Professional Documents
Culture Documents
Letteratura Spagnola
Letteratura Spagnola
L’amore è il tema più trattato nella letteratura universale (per lo meno quella occidentale), per
lo più l’amore sofferto, negato. La rappresentazione letteraria dell’amore ha prodotto alcuni
canoni/filosofie dominanti della visione dell’amore. Noi indagheremo alcune di queste
tipopologie che hanno una loro precisa contestualizzazione storica e cronologica:
1. Amore cortese: appartiene alla letteratura medioevale ed è un amore profano, cioè
rivolto a una donna (a un essere umano e non per esempio a un dio, quello sarebbe
mistico) e che tuttavia si avvale di un linguaggio sacro, dato che si basa su el
endiosamento/deificazione, cioè sulla divinizzazione della donna. Esempio: donna
angelicata di Petrarca, paragonata ad un’essenza angelica, divina, sovrannaturale. Per
questo si tratta di un amore quasi esclusivamente platonico, cioè che non implica il
soddisfacimento carnale, l’aspetto sessuale, l’eros. È un amore disgiunto dall’eros.
2. Amore mistico: amore sacro che si rivolge a Dio, e comunque a un’essenza divina, e
che viceversa si avvale di un linguaggio proprio dell’amor profano basandosi sulla
comparazione tra dio e un amante umano, trattare Dio come se fosse il proprio
amante. Quindi si rappresenta l’unione mistica con Dio come se fosse un’unione
sessuale, si usa l’allegoria erotica per indicare la unio mistica. Tutto il contrario
dell’amor cortes
3. Amore anticortese: amore profano che ha un trattamento puramente erotico, non come
l’amor cortese. Un esempio è Don Juan, che appunto rappresenta il seduttore per
antonomasia che fa della donna un oggetto, ma non di culto, ma un oggetto di un
collezionismo erotico. Conquistare, sedurre, possedere più donne possibili. Quindi è
sostanzialmente l’amore erotico, che si basa tutto sulla componente carnale
dell’amore.
Un'altra tipologia di amore anticortese è la Cancion de Mujer (genere della poesia
popolare), quindi la poesia popolare dove la donna abbandonata, in occasione di un
appuntamento amoroso, lamenta l’assenza dell’amato che sperava di poter possedere.
Non è solo un incontro platonico, era un incontro per congiungersi, questo genera una
frustrazione e dolore. La novità rispetto alla tradizione è non solo la componente
erotica ma anche il protagonismo femminile. Il soggetto poetico è una donna, mentre
nell’ambito dell’amor cortese è sempre un uomo il soggetto poetico.
4. Amore romantico: siamo nell’800, è un amore infelice in quanto irraggiungibile,
inappagabile che è solito coniugarsi alla morte. La sofferenza d’amore porta alla
morte spesso declinata sottoforma di suicidio. È irraggiungibile perché viene
ostacolato, gli ostacoli sono per esempio le convenzioni sociali (amore tra famiglie
nemiche per motivi sociali, politici, religiosi, etnici) o a causa del destino, cioè il fato
che si oppone che per lo più si caratterizza per la reciprocità tra gli amanti che però
vengono ostacolati. La differenza con l’amor cortese è che qui non vi è reciprocità
dagli amanti, qui l’io poetico soffre per una donna lontana. Anche l’amore romantico
riscatta la componente carnale, si ama anche con il corpo, è un amore che coniuga
sentimento ed erotismo in virtù della pienezza dell’essere (l’induviduo non è scisso tra
anima e corpo, per questo si ama con il cuore ma anche con il corpo).
AMORE CORTESE
Tipologia letteraria d’amore che nasce nel 1100 quindi nel XII secolo con il nome di fin
amors, nome appartenente alla lingua provenzale, perché proprio qui nasce questa tipologia
letteraria dell’amore. Questo canone se nasce in Provenza finisce per espandersi a buona
parte dell’Europa creando un canone Europeo, ma soprattutto nell’Europa mediterranea,
quindi ha una vasta estensione geografica ma anche vasta estensione di tipo cronologico,
rimane come moda letteraria per vari secoli (ancora nel 500 possiamo parlarne).
Naturalmente con adattamenti geografici quindi rispetto alle singole tradizioni nazionali, sia
adattamenti nel tempo (l’amor cortese di Petrarca non è lo stesso di quello di un autore del
rinascimento). Il principale adattamento nel canone dell’amor cortese in base al fattore tempo
consiste nel fatto che nel rinascimento l’ortodossia di questo canone comincia ad essere
penetrato da un sentore di erotismo.
IDEARIO: l’amore è concepito come un vassallaggio, dato che il cavaliere si comporta come
il servitore della sua dama, alla quale spesso si rivolge con il termine di “mi senor” al
maschile, perché la donna è concepita come il padrone (nella società dell’epoca chi detiene il
potere è l’uomo) del cuore del soggetto poetica. Tuttavia, il soggetto poetico anche se
rifiutato e ignorato, accetta volontariamente il suo destino giungendo addirittura a godere del
suo dolore, e quindi il suo è un atteggiamento assolutamente masochista. L’unica ricompensa
che invoca per questo suo amore sofferto è il servizio d’amore, poterla amare anche se da
lontano e segretamente, poter soffrire per lei. Accetta quindi un amore platonico, senza
premio, disinteressato e accetta questa sofferenza addirittura godendone perché ritiene che la
sofferenza d’amore nobiliti, sia un veicolo per raggiungere la nobiltà d’animo, è vista come
elevazione spiriturale (potere nobilitante della sofferenza). Ecco perché l’innamorato si
consegna al suo dolore insoddisfatto, addirittura assaporando la sofferenza, al punto tale che
si vengono a stabilire dei paradossi: bendito sufrir, pena deleitosa. Si stabilisce un ulteriore
paradosso, cioè quest’accettazione e piacere del martirio non impedisce che il soggetto
invochi l’arrivo della morte come liberazione. Tutto sommato vuole liberarsi da questa
sofferenza sebbene goda di questa sofferenza.
Tutto ciò, conduce al carattere platonico di questo amore, che si divorzia completamente
dalla possessione fisica: non è mai allusa e mai pretesa. È un amore casto che non pretende
culminazione, è un desiderio insaziato sebbene a volte ci può essere un significato nascosto.
Inoltre, viene definito come un vassallaggio, rispecchiando la società medioevale basata
proprio su questo quindi è un allegoria feudale applicato all’amore e l’altra metafora usata è
la metafora religiosa: amore visto non più come un vassallaggio ma come un culto professato
a un essere superiore. L’amante si autodefinisce non più vassallo ma in temrini religiosi
martire, mentre la dama viene rappresentata non più come “mi senor, mi rey”, ma glorificata
con espressioni di carattere religioso attraverso l’iperbole sacra, aragonata a un angelo, alla
vergine, a un’essenza sovrannaturale e infine a Dio. Quindi divinizzazione della donna e
spiritualizzazione dell’amore, la donna è oggetto di una specie di culto laico (comunque lei è
un essere vivente), la cosiddetta religione d’amore (così è deifnito l’amor cortese)
È una poesia blasfema e adultera, considerando se stesso un cristo e l’amata una vergine.
L’uomo del medioevo vive in una intimità con il sacro molto più stretta rispetto a oggi, non
c’era grossa separazione tra sacro e laico, quindi l’immaginario dell’uomo medioevale è così
impregnato di rigerimenti religiosi che non ne può prescindere quindi di conseguenza non
appariva così blasfemo tradurre il linguaggio d’amore in linguaggio religioso. Per quanto
riguarda il fatto di essere un amore adultero e quindi antisociale, quella era una società
patriarcale basato su regole ferree, ed è vero che è un amore platonico ma anche solo pensare
a una donna d’altro rende l’amore impuro (nono comandamento). Inoltre si verifica un
rovesciamento di valori sociali: è la donna che domina e l’uomo è i lsuo martire o vassallo.
Piano di superiorità della donna e modello d’amore che non rispettava affatto la società
del’epoca dove la donna prima era subalterna al controllo paterno e poi maritale, non aveva
nessuna libertà, mentre qui è rappresentata come “mi senor”.
Quindi sembra non rispecchiare la realtà. Josè Ortega y Gasset è stato un filosofo
enciclopedico, dice che ha avuto una grande portata di civilizzazione perché l’uomo non è
visto come un predatore (che vede la donna come una preda per soddifare l’impulso
sessuale), ma si autorappresenta come autoprigioniero di quella donna, che accetta di
collocarsi in modo distate, la ama da lontano, e che deve farsi degno di lei. In questo modo
l’amante non è più quel predatore o quell’essere che in qualche modo domina e
strumentalizza la sua donna, ma tutto il contrario. Ortega dice anche che la rappresentazione
di un amore in questi termini, non sia alto che la proiezione di un desiderio femminile
(sarebbero state le dame della provenza che decisero che l’uomo dovesse essere rappresentate
secondo questo ideale, ma idea piuttosto penabile perché la storia è sempre degli ideali
maschili, in ogni caso è interessante il distacco tra realtà sociale e realtà letteraria).
Tutti i poeti dell’epoca accettano questi costituendo un codice, al quali tutti si uniformavano,
creando un manierismo cioè un repertorio di luoghi comuni ricorrenti in tutti gli autori, così
come un repertorio di stilemi che ricorrono in tutti gli autori creando un vero e porprio codice
e manierismo, che a volte andava a ledere la libertà di ispirazione, scadendo in qualche modo
nell’insincerità. A volte sembrerà di vedere come fosse un solo poeta che scrivono tutti i testi,
perché sono il rispecchiamento degli uni degli altri per quanto l’uniformità a quel codice sia
così passiva.
Dal punto di vista formale abbiamo la prospettiva maschile verso un’amata indifferente, la
quale rimane sempre in silenzio. La donna che è l’interlocutrice in realtà non ha voce e
neanche la vediamo, è una vera e propria protagonista in absenzia. Chi vediamo e ascoltiamo
è appunto il soggetto poetico maschile.
Dal punto di vista stilistico abbondano i concettismi, le risorse concettuali cioè paradossi,
antitesi, giochi di parole, tutta una contorsione concettuale che serve proprio a esprimere i
turbamenti dell’innamorato, fatto da mille contrarsi, per esempio il controllo e il desiderio,
quindi il descontrol (lasciandosi guidare da corrente), quindi contrasto tra voglio e non voglio
che da un lato vuole difendersi dagli attacchi d’amore ma ne è comunque vittima.
Stato d’animo ambivalente espresso con paradossi, antitesi, giochi di parole, tipico
dell’amante cortese.
Per quanto riguarda il tono, è prevalentemente introspettiva, basata tutta sull’autoanalisi del
soggetto, che riflette sulla fenomenologia dell’amore, opera una dissezione: l’anatomia del
sentimento. È una poesia che indaga le gallerie dell’anima, assolutamente disinteressata alla
realtà esterna. Non appare mai (almeno in Spagna) il ritratto della donna, non conosciamo la
sua essenza fisica. L’amante cortese in spagna si rivolge alle caratteristiche animiche non
fisiche, inoltre la natura non è oggetto di contemplazione nemmeno specchio delle emozioni
individuali (al contrario dell’amante romantico), per lui la natura è assolutamente emarginata.
Un’altra peculiarità è il gusto per la personificazione delle idee e uso dell’allegoria.
È un topos della poesia cortese, ossia la lotta tra ragione e amore come esseri personificati,
l’amore viene detto con la sua forza poderosa è causa della sconfitta della ragione e di
conseguenza dell’alienazione del soggetto poetico privato della sua facoltà razionale.
L’amore annulla il potere della ragione a punto tale da fare della ragione un suo alleato: la
ragione che dovrebbe difendere il soggetto poetico dagli attacchi d’amore diventa un alleato
d’amore. Amore è un’ostinazione inevitabile che non può essere vinta, la cui forza ostinata
rendiamo più potente volendoci difendere (paradosso: quanto più ci vogliamo difendere
attraverso la ragione, tanto più amore diventa potente e sopraffa la ragione.
Uso di un linguaggio bellico, è una vera e propria lotta, guerra quella che si stabilisce tra
amore e ragione: si parla di vencer, defender, forzar. Uso di una figura retorica chiamata
“derivazio”, cioè la ripetizione di uno stesso termine che però viene variato nella sua forma
(fuerza, fuerte, forzoso). Questa derivazio la osserviamo già nel primo verso (es amor fuerza
tan fuerte).
Dal punto di vista formale abbiamo un’altra figura retorica che riguarda lo stesso lessema
della forza, cioè la dilogia: usare una stessa parola ma con significati differenti. La parola
forza, infatti, se nel primo verso si riferisce a una capacità fisica (es amor fuerza tan fuerte),
nel secondo verso si riferisce a un’azione (que fuerza toda razon, che sconfigge ogni ragione),
quindi abbiamo l’uso della stessa parola ma con significato diverso. Mentre prima la stessa
parola veniva ripetuta in forme diverse, ora la stessa parola ha significati diversi, cosa
accomuna queste due figure retoriche? La ripetizione, sono due figure retoriche diverse della
ripetizione. Abbiamo una terza forma della ripetizione che riguarda sempre la parola forza,
cioè il chiasmo: ripetizione incrociata, lo troviamo nella prima strofa (porfia forzosa fuerz
porfiosa)
Abbiamo visto in una sola strofa ben tre figure della ripetizione (derivazio, dilogia, chiasmo)
che interessano uno stesso lessema; questo non è casuale, la funzione poetica di questa
ripetizione così insistita è una funzione enfatica, di voler dare enfasi a un concetto, in
particolare a quella parola, alla forza dell’amore e alla sua capacità di convertire la ragione in
suo alleato. Ripetere tanto fuerte, fuerza, forzoso riferito all’amore vuol dire proprio una
sottolineatura enfatica di amplificazione di quel concetto.
Es una cautividad
sin parecer las prisiones,
un robo de libertad,
un forzar de voluntad
donde no valen razones.
Una sospecha celosa
causada por el querer,
una rabia deseosa
que no sabe qué es la cosa
que desea tanto ver.
Introduce un ulteriore topos dell’amor cortese, cioè la carcel de amor, amore inteso come una
privazione di libertà: non più visto come guerra contro la ragione come nella prima strofa, ma
a questo punto è visto come un carcere perché ruba la libertà dell’innamorato che una volta
vittima d’amore viene completamente colonizzato dall’amore stesso.
È una prigionia senza che si manifesti la prigione, quindi non è una prigione fisica ma
mentale/emotiva, un furto di libertà e anche un forzare della volontà. La volontà è un alleato
della ragione: la ragione e la volontà sono quelle facoltà umane che possono strutturare una
difesa, ma entrambe vengono forzate da amore e sconfitte. Qui inizia la fenomenologia
dell’amore, una volta che si è insediato nella persona ecco che ingenera gelosia, rabbia e il
soggetto non sa cos’è ciò che desidera tanto vedere (ancora una volta importanza della vista).
É talmente oggetto di forzatura che non siamo più in grado dell’autodeterminazione, siamo in
gabbia preda d’amore.
È un linguaggio molto concettoso basato tutto su paradossi, ecco che qui appare un
paradosso: il paradosso che poi troveremo nella strofa successiva è legato alla lontananza
della persona amata.
Es un modo de locura
con las mudanzas que hace:
una vez pone tristura,
otra vez causa holgura
como lo quiere y le place;
un deseo que al ausente
trabaja, pena y fatiga,
un recelo que al presente
hace callar lo que siente
temiendo pena que diga.
Quando siamo distanti dal nostro oggetto del desiderio soffriamo, se siamo vicini
abbiamo quasi timore di svelare il nostro stesso desiderio
Appaiono ulteriori luoghi comuni di questa concezione cortese dell’amore, cioè concepire
l’amore non più come guerra o non più e non solo come prigione, ma anche come follia,
proprio perché amore indica la sconfitta della ragione. Una volta che il soggetto poetico è
privato delle facoltà razionali (ragione, intendimento, saggezza e volontà), il soggetto è in
preda alla follia. Il motivo della follia viene ripreso con la sua volubilità una volta tra la
tristezza una volta l’allegrezza.
Paradosso: la lontananza procura pena tanto quanto la vicinanza (stesso effetto procurato da
due situazioni opposte) questo perché la lontananza genera assenza, causa di dolore e la
vicinanza genera invece imbarazzo. La somatizzazione dello stato dell’innamoramento è
ugualmente causa di assenza di benessere.
Questa è una chiusa/coda: per valutare il vero amore bisogna considerare la disponibilità
dell’amante a soffrire, solo lui è portatore di un vero amore.
Forgiato: metafora tratta dal mondo dell’oreficeria. Toque: misura per stimare i metalli
preziosi, in questo caso l’amore ben forgiato, è patire il disamore, accettare la sofferenza,
cosa che non può portare la falsa doratura (falso amore). Per valutare il vero amore bisogna
considerare la disponibilità dell’amante a soffrire, soltanto un amore in cui un amante è
disposto a soffrire è portatore di un vero amore.
Ci troviamo di fronte a un’altra chiave concettuale dell’amor cortese, cioè qual è il vero
amore? È patire il disamore della donna sdegnosa, quindi l’amore vero è chi è disposto a
soffrire e quindi il masochismo tipico del soggetto poetico nell’ambito dell’amor cortese.
Abbiamo una rappresentazione dell’amore come:
- Nemico nell’ambito della guerra
- Carceriere nell’ambito di una prigionia
- Follia come perdita delle capacità razionali
Quindi l’amore in sostanza è un qualcosa di nocivo dal quale difendersi anche se in realtà non
si è in grado di difendersi e si accetta la sconfitta masochisticamente.
Dietro questa rappresentazione dell’amore traspare una concezione ascetico-cristiana: cioè
l’amore e l’azione soprattutto della donna è associato a qualcosa di negativo e quindi a
un’istanza diabolica dalla quale doversi difendere. L’opera seduttrice del demonio, non a caso
tutti i grandi seduttori della letteratura (Don Giovanni e Carmen) sono personaggi diabolici
proprio perché il diavolo è seduttore.
Quindi da questa concezione dell’amore come guerra, come prigionia, follia dalla quale
dobbiamo difenderci traspare questa concezione ascetico-cristiana che crea un parallelo tra
amore e la forza seduttrice del diavolo nei confronti della quale l’io deve difendersi perché
viene sottoposto al furto dell’autodeterminazione.
Vedremo però che le poesie dell’amor cortese è vero che hanno sottesa questa concezione
ascetico-cristiana dell’amore come qualcosa da cui difendersi, ma vi è anche un’altra corrente
filosofica che definiamo neoplatonica che informa di sé questo repertorio poetico dando a
quella parte del repertorio poetico che risente della concezione filosofica neoplatonica una
sfumatura diversa.
METRICA:
Cosa definisce una strofa? Al di là che graficamente si separano, c’è un fatto metrico che
definisce la fine di una strofa, cioè il disegno rimico. Quando cambia il disegno rimico allora
si ha una nuova strofa.
Prima strofa: A-B-A-A-B C-D-C-C-D
Nel primo disegno rimico ci sono cinque versi, quindi siamo di fronte a un 5+5, si tratta di
due quintillas (strofe di cinque versi)
Di quante sillabe è composto il verso: quando un verso finisce con una rima tronca, in questo
caso razon, si deve contare una sillaba metrica in più. Se invece avessimo avuto il caso di un
verso che finisce con una parola sdrucciola (accento sulla terzultima sillaba) allora dovremmo
contare una sillaba metrica in meno. Se la parola è piana allora il conto è regolare. LEGGE
DI MOSSAFIA
Nel computo metrico va considerata un’altra legge: quinto verso della prima strofa. Qui
abbiamo una sinalefe, cioè quando si incontra la vocale di fine parola con la vocale di inizio
parola successiva. In questo caso le due vocali si fondono in un’unica sillaba. Es:
en/su/fuer/zay/a/fi/ccion ma secondo la legge di Mossafia si calcola una sillaba in più. Quindi
abbiamo una sinalefe che produce 7 sillabe più la legge di Mossafia che restituisce la sillaba.
L’ottosillabo è il metro tipico della tradizione poetica colta e anche popolare in Spagna,
mentre in Italia il metro più classico è l’endecasillabo, usato da una forma poetica
tipicamente italiana cioè il sonetto e che risale ai poeti dello stilnovo (Petrarca). Questo fatto
è importante segnalarlo perché nel 500 invaderà la Spagna una moda poetica cioè quella del
petrarchismo che importerà nelle lettere spagnole la forma poetica italiana più caratteristica
del sonetto e insieme a esso il suo metro. Ecco quindi che la poesia spagnola dovrà vedersela
con una contesa tra le forme autoctone (ottosillabo) e le forme di ispirazione italiana
(endecasillabo).
In questa poesia ci troviamo di fronte a quintillas di ottosillabi, il cui schema rimico è A-B-A-
A-B C-D-C-C-D, rima incrociata
Esistono due tipi di rime:
- Consonante: l’identità di suono a partire dall’ultima sillaba accentata tra due versi
riguarda sia i valori vocalici sia i valori consonantici, cioè tutta la fine della parola. Rosa-
mariposa
- Assonante: l’identità di suono tra due versi a partire dall’ultima sillaba accentata riguarda
solo i valori vocalici. La poesia italiana ne è priva, mentre quella spagnola ha una lunga
tradizione soprattutto nell’ambito della forma poetica del romance.
Triste-sicuro: paradosso, è triste ma sicuro perché era ancora un uomo non innamorato. Lo
stato di non innamoramento è di sicurezza perché si è perfetti proprietari di se stessi però si è
tristi.
Volontà è sinonimo di ragione (facoltà che difendono l’io) era tranquilla, non doveva
combattere contro nessuno, allorchè il muro di questa fortezza (allegoria della fortezza per
indicare la persona, la persona è una fortezza da scalare e da conquistare) che rende sicuro
l’io, viene scalato ed ecco che la libertà che dava sicurezza a quel soggetto poetico viene
messa in pericolo.
a escala vista subieron
vuestra beldad y mesura,
y tan de recio hirieron,
que vencieron mi cordura.
Chi scala la fortezza dell’io e mette in pericolo la sua cordura? La bellezza e l’eleganza della
donna che sono state oggetto di contemplazione, infatti verranno tirati in causa non a caso gli
occhi
Luego todos mis sentidos
huyeron a lo más fuerte,
mas iban ya mal heridos
con sendas llagas de muerte;
quindi tutti i sensi fuggirono il più possibile per non essere conquistati dalla bellezza della
donna, ma erano già feriti con varie chiavi mortali e la mia libertà rimase del vostro potere
prigioniera. Allegoria della fortezza assalita e ancora una volta la prigionia d’amore
y mi libertad quedó
en vuestro poder cativa;
mas placer hobe yo
desque supe que era viva.
Paradosso contrario rispetto a quello iniziale: prima la volontà era al sicuro ma triste, ora che
è stato conquistato ha perso la libertà ma è vivo grazie alla potenza d’amore che rapisce ma
nidifica.
Mis ojos fueron traidores,
ellos fueron consintientes,
ellos fueron causadores
que entrasen aquestas gentes
Gente: bellezza, eleganza della donna. Proprio loro che erano la vedetta di questa fortezza,
che dovevano controllare il territorio circostante e captare l’arrivo del nemico e dare l’avviso,
proprio loro invece sono stati i complici d’amore.
que el atalaya tenían,
y nunca dijeron nada
de la batalla que vían,
ni hicieron ahumada.
Desde que hobieron entrado,
aquestos escaladores
abrieron el mi costado, immagine cristica
y entraron vuestros amores;
y mi firmeza tomaron,
y mi corazón prendieron,
y mis sentidos robaron,
y a mí sólo no quisieron.
Flechazo: ognuno di noi si forma un modello ideale fatto anche
¡Qué gran aleve hicieron di caratteristiche estetiche ma anche di espressioni. Quando
mis ojos, y qué traición: vediamo nell’altro l’immagine ideale che noi ci siamo formati,
por una vista que os vieron, li scatta un’identificazione: non con il mio io, ma con ciò che il
venderos mi corazón!
mio io produce di ideale. Il colpo di fulmine istite sul concetto
Pues traición tan conocida di riconoscimento.
ya les placía hacer,
vendieran mi triste vida
y hobieran dello placer;
Siamo di fronte a qualcosa di molto diffuso nella poesia cancioneril (poesia dell’amor cortese
in Spagna), cioè l’allegoria: figura retorica mediante la quale il livello letterale del testo
rimanda a un significato altro, secondo. È quindi un’operazione linguistica che agisce
mediante la soppressione del significato basico/letterale/primo per rimandare a un livello di
senso altro.
L’immagine letterale/significato primo è la fortezza assediata, è quello che ci viene
raccontato, dove chi aggredisce è amore personificato (in realtà l’eleganza e la bellezza della
donna) e per portare a termine questa impresa guerresca, si serve di un’arma, in questo caso
una scala: la scala vuol dire movimento verso l’alto, quindi il simbolismo della scala è di tipo
ascensionale. Fa venire in mente la conquista del paradiso, che nell’iconografia cristiana si
colloca in alto, non a caso la scala è un simbolo fortemente religioso perché rimanda proprio
alla conquista del paradiso (il cielo posto in alto che necessita di una scala che poi è la scala
delle virtù nella concezione cristiana).
