilegge e
vuole la pace domestica. Tuttavia, il padre della donna gli risponde che è arrivato tardi, che
neanche lui lo può più ricoverare perché a sua volta vittima di una persecuzione (non sono
più padrone di me stesso, negazione della autonomia antologica del gitano) è a sua volta
vittima della discriminazione.
Il ragazzo implora la possibilità di ascendere alle balaustre prima di morire: le balaustre
vengono descritte come verdi e “della luna”. Ora capiamo perché queste balaustre sono alte
perché sono caratterizzate dalla luna che è il simbolo di morte. Verde, luna, a

Ya suben los dos compadres


hacia las altas barandas.
Ya suben los dos compadres
Dejando un rastro de sangre.
Dejando un rastro de lágrimas. => scia di sangue e lacrime dei due che vanno verso la donna
Temblando en los tejados
farolillos de hojalata.
Mil panderos de cristal
herían la madrugada.
 
Verde que te quiero verde,
verde viento, verde ramas.
Los dos compadres subieron.
El largo viento dejaba
en la boca un raro gusto
de hiel, de menta y de albahaca.
¡Compadre! ¿Dónde está, dime,
dónde está tu niña amarga?
¡Cuántas veces te esperó!
¿Cuántas veces te esperara?,
cara fresca, negro pelo,
en esta verde baranda!
 
Sobre el rostro del aljibe
se mecía la gitana.
Verde carne, pelo verde,
con los ojos de fría plata.
Un carámbano de luna
la sostiene sobre el agua.
La noche se puso íntima
como una pequeña plaza. => immagine della notte oggettualizzata
Guardias civiles, borrachos
en la puerta golpeaban.
Verde que te quiero verde.
Verde viento, verdes ramas.
El barco sobre la mar.
Y el caballo en la montaña.

Metafora: è uno dei luoghi lorquiani più tipici per capire la visionarietà della metafora
lorquiana. In linea con la missione che lo stesso Lorca si riconosce che non è quella di
definire, ma quella di suggerire appunto mediante metafore che non dicono chiaramente nulla
ma che suggeriscono. Per quanto riguarda il significato, Lorca dice che neanche lui saprebbe
spiegarlo, li ha visti e basta. Possiamo solo dire che questi mille tamburelli di cristallo
potrebbero rappresentare un notturno con le sue stelle proprio perché “ferivano” l’alba: c’è il
riferimento del verbo a un ferimento, l’alba nascente risulta aggredita e ferita dalle stelle che
stanno per scomparire, quindi anche qui presagi negativi.

L’unico elemento compassivo nei confronti di questo gitano ferito sembrano essere proprio i
faroles perché in qualche modo la forma diminutiva “farolillos” fa pensare a una
rappresentazione affettiva di questo elemento dell’ambiente che potrebbe far pensare a una
partecipazione intima di questo elemento alla situazione alla quale
stiamo assistendo. Anche nel loro temblore, nel loro essere soggetti a una reazione emotiva.

Tre elementi che intensificano il verde, quindi non bisogna pensare alla menta e al basilico
come elementi della natura che al limite sono portatori di un sapore e un odore gradevoli, ma
qui sono tre elementi aumentativi del verde. Sono degli agenti cromatici indiretti e il valore
simbolico negativo del verde viene aumentato, a sua volta aumentato dall’odore del sangue
del verso precedente.

Poi abbiamo un nuovo dialogo tra il padre e il ragazzo che ci informa che la ragazza è stata
lungamente in uno stato di attesa (ecco perché la canción de mujer). Il padre dice che la
ragazza lo ha aspettato quando era ancora giovane, vitale (pelo negro, carne fresca, non
verde). Ora, dopo tanta attesa, il suo pelo e la sua carne sono diventati verdi e in questa verde
baranda si è consumata.
Immagine della donna affogata: sul volto della cisterna, quindi acqua stagnante (sempre
simbolo di morte) dondola la gitana che si è buttata con verde pelo e verde carne con gli
occhi di fria plata, ancora una volta morte rappresentata attraverso il colore della luna. Stessa
luna che la sostiene nello stagno, ma la luna stessa è a rappresentare la sua morte.

Alla fine il nostro sguardo viene trasferito dai gitani e da quello che stanno vivendo agli
agenti materiali della loro oppressione che sono le guardie civili. Queste, in un gesto ancora
più crudele, sono ubriache e quindi assolutamente indifferenti al dramma vissuto dai gitani al
punto tale che colpiscono alla porta dei gitani. Colta in questo stato di ubriachezza e
aggressività, ci fanno capire che sono tutt’altro che solidali al dramma intimo vissuto dai
gitani.

A questo punto, compiuta la tragedia, il contesto ambientale riprende il suo ordine iniziale:
tutta questa scossa sismica nella vita dei gitani che è stata rappresentata simbolicamente
attraverso questi elementi della natura, una volta compiuto il dramma del suicidio della
gitana, riprende il suo corso. Come a dire che la vita va avanti e tutto sommato la vita del
cosmo è indifferente alla tragedia individuale perché le cose proseguono.

Perché dicevamo che questa può essere una riscrittura della canción de mujer, naturalmente
con degli elementi di discontinuità o notivà? Perché la circostanza tematica è la stessa, cioè
un incontro mancato, dove la morte anziché essere presentita è compiuta, per questo motivo
non può essere che dice “io”. A narrare l’evento è quindi una voce esterna, alternata di quanto
in quanto da voci monologali o dialogali (come quella della stessa donna che è come se fosse
citata, e quella dei due protagonisti maschili).

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