In questa poesia è l’amore profano, quindi la scala non serve per ascendere a Dio ma alla
donna che comunque è una donna per lo più angelicata, oggetto di un’iperbole sacra.
Simbolismo dello spazio: perché il paradiso è in alto e l’inferno è in basso? L’alto e il basso
determinano anche dei valori positivo-negativo, simbolismo anche dell’avanti-indietro, del
dritto-rovescio, destra-sinistra. (right = destra, dritto, giusto; retto = dritto, giusto). In questo
caso l’alto è l’amore, l’oggetto d’amore da raggiungere attraverso un movimento
ascensionale mediante la scala.
Già in questo simbolismo religioso abbiamo sicuramente un forte simbolismo cristologico,
riferito proprio alla figura di cristo, quando il soggetto poetico paragona se stesso, la propria
sofferenza, alla sofferenza di Cristo quando dice “abrieron el mi costado”, proprio come
successe a Cristo.
In questa allegoria della conquista della fortezza chi aggredisce è amore e la posta in gioco di
questa lotta tra amore e il soggetto poetico è il suo cuore che poi risulta essere ferito. Quindi
l’allegoria della fortezza assediata e conquistata rimanda al processo dell’innamoramento (il
flechazo fa parte dell’innamoramento, poi l’amore richiede una stratificazione più profonda).
Ancora tutta la presentazione si basa sulla comparazione dell’amore con un’impresa
guerresca, ancora una volta gli avversari sono amore e ragione. In tutte le guerre qual è un
modo per ottenere quasi sicuramente la vittoria? L’effetto sorpresa, una strategia, e anche qui
proprio come in una guerra vera l’effetto sorpresa è proprio all’inizio (questa
rappresentazione è proprio la rappresentazione della guerra): stava triste e sicuro, non se lo
aspettava, quindi l’effetto sorpresa coglie il nemico impreparato ed ecco che ci si garantisce
la vittoria. Un’altra strategia della guerra è la presenza di un traditore.
Ci sono tutti gli elementi della guerra.
La poesia è disseminata da una serie di paradossi: paradosso della libertà murata, capiamo il
senso perché protetta dalla fortezza ancora non assediata d’amore. Così come essere triste ma
sicuro.
METRICA:
A-B-A-B C-D-C-D: rima consonante alternata. Strofe di quattro versi che chiamiamo
redondillas ottosillabi.
Vi è un tale adeguamento ai parametri del canone che tutti scrivono nello stesso modo, a
scapito della sincerità dell’ispirazione che è quella che rivendicherà il poeta romantico, il
quale vuole scrivere fuori dagli schemi proprio per seguire il suo libero impeto. In questo
ambito prevale l’atteggiamento dell’imitazio, che non veniva percepito negativamente come
plagio, come qualcosa da cui difendersi. Tutt’altro, quanto più l’imitazio, cioè il ricalcare
quel modello, era evidente meglio ci si sentiva, nel senso che si sentiva di muoversi
all’interno di un canone consolidato. Tanto è vero che il concetto di paternità dell’opera, oggi
tutelata da una branca del diritto, non esisteva, all’epoca ci si imitava ed era normale.
Nell’ambito della imitazio abbiamo un testo di un autore molto importante, che scrive un
testo che sembra ricalcare la poesia di Jorge Manrique, escala de amor, con moltissime
coincidenze a partire dalla stessa allegoria della fortezza assediata.
La libertà anche in questo caso è tranquilla, non triste ma tranquilla. Cioè era tranquillo
quando amore ha assediato la fortezza del mio cuore.
I prestiti con l’altra poesia sono patenti e in alcuni casi letterali. Vi sono coincidenze non solo
concettuali (allegoria) ma anche lessicali proprio in nome di questo principio della imitazio.
Vi era tutta un’estetica di riuso di materiali poetici già usati, l’estetica della variazione di
materiale già usato anziché l’estetica dell’invenzione. Questo concetto dell’imitazio nasce
nell’ambito del classicismo, cioè con la riscoperta dei classici proprio intesi come modelli da
imitare per il loro valore esemplare: dato che quella è la poesia della poesia, se la imito sto
nel giusto. Quindi l’estetica del riuso e della variazione piuttosto che delll’invenzione.
Nella poesia di Manrique potevamo intravedere sottesa una concezione filosofica che
potremmo definire ascetico-cristiana perché amore è comparato alla forza seduttiva del
diavolo, qualcosa dalla quale dobbiamo difenderci. Ora vediamo invece una poesia che
sottende l’altra corrente filosofica di tipo neoplatonico e vediamo qual è la sfumatura di
senso.
Diego de Soria, Ajeno so no so mío
Ajeno so, no son mío,
Pues me guío
Perdida la libertad
Por do va la voluntad,
Que es de la razón desvio: aunque por vos,
Tan preciosa os hizo Dios,
Que el afición
Es convertida en razón
Y no son dos
Iperbaton
Forte concettismo: non mi appartengo più, amore mi ha alienato. Volontà è diventata alleata
del desiderio, quindi una volta innamorato non mi appartengo più e vado appresso al
desiderio che è della ragione smarrimento
Fino a qui solita conflittualità tra desiderio e ragione (in questo caso volontà e ragione)
Poi abbiamo il cambiamento concettuale. Anche se così bella vi ha fatto Dio, che l’amore per
voi si converte in ragione, le quali cose (amore e ragione) così non sono più due cose diverse:
in questo caso amore e ragione sono fino a un certo punto antagoniste ma poi si riconciliano e
qual è il ragionamento/la dialettica che permette a queste due facoltà di riconciliarsi? Dio ti
ha donato di una incomparabile bellezza che è come se fosse riflesso della perfezione divina,
di conseguenza amarti non può essere contrario a ragione. La ragione in questo modo si
converte in complice d’amore perché io attraverso la donna sto amando Dio, vedo nella
donna riflessa la perfezione divina. Quindi la riconciliazione tra amore e ragione si fonda su
una concezione della donna opposta alla visione ascetico-cristiana (donna = diavolo, quindi
bisogna difendersi), in questo caso la donna è uguale non alla forza seduttiva del diavolo, ma
appunto alla perfezione divina. Ecco che amarla non è peccato, amare la donna che è
ricettacolo della perfezione divina è fonte e origine di ogni virtù, la ragione può quindi
tranquillamente convertirsi il complice d’amore. L’idea basilare di questa argomentazione è
propria del pensiero neoplatonica. A partire da quest’idea la ragione è mossa a riconoscere
che amare la donna non è altro che un atto grato a Dio.
Si tratta di due differenti correnti ma entrambe cristiane, che si sviluppano all’interno del
pensiero religioso: quella ascetico-cristiana con la sua visione della donna come peccato e
quella neoplatonica con la sua visione della donna come espressione di Dio. In ogni caso
l’amante è prigionia, anche nel caso della visione neoplatonica la percezione dell’amore è
quella di un carcere, cioè di una possessione o di quello che potremmo definire una “morte in
vita”: non si muore fisicamente, si muore nella misura in cui si vive alienati, fuori di se. Ciò
che varia è il grado di sottomissione e di accettazione di questa privazione di libertà: in un
caso lotto per non perdere la mia libertà (difesa), nell’altro mi arrendo proprio perché è
legittimo amare la donna (accettazione).
METRICA:
A-A-B-B-A C-C-D-D-C, si tratta di quintillas. Caso di ottosillabo de pie quebrado: il verso
dominante è l’ottosillabo alternato da mezzi versi (versi di 4 sillabe).
E muestra la diferencia
Que hay entre ella y los humanos,
Que es más propia su excelencia,
Pues la hizo con sus manos.
Por do es bienaventuranza
Que a las manos muera yo
De aquella en que Dios mostró
Más propia su semejanza
Paradosso: il bene a quale giunge il mio male (ossia il male dell’essere innamorato)
Iperbaton: riorganizzando la sintassi dovrebbe essere por do es bienauenturanza que yo muera
a las manos de aquella en que Dios mostró más propia su semejanza.
In questa poesia riappare l’idea che Dio fa la donna a sua immagine e somiglianza e dunque
la donna è degna di essere amata, quindi la ragione si incorpora nel regno d’amore, si allea ad
amore e non è più suo contrincante.
METRICA:
Villansico: forma metrica tripartita
- La prima parte è la cabeza, parte dove si introduce il motivo tematico base della poesia
- Mudanza: variazione sul tema, o meglio una glossa, un commentare/uno sviluppo al tema
introdotto dalla cabeza
- Vuelta: ritorno, ritorno alle rime della cabeza. La cabeza aveva avuto delle rime che sono
state mutate nella mudanza e la vuelta torna a riprendere le rime della cabeza. A volte può
ripetere anche i versi della cabeza, in questo caso ripete gli ultimi due versi
Abbiamo una redondilla di ottosillabi nella cabeza con rima incrociata (A-B-B-A), poi
mutano le rime nella mudanza dove abbiamo una rima alternata (C-D-C-D) sempre
redondillas di ottosillabi, poi nella vuelta ritornano non solo le rime della cabeza ma
addirittura si ripetono gli ultimi due versi.
Ci troviamo di fronte a una nuova forma metrica anch’essa tipica della tradizione sia colta sia
popolare spagnola che ha questa struttura tripartita dove vi è l’introduzione di un tema, lo
sviluppo tematico e poi il ritorno, sempre con versi ottosillabi e rima consonante (la rima
consonante è più propria della tradizione colta e quella assonante della tradizione popolare).
21.02.22
Avevamo visto due correnti filosofiche sottese alla poesia dell’amor cortese:
1. Ascetico-cristiana: vede il soggetto poetico in forte conflitto con l’innamoramento.
2. Neoplatonica: vede il soggetto poetico meno in conflitto proprio perché nella donna si
riflette l’immagine della perfezione divina per cui amare la donna non è contrario né
alla ragione né al volere di Dio
Questo lo abbiamo visto in diverse poesie che in qualche modo sono una imitazio l’una
dell’altra: poesia di Soria (ajenos so no son mios) e di Sanchez de Badajoz (el bien que mi
mal alcanza)
Invece nella poesia cortese il soggetto poetico si dirige alla morte per esprimere il suo
personale desiderio di morte, non il disprezzo, proprio perché in essa ravvede l’unica
possibile liberazione dalla sua sofferenza.
METRICA:
Tre quintillas di versi ottosillabi con rima consonante A-B-A-A-B poi cambia la rima. La
struttura è quella di un villansico per la vuelta della rima della prima strofa e anche ritorno
del verso “no tener vida conmigo” che varia “no tener guerra conmigo”. Consideriamo che il
villansico, forma più strettamente popolare, è solita prendere la cabeza da una rima popolare
anonima e poi il poeta incorpora come cabeza quella rima popolare anonima e la glossa nella
mudanza. Quando la cabeza è frutto dello stesso poeta, quindi non è un elemento prestato dal
caudal orale anonimo, allora in quel caso anziché villansico si chiama canción. Questa in
realtà è più propriamente una canción perché la cabeza non è un proverbio/ritornello popolare
che il poeta colto glossa ma è frutto della stessa penna dell’autore.
Comendador de Escrivá
Ven muerte tan escondida
Que no te sienta comigo
Porque el gozo de ir contigo
No me torne a dar la vida.
Io voglio morire, quindi vieni morte, ma non ti far sentire perché sennò gioisco a tal punto
che rivivo (concettismo tipico)
Ven como rayo que hiere,
Que hasta que ha herido
No se siente su ruido,
Por mejor herir do quiere:
Assí sea tu venida:
Si no, desde aquí me obligo
Que el gozo que avré contigo
Me dará de nuevo vida
Paradosso di un desiderio così forte di morte che se il soggetto poetico si accorge che la
morte sta arrivando rivivrà. Anche qui questo apostrofe alla morte ha il tono di un vero e
proprio corteggiamento amoroso: l’oggetto del desiderio viene sostituito, non è più la donna
ma è la morte. La donna è ormai sparita, non viene neanche detto più il perché si invoca la
morte. Si invoca come fosse l’amante la morte e la causa di questa richiesta è del tutto sparita
(non si parla ne di amore, ne di sofferenza d’amore ne di donna). Come facciamo a capire che
l’invocazione alla morte è dovuta alla pena d’amore se questa non viene mai nominata? Nella
poesia di Manrique c’era un riferimento implicito (ferita anche se non viene esplicitato che è
una ferita d’amore), qui invece non c’è nessun riferimento né alla donna né alla sofferenza
d’amore, quindi la morte diventa oggetto assoluto del desiderio/dell’invocazione in una totale
sostituzione della donna amata.
Cartagena
No sé para qué nascí,
pues en tal estremo estó,
que el morir no quiere a mi
y el vivir no quiero yo.
Todo el tiempo que biviere
terné muy justa querella
de la muerte, pues no quiere
a mí, queriendo yo a ella.
¿Qué fin espero de aquí,
pues la muerte me negó,
pues que claramente vio
que era vida para mí?
Si tratta di alcuni problemi tecnici ma non solo. Nei sonetti di Santillana troviamo anche un
uso un po’ grossolano di certi motivi tematici, per esempio l’iperbole sagrada che in Petrarca
è condotta con tale eleganza: pensiamo ai giochi fonici tra Laura – l’Aura – Lauro, così come
nella sua poesia Laura è una donna angelicata perché è riflesso della claritas divina.
Vediamo come gestisce l’iperbole sagrada, tipica della poesia italiana, Santillana.
Soneto XXXVII
Adivinativos fueron los varones
de Galilea, cuando los dexó
nuestro Maestro, mas sus coraçones
non se turbaron punto más que yo (ripio)
Gli uomini della Galilea sono gli apostoli e il nostro Maestro è Gesù Cristo. Egli lasciò gli
apostoli quando va il golgota alla crocifissione, quindi quando li lasciò per andare a morire.
Qui sta stabilendo una comparazione tra la sofferenza degli apostoli e la propria.
Compara gli effetti del viaggio della propria amata che sta partendo, si sta allontanando da
lui, con lo scoramento degli apostoli senza Cristo che è andato a morire. Quindi compara la
scomparsa di Cristo nella morte con la scomparsa dell’amata nel viaggio e compara la
sofferenza degli apostoli con la propria. È più di un iperbole sagrada, compara
l’allontanamento dell’amata per un viaggio con la sparizione di Cristo data dalla sua morte.
Non solo, poi compara il ritorno dell’amata con il ritorno di Cristo come spirito santo, cioè
con la resurrezione.
METRICA: il primo verso è un dodecasillabo e non si può applicare né la sinalefe perché non
ci sono incontri vocalici né la legge di Mossafia perché il verso non è sdrucciolo. Il quarto
verso: punto potrebbe essere tradotto come “affatto”, è un rafforzativo, ma è a tutti gli effetti
un ripio (se lo togliamo non cambia il senso), è un vero e proprio riempitivo che gli serve per
raggiungere la misura metrica dell’endecasillabo.
Tra la prima e la seconda terzina troviamo un encabalgamiento violento: anziché operare tra
due versi, opera tra due strofe. Si va a capo non nel verso successivo ma nella strofa
successiva.
Qui le rime acute almeno nelle prime due quartine e nelle due terzine si alterna una rima
piana a una rima acuta, anche questo non è del tutto rituale.
Qui la soluzione non è invocare la morte ma invocare la pietà della donna. La donna è signora
e l’amante è il vassallo
carcel de amor, chiarissimo topos dell’amor cortese (donna come signora e amante come
prigioniero contento di tale prigionia).
Troviamo il paradosso del dolore dilettevole, cioè di trarre godimento nella sofferenza.
Santillana compara la donna a Elena, la Elena per antonomasia è Elena di Troia (considerata
la donna più bella del mondo, casus belli della guerra di troia). Quindi qui l’iperbole non è
sagrada ma mitologica perché la comparazione è con questo tempio di bellezza che è Elena di
Troia.
Troviamo anche qua la rima acuta nelle quartine mentre nelle terzine smette la rima acuta.
Troviamo tantissimi encabalgamientos. Pur essendo Santillana un poema di spessore, quando
intende farsi imitatore degli italiani, di importare il sonetto nella lingua spagnola, deve
necessariamente fare un lungo rodaggio per superare tutti quegli elementi di immaturità sia
tecnica sia di ispirazione che poi verranno pienamente risolti in poeti come Garcilaso e
Herrera. Chi lo aveva preceduto nel petrarquismo è Francisco Imperial.
GARCILASO
Ci comincia a trasportare fuori dall’ortodossia del canone cortese. Garcilaso è un poeta del
500, quando ancora quel canone è in vigore e tuttavia incomincia a presentare delle aperture,
degli adattamenti a una nuova mentalità. Con lui arriviamo ad una soglia che ci trasporta al di
fuori dell’ortodossia cortese.
Sonetto XXIII
Esprime uno dei macrotemi rinascimentali, uno dei temi più frequentati dai poeti del tempo
cioè la bellezza e la vitalità giovanili trasformati per opera del tempo che invita a godere della
gioventù. Cioè, considerata la fugacità della vita tanto vale godere della gioventù. È il topos
del carpe diem (solo apparentemene allegro e vitalistico dato questo invito a godere
dell’attimo che si giustifica per la consapevolezza drammatica del passaggio del tempo che
tutto invecchia e che tutto fa morire). Sempre nella logica della imitazio e della riscrittura,
questa è una vera e propria riscrittura di una poesia italiana del Tasso, ma non di Torquato
Tasso bensì di suo padre Bernardo, poeta anch’egli. La poesia in questione ha come titolo
“mentre che l’aureo crin v’ondeggia intorno” (mentre che i capelli biondi vi ondeggiano
intorno).
Abbiamo rappresentata l’immagine della gioventù della donna alla quale il poeta si rivolge:
dice finchè sei giovane approfittane prima che arrivi la vecchiaia, senso banale ricamato con
tante immagini e motivi ben concertati. Abbiamo la presentazione della giovinezza e bellezza
della donna, dice che di colore rosa e bianco si mostra il suoo aspetto. Abbiamo due elementi
simbolici, la rosa e il giglio (rosso e bianco) e questi due elementi rappresentano
simbolicamente sia un aspetto fisico della donna (la sua bellezza giovanile), sia invece il suo
atteggiamento sentimentale perché la rosa rossa indica sia il colorito delle gote, quindi
bellezza perché vuol dire una persona non pallida, sia la passione. Quindi notiamo il
cromosimbolismo (valore simbolico dei colori, rosa = bellezza e passione), mentre il giglio
bianco è candore e innocenza, cioè una pelle bianca su cui spiccano le gote rosse ma la pelle
è bianca e immacolata, secondo il canone estetico dell’epoca la pelle bianca esprime la luce
che poi è luce divina.
All’opposizione simbolica rosa-azucena (passione//innocenza, entrano in una relazione
dicotomica, la gioventù è passionale ma anche innocente, non c’è contraddizione)
corrispondono gli aggettivi del terzo verso: ardiente, che fa coppia con rosa, honesto che fa
coppia con azucena. Lo sguardo è sia ardente come la passione simboleggiata dalla rosa sia
onesto come l’innocenza rappresentata dal giglio. Nello stesso modo nel verso successivo, i
verbi enciende e refrena entrano in consonanza il primo con rosa ardiente e il secondo con
azucena honesto.
Abbiamo due colonne simboliche: rosa, ardiente, enciende; azucena, honesto, refrena.
Architettura perfetta, la rosa simboleggia il rosso, la passione, il cuore ardente che si
infiamma, il giglio rappresenta il candore dell’incarnato che anch’esso è bellezza, l’onestà
della fanciulla che raffrena il cuore. Se la rosa lo infiamma il giglio raffrena quella passione.
Nella prima quartina abbiamo la presentazione delle qualità fisiche e delle qualità morali
della donna che è rappresentativa della giovinezza.
La seconda quartina insiste nella rappresentazione delle qualità fisiche e animiche della
ragazza ma pende tutta dal lato della passione giovanile: elimina di quella dicotomia la
seconda colonna, quella del candore e dell’innocenza, e valorizza la prima colonna della
passione attraverso delle immagini simboliche tipiche della sensualità. Non parla di capelli
raccolti, ordinati, domati, ma di capelli sciolti, discinti, biondi (canone estetico dell’epoca:
claritas, biondezza, bianchezza). Questa è un’immagine fortemente sensuale di una donna con
la capigliatura completamente spettinata dal vento che secondo una efficace progressione
espressiva li muove, li sparge e li disordina. Pensiamo alla Venere di Botticelli, con capelli
biondi discinti, è un’immagine di sensualità che valorizza la prima colonna dicotomica della
prima quartina.
coged de vuestra alegre primavera primavera: simbolo di giovinezza
el dulce fruto, antes que el tiempo airado
cubra de nieve la hermosa cumbre. Neve, vetta: simbolo dei capelli imbiancati
Nella prima terzina entra la frase principale con il carpe diem. Anche la struttura sintattica è
molto sapiente: abbiamo nelle due quartine una sequenza di subordinate temporali (finchè;
finchè; finchè) e soltanto nella prima terzina giunge la preposizione principale con il carpe
diem.
Nel secondo verso troviamo ben tre sinalefi, che funzione espressiva hanno? Se un verso è
fortemente accorciato si imprime una maggiore rapidità d’enunciazione perché la sinalefe è
una contrazione che consente di enunciare in modo contratto e soprattutto imprimo un ritmo
più rapido al verso. Se poi consideriamo i due encabalgamientos che caratterizzano questa
strofa, ecco che il poeta ha voluto imprimere a questa strofa un’accelerazione del ritmo di
enunciazione che corrisponde al tema della fuga del tempo: questo ritmo rapido sembra
proprio esprimere la fuga del tempo che è il submotivo del carpe diem. Il complice supremo
del cammino della vita nella direzione della morte è proprio il tempo, visto come un
divoratore e questo angoscioso e rapido sfilare delle ore. Quindi questo senso della cavalcata
del tempo è dato anche proprio dalle soluzioni ritmico-metriche di questa strofa.
L’unica cosa che non cambia è la legge del tempo che tutto cambia e fa morire.
Immagine della rosa che torna nella prima terzina: nella prima quartina era immagine di
bellezza e di passione, qui invece abbiamo l’immagine della rosa nell’ambito del carpe diem.
Ci troviamo praticamente di fronte non al carpe diem ma al carpe rosam, cioè il carpe diem
viene declinato sottoforma di carpe rosam.
Messaggio filosofico di carattere epicureista e oraziano del godimento della vita: questo
motivo è solo apparentemente gioioso perché sottende la percezione del mondo sulla specie
mortalitis, tutto muore, questa è la premessa del carpe diem, che è una premessa tutt'altro che
gioiosa. A questa premessa, tutto muore, si dà una soluzione del tutto anticristiana, cioè godi
dell’attimo, assolutizza l’attimo. Prima quando parlavamo del vanitas vanitatum dicevamo
che dato che tutto torna cenere tanto vale distaccarsi dalla vita terrena e proiettarsi sulla vita
vera che è quella dell’aldilà, in quel caso alla consapevolezza della fugacità della vita si dava
una soluzione cristiana, qui invece si da una soluzione anticristiana perché si dice di
assolutizzare l’attimo presente, di non pensare al dopo ma di potenziare l’ora (it et nunc, qui e
adesso), quindi non la dimensione trascendente dell’aldilà, ma l’immanenza dell’aldiqua.
Si potrebbe trovare al senso della morte una soluzione anziché trascendente, oltremondana,
una soluzione immanente, intramondana diversa dal carpe diem? Se volessimo dare
continuità alla vita umana, una qualche forma di compensazione alla vita umana senza
pensare alla dimensione religiosa dell’aldilà ma continuando a pensare alla dimensione
immanente dell’aldiqua, c’è un modo per sopravvivere? La fama, rimanere impressi nella
memoria delle persone attraverso l’opera e finchè viviamo nella memoria delle persone non
moriamo; abbiamo poi il carpe diem; poi abbiamo una soluzione molto fisico-genetica cioè la
procreazione che ci consente di perdurare nei figli perché qualcosa di noi c’è a livello
biologico (permanenza dell’io nel corpo dell’altro)
L’altra soluzione per pensare a una continuità della vita intramondana e non oltremondana è
di carattere più mitologico, cioè l’idea dell’eterno ritorno che annulla il tempo perché lo
rende reversibile: tutto torna, tutto rinasce, la materia si rigenera, se tutto muore è anche vero
che tutto rinasce. Idea di vita come un ciclo di morte e rinascita e quindi una visione circolare
del tempo anziché lineare. Poi c’è il carpe diem che è un ulteriore risposta al senso della
fugacità della vita.
La seconda terzina è una specie di coda: l’asse tematico viene reiterato (passare del tempo e
fugacità della vita) però viene collocato su un terreno impersonale, non è più “la tua vita,
donna, finchè sei giovane approfitta”, ma è la legge universale che colpisce tutto. Quindi
l’asse tematico della fuga del tempo viene collocato su un terreno impersonale che riguarda
tutta l’umanità e non soltanto l’interlocutrice del poeta.
Gioco di parole mudarà-hacer mudanza: si tratta di un anonimazio, cioè ripetere lo stesso
lessema variato nella sua forma.
Simboli disemici: simboli che non hanno un valore univoco ma mutevole a seconda del
contesto.
- ROSA: nella prima strofa indica il simbolo della gioventù e della bellezza giovanile.
Nell’ultima strofa invece è il simbolo della fugacità, di quella bellezza fugace. Questo
perché la rosa è il fiore che rappresenta la bellezza per eccellenza, ma anche il fiore
effimero per eccellenza. Mai come nel caso della rosa, dallo stato di infiorescenza allo
stato di marcescenza passa al massimo un giorno.
- VENTO: nella seconda quartina è un agente di sensualità, vento che rende discinta la
fanciulla scompigliando i suoi capelli. Nell’ultima strofa invece rappresenta la fuga del
tempo. Il vento è qualcosa di volatile e come tutto ciò che vola rappresenta non solo la
libertà ma anche qualcosa di effimero. Quindi in questa seconda occorrenza, il simbolo
del vento negativizza il suo statuto simbolico, non è più positivo ma negativo perché
rappresenta il tempo che fugge
- BIANCO: nella prima quartina rappresentato dal giglio indicava bellezza giovanile,
innocenza e purezza, così come il bel collo bianco della seconda quartina. Mentre sotto
forma di neve il bianco negativizza il suo statuto simbolico perché rappresenta la morte.
Vediamo come in realtà gli stessi elementi simbolici punteggiano tutta la poesia in realtà con
valenze opposte (negativa-positiva-negativa-positiva).
Questo sonetto che invita la donna al godimento e che soprattutto ha una carica sensualistica
così forte nelle sue immagini e poi l’imperativo “godi, finche sei giovane”, non sembra essere
un po’ fuoriuscito da quel canone dell’amor cortese dove non si parlava mai ne di tratti fisico-
somatici delle donna, né abbiamo mai visto un minimo riferimento alla sensualità e al
godimento? Siamo infatti entrati in un’altra dimensione, ossia quella del 500.
GARCILASO
Poeta petrarquista, si incontra il petrarquismo nella prima metà della sua vita scrive come
tutti i poeti spagnoli con l’ottosillabo, sottoforma di canciones ma a un certo punto inizia la
tappa italianista, in particolare nel 1531 dopo un viaggio a Napoli. Entra in contatto diretto
con la letteratura italiana e con i poeti rinascimentali italiani e quindi comincia a cimentarsi
nella produzione di sonetti alla maniera petrarchesca. Ma non solo, per questi poeti del
rinascimento l’altra grande moda letteraria che si afferma nelle lettere europee è quella del
bucolismo, poesia pastorale. Qual è la caratteristica della poesia pastorale? I protagonisti sono
dei pastori inseriti in un ambiente agreste. I protagonisti sono si pastori, ma idealizzati: sanno
di filosofia, di poesia, che sono musici, suonano, si intrattengono con dialoghi filosofici sulla
prevalente tematica amorosa, in una cornice campestre a sua volta idealizzata: è fatta di
uccelletti, di fronde fresche, di ruscelletti, prati una natura bucolica, un locus amenus. Anche
qui c’è una forte portata simbolica/ideologica che è la contrapposizione alla vita cittadina
caratterizzata viceversa dal vizio, dalla corruzione, mentre la campagna idealizzata
rappresenta la virtù, il vivere lontano dagli affanni, dai beni materiali e dare il giusto peso alle
cose che contano. Un modello contemporaneo italiano per questi autori spagnoli era
l’Arcadia di Sannazzaro, autore italiano che si fa portavoce nel 500 di questa moda.
Naturalmente una delle caratteristiche della poesia pastorale che è una delle fonti di
ispirazione (oltre al petrarquismo) di Garcilaso è la riscoperta della natura,
con tutto ciò che comporta in termini anche umani, inoltre Garcilaso appartiene ormai a
un’epoca in cui ci fu un grande cambiamento ideologico: avviene uno spostamento d’asse
radicale, l’uomo è al centro di tutte le cose, l’uomo libero artefice di se stesso, l’uomo
recuperato nella sua complessità di anima e corpo, superare la dicotomia anima-corpo,
l’uomo è anima e anche corpo e questo fa dell’uomo ciò che è e poi soprattutto uno
spostamento di interessi dalla trascendenza all’immanenza, una propettiva sostanzialmente
immanentista e antropocentrica, non più teocentrica (agire in funzione della divinità e del
rapporto della vita umana con il trascendente). Questo facilita il recupero anche della
dimensione corporea, sensualistica, sessuale. Ecco perché Garcilaso ci trasporta verso
un’altra poesia.
Non è poesia erotica quella di Garcilaso, perché nella poesia erotica l’erotismo come tema
principale è soprattutto espresso in termini espliciti, non allusivi e indiretti.
28.02
Tessuto linguistico molto concettista. Il soggetto poetico va a trovare la sua donna e la trova a
petto nudo (circostanza assolutamente anticortese, la donna non è raggiungibile fisicamente
se non con il pensiero e tanto meno non la si può trovare svestita), così pone i suoi occhi sul
suo petto con l’intenzione di raggiungere la bellezza dell’anima che si nasconde dietro al
petto. Quindi abbiamo due bellezze, quella fisica e quella spirituale che nell’anima trova
simbolicamente la sua sede. Tuttavia, l’incontro con la bellezza corporale fa trattenere gli
occhi sulla bellezza esteriore finchè la donna scopre che sta scrutando la bellezza del suo
corpo, si copre con la mano il petto impedendo entrambe le visioni (non solo quella esteriore
ma anche quella interiore). Garcilaso sta giocando con la polarità dentro-fuori, la bellezza
interna si raggiunge penetrando la soglia della bellezza fisica che trattiene lo sguardo e a quel
punto gli viene negata anche la visione della bellezza fisica perché la donna si copre. A quel
punto tutto gli risulta impedito, anche non essere passato oltre la gonna.
Ultimo verso esplicito, non voleva passare solo oltre il petto per raggiungere l’anima ma
voleva anche passare oltre la gonna per raggiungere anche l’atto sessuale. Qui il riferimento
erotico è esplicito, però è espresso in maniera eufemistica attraverso l’uso di una lingua
straniera, cioè l’italiano. È ovvio che per un lettore spagnolo questo verso è incomprensibile,
quindi quel riferimento esplicito di carattere erotico di fatto viene occultato che in questo
caso assume un valore eufemistico. Riferimento erotico velato
Kate Wildom: per rivedere questo riduzionismo platonico fa leva ancora una volta sul valore
eufemistico di certo lessico ricorrente nell’ambito dell’amor cortese. Determinati termini
chiave che ritornano spesso potrebbero avere un significato secondo, quindi avere una
funzione eufemistica di copertura di un significato secondo erotico. Termini come: morire,
gloria, remedio, galardón (nel senso di ricompensa, spesso l’amante cortese chiede alla sua
amata una ricompensa per il suo sacrificio d’amore. A livello letterale la ricompensa è quella
di non ignorarlo, di non infierire…). Wildom dice che lo stile concettista che caratterizza
questa poesia si basa proprio sull’ambiguità e sul doppio senso, sui riferimenti obliqui, sul
decir callando, giochi di parole. Se è vero che questa poesia si basa su questo concettismo
caratterizzato da questi doppi sensi, allora bisogna attribuire un significato erotico anche a
parole apparentemente innocenti. Ad esempio, morire e gloria alluderebbero alla
culminazione erotica e il galardon e il remedio che spesso l’amante cerca alla propria
sofferenza non fanno altro che alludere alla concessione del corpo della donna come premio
per il suo martirio d’amore.
Si propone quindi una doppia lettura di questi testi, tuttavia dobbiamo rispondere
oggettivamente che due motivi hanno un’importanza assoluta nell’amor cortese, che in
qualche modo mettono in difficoltà l’interpretazione erotica. Cardini ideologici dell’amor
cortese
1. Accettazione di accontentarsi con la sola contemplazione dell’amata, perché la
sofferenza è una prova d’amore che innalza l’anima dello stesso amante. Questo è un
tema fondante dell’amor cortese e che mette in discussione la sua pretesa erotica
2. La donna è una donna sdegnosa, che spesso neanche sa di essere oggetto del desiderio
3. Natura stessa del desiderio, dato che “concluir desfache lo que el desear aviva”: il
desiderio si accende quanto più rimane insoddisfatto, invece l’ottenimento del corpo
rischierebbe di spegnere la tensione del desiderio.
Un altro critico risponde a Wildom dicendo che “la literatura se debe interpretar por lo que
dice y no por lo que caza”, questi testi dicono che la dama è inaccessibile e che l’amore
rimane senza soddisfacimento.
Non conviene estremizzare le due posizioni: è possibile percepire delle venature di erotismo,
soprattutto nei poeti che all’interno del canone cominciano ad avvicinarsi al 500 (come
abbiamo visto nel caso di Garcilaso) ma neanche estremizzare la posizione di chi
assolutamente nega questo possibile riduzionismo platonico.
AMORE MISTICO
Nella letteratura mistica succede il contrario di quanto avviene nell’amor cortese: se
nell’amore cortese abbiamo visto l’uso di un lessico religioso per esprimere un amore
profano, qui il linguaggio dell’amore profano (quindi anche della sessualità) si mette al
servizio dell’espressione dell’amore sacro. Si crea un vero e proprio chiasmo. Gli
interlocutori della comunicazione amorosa sono l’amato (Dio) e l’innamorata, cioè l’anima
del credente. Il soggetto poetico diventa femminile anziché maschile, perché simbolicamente
l’amata rappresenta l’anima del credente e l’oggetto del desiderio è Dio. I massimi
rappresentanti della letteratura mistica spagnola, che ha espresso i massimi poeti mistici, sono
San Juan de la Cruz e Santa Teresa.
San Juan de la Cruz, poeta del 500 come Garcilaso (fonte importante per San Juan de la
Cruz), autore di quattro opere lirico-dottrinali (opere poetiche ma con messaggio dottrinale),
composte dal 1577-1584.
- Subida del Monte Carmelo
- Noche Oscura del Alma
- Cantico Espiritual
- Llama de Amor Viva
Cantico Espiritual, si presenta a tutti gli effetti come un poema d’amore. La storia è
l’incontro, lo scontro, la separazione e il nuovo incontro tra due amanti che aspirano alla
consumazione dell’unione amorosa. L’epilogo infatti è l’appagamento di questa unione
amorosa. Si tratta di un poema lirico, ma anche drammatico perché non vi è soltanto
l’effusione sentimentale dei due soggetti poetici, ma anche drammatico perché vi è a tutti gli
effetti la narrazione di una storia (in versi ma vi è un forte carattere narrativo), tanto che
possiamo individuare almeno tre segmenti narrativi
1. Ricerca dell’amato fuggito: l’amato se n’è andato, non sappiamo le circostanze di
questa fuga, quindi l’amata esce di notte alla ricerca disperata del suo amato, in
questa ricerca notturna chiede ai pastori che incontra di trasmettere messaggi
d’amore al suo amato se l’hanno visto. Cerca degli intermediari capaci di metterla
in contatto con il suo amato fuggito e anzi estende la ricerca di questi intermediari
anche alla natura tutta: non soltanto ai pastori ma anche agli alberi, agli animali,
fiori… a tutti gli elementi della natura che possono aver visto il suo amato.
Dopodichè mette di cercare intermediari che non sono in grado di svolgere questa
funzione di ponte tra lei e l’amato e si rivolge in termini concitati direttamente
all’amato, lo invoca di consegnarsi a lei direttamente senza intermediari. Lo invoca
di tornare e di manifestarsi. Questa richiesta raggiunge dei livelli anche così
disperati e aggressivi da maledire l’amante (elemento che non troveremo mai
nell’amor cortese, vi è un’accettazione storica della sofferenza. Questa donna
invece non sopporta la sofferenza ingenerata in lei dalla fuga del suo amante) e
chiede la presenza dell’amato. L’immagine raccontata dagli intermediari non le
basta più, reclama la presenza fisica/corporea
2. Apparizione dell’amante: l’amante è tornato e si è manifestato a lei davanti ai suoi
occhi, generando in lei un trastorno, una situazione emozionale molto forte. Quindi
l’avvicinamento, l’incontro, il ritorno.
3. Unione fisica, amorosa che genera un’estasi di felicità con una specie di scena
idíllica dopo la prima unione amorosa in cui i due amanti assaporano gli effetti della
loro unione. Ricomincia una seconda volta l’eccitazione erotica, si determina una
seconda unione amorosa e poi una nuova quiete dopo la tempesta.
L’erotismo nel Cantico Espiritual è indubbio, ma anche in questo caso molto controversa è la
sua interpretazione. C’è che dice di non voler cercare un significato secondo a un significato
letterale che è quello di un incontro amoroso tra due amanti, che si sono prima lasciati e poi
ritrovati, quindi con tutto il pathos del ritorno inaspettato. Quindi c’è chi si rifiuta di vedere in
questo testo un’allegoria di carattere religioso, cioè vedere nell’unione erotica l’immagine
allegorica dell’unione mistica perché il simbolismo religioso rimanderebbe a un significato
secondo che alcuni lettori dicono che basta leggere il significato letterale e si trova una bella
storia d’amore e non per questo la si debba interpretare in senso religioso. Tuttavia, ci sono
dei dati a sostegno dell’interpretazione allegorica, e dei dati inconfutabili:
- Titolo: Cantico Espiritual
- San Juan de la Cruz ha prodotto un commento in prosa a questa sua opera e nei suoi
commenti fornisce chiaramente l’interpretazione religiosa.
- Spie terminologiche disseminate nel testo che ci autorizzano a leggere il testo in senso
religioso. Quindi vedere l’unione d’amore come immagine dell’unione mistica.
Tre segmenti narrativi che non a caso corrispondono con le 3 fasi del processo mistico, cioè:
1. Via purgativa: corrisponde al primo segmento cioè alla fuga e alla ricerca affannosa
dell’amato. Via purgativa cioè l’anima del credente deve purificarsi dai vizi prima di
unirsi a Dio attraverso la mortificazione, ecco che Dio che dovrebbe corrispondere
l’amata invece fugge dall’amata perché è funzionale a indurre in lei uno stato di
sofferenza utile a purgare la sua anima. Lei è costretta a cercare Dio (ricerca anche in
senso simbolico. Sul piano letterale è l’amata che cerca fisicamente Dio che è
scappato, sul piano simbolico è la ricerca di Dio in senso spirituale, quindi predisporre
la propria anima all’incontro con Dio attraverso la mortificazione e il dolore)
2. Il secondo sengmento narrativo è l’incontro tra i due amanti che corrisponde alla via
illuminativa del processo mistico
3. Il terzo segmento narrativo è l’unione amorosa, che rappresenta la via unitiva del
processo mistico
ANALISI
¿Adónde te escondiste,
amado, y me dejaste con gemido?
Como el ciervo huiste,
habiéndome herido;
salí tras ti, clamando, y eras ido.
Bisogna sottolineare il fatto che diversamente dalla poesia cortese ci troviamo davanti a una
cancion de mujer: il soggetto poetico è femminile ed è una grande novità. Tra l’altro la donna
si configura come una vittima passiva dell’abbandono. Tuttavia, questa passività sfuma
nell’ultimo verso dove la donna esce a cercare l’amato. Prima dice che si dispera poi esce a
cercarlo, quindi acquisisce di botto un ruolo attivo. Esce di notte addentrandosi nei boschi per
cercarlo.
Poi bisogna notare la comparazione dell’amato come il cervo che ferisce e fugge. Il cervo è
dotato tradizionalmente di un simbolismo erotico: è qualcuno che ha sedotto (ferito in questo
senso) e se n’è andato. Il ruolo attivo della donna si amplifica vie più nel corso delle strofe
successive.
Nella seconda strofa trasmette il suo messaggio d’amore ai pastori e chiede dell’amato alle
creature tutte. È una donna guerriera. Notiamo l’esigenza del segreto dell’identità del suo
amato, non dice il nome di un amato. Questa esigenza del segreto è tipica dell’amor cortese,
dove la donna viene chiamata sempre con un senal perché in quella società cavalleresca la
donna doveva essere rispettata nella sua reputazione e quindi il segreto d’amore è non solo
verso la donna ma anche verso la società.
Comunicazione delle pene d’amore avviene attraverso un elenco progressivo asindetico. Il
polisindeto riguarda la sintassi, cioè quando una frase è costruita con molti nessi e
proposizioni, mentre l’asindeto è l’eliminazione dei nessi di congiunzione, quindi vediamo ad
esempio “adolezco, peno y muero”: vediamo una progressione innanzitutto nella temperatura
della pena, c’è una progressione espressiva molto efficace. Poi la struttura asindetica, cioè
l’eliminazione di ogni nesso di congiunzione conferisce all’espressione un ritmo incalzante,
più veloce che corrisponde alla forza del sentimento. Ricordiamo Garcilaso “el viento mueve,
esparce y desordena”, un po’ la struttura è la stessa, un’elencazione progressiva e asindetica.
Nella seconda strofa è interessante la cornice pastorale, tipicamente rinascimentista. Ne
abbiamo parlato anche con Garcilaso, paesaggio bucolico, tranquillo, che li concorda con
l’intensità del sentimento del pastore. Qui vediamo la comparsa della natura che sembrerebbe
bucolica, però questo locus amenus si trasforma improvvisamente in un locus éremus, cioè in
una natura aggressiva e violenta quando nella terza strofa compaiono elementi assolutamente
anomali nel bucolismo: fiere, frontiere, forti (entrambi rimandano alle guerre). Quindi se
ancora i primi due versi della terza strofa insistono nell’ambiente pastorile (monti e rive),
improvvisamente cambia la natura benigna a natura maligna già quando dice che i fiori non
verranno colti, poi introduce fiere, forti, frontiere. Siamo passati da un locus amenus a un
locus eremus che corrisponde perfettamente con lo stato d’animo del soggetto poetico che è
uno stato d’animo inquieto, aggressivo di chi sta soffrendo. Non sarebbe stato coerente o un
vero e proprio rispecchiamento paesaggistico dello stato d’animo del soggetto poetico il
permanere di una cornice bucolica.
La terza strofa è interessante per la sua costruzione: ha una costruzione polisindetica, c’è
un’insistenza ritmica su questi nessi di congiunzione, è una struttura parallelistica (gli
elementi sono in tutti i versi aggruppati per coppie: ni cogeré las flores, ni temeré las fieras),
costruzione anaforica (ripetizione dello stesso termine a inzio verso, figura retorica molto
tipica del parallelismo: ni, ni).
Gia in queste prime tre strofe possiamo individuare alcune importanti fonti letterarie di San
Juan de la Cruz, ma è un poeta il cui uso delle fonti è assai stravagante, usandole in modo
rovesciato:
- Letteratura pastorale: presenza di una natura bucolica sebbene subito convertita in un
locus eremus proprio in accordo con lo stato d’animo della protagonista, che è quello di
una sofferenza e non di una pace amorosa
- Amor cortese: almeno per quanto riguarda uno dei suoi topos, cioè il segreto d’amore
- Lirica popolare: dove impera il genere della cancion de mujer, dove la poesia d’amore
spesso è poesia di donna.
Parliamo di uso anomalo di queste fonti perché è vero che usa la letteratura pastorale ma ne
rovescia il segno, è vero che usa alcuni topoi dell’amor cortese ma all’interno dell’amore
mistico, è vero che usa la lirica popolare nella sua forma esterna di cancion de mujer però in
realtà non si tratta di una vera e propria donna ma dell’anima del credente.
Bisogna citare la macrofonte, fonte più importante, proprio perché il Cantico Espiritual si
pone come una sorta di riscrittura del Cantar de los Cantares (Cantico dei Cantici), dal quale
riprende a larghe mani l’allegoria amorosa per rappresentare l’unione mistica, quindi riprende
l’idea di base ma anche concrete immagini, immagini puntuali.
Si stabilisce una relazione ipertestuale tra il Cantico Espiritual e il Cantico dei Cantici.
Sia nella intertestualità sia nella ipertestualità abbiamo la presenza di un testo A in un testo B
ma le modalità di questo rapporto sono molto diverse.
Intertestualità: il testo B è un testo totalmente autonomo rispetto ad A e si limita a citarlo, ad
alludere a un elemento che risulta funzionale al proprio discorso ma che è un discorso
assolutamente autonomo
Ipertestualità: tra il testo A e il testo B c’è una relazione genetica perché il testo B è una vera
e propria riscrittura del testo A. Si appropria di tutta la storia e la riscrive. Naturalmente il
processo di riscrittura necessita delle modifiche, delle varianti, altrimenti si tratterebbe di un
plagio, però delle invarianti devono permanere per fondare la riconoscibilità del testo A,
affinchè quella relazione sia riconoscibile.
San Jua prende quella storia, con quei segmenti narrativi, con quelle caratteristiche e la
riscrive a modo suo stabilendo una relazione riscrittruale con il suo testo fonte e quindi
partecipando a ciò che Gerard Genette, teorico della letteratura, ha chiamato ipertestualità per
distinguerlo alla intertestualità.
L’amata chiede alla natura tutta di aiutarla in questa sua ricerca. Abbiamo detto che ci sono
alcune spie testuali che garantiscono la lettura allegorica di questo testo, qui ce n’è una:
rivolgendosi all’amato come il creatore parla evidentemente di Dio e non di un amante
umano.
Dio che passa per la natura e la contamina con la propria perfezione e bellezza, quindi la
natura è il libro scritto da Dio, è il riflesso della sua perfezione, la natura è opera di un
creatore sapiente, quindi la perfezione della natura rivela l’esistenza di Dio, in questo caso la
presenza.
Due strofe chiaramente una spia testuale della natura divina dell’amato.
La donna richiede la consegna diretta del suo amante rifiutando ogni intermediario perché
sono incapaci di veicolare un messaggio a Dio. Il lloro linguaggio è insufficiente perché
l’esperienza di Dio è ineffabile.
Grido di sofferenza che si concretizza in una domanda retorica (quien podrá sanarme,
nessuno non c’è risposta). Questa domanda retorica e questo grido di sofferenza da proprio la
misura dell’insufficienza di questi messaggeri d’amore. Questo è un motivo tipico del
romanzo sentimentale, della novella cavalleresca, che è un’altra fonte letteraria per San Juan,
cioè la presenza del messaggero d’amore, tuttavia qui viene rifiutato. Anziché essere la
chiave di volta, la soluzione di un nodo narrativo intricato come suole essere nella letteratura
cavalleresca, qui il messaggero d’amore è rifiutato in quanto insufficiente
La venenza del desiderio si esprime sia sul piano dei contenuti ma anche e soprattutto dal
punto di vista formale, cioè della costruzione della frase.
v.4 iperbaton, la costruzione regolaredella frase sarebbe “de hoy no quieras enviarme más
mensajero”, che viene invece invertito mediante l’iperbatos che rende disordinato il costrutto.
Oltre a questo iperbaton, abbiamo una concordanzia ad sensum che riguarda il verbo saben.
Mensajero è soggetto singolare, il verbo è al plurale, quindi non vi è una concordanza
grammaticale tra verbo e soggetto ma solo una concordazia ad sensum. Abbiamo quindi una
frase completamente disarticolata attraverso l’iperbaton e la concordanzia ad sensum questi
due. Questo disarticolare la sintassi di fatto riflette la situazione animica emotiva del
personaggio che è in subbuglio. Lei si sente così sottosopra in una situazione di reale
trastorno emozionale che trova un’efficacissimo rispecchiamento nel modo di parlare, dal
punto di vista formale della costruzione della frase, al punto tale che potremmo parlare di un
errore espressivo proprio perché questo disordine è funzionale a esprimere anche sul piano
formale il trastorno emozionale del soggetto poetico.
Non è la prima volta che San Juan si dimostra un poeta abilissimo a far corrispondere le
soluzioni formali allo stato d’animo del soggetto poetico.
L’invocazione della presenza fisica dell’amato è un motivo che ci colloca molto distanti
dall’amor cortese, che proprio si caratterizza per l’amore da lontano.
Elementi di continuità con l’amor cortese (segreto d’amore) e alcuni di forte discontinuità
(qui addirittura strutturale, pretendere la presenza fisica dell’amato)
Nella settima strofa inizia lo svilimento amoroso, nel senso che la ferita d’amore prodotta
dall’assenza dell’amato e anche da ciò che di lui gli viene raccontato dai messaggeri lascia
tramortita la fanciulla, e qui si introduce il motivo della muerte por amor, molto tipico
dell’amor cortese. Un altro motivo interessante è quello dell’insufficienza del linguaggio
umano per parlare di Dio, quando lei dice “non sanno dirmi ciò che voglio”, “non sanno
parlarmi di te”; perché il linguaggio umano è insufficiente tanto che poi verrà detto che questi
messaggi si tramutano in balbettamenti senza senso perché l’esperienza divina è ineffabile e
una piena visione di Dio non è raggiungiubile.
Più mi parlano della tua perfezione più mi feriscono perché io non ti possiedo.
Il loro linguaggio è insufficiente per rendere questa ineffabile esperienza del divino.
Altro motivo tipicamente cortese, cioè “vivo sin vivir en mi”, vivo senza possedermi,
concetto dell’alienazione d’amore con retrogusto cortese molto evidente, così come il motivo
dell’amante sdegnoso. Le frecce dell’amato, la freccia d’amore, sono un’immagine tipica, ma
queste frecce d’amore non vengono direttamente dall’amato ma dall’idea che dell’amato
ognuno di noi si fa. Quindi, noi ci innamoriamo dell’immagine dell’oggetto d’amore, di come
noi interiorizziamo quell’immagine, quindi l’interiorizzazione dell’amore. Poi
quest’immagine dell’amato che ferisce con le frecce non ha niente di biblico, perché
l’immagine di Cupido è un’immagine semmai mitologica, quindi qui San Juan si serve non
più dei libri religiosi ma mitologici con particolare riferimento alla figura di Cupido con le
sue frecce, molto popolare nella letteratura amorosa. È un simbolo d’amore che deriva dalla
mitologia classica latina, è il dio dell’amore figlio di Venere e Marte che ha una sua precisa
iconografia: bambino con le ali, quindi simbolicamente ci si riferisce amore capriccioso e
volubile come bambini e come le ali. Gordito: potrebbe indicare la voluttuosità dell’amore.
Benda sugli occhi: irrazionalità dell’amore. Armato di frecce: amore come aggressione, come
guerra.
Quindi qui abbiamo l’immagine di Cupido ma veicolata attraverso l’immagine della freccia
che colpisce.
Maledizione nei confronti di chi ferisce e non sana, di chi ruba e non porta con sé ciò che ha
rubato. Notiamo la frequenza delle congiunzioni subordinanti e anche il gioco di parole
fortemente concettista nell’ultimo verso rappresentato nell’anonimazio cioè ripetere lo stesso
termine variato nella sua forma (robo que robaste). Qui dell’amor cortese permane oltre a
determinati motivi (segreto d’amore, morte per amore) un altro elemento che questa volta
attiene al livello stilistico, cioè il concettismo, i giochi di parole. Invece un elemento che ci
distanzia enormemente dall’amor cortese è il protagonismo femminile e la richiesta di una
cita d’amor. Qui l’amante sta chiedendo la presenza fisica, l’incontro d’amore, la relazione
corporea/carnale, che è qualcosa che nell’amor cortese non è possibile trovare.
Descubre tu presencia
Y matame tu vista y hermosura
Mira que la dolencia de amor
Que no se cura
Si no con la presencia tu figura
Oh cristalina fuente,
si en esos tus semblantes plateados,
formases de repente
los ojos deseados,
que tengo en mis entrañas dibujados!
Richiede la visione diretta dell’amato, la sua presenza fisica, non si accontenta dell’immagine
che ha interiorizzata dell’amante, vuole che si materializzi di fronte ai suoi occhi. Elemento
cortese, occhi che contemplano l’oggetto desiderato e che sono porta del piacere e dell’amore
stesso.
3: magari in queste acque si riflettesse l’immagine dei tuoi occhi perché vorrebbe dire che sei
presente. Quindi, l’immagine riflessa è accettata solo nella misura in cui è prodotta dalla
presenza fisica dell’amato. Dunque, topos cortese degli occhi e il topos cortese dell’amore
che uccide, la cui cura è la presenza dell’amato che è qualcosa di anticortese.
Climax: ascesa o discesa di tensione narrativa, qui il climax ascentente è erotico e si
raggiunge nella 13 strofa dove si produce una rottura della narrazione in virtù dell’entrata in
scena della voce dell’amato che si è manifestato, ma non ci viene raccontato. Molto
efficacemente la presenza dell’amato ci viene manifestata direttamente attraverso la sua voce,
che interviene per la prima volta nella poesia dicendo:
¡Apártalos, amado,
que voy de vuelo!
Vuélvete, paloma,
que el ciervo vulnerado
por el otero asoma,
al aire de tu vuelo, y fresco toma.
Lui la richiama a se, le dice di non distogliere lo sguardo e la chiama “paloma”: la colomba
ha una plurivalenza simbolica, la prevalenza simbolica della colomba è quella della
resurrezione quindi di spirito santo. In questo contesto possiamo interpretarla simbolo di
candore e purezza, di amore che poi è come quello di Cristo che risorge nei confronti
dell’umanità perché la salva. A se stesso attribuisce la definizione di di cervo. L’avevamo già
visto con valore erotico, in questo caso non è più un cervo che fuggendo ferisce, ma un cervo
a sua volta ferito, ferito dall’amore per la donna perché Dio è amore, ama l’umanità. In
questo caso è un cervo che non ferisce ma che è ferito d’amore, proprio alludendo a Dio
come principio d’amore. Quindi in questo caso è un cervo che torna e a sua volta è pieno
portatore d’amore. Ultimo verso, il cervo si ventila attraverso il tuo volo: se il volo è un salto
amoroso, quindi lui si rinfresca di fronte al vento prodotto dal suo volo amoroso e quindi si
concede evidentemente a questa relazione che sta per diventare una relazione anche carnale.
Simbolismo erotico dell’aria, quell’aria che sconvolge i capelli della donna nella poesia di
Garcilaso.
la noche sosegada,
en par de los levantes de la aurora,
la música callada,
la soledad sonora,
la cena que recrea y enamora;
Strofe di pace, una volta avvenuto l’incontro si può distendere lo stato d’animo della donna.
Quindi pace e felicità si sostituiscono ai suoi lamenti d’amore nelle strofe precedenti e a quel
movimento generale che avevamo visto durante la fase della ricerca: donna che usciva di casa
la notte, andava per le montagne a cercare pastori, tornava ecc.… vi era un senso di
ipercinetismo, invece a questo punto la pace e anche la felicità sostituiscono il movimento e il
lamento. Finalmente la quiete e la felicità prendono il sopravvento perché il matrimonio
spirituale che si sta per compiere tra i due protagonisti, l’unione con il divino stabilisce uno
stato di pace. Quindi, a partire da questo momento l’amata si può soffermare a contemplare le
bellezze dell’universo (serie elencativa)
Qui vi è una vera e propria elencazione degli elementi del creato, come se ci fosse uno stato
di conteplazione del creato. In questa enumerazione delle meraviglie dell’universo dobbiamo
trovare delle chiavi simboliche e consideriamo che qui l’amata sta esaltando la bellezza
divina mediante l’esaltazione della sua creazione, che è un atteggiamento molto comune ai
mistici. Di fatto la natura è il tempio della divinità, e qui viene segnalata l’armonia del
macrocosmo, plasmazione della perfezione divina che si riflette nel microcosmo, ossia
l’uomo.
L’amato grazie non solo alla sua presenza, ma all’unione con l’amata fa si che tutto
l’universo si integri in armonia e bellezza, quindi il cicrcuito spirituale si chiude, cioè la
bellezza e l’amore viene da Dio al creato e il creato amando amando la creazione di Dio ama
Dio, quindi si crea un vero e proprio circuito spirituale, in termini cristiani agape (amore in
senso cristiano e religioso discende da Dio all’uomo e l’uomo amando gli altri uomini che
sono creature divine della natura ama Dio e così questo circolo mistico si compie).
Vediamo elemento per elemento:
MONTAGNE: indicano altezza, ascensione, tensione elevativa verso Dio che
tradizionalmente si colloca in altezza
VALLI solitarie e ricche d’ombra, ISOLE remote: sembrano essere quasi luoghi
meravigliosi, di quelle isole dei libri di cavalleria, spazi fantastici. Sibilo delle auree amorose:
il sibilo ha delle connotazioni incantatorie, tanto è vero che viene spesso usato nei riti estatici
per generare e indurre l’estasi. Qui è associato a “los aires amorosos”: siamo di fronte ad una
dimensione incantatoria associata a dei simboli erotici com’è l’aria per di più definita
amorosa. Ci stiamo avvicinando verso il climax assoluto che poi è l’unione amorosa
NOTTE CALMA: ci troviamo si in un momento notturno ma ci troviamo vicino al sorgere
dell’aurora. L’aurora, quindi, è il momento della rinascita, il momento che segue l’oscurità
della notte in un tempo ciclico che marca la rinascita. È quindi il momento positivo per
eccellenza. È una notte sì ma calma e al limitare del sorgere del sole.
MUSICA CALLADA: ossimoro solo apparente perché qua ci si sta riferendo alla musica
delle sfere, cioè l’armonia dell’universo. Solitudine sonora
CENA CHE RISTORA E INNAMORA: elemento assolutamente inaspettato. Abbiamo
esaltato le bellezze dell’universo, macrocosmo, microcosmo, allusione ad una natura
fantastica, fiumi sonori, notte calda… tutto molto aulico e poi si parla di cena. Il mangiare
che apparentemente è un elemento così prosaico perché risponde a un’esigenza fisiologica, la
fame, ma non è soltanto piacere e necessità fisiologica, ma insieme è un rito di comunione.
La commensalità, il rito del mangiare e del bere insieme è chiaramente un rito di
aggregazione, unione materiale, di comunione. L’amore è comunione, nella messa la
comunione è mangiare il corpo di Cristo entrando in comunione con lui. Pensiamo che il
cannibalismo non vuol dire mangiare il corpo di un uomo, ma si esprime in questo modo: non
è per soddisfare una necessità fisiologica ma è bere il sangue del prigioniero di guerra per
incorporarne la forza, quindi a tutti gli effetti un rito di aggregazione esattamente come la
comunione nel rito religioso. Ecco perché l’ultima cena, una cena nel momento soglia
dell’unione amorosa. Quindi questo elemente apparentemente prosaico si converte in
un’unione dell’anima con Dio e quindi in senso più apertamente spirituale.
Noi nella letteratura europea oltre all’ultima cena conosciamo anche un’altra famosa cena,
ossia il Simposio di Platone, trattaello filosofico una delle prime teorizzazioni dell’amore.
ALBA: l’alba oltre ad avere un valore simbolico qual è quello della rinascita, della luce e
quindi vita dopo la morte, l’alba in una certa tradizione di poesia amorosa, ad esempio nella
tradizione della cancion de mujer, rappresenta il tempo prediletto dell’incontro amoroso:
l’incontro tra i due amanti avviene o di notte per essere protetti dalle tenebre e l’alba che è
luce segna la separazione tra gli amanti che verrebbero scoperti oppure si incontrano all’alba
perche è una luce che ancora nasconde, non è ancora proprio luce piena. Queste poesie che
sfruttano il motivo dell’alba anche in senso simbolico e non soltanto come tempo, si
chiamano alba/albadas. Anche qui ci troviamo all’alba in procinto di avverarsi l’unione
amorosa tra questi due protagonisti, quindi possiamo dire che dalla cancion de mujer (poesia
popolare) Juan De La Cruz prende un ulteriore motivo, cioè il motivo simbolico dell’alba.
Stiamo all’interno del secondo segmento narrativo, quello che abbiamo definito
corrispondere alla via illuminativa, è apparso Dio e ha illuminato con la sua bellezza e la sua
luce il credente, cioè l’amata e ha dato voce a un dialogo con la donna con la quale adesso, a
partire dalla strofa 16 fino alla 22, inizia la parte successiva che è quella dell’unione amorosa.
Entrado se ha la esposa
en el ameno huerto deseado,
y a su sabor reposa,
el cuello reclinado
sobres los dulces brazos del amado.
Qui abbiamo una delle immagini più belle del gesto per eccellenza dell’amore, cioè
l’abbraccio che è unione, comunione e tutta la sensazione è di piacere e di pace. Però
vediamo che gli amanti sono entrati nell’ameno giardino desiderato: il giardino è un forte
simbolo erotico perché in una lunga tradizione letteraria il giardino è il luogo privilegiato
dell’incontro tra gli amanti. Quindi se la cordinata spaziale tipica dell’incontro amoroso è il
giardino, la coordinata temporale è l’alba. Il giardino ci fa pensare anzitutto a quello
dell’Eden quindi subito al peccato originale, qualcosa che si collega al carnale ed inoltre il
giardino ci fa pensare ad una natura non selvaggia (com’era all’inizio) ma ad una natura
dominata, controllata dall’uomo. Serve non solo a creare questa cornice simbolica tipica
dell’incontro amoroso proprio il riferimento al melo, che verrà nella strofa successiva, a sua
volta portatore di un’allusione chiaramente erotica.
Dopo l’unione raccontata secondo questa tecnica a posteriori, l’amante torna in se e si guarda
intorno e promette all’amato di essere per sempre la sua sposa (senso dell’eternità e assoluto)
e che ormai una volta insediatosi in lei amore non avrà altra occupazione se non quello di
amare.
En la interior bodega
de mi amado bebí, y cuando salía,
por toda aquesta vega,
ya cosa no sabía
y el ganado perdí que antes seguía.
Metafora erotica del bere il succo dell’amato nell’intima cantina, nella segretezza e intimità
della cantina del suo amato. Gregge: motivo
della perdita del gregge, luogo comune della letteratura bucolica dove l’innamoramento dei
pastori (protagonisti della letteratura bucolica) spesso ha come conseguenza l’abbandono del
gregge perché ci si distrae e affaccendati in cose amorose i pastori perdono di vista le greggi.
Topos della letteratura bucolica che San Juan de la Cruz, assiduo lettore, riprende
Motivo del vino: associato al diletto sia perché genera uno stato di alterazione analogo a
quello dell’orgasmo che qui si sta descrivendo ma anche perché è una metafora erotica, bere
il succo dell’innamorato. Vediamo come quest’uomo di religione è assolutamente esplicito
nel descrivere in termini erotici la fusione dell’anima con la divinità.
Mi alma se ha empleado,
y todo mi caudal, en su servicio;
ya no guardo ganado,
ni ya tengo otro oficio,
que ya sólo en amar es mi ejercicio.
Ormai i due amanti si sono ritrovati e dopo questo primo momento di esaltazione erotica con
la consequenziale distensione, ci sarà un secondo climax erotico.
1. Bibbia e in generale la storia sacra: anzitutto per essere il cantico espiritual una vera e
propria riscrittura del cantar de los cantares, quindi in quanto riscrittura si colloca sul
piano dell’ipertestualità e non dell’intertestualità.
Sul piano dell’intertestualità, il motivo dell’ultima cena, Adamo ed Eva
2. Amor cortese: per accogliere una serie di topoi dell’amor cortese, quindi si parla di poesia
colta contemporanea (Garcilaso)
3. Poesia popolare: impianto del cantico espiritual come cancion de mujer (poesia d’amore
dal protagonismo femminile) e anche riferimento al genere dell’albada.
4. Motivi presi dal romanzo cavalleresco
5. Letteratura bucolica
6. Mitologia classica: per esempio figura di Cupido
Abbiamo detto che di molte di queste fonti ne fa un uso assolutamente autonomo e originale
A partire dalla strofa 21 rinizia l’eccitazione eoritca. Gli amanti si allontanano ancora di più
da tutto, anziché in un giardino si internano in una vera e propria caverna, nella natura
selvaggia dove nuovamente si ubriacheranno d’amore. Nella strofa 31 ci si riferisce alla
conquista d’amore, ma non conquista dell’amata da parte dell’amato ma dell’amato da parte
dell’amata: chi è conquistador è lei, non lui perché lui rimane prigioniero nella rete amorosa
della donna, con la ferita d’amore che i suoi occhi provocano in lui.
Lui rimane colpito (ferito damore) a causa della contemplazione dei suoi capelli che
svolazzano sul suo collo e a causa del suo sguardo. Il valore erotico dei capelli sciolti che
volano sul collo e sparsi dal vento ricordano il sonetto di Garcilaso dove per illustrare la
bellezza della donna nella sua età giovanile utilizza questa immagine: questo ci fa pensare al
valore canonico di queste immagini per i poeti dell’epoca per indicare la sensualità, al di là
del valore canonico San Juan de la Cruz deve essere evidentemente un lettore di Garcilaso
perché riprende queste immagini in maniera quasi letterale. Qui c’è anche da segnalare
l’immagine degli occhi che uccidono, immagine a cui siamo molto abituati grazie ai poeti
cortesi. Qui però vi è un fatto molto curioso, perché qui è uno dei suoi occhi che provoca la
ferita (viene sottolineato che la ferita d’amore è stata provocata da uno dei suoi occhi):
profilo, che nella pittura dell’epoca era una delle prospettive della bellezza del volto
femminile, pensiamo per esempio ai cammeo. Lui stesso dice che si riferisce all’occhio unico
della fede, metafora.
Subito dopo viene specificato che la bellezza di lei che ferisce l’amato (Dio) non è altro che
un riflesso della perfezione divina, quindi dell’amato stesso. È un gioco di specchi: lui si
innamora della bellezza di lei che non è altro che un riflesso della sua stessa perfezione. La
bellezza della donna è ricettacolo della perfezione divina, e in quella stessa bellezza l’amato
rimane incastrato, si innamora di quella bellezza che lui stesso ha prodotto in lei. La
trasformazione dell’amante nella cosa amata, la proiezione della bellezza divina in lei.
No quieras despreciarme,
que si color moreno en mí hallaste,
ya bien puedes mirarme,
después que me miraste,
que gracia y hermosura en mí dejaste.
Dio nel guardare l’amata le ha impresso la sua stessa grazia e beltà che l’ha perfezionata,
perché all’inzio era bruna, quindi imperfetta.
Gocémonos, amado,
y vámonos a ver en tu hermosura
al monte o al collado
do mana el agua pura;
entremos más adentro en la espesura.
Allí me mostrarías
aquello que mi alma pretendía,
y luego me darías
allí tú, vida mía,
aquello que me diste el otro día:
Non fa altro che pretendere l’unione spirituale, quindi qualcosa di legittimo, anche se
espresso in termini erotici. Tutta la natura e specchio della bellezza divina, quindi andiamo a
contemplare la tua bellezza nella natura. È un iterare l’atto erotico. Uso del verbo gozar per
altro in forma imperativa esprime l’urgenza del desiderio. Il verbo gozar non si trova tra i
poeti cortesi, tantomeno espresso in modo imperativo e dalla donna: prospettiva rovesciata, si
tratta di un momento di esaltazione nel quale la donna aspira al grado massimo di unione e
intimità, infatti dice di nascondersi nelle grotte più profonde proprio per proteggere l’intimità,
il nascondersi favorisce questa desiderata intimità.
Due strofe finali marcano un anticlimax. Da qui che siamo arrivati al massimo
dell’esaltazione poi abbiamo una discesa una volta ottenuta la sensazione di pienezza e pace
propria dell’unione.
Ci sta dicendo che Aminabad è assente, quindi dobbiamo pensare all’assenza del nemico:
Aminabad arabo, la Reconquista era già del tutto avvenuta, ma era storia abbastanza recente.
Aminabad potrebbe essere per antonomasia il nome dell’arabo quindi del nemico.
Dice che l’assenza del nemico permette alla cavalleria di abbandonare la sua posizione
difensiva e scendere alle acque a ristorarsi: si può identificare il nemico come la parte
sensitiva dell’uomo, le passioni, dalle quali bisogna liberarsi per fondersi nell’amore mistico
con la divinità. Quindi in qualche modo una volta sconfitta la parte sensitiva dell’uomo che è
quella che induce al peccato, è l’Aminabad, ecco che finalmente ci si può distendere ed
entrare in un momento di pace.
Così finisce il cantico espiritual. Vediamo che ci proietta in una dimensione completamente
umana data disperazione per la perdita dell’amato, maledizione, l’abbandono che
inizialmente non si capisce perché Dio mette alla prova l’anima ma quale si deve mortificare
per purificarsi e ambire all’unione spirituale. Pensiamo poi ai fremiti d’amore, alla
maledizione e al fatto di esigere la presenza fisica e materiale del corpo dell’amato, non le
basta l’immagine di lui. Pensiamo anche all’abbraccio, alla sensazione unitiva che esprime la
seconda fase della via illuminativa, poi la descrizione fortemente erotica dell’incontro tra i
due amanti. Siamo lontanissimi dai poeti cortesi che addirittura nell’uso del lessico erano
parsimoniosi (non avrebbero mai usato gozar). Se pensiamo che a condurci in questa
dimensione altra è un uomo di chiesa, un mistico, che ci vuole parlare di un amore che non è
umano ma spirituale è ancora più sorprendente, seppur essendo una riscrittura.
STILE: dobbiamo mettere in risalto anche in questo caso lo stile fortemente concettista.
Pensiamo ai giochi, opposizioni, contrasti, molte antitesi (cautiverio soave, llaga delicada),
concettismo già visto nell’ambito della poesia cancioneril e dell’amor cortese, che poi troverà
una massimizzazione assoluta nella poesia barocca, nel gongorismo del secolo XVII.
In San Juan l’uso dell’antitesi, dei giochi di parole non è solo un gusto concettista ma è
funzionale a esprimere l’inesprimibile: l’amore mistico, quest’estasi mistica è qualcosa di
difficile da riferire, quindi forse solo un linguaggio basato su queste figure del pensiero quali
sono il paradosso o l’antitesi poteva essere adeguato proprio in quanto dovendosi misurare
con l’inesprimibile.
LESSICO: molto misto perché unisce a voci popolari/colloquiali invece dei cultismi/latinismi
molto ricercati. Dal punto di vista stilistico c’è una forte condensazione espressiva, cioè vi è
una forte economia di mezzi espressivi, una capacità di dire molto con poco, brevitas. In ogni
strofa si concentra un universo concettuale in maniera molto efficace e a questa
condensazione è funzionale l’uso predominante del sostantivo a scapito dell’aggettivo e
spesso anche del verbo. A volte troviamo strofe che sono per intero un’elencazione di nomi
nudi, privi di aggettivazione retta da un solo verbo. Pensiamo per esempio al nome nudo
“Adonde te escondiste amado y me dejaste con gemido”: quest’imprecazione poteva dare il
piede a tanti aggettivi, qualificare in modo negativo un amato che ti sta abbandonando, invece
rimane nudo, secco.
Diciamo che San Juan de la Cruz inizia ad usare l’aggettivo dopo le prime dieci strofe, e
quindi quando passa dal segmento narrativo che corrisponde alla via purgativa a quello che
corrisponde alla via illuminativa.
Funzione dell’aggettivo nel discorso: qualificativa, ma in qualche modo un’abbondanza di
aggettivi genera un rallentamento dell’azione perché l’aggettivo qualifica, non genera azione.
L’aggettivo è adatto nei momenti descrittivi, ma i momenti descrittivi sospendono l’azione.
Dal punto di vista del ritmo narrativo l’aggettivo lo rallenta perché gonfia i momenti
descrittivi, allora perché l’uso dell’aggettivo risulta inadeguato nella prima parte (purgativa) e
non nella seconda parte (illuminativa)? Perché nella prima via c’è un’azione concitata fatta di
fretta, velocità in cui lei va correndo, quindi in quel caso l’azione non deve essere ne
rallentata ne sospesa. Quando invece avviene il momento della contemplazione, cioè il
momento illuminativo, lì è possibile rallentare la linea narrativa e produrre un cambio
nell’andamento stilistico del poema.
METRICA: si tratta della lira, strofa di origine italiana importata in Spagna proprio da
Garcilaso, uno degli autori molto letti da San Juan de la Cruz. Strofa di 5 versi sia
endecasillabi sia eptasilabos con rima consonante e schema rimico A-B-A-B-B. Nell’ultima
strofa, quella più stravagante, abbiamo una rima assonante, una vera eccezione rispetto al
resto del poema (aba-ava anche se a livello fonetico è lo stesso).
TERZO CAPITOLO: AMORE ANTICORTESE
Per rappresentare questo capitolo ci avvaliamo di un personaggio letterario che si colloca ben
distante sia dall’amor cortese sia dall’amore mistico, rappresentando l’amore carnale e
terreno. Sappiamo che l’amore cortese è un amore spirituale, platonico e l’amore mistico è un
amore spirituale, mentre in questo caso è un amore carnale e terreno, e parliamo del seduttore
per antonomasia Don Juan Tenorio. Questo personaggio letterario è giunto a rappresentare un
vero e proprio mito, nel senso che è diventato un personaggio universale diventato
indipendente sia dal testo che gli ha dato i natali sia dal suo stesso inventore. L’autore è un
autore spagnolo, Tirso de Molina (uomo di chiesa), il testo ove nasce il personaggio è
intitolato El Burlador de Sevilla y el Convidado de Piedra. Non è una poesia ma un testo
destinato alla rappresentazione teatrale sebbene in versi e non in prosa. La data di
composizione non è certa, sicuramente è intorno al 1630, siamo in epoca barocca. La prima
fortuna del Don Juan di Tirso si ebbe in Italia nell’ambito della “commedia dell’arte”,
commedia con sfondo satirico e popolare che si rappresentava in Italia nelle piazze con molte
maschere. Si sa che il Don Giovanni fu rappresentato a Napoli intorno al 1630, quindi deve
essere stata composta poco prima.
Questo personaggio nasce nella Spagna del XVII secolo, ma presto diviene oggetto di una
molteplicità di riscritture: lungo i secoli fino ad oggi esistono dei Don Giovanni recenti e in
tutto il mondo. È un personaggio che diventa una figura plurale nel senso che supera sia le
frontiere geografiche sia temporali/cronologiche, è tutt’ora attuale la figura del Don
Giovanni, ma supera anche le frontiere di genere perché nasce nel teatro dell’ambito della
tragi-commedia, poi sfocia sempre nel teatro nell’ambito della commedia, poi intraprende
anche il cammino della poesia, del romazo e finisce in linguaggi artistici altri (musica – Don
Giovanni di Mozart, balletto, pittura, cinema – Don Juan de Marcos, televisione).
Francia – Molier, Italia – Goldoni, Germania/Italia – Mozart, Germania – Hoffman, Lord
Byron, Pirandello… siamo quindi nel campo della riscrittura, non della intertestualità ma
della ipertestualità.
gni autore imprime la sua filosofia nella sua riscrittura, quindi implica una lieve/media/forte
rimodellazione della fonte. Proprio nella capacità di metamorfosi il personaggio trova la sua
vitalità, adattandosi alla sensibilità di ogni epoca e autore. Alcune invarianti sono necessarie
per la riconoscibilità del mito. Scenario dongiovannesco permanente, quindi la riscrittura è
tutta giocata tra variante e invarianti, elementi permanenti ed elementi mutevoli.
Abbiamo detto che Don Giovanni è stato oggetto di una catena riscritturale straordinaria, ed è
chiaro che ogni riscrittura può raggiungere un livello di emancipazione anche notevole
rispetto alla fonte: una riscrittura può cambiare la fisionomia del personaggio, le sue vicende
ecc... quindi si può emancipare fortemente e ciò è dovuto alla peculiare poetica dell’autore di
ogni riscrittura e al contesto di produzione. Per esempio, Don Giovanni romantico sarà molto
diverso da un Don Giovanni barocco controriformista quale è quello di Tirso. Ogni autore
imprime la sua visione del mondo, la sua filosofia nel personaggio del Don Giovanni. Quindi
ogni riscrittura implica una lieve, media o forte rimodellazione della fonte perché altrimenti
se non ci fosse questa componente creativa si tratterebbe di plagio. Proprio nella capacità di
metamorfosi il personaggio trova la sua vitalità, cioè nella capacità di adattarsi alle sempre
nuove sensibilità (di ogni epoca o di ogni autore), se non avesse questa elasticità il
personaggio di Don Giovanni sarebbe rimasto ancorato al testo “originale”, perché non
sarebbe stato capace più di rappresentare la sensibilità di volta in volta cambiante dei diversi
autori ed epoche.
D’altro canto, però, delle invarianti sono necessarie per fondare la riconoscibilità del mito:
cambiando tutto, alla fine sto scrivendo un’altra cosa. Quindi è necessaria la permanenza di
ciò che un critico francese Jean Rousset ha chiamato “scenario dongiovannesco permanente”,
che è dato dalla permanenza di alcune invarianti.
La riscrittura è tutta giocata tra varianti e invarianti, tra una dinamica di elementi permanenti
ed elementi mutevoli.
Riassunto:
Don Giovanni è un giovane avvenente e la gioventù è un elemento molto importante della
storia, capace di intraprendere tante peripezie. È un hidalgo sevillano: l’hidalguia è uno degli
strati dell’aristocrazia spagnola, quindi appartiene ad una famiglia nobile di Siviglia (città che
ha molto a che vedere con la seduzione, aurea un po’ magica, tanto è vero che un’altra
seduttrice per antonomasia al femminile è di Siviglia, cioè la Carmen).
All’inizio della storia si trova a Napoli, dove è dovuto fuggire per alcune sue peripezie delle
quali non ci viene detto nulla. Si trova nel Palazzo Reale di Napoli dove seduce Dona Isabela,
un’aristocratica, fingendo di essere il suo fidanzato Don Octavio. Quindi si introduce notte
tempo nelle stanze di Isabella dichiarando una falsa identità protetto dalle tenebre della notte,
ma Isabella capisce che non si tratta di Don Octavio e quindi Don Giovanni è costretto a
fuggire non solo dal Palazzo Reale di Napoli ma dalla stessa Italia per tornare in Spagna con
la complicità di un suo zio, Don Pedro, che è l’ambasciatore spagnolo a Napoli. Per non
marcare l’onore dei Tenorio aiuta il nipote a fuggire facendo leva sulle sue conoscenze e sul
suo potere di ambasciatore. Tra l’altro, Don Pedro per liberare Don Giovanni dall’accusa di
aver tentato di introdursi nelle stanze di Dona Isabela e violarla accusa Don Octavio, che
naturalmente da fidanzato non avrebbe potuto fare (avrebbe dovuto essere un marito legittimo
per introdursi).
La barca dove naviga Don Giovanni fa naufragio sulla spiaggia di Tarragona dove viene
accolto da una pescatrice, Tisbea, la quale è in qualche modo una Don Juana al femminile
perché si vanta di non essere schiava d’amore, di rifiutare tutti i suoi pretendenti, esibisce
un’indifferenza all’amore. Don Giovanni viene trascinato sulla spiaggia dal servo Catalinon,
mezzo svenuto e la pescatrice lo soccorre, lo accoglie nella sua capanna, lo fa rinvenire, gli
da da mangiare e Don Giovanni non perde occasione tuttavia per mettere a colpo una sua
ulteriore seduzione. Cerca di sedurre la pescatrice indifferente all’amore, anzi quanto più è
difficile da conquistare tanto più suscita il piacere di Don Giovanni della conquista. La
tecnica di seduzione è la falsa promessa di matrimonio, quindi in realtà non è una seduzione
vera e propria perché fa leva sul desiderio della popolana di compiere un’ascesa sociale: le
promette anelli, scarpette, gioielli e lei, spinta dal suo proprio opportunismo, concede le sue
grazie a Don Giovanni. È la seconda conquista messa in scena.
Una volta conquistata Tisbea, una volta che Tisbea ha concesso le sue grazie, Don Giovanni
ordina al servo Catalinon di preparare il cavallo e fuggono notte tempo per ritornare a
Siviglia, dove vediamo messa in scena la terza conquista ai danni di Dona Ana, figlia del
Comendador de Calatrava. Dona Ana ha un amante, il Marques de la Bota (anche le donne
sedotte tanto pulite non sono: Tisbea ascesa sociale, aristocratiche con amanti che
introducono di notte nelle loro stanze). Dona Ana ama il Marques al quale fa arrivare una
lettera per dargli un appuntamento e gli dice di vedersi la stessa sera alle 11 a casa sua per
fuggire. Don Giovanni intercetta la lettera e legge l’appuntamento: fa arrivare la lettera al
Marques corretta con l’orario, stabilito per la mezzanotte, invece alle 11 si presenta lui
all’appuntamento. Poiché il Marques è un suo amico, compagno di scorribande seduttive, gli
può chiedere in prestito il suo mantello per fingere di essere l’amato di Dona Ana, anche in
questo caso complici le tenebre. Anche Dona Ana scopre l’inganno, grida aiuto e giunge il
padre (Comendador) il quale sfida a duello Don Giovanni ed ha la peggio: ovvio perché Don
Giovanne è giovane, aitante, senza scrupoli, quindi ammazza il padre di Dona Ana,
macchiandosi anche di un omicidio dovendo fuggire. Chi viene accusato dell’omicidio del
Comendador è il Marques, che giunge a mezzanotte a omicidio compiuto.
Fugge e per la strada per Nebrija, Don Giovanni si imbatte si imbatte in una cerimonia di
matrimonio tra Arminta e Patricio, due contadini. Niente di meglio per Don Giovanni che
sedurre una donna in procinto di sposarsi, in modo da oltraggiare sia la donna sia il
sacramento e niente di più difficile di conquistare una donna sull’altare. Ancora una volta fa
leva sulla falsa promessa di matrimonio quindi prmette una vita da nobildonna, gioielli ecc…
e la fanciulla cede a Don Giovanni. Ancora una volta, ottenuto il suo scopo arma il cavallo e
va via.
In tutte queste scorribande seduttive è importante il personaggio del servo Catalinon che
incarna la norma etica: è colui che non fa altro che avvertire Don Giovanni di smettere con
questo suo comportamento perché c’è qualcuno lassù che lo guarda, il giudizio divino
arriverà, lo incita al pentimento. In realtà si incarna la norma etica ma non tanto per essere
un’anima immacolata, è semplicemente un pauroso che teme di essere coinvolto nella
condanna divina proprio per essere il complice delle scorribande di Don Giovanni (prepara il
cavallo, lo segue in tutto, lo aiuta nelle sue scorribande).
Catalinon è interessante non solo per questa sua funzione di chi avvisa Don Giovanni e
presente il castigo divino, ma anche perché ha la funzione teatrale di contrappunto comico
rispetto al personaggio centrale (come Don Quijote e Sancho, istanza tragica-istanza comica),
del resto ci troviamo nell’ambito della tragicommedia.
Questa contrapposizione tragicomica si manifesta anche nei caratteri fisici: mentre Don
Giovanni è un giovane bello aitante, Catalinon è basso, grasso, costantemente dominato dalle
esigenze corporali, rappresenta il basso rispetto all’alto di Don Giovanni. Tuttavia, spesso
cerca di donjuanizzarse, cioè quando per esempio durante il naufragio di Tarragona, quando
Don Giovanni è svenuto, lui cerca di prenderne il posto e sedurre a sua volta la pescatrice
imitando il linguaggio di Don Giovanni (metafore amorose, il linguaggio aulico di Don
Giovanni), ovviamente diventando grottesco (=Sancho).
Una volta tornato a Siviglia dopo la conquista della quarta donna (due popolane e due
aristocratiche) entra nella chiesa del cimitero dove vi è la statua del Comendador de
Calatrava, padre di Dona Ana che lui stesso ha ucciso. Ecco perché “convidado de piedra”,
perché a questo punto ci troviamo davanti alla statua del Comendador morto che interagisce
con Don Giovanni.
In che modo? Don Giovanni riconosce il comendador e continua ad agire in modo azzardato
perché continua a prenderlo ingiro (per esempio gli tira la barba) e giunge al culmine di
invitarlo a cena a casa sua, infrangendo il limite tra vivo e morto, tra terreno e ultraterreno.
A questo punto entriamo nell’ambito del fantastico perché la statua del comendador si anima,
accetta l’invito. A quel punto Don Giovani capisce che c’è poco da scherzare: il divino, il
sovrannaturale esiste se la statua di un morto può animarsi, parlare e muoversi. Di fatti il
comendador non è altro che il rappresentante in Terra della volontà divina e Don Giovanni
inizia a capire questa cosa. Tuttavia, continua ad esibire un atteggiamento strafottente.
Mentre Catalinon nel preparare la cena a casa di Don Giovanni ha molta paura (catalinon,
termine gergale per dire cagasotto perché di fatto così fa), Don Giovanni pure ha molta paura,
però finge ancora di essere lo sbruffone di sempre, fino a quando i rintocchi alla porta
generano un eco macabro nella sua casa ma a quel punto per la legge della cavalleria non si
può tirare indietro. Va ad aprire la porta e si trova il comendador giunto a casa sua, ecco che
si spiega il nome: il convidado è colui che viene invitato a cena, de piedra perché è una
statua. Il Comendador cena a casa sua e gli fa un contro invito: invita Don Giovanni a cena da
lui, cioè nel cimitero, li dove risiede la statua.
Don Giovanni non si può tirare indietro ma sa che l’ora è giunta. Tra l’altro, il servo lo
avverte sul giudizio divino, e lo avvertono anche altri personaggi durante il corso della storia
ma Don Giovani durante tutto il corso della storia ripete sempre come una sorta di ritornello
“tan largo me lo filaís” (= l’ora è lontana, c’è tempo per pentirsi) invece ora quando riceve
l’invito capisce che l’ora è arrivata, che di fatto gli offre una cena macabra (scorpioni,
serpenti, tutto ciò che vive sotto terra, laddove c’è l’inferno). A quel punto Don Giovanni si
pente e chiede un confessore. Il pentimento potrebbe essere un’ulteriore burla, cioè fingere di
pentirsi per salvarsi, ma il comendador gli nega il confessore quindi gli nega il pentimento
perché è troppo tardi. Quindi la frase ripetuta più volte da Don Giovanni giunge alla
conclusione, è troppo tardi, la clessidra della vita è arrivata alla fine e sulla scorta di una
specie di contrappasso gli aferra la mano trascinandolo nelle fiamme dell’inferno e muore
Don Giovanni. Parliamo di contrappasso perché quella mano che spesso ha promesso alle
donne sedotte, questa volta lo stesso gesto lo compie ai suoi danni il commendatore che gli
afferra la mano e lo trascina nelle fiamme dell’inferno.
Una volta condannato Don Giovanni, l’ordine sociale da lui infranto si può ristabilire: Don
Octavia si sposa con Dona Isabela, Dona Ana si sposa con il Marques de la Mota, Arminta
torna da Patricio e Tisbea si sposa con uno dei suoi pretendenti. In questo modo castigato il
peccatore si ristabilisce l’ordine almeno sociale.
ANALISI:
Nel testo fondazionale del mito, Don Giovanni non è semplicemente un seduttore, non si
limita ad essere un seduttore ma più in generale è definito dal titolo stesso burlador,
ingannatore. I livelli dell’inganno, o meglio del peccato sono vari: non è soltanto sedurre le
donne ma anche ingannare gli amici. Per esempio quando chiede il mantello al Marques de la
Mota per sedurre la sua donna. È un ingannatore non solo di uomini e donne, non solo di
nobili e popolane, ma anche di vivi e di morti ed inoltre inganna non solo la legge umana
(amicizia, ospitalità di Tisbea che lo salva dal naufragio e lui la seduce), ma anche oltraggia
la legge religiosa (sacramento del matrimonio e poi omicidio). Quindi è un peccatore a tutto
tondo, è il grande trasgressore e anche la seduzione delle donne è uno degli aspetti di questa
trasgressione. Il fatto che sia un ingannatore lo ricaviamo anche dalle modalità della
seduzione, che sono la falsa promessa di matrimonio e occultare la propria identità. Sono
degli inganni, non seduce le donne per la propria bellezza, intelligenza, fascino ma attraverso
l’inganno (sostituirsi a un altro uomo o promettere falsamente il matrimonio). Quindi in realtà
quindi non seduce davvero nessuna perché le contadine si lasciano andare per fare un’ascesa
sociale e le nobili perché credono di affidarsi ai loro amati.
Tema dell’amore
Don Giovanni sfida in senso assoluto l’accezione cortese dell’amore perché:
- l’amore cortese è un amore platonico mentre Don Giovanni concepisce l’amore
esclusivamente come piacere terreno, ricevere in dono i loro corpi; quindi, possiamo dire
che rappresenta l’erotismo vs amore (l’amore implica anche il sentimento, l’erotismo no).
- L’amore cortese è un amore esclusivo, rivolto a un’unica donna, mentre Don Giovanni è
un nomade dell’amore, come ogni seduttore è un collezionista di donne.
- L’amore cortese è concepito come eterno, addirittura il paradosso dell’amore che
prosegue dopo la morte fisica dell’amante, mentre quello di Don Giovanni è un amore
che lungi dall’essere eterno: nasce e muore con incredibile rapidità. Sedotta una donna,
arma il cavallo e fugge, ottiene le donne e le abbandona subito
- L’amore cortese è un amore segreto che rispetta la reputazione della donna, a volte
attraverso un nome diverso o un eufemismo. Don Giovanni invece fa vanto delle sue
avventure per esempio attraverso il famoso motivo del catalogo delle conquiste. Nel Don
Juan Tenorio di Tirso questo è un motivo presente ancora non del tutto sviluppato mentre
chi sviluppa il motivo del catalogo in senso comico è l’autore del libretto dell’opera del
Don Giovanni di Mozart, cioè Da Ponte: in Italia 640, in Lamagna 231, 100 in Francia e
in Turchia 91 ma in Spagna son già 1003. Van fra queste contadine, cameriere, cittadine,
van contesse, baronesse, marchesane principesse e van donne di ogni grado, d’ogni
forma, d’ogni età… bionda, mora. Ricca, brutta, mora, pur che porti la gonnella.
Famosissima lista recitata dal servo nel Don Giovanni di Mozart. Il motivo del
catalogo poggia sul desiderio di fama, di farsi vanto, quindi in questo senso possiamo
parlare di teatralità: Don Giovanni vuole rappresentare sè stesso di fronte al mondo, fa
vanto delle sue peripezie.
- Tra l’altro, non sceglie le sue vittime per la loro bellezza (che può essere una bellezza
corporale o morale), cosa che era sempre stata esibita dal poeta cortese, soprattutto quella
spirituale. Non gli interessa l’attrattivo personale delle donne perché non deve
innamorarsi, non gli interessa ne la interiorità ne la esteriorità, gli interessa solo il fatto
che rappresentano un bersaglio difficile, che implichi il superamento di una prova, che
esalti la sua capacità.
In sostanza Don Giovanni rappresenta la più forte ondata anticortese che abbia conosciuto la
letteratura. Se pensiamo che nell’ambito della letteratura colta la rappresentazione dell’amore
avveniva secondo i termini cortesi, è ovvio che la nascita di un personaggio come Don
Giovanni rappresenta una ventata anticortese molto molto violenta, si potrebbe dire che Don
Giovanni rappresenta il machiavellismo applicato all’amore: il motto di Machiavelli è “il fine
giustifica i mezzi”, quindi nel caso di Don Giovanni possiamo dire che la passione è
indipendente dalla morale, è indipendente dal sentimento, giustifica se stessa. Però, pur
rappresentando la negazione assoluta del senso cortese dell’amore, Don Giovanni si avvale di
tutta la retorica cortese, di tutto l’immaginario metaforico cortese a fini seduttivi. Per esempio
l’iperbole sacra: rappresenta la donna nelle sue parole come se fosse una divinità, un’essenza
angelica, la equipara al sole, alla luce. Si serve di tutti i topoi dell’amor cortese che
evidentemente il suo autore conosce bene, a scopi seduttivi. Quindi la ferita d’amore, il
carcere d’amore, gli occhi che uccidono… sul piano della retorica è un perfetto poema
cortese, ma non sul piano del comportamento.
Don Giovanni trasgredisce non solo la categoria cortese dell’amore, ma anche la categoria
cristiana dell’amore, che possiamo definire con il termine di agape: l’agape in un’ottica
cristiana è l’amore spirituale, l’amore disinteressato, gratuito, è l’amore di Dio nei confronti
dell’umanità. Diversamente da eros, agape è un amore ascendente, rivolto a Cristo, allo
spirito e non al corpo ed è un amore che implica una vera e propria triangolazione perché
l’amore discende da Dio e a Dio torna attraverso l’amore reciproco tra gli uomini: gli uomini
amandosi tra loro (creature di Dio) amano Dio. Quindi, l’agape non è altro che una forza
divina nel cuore dell’uomo, che orienta il suo sentimento a beneficio del prossimo (amando il
prossimo io amo Dio perché il prossimo è una creatura di Dio) e si crea quindi un circolo
mistico.
14.03
Abbiamo visto che Don Giovanni rappresenta una tipologia d’amore che non solo si
contrappone alla concezione cortese dell’amore ma anche alla categoria cristiana dell’amore,
definita agape, la quale stabilisce una vera triangolazione tra Dio-uomo-Dio: l’amore
discende agli uomini da Dio, gli uomini amando il prossimo (che è creazione di Dio) ama Dio
stesso, al quale questo amore ritorna. Questa triangolazione fa si che amandosi tra loro gli
uomini amano Dio, si tratta di amare Dio attraverso le sue creature. Possiamo anche dire che
l’agape è una forza divina nel cuore dell’uomo che orienta il suo sentimento d’amore in
beneficio del prossimo. Si crea un vero e proprio circolo mistico
Diversamente, l’amore di Don Giovanni non ha nessuna trascendenza rispetto al divino ma è
un amore immanente, che non transita affatto attraverso l’amore per Dio. Don Giovanni è
espressione di un amore tutto terreno.
Poi, terza categoria d’amore che Don Giovanni trasgredisce è l’etos cattolico (più
specificamente, non solo cristiano) dell’amore: Don Giovanni è una forte trasgressione
all’etos cattolico dell’amore perché l’amore in senso cattolico è non solo un amore unico per
l’eternità ma anche un amore santificato dal sacramento del matrimonio in vista della
procreazione. Il rapporto sessuale si giustifica nell’etos cattolico dell’amore proprio in vista
della procreazione, tema totalmente assente in Don Giovanni. L’amore consumato non ha mai
nessun riferimento alla procreazione, quello di Don Giovanni è un amore plurale che gli
antichi greci avevano simboleggiato nel mito di Pan, colui che perseguitava le ninfe, è
dunque un vero e proprio amore panico.
Dopo aver individuato le tipologie d’amore più fondative del pensiero umano (almeno quello
occidentale) cioè quella cattolica, cristiana e cortese, dobbiamo sottolineare il significato
ultimo dell’opera di Tirso di Molina, la moraleja. Tutte le opere hanno un messaggio ultimo,
un significato che si intende comunicare al pubblico.
Come mai un uomo di chiesa inventa il personaggio di Don Giovanni che è assolutamente
antireligioso, qual è il messaggio ultimo che Tirso vuole comunicarci? Il senso ultimo di
quest’opera è di tipo teologico: questa storia, anche divertente fino a un certo punto (finchè
non incontra il commentadore rispetto al quale deve fare una resa dei conti poiché è il
rappresentante in Terra della volontà divina quindi ha un’istanza tribunalizia) storia che
potremmo definire di cappa e spada, cioè d’avventura, è una storia dove prevale l’energia
vitale del protagonista che si diverte, che usa le donne. Tuttavia, questa storia d’avventura
avvincente, che tiene lo spettatore col fiato sospeso, viene concepita in realtà da Tirso con
una finalità teologica.
Abbiamo detto che Don Giovanni non è colpevole solo di essere un seduttore, ma è un
peccatore. Il suo peccato più grave non è l’omicidio e nemmeno quello di sedurre le donne,
ma è colpevole soprattutto per l’eccesso di fede nella grazia divina (ecco che arriviamo alla
chiave di quest’opera). Quando Catalinon cerca di convincerlo di pentirsi, lui è convinto che
l’ora è lontana e che basta un pentimento in punto di morte per ottenere la salvezza
dell’anima. Ritiene che sia indifferente o inutile vivere tutta una vita di opere pie per meritare
la grazia divina perché basta pentirsi. Come ottenere la grazia divina attraverso le opere o
attraverso un semplice pentimento in punto di morte dopo una vita scellerata era al centro del
dibattito teologico all’epoca di Tirso, epoca caratterizzata dallo spirito della controriforma:
nell’Europa del 500 si era creata nell’ambito del mondo religioso una grande spaccatura
generata dai movimenti di riforma religiosa, tra i quali Martin Lutero, i quali criticavano
l’ortodossia del mondo religioso. Si creano quindi i cosiddetti movimenti riformatori. Di
fronte a questa spaccatura e questi revisionismi dei diversi movimenti di riforma tra i quali
quelli di Martin Lutero, il cattolicesimo ortodosso (che si sente attaccato, denunciato) ha una
reazione: si irrigidisce ancor più su posizioni ultraortodosse, e questa reazione è definito
controriforma, cioè la chiesa che reagisce alla spaccatura dei movimenti riformatori.
Nell’ambito del dibattito teologico dell’epoca caratterizzato dallo spirito della controriforma,
consideriamo che Tirso è un uomo nel 600, si sviluppa un dibattito teologico sul tema della
salvezza dell’anima, sulla possibilità di ottenere la salvezza dell’anima confidando solo sulla
grazia divina senza il supporto delle opere e attraverso un pentimento in punto di morte
oppure la grazia si ottiene conducendo una vita pia. Tirso de Molina vuole intervenire in
questo dibattito e dire il suo pensiero, ma non vuole farlo attraverso un trattato teologico, che
sarebbe arrivato solo agli addetti ai lavori, ma lo vuole comunicare in modo massivo. Lo
strumento di comunicazione di massa della sua epoca è il teatro (vanno nobili e popolani)e il
pubblico del teatro barocco spagnolo è davvero interclassista, quindi non c’è pulpito migliore
che il palcoscenico. Tirso dice la sua sottoforma di storia da raccontare a teatro. Quindi ecco
che Don Giovanni che si sente rifiutare il suo pentimento in punto di morte e si vede
trascinare nelle fiamme dell’inferno è un classico exemplum in negativo, è una ensenanza ex
contrario, è come se Tirso dicesse “ecco cosa non dovete fare” perché il peccato di Don
Giovanni è l’eccesso di fiducia nella grazia divina, dimostrando al suo pubblico di sbagliare
quando il comendador dice che la clessidra della sua vita è finita perché non basta pentirsi in
punto di morte.
Don Giovanni è il prototipo dell’antieroe, lo strumento di un insegnamento ex contrario.
Quindi, dobbiamo mettere bene a fuoco la prevalenza nella storia fondativa del mito del
messaggio religioso: Don Giovanni non è tanto il seduttore, ma il peccatore e il suo peccato
non è tanto quello di sedurre le donne, ma quello di avere un eccesso di fiducia nella grazia
divina. Tirso dice: per ottenere la salvezza dell’anima bisogna agire bene, in modo pio nel
corso di tutta la vita, altrimenti si va all’inferno. È tanto vero che il messaggio centrale di
Tirso sia di tipo religioso e
Il tribunale che giudica Don Giovanni è quello divino e non quello umano incarnato da un re.
In questo senso, un grande filosofo tedesco che si è occupato ampiamente del mito di Don
Giovanni dice che non si può concepire il personaggio senza il cristianesimo, proprio perché
all’interno di un dibattito teologico viene concepita la sua figura come exemplum in negativo
e in rapporto al tema della grazia divina (Kierkegaard, Don Giovanni la musica di Mozart e
l’eros)
Se abbiamo fissato l’importanza del tema religioso nel testo fondativo del Don Giovanni,
dobbiamo dire che la sua fortuna, quindi tutta la catena riscritturale che riguarda questo
personaggio non poggia tanto sul carattere di peccatore ma proprio su quello di seduttore: la
fortuna di Don Giovanni si basa più che altro sul suo carattere di seduttore che nel testo
fondativo tutto sommato non è prevalente. Ciò che affascina i riscrittori è proprio la sua
vitalità e il suo individualismo, il fatto di vivere in ragione del piacere personale, che ignora
completamente la legge morale, sociale e religiosa, il fatto di imporsi come l’ego contra
mundum, la volontà individuale che sfida il mondo, la legge, le convenzioni sociali, morali,
religiose. Quindi se Tirso, uomo della controriforma concepisce il suo protagonista come
antieroe avendo del suo personaggio una visione negativa, tanto è vero che alla fine lo
condanna, tuttavia Don Giovanni invece si è imposto sui successivi riscrittori proprio in senso
positivo in protesta dell’individualismo contro le convenzioni sociali e per la sua straordinaria
forza vitale. L’individuo nella lotta eroica contro la morale rigida e oppressiva, come colui
che afferma se stesso disprezzando il pericolo
MONOLOGO DI TISBEA
Pescatrice, la prima conquista nella quale il lettore si imbatte. Sappiamo che questo è il
monologo attraverso il quale Tisbea si presenta al pubblico prima di imbattersi in un Don
Giovanni naufrago
Tisbea dice di essere indifferente all’amore, si sottrae dalla prigionia (prigione d’amore,
riferimento alla concezione cortese dell’amore). Dice di essere felice perché libera dall’amore
si sottrae alla sua folle prigionia e si dichiara fortunata anche nella strofa successiva.
Lei si presenta poco prima di incontrare Don Giovanni, poi c’è Catalinon che la incontra e lo
rivediamo quando avviene l’incontro con Don Giovanni dopo il dialogo con Catalinon.
Quando stava per annegare nell’inferno del mare, ascendo al vostro limpido cielo.
Un espantoso huracán
dio con mi nave al través, Un terribile uragano ha sfasciato la mia nave
para arrojarme a esos pies, per gettarmi ai vostri piedi che mi son porto e
que abrigo y puerto me dan, riparo. Rinasco nel vostro oriente divino e non
y en vuestro divino oriente mi stupisce, differenza di una lettera c’è tra
renazco, y no hay que espantar,
mare e amare.
pues veis que hay de amar a mar
E se morivo di mare, da ora in poi morirò
una letra solamente.
y en ver tormentos mayores, d’amore dato che un tal dolce ho trovato in
crece amor en mis pesares; voi, fatemi tornare al mare per fuggire dal mal
y si moría de mares, d’amore.
desde hoy moriré de amores.
Y pues tan dulce rigor
en vos he llegado a hallar,
dejadme volver al mar
para huir del mar de amor.
Altro stilema cortese: ajena, enajenación, cioè fuori di me, non mi controllo più. Quella
donna che si era presentata indifferente all’amore di punto in bianco dice “quando non ti vedo
mi sento persa”.
TISBEA: Yo a ti me allano,
bajo la palabra y mano
de esposo.
Anche lei a sua volta non è uno stinco di santo, perché si fa sedurre dalla promessa di
matrimonio, cioè dalla aspirazione di poter effettuare una scalata sociale.
Mentre Tisbea si presenta al pubblico attraverso un lungo monologo, ciò non accade con Don
Giovanni: pur essendo il protagonista non ha a suo carico un monologo sebbene secondo la
prassi teatrale i personaggi si presentano al pubblico attraverso un monologo. Come si può
spiegare che sia proprio il protagonista ad essere carente di questa risorsa teatrale così
importante per autoritrarsi di fronte al pubblico? Perché sia il personaggio attraverso le sue
azioni che definisca il suo carattere, l’altro elemento potrebbe per non dire tutto e subito del
personaggio ma mantenere l’aspettativa, la curiosità del pubblico che deve scoprire
stradafacendo. Tuttavia, la logica narrativa prevede un altro fatto: la mancanza di parola in
Don Giovanni, che di fatto non si presenta verbalmente attraverso un monologo, riflette il suo
stesso carattere. La stessa assenza di parole è la sua presentazione, dato che Don Giovanni è
un personaggio privo di autocoscienza. È un personaggio che non riflette su se stesso, sembra
non possedere un’interiorità, una coscienza con la quale dialogare. Don Giovanni sa solo
agire ma non riflettere, è solo spinto dall’istinto, dalla forza vitale, dal desiderio di godere,
ma non da principi morali. Potremmo definirlo un perpetuum mobile per dire che non si
ferma mai, che è una sequenza ininterrotta di azioni ed è proprio questa che rappresenta la
sua mancanza di coscienza e la sua incostanza. Potremmo dire che se la parola è
autocoscienza, autoriflessione, autoritratto, Don Giovanni ne è privo proprio perché è privo di
coscienza, è privo di autoriflessione.
Un’altra grande novità messa in opera da Zorrilla risiede proprio nell’arrangiamento narrativo
della storia, quello che possiamo definire intreccio: la storia nasce con una scommessa tra
Don Giovanni e un suo amico complice di seduzioni. Si trovano in una bottega e con tutto un
pubblico intorno si sfidano a chi ne ha sedotte di più. A questo punto inizia la lista delle
donne sedotte e il vincitore di questa scommessa è Don Giovanni. Il suo rivale lo sfida a
un’ulteriore ed estrema scommessa, cioè quella di sedurre una novizia (si sconfina nel campo
blasfema) e Don Giovanni accetta.
Si introduce nel giardino del convento, incontra Dona Ines, la seduce con la sua abilità
oratoria e poi la rapisce. Finiscono a casa di Don Giovanni dove si svolge la famosa scena
del sofa: i due personaggi seduti sul divano della casa di Don Giovanni, il grande burlatore
che sta per vincere la sfida più difficile della sua vita capisce che si sta innamorando di questa
donna e che quindi sta perdendo la sua spavalderia e che si sente sciogliere dentro. A quel
punto gli chiede di sposarla e in quel momento vengono raggiunti dal commendatore (padre
di Dona Ines). Don Giovanni chiede la mano della figlia ma il commendatore non crede che
si sia innamorato così lo sfida a duello e muore. Muore anche Dona Ines di crepacuore e però
la sua anima intercede presso Dio che quindi salva anche l’anima di Don Giovanni, la cui
anima si può ricongiungere con quella di Dona Ines. C’è un’apoteosi finale con i due che
ascendono al cielo tra fiori e canti celesti.
L’arrangiamento è diverso ma i caratteri sono gli stessi (donna sedotta e padre della donna
sedotta ucciso).
È chiaro che questa trasformazione sia dovuta alla concezione romantica dell’amore,
l’amore romantico è un amore che giustifica tutto, che non conosce ragioni e che prevale
su ogni altra motivazione.
2. GRUPPO FEMMINILE: non lo vediamo in Zorrilla, vediamo una sola donna (Dona Ines)
ma delle altre sappiamo attraverso la lista della scommessa, quindi comunque la pluralità
di donne che fa di Don Giovanni un seduttore è mantenuta. Ines è l’unica arappresentare
il ruolo femminile ma è la più importante sul piano della narrazione teatrale perché è la
figlia del commendatore, quindi colei che mette in contatto Don Giovanni e il
commendatore quindi mondo terreno e ultraterreno. Inoltre, Zorrilla fa si che Ines diventi
la figura centrale del dramma, che non solo rimpiazza il commendatore ma quasi anche
Don Giovanni, o almeno instaura un coprotagonismo. È lei il personaggio che vince
facendo innamorare di sé stessa il seduttore e che redime il seduttore. Con Zorrilla
assistiamo a una vera e propria femminilizzazione del mito, che fino a quel momento
aveva fatto si che la donna fosse solo l’oggetto di un gioco maschile o di un gioco tutto
realizzato tra personagig maschili (Don Giovanni e il commendatore). La donna non ha
più una semplice funzione teatrale (com’era un po’ in Tirso, le donne servivano solo a
fare di Don Giovanni un seduttore), qui Ines diventa un personaggio a tutto tondo con lo
spessore e l’importanza di una coprotagonista.
Incarna un amore diverso da quello visto, è un amore carità: non è ne amore passione ne
amore coniugale (in un ottica cattolica)… è un amore casto, disposto al sacrificio che si
orienta tutto verso una comunione mistica con il suo amante, ed è una donna sacerdotessa
nella misura in cui intercede verso Dio a favore di Don Giovanni. In questo senso l’amore
di Don Giovanni più che innamoramento può essere definito come un’illuminazione,
perché dovuto a un colpo di grazia sovrannaturale (grazie all’intercessione di questa
donna sacerdotessa che si fa strumento della misericordia divina, ecco il Dio
misericordioso). Il Don Giovanni di Zorrilla si salva ma nell’ambito di una morale tutta
cattolica. Non si salva perché un etos tutto terreno gli concede il diritto di essere cio che
è, per essere salvato Don Giovanni si deve trasformare: non solo si deve pentire ma si
deve innamorare, cioè si deve pentire sinceramente e soltanto tramite il pentimento può
ottenere la sua salvezza all’interno di una morale tutta religiosa, di quell’amore che
abbiamo definito come agape. Questa redenzione di tutti i personaggi in una logica
religiosa è ciò che di fatto, secondo Zorrilla, segnerà il valore degli altri Don Giovanni dei
quali esclude ogni influenza.
3. ANTIEROE: processo di trasformazione di Don Giovanni. Per tutta la prima parte
dell’opera Don Giovanni mantiene il suo carattere di burlador e per tutta la prima parte
come ogni peccatore è connotato da un carattere diabolico, spesso viene comparato al
diavolo (= dia ballo, dal greco, cioè separare, creare una rottura anziché un’unione).
Quindi per tutta la prima parte mantiene questo carattere satanico la cui colpa in questo
caso di Zorrilla appare ancora più blasfema proprio perché seduce una novizia, quindi
aggiungendo al suo comportamento un carattere di sacrilegio, di profanazione.
La sua trasformazione avviene nella scena del sofà quando si sente improvvisamente
spogliato del suo satanismo, di quel carattere che gli permetteva di farsi gioco di tutti.
Comincia a idealizzare questa donna, a vederla come un oggetto di culto anziché di
conquista. Il terribile seduttore giunge a umiliarsi di fronte a lei e al suo stesso padre
chiedendogli la mano e pentendosi dei suoi peccati. Questo secondo Don Giovanni
innamorato, pentito (in termini moderni imborghesito, cioè disposto a sposarsi) cessa di
essere ciò che è: la bellezza del personaggio era quella di essere l’ego contra mundum, il
grande trasgressore che non ha paura di nulla. Questo processo di desdonjuanizacion in
qualche modo lo priva di fascino, è un contro Don Giovanni, al quale Zorrilla toglie la parte
satanica. Tutta la parte che ci teneva con il fiato sospeso viene meno.
A favore del Don Giovanni di Zorrilla c’è da dire che si tratta di un personaggio dotato di una
complessa evoluzione psicologica: passa ad essere il suo opposto mentre il personaggio di
Tirso era un personaggio fisso, resistente a ogni evoluzione, dotato di un io definitivo, un po’
monolitico, caratterizzato dalla ripetizione che rendeva la sua identità inalterabile. Invece
questo è un Don Giovanni dotato di un conflitto interiore che fa si che conosca un’evoluzione
psicologica nell’arco dell’opera.
Vediamo come una diversa concezione dell’amore, una diversa filosofia d’epoca (il
romanticismo) o come una diversa poetica personale di un autore possa condizionare
l’interpretazione di uno stesso personaggio e la riscrittura della sua storia. Don Giovanni è
stato anche oggetto di riscritture in chiave psicanalitica, è divenuto omosessuale, si è
invecchiato, è diventato donna
POESIA POPOLARE
Secondo paragrafo dell’amore anticortese: anticortese perché in questi contesti la
rappresentazione dell’amore avviene secondo parametri anticortesi. Ora vediamo nell’ambito
della poesia popolare.
La poesia popolare è quella poesia che nasce in un contesto sociale sottoprivilegiato, ad opera
di poeti che rimangono anonimi e che usano, essendo per lo più analfabeti, il canale
dell’oralità. La poesia orale vive di varianti proprio perché priva di un testo fisso che la fissa
in una variante difinitiva: una poesia che passa di bocca in bocca e ogni nuovo interprete la
reinventa introducendo delle varianti. Quindi, ogni interprete diventa coautore e il testo ha la
caratteristica di essere liquido proprio perché accetta le varianti. Perché ogni singolo
interprete introduce delle varianti? Perché la poesia popolare avviene nell’ambito di una
performance quindi il cantore popolare ha un ritorno diretto dal suo pubblico, quindi ne
percepisce la noia o l’entusiasmo. Di conseguenza taglia o aggiunge laddove percepisce sia
necessario farlo. Inoltre c’è un’altra componente, cioè la memoria soprattutto nei testi lunghi
il cantore può dimenticare qualcosa quindi li interviene con delle varianti che improvvisa.
Naturalmente spesso questa poesia popolare è cantata quindi l’accompagnamento strumentale
aiuta molto anche la memorizzazione perché la musicalità intrinseca del testo poetico è
assecondata dalla musica seconda che è quella dello strumento musicale.
Nell’ambito della poesia popolare si riscontra un genere che è assolutamente assente nella
poesia colta, cioè quello delle puellarum cantica, le canzoni di donna. Nell’ambito dell’amor
cortese il soggetto poetico è sempre maschile e la donna non si esprime, è una protagonista in
absenzia. Invece, nell’ambito della poesia popolare la donna dice “io”, nell’ambito della
poesia amorosa. Per questo, questo gruppo di poesie popolari interpretate da donne viene
definito puellarum cantica, dove la voce, il soggetto poetico è femminile, quindi chi si
innamora è la donna. L’aspetto che maggiormente differenzia la poesia colta d’amore dalla
poesia popolare fino al 600 è l’esistenza di canzoni dotate di voce femminile, quindi
l’espressione dei sentimenti può avvenire anche da parte di una donna. Quindi, la
femminizzazione della voce. Se a proposito di Zorrilla avevamo parlato di femminizzazione
del mito di Don Giovanni, qui la femminizzazione è della voce poetica.
Qui le donne parlano, quindi sono protagoniste in presenzia, non più in absenzia (grandissima
differenza) però la paternità di queste poesie difficilmente secondo gli esperti dell’argomento
è femminile: donne erano le protagoniste, ma non le autrici. Queste puellarum cantica sono
canzoni nelle quali si alberga la voce di donne ma non donne con voce, cioè si da voce ad una
donna di carta, al personaggio femminile ma non sono donne reali che creano quel
personaggio femminile. (Giuseppe Tavani – García Gomez).
28.03
La cita de amor è qualcosa di inconcebile alla quale nemmeno si aspira nella poesia cortese,
che è un amore da lontano, il contatto fisico non viene neanche contemplato. Al contrario
nella poesia popolare la cita de amor è uno dei macrotemi, tanto è vero che anche qua si
creano degli stereotipi e le coordinate spazio-temporali di questa cita de amor sono:
- L’incontro avviene per lo più all’alba: già avevamo parlato dell’albada come una
sottospecie della poesia popolare, proprio perché la notte nasconde l’intimità degli amanti
e anche l’alba stessa che non è ancora luce ma un chiarore. Poi l’alba rimanda anche
simbolicamente alla rinascita e l’amore è fecondo, è fertilità.
- Le coordinate spaziali hanno spesso un valore simbolico: in genere le sponde di un fiume
o una fonte proprio perché a sua volta l’acqua ha come valore simbolico primario quello
della fertilità che ovviamente si associa all’accoppiamento amoroso.
Ricordiamo quanto San Juan de la Cruz attinga a questa fonte, albada citata da lui nel
momento in cui rappresenta l’incontro amoroso.
L’incontro amoroso rispetta spesso degli eventi calendariati, quindi il tempo del calendario e
in genere l’evento calendariale più associato all’incontro amoroso è la Pasqua: coincide con il
rinnovamento primaverile, quindi la fertilità della natura che rinasce. Insomma, l’incontro
amoroso è associato a tutti i simboli di rinnovamento della vita, quindi di fertilità (acqua,
luce, Pasqua).
L’incontro amoroso può essere anche diserato dall’amate, in questo caso è l’amante maschile
ad essere sdegnoso, che diserta o per dimenticanza o perché è trattenuto da un’altra donna o
perché trattenuto addirittura da faccende imprecisate che potrebbero anche riguardare la
guerra nel caso in cui l’amato sia in guerriero. Nel caso di un incontro amoroso disertato i
submotivi prevalenti sono l’attesa da parte della donna (per lo più sofferta, concitata) e poi il
motivo dell’abbandono, donna che si sente abbandonata, cosa che provoca in lei un doloroso
sentimento di disinganno. Sia l’attesa sia il disinganno comportano un’aspettativa,
l’aspettativa dell’incontro, che è del tutto negata all’amante cortese, il quale neanche ambisce
all’incontro proprio perché vi è in lui la rinuncia dell’appagamento corporeo, dell’amore dal
punto di vista fisico/corporeo. Invece, l’aspettativa è indice di una diversa impostazione.
Dal punto di vista stilistico possiamo segnalare un andamento espressivo basato sulla
sottrazione, cioè su una estrema economia espressiva (dire molto con poco) che genera un
orizzonte verbale minimo (il massimo sono quattro versi per lo più di ottosillabi). Questo
quindi richiede una stringata economia verbale, una sintesi estrema nell’espressione degli
stati d’animo e dei concetti. Non c’è molto spazio per dire in modo prolisso, quindi prevale
un fraseggio ellittico cioè basato su omissioni: non si può spiegare tutto, non si possono
sciogliere tutti i passaggi logici, ma bisogna omettere e così si genera quindi la poetica del
frammento.
Possiamo dire che si tratta di miniature poetiche: nella poesia colta ci sono poemi e romances
molto lunghi, qui invece sono delle miniature poetiche che vengono definite con il nome di
coplas perché queste brevi strofe spesso venivano anche cantate, sicuramente recitate. Dotate
di una natura non esplicativa (omissione) ma piuttosto evocativa, che rimanda a delle
circostanze inespresse, e sicuramente emotiva. Il carattere emotivo prevale su quello
concettista, ricordiamo quanto concettismo troviamo nella poesia dell’amor cortese. Qui il
carattere emotivo si serve di esclamazioni, espressioni enfatiche piuttosto che di ragionamenti
contorti e di concetti.
Altra caratteristica della poesia popolare in contrapposizione a quella colta è l’importanza del
paesaggio, praticamente assente nella poesia colta dell’amor cortese. Il paesaggio e la natura
non hanno soltanto un valore referenziale, cioè costituire la cornice dell’incontro amoroso,
ma hanno soprattutto un valore simbolico. In genere la frutta, i fiori e gli alberi sono dei
simboli associati alla fertilità, all’amore, alla sessualità oppure viceversa al disamore e alla
sessualità frustrata. Quindi l’arancia, il limone avranno sì una connotazione referenziale di un
paesaggio caratterizzato da quel tipo di piante (arancia e limone sono frutti che connotano il
paesaggio urbano di Siviglia), ma non è soltanto l’albero del luogo perché l’arancio e il
limone sono simboli di sessualità. Dunque, non solo funzione descrittiva di una determinata
natura/contesto ma anche valore simbolico, per questo l’importanza della natura in questa
poesia.
Ay de mi, cuitada!
Quien me cautivo?
Que libre era yo
Questa strofetta può essere attribuita a Tisbea di Don Giovanni (exenta de amor), la seduttrice
sedotta dallo stesso Don Giovanni. Qui notiamo topos dell’amore come carcere tipico
dell’amor cortese, ma lo spazio letterario colto e popolare non sono degli spazi isolati l’uno
dall’altro ma comunicano tra di loro: ecco che dei motivi colti discendono in ambito popolare
e viceversa. Dunque, questa intercomunicazione tra alto e basso fa si che ci sia un commercio
di motivi ed ecco che il motivo cortese del carcere d’amore lo ritroviamo anche in ambito
popolare.
4. Soggetto che parla con un interlocutore del proprio amante: non si rivolge
direttamente al proprio amante ma parla di lui ad un soggetto terzo, generalmente è la
madre. La madre nella poesia popolare svolge o la funzione di confidente o di colei
che controlla il comportamento della figlia censurandolo, imponendo limiti ed
ostacoli.
Nelle canciones de mujer è sempre così esplicito il genere della voce parlante? Ci sono delle
marche testuali sempre esplicite? A volte sì, proprio nei monologhi con apostrofe l’amato al
quale si rivolge è designato con termini inequivocabili (amigo, caballero, pastorcito), in quel
caso il tu è definito al maschile ed è evidente che chi parla è una donna. In altri casi ci si
rivolge all’essere amato con espressioni ambigue (amor, amores, mis ojos, mi alma, mi
corazón) quindi questi sono dei marcatori non utili dal punto di vista della fissazione del
genere della voce, a meno che questo “amor” non sia qualificato in un modo o in un altro.
In altri casi la marca testuale si riferisce non all’io, neanche al tu, ma a lui (el)
Ay triste de mi ventura
Que el barquero me huye
porque le quiero
Il riferimento è ad un lui maschile.
In altri casi il genere è definito sia per quanto riguarda l’io sia per quanto riguarda il tu
Queredme bien caballero
Casada soy
Aunque no quiero
Il problema sussiste quando né l’io ne il tu hanno una marca testuale che definisca in modo
inequivoco l’identità di genere.
Dato che abbiamo detto che è la donna ad essere protagonista di queste poesie dobbiamo
stabilire una galleria di tipologie femminili che ricorrono in queste coplas:
- Nina precoz: la bambina precoce che ambisce ad una vita sessuale in modo precoce.
Ay mezquina,
que se me hincó un’espina!
Desdichada,
Que temo quedar prenada
Allusione oscena della spina conficcata, ovviamente è un’allusione erotica.
Come capiamo che è una bambina? Dalla lunghezza dei capelli perché nella tradizione
popolare le ragazze da matrimonio portavano i capelli lunghi e venivano chiamate “ninas en
cabello”. Invece, il fatto di non averli lunghi si può interpretare come una ragazza che ancora
non è giunta all’età del matrimonio, quindi è molto piccola.
- Moza soltera rebelde: ragazza da sposare, ancora non sposata, ribelle che fugge
dall’incubo del matrimonio visto come un’imposizione da parte dei genitori che fa si che
la donna passi dal controllo genitoriale al controllo maritale. Questa è una ragazza ribelle
che vuole essere libera o almeno non passare da una prigionia all’altra e quindi non vuole
lasciare la sua vita di soltera.
- Ragazza che smania per sposarsi: il matrimonio rappresenta l’unica opzione legittima per
avere una vita sessuale
- Malmonjada: colei che non vuole farsi monaca perché non vuole rinunciare alla
sessualità. Molte ragazze per motivi economici venivano mandate in convento, perché
sposarsi era un grande impegno economico per le famiglie (dote), quindi non tutte le
famiglie erano in grado di sposare tutte le figlie e le altre venivano mandate in convento.
Alcune si ribellavano perché non volevano rinunciare alla vita sessuale.
Oppure l’adulterio
Queredme bien caballero
Casada soy aunque no quiero
Oppure addirittura un desiderio di morte e questo ci fa pensare all’amante cortese che cerca la
liberazione nella morte
Madre mia, muriera yo
Y no me casara no.
Di fronte a questo matrimonio indesiderato la bellezza della donna risulta del tutto inutile.
Madre, para que naci tan garrida?
Para tener esta vida?
Soy garridita y vivo penada por ser malcasada
Soy garridilla y no pierdo salzon
Por mal maridada
Tengo marido en mi corazon
Que a mi me agrada
Garrida soy en el llermo
Y para que?
Pues que tal mal me emplee
- Motivo della vecchia che invoca l’amore: donna viuda che però è ancora attiva
sessualmente e che rivendica la sua soddisfazione.
Sono donne completamente diverse da quella dama austera della tradizione cortese. Siamo
distanti moltissimo dalla donna dell’amor cortese.
Queste donne che esprimono e rivendicano il loro diritto al desiderio al godere, alla libertà,
non si tratta di una contraddizione rispetto alla condizione antropologica della donna
dell’epoca nell’ambito di una società patriarcale di tipo tradizionale? È vero che dice che è
schiava ma esprime un desiderio di libertà, di vendetta.
La letteratura è una valvola di sfogo che poi di fatto era utile a sopportare meglio la realtà, a
ritornare nella convenzione. È come se il linguaggio rappresentasse lo spazio dove l’azione
repressa nella vita reale poteva avere corso. Se trovo una valvola di sfogo sopporto meglio la
costrizione, quindi infine la valvola di sfogo è quasi funzionale a quella costrizione.
Nell’ambito della finzione è possibile agire ciò che nella realtà non è, quindi si sopporta
meglio.
In generale l’uomo è quello che svolge l’attività lavorativa fuori casa, è colui che gestisce le
relazioni sociali mentre alla donna si delega una funzione prevalentemente domestica e
materna. Quindi la ragazza che invece vuole essere attiva nel viaggio e quindi in una vita
attiva anziché stabile e tutta sviluppata all’interno delle pareti domestiche, è chiaramente un
motivo che ancora una volta (discorso della letteratura come finzione per dare luogo ad una
vita altrimenti impraticabile) la donna desidera uscire dai confini del ruolo sociale nei quali è
legata.
Quierome ir mi vida
Quierome ir con el
Una temporadita con el mercader
In altri casi a questo motivo del “quierome ir” si allegano dei simboli erotici trasparenti come
andare a raccogliere i fiori nell’orto, luogo favorito degli amanti dove per esempio nasce la
rosa, chiaro simbolo erotico.
En la huerta nace la rosa
Quierome ir allá
Por mirar al ruisenor como cantavá
Oppure, la ragazza può confessare alla madre di aver già colto le rose nel roseto, quando per
esempio dice:
Yo me iba, mi madre,
las rosas coger;
hallé mis amores
dentro en el vergel.
Va a prendere le rose e ha trovato il suo amore nel frutteto: qui è un’azione già compiuta nel
passato e non un desiderio. Naturalmente la rosa per il suo colore rosso simboleggia la perdità
della verginità, che segna la transizione dall’età infantile alla maturità sessuale.
Oltre al “quierome ir”, c’è anche il motivo del “llevame”, direttamente rivolto all’amico.
Quindi la donna prende l’iniziativa e chiede all’uomo di portarla con se.
Por el rio me llevad, amigo,
Llevadme por el rio
Il fiume naturalmente simboleggia la passione dell’amato o l’amato stesso, quindi la presenza
del fiume enfatizza l’erotismo nella richiesta della donna.
La spregiudicatezza della donna arriva al punto di incitare l’uomo a partire, non di volersi
semplicemente aggregare all’uomo che parte, ma addirittura lo incita
Salga la luna caballero
Salga la luna y vamonos luego,
Caballero venturero
salga la luna por entero
Salga la luna
Y vamonos.
La luna rischiara il cammino notturno lungo il quale fuggire da una condizione di vita
insoddisfacente.
Quindi sia il motivo del “llevame amigo” sia del “vamonos” indicano una donna attiva che ha
desiderio di mettersi in movimento per intraprendere una vita attiva e soprattutto esercitare
una vita sessuale libera. Poi ci sono altri motivi ancora più espliciti per esempio:
picame Pedro,
que picarte quiero
Tutte queste coplas restituiscono il ritratto di una donna antropologicamente non veritiera ma
che nella finzione letteraria rivendica dei diritti che le sono negati nella vita reale.
Con questo abbiamo visto come i due versanti colto e popolare nella rappresentazione
letteraria dell’amore differiscano: uno è dal protagonismo maschile l’altro dal protagonismo
femminile, uno di una donna lontana, indifferente qui di una donna attiva; uno è di un amore
platonico l’altro di un amore sessuale, a volte anche esplicitamente erotico. Quindi siamo di
fronte a due versanti quasi opposti, però queste colpas per la loro caratteristica linguistica
indicano risalire al medioevo. Questi due versanti così diversi sono paralleli dal punto di vista
cronologico.
AMORE ROMANTICO
La concezione dell’amore in epoca romantica per alcuni aspetti si sovrappone a quella
cortese, per altri è assolutamente diversa.
L’amore nel romanticismo diventa un macrotema, quasi il tema per antonomasia, ma di che
tipo di amore si tratta? ancora una volta si tratta di un amore non sereno, tutt’altro che
sottomesso al controllo razionale (lotta tra amore e ragione nell’amore cortese in cui ragione
perdeva sempre, anche qui la ragione non ha nessun potere). Un amore contro ogni
convenzione, contro ogni regola, contro ogni norma perché trattasi di un amore passionale
che non conosce altre ragioni che quelle della passione. Tanto più passionale quanto più
irraggiungibile, infelice, al punto tale da coniugarsi con la morte: amore e morte sono un
binomio tipico della letteratura romantica, l’amore causa di morte proprio per la sua natura
cieca, passionale che espone gli amanti ad ogni tipo di pericolo. I due pericoli ai quali
maggiormente si oppone sono innanzitutto le convenzioni sociali, barriere che impongono
norme che finiscono per prevalere sugli amanti (la società finisce per soffocare gli amanti)
ma l’altro grande nemico è il destino avverso, il senso della fatalità, di un destino contrario
alla felicità degli amanti. Quindi se è un amore che sfida la convenzioni sociali è un amore
percepito come peccaminoso, è una forza antisociale (che va contro le convenzioni) perché
nasce proprio tra individui che le regole sociali non accettano come amanti, perché?
- Per il dislivello sociale: tra aristocratica e popolano, gitano, uomo dalle origini occulte. Il
rango sociale è un principio fortemente strutturante della società, mentre uno dei miti
romantici è proprio quello della libertà anche nella gestione dell’amore. Dunque, il
principio del rango come regola sociale e invece la libertà individuale.
- Amore incestuoso: magari gli amanti non sanno di essere madre-figlio o fratello-sorelle,
per questo si amano liberamente ma appunto è un amore non accettato
- Amore adultero
- Amore nato tra individui appartenenti a famiglie nemiche per ragioni politiche o religiose,
culturali, etniche, razziali.
Quanto più è ostacolato tanto più diventa passionale e irrinunciabile, infatti l’amore-passione
romantico sembra quasi avere bisogno di un ostacolo perché gli ostacoli sono come un
nutrimento dell’amore romantico, il quale viene a configurarsi come fonte di patimento, di
sofferenza. Nello stato d’animo dell’amante si instaura un bipolarismo a tutti gli effetti perché
vi è una costante alternanza tra sofferenza ed estasi, tra esaltazione e malinconia, tra
entusiasmo e rabbia, elevazione spirituale e abbattimento morale, proprio perché l’amore è
così caratterizzato come una lotta contro la società.
La forza di questo amore rende ciechi, folli, non più padroni di sé. Oltre a coniugarsi con la
morte si coniuga con la follia.
Per quanto detto adesso possiamo notare delle linee di continuita con l’amor cortese:
innanzitutto la sconfitta della ragione di fronte a questo amore-passione, lo stato d’animo
bipolare, la morte, l’alienazione (non essere più padroni di sé stessi, essere folli). In questo
caso però la follia scatenata dalla passione acquisisce una valenza positiva perché in questo
caso l’amore folle viene percepita come una forza capace di vedere oltre, uno sguardo
ulteriore oltre i limiti della ragione. Rende ciechi ma allo stesso tempo capaci di andare oltre.
Volendo fare un rapido escursus sulla filosofia dell’amore dagli antichi al romanticismo,
capiremo la portata rivoluzionaria dell’amore romantico. La storia del pensiero anteriore al
romanticismo era molto diversa:
- Platone e Aristotele: di fronte all’amore invitavano all’equilibrio, proprio mediante il
governo della ragione. Ritenevano che l’amore fosse una follia e che bisognava difendersi
grazie al controllo della ragione.
- Epicurei: sconsigliavano i legami amorosi auspicando l’apatia come stato frutto di un
faticoso lavoro ascetico, cioè di distacco dalle passioni e controllo sulle passioni, proprio
per potersene difendere. Questo perché le passioni per i latini e per i greci erano
considerate a tutti gli effetti una malattia che per esempio nella letteratura andava
giustificata con l’intervento divino (pensiamo alle frecce di cupido). Le passioni erano
sempre portatrici di sventure e morte.
- Con l’avvento del cristianesimo, l’amore al di fuori del sacramento del matrimonio è una
colpa perché distrae l’uomo dall’unica vera vita che è quella spirituale e perché l’amore
induce al peccato della carne tollerato solo se consumato all’interno del matrimonio in
vista della procreazione.
- Amore cortese: è la prima rivendicazione della virtù nobilitante dell’amore (amare e
soffrire per l’amata nobilita). Tuttavia, questo riconoscere all’amore una virtù nobilitante
è a costo della sua spiritualizzazione, solo se è un amore platonico e spirituale è concepito
in quanto tale. Quindi, tendendo alla soppressione della fisicità per una totale
sublimazione spirituale del sentimento. L’amore è accettato a patto che si spiritualizzi
- Rinascimento: è qui quando questa mistica dell’amor cortese inizia a laicizzarsi in una
concezione dell’amore anche come godimento dei sensi (de rosa y de azucena). Però nel
rinascimento è vero che si laicizza la concezione dell’amore a punto tale da essere intesa
come godimento dei sensi, ma pur sempre all’interno di un controllo razionale.
- Viceversa, il romanticismo invita a lasciarsi possedere dalla passione riconoscendo
all’amore una onnipotenza
4.04
Il mediatore ideologico/filosofico della concezione romantica dell’amore è Hegel con la
teoria della tesi, antitesi e sintesi, dove la sintesi che è il risultato finale di questo
ragionamento è quella dell’amore concepito come unità indifferenziata tra due soggetti,
l’amore conduce a questa unione e quindi al superamento dei confini dell’individualità.
Anche uno scrittore francese, Stendal, si era preoccupato di teorizzare il tema dell’amore e lo
fa attraverso la famosa teoria della cristallizzazione: meccanismo per cui l’amante attribuisce
alla persona amata tutte le qualità e perfezioni possibili, anche se non le possiede. È un
processo di idealizzazione dell’oggetto amato. Meccanismo psicologico del tutto naturale
dato che l’aumento del valore della persona amata aumenta innanzitutto il piacere
dell’amante di possederlo e poi il proprio stesso valore (se conquisto una cosa bella con un
valore specifico aumenta il mio stesso valore). In questa prospettiva della
cristallizzazioneStendal spiega il colpo di fulmine come una cristallizzazione che precede il
primo incontro anziché seguirlo: il colpo di fulmine si spiega perché l’amante si è
precostituito un modello ideale, un giorno incontra un essere che somiglia a questo modello
ideale ed ecco che scatta la cristallizzazione come riconoscimento del proprio oggetto.
Di fronte a questa teoria risponde da lontano (nello spazio e nel tempo) Ortega y Gasset,
filosofo enciclopedico spagnolo secondo cui la teoria della cristallizzazione di Stendal
qualifica l’amore come una costitutiva finzione dato che ci innamoriamo quando sull’altra
persona la nostra immaginazione proietta delle qualità inesistenti. Cioè il valore della persona
amata dipende da noi, dal fatto che gli attribuiamo qualità che desideriamo ma che magari
possono non essere presenti in quella persona, quindi l’amore se concepito in questo modo
risulta essere una totale finzione. Infatti, l’immagine reale dell’amata/o cade all’interno di una
sovrapposizione di immagini che accumula sulla nuda immagine dell’amato ogni virtù. È
come se noi intessiamo dei ricami inesistenti intorno a quell’immagine. Quindi l’amore non è
regolato dalle qualità oggettive dell’oggetto d’amore ma è frutto della nostra appassionata
immaginazione, in sostanza l’amore è visionario (non solo non vede ciò che è reale ma lo
sostituisce con un’immagine ideale). L’oggetto del nostro amore è una mera proiezione
soggettiva di chi ama, un processo di idealizzazione. Quando questa finzione/immaginazione
svanisce ecco che l’amore è destinato a morire e avviene ciò che Stendal chiama la
scristallizzazione, ritorno alla lucidità, la consapevolezza dell’errore.
Un’altra considerazione interessante di Ortega è che mentre in tutte le circostanze della vita
noi rifiutiamo che la nostra orbita esistenziale sia invasa da altri esseri, cioè difendiamo le
frontiere della nostra esistenza individuale, non permettiamo a tutti di penetrare nella nostra
orbita. Invece, quando ci innamoriamo ci sentiamo metafisicamente porosi nei confronti
dell’individualità della persona amata, non più impermeabili ma al contrario permeabili al
punto tale che solo nella fusione delle due individualità (individualidad de dos) troviamo la
nostra soddisfazione (concetto simile a Hegel, questa inclinazione fusiva degli innamorati che
superano le frontiere dell’io per cercare una nuova doppia indivitualità). Però dice che c’è
una grande differenza tra innamoramento e amore:
- Condizione di non innamoramento: la nostra mente è come un palcoscenico abitato da
tanti fuochi di interesse (studio, amicizie, hobby) e la nostra mente può dare una centralità
a uno di questi ma poi sostituisce costantemente e viaggia tra una molteplicità di centri di
interesse, anche se naturalmente si può stabilire una gerarchia, ma questa è mutevole, non
da sempre la priorità ad un elemento.
- Condizione di innamoramento: il palcoscenico della nostra mente risulta abitato da un
unico fuoco di interesse che attrae tutta la nostra attenzione, quindi la nostra attenzione
risulta paralizzata nella misura in cui si fissa su un unico oggetto che giunge ad occupare
tutto l’ambito della nostra mente acquisendo delle proporzioni abnormi, mentre tutti gli
altri fuochi di interesse risultano relegati ai margini della nostra mente e quasi inesistenti.
Questo stato di attenzione anomalo caratterizza l’innamoramento che è a tutti gli effetti
una sorta di mania. La persona amata che occupa tutto il nostro campo mentale diventa
una presenza permanente e costante.
Lo stato di innamoramento, quindi, non corrisponde ad un arricchimento della nostra vita
mentale, ma assolutamente il contrario: vi è una progressiva eliminazione di ciò che prima ci
interessava, la coscienza si riduce fino a contenere un solo oggetto. L’attenzione si paralizza
su una cosa sola, si produce una vera e propria paralisi dell’attenzione, una vera e propria
riduzione del nostro abituale mondo mentale, cadiamo in una sorta di recinto ermetico senza
più nessuna porosità, permeabilità nei confronti del resto. Dunque, secondo Ortega lo stato di
innamoramento è una specie di imbecillità transitoria proprio perché ci paralizziamo su un
unico oggetto.
- Transitoria perché se l’innamoramento sfocia in amore (stato diverso
dall’innamoramento) ecco che si ristabilisce la gerarchia mentale. Nell’amore, modo più
maturo di relazionarsi all’altro, ecco che possiamo far convivere l’oggetto del nostro
amore con altri focus attenzionali.
Come ci si difende da questo esclusivismo dell’attenzione che è lo stato di innamoramento?
Riallargando il campo della nostra attenzione sottraendo all’amato il suo esclusivismo. Per
esempio, il viaggio è una buona soluzione secondo Ortega: il viaggio ci sana dai nostri
automatismi percettivi perché ci pone di fronte ad una realtà altra che riaprono i pori della
nostra attenzione e poi perché il viaggio stabilisce una lontananza dall’oggetto amato e quindi
lo dealimenta dal punto di vista attenzionale.
Ortega stabilisce un parallelo tra l’innamorato e il mistico: ricordiamo San Juan de la Cruz
che vive la sua unione con Dio come se fosse un vero e proprio rapporto d’amore e che per
definire l’unione mistica con Dio utilizza il linguaggio dell’innamorato, così come
l’innamorato usa il linguaggio del mistico. Questo proprio perché in entrambe le situazioni il
mistico per fondersi con Dio deve eliminare da sé ogni altra passione, deve dare questo
spazio enorme dal punto di vista attenzionale ad un unico oggetto, la visione di Dio. Il
parallelismo sta proprio in questo regime attenzionale anomale che caratterizza entrambe le
figure.
All’interno del romanticismo spagnolo le opere che accolgono questa concezione dell’amore
sono principalmente opere teatrali più che romanzi. Le opere teatrali si caratterizzano proprio
per i tormenti nati da un amore condiviso (tra i due amanti) ma a tal punto contrariato dalle
convenzioni sociali da essere spesso associato al suicidio per trovare una via di fuga da
questo sentimento. Le barriere possono essere di carattere politico, morale, religioso… e
comunque fanno si che sempre in queste opere si metta in scena lo scontro tra libertà
individuale del personaggio che ambisce ad amare come vuole chi vuole e invece si trova a
fare i conti con le convenzioni sociali trovando una via di fuga nella morte.
L’altro macrotema, oltre ad essere la società che ostacola, è il destino visto come una forza
incontrollabile nei cofronti della quale l’individuo non ha nessun potere. Il destino avverso
ende vana la volontà del personaggio e la sua capacità di autodeterminazione, quindi il tema
tipicamente romantico della fatalità che genera nel protagonista, destinato a soccombergli, la
follia (topos teatro romantico spagnolo).
Visione esistenziale pessimistica, viene meno la fiducia nei confronti di un ordine
provvidenziale dell’universo: il protagonista si scontra non solo contro l’ingiustizia sociale,
ma anche con l’ingiustizia cosmica.
Spesso ci sono degli elementi che possiamo definire dei topoi che generano un manierismo
molto forte, sul perché viene ostacolata la relazione tra i due protagonisti: spesso l’elemento
maschile è un personaggio dotato di un’origine misteriosa (gitano, bandito, fuorilegge) quindi
non è ammessa la relazione con la figura femminile aristocratica. Salvo scoprire l’identità del
protagonista maschile con origini aristocratiche, magari abbandonato e allevato da una
comunità gitana.
Uno dei macrotemi delle rime di Bequer è l’amore, che viene declinato prevalentemente in
tre modi:
1. Amore affermativo e speranzoso
2. Rottura, quindi la perdita dell’amore
3. Disinganno, quindi solitudine, angoscia e morte. L’amore non è stato praticato e poi
perso ma non è proprio praticabile, quindi disinganno nei confronti della possibilità
dell’esperienza amorosa
La chiave di tutte le rime, anche se declinate in questi tre modi, è il soggettivismo, e in effetti
tutte le rime sono scritte dall’io del poeta tranne un paio in terza persona. Spesso hanno una
connotazione autobiografica, non è un io fittizio ma l’io stesso del poeta.
Partendo da questo io onnipresente, il poeta si dirige costantemente a un “tu” per lo più
assente dal contesto spaziale, come se si trattasse di un messaggio mandato a un “tu” lontano,
quindi ciò implica la mancanza di una risposta quindi sostanzialmente l’assenza di dialogo
Primo modo, quello dell’amore speranzoso e affermativo, cioè è possibile amare: RIMA
XXIV
La concezione dell’amore aspira a risolvere la dualità nell’unità, infatti abbiamo una serie di
immagini che ci inducono a percepire l’amore come una intima e inestricabile fusione di due
elementi, di due anime. Quindi l’essere che ama a partire dalla propria individualità aspira a
superarla per fondersi con l’altro essere
Sono tutte immagini di due elementi, di dualità che si fondono in unità. La costruzione è
molto sapiente perché abbiamo due serie di immagini parallelistiche: le prime quattro
immagini sono ripartite in quattro strofe. Nell’ultima abbiamo altre tre immagini ma tutte
concentrate nell’ultima strofa, una in ogni verso (seconda serie). Sono immagini
parallelistiche perché tutte illustrano una fusione di due elementi. Il fatto di concentrare le
ultime tre immagini in una sola strofa (dedicando un solo verso ad ognuna di queste
immagini) genera un’accelerazione del ritmo, quindi si crea movimento ascensionale.
Notiamo anche che il denominatore comune di tutte queste immagini è il movimento che ci fa
passare da forme concrete della materia (il tronco, il liuto, la spiaggia e il lago) a elementi
immateriali (fiamma, suono, ondo, nube). È un movimento dinamico dalla materia
all’immateria, quindi sembrerebbe che l’espressione ideale dell’unione amorosa appaia in
concidenza con un processo di allontanamento dalla materia e di spiritualizzazione
progressiva. Sembra che ci voglia dire che l’amore appare quando ci allontaniamo dalla
corporeità, che è in sé limitazione, e la fusione si ottiene solo quando ci spogliamo dalla
contingenza materiale delle cose. Cioè l’amore è qualcosa di spirituale, necessita di un
processo di spiritualizzazione progressiva e in effetti la fusione è possibile ma su un piano più
immateriale, quando ci spogliamo dalla materia e l’amore è reso puro sentimento.
Sembrerebbe che il messaggio indiretto sia che attraverso questo passaggio dalla materia
all’antimateria è possibile l’esperienza fusiva.
Seconda modalità con la quale Bequer coniuga il tema dell’amore, cioè la rottura, l’amore
sperimentato e perso: è forse la modalità più frequente che illustra come il tu e l’io diventano
anziché elementi fusivi, entità antagoniche costantemente implicate in uno scontro. Per cui
quel dualismo iniziale non è risolvibile in unità, anzi si manifesta come separazione e
addirittura antagonismo, impossibilità di comunicazione.
RIMA XLI
Tú eras el huracán, y yo la alta
torre que desafía su poder.
¡Tenías que estrellarte o que abatirme...!
¡No pudo ser!
Anche qui vediamo che l’architettura poetica è fortemente parallelistica, le tre strofe sono
costruite nello stesso modo e tutte costruite sullo scontro tra i due soggetti (io e tu).
Abbiamo tutti dualismi e a questa lotta del tu e dell’io si offrono sei possibilità di risoluzione,
due in ogni strofa, ma in tutti i casi terminano con “no pudo ser”, quindi questo evidenzia una
radicale impossibilità di fusione quando gli opposti non sono complementari ma
incompatibili. Importante è notare il parallelismo che non solo riguarda le strofe costruite
tutte sullo stesso dualismo ma è anche un parallelismo sintattico (i versi sono costruiti nello
stesso modo), tanto è vero che le tre strofe parallelistiche sono fortemente anaforiche, con
variante nella terza, mentre “no pudo ser” è un’epifora comune a tutte le strofe. Questa
struttura è tipica della poesia di Bequer, cioè costruire le strofe nello stesso modo, con la
stessa struttura sintattica, renderle quindi parallelistiche e anaforiche e con una variante di
questa simmetria perfetta nell’ultima strofa.
È interessante dire che questo scontro caratteriale tra i due soggetti poetici (diversi
incompatibili e non complementari, uno forza attiva e l’altro forza passiva) si comunica
attraverso sensazioni situate nel passato, ciò vuol dire che il presente è caratterizzato da
questa impossibilità che si è già consumata nel passato, ormai si da per certa
l’incomunicabilità attuale.
Sempre nel trattamento del tema della rottura, dell’impossibilità d’amare ci sono due
modulazioni:
- Una più enfatica, passionale e violenta come in questo caso
- L’altra più sentimentale, nostalgica, meno irruente
RIMA XLIII
Dejé la luz a un lado, y en el borde
de la revuelta cama me senté,
mudo, sombrío, la pupila inmóvil
clavada en la pared.
Rima rabbiosa. In questa poesia non vi è nessun elemento narrativo che spieghi il perché del
doloroso stato d’animo del soggetto poetico. Tutto il testo si concentra sulla descrizione
dettagliata della fenomenologia del dolore (cioè l’insonnia, lo sguardo fisso, l’ubriachezza
semi-incosciente, l’essere una mutezza rumorosa), degli effetti, e della durata di questo
dolore, cioè dura una notte fino al sorgere del sole. in più notiamo il contrasto tra la ridente
luce del sole e invece lo stato d’animo del soggetto poetico. È come se la luce del sole fosse
crudelmente indifferente con il suo atteggiamento allegro nei confronti dello stato d’animo
del soggetto poetico. Addirittura un uomo che maledice la sua amata (differenza radicale con
l’amante cortese), si ribella al suo stato di sofferenza e maledice un amore che lo ha
abbandonato e nel tentativo di strapparsi il ferro della ferita maledice chi ne è stato
responsabile. Pensiamo poi a quanto intimismo, che ci fa penetrare con lo sguardo fino al
letto disfatto: il poeta ci accompagna a osservare il letto disfatto dove passa la notte in questo
stato di ubriachezza e il letto disfatto è in realtà la figura visibile del contorcimento
sentimentale del soggetto poetico. Maledizioni tutte introiettate perché è muto, ma è una
mutezza rumorosa, di maledizione.
Poi la famosa morte invocata dall’amante cortese per fuggire e trovare una via di fuga dalla
sofferenza qui è rimpiazzata da una sua versione attenuata, la premorte della vecchiaia: non
muore ma invecchia, e non è una morte potenziale (no te tardes que me muero) o una morte
prevista, ma un invecchiamento già compiuto (envejecí). L’invecchiamento è una versione
molto meno solenne della morte, qui si tratta di una morte in vita che trova la sua
corrispondenza visiva in quel letto sfatto come è lo stato d’animo del protagonista.
A questo disordine sentimentale e ambientale corrisponde anche un disordine metrico:
abbiamo un rivestimento metrico molto accidentato perché tutta la poesia è encabalgada (lo
rende accidentata) e poi abbiamo la prevalenza di rime acute e in questo caso con una
chiarissima funzione espressiva. L’assonanza acuta è più forte, più scandita quindi più
efficacemente esprime l’intensità delle emozioni mentre la rima piana è più morbida, dolce,
lieve.
Quindi, molto sapientemente Bequer cerca delle corrispondenze: al disordine emotivo
corrisponde il disordine visivo e il disordine metrico e questa è una poesia molto meno
ordinata e simmetrica delle altre e molto più forte dal punto di vista espressivo. Qui il
soggetto poetico maledice e non cerca nella nostalgia un riposo, ma lancia un grido di dolore.
5.05
LA POESIA D’AMORE DI FEDERICO GARCÍA LORCA:
Poeta più importante nell’avanguardia spagnola, soprattutto per quanto riguarda il
surrealismo cioè l’avanguardia che ha avuto maggior peso in Spagna.
Prendiamo in esame due romances provenienti dal Romancero Gitano. Il romance nasce in
epoca medioevale in ambito popolare e poi assorto alla produzione colta grazie al fatto che
alcuni poeti colti si innamorano di questa forma poetica appropriandosene e scrivendo dei
romances di autore oltre che raccolte di romances (i romanceros). Questa distinzione tra colto
e popolare, anonimo e autoriale è stata definita dalla critica come romancero viejo (popolare,
anonimo, orale) e romancero nuevo (autoriale e di tradizione scritta). Abbiamo visto Juan De
Lencina che si è avvalso di questa forma poetica per scrivere poesie di taglio tutt’altro che
popolare.
Si tratta di una forma poetica lirico-narrativa, cioè poesie volte a narrare una storia più che a
dare spazio alle effusioni sentimentali del soggetto poetico. Mano mano, con l’avanzare del
tempo e soprattutto con l’adozione colta della forma del romance è stato impresso un’indole
anche lirica, per questo oggi parliamo di carattere lirico-narrativo. Si tratta di tirate di
ottosillabi, quindi prive di suddivisione strofica con rima assonante nei versi pari. Se questa
rima era in origine sempre assonante, man mano sempre in virtù dell’adozione colta, è stata
sostituita da una rima consonante.
Lorca è uno dei tanti poeti colti che si avvale di questa forma poetica, al punto tale di scrivere
un suo Romancero. La sua novità non è certamente nella forma poetica, ma è proprio nel
tema: Lorca lo definisce “gitano”. Sappiamo quanto Lorca fosse amante della cultura gitano-
andalusa, ha lungamente studiato questa tradizione e gli ha dedicato tanti omaggi poetici e
non solo. Al cante jondo Lorca ha dedicato anche una conferenza in cui illustra il percorso
storico compiuto da questa tradizione poetico-musicale e ha promosso delle attività culturali
insieme a Manuel De Falla proprio al cante jondo. Per esempio, promosse a Granada un
concorso per cantaores per rilanciare questa tradizione popolare che rischiava l’estinzione.
Nessuno fino a quel momento aveva scritto dei romances i cui protagonisti fossero i gitani.
L’altra novità apportata da Lorca è quella del tipo di linguaggio poetico, cioè un linguaggio
poetico surrealista: poesia basata sulla scrittura automatica, sulle libere associazioni, che
propende verso una scrittura che rompe ogni nesso logico proprio per privilegiare le libere
associazioni come avverrebbe nel sogno. Dal punto di vista poetico questa scrittura che mette
in realzione realtà logicamente incompatibili si ottiene attraverso la metafora visionaria.
Questa metafora si differenzia da quella tradizionale che Quintiliano definiva similitudine
abbreviata perché questo rapporto di similitudine tra le due realtà messe in relazione viene
meno.
La Casada Infiel
Y que yo me la llevé al río
creyendo que era mozuela,
pero tenía marido.
Fue la noche de Santiago
y casi por compromiso.
Se apagaron los faroles
y se encendieron los grillos.
En las últimas esquinas
toqué sus pechos dormidos,
y se me abrieron de pronto
como ramos de jacintos.
El almidón de su enagua
me sonaba en el oído,
como una pieza de seda
rasgada por diez cuchillos. => le sue dita
Sin luz de plata en sus copas
los árboles han crecido, => alberi così fitti che non entra luce
y un horizonte de perros
ladra muy lejos del río. => allontanamento dal paese
Pasadas las zarzamoras,
los juncos y los espinos,
bajo su mata de pelo => ci confermano che siamo in prossimità dell’acqua
hice un hoyo sobre el limo.
Yo me quité la corbata.
Ella se quitó el vestido.
Yo el cinturón con revólver.
Ella sus cuatro corpiños.
Ni nardos ni caracolas
tienen el cutis tan fino,
ni los cristales con luna
relumbran con ese brillo.
Sus muslos se me escapaban
como peces sorprendidos,
la mitad llenos de lumbre,
la mitad llenos de frío.
Aquella noche corrí
el mejor de los caminos,
montado en potra de nácar
sin bridas y sin estribos.
No quiero decir, por hombre,
las cosas que ella me dijo.
La luz del entendimiento
me hace ser muy comedido.
Sucia de besos y arena
yo me la llevé del río.
Con el aire se batían
las espadas de los lirios.
Me porté como quien soy.
Como un gitano legítimo.
Le regalé un costurero
grande de raso pajizo,
y no quise enamorarme
porque teniendo marido
me dijo que era mozuela
cuando la llevaba al río.
Si tratta di un romance erotico il cui tema è l’adulterio e il desiderio sessuale. Proprio per il
tema facile, questo romance è divenuto il più famoso di Lorca e ottenne una straordinaria
popolarità. Ogni volta che Lorca si esibiva nei suoi recital poetici nelle tertulias o nei teatri
gli veniva richiesta la recitazione di questo romance proprio per il suo facile tema erotico e
per questo motivo Lorca non amava questo testo.
È di tema erotico, basato sull’adulterio e soprattutto declinato attraverso la categoria della
mal casada, ossia una donna insoddisfatta che subisce una frustrazione in questo caso erotica,
ed è una delle forme della canción de mujer della poesia d’amore popolare.
Lorca con questo romance entra nel solco di questa lunga tradizione, però è una lunga
tradizione in genere farsesca ed è un tema molto ricorrente anche a livello colto, ma
dobbiamo vedere in questa tradizione così ampia diffusa in tutta Europa quali sono le più
specifiche fonti lorquiane: la fonte principale non è la letteratura colta spagnola tanto meno
quella italiana (malcasada in Boccaccio), ma la fonte di questo romance è una copla popolare
che circolava nella dimensione poetica-popolare che dice “y yo me la llevé al rio creyendo
que era mozuela, pero tenía marido”. È proprio l’incipit del romance lorquiano, Lorca
riprende in senso letterale questa copla e poi la commenta, la glossa, cioè le conferisce uno
sviluppo narrativo. Questa strofetta si caratterizza come l’ipotesto del romance lorquiano
(siamo nell’ambito della ipertestualità).*
*intertestualità-ipertestualità: in entrambi i casi abbiamo una relazione tra un testo precedente
e un testo successivo. Nel caso della intertesualità questa relazione si limita a manifestarsi
nella forma della citazione o dell’allusione, si tratta di due testi autonomi e uno cita l’altro per
chiarezza, per dare autorità eccetera. Nel caso della ipertestualità la relazione tra i due testi
non è quella di una autonomia genetica e solo un ponte citazionale, ma la relazione è genetica
nel senso che il testo B deriva dal testo A nella forma della riscrittura. La riscrittura comporta
anche dei margini di emancipazione, nel senso che il testo B non deve essere una copia del
testo A, e tuttavia esiste una relazione genetica. Inoltre, i due testi vengono chiamati da
Jenette ipotesto (testo A), ipertesto (testo B)
In questo caso siamo nell’ambito della ipertestualità perché il romance di Lorca è a tutti gli
effetti una riscrittura della strofetta popolare. La strofetta popolare è l’ipotesto del romance
lorquiano che di quella strofetta è l’ipertesto.
Una volta giunti vicino al fiume l’uomo tocca il seno della donna. A partire da questo
momento il protagonista non ode altro che ciò che si è convertito nel punto nodale della sua
attenzione, cioè il muoversi del corpo della donna, il rumore prodotto dalle sue gambe nel
camminare e ode soprattutto quel desiderio furioso che fa si che con le sue mani strappino la
gonna.
Orizonte de perros …: immagine in termine uditivi, suono che si fa sempre più debole tanto
più ci si allontana dal paese. A queste immagini in termini di suono si contrappone la
precedente in termini di luce (fitta boscaglia). Quindi Lorca è davvero un poeta sensualista
nel senso che stimola costantemente la percezione sensoriale del suo lettore attraverso delle
immagini che suggeriscono o suggestioni visive (luce luna) o in termini di suono (verso dei
cani).
I due sono giunti al fiume, topos, luogo canonico della tradizione letteraria non solo popolare
anche perché il fiume è acqua e l’acqua ha un valore simbolico di fertilità quindi è uno dei
luoghi più privilegiati nella rappresentazione letterario per gli incontri amorosi insieme al
giardino.
I quattro versi che seguono hanno una struttura sintattica fortemente parallelistica. Ognuno di
questi versi include un’azione completa e notiamo che sono versi che si susseguono senza
congiunzioni né particelle di connessione. Inoltre, abbiamo la soppressione del verbo negli
ultimi due versi. Questa costruzione così fatta ha una precisa funzione espressiva: si produce
un effetto di azione accelerata che, proprio perché non ci sono i verbi né particelle di
congiunzione, ci permette di leggere molto velocemente questo passaggio. Questo effetto di
azione accelerata evidentemente indica il desiderio irrefrenabile dei due che ormai fuggiti dal
paese e giunti in un luogo appartato e intimo danno libero sfogo alle loro pulsioni.
È una tecnica molto tipica del romance, Lorca infatti essendo un assiduo lettore avrà
interiorizzato il modo di scrittura di questi romances riproponendolo anche in maniera
involontaria.
Esempio:
ella quita su salla
yo mi pantalón
ella quita su camisa
y yo mi camisón
Sempre all’interno di questo passaggio, vediamo che si parla di revolver: il gitano non usa il
revolver, eventualmente per la sua giustizia privata usa la navaja. Quindi è curioso che Lorca,
grande conoscitore della cultura andalusa, attribuisca al gitano un elemento che non fa parte
della sua tradizione. Forse qui possiamo vedere un tratto derisorio di questo protagonista
maschile e del suo maschilismo (casi por compromiso) e forse attraverso questo tratto
anomalo rispetto all’immaginario gitano, voglia Lorca prendere in giro al protagonista.
Abbiamo ben quattro corpetti che si interpongono tra il corpo della donna e lo sguardo
dell’uomo, questo suggerisce l’avidità impaziente degli occhi del protagonista maschile che
aspettano strato dopo strato che si manifesti la bellezza che tanto desidera contemplare. Una
volta che la donna si è denudata avviene la contemplazione: qui abbiamo un’immagine tattile
(tube rose, conchiglie non hanno una pelle così fine) e poi anche un’immagine visiva (cristalli
con la luna non risplendono di tanta luce). La luminosità è una delle caratteristiche più tipiche
della descriptio puellæ in senso tradizionale. Abbiamo visto qual era la concezione
neoplatonica della bellezza femminile, cioè la claritas che si manifestava concretamente nel
candore della pelle, nella biondezza e in generale nella luminosità. Lorca si allinea a questo
topos dell’estetica femminile che è appunto la luce.
A partire da questo momento la relazione sessuale si descrive mediante una metafora molto
prevedibile, cioè quella del cavaliere che monta una giumeita. La simbologia sessuale del
cavallo viene amplificata dal fatto che questa puledra appare senza staffe e senza briglie e
questo indica proprio l’abdicazione dell’autodominio.
Consideriamo che qui la consegna della donna si manifesta sia mediante l’offerta del proprio
corpo sia mediante le parole, che l’uomo dice che non osa ripetere perché indecenti.
Poi un’evidente metafora fallica sottolinea il racconto di questa storia: finito il loro incontro
amoroso (sporca di baci e sabbia) la riporta al paese, con il vento si battevano le spade dei
gigli.
La parte finale ripete l’incipit invertendo l’ordine dei versi, creando una cornice: il romance
si apre e si chiude con gli stessi versi sebbene con un ordine invertito.
Questo romance, come quasi tutto il romancero gitano, ha ricevuto una messa in musica da
parte degli artisti del flamenco, era molto amato dalla società gitana.
Romance Sonambulo
Romance tragico perché si mette in scena il suicidio di una donna e la disperazione del suo
amato che non fa in tempo a raggiungerla. Lei attende l’arrivo dell’amato su queste terrazze,
il quale fa una vita clandestina, da fuorilegge, e non la può raggiungere se non tardivamente
quando lei si è già suicidata per la lunga attesa dell’amato che non giunge. Quando lui giunge
ferito la trova già morta.
Qui abbiamo il tema di un incontro fallito tra la gitana e il suo amato che tarda ad arrivare
perché è un contrabbandiere, arriva ferito dalle montagne di Cabras. Lei che soffre per questo
incontro disertato nel presentimento della morte (il sonnambulismo indica uno stato liminale
tra vita e morte), fino a cadere nello stagno dove morirà affogata.
Abbiamo sempre detto che le riscritture comportano degli elementi di emancipazione dal
modello, e in questo caso l’elemento anomalo rispetto al modello della canción de mujer è
che la donna parla poco, non è lei che narra, non è lei che dice in prima persona i propri
sentimenti, c’è un narratore onniscente esterno, ogni tanto vi è un dialogo tra il suo amato e il
padre della donna. La donna dice solo due battute, ma in realtà la focalizzazione non è la sua:
questo sarebbe un elemento di grande differenza con quell’archetipo ma, posto che il tema di
quell’archetipo è lo stesso (cita de amor non realizzata, abbandono, attesa di un amante che
non giunge, presentimento della morte), questo si può giustificare con il fatto che quel
presentimento di morte, dovuto a un incontro non realizzato, diventa suicidio concreto e in
quando suicida non può essere lei che narra.
Sappiamo che le riscritture hanno margini di emancipazione ampi dall’ipotesto, sebbene in
questo caso non abbiamo un ipotesto concreto ma è una tradizione, cioè quella della canción
de mujer.
Poi abbiamo delle coordinate spazio-temporali: questo fa parte del pensiero situazionale di
Lorca che sempre deve fornire dei dati concreti di tempo e di spazio alla narrazione. Queste
coordinate spazio-temporali sono portatrici di segnali nefasti, annunciano che questo stato
intermedio tra vita e morte concluderà nella morte. Tutto quanto si consuma in un arco
temporale che va dalla notte fonda all’alba.
In questo arco temporale, si ritrae un luogo: il notturno è di per sé un momento cupo, una
dimensione di oscurità, di morte e in questa dimensione temporale si ritrae una dimensione
spaziale che si caratterizza per un anti locus amenus (natura ridente, solare, benigna). Uno
spazio che è tutt’altro che ridente perché viene ritratto con delle inequivocabili pennellate
negative, cioè il vento, la vegetazione, la montagna e il mare che nei primi versi sono
rappresentati come elementi statici di un ordine cosmico, nel secondo movimento invece,
questa natura statica, ordinata si anima. Diventa aggressiva e soprattutto questi elementi
confondono il loro statuto perché i rami si animano in modo aggressivo, il monte addirittura
viene rapresentato come un animale e aggressivo come un gatto selvatico, e il mare si svela
amaro.
Se riflettessimo in termini pittorici si tratta di una raffigurazione figurativa della natura, ma è
una rappresentazione antinaturalistica perché vediamo che il colore supera i suoi contorni
reali al punto tale che la vegetazione cede il suo colore verde al vento e alla donna,
cominciando ad invadere tutti gli elementi di questa rappresentazione anche in modo
antinaturalistico. Il verde della vegetazione e anche il verde del mare finisce per tingere tutto
ciò che gli è intorno, compreso il vento e il corpo della donna, così come la fria plata della
luna tinge il colore dei suoi occhi.
Il verde, come gli altri colori è dotato di un plurisemantismo, potendo assumere valori
positivi o negativi. In questo caso è prevalente il suggerimento acquatico del verde, cioè la
fonte di questo verde che invade tutto è il mare (nell’universo poetico lorquiano il mare è
connesso alla morte). Qui inoltre il mare è amaro, che rappresenta la morte. Al verde della
pelle della gitana potremmo trovare anche un suggerimento referenziale, alludendo alla pelle
olivastra dei gitani, ma in Lorca il valore descrittivo di un colore è inferiore di importanza al
suo significato simbolico e in questo caso il verde ha una connotazione negativa proprio
perché allude alla frustrazione amorosa di questa gitana che non è in grado di
raggiungere/essere raggiunta dal suo amato e poi alla morte per suicidio che la caratterizzerà.
Quindi bisemia simbolica non solo del mare da cui del verde deriva, il valore tanatico e
quello vitalista convivono ma in questo caso questo mare immobile significa la fine della vita
e quindi la sua negazione. Per questo appare la connotazione di amaro, proprio per non dar
dubbi sul semantismo negativo di questo verde derivato dal mare.
In questo stato di sonnambulismo è come se la donna avesse una visione premonitoria della
sua morte, della morte che verrà narrata e descritta alla fine del romance: ora è in uno stato
liminale tra vita e morte in cui lei, con tutte queste suggestioni spazio-temporali ha una
premonizione di quella che sarà la sua morte.
Il romance quindi si struttura di due fasi:
- Fase iniziale del sonnambulismo piena di risonanze premonitrice della seconda fase
- La seconda fase è quella terminale della morte
Quindi, il contagio della morte nella premorte del sonnambulismo fa si che si irradi su di lei il
suo cromatismo. Il cromatismo della morte è il verde che invade tutto
Il verso reiterado “verde que te quiero verde, verde carne pelo verde” è tutto volto a preparare
il deselace final di carattere tragico.
Continuando con questo fascio di premonizioni all’inizio del romance, un altro elemento che
appartiene a un campo semantico negativo è proprio la luna: nel paesaggio simbolico
lorquiano indica sempre la morte, è l’astro dell’oscurità. Forse solo in un luogo testuale ha un
valore di si di morte ma seguita dalla rinascita (cicli della luna; alla notte segue il giorno),
cioè la Canción de la Madre del Amargo (Poema del Cante Jondo).
Questi primi due movimenti sono così brevi e pure contengono tante suggestioni simboliche.
Qui abbiamo la voce di un narratore onniscente eterodiegetico che alterna la sua voce con due
voci che monologano: una voce maschile, che invoca la donna verde con enfatiche parole
d’amore e invocando questa donna come donna verde già si definisce come un amante
destinato a un sentimento non realizzabile (conosciamo il valore simbolico negativo del
vento). Da qui già si delinea il tema della frustrazione sentimentale erotica, cioè io amo una
donna verde, destinata alla morte.
L’altra voce monologale è quella della donna: in questo caso è la stessa donna verde che si
chiede chi viene e da dove viene, con queste due domande definisce già il suo stato di
sonnambulismo come uno stato di attesa ed è un’attesa circondata da tutti questi
presentimenti negativi determinati dalla natura avversa, dal notturno, dal fatto che lei si trovi
a metà della sua vita.
Sappiamo già che questo incontro sarà impossibile perché lui è un uomo fuggitivo che sta
scappando inseguito dalla guardia civile e lei perché non attende a sufficienza il suo rientro,
si butta dalle balaustre nell’acqua primo del suo arrivo
Nel terzo movimento scompare la voce del narratore esterno eterodiegetico per dare luogo a
un dialogo tra il padre della donna e il suo amato.
Questo gitano ferito a morte che torna dalle montagne di Cabra è desideroso di sostituire la
sua vita avventurosa, fuorilegge, con la pace domestica. È stanco di vivere da fuorilegge e
vuole la pace domestica. Tuttavia, il padre della donna gli risponde che è arrivato tardi, che
neanche lui lo può più ricoverare perché a sua volta vittima di una persecuzione (non sono
più padrone di me stesso, negazione della autonomia antologica del gitano) è a sua volta
vittima della discriminazione.
Il ragazzo implora la possibilità di ascendere alle balaustre prima di morire: le balaustre
vengono descritte come verdi e “della luna”. Ora capiamo perché queste balaustre sono alte
perché sono caratterizzate dalla luna che è il simbolo di morte. Verde, luna, a
Metafora: è uno dei luoghi lorquiani più tipici per capire la visionarietà della metafora
lorquiana. In linea con la missione che lo stesso Lorca si riconosce che non è quella di
definire, ma quella di suggerire appunto mediante metafore che non dicono chiaramente nulla
ma che suggeriscono. Per quanto riguarda il significato, Lorca dice che neanche lui saprebbe
spiegarlo, li ha visti e basta. Possiamo solo dire che questi mille tamburelli di cristallo
potrebbero rappresentare un notturno con le sue stelle proprio perché “ferivano” l’alba: c’è il
riferimento del verbo a un ferimento, l’alba nascente risulta aggredita e ferita dalle stelle che
stanno per scomparire, quindi anche qui presagi negativi.
L’unico elemento compassivo nei confronti di questo gitano ferito sembrano essere proprio i
faroles perché in qualche modo la forma diminutiva “farolillos” fa pensare a una
rappresentazione affettiva di questo elemento dell’ambiente che potrebbe far pensare a una
partecipazione intima di questo elemento alla situazione alla quale
stiamo assistendo. Anche nel loro temblore, nel loro essere soggetti a una reazione emotiva.
Tre elementi che intensificano il verde, quindi non bisogna pensare alla menta e al basilico
come elementi della natura che al limite sono portatori di un sapore e un odore gradevoli, ma
qui sono tre elementi aumentativi del verde. Sono degli agenti cromatici indiretti e il valore
simbolico negativo del verde viene aumentato, a sua volta aumentato dall’odore del sangue
del verso precedente.
Poi abbiamo un nuovo dialogo tra il padre e il ragazzo che ci informa che la ragazza è stata
lungamente in uno stato di attesa (ecco perché la canción de mujer). Il padre dice che la
ragazza lo ha aspettato quando era ancora giovane, vitale (pelo negro, carne fresca, non
verde). Ora, dopo tanta attesa, il suo pelo e la sua carne sono diventati verdi e in questa verde
baranda si è consumata.
Immagine della donna affogata: sul volto della cisterna, quindi acqua stagnante (sempre
simbolo di morte) dondola la gitana che si è buttata con verde pelo e verde carne con gli
occhi di fria plata, ancora una volta morte rappresentata attraverso il colore della luna. Stessa
luna che la sostiene nello stagno, ma la luna stessa è a rappresentare la sua morte.
Alla fine il nostro sguardo viene trasferito dai gitani e da quello che stanno vivendo agli
agenti materiali della loro oppressione che sono le guardie civili. Queste, in un gesto ancora
più crudele, sono ubriache e quindi assolutamente indifferenti al dramma vissuto dai gitani al
punto tale che colpiscono alla porta dei gitani. Colta in questo stato di ubriachezza e
aggressività, ci fanno capire che sono tutt’altro che solidali al dramma intimo vissuto dai
gitani.
A questo punto, compiuta la tragedia, il contesto ambientale riprende il suo ordine iniziale:
tutta questa scossa sismica nella vita dei gitani che è stata rappresentata simbolicamente
attraverso questi elementi della natura, una volta compiuto il dramma del suicidio della
gitana, riprende il suo corso. Come a dire che la vita va avanti e tutto sommato la vita del
cosmo è indifferente alla tragedia individuale perché le cose proseguono.
Perché dicevamo che questa può essere una riscrittura della canción de mujer, naturalmente
con degli elementi di discontinuità o notivà? Perché la circostanza tematica è la stessa, cioè
un incontro mancato, dove la morte anziché essere presentita è compiuta, per questo motivo
non può essere che dice “io”. A narrare l’evento è quindi una voce esterna, alternata di quanto
in quanto da voci monologali o dialogali (come quella della stessa donna che è come se fosse
citata, e quella dei due protagonisti maschili